Maja Celija Giovanni Zoppoli - Intro ad orecchio acerbo Gago ha sei anni e tutto il giorno se ne va...

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orecchio acerbo Giovanni Zoppoli illustrazioni Maja Celija

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orecchio acerbo

Giovanni Zoppoli illustrazioni Maja Celija

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GAGO

Giovanni Zoppoli illustrazioni MajaCeli

ja

orecchio acerbo

© per il testo Givanni Zoppoli 2007© per i disegni Maja Celija 2007

© 2007 orecchio acerbo s.r.l. viale Aurelio Saffi, 54

00152 Roma www.orecchioacerbo.com

Graficaorecchio acerbo

Finito di stampare nel mese di maggio 2007da Telligraf, Civita Castellana (Viterbo)

Questo libro è dedicato a Gago.G. Z.

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Gago è un po’ matto. In quest’angolo di città nessuno ci va. Ma Gago ci va.

Non è passato neanche un mese da quando il vecchio Sravco è morto,

che è morto pure di una brutta morte

Perciò dubbi non ce ne sono: lo spirito del vecchio è ancora là,

s’aggira attorno a quella che fu la sua casa, una catapecchia che niente ci resta,

a parte due legni bruciacchiati, qualche straccio, due topi e un cane.

Perciò nessuno ci va. Ma Gago ci va.

Betta, Geliana, Giasmina, Seriana, Milan, Milosc, e persino Jela, sono gli amici

e i vicini di baracca di Gago, e se ne stanno lontani dalla casa del morto.

Perché su certe cose genitori, e fratelli, e zii è meglio starli a sentire.

Gago va a tirare pietre in quest’angolo di città dove nessuno va.

Quest’angolo di città sta dentro a un altro pezzo di città dove Gago, Betta,

Geliana, Giasmina, Seriana, Milan, Milosc, e persino Jela, ci abitano.

A parte topi giganti, cani, colombi, galli, galline, pecore e qualche maiale

per quand’è festa, anche in questo pezzo di città quasi nessun altro ci va.

(“UCCISO A COLTELLATE!!!” dicono).

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Gago ha sei anni e tutto il giorno se ne va in giro a far scherzi, spaventi e doni

ai vivi e ai morti. Si muove a scatti imitando un robot, regala un fiore,

ride, piange, si nasconde, aiuta la mamma ad apparecchiare la tavola,

costruisce baracche in miniatura, armeggia con gli attrezzi più strani, tira pietre,

accarezza con cura un micio accovacciato sulla terra di quest’angolo di città

dove nessuno ci va. Ma la cosa che Gago preferisce in assoluto -lui, che è così

piccolo piccolo- è fare sgambetti a suo fratello Milosc, che invece è proprio una montagna. Quando si rialza, Milosc sbraita, URLA, lo rincorre.

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A volte Gago va con la mamma nel resto della città, quella dove ognuno va, a far soldi per campà.

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Spesso Gago se ne va in giro pensieroso con le mani dietro la schiena.

Chissà che pensa Gago con le mani dietro la schiena, tutto solo

in questo pezzo di città dove nessuno ci va.

Tutte queste cose Gago fa, e a scuola non ci va. Nemmeno Betta,

Geliana, Giasmina, Seriana, Milan, Milosc, e persino Jela, ci vanno a scuola.

E così, almeno stavolta, almeno in questo pezzo di città,

Gago a voi meno matto apparirà.

La sua mamma si chiama Svetlana. È giovane, ma a furia di correre dietro

a quel matto di un Gago, di star dietro a quel marito tutto oro,

e pensieri, e affari, a furia di lavar tappeti, e panni, e tazze,

a Svetlana son rimasti solo tre capelli neri e tutti gli altri sono bianchi.

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Veramente Svetlana quattro capelli neri e tutti gli altri bianchi,

li aveva dall’età di diciassette anni. E allora Gago non era nemmeno nato!

Allora Svetlana di figli ne aveva già due. Uno è Milosc, il fratello montagna,

quello che Gago gli fa sempre lo sgambetto.

L’altro è Darko, il vero disonore della famiglia, un dolore per madre e padre.

Un giorno ha incontrato una brutta compagnia: Gipi, che se ne va girando sempre

con un camice arancione e un punto dipinto sulla fronte. Gipi è alto e magro,

e un giorno chiese a Darko perché mangiasse cadaveri, i cadaveri degli animali.

Tanto fece e tanto disse che Darko diventò vegetariano.

Svetlana, suo marito Chigio e tutto il pezzo di città dove nessuno ci va,

tentano e ritentano d’ingozzarlo col montone, ma Darko sembra

diventato proprio come Gipi. Fu quando Svetlana vide Darko con un saio

e i capelli rasati che perse uno dei suoi quattro capelli neri.

Così ora Svetlana ha solo tre capelli NERI e tutti gli altri li ha BIANCHI.

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Gago però capisce Darko. A volte, per scherzo, mentre Darko dorme,

cerca di fargli entrare dall’orecchio piccole palline di carne macinata.

Nella stessa stanza dormono tutti gli otto figli di Svetlana,

che ha tre capelli neri e tutti gli altri bianchi.

Se deve disegnare qualcosa Gago la disegna .

Ci mette così tanta attenzione e passione e pazienza che alcuni dicono

che non è più lui, perché dentro gli entra lo spirito di un morto.

Ma non un morto qualsiasi: un pittore scultore artista. Un grande insomma.

Così non la pensano Betta, Geliana, Giasmina, Seriana, Milan, Milosc

e persino Jela, che accolgono l’opera d’arte di Gago con fischi, risa

e qualche sberleffo. Così Gago s’arrabbia sempre, e sbatte i piedi a terra,

e sputa in faccia, e dà pugni e cazzotti. Povero Gago, artista incompreso.

CAPOVOLTA

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Se vede il mare Gago, anche se è inverno e sul Vesuvio cade la neve,

e tutti i signori fuori hanno sciarpa, e cappotto, e berretto di lana doppia,

se vede il mare Gago ci corre dentro, e con tutti i vestiti.

Dietro di lui Betta, Geliana, Giasmina, Seriana, Milan, Milosc e persino Jela.

Sono tutti un po’ matti in questo pezzo di città. Bello il mare d’inverno. C’è chi lo guarda e chi ci si tuffa dentro.

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Un giorno Gago muore.

Svetlana grida, piange, urla e SI DISPERA.

Chigio grida, urla e si dà da fare.

A Svetlana cadono due dei tre capelli neri. Così ora di capelli neri a Svetlana

gliene rimane solo uno.

Tutto il pezzo di città si stringe intorno a Chigio e Svetlana. Per piangere Gago.

Il fratello montagna ha due occhi che sono due palle, e ancora s’arrabbia

con quel morto di Gago.

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Il resto di città, quello dove ognuno va, ha trattenuto Gago.

Non lo libererà prima di quattro giorni, perché nel resto di città

la gente è seria e deve capire di che morte è morto un bambino tanto giovane.

Un dolore più un altro dolore fanno due dolori.

E così tutto il pezzo di città, quello dove quasi nessuno va,

si stringe attorno a un morto che non c’è.

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Passano tre notti e tre giorni. Accanto alla bara vuota

c’è un tavolo lunghissimo, e sopra pietanze, piatti, bicchieri e bevande.

Ci sono anche le pecore e i maiali, morti anche loro stavolta.

Qualcuno li fa girare per ore sopra a una brace ardente, manovrando un palo

che entra dalla bocca dell’animale e gli esce dal sedere.

Il manovratore ne stacca una fetta alla volta, ma solo quand’è ben cotta,

e la spedisce al lungo tavolone.

Per tre giorni e tre notti Chigio, Svetlana e un altro centinaio di persone,

a turno mangiano a quel tavolo cibarie portate da donne, bambine,

giovani e vecchie. Polli, insalate, pecora, pomodori, cetrioli, yogurt, grasso,

pane appena sfornato... Tutti mangiano tutto. Tranne Darko,

che ovviamente mangia solo insalata e qualche semino, e che brucia incensi.

Ogni cosa è stata apparecchiata come se il morto fosse là.

Gli specchi sono stati ben coperti perché, si sa, l’uomo, anche da morto

è vanitoso. Però se è un morto a specchiarsi, rischia di rimanerci intrappolato

per l’eternità, e questo non lo farebbe star bene.

C’è un’orchestra che suona, e per tre notti e tre giorni Chigio e Svetlana,

ogni volta che arriva un nuovo gruppo di conoscenti e amici,

debbono far riapparecchiare la tavola, sedersi e mangiare.

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La gente che c’è piange, ride, balla, grida,

piange ancora e ricorda episodi della vita del bambino che è morto.

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In questo pezzo di città la gente vive raggruppata in clan e oggi, allo stesso tavolo,

si alzano e si seggono capi, caporali, caporaletti e affiliati di terz’ordine.

Ci sono anche Chiara e Marco, capi di clan in lotta. Ma Chiara e Marco

non abitano in questo pezzo di città, e nemmeno sono camorristi di periferia:

sono i volontari e vengono dall’altro pezzo di città, quello dove ognuno va.

Perciò qua dentro li chiamano GAGI.

“Tutti gli volevano bene!!! Tutti!!! Pure i gagi!!!” urla piangente una commensale

grassa come una balena, col mento unto di pollo. Poi improvvisamente

la signora si acquieta, lancia un'altra occhiata furtiva ai due gagi e, indicando

lo strappo sul jeans di Chiara, sogghigna sibilando: “Guarda come si vestono”.

Effettivamente Chiara, Marco e affiliati sono gli unici lì in mezzo a non avere

giacca, cravatta, abiti da sera e gioielli. Che vergogna, questi gagi!

Prima di portare il bicchiere alla bocca, Chigio, come tutti gli altri commensali,

versa qualche goccia della sua bevanda a terra. Gago potrebbe avere sete.

Finalmente il corpo di Gago ritorna. È il ricco sig. Pifferino in persona che lo porta,

con un grosso nodo di cravatta fluorescente, un abito gessato di seconda mano,

e mani nerborute dalle unghie sporche che si sfrega continuamente: diventerà

ancora più ricco trasportando il morto lì dov’è nato, in Yugoslavia.

Anche Pifferino è un GAGIO.

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Da ogni angolo del pezzo di città dove nessuno va, tutti corrono con braccia

alzate e mani che battono colpi su gambe e gonne. Gridano. Urlano. Piangono.

Si accasciano sulla bara. Svetlana, Chigio e tutti gli altri salutano Gago.

Non sono passati nemmeno trenta giorni, e si sa che oggi è il giorno

che Gago tornerà per una visita. Nel pezzo di città dove nessuno ci va

c’è una grande attesa e Jela, come Betta, Geliana, Giasmina, Seriana, Milan

e Milosc, hanno tutti messo almeno un pezzo di dolce e un bicchiere di latte

fuori della finestra della propria baracca. Stanotte Gago tornerà a far visita a

questo pezzo di città, e se non troverà qualcosa da bere e da mangiare

figuriamoci cosa potrebbe combinare!

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urla spaventata Giasmina, che è tutta eccitata e indica la finestra vuota

sul cui davanzale la sera prima aveva lasciato un bicchiere e un piattino.

“Gago è venuto!!! Ha preso il latte e il dolce ed è andato via”.

Poi Giasmina abbassa la voce e sussurra: “Era venuto anche l’altra notte.

Io dormivo e lui era magro e sciupato. Ha detto che voleva

qualcosa da mangiare, che aveva fame. Gli luccicava il dente d’oro”.

“È VENUTO, È VENUTO, GUARDA NON C’È PIÙ!!!”

Continua a far scherzi, spaventi e doni, Gago. Fa scherzi, spaventi e doni ai vivi e ai morti, lui che ha il coraggio di andare nei pezzi di città dove nessuno ci va.

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Rom. Sinti. Più sbrigativamente, e spregevolmente, zingari. Gago è uno di loro. Ha sei anni, e l’argento vivo in corpo.Vive in una baracca “in una parte della città dove nessuno ci va”.Ci vive insieme a Betta, Geliana, Giasmina, Seriana, Milan, Milosc, Jela. E a topi giganti, cani, colombe, galline, pecore e maiali. Non sa cosa sia la scuola, e la penna la usa solo per disegnare. Disegni stupendi, ma capovolti…Un viaggio. Un viaggio breve, nelle periferie delle nostre città, per scoprire un altro mondo.

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