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L'effetto dell'alimentazione sulla riproduzione Da molti anni ormai è nota la stretta interazione esistente tra nutrizione e riproduzione. Gli stessi elementi necessari al mantenimento corporeo, alla crescita ed alla produzione di latte - acqua, energia, proteina, minerali e vitamine - sono impiegati anche per assicurare una normale capacità riproduttiva. L'impatto dello stato nutrizionale della bovina può evidenziarsi sulla sfera riproduttiva, influenzando i seguenti fattori: • Percentuale di concepimento • Sviluppo e crescita del feto • Facilità di parto Squilibri alimentari durante la gravidanza possono condurre a nascita di vitelli deboli e/o malformati, aborti (soprattutto in caso d'ingestione di alimenti estrogenici o ammuffiti) e malattie metaboliche quali chetosi, dislocazione dell'abomaso, collasso puerperale, sindrome della vacca grassa; tuttavia ci preme ora esaminare in dettaglio l'effetto dei vari parametri nutritivi sulla capacità di riproduzione della bovina. Energia All'insorgere della lattazione, la produzione di latte ha la massima priorità rispetto ai nutrienti disponibili: per tale motivo i componenti della razione vengono totalmente utilizzati ed in più l'animale deve necessariamente mobilizzare le riserve corporee in grado di fornire energia. Tale situazione è aggravata da inappetenza, con conseguente scarsa ingestione di sostanza secca e perdita di condizione corporea. Si verifica perciò un bilancio energetico negativo, che è al suo massimo fra il terzo ed il dodicesimo giorno dal parto, per poi annullarsi a circa 72 giorni. Questa situazione è causa di scarsa fertilità nella bovina, per ritardo della ripresa di un normale ciclo estrale ed aumento nell'incidenza di calori silenti: in altre parole, maggiore è l'entità di questo bilancio negativo, più lungo è l'intervallo parto-prima ovulazione e maggiore sarà il tempo necessario perché l'utero sia pronto a garantire la sopravvivenza di un ovulo fecondato. La portata di questo bilancio energetico negativo può essere monitorata dal rilevamento del B.C.S. Nelle bovine che mobilizzano eccessive riserve corporee nelle prime fasi di lattazione, si hanno tempi più lunghi per la comparsa della prima ovulazione e del primo calore e livelli più bassi di concepimento, come risulta dalla seguente tabella: Condizione corporea N° totale di servizi N° totale di gravidanze Servizi per concepimento Percentuale di concepimento Aumento peso 1368 911 1.50 67 % Perdita peso 544 234 2.32 44 %

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L'effetto dell'alimentazione sulla riproduzione

Da molti anni ormai è nota la stretta interazione esistente tra nutrizione e riproduzione.Gli stessi elementi necessari al mantenimento corporeo, alla crescita ed alla produzione di latte - acqua, energia, proteina, minerali e vitamine - sono impiegati anche per assicurare una normale capacità riproduttiva. L'impatto dello stato nutrizionale della bovina può evidenziarsi sulla sfera riproduttiva, influenzando i seguenti fattori:• Percentuale di concepimento• Sviluppo e crescita del feto• Facilità di parto Squilibri alimentari durante la gravidanza possono condurre a nascita di vitelli deboli e/o malformati, aborti (soprattutto in caso d'ingestione di alimenti estrogenici o ammuffiti) e malattie metaboliche quali chetosi, dislocazione dell'abomaso, collasso puerperale, sindrome della vacca grassa; tuttavia ci preme ora esaminare in dettaglio l'effetto dei vari parametri nutritivi sulla capacità di riproduzione della bovina.

EnergiaAll'insorgere della lattazione, la produzione di latte ha la massima priorità rispetto ai nutrienti disponibili: per tale motivo i componenti della razione vengono totalmente utilizzati ed in più l'animale deve necessariamente mobilizzare le riserve corporee in grado di fornire energia. Tale situazione è aggravata da inappetenza, con conseguente scarsa ingestione di sostanza secca e perdita di condizione corporea. Si verifica perciò un bilancio energetico negativo, che è al suo massimo fra il terzo ed il dodicesimo giorno dal parto, per poi annullarsi a circa 72 giorni. Questa situazione è causa di scarsa fertilità nella bovina, per ritardo della ripresa di un normale ciclo estrale ed aumento nell'incidenza di calori silenti: in altre parole, maggiore è l'entità di questo bilancio negativo, più lungo è l'intervallo parto-prima ovulazione e maggiore sarà il tempo necessario perché l'utero sia pronto a garantire la sopravvivenza di un ovulo fecondato. La portata di questo bilancio energetico negativo può essere monitorata dal rilevamento del B.C.S. Nelle bovine che mobilizzano eccessive riserve corporee nelle prime fasi di lattazione, si hanno tempi più lunghi per la comparsa della prima ovulazione e del primo calore e livelli più bassi di concepimento, come risulta dalla seguente tabella:

Condizione corporea

N° totale di servizi

N° totale di gravidanze

Servizi per concepimento

Percentuale di concepimento

 Aumento peso 1368 911 1.50 67 %

Perdita peso 544 234 2.32 44 %

Fonte: University of Kentucky

In una scala di B.C.S. che varia da 1 a 5, le bovine non dovrebbero perdere più di 1 unità e dovrebbero partorire con una condizione corporea pari a 3.0 - 3.5 (vedi lo specifico articolo nel settore "Gestione")La perdita di condizione corporea raggiunge il picco tra la quarta e la sesta settimana, per poi iniziare a risalire dalla settima - dodicesima settimana.Oltre al B.C.S. è possibile impiegare altri indicatori per monitorare la durata del bilancio energetico negativo e la scarsa assunzione di sostanza secca: un aumento di corpi chetonici ematici, degli acidi grassi non esterificati del siero e del beta-idrossibutirrato è indicativo di una situazione energetica negativa.

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Il seguente grafico mostra chiaramente le relazioni tra assunzione di sostanza secca, condizione corporea e produzione di latte:

 

Come si può notare, le tre curve sono in contrasto e mettono la bovina in una condizione difficilmente risolvibile: di base, qualunque intervento che limiti il bilancio energetico negativo sarà utile a ridurre l'intervallo parto - prima ovulazione e a migliorare la percentuale di concepimento nei primi cicli estrali. Tutto questo implica non solo la distribuzione di una razione corretta, ma anche un'adeguata gestione aziendale (disponibilità d'acqua, corretta costituzione della foraggiata, idoneo raggruppamento delle bovine "superfresche" e fresche).Per quanto riguarda la razione, si raccomanda di usare solo foraggi d'ottima qualità, per stimolare l'assunzione di sostanza secca, ma soprattutto l'obiettivo deve essere quello di aumentare la concentrazione energetica della razione stessa, traguardo ottenibile somministrando glicole propilenico o altri additivi glicogenici; l'aggiunta di grassi è invece sicuramente negativa se eseguita nel primo mese di lattazione, poiché si riflette negativamente sull'assunzione di sostanza secca.

ProteinaL'effetto delle proteine alimentari sulla fertilità è piuttosto complesso. In generale, quantità inadeguate di proteina hanno ripercussioni negative tanto sulla produzione di latte che sulla sfera riproduttiva (aumento di calori silenti), ma anche gli eccessi - soprattutto di quelle solubili e degradabili - sono da evitare. In questo caso, infatti, si possono ritrovare nel sangue alti livelli d'urea e/o ammoniaca, in dipendenza dal bilancio tra le varie frazioni proteiche presenti nel rumine e dalla disponibilità di carboidrati fermentescibili. Incrementi nelle concentrazioni d'urea nel latte o nel plasma sono altamente correlate ad una diminuzione dei livelli di fertilità; un'alta percentuale di urea nel sangue può interferire con l'azione del progesterone sul microambiente uterino, causando condizioni non ottimali per lo sviluppo e la sopravvivenza embrionale. Un eccesso proteico in razione può deprimere il tasso di fertilità del 20% ed è oltretutto negativo dal punto di vista economico; un tasso ureico nel sangue (BUN) eccedente 20 mg./100 ml. può diminuire le possibilità di concepimento delle bovine. La necessità di detossificare l'ammoniaca derivante dall'urea in eccesso ha inoltre un costo energetico che può aggravare il bilancio negativo: in pratica un eccesso proteico in razione ha bisogno di energia extra per essere normalmente neutralizzato. (vedi anche lo specifico articolo nel settore "Gestione")

Minerali

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Carenze e squilibri dei minerali sono spesso responsabili di problemi della sfera riproduttiva. Tra i macrominerali , particolarmente importante è una carenza di fosforo, che conduce a ridotta fertilità, basse percentuali di concepimento, diminuzione dell'attività ovarica, cicli estrali irregolari ed aumento nell'incidenza di cisti ovariche. Per quanto riguarda i minerali in tracce, la seguente tabella ne mette in risalto gli effetti sulla riproduzione:

Microminerale Effetti

 Selenio Ritenzioni di placenta, metriti, morte embrionale precoce

Rame Morte embrionale precoce, ridotta attività ovarica, ritardi dell'estro, ridotte percentuali di concepimento

Zinco Ritardi nella maturità sessuale, anomalie del feto

Iodio Morte embrionale precoce, aborti, ritenzioni di placenta

Manganese Scarso sviluppo follicolare, ritardi nell'ovulazione, calori silenti, scarse % di concepimento

Cobalto Calori silenti, ovaie non funzionali, ritardo nella maturità sessuale

VitamineVit. A: i principali problemi associati a mancanza di questa vitamina si evidenziano con ritardata maturità sessuale, aborti, ritenzioni di placenta, metriti. Il beta-carotene, precursore della Vit. A, si è rivelato efficace nel migliorare le performances riproduttive delle bovine.Vit. D: necessaria per il normale metabolismo di calcio e fosforo, ha un ruolo d'indiretta utilità sulla sfera riproduttiva.Vit. E: strettamente correlata al selenio, il suo ruolo nella riproduzione non è ancora perfettamente chiarito, anche se è noto che previene le ritenzioni placentari, ovviamente nocive alla fertilità della bovina. Da rilevare che la mancanza di selenio rende inefficace la supplementazione della razione con Vit.E.

ConclusioniDa quanto su esposto, risulta chiaro che nelle lattifere l'alimentazione è strettamente correlata alla riproduzione: carenze nutrizionali, eccessi o squilibri alimentari sono fattori in grado di alterare le normali potenzialità della sfera riproduttiva. Una razione bilanciata in tutti i suoi componenti, basata su foraggi di alta qualità e concentrati complementari può contribuire a ridurre i problemi riproduttivi, ma è indispensabile anche una buona gestione della razione stessa, controllando in laboratorio i parametri nutritivi dei foraggi ogniqualvolta questi vengano sostituiti come tipo o qualità e controllando che le bovine assumano effettivamente la foraggiata distribuita. Nella prima parte della lattazione, è importante adottare tutte quelle strategie che inducano la bovina alla massima assunzione di sostanza secca, mentre in lattazione avanzata è opportuno curare la condizione corporea degli animali: le riserve di grasso che si costituiscono in questo periodo saranno impiegate nella lattazione successiva con una maggior produzione di 680kg. di latte e potenzieranno le performances riproduttive. Per aumentare le possibilità di un rapido ristabilirsi delle capacità di concepimento dopo il parto è perciò consigliabile:• Distribuire una razione bilanciata• Impiegare foraggi d'ottima qualità• Massimizzare l'assunzione di sostanza secca, soprattutto nelle primissime fasi di lattazione (vedi lo specifico articolo in questo settore)• Ristabilire una giusta condizione corporea nella seconda fase di lattazione

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L'alimentazione della bovina ad alta produzione

 

Com'è noto, la produzione di latte nelle nostre bovine è in costante crescita (2-3% all'anno). Di questa aumentata capacità produttiva sono responsabili non solo il miglioramento genetico (33-40%), ma anche e soprattutto le tecniche di alimentazione e gestione aziendale (60-67%). Il momento di maggior attenzione va riservato a quel periodo della vita della bovina che va dai 60 giorni precedenti il parto (fase di asciutta) fino ai 60 successivi (fase di prima lattazione) ed i fattori chiave da tenere in considerazione sono i seguenti:• cambiamenti nelle condizioni corporee (variazioni di BCS)• disordini metabolici da minimizzare• stimolo all'assunzione di sostanza secca• buona partenza della lattazione• ottimizzazione di longevità e salute

Asciutta

Il programma adottato in questa fase avrà importanti effetti sul successivo ciclo produttivo; sarà quindi opportuno fornire all'animale foraggi a fibra lunga (all'uno % P.V.) per mantenere il grado di riempimento e la funzionalità ruminale e limitare il fieno di leguminose ad una quantità pari alla metà della S.S. totale da foraggio. Anche il silomais va limitato nella stessa misura, per evitare un eccessiva assunzione di energia e mantenere le dinamiche ruminali. In razione occorre mantenere almeno 1 kg. di cereali, come supporto per microelementi e vitamine, tuttavia è possibile raggiungere livelli più elevati, a seconda delle condizioni di crescita, di B.C.S., della qualità ed assunzione del foraggio e dello stress ambientale.Vanno inoltre valutati i seguenti aspetti:• non distribuire fieni o foraggi ammuffiti, in quanto responsabili di una depressione del sistema immunitario, con scarsa resistenza alle malattie. Inoltre i foraggi scadenti limitano l'assunzione di S.S. e dei nutrienti necessari• la distribuzione di limitati quantitativi di silomais mantiene e stimola la funzionalità delle papille ruminali e consente di interagire con i componenti proteici e minerali (calcio e potassio) presenti in razione• le asciutte non dovrebbero perdere peso in questa fase, poiché ciò aumenta l'incidenza della steatosi epatica; le bovine troppo magre non devono comunque guadagnare più di 0.2kg / giorno (1/2 punto di B.C.S.) durante l'asciutta

La razione per il periodo di transizione

Si tratta in sostanza di un programma alimentare che fa da ponte tra la tradizionale razione dell'asciutta (alta in fibra) e quella della bovina fresca (ad alto contenuto proteico ed energetico, con minori quantità di fibra lunga). Questo tipo di alimentazione perciò è assai importante per sostenere le alte produzioni di latte immediatamente successive al parto e per prevenire o minimizzare i disordini metabolici.Si può facilmente stabilire l'inadeguatezza della razione di transizione esaminando questi fattori:• l'assunzione di S.S. dopo il parto è troppo bassa• sono frequentemente presenti casi di acidosi o disappetenza, soprattutto nelle bovine più giovani

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• sono presenti disordini metabolici quali statosi epatica, chetosi, ipocalcemia, collasso puerperale, dislocazione dell'abomaso ecc.Affinchè le bovine traggano il massimo beneficio da questa razione, il programma di alimentazione adottato in questa fase va messo in atto preferibilmente tre settimane prima della data prevista per il parto.

Linee guida• Studi americani dimostrano che nei cinque giorni precedenti il parto si verifica un vertiginoso calo nell'assunzione di S.S. (da 11-13 kg. all'inizio dell'asciutta fino a 8-9 kg.), per cui è opportuno che la concentrazione della razione sia elevata.• Durante la prima fase dell'asciutta, la bovina riceve un tipo di razione che riduce la lunghezza della papille ruminali a meno di 0.5 cm., mentre, nelle prime fasi di lattazione, le papille ruminali si allungheranno fino a 1.2 cm. - per effetto degli alti livelli di carboidrati fermentescibili distribuiti - aumentando così la superficie ruminale, l'assorbimento degli acidi grassi volatili e riducendo lo stato iperacido del rumine stesso. Questo processo di adattamento delle papille richiede 4-6 settimane, cosa di cui tener conto nella formulazione della razione di transizione.• A causa della razione impostata per le fresche, è necessario l'orientamento della popolazione microbica ruminale verso la prevalenza dei microrganismi utilizzatori di amido e fibra.Bovine che possano disporre di alti livelli di proteina non degradabile nella razione di transizione, avranno cali di peso inferiori nel dopo-parto e migliori performances produttive.Le bovine ad alta produzione iniziano a sviluppare una condizione "fisiologica" di steatosi epatica circa 10 giorni prima del parto, che negli animali in buona salute si riduce dopo l'evento; nelle "vacche-problema" invece i livelli lipidici nel fegato rimangono elevati, sfociando poi in disordini metabolici.• Una distribuzione di livelli piuttosto alti di Vit. E (1000 U.I. al giorno) nelle asciutte consente di ottenere basse conte di cellule somatiche, di diminuire i rischi di mastite e di aumentare i livelli di questa vitamina nel sangue del feto e nel colostro.La capacità immunitaria nella bovina che partorisce è messa a dura prova dai cambiamenti ormonali, dalla pervietà del tratto riproduttivo e dai rischi d'infezioni mastitiche: l' integrazione della razione con vitamine e microelementi (zinco, rame e selenio) può contribuire a potenziare le difese.• L'ipocalcemia (livelli ematici totali di calcio inferiori a 8 mg./dl.) è un problema che può arrivare ad interessare il 75% delle vacche ad alta produzione, con conseguente insorgere di altre manifestazioni patologiche (ritenzione placentare, insufficiente involuzione uterina, dislocazione dell'abomaso). L'introduzione nella razione di transizione dei sali anionici può aiutare a minimizzare questo problema.

Per soddisfare i fabbisogni della bovina in questa delicata fase, è possibile seguire alcune strategie alimentari, per es.• somministrare 3-5 kg. dell'unifeed impiegato nel gruppo delle fresche, in aggiunta alla dose di fieno impiegato nelle prime fasi di asciutta e di almeno 1kg. del mix di cereali (concentrato) usato nel periodo di immediato preparto• distribuire la razione impiegata in asciutta, più 2-3 kg. del concentrato usato nell'immediato preparto

Strategie per il postparto

I primi 60 giorni dopo il parto sono estremamente critici, sia per quanto riguarda la salute della bovina, sia per la resa economica della lattazione. Vi sono numerosi aspetti che vanno controllati con attenzione:• il picco massimo di produzione si verifica a 50-60 giorni dal partola carenza massima d'energia si verifica nelle prime tre settimane dal parto• la chetosi tende a presentarsi in 1/3 delle bovine ad alta produzione e può evolvere in steatosi epatica, se non opportunamente curata; tuttavia è l'acidosi il principale disordine metabolico nelle vacche fresche• le bovine sane dal punto di vista riproduttivo presentano un ciclo estrale a 15-25 giorni dal parto• le condizioni di energia nelle prime tre settimane dal parto influenzano lo sviluppo follicolare

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60 giorni dopo

Assunzione di S.S.Se il programma alimentare durante le due fasi dell'asciutta è ottimale, la bovina fresca di parto passerà senza problemi alla razione delle fresche; bisogna però tener conto che l'assunzione di sostanza secca si riduce del 18% circa nel postparto (vedi tabella 1), per cui la concentrazione della razione deve necessariamente tener conto di questo fatto. Sarà perciò indispensabile mettere in atto tutte le strategie possibili per aumentare l'assunzione di S.S., quali l' utilizzo dell'unifeed, l'uso di foraggi di altissima qualità, l'ottimizzazione delle funzioni ruminali tramite il corretto bilanciamento tra proteina degradabile e carboidrati non strutturali, la distribuzione ad libitum in mangiatoia di alimento sempre fresco ed appetibile, così che le bovine siano indotte a mangiare frequentemente (soprattutto in condizioni di stress termico).

Tab.1:assunzione prevista di S.S. in manze di primo parto e vacche di parti successivi

Settimane Primipare Vacche adulte

Kg.S.S./capo/giorno

1 14 16

2 16 19

3 17 21

4 18 22

5 19 24

Perdita di condizione corporea: come detto, la bovina presenta bilancio energetico negativo nel postparto, poiché i fabbisogni per la produzione di latte eccedono l'effettiva assunzione d'energia. La perdita di peso dovrebbe essere limitata ad un massimo di 1 kg. al giorno (60-90 kg. di perdita di peso in totale oppure di 1-1.5 punti di B.C.S.), e le condizioni di ritorno a bilancio energetico positivo dovrebbero ripresentarsi a 60 giorni dal parto. A seguito, sono elencati alcuni consigli per minimizzare i problemi derivanti dalla condizione corporea:• le bovine non devono essere né troppo grasse (BCS>4),né troppo magre (BCS<3): nel primo caso infatti l'appetito e l'assunzione di S.S. possono essere compromessi, mentre l'animale troppo scarno non ha le necessarie riserve energetiche corporee. In generale , 1 kg. di grasso corporeo mobilizzato può sostenere sotto il profilo energetico una produzione di latte di 7 kg. circa.• l'aggiunta alla razione di 0.45-0.7 kg. di grasso può supplire alla carenza energetica, tuttavia tali integrazioni hanno sempre un effetto negativo sull'assunzione di S.S.• la bovina che mobilizza riserve corporee necessita di integrazioni proteiche per bilanciare l'energia liberata dalla perdita di peso. Tali fonti proteiche dovrebbero essere derivate dall'alimentazione come proteina by-pass a profilo aminoacidico bilanciato.

Dinamiche ruminali: Le papille ruminali tendono ad allungarsi progressivamente con l'uso di razioni contenenti carboidrati ad alta fermentescibilità (cereali). Se il cambiamento di razione è troppo repentino, sono possibili rischi di acidosi, soprattutto nelle manze di primo parto. Risulta utile l'impiego dell'unifeed, ed è necessario mantenere alti livelli di ADF ed NDF in razione, aggiungendo 2-3 kg. di fieno /capo ed evitando gli eccessi di carboidrati fermentescibili. Un pH ruminale inferiore a 6 riduce la crescita microbica e la digestione della fibra, influenzando negativamente il bilancio tra gli acidi grassi volatili ruminali. Si ricorda inoltre che l'acidosi può provocare anche laminiti e fenomeni di alterazione dello zoccolo.

Impiego di additivi nella razione di transizione e del postparto: se economicamente giustificato, l'uso di additivi nella razione può essere di beneficio sotto vari punti di vista. Si ricorda che l'uso dei sali anionici è da riservare agli animali in asciutta, mentre i tamponi sono idonei per quelli in lattazione. (per ulteriori informazioni , cfr. l'articolo sugli additivi, nella

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sezione "alimentazione")

La niacina (6 - 12 gr./capo/giorno) minimizza i rischi di chetosi nel postparto, stimolando al contempo l'assunzione di S.S. Gli animali che di preferenza vanno trattati con niacina sono quelli con precedenti manifestazioni di chetosi, le vacche con produzioni maggiori di 35Kg. e quelle con B.C.S. in asciutta maggiore di 3

Il glicole propilenico, somministrato una settimana prima del parto in dosi di 0.25 - 0.5 kg /giorno, riduce i rischi di steatosi epatica, aumenta i livelli ematici di glucosio e minimizza l'insorgenza della chetosi.

I sali anionici, inclusi in razione in dosi di 200-250 gr. di miscela (es. cloruro di calcio, cloruro di ammonio e magnesio solfato) aiutano a prevenire condizioni di ipocalcemia e collasso puerperale. Il livello in calcio della razione dovrebbe essere aumentato fino a 180 gr. di calcio totale, con un minimo di 50 gr. proveniente d fonti inorganiche. Bisogna tenere presente che tali sali sono di sapore sgradevole e richiedono perciò un a gestione attenta della razione.

Le colture di Lieviti vengono usate per stabilizzare l'ambiente ruminale ed il suo pH e per stimolare i batteri utilizzatori di fibra. (dosi: da 10 a 120 gr. al giorno).A differenza dei tamponi, non influenzano il bilancio anionico/cationico della razione e sono inoltre di sapore gradito agli animali.

I tamponi sono in grado di stabilizzare il pH ruminale su valori pari a 6 - 6.3 Sesquicarbonato e bicarbonato di sodio sono quelli più comunemente usati, in dosi che variano da 120 a 250 gr. /giorno, oppure in combinazione con l'ossido di magnesio (alcalinizzante), in ragione di 2-3 parti di bicarbonato su una di ossido. Possono essere utilmente impiegati in tutti i casi di inappetenza, scarsa assunzione di S.S., eccessiva umidità della razione, forte impiego di silomais o di cereali.

Cliccando qui si aprirà la pagina con le tabelle dei fabbisogni che NRC (revisione 2001) prevede per le bovine ad alta produzione.

 

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Gli additivi nell'alimentazione della vacca da latte

Gli additivi sono utili mezzi per risolvere problemi specifici, ma è bene ricordare che non possono in alcun caso correggere una razione non bilanciata: vanno perciò considerati solo come un sistema per migliorare le performances

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degli animali. Alcuni benefici derivanti dall'uso d'additivi sono i seguenti:• Aumento della produzione di latte• Aumento del consumo di sostanza secca• Miglioramento del tenore in grasso del latte• Aumento della digeribilità della dieta e della produzione di proteina microbica• Miglioramento della resistenza alle malattie• Riduzione dell'incidenza di disordini metabolici

Passiamo ora in rassegna gli additivi più comunemente usati nell'alimentazione della bovina da latte.

Tamponi ed agenti alcalinizzanti

Queste due categorie d'additivi, probabilmente le più usate in allevamento, vengono impiegate per neutralizzare l' eccessiva acidità che può derivare dalla digestione e dai relativi processi metabolici d' utilizzo degli alimenti. La differenza tra un tampone ed un agente alcalinizzante sta nel meccanismo d' azione: nel primo caso l' acidità viene neutralizzata senza cambiamenti rilevanti di pH, mentre nel caso degli alcalinizzanti il pH tende ad aumentare.Tra i tamponi ricordiamo il bicarbonato di sodio e di potassio, il carbonato di magnesio e di calcio e la bentonite, mentre il carbonato di sodio, di potassio e l'ossido di magnesio rientrano tra gli alcalinizzanti.Questi additivi dovrebbero essere usati nei seguenti casi:• Quando si verificano condizioni di disappetenza, soprattutto nelle prime fasi di lattazione• Quando in razione il contenuto di sostanza secca da foraggio è inferiore al 45%• Quando gli insilati rappresentano il "piatto forte" della razione• Quando la razione è carente in fibra strutturata• Quando il concentrato è distribuito in forti quantità solo due volte al giorno• Quando la percentuale di grasso nel latte risulti troppo bassa• Quando la temperatura è elevata

Particolarmente interessante è l'uso associato di bicarbonato di sodio ed ossido di magnesio: il primo svolge la sua azione nel rumine impedendo un eccessivo abbassamento del pH, mentre il secondo agisce in ambito intestinale, potenziando l'effetto dell'enzima amilasi e migliorando perciò la digestione dell' amido. Le dosi d'impiego per i singoli componenti sono le seguenti:Bicarbonato di sodio:circa 200 gr. capo/giorno Ossido di magnesio: 50 - 90 gr. capo/giornoUsandoli associati, il rapporto da osservare è di 2-3 parti di bicarbonato a 1 parte d'ossidoIl carbonato di potassio è un ottimo tampone in grado inoltre di supplire all'aumentato fabbisogno di questo minerale durante i periodi caldi; da tener presente però il costo più elevato rispetto al bicarbonato di sodio a parità di potere tamponante. La dose d'impiego raccomandata è di circa 450 gr. capo/giornoLa bentonite sodica appartiene al gruppo delle argille: pur non avendo effettiva azione tampone, se ne consiglia l'uso perché rallenta la velocità di transito degli alimenti nel rumine, consentendone così un miglior utilizzo da parte dei microrganismi ruminali;inoltre, grazie alle sue capacità adsorbenti, è in grado di legare sostanze nocive come ad es. le micotossine (per maggiori approfondimenti vedi lo specifico articolo su Mondolatte) Le dosi d'impiego raccomandate sono pari a circa 450 gr. capo/ giorno o 20 gr. per kg. di concentrato nei mangimi.Se c'è necessità di tamponare la razione aggiungendo al contempo un agente legante, è possibile impiegare la seguente miscela in percentuale del mix di cereali:

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bicarbonato di sodio 1.0 - 1.5 %ossido di magnesio 0.5 %bentonite 2 -3 %

La tabella che segue indica alcune situazioni d'allevamento in cui è opportuno inserire questi additivi in razione

Situazione Descrizione

Forti distribuzioni di silomais Superiori a 50% di sostanza secca da foraggio

Alimenti molto umidi Umidità della razione maggiore al 50%

Basso contenuto in fibra ADF della razione inferiore a 19%NDF da foraggio inferiore a 21 %

Foraggi molto trinciati Fieno trinciato a meno di 1.5 cm.

Forti distribuzioni di concentrato Quantità superiori a 3 kg. per distribuzione

Razioni ad alta % d'amido Contenuto in cereali superiore al 55% della sostanza secca della razione

Stress da caldo Temperatura superiore a 26° C

Scarso tenore in grasso del latte Diversi animali al di sotto di un punto rispetto alla media di stalla

La tabella seguente riassume le dosi d'impiego per alcuni tamponi tra i più comunemente usati

Tampone Gr. al giorno

Bicarbonato di sodio 110 -225

Sesquicarbonato di sodio 160 - 340

Ossido di magnesio 50 - 90

Carbonato di potassio 270 - 410

Bentonite sodica 450 - 700

 Una domanda spesso posta all'alimentarista che segue la stalla riguarda la convenienza economica dell'uso dei tamponi; uno studio dell'università dell'Illinois ha sviluppato la tabella che segue per fornire qualche suggerimento immediato di valutazione

Situazione Punteggio  

Alto contenuto d'insilati + 1 punto Per un aumento del 10 % rispetto ad una base di S.S. da insilati del 50 %

Umidità della razione + 1 punto Per un aumento di 1 % d' umidità rispetto ad una base superiore al 50 % dell'intera razione

Scarsità di fibra + 1 punto Per una diminuzione di 1 % rispetto ad una base di ADF minore di 19 %

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Aggiunta di fieno - 1 punto Ad ogni ½ kg. di fieno consumato

Lunghezza di taglio dei foraggi

+ 1 punto Ad ogni diminuzione di 0.3 cm. rispetto ad una lunghezza di taglio inferiore a 1.3 cm

Distribuzione di concentrato

+ 1 punto Ad ogni ½ kg. di concentrato eccedente una distribuzione di 3 kg. per pasto

Forma fisica del concentrato

+ 5 punti Per un pellettato o un cereale finemente macinato

Umidità dei cereali + 1 puntoPer un aumento di un punto percentuale rispetto ad una base di umidità superiore al 30%

Livello di carboidrati non fibrosi nella razione

+ 1 puntoPer un aumento di 1 % rispetto ad una base superiore al 40%

Variazioni del tenore lipidico del latte

+ 1 punto Per un calo di un punto pieno percentuale rispetto alla media di stalla

Stress da caldo + 1 punto Per ogni aumento di 1 ° C rispetto ad una base di 27 ° C

Calo d'assunzione di S.S.

+ 1 punto Ad ogni ½ kg. di calo d'assunzione

Se la somma dei punteggi ricavati dalla tabella raggiunge i 15 - 20 punti, è opportuno prendere in considerazione l'introduzione di tamponi in razione.

Vitamine rumino protette

Beta caroteneSi tratta di un precursore biologico della Vitamina A, naturalmente presente nei foraggi, che viene perso in modo significativo durante lo stoccaggio degli stessi. Questa sostanza è implicata nei processi di risposta immunitaria, poiché potenzia la capacità di fagocitosi dei neutrofili; è inoltre in grado di migliorare le performances riproduttive e viene impiegato come preventivo delle mastiti. Le dosi d'impiego sono nell' ordine di 200 - 300 mg. / giorno, essenzialmente nella fase di prima lattazione e nelle situazioni di probabile sviluppo delle mastiti.

BiotinaDetta anche vitamina H, appartiene al gruppo delle vitamine B; viene normalmente sintetizzata dai batteri ruminali, tuttavia se le razioni sono ad alta percentuale di concentrato, la sintesi di questa vitamina è ridotta a causa dell'ambiente acido e dello spostamento dei microorganismi ruminali verso ceppi produttori di altre sostanze.La biotina è implicata nei processi di formazione dello zoccolo ed è perciò importante per la sua integrità, risulta inoltre utile nelle forti lattifere e quando si usino razioni molto spinte come apporto di concentrati. Le dosi d' impiego variano da 10 mg. In asciutta fino a 20 mg. capo / giorno durante l' intera lattazione.

ColinaViene classificata di solito come una Vitamina del gruppo B, anche se non gioca il tipico ruolo delle vitamine; è utile in quanto contrasta il manifestarsi della steatosi e migliora la mobilizzazione dei grassi corporei: perciò viene distribuita essenzialmente nelle due settimane precedenti il parto alle vacche a rischio di chetosi o che presentino perdite di peso anomale. Purtroppo il rumine è in grado d'inattivare per l'85-95 % la colina non protetta; per tale

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motivo viene protetta per incapsulazione o rivestimento con grassi. Le dosi d'impiego per la colina rumino-protetta sono di 30 gr. capo / giorno.

NiacinaDetta anche nicotinamide o acido nicotinico, riveste un ruolo importantissimo quale coenzima nel metabolismo di carboidrati, lipidi e proteine. I batteri ruminali sono in grado generalmente di produrne quantità sufficienti, eccetto che nella prima fase di lattazione, la più indicata affinché la somministrazione abbia effetti positivi sulle bovine. Nelle razioni ad alto contenuto lipidico, essa è utile nel contrastare il conseguente calo della percentuale proteica del latte; è inoltre efficace come preventivo della chetosi, poiché rallenta la mobilizzazione delle riserve corporee, consentendo alla bovina di utilizzarle più efficacemente. La niacina stimola l'ingestione d'alimenti e la produzione lattea; la somministrazione va fatta nelle due settimane che precedono il parto, continuando fino al raggiungimento della massima ingestione di sostanza secca. Le dosi d'impiego comunemente indicate in preparto e come preventivo della chetosi sono di 6 gr. /capo / giorno, mentre per animali in postparto o con chetosi clinica è opportuno arrivare a 12 gr. /capo /giorno.

Minerali

Zinco metioninaCome dice il nome stesso, si tratta di un composto di Zinco e Metionina, resistente alla degradazione ruminale, particolarmente utile per indurire lo zoccolo e prevenire le patologie podali; migliora inoltre la risposta immunitaria degli animali ed abbassa il numero di cellule somatiche. Per le dosi d'impiego, è opportuno attenersi alle raccomandazioni dei prodotti in commercio.

ZolfoViene impiegato dai microrganismi ruminali per la sintesi di aminoacidi essenziali; la supplementazione della razione con questo elemento è importante soprattutto se c'è un'elevata percentuale di azoto solubile. La carenza di zolfo può portare ad una scarsità di proteina; la probabilità che ciò si verifichi aumenta con l'uso di razioni a base di silomais od insilati d'erba di scarsa qualità. Le dosi d'impiego raccomandate variano da 1 a 15 gr. ogni 100 kg. di peso vivo e sono da intendersi per capo/ giorno.

Sali anioniciRappresentati da cloruri e solfati, sono in grado di "acidificare" la razione, aumentando così l'assorbimento del calcio presente negli alimenti e la sua mobilizzazione dalle ossa, prevenendo così l' ipocalcemia che si verifica nel post - parto ed i collassi puerperali, nonché i disordini metabolici legati a queste patologie (dislocazione dell' abomaso, ritenzioni placentari, mastiti, chetosi ecc.) Vanno distribuiti solo alle asciutte ed unicamente nelle situazioni in cui sia impossibile usare foraggi a basso contenuto di calcio e potassio. Essendo di sapore sgradevole, vanno miscelati con prodotti più appetibili e pellettati; la loro efficacia viene testata misurando il pH urinario. Buoni risultati nella prevenzione dell'ipocalcemia sono stati ottenuti con dosi di 100 gr. di cloruro d'ammonio e 100 gr. di solfato di magnesio nelle ultime 2-3 settimane prima del parto.

Aminoacidi protetti

Purtroppo è molto difficile quantificare i fabbisogni in aminoacidi essenziali nella bovina da latte; d'altra parte i microrganismi ruminali sono in grado di fornire all'animale tutto gli aminoacidi necessari, almeno nei casi di bassa produzione di latte. Tuttavia per le bovine fortemente produttive si rende

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spesso necessaria la somministrazione di due aminoacidi che risultano essere limitanti per la sintesi di proteina del latte: la metionina e la lisina. La prima in particolare può aumentare la digestione della fibra, migliorare i livelli d'acetato e il rapporto acetato/propionato nel rumine. I benefici maggiori si ottengono in animali nelle prime fasi di lattazione, soprattutto se alimentati con razioni scarse in fibra e con alto contenuto in cereali, oppure con razioni a basso tenore proteico. Data la facilità con cui questi aminoacidi vengono degradati nel rumine, l'industria li commercializza incapsulati in polimeri o miscele di acidi grassi saturi e minerali; la metionina in particolar modo può venire somministrata in forma liquida come idrossianalogo: la dose d'impiego è di circa- 30 gr. capo / giorno.

Glicole monopropilenico

Questo prodotto viene utilmente impiegato nel trattamento delle forti lattifere per la prevenzione della chetosi (vedi lo specifico articolo su Mondolatte); il glicole passa inalterato attraverso la parete del rumine, giungendo al fegato dove viene metabolizzato fino a glucosio, sfruttato poi a fini energetici. Le dosi d'impiego consigliate sono di circa 250 gr. capo/giorno, potendo arrivare fino a 500 gr. nelle prime fasi di lattazione e diminuendo poi il dosaggio all'aumento d' ingestione di sostanza secca.

Probiotici

Si tratta di preparazioni concentrate di microrganismi capaci di replicarsi sul terreno di crescita su cui vengono presentate; sono un gruppo estremamente eterogeneo, in grado di aumentare le performances delle bovine tramite vari meccanismi d'azione: ripristino della microflora intestinale, produzione di enzimi e vitamine, riduzione del pH. Un'ulteriore distinzione li divide in tre categorie: • Probiotici: microorganismi vivi e selezionati (batteri e lieviti) in grado di migliorare le performances degli animali• Pre-probiotici: sostanze che favoriscono la moltiplicazione e l' attività della microflora digestiva, ad es.lisati proteici, lieviti morti, frutto-galatto-oligosaccaridi• Parabiotici: sostanze che aumentano la protezione della mucosa intestinale e le difese immunitarie, come ad es.le glutamine, i manno-oligo saccaridi e gli estratti di lieviti

Il prodotto più comunemente usato nell'alimentazione delle bovine è dato dai lieviti.

LievitiLe colture di lieviti manifestano la loro azione aumentando la quantità di batteri ruminali, stimolando la crescita dei cellulosolitici: aumenta così la digeribilità della fibra e la produzione d'aminoacidi da parte dei microrganismi ruminali, con riflessi positivi sul contenuto in grasso e proteina del latte prodotto. I lieviti in sé apportano proteine d'alta qualità, vitamine del gruppo B e vitamina D e sono in grado di tamponare il pH ruminale aumentando l 'attività dei batteri utilizzatori di fibra. Oltre a ciò alcune ricerche indicano che un lievito in particolare, il Saccharomyces cerevisiae, è capace di stimolare i microrganismi ruminali utilizzatori di acido lattico, con effetti preventivi rispetto all'insorgenza di acidosi. Il periodo migliore per l'impiego dei lieviti va dalle due settimane che precedono il parto fino alle quattro successive allo stesso, momento in cui risulta indispensabile stabilizzare la flora ruminale per consentire alla bovina di superare senza problemi il passaggio a diete ad alto contenuto energetico; i lieviti sono inoltre d'uso comune nelle razioni

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distribuite nei momenti di stress da caldo, quando è importante mantenere livelli sufficienti d' ingestione di sostanza secca e favorire la digeribilità della fibra. Le dosi d'impiego variano da 10 a 120 gr. secondo la concentrazione della coltura di lieviti.

Estratti fungini

Si tratta di sostanze non contenenti cellule vive che sono ottenute per fermentazione; prodotte per lo più da Aspergillus oryzae, vengono commercializzate sotto forma di estratti secchi su un base veicolante (es. crusca). Questi estratti sono in grado di stimolare i batteri utilizzatori di fibra, stabilizzando il pH ruminale, la loro somministrazione è raccomandata durante l'uso di razioni ad alto contenuto di cereali, in condizioni di basso pH ruminale e nei periodi di caldo; le dosi d' impiego sono di 3 gr. capo / giorno.

La seguente tabella riassume le dosi d' impiego per gli additivi trattati, ad eccezione dei tamponi, per i quali cfr. la tabella alla fine del relativo paragrafo.

Prodotto Dose d'impiego capo / giorno

Beta - carotene 200 - 300 mg.

Biotina 10 - 20 mg.

Colina 30 gr.

Niacina 6 - 12 gr.

Zinco - metionina Come consigliato dal produttore

Zolfo 1 - 15 gr. ogni 100 kg. P.V.

Sali anionici 100 gr. cloruro ammonio + 100 gr. solfato magnesio

Metionina idrossianalogo 30 gr.

Glicole propilenico 250 - 500 gr.

Lieviti 10 - 120 gr.

Aspergillus oryzae 3 gr.

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Gestione ed alimentazione della vacca asciutta

Un adeguato programma d'alimentazione e gestione della vacca asciutta dovrebbe prendere in considerazione i seguenti punti fondamentali:

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· il mantenimento di una condizione corporea ottimale· la preparazione della mammella alla lattazione seguente· la preparazione del tratto digestivo al tipo di razione distribuita in lattazione· lo sviluppo adeguato del feto

Oltre a ciò è necessario cercare di minimizzare quanto più possibile eventuali problemi digestivi e metabolici, tenendo presente che le scelte fatte in questo periodo influenzeranno l'esito della lattazione successiva ed, in ultima analisi, la carriera produttiva dell'animale.La lunghezza ottimale di questo periodo varia da animale ad animale, tuttavia dovrebbe essere compreso tra i 45 ed i 60 giorni; periodi inferiori non consentono una corretta involuzione e recupero della mammella, mentre durate maggiori espongono al rischio di ottenere animali in condizioni corporee esagerate al momento del parto. Idealmente è opportuno concedere un'asciutta di 60 giorni alle manze di primo parto, mentre per le vacche con più lattazioni sono sufficienti 50-55 giorni; in pratica un buon compromesso è rappresentato dall'avere circa il 70-80 % di tutti i periodi dell'asciutta con una lunghezza compresa tra i 45 ed i 70 giorniUn altro problema da prendere in considerazione è il livello produttivo cui asciugare l'animale: molti allevatori tendono, infatti, soprattutto per le forti lattifere, a prolungare quanto più possibile la mungitura, compromettendo così la carriera della bovina; questo livello coincide invece con la produzione giornaliera cui il ricavo derivato dal latte stesso è uguale ai costi di mungitura più quelli derivanti da una razione eccedente i fabbisogni di mantenimento e gravidanza.Esaminiamo ora i principali periodi in cui suddividere l'asciutta

A°) L'ultima fase di lattazione e l'asciugatura: la preparazione della bovina alla lattazione successiva deve iniziare già nell'ultima fase della lattazione in corso; infatti alcuni lavori di ricercatori americani dimostrano che l'efficienza di conversione dell'energia proveniente dall'alimentazione in riserve corporee è migliore negli animali in lattazione ( 61.6% ) che non per le asciutte ( 48.3% ) : è perciò economicamente più conveniente minimizzare la perdita di peso che si verifica durante la fase post-parto nel periodo di fine lattazione precedente piuttosto che durante l'asciutta. Questo accorgimento può essere effettuato adeguando l'energia assunta con la razione in rapporto alla condizione corporea dell' animale nell' ultima fase di lattazione: le vacche più magre dovrebbero ricevere supplementi di cereali, quelle più " in carne" devono essere spostate in un gruppo a bassa produzione, razionato con minor energia: questa pratica ne riduce anche la produzione, favorendo l'imminente asciugatura: infatti i problemi maggiori si presentano proprio per le forti lattifere, in quanto il latte che continuamente si forma in mammella preme sulle pareti della stessa, indebolendone anche l' apparato sospensore; in questi casi un rapido e drastico calo dell'energia somministrata con la razione si rivela utile nel risolvere il problema. Una volta decisa l'asciugatura, la vacca va trattata immediatamente dopo l'ultima mungitura con adeguato antibiotico e sistemata in un recinto dove l'alimentazione sarà a base d'acqua e fieno grossolano per una settimana; durante questo periodo l'animale va osservato da vicino: se si notano problemi mammari, è bene ripetere il trattamento con antibiotici dopo una nuova mungitura quanto più possibile completa.La terapia antibiotica in asciutta è particolarmente efficace nella cura delle mastiti ambientali subcliniche sostenute da Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus, non altrettanto per quelle da Escherichia coli; la miglior protezione contro questo tipo di microorganismi patogeni è offerta da un ambiente pulito ed asciutto.

B°) Il primo periodo dell'asciutta: a questo punto è necessario mettere in atto delle strategie che consentano - di mantenere un livello di fibra corretto

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- di limitare l'assunzione d'energia- di evitare un eccesso di proteina grezza- di soddisfare le richieste minerali e vitaminichePer quanto riguarda il livello di fibra è bene includere in razione una parte di fieno grossolano pari o superiore all'1% del peso dell'animale, limitando al contempo la somministrazione di silomais al 2% del peso vivo.L'assunzione quotidiana di sostanza secca da foraggio dovrebbe essere il più possibile vicina all'1.6-1.8% del peso vivo e la sostanza secca della razione nel suo complesso (tra foraggi e concentrati) dovrebbe provenire per l'80-88% da foraggi.A meno che l'animale non sia eccessivamente magro, è bene limitare l' assunzione di concentrati a dosi non superiori a .5 % del peso vivo, è meglio comunque evitare un' eccessiva trinciatura del foraggio o dell' insilato, non scendendo sotto ad 1.5 cm di lunghezza: questo consentirà di ristabilire una normale epitelizzazione della mucosa e di mantenere le normali funzioni ruminali.La razione delle asciutte in questa fase non deve contenere più dell''1% del peso vivo in leguminose; queste foraggiere, contenenti in genere alti livelli di proteina, calcio e potassio, possono favorire l'insorgere di febbre puerperale, edema mammario, chetosi e sindrome della vacca a terra.Per quanto riguarda la qualità dei foraggi, è utile tener presente che la vacca asciutta richiede alti livelli di fibra (dal 35 al 50% in NDF e più !!) ed è perciò opportuno utilizzare i foraggi più grossolani, riservando i migliori alle fresche.Per quanto attiene l'assunzione d'energia, troppo spesso si dimentica che il fabbisogno della bovina in questo periodo è di sole 0.60 UFL (in % della sostanza secca) e che perciò l'animale tende ad ingrassare molto facilmente, d'altra parte l'asciutta è il momento meno adatto per mettere a regime le bovine troppo in carne: recenti ricerche indicano che questa pratica può condurre a steatosi epatica; è opportuno quindi non fornire una quota di cereali se l'animale consuma 8-10 kg di silomais, quando il foraggio è di buona qualità o se le vacche arrivano all'asciutta troppo in forma; è bene invece fornire alle bovine un supplemento di cereali pari a 1.5-2.5 kg quando il foraggio è di qualità scadente, oppure se gli animali sono molto magri o ancora se le condizioni climatiche siano di freddo intenso.Come regola generale si deve comunque tener presente che la bovina non deve né guadagnare né perdere peso e va quindi controllata attentamente per adeguare la concentrazione energetica della razione alla condizione corporea.I livelli di proteina grezza nella prima fase dell'asciutta dovrebbero essere pari al 12-13% della sostanza secca; è importante notare che un eccesso proteico favorisce un'elevata incidenza di disordini metabolici e problemi al parto; d'altra parte anche razioni troppo scarse in proteina (9-10%) sono da evitarsi per l'impatto negativo sull'appetito dell'animale dopo il parto e per una probabile depressione del livello proteico del latte.Per quanto riguarda le richieste minerali e vitaminiche bisogna tener presente che lo scopo principale dell' alimentazione minerale in questo periodo deve essere quello di evitare livelli di calcio eccessivi, mantenendo il rapporto calcio/fosforo tra 2.5 : 1 e 1.5 : 1 e questo al fine di prevenire un collasso puerperale ; l' esigenza in calcio della vacca asciutta è pari a .39 ( addirittura arrivando a .20 - .30 se questo problema ricorre con frequenza nella mandria ) per stabilizzarsi su questi livelli di calcio, è opportuno che le leguminose non costituiscano più del 50% della sostanza secca da foraggio; nel caso il fieno di leguminose fosse impiegato in quantitativi inferiori a 2.3 kg, si possono raggiungere adeguati livelli minerali impiegando fosfato bicalcico o una delle tante miscele commerciali con rapporto calcio/fosforo pari a 1 : 1 - il comune sale pastorizio dovrebbe essere a disposizione in ragione di circa 700gr/ capo/ giorno, tranne che nel caso di elevata incidenza di edema mammario, cosa che impone una somministrazione ridotta e controllata dello stesso. Anche iodio cobalto e selenio dovrebbero essere fornite alle asciutte; in particolare un'iniezione di selenio e vitamina E a 21 giorni circa dal parto può essere utile nel ridurre l'incidenza di ritenzioni placentari.Un cenno infine sulla % di potassio presente in razione, riservando una

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trattazione più ampia nella successiva parte dedicata alla fase di transizione: in questi ultimi anni le pratiche di fertilizzazione hanno aumentato il contenuto di questo minerale nei foraggi, creando problemi non, indifferenti per la proprietà del potassio di legarsi al magnesio, inibendo la mobilizzazione di calcio dalle ossa; se il potassio presente in razione è superiore all'1.5% è bene prendere in considerazione l'idea di somministrare sali anionici nella successiva fase di transizione al parto.Per quanto riguarda i fabbisogni vitaminici, è opportuno attenersi a queste indicazioni:-vit. A —›100.000 UI / giorno-vit. D —› 30.000 UI / giorno-vit. E —› 400-600 UI / giorno

C°) Fase di transizione al parto: questo periodo va dalle ultime tre settimane prima del parto alle tre successive allo stesso. Com'è facile capire , si tratta di una fase estremamente delicata, durante la quale la bovina subisce una notevole trasformazione dal punto di vista metabolico: l'assunzione di sostanza secca infatti tende a decrescere di un 20-30% nei quindici giorni che precedono il parto e l' animale mobilizza le riserve corporee per coprire i fabbisogni energetici, con pericolo di chetosi e accumulo di grassi nel fegato ( steatosi ) Per evitare questi problemi è perciò necessario innalzare il livello energetico della razione, essenzialmente aumentando la quota di cereali somministrati : non si deve infatti dimenticare che la vacca deve adattarsi al passaggio da una razione dove prevalgono alte percentuali di fibra ad una dove prevalgono gli amidi e che questo cambiamento deve avvenire gradualmente, dando tempo alla popolazione microbica di virare verso un aumento dei batteri produttori di propionato ed alle papille ruminali di allungarsi , garantendone la piena efficienza in vista della successiva lattazione. Ulteriori vantaggi di quest'aumento del livello energetico sono dati dallo stimolo all'assunzione di sostanza secca dopo il parto ed una maggior produzione di latte. Per quanto detto, è opportuno somministrare alla bovina una quota di cereali pari allo 0. 5 - 0. 7% del peso vivo (adeguando la quantità alla condizione corporea)In alternativa è possibile usare glicole propilenico in dosi di 150 - 200 gr. / capo / giorno, iniziando una settimana prima del parto e continuando per i sette - dieci giorni successivi , mentre sembra sconsigliabile l'aggiunta di grassi che - pur aumentando la concentrazione energetica - diminuiscono l'appetibilità della razione e di conseguenza l'assunzione di sostanza secca.Il livello proteico della razione è stato rivisto da recenti ricerche che consigliano di attenersi ad un 14 -15% di proteina grezza: tali valori sembrano infatti incidere positivamente sulla riduzione di disordini metabolici e della perdita di peso post-parto, nonché sulla assunzione di sostanza secca.E'molto importante fornire contemporaneamente fonti di carboidrati disponibili a livello ruminale per consentire ai microorganismi di assicurare alla bovina la quota preponderante di proteina metabolizzabile. Anche la qualità proteica gioca un ruolo notevole nell'evitare disordini metabolici: è meglio minimizzare gli eccessi in proteina solubile e degradabile in questo periodo limitandosi a questi valori:proteina solubile —›30-35% PGproteina degradabile —›60-65% PGSe le bovine si presentano troppo grasse o vi siano stati in precedenza frequenti casi di chetosi, può essere utile l'aggiunta di niacina in quantità pari a 6 gr. / capo / giornoAnche i livelli di vit. E devono essere portati ad almeno 2000 UI / giorno, comprendendosi in tale valore sia la quota da supplementazioni quanto ciò che la bovina può assumere con i foraggi.Per quanto riguarda i minerali, solo su parere del nutrizionista o del veterinario e se la percentuale di potassio in razione lo giustifica, è opportuno l'impiego di sali anionici: recenti ricerche indicano che questi composti somministrati nelle tre settimane precedenti il parto diminuiscono l'incidenza di collasso puerperale, ritenzione placentare, dislocazione dell'abomaso,

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edema mammario e problemi al parto, aumentando nel contempo l'assunzione di sostanza secca, la produzione di latte e la percentuale di concepimenti; come già accennato, l'impiego di questi mix di sali deve avvenire in collaborazione con il tecnico che segue l'alimentazione, poiché si richiedono alcuni aggiustamenti nel livello di calcio da somministrare, inoltre questi composti sono di sapore sgradevole e vanno perciò miscelati ad opportune quantità di farine di cereali.Gli altri minerali vanno dosati in modo che la razione si avvicini ai seguenti livelli:· calcio 1 - 1.2 %· fosforo 0.4 - 0.45 %· magnesio 0.4 %· sodio 0.1 %· potassio 0.7 - 1.5 %· zolfo 0.3 - 0.4 %· cloruro < 1%

D°) La vacca fresca: la bovina deve poter partorire in un ambiente idoneo, pulito e confortevole, separata dal resto della mandria ed è indispensabile che possa bere acqua calda immediatamente dopo il parto: è dimostrato che questo piccolo accorgimento stimola l' appetito ed aiuta l'espulsione della placenta.La razione da somministrare alle fresche deve essere da subito quella riservata al gruppo ad alta produzione, con l'aggiunta di circa 2kg. di fieno della miglior qualità: ogni ritardo nella somministrazione di questo tipo di razione lascia l'animale - di per sé già stressato dal parto - in condizioni di scarsa energia ed insufficiente quantità di calcio, aumentando il pericolo di chetosi e collasso puerperale. Se il programma nutrizionale di transizione è stato seguito correttamente, la bovina dovrebbe già avere un appetito adeguato che le consenta di assumere la razione di alta produzione senza problemi...comunque l' assunzione di sostanza secca è prioritaria e bisogna assicurarla fornendo i migliori alimenti a disposizione in allevamento ed un ambiente ottimale.

La lista che segue, distinta in tre fasi, può risultare utile per attuare un buon programma di transizione:

1°) le settimane precedenti il parto:- alimentare e trattare gli animali come un gruppo a sé stante- assicurare una concentrazione energetica adatta a coprire i fabbisogni della bovina- assicurare un'adeguata assunzione di fibra da foraggi- iniziare il programma alimentare di transizione, non superando la quota di cereali che deve essere pari a 0.5 - 0.8 % del peso vivo dell'animale- fornire un ambiente pulito e confortevole, evitando possibili fonti di stress

2°) i giorni a cavallo del parto:- essere disponibile per osservare (ed eventualmente aiutare) lo svolgimento del parto- valutare le condizioni di salute dell'animale, decidendo i necessari controlli veterinari post- parto- passare subito alla razione ad alta produzione: se si usa l'unifeed fornire almeno il 45% della sostanza secca da foraggio; se invece l'alimentazione è tradizionale assicurarsi che l'animale consumi la quota suddetta- partire con un livello alimentare pari a 0.75% del peso vivo, aumentandolo lentamente (circa 250 -450 gr. al giorno)- mantenere un'elevata concentrazione energetica della razione somministrando almeno 200 gr./ giorno di glicole propilenico- distribuire la razione almeno due volte al giorno, mantenendo la disponibilità continua di foraggi della miglior qualità

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3°) le settimane successive al parto:- ottimizzare l'assunzione di sostanza secca, tenendo presente che l'effettiva assunzione è inferiore del 20 - 30 % rispetto a quella calcolata con le classiche formule previsionali- se l'alimentazione è tradizionale aumentare la quota di concentrati in ragione del consumo di foraggio; uno squilibrio in questo senso può influenzare negativamente l'assunzione di fibra e le fermentazioni ruminali - mantenere livelli adeguati di fibra e di sostanza secca- adottare razioni fortemente concentrate dal punto di vista energetico e nutrizionale

Fabbisogni nutritivi Prima fase Seconda fase

Sostanza Secca 1,9 - 2,1% del Peso Vivo 1,6 - 1,8% del Peso Vivo

UFL (capo/giorno) 6,5 - 7,3 7,5 - 8,2

Proteina Grezza (% S.S.) 12 - 13 13 - 15

Prot. solubile (% P.G.) 40 -50 35 - 45

Prot. degradabile (%P.G.) 65 - 70 62 - 67

Prot. non degradabile (%P.G.) 30 - 35 33 - 38

NDF (% S.S.) 45 - 55 35 - 45

Calcio (% S.S.) 0,5 - 0,6 0,6 - 0,7

Fosforo (% S.S.) 0,25 - 0,3 0,3 - 0,35

Magnesio (% S.S.) 0,20 - 0,25 0,25 - 0,30

Potassio (% S.S.) 0,8 - <1,520 0,8 - <1,2

Zolfo (% S.S.) 0,16 - 0,15 0,20 - 0,25

Sodio (% S.S.) 0,10 - 0,25 0,10 - 0,15

Cloro (% S.S.) 0,20 - 0,50 0,20 - 0,25

Ferro (ppm) 40 - 80 40 - 50

Manganese (ppm) 44 44

Zinco (ppm) 70 - 80 70 - 80

Rame (ppm) 11 - 25 11 - 25

Selenio (ppm) 0,30 0,30

Cobalto (ppm) 0,20 0,20

Iodio (ppm) 0,50 0,50

Vit. A (UI/giorno) 100.000 150.000

Vit. D (UI/giorno) 20.000 30.000

Vit. E (UI/giorno) 400 - 600 fino a 2000

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Come aumentare l'assunzione di sostanza secca

Gli allevatori si chiedono spesso perché sia così importante massimizzare l'assunzione di Sostanza Secca (S.S.): più alimento la bovina ingerisce, più aumentano le opportunità di sfruttare il suo potenziale di produzione lattea. Il grafico che segue chiarisce questo concetto: 

I valori impiegati nel grafico sono quelli teorici per una bovina di 650 kg. di peso vivo; dando per scontato che la razione sia bilanciata per quanto concerne l'energia, si può facilmente capire come i primi 6 kg. di S.S. che l'animale ingerisce siano impiegati per il solo mantenimento, mentre ogni kg. in più consumato fornisce gli elementi necessari alla produzione di 2,5 kg. di latte.Si può quindi affermare la correttezza di quest'equazione:

PIU'ALIMENTO = PIU' LATTE

L'assunzione di S.S. è anche importante ai fini del mantenimento di una corretta condizione corporea (utile alla riproduzione) e di uno stato generale e ruminale di perfetta efficienza.L'assunzione di S.S. viene quindi calcolata per determinare la quantità di cibo assunta dalla bovina e si può definire come la quantità d'alimenti che la vacca consuma dopo che è stata tolta tutta l'acqua dal cibo contenente umidità (es. insilati). Questa definizione rende possibile un confronto nell'assunzione d'alimenti in razioni di diverso tipo (es. una razione a fieno con una ad insilato). L'assunzione di S.S. è regolata da diversi fattori di tipo alimentare e gestionale che passeremo in rassegna separatamente.

Fattori alimentari

Qualità della fibra: è intuitivo che foraggi d'alta qualità consentono alla bovina di assumere un'elevata quantità di sostanze nutritive ad ogni boccone, soddisfando in tal modo le sue esigenze; se il fieno viene raccolto a stadio di maturazione troppo avanzata sarà incrostato di lignina, rallentando così la

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velocità di passaggio dei vari alimenti nel rumine e deprimendo perciò l'assunzione di S. S.In effetti, la relazione tra NDF ed assunzione di S.S. è piuttosto complessa, poiché la quantità d'alimenti ingeriti dipende anche dalla produzione lattea della bovina; bisogna pertanto cercare di massimizzare l'assunzione di foraggio, soddisfando al contempo le richieste energetiche necessarie a sostenere la produzione lattea e gli eventuali cambiamenti di P.V. Oltre al grado di maturazione ed al tipo d'essenza foraggiera (graminacee o leguminose) è assai importante anche la forma fisica di presentazione: un foraggio finemente macinato non ha lo stesso "effetto ingombro" della fibra lunga, quindi non è adatto a stimolare la ruminazione e l'insalivazione, con possibili rischi d'acidosi, scarsa degradazione della fibra ed - in ultima analisi - calo d'assunzione di S.S.La tabella che segue dimostra come varia l'assunzione di fibra durante l'intero ciclo produttivo per animali di prima e di seconda o successive lattazioni e può essere utile per una prima stima della possibile assunzione massima di fibra tale da non penalizzare l'ingestione di S.S. 

Settimane di lattazione Numero di lattazioni

PrimaSeconda e successive

% del P.V. / giorno

2 0.78 0.87

4 0.91 1.00

8 1.05 1.17

12 1.12 1.26

16 1.14 1.29

20 1.14 1.30

24 1.13 1.27

28 1.11 1.24

32 1.08 1.19

36 1.04 1.13

40 1.01 1.08

44 0.97 1.01

Asciutta 0.92 0.96

 Contenuto d'umidità della razione: esiste una correlazione negativa tra assunzione di S.S. e percentuale d'umidità della razione, dovuta probabilmente allo sviluppo d'odori e sapori anomali negli insilati troppo umidi e perciò mal fermentati (si ricorda che il pH ottimale per il silomais deve essere minore o pari a 4.2, mentre per le leguminose deve essere minore di 5.0). Per avere un buon livello d'ingestione, la quota di sostanza secca totale della razione deve essere compresa tra il 50 ed il 75%.

Rapporto foraggi/concentrati: l'assunzione di S.S. aumenta all'aumentare dei concentrati presenti in razione, indipendentemente dalle caratteristiche quali/quantitative del foraggio presente; è però altrettanto vero che un'eccessiva distribuzione di concentrati predispone la bovina a rischi di disordini metabolici.

Grassatura della razione. spesso si verifica un calo nell'assunzione di S.S. quando i grassi sostituiscono in parte i carboidrati come fonte energetica; quest'effetto negativo è dovuto alla diminuzione delle fermentazioni ruminali e della digeribilità della fibra, con susseguente aumento dell'"effetto ingombro" nel rumine e calo della velocità di transito degli alimenti.

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Fattori gestionali

A) di tipo alimentareOgni animale presenta comportamenti alimentari variabili, tuttavia le bovine in generale si alimentano 4-6 volte nella giornata, con un numero simile di piccoli "fuoripasto". Quest'andamento e la quantità d'alimento assunta ogni volta che gli animali si recano alla mangiatoia è influenzato da:- disponibilità d'alimenti: gli animali dovrebbero avere libero accesso alle corsie d'alimentazione per almeno 20 ore il giorno.- frequenza ed orario di distribuzione: le bovine sono animali particolarmente abitudinari, quindi è opportuno seguire orari di mungitura e distribuzione della foraggiata quanto più possibile regolari; inoltre bisogna tener conto del fatto che la maggior parte di esse cercano alimento ed acqua immediatamente dopo le operazioni di mungitura: è proprio questo il momento adatto per riempire la corsia d'alimentazione con la foraggiata fresca.Questo sistema aiuta anche a prevenire problemi mammari, poiché la bovina è invogliata a restare in piedi proprio nel periodo in cui il canale del capezzolo - ancora aperto dopo la mungitura - è più esposto alle invasioni microbiche. Aumentare la frequenza di distribuzione è molto importante per le bovine che ricevono razioni con forti quantità di concentrato, poiché con un maggior numero di pasti sono favorite condizioni di stabilità del pH ruminale ed evitato i pericoli d'acidosi.- sequenza d'alimentazione: con la distribuzione di circa un kg. di fieno lungo in corsia prima della foraggiata si ottiene la formazione di un "tappeto" di fibra nel rumine, capace di favorire fermentazioni ruminali migliori.- appetibilità della razione:gli alimenti freschi, esenti da odori e sapori sgradevoli derivanti da fermentazioni anomale, stimolano l'assunzione di S.S. Per questo motivo è bene inoltre pulire scrupolosamente le mangiatoie da ogni residuo, soprattutto durante la stagione calda.- disponibilità d'acqua: gli abbeveratoi devono essere puliti e posizionati in modo tale da poter essere facilmente accessibili alle bovine; l'acqua sporca o in qualche modo contaminata limita fortemente l'assunzione di S.S.

B) di tipo gestionaleper favorire l'assunzione di sostanza secca, è necessario che l'area destinata all'alimentazione sia correttamente progettata; le bovine dovrebbero mangiare in una posizione naturale (quella di pascolo), in un ambiente chiaro e luminoso. Almeno il fondo della corsia d'alimentazione dovrebbe essere costituito da una superficie liscia, possibilmente piastrellata e di facile pulizia. Ogni bovina dovrebbe poter disporre di uno spazio alla mangiatoia di almeno 60-75 cm. e gli abbeveratoi dovrebbero essere posizionati in un raggio di 15 metri dalle corsie d'alimentazione; i passaggi per gli animali devono essere sufficientemente larghi e non scivolosi.Per evitare i fenomeni di dominanza sociale delle vacche più anziane sulle manze, sarebbe inoltre opportuno prevedere ricoveri o almeno corsie d'alimentazione separate per queste ultime. Se nella stalla sono presenti più gruppi di produzione, è bene costituirli secondo i fabbisogni nutritivi degli animali presenti, per ottenere assunzioni omogenee di S.S. all'interno di ciascun gruppo. 

Page 22: tutto il processo

 Come si può osservare dal grafico, il picco d'assunzione di S.S. per le primipare è ritardato rispetto a quello delle pluripare, ma presenta anche una maggior persistenza; questo fatto (oltre ai succitati fenomeni di gerarchia sociale) giustifica la necessità di raggruppamenti distinti tra vacche di primo parto e quelle con più parti. Infine un ultimo importante accenno alla relazione tra assunzione di S.S. e clima: le bovine iniziano a risentire dello stress da caldo dai 26°C, o in condizioni d'elevata umidità relativa, riducendo perciò l'assunzione di S.S.; è logico quindi adottare provvedimenti che servano a mantenere fresca la stalla, distribuendo almeno il 60% della foraggiata nelle ore serali più fresche.( ulteriori approfondimenti vedi l'articolo: "I mesi caldi e la bovina da latte")

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Manze: concetti di crescita

E' economicamente più efficiente promuovere la crescita delle manze nel periodo in cui l'animale vi è predisposto fisiologicamente e metabolicamente, piuttosto che attendere il periodo successivo al parto, quando la manza è già in lattazione e deve impiegare i nutrienti forniti dalla razione in altro modo

oltre che per la crescita.Le manze Frisone raggiungono la piena maturità a 60 mesi: accelerarne la

crescita ci consente di avere animali che sono al 65% della loro taglia definitiva al momento dell'inseminazione ed all'80-85% della loro statura definitiva al

parto.Un concetto introdotto di recente è quello di crescita volumetrica, che mette in

relazione l'effettiva crescita con uno sviluppo volumetrico interno, piuttosto che con l'aumento di peso: è intuitivo che una maggior capacità volumetrica

consente una maggior ingestione di sostanza secca, cosa positiva in termini di produzione.

Obiettivo: far avvenire il I° parto con una misura dell'80-85% della taglia adulta, Ciò significa che una bovina con un peso definitivo di 680 kg. dovrebbe

pesare circa 545-580 kg. nei 7-14 gg. successivi al parto. (ideale 565 kg.)Obiettivo: B.C.S. compreso tra 3 e 3.5 (max. 3.75); manze che partoriscono con

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BCS >4 sono soggette a dislocazione dell'abomaso e chetosi, nonché ad un calo nell'ingestione di s.s. più brusco il giorno precedente al parto.

Obiettivo: un'altezza al garrese di 140 cm. al momento del parto; è stata osservata una correlazione positiva tra produzione di latte e misure corporee,

particolarmente l'altezza al garrese.Obiettivo: un'età al primo parto di 24-26 mesi.

Tab. A: fasi di crescita della manza

Età Periodo P.V. (kg.) Incremento medio(gr./giorno)

Altezza garrese (cm.)

6 mesi Crescita 200 750-800 107

12 mesi Pubertà 280-290 600 120

15-16 mesi Fecondazione 370-380 750 130

22-23 mesi Pre-parto 540-550 750-800 138

24-25 mesi Parto 590-600 800 140

Affinché le manze partoriscano a circa 24 mesi e con una taglia corretta, è necessario che la loro alimentazione sia particolarmente curata e bilanciata: è importante infatti notare che una manza non mangia di più per compensare le deficienze della razione e quindi questa deve essere corretta, soprattutto per

quanto riguarda la proteina.Un buon programma d'allevamento per le manze è perciò quello che permette

di crescerle con mezzi economici per raggiungere un peso ed una taglia adeguati, per partorire ad una giusta età e per produrre buoni quantitativi di latte in prima lattazione. La manza dovrebbe acquisire circa 8 etti di peso al

giorno nel periodo prepubere, evitando gli eccessi che influenzano negativamente lo sviluppo del tessuto ghiandolare mammario a scapito di

un'eccessiva infiltrazione di grasso, inutile ai fini produttivi.Il mezzo per raggiungere una giusta acquisizione quotidiana in peso è un

corretto programma alimentare, che deve prendere in considerazione le analisi dei foraggi, lo sviluppo di una razione equilibrata ed il controllo della crescita

della bovina.Un fattore estremamente importante da tener presente è che il

raggiungimento della pubertà nella manza è dato dalla taglia e non dall'età dell'animale stesso: in altre parole l'animale raggiunge la pubertà quando arriva al 40-50 % del peso adulto; per le Frisone alla prima fecondazione si

raccomanda un peso di circa 360 kg. ed un'altezza al garrese di 130 cm.La tabella B riassume i principali obiettivi da perseguire nell'allevamento di

manze di varie razze.

Tab. B

Parametro Bruna / Frisona Jersey

Mortalità % <5 % < 5%

Età allo svezzamento (mesi) 4-6 4-6

Aumento medio in peso /giorno

0.7-0.8 etti 0.5-0.6 etti

Aumento massimo in peso 0.8 etti 0.6 etti

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/giorno

Età media alla I° fecondazione

14 mesi 12 mesi

Peso alla I° fecondazione 360 kg. 250 kg.

Altezza al garrese alla I° fec 130 cm 110 cm.

N° servizi per concepimento 1.5-1.8 1.5-1.8

Età al I° parto 24-26 mesi 22-24 mesi

Peso dopo il I° parto 5 70 kg. 360 kg.

Produzione latte al picco 32 kg. 25 kg.

 

Pro e contro di una taglia errata delle manze: manze troppo piccole e leggere arriveranno al parto molto tempo dopo gli ideali 24 mesi d'età, col risultato di

una minor produzione di latte e maggiori problemi al momento del parto stesso.

D'altra parte, animali ipercondizionati e perciò troppo grassi hanno gli stessi problemi: studi dello NRC affermano che un eccesso d'energia in razione al

momento della fecondazione provoca un rallentamento del grado di sviluppo del tessuto mammario, riducendo pertanto il nnumero di cellule alveolari

responsabili della sintesi del latte.

Monitoraggio della crescita: consente d'individuare gli errori - soprattutto alimentari - che danno luogo ad animali iper o ipocondizionati. Fieni ed insilati

di scarsa qualità sono responsabili in genere di una crescita stentata dei giovani animali, problema accresciuto da mancanza/squilibrio di supplementi di

cereali e da ricoveri inadeguati (eccessivo affollamento, causa di patologie respiratorie subcliniche).

Alle volte può verificarsi una situazione per cui gli animali, pur essendo di peso adeguato, presentano una crescita scheletrica ridotta: la causa è da ricercarsi

in una razione basata solo su fieni e d insilati di scarsa qualità, poveri in quanto ai livelli di proteine, minerali e vitamine; la soluzione consiste nel

fornire 1-2 kg. di cereali al giorno, bilanciando la razione per quanto riguarda i parametri suddetti.

Crescita compensativa: questo termine descrive un periodo d'accentuata crescita susseguente ad uno sviluppo stentato nelle prime fasi di vita della

manza. Questo particolare tipo di crescita consente alla bovina di raggiungere la giusta taglia alla prima fecondazione, e può essere ottenuto con razioni

particolarmente alte in energia e proteina, aumentando l'assunzione in sostanza secca di un 10-20% rispetto alla norma.

BCS nella manza: una condizione corporea di 3.5 - 3.7 viene considerata ideale per il parto a 22 - 24 mesi; al momento della I° fecondazione dovrebbe essere

attorno a 3.La seguente figura mostra le variazioni ideali di punteggio in base all'età delle

manze

 

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Alimentazione della manza da 6 mesi al parto

 

Tab. C: fabbisogni delle manze da 6 mesi d'età al parto (24 mesi)

Mesi P.V.(kg.) Periodo s.s.(kg.) UFL UFL/s.s. P.G.(gr.) P.G./s.s.

 

6 200 Crescita 4.8 3.7 0.77 760 15.8

12 280 Pubertà 6.5 4.7 0.73 850 13

15 370 Fecondazione 8.7 6.3 0.72 1060 12.2

20 500 Gravidanza 11 7.7 0.70 1300 12

22 540 Pre-parto 11.5 8 0.70 1380 12

24 600 Parto 12.5 8.7 0.70 1500 12

Come già detto, la manza dovrebbe essere fecondata per la prima volta quando ha raggiunto una taglia pari a circa il 60-65 % di quella adulta; per

ottenere questo risultato, l'incremento medio giornaliero (variabile in relazione alla razza) dovrebbe essere di:

700 - 800 g/giorno nel periodo dallo svezzamento al 7° mese di vita 500 - 600 g/giorno nel periodo dall'8° mese al 12° mese (fase puberale)

700 - 800 g/giorno nel periodo dal 13° mese al 1° parto (24° mesi)

A sei mesi, il rumine della giovane bovina è ormai totalmente sviluppato e funzionante, per cui è possibile l'impiego di foraggi, a cui affiancare un

concentrato (cereali): la quota di quest' ultimo è in ragione della qualità del

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foraggio; la seguente tabella fornisce indicazioni di massima sulla quantità di concentrato da distribuire, in relazione alla qualità dei foraggi impiegati.

Tab. D

Età (mesi) Quantità concentrato (kg.)

Qualità foraggio:ottima - buona Qualità foraggio: discreta - scadente

6 -9 0.9 - 1.8 2.2 - 2.7

9 -12 0.5 - 1.4 1.8 - 3.6

12 - 22 0 - 0.9 1.4 - 3.6

Dallo svezzamento al 9° mese d'età è preferibile l'uso di foraggi e fieni di leguminose, che paiono avere un effetto importante sullo sviluppo delle papille

ruminali e sull'accrescimento del rumine, bisogna ricordare però che la loro qualità varia molto in funzione dello stadio di maturità della pianta (più è

avanzato, minore è il valore nutritivo) Dal 9° al 12° mese d'età è possibile la distribuzione di foraggi di graminacee,

eventualmente integrati da concentrati fibrosi a buon contenuto proteico (interessante p. es. la medica disidratata). Tuttavia, a meno che il foraggio non

sia realmente molto scadente, difficilmente sarà necessario superare i 2 Kg/capo/giorno di cereali per la quota giornaliera di concentrato, bilanciata sul

foraggio di base.Il silomais è un ottimo alimento: apporta notevole energia e può essere

impiegato senza eccessive restrizioni nel periodo che va dai 6 ai 9 mesi d'età.Dai 9 ai 12 mesi, rispettando i quantitativi di concentrato indicati nella tabella

D, è possibile l'impiego di un buon fieno di prato, evitando invece quello di leguminose, il cui uso non è economicamente giustificabile in una fase di vita della bovina in cui il fabbisogno proteico è contenuto (pari a circa il 12 % della

s.s. della razione).Dai 12 mesi d'età al parto, se la razione prevede l'uso di silomais, è importante

limitarlo al 2 % del P.V. per evitare un eccessivo ingrassamento.

Nel caso si utilizzi l'unifeed, la miscelata del carro non deve superare il 30-40% della s.s. giornaliera e il resto della razione deve essere costituito foraggi -

freschi o conservati - a volontà.A titolo d'esempio, segue una formulazione per unifeed, adatta per manze e manzette (escluse le manzette nel periodo immediatamente successivo allo

svezzamento e le manze agli ultimi due mesi di gravidanza)

silomais 30 % fieno polifita 45 %

paglia 10 % concentrato 15 %

Nella composizione del mangime il maggior costituente è rappresentato dalla crusca (50 %), seguito da farina d'estrazione di soia (33 %), mais (7 %), ed orzo

(3 %); gli altri componenti (integratori, carbonato di calcio, cloruro di sodio) portano la formulazione a 100, assicurando al contempo la presenza

d'importanti elementi necessari al corretto sviluppo della manza.Le manzette risultano un po' penalizzate con l'uso di questa razione, poiché i loro fabbisogni richiederebbero una maggior concentrazione energetica, ma

qui torna utile ricordare che la crescita compensativa prima descritta permetterà a questa categoria di recuperare il modesto scompenso energetico;

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d'altra parte una miscelata così formulata evita di far ingrassare le manze sopra l'anno d'età.

Le manze in età prepubere necessitano inoltre di un'integrazione proteica (anche by-pass) che può essere ottenuta aggiungendo all'unifeed di cui sopra

circa 0.5-0.8 kg. di nucleo proteico al 26% di P.G. sulla s.s. Tale aggiunta andrà fatta dopo che la miscelata è stata distribuita alle manze oltre l'anno.

Effetti dell'alimentazione sulla riproduzione e la salute della manzaLe carenze d'energia, proteina, fosforo, iodio, manganese, zinco, Vit. A, sale ed

acqua sono quelle che più frequentemente si riscontrano nelle razioni destinate alle manze in crescita; vediamone perciò gli effetti in dettaglio.

Energia: fieni di scarsa qualità e/o mancata distribuzione di concentrati a base di cereali possono facilmente causare mancanza d'energia in razione,

frequentemente indicata dalla presenza di calori silenti. Per ottenere una buona efficienza riproduttiva, le manze devono guadagnare peso al momento

della prima fecondazione, ricordando però di evitare l'eccessivo ingrassamento, causa di chetosi e predisposizione ad infezioni uterine e

mammarie.

Proteina: i principali sintomi di una mancanza in tal senso sono rappresentati da disappetenza, crescita lenta, mancanza di segni evidenti di calore. Una giusta quota proteica permette lo sviluppo ed il corretto funzionamento

dell'apparato riproduttore e garantisce il soddisfacimento dei fabbisogni della manza gravida nel momento di sviluppo del feto. Spesso nelle manze che

ricevono razioni povere in proteina (ed energia) si nota la presenza d'ovaie ed utero non adeguatamente sviluppati, con ritardi nel raggiungimento della

maturità sessuale.

Fosforo: la sua carenza porta a disappetenza o alterazioni del gusto, ritardata maturità sessuale ed assenza di segni indicativi dell'estro. Il fosforo favorisce il

trasferimento dell'energia nei tessuti corporei e la razione dovrebbe contenerne almeno 0.26-0.30 % Poiché spesso il contenuto in fosforo dei

foraggi è piuttosto scarso, la razione andrebbe integrata con fosfato bicalcico o integratori minerali; anche i mix di cereali possono essere una buona fonte di

tale elemento.

Iodio: una sua mancanza causa calori silenti, ridotto grado di concepimento e ritenzione di placenta.

Manganese: i sintomi più frequenti della mancanza di quest'elemento sono dati da irregolarità o assenza del ciclo estrale, riassorbimento del feto, scarso

sviluppo mammario, mancanza di produzione lattea, nascita di vitelli deboli o poco vitali.

Zinco: la sua carenza comporta un abbassamento del livello di fertilità ed una predisposizione alle infezioni.

Vit. A: le manze esposte a carenza di Vit. A possono abortire nella seconda metà di gravidanza e presentare calori silenti e riduzione del grado di fertilità.

Se la carenza è marcata, ci può essere anche mancanza d'ovulazione e incapacità delle uova fecondate ad impiantarsi nell'utero. C'è inoltre una

maggior predisposizione alle infezioni (cosa accertata anche per la carenza di Vit. E).

Sodio: disappetenza, crescita stentata e scarsa produzione di latte, sono sintomi di una prolungata mancanza di sale, comune soprattutto in animali

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alimentati con foraggi di cattiva qualità: in tal caso può essere utile un'integrazione della razione con cloruro di sodio (15-30 gr.).

Acqua: da tenere presente che il consumo d'acqua dipende da vari fattori, non solo ambientali (temperatura elevata), ma anche alimentari ( aumentando il

sodio e la proteina sulla s.s. cresce il fabbisogno per questo elemento).

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Fabbisogni e qualità dell'acqua per la bovina

L'assunzione d'acqua e la sua qualità sono due aspetti nutrizionali spesso ingiustamente trascurati, eppure importantissimi, considerando non solo che l'acqua è il costituente più abbondante (86 - 88%) del latte prodotto, ma anche il ruolo che essa ha in tutte le reazioni biochimiche. L'acqua agisce infatti come un naturale "lubrifcante" aiutando l'assunzione degli alimenti, favorisce l'escrezione di sostanze nocive, svolge un ruolo regolatore della temperatura ed è infine un "tampone" fisiologico per il mantenimento del pH ottimale nei fluidi corporei. Bisogna inoltre considerare che le riserve organiche dirette a cui la bovina può attingere sono praticamente nulle: una perdita di acqua superiore al 10% porta l'animale a morte, ma anche un'assunzione ridotta provoca immediati cali nella produzione lattea e nell'intake alimentare, come evidenziato dal grafico seguente:

Andamento della produzione di latte e dell'assunzione di sostanza secca in bovine private dell'acqua per tre giorni (lattazioni comprese fra i 20 ed i 60 giorni)

I fabbisogni quantitativi d'acqua sono la risultante di vari fattori, tra cui:• Caratteristiche intrinseche della bovina (età, peso, fase di lattazione o di asciutta, livello

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produttivo, attività fisica, stato di salute)• Composizione della razione e suo contenuto in umidità• Fattori climatico-ambientali, come ad es. la temperatura, l'umidità e la velocità dell'aria• Le tecniche gestionali ed il tipo di stabulazioneIn media il fabbisogno idrico della vacca in lattazione è pari a 4-4.5 litri per kg. di sostanza secca, ingerita con una temperatura pari a 15 °C; tale quantità va maggiorata del 30% se la temperatura è di 20 °C, del 50% se la temperatura è di 25 °C, per arrivare ad un aumento del 100% se la temperatura è pari a 30 °C, situazione assai frequente nei nostri climi durante la stagione estiva.Una stima più precisa può essere fatta applicando il seguente calcolo, che tiene conto di alcuni dei parametri più sopra elencati:

FABBISOGNO ACQUA (litri/giorno)

= 15.99

  + 1.58 x assunzione S.S. (kg/giorno)

  + 0.9 x produzione latte (kg/giorno)

  + 0.05 x assunzione Na (g/giorno)

  +1.2 x media settimanale temperatura minima (°C)

La tabella che segue mostra i fabbisogni indicativi d'acqua per bovine di età diverse, stimati a temperature ambientali tra 10-27 °C:

Età della bovina Fabbisogni idrici (litri/capo/giorno)

   Vitella 1 mese 5 - 7.5

Vitella 3 mesi 8 - 11

Vitella 6 mesi 14 - 18

Manza 15-18 mesi 22 - 27

Manza 18-24 mesi 27 - 37

Vacca in lattaz. (13.5 kg.latte/giorno) 55 - 65

Vacca in lattaz. (23 kg.latte/giorno) 91 - 102

Vacca in lattaz. (36 kg.latte/giorno) 144 - 159

Vacca in lattaz. (45 kg.latte/giorno) 182 - 197

Vacca asciutta 34 - 49Fonte: Grant mod. 1993

Per quanto riguarda le vitelle, durante il periodo di alimentazione liquida, esse ricevono normalmente acqua sotto forma di sostituti del latte, tuttavia alcune ricerche hanno dimostrato che in questa fase alimentare l'aggiunta di acqua oltre a quella già presente nella normale dieta accelera il momento del passaggio ad un'alimentazione solida e consente di raggiungere pesi maggiori in minor tempo.

Come detto in precedenza, i fabbisogni idrici vengono variamente influenzati dai seguenti fattori:• Composizione della razione e suo contenuto di umidità: logicamente il consumo di foraggi freschi ed acquosi riduce il fabbisogno di liquido della bovina, che cresce con l'aumentare della concentrazione salina e proteica della razione. Se la bovina consuma razioni ad alto contenuto fibroso, il fabbisogno idrico aumenta a causa delle perdita d'acqua con le deiezioni. In caso di unifeed, si è rivelata vantaggiosa l'aggiunta di acqua fino ad un'umidità totale del 55-57% della razione, al fine di aumentare l'assunzione idrica da parte della bovina e di ridurne le possibilità di scelta tra i vari componenti della foraggiata.• Temperatura ambientale: essendo l'acqua l'elemento che maggiormente contribuisce a

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dissipare la sensazione di calore, si intuisce facilmente che maggiore è la temperatura, maggiore è il consumo idrico, come evidenziato anche dalla tabella che segue; a parità di temperatura, conta anche il livello di umidità ambientale: i consumi idrici calano con l'aumento dell'umidità.

Caratteristiche bovina Temperatura ambientale

-21 °C 32 °C

Litri acqua al giorno

In lattaz. P.V. 450 kg. prod. latte 20 litri /giorno 97 114

In lattaz. P.V. 650 kg. prod. latte 30 litri /giorno 119 137Fonte: Smith 2002

•Temperatura dell'acqua d'abbeverata: le bovine preferiscono acqua a 20-22 °C circa; in periodi di elevato stress termico, gli animali più produttivi possono beneficiare di una refrigerazione dell'acqua fino a 10-15 °C, tuttavia è opportuno in questo caso valutare il rapporto costo/beneficio di tale operazione.•Stato fisiologico e sanitario: negli animali giovani l'accrescimento di peso e la formazione di nuovi tessuti implicano un aumento del fabbisogno idrico; del pari, il consumo di acqua aumenta in caso di lattazione ( ed è tanto maggiore quanto più latte viene prodotto) e di gravidanza. Per quanto riguarda lo stato sanitario della bovina, è noto per esempio che le esigenze idriche aumentano in caso di febbre e/o diarrea.• Qualità dell'acqua di abbeverata: data l'importanza che i parametri qualitativi (salinità, durezza, pH, inquinamento da sostanze chimiche o da alghe e batteri, ecc.) esercitano sul consumo volontario, si riserva a questo argomento una trattazione più approfondita nella seconda parte dell'articolo.

Comportamento di abbeverata nelle bovine

Ovviamente è necessario fornire agli animali acqua pulita e qualitativamente adeguata più volte al giorno, prendendo in considerazione il comportamento spontaneo delle vacche. Questi animali infatti tendono ad abbeverarsi più volte al giorno, quasi sempre in concomitanza con la distribuzione della razione o dopo le varie operazioni di mungitura (il 30-50 % circa del fabbisogno quotidiano viene assunto entro un'ora dalla mungitura), e la quantità di abbeverata varia tra 4 e 18 litri al minuto. Alcuni studi americani indicano che la lunghezza della vasca di abbeverata dovrebbe garantire almeno 6 cm. per ogni animale, per un totale ottimale di 60-80 cm. La profondità dell'acqua dovrebbe essere di circa 8 cm, per consentire alla bovina di immergere il musello di almeno 2.5-5 cm. In sostanza, dovrebbe essere presente una vasca di dimensioni 90x60 cm. ogni 20 capi. I punti di abbeverata dovrebbero essere distribuiti in prossimità (15 metri circa) della corsia di alimentazione, ed all'uscita della sala di mungitura. Le bovine sono in grado di abbeverarsi tanto dalla vasca quanto dall'abbeveratoio a bacinella, ma in quest'ultimo caso esse bevono più lentamente, per cui il tempo trascorso ad abbeverarsi sarà più lungo e più frequente: è bene assicurarsi che il flusso di acqua alle bacinelle sia costante e sufficiente, per evitare cali di produzione. Per le manze è bene mettere a disposizione un punto di abbeverata ogni 20 capi, con almeno due abbeveratoi per gruppo.

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Qualità dell'acqua

 

A differenza di quanto accade per l'acqua impiegata per l'uomo, i cui parametri qualitativi sono fissati dalla legge n. 31 del 2/02/2001, per gli animali non è stata stabilita ufficialmente alcuna normativa in tal senso; tuttavia studi e ricerche hanno individuato per la qualità dell'acqua alcuni intervalli entro cui è opportuno attenersi, onde evitare problemi produttivi e sanitari per i bovini.Le principali caratteristiche da prendere in considerazione per stabilire la qualità delle fonti idriche sono illustrate nella seguente tabella:

Chimiche Batteriologiche Fisiche

pH Carica batterica totale o C.B.T. Colore

Durezza Presenza/assenza Coliformi Odore

Solidi disciolti totali (TDS) - Limpidezza

Nitrati e nitriti - -

Solfati e cloro - -Fonte: Harris e VanHorn, 1992

 

Parametri chimici

• pH: è la misura l'acidità o l'alcalinità di un mezzo; a pH 7 l'acqua è neutra, al di sotto di tale valore è acida, al di sopra alcalina. Gli specifici effetti di questo parametro sull'assunzione volontaria, la salute e la produzione degli animali non sono ancora pienamente conosciuti, ma l'intervallo più idoneo per questa misura è compreso tra 6.5 ed 8.5. Valori minori o maggiori possono comportare turbe metaboliche e della fertilità, diarrea, scarso indice di conversione della razione e ridotta assunzione di acqua ed alimenti; in caso di acque fortemente acide si possono manifestare inoltre fenomeni di demineralizzazione e fragilità ossea, nonché turbe digestive ed urinarie.• Durezza: espressa solitamente come la somma dei sali di calcio e magnesio presenti nell'acqua, questo parametro classifica le acque come "dure" o "dolci", in base alla concentrazione espressa in milligrammi di sali per litro, come risulta dalla tabella:

Durezza (mg/lt) Definizione dell'acqua

0-60 Dolce

61-120 Moderata

121-180 Dura

>180 Molto duraFonte: Harris e VanHorn, 1992

La durezza dell'acqua non rappresenta di per sé un grosso problema per il bestiame, ma acque

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troppo dure possono essere scarsamente digeribili e soprattutto provocare incrostazioni di calcare all'interno delle tubature, con compromissione di un regolare flusso di liquido agli impianti di abbeverata. Un sistema per risolvere questo problema è dato dall'impiego di addolcitori, funzionanti sul principio dello scambio ionico in ciclo sodico, tuttavia questo rimedio, aumentando il sodio presente nell'acqua , può causare qualche inconveniente quando la salinità sia già naturalmente alta.• Solidi totali disciolti o TDS: è la misura di tutti costituenti anionici (solfati, nitrati) e cationici (sodio, potassio, calcio e magnesio) disciolti nell'acqua e fornisce un utile strumento per individuare l'idoneità dell'acqua per il consumo da parte del bestiame. Per quanto riguarda l'acqua fresca, questa misura è equivalente alla salinità e viene espressa in mg/litro. La tabella che segue mostra i possibili intervalli di TDS ed i relativi effetti sugli animali:

TDS (mg/lt) Effetti sugli animali

0-1000 Ottima, nessun problema

1000-3000 Buona (nessuna influenza su salute e produzione, qualche caso di diarrea temporanea nei soggetti più giovani)

3000-5000 Sufficiente (soddisfacente, eccetto qualche caso di diarrea nei soggetti non abituati a berla)

5000-6000 Insufficiente (da usare solo per bovini adulti, evitando il consumo in animali gravidi, in produzione e per i vitelli)

7000-10000 Pericolosa (non idonea per l'abbeverata, i vitelli e gli animali gravidi ed in produzione ne risentono negativamente)

>10000 Inaccettabile (da evitare in ogni caso per possibili danni cerebrali) Fonte: Waldner e Looper, 2003, modificata

• Nitrati e nitriti: una moderata tossicosi da nitrati provoca turbe della fertilità, aborti, riduzione della crescita nel giovane bestiame, disturbi digestivi, ridotto impiego della vit.A e cali produttivi, tuttavia il reale pericolo deriva dal fatto che i nitrati vengono convertiti nell'organismo in nitriti, composti che riducono la capacità del sangue di trasportare ossigeno ai tessuti, provocando fenomeni di dispnea, difficoltà respiratorie, cianosi oculare e del musello, sangue di color cioccolato per la presenza di metaglobina. Da ricordare inoltre che gli effetti negativi dei nitrati presenti nell'acqua e nei foraggi si assommano. I limiti raccomandati nell'acqua di abbeverata (mg/lt) sono perciò i seguenti:

Nitrati Nitriti Utilizzo

0-44 10 Nessun problema

45-132 11-20 Nessun problema se la razione è bilanciata e bassa in nitrati

133-220 21-40 Problemi se il consumo è prolungato nel tempo

221-660 41-100 Pericolosa (non adatta all'abbeverata)

661-800 101-200 Alte probabilità di esiti mortali

>800 >200 Da evitare assolutamenteFonte: Waldner e Looper, 2003

• Solfati e cloro: per quanto riguarda i solfati, non sono certi i limiti di sicurezza nell'acqua, tuttavia è bene attenersi a valori inferiori a 500 ppm per i vitelli e a 1000 ppm per il bestiame adulto. I solfati presenti possono avere effetto lassativo, causando diarrea, cali nell'assunzione idrica e carenza di rame. Il cloro ed i cloruri non sono fonte di particolari problemi per l'acqua di abbeverata, ma possono conferire un sapore estremamente sgradevole, riducendo perciò il consumo volontario; inoltre va tenuto in considerazione anche il potere corrosivo di queste sostanze sui metalli.

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Parametri batteriologici

• Carica batterica totale: per le acque destinate al lavaggio degli impianti la C.B.T. deve essere relativamente bassa, per quelle di abbeverata il numero totale di batteri deve essere minore di 1.000.000/100 ml. • Presenza/assenza di Coliformi: un indicatore più adeguato del livello di inquinamento biologico è costituito dalla presenza o assenza di Coliformi totali e fecali e di Streptococchi fecali. Se presenti in eccesso, questi microorganismi possono provocare nelle bovine disturbi quali diarrea cronica o intermittente, disappetenza, chetosi, danni epatici, predisposizione alle infezioni. Per evitare problemi, è opportuno attenersi ai limiti esposti in tabella:

Specie batteriche Vitelli Bovini adulti

Coliformi totali (in 100ml) <1 <15

Coliformi fecali (in 100ml) <1 <10

Streptococchi fecali (in 100ml) <3 <30Fonte: Waldner e Looper, 1999

Il rapporto tra Coliformi fecali e Streptococchi fecali fornisce inoltre alcune indicazioni per risalire alla fonte d'inquinamento dell'acqua: se tale rapporto è inferiore ad 1, l'inquinamento non deriva da fonti umane, se è maggiore di 2.5 invece sì, se il rapporto è compreso tra i valori suddetti, siamo in presenza di inquinamento misto. Un altro pericolo per l'acqua di abbeverata è rappresentato dalla alghe azzurre, delle quali si sono identificate sei specie tossiche, capaci di svilupparsi soprattutto negli impianti con acque basse o esposte al sole. L'irradiazione con raggi ultravioletti può sterilizzare l'acqua più efficacemente rispetto al trattamento clorato (0.3-0.7 ppm), che desta qualche perplessità soprattutto per una possibile inibizione dell'attività dei batteri ruminali ed un diminuito utilizzo della fibra in razione.

 

Parametri fisici

Odore, sapore e limpidezza dell'acqua di abbeverata sono caratteristiche, talvolta anche di stima immediata, utili ad individuare l'entità di contaminazione dell'acqua di abbeverata; è comunque evidente che, al di là delle valutazioni organolettiche "in campo", è opportuno testare spesso in laboratorio la qualità dell'acqua, soprattutto in caso di sbalzi climatici come un lungo periodo di siccità o di piovosità elevata.

Le analisi da effettuare

I tests da eseguire per una prima valutazione comprendono la C.B.T., i Coliformi totali (eventuale identificazione dei ceppi coinvolti), il pH ed i Nitrati. In seguito, in base ai risultati ottenuti, può essere opportuno prendere in considerazione anche acidità totale, durezza,salinità, T.D.S. ferro,magnesio, rame, solfati e cloruri, presenza di metalli tossici (arsenico, cromo, mercurio, bario, fluoro, molibdeno, cadmio, piombo e stronzio) Infine sarà bene accertare la presenza di pesticidi, erbicidi e solventi di varia natura.La seguente tabella illustra il tipo di analisi da richiedere ed i possibili effetti dei vari elementi riscontrati sui bovini:

 

Analisi Problemi possibili

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pH Sotto 6.5, sopra 8.5

T.D.S. >3000mg/lt

Alcalinità totale >5000 ppm

Solfati >250 mg/lt possono avere effetti lassativi>1000 mg/lt probabile problema

Fluoro >1.5 ppm (chiazze dentarie)

Calcio >500 ppm

Magnesio >125 ppm (può essere lassativo)

Ferro >0.3 ppm (possibile sentirlo al gusto)

Manganese >0.05 ppm (possibile sentirlo al gusto)

Rame >0.5 ppm

Arsenico >0.20 ppm

Cadmio >0.05 ppm

Mercurio >0.01 ppm

Piombo >0.10 ppm

Nitrati (NO3) >100 ppm

Nitrati (N) >23 ppm

Nitriti (NO2) >4 ppm

Solfuro d'idrogeno >0.1 ppm (possibile sentirlo al gusto)

Cromo >1.0 ppm

Cobalto >1.0 ppm

Nickel >1.0 ppm

Bario >10 ppm

Zinco >25 ppm

Batteri totali/100 ml >1.000.000

Coliformi Totali/100 ml >1 per i vitelli; > 15 per le bovine

Coliformi Fecali/100 ml >1 per i vitelli; > 10 per le bovine

Streptococchi Fecali/100 ml >3 per i vitelli; > 30 per le bovine

Fonte: adattata da Ruppel (1994), Adams (1986), Grant, Beede (1992), Mancl (1995)

N.B. ppm = parti per milione, mg/lt = milligrammi per litro

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L'acidità nel latte destinato alla caseificazione ed i tracciati LDG

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L'attitudine del latte alla caseificazione è legata a numerosi fattori, dalla cui interazione dipendono in ultima analisi le caratteristiche tipiche di ogni formaggio. Un importante parametro che viene normalmente preso in considerazione è l'acidità del latte stesso. Risulta determinante una prima distinzione tra pH del latte ed il suo grado di acidità: mentre il pH è semplicemente la misura della concentrazione degli ioni idrogeno presente nella soluzione, il grado di acidità del latte è dato dalla somma delle funzioni acide apportate dalle proteine (caseina) e dai sali minerali (fosfati e citrati), oltre che dagli acidi organici e da composti inorganici: in altre parole quanto più il latte abbonda in questi costituenti, tanto più elevato sarà il suo tenore di acidità. Questo tipo d'acidità è detta "titolabile" e viene espressa in gradi Soxhlet (°SH) o Dornic (°SH/50), definiti come millilitri di Soda 0.25 N necessari per neutralizzare con fenolftaleina 100 millilitri di latte (1 grado Soxhlet equivale a 2.25 gradi Dornic).Da quanto detto, ne emerge che acidità °SH e pH non sono quindi misure sovrapponibili, tanto è vero che, a differenza di quanto accade per il pH, a valori bassi di gradi °SH corrisponde una bassa acidità; in altri termini, ad un pH elevato corrisponde una bassa acidità °SH. A titolo esemplificativo, un latte "normale" dovrebbe possedere pH pari a 6.5 - 6.7, mentre il suo valore espresso in °SH/50 dovrebbe essere 3.2 - 3.8 .La seguente tabella mostra la correlazione tra pH ed °SH/50 del latte:

pH °SH/50

6,65 - 6.75 2.8 - 3.0

6,55 - 6.65 3.0 - 3.2

6.50 - 6.55 3.2 - 3.5

6.45 - 6.50 3.5 - 4.0

6.40 circa 4.0 - 4.5

6.30 circa 4.5 - 5.0

Questa tabella mostra invece i valori di riferimento in gradi °SH e °SH/50 per il latte normale, ipoacido o iperacido:

°SH °SH/50 Acidità

7 -8 3.2 - 3.8 Normale

<7 <3.2 Latte ipoacido

>8.5 >3.8 Latte iperacido

L'acidità va misurata nel latte appena munto o refrigerato a temperature inferiori a 16°C, poiché i suoi valori tendono ad aumentare molto velocemente se la materia prima viene conservata a temperature ambientali elevate, o in caso di carica microbica alta. Per la corretta valutazione è inoltre necessario che i recipienti e le condutture dell'impianto di mungitura siano pulite e non inquinate da germi proteolitici.Comunque venga misurato, il valore di acidità del latte è un parametro importante, poiché influenza l'attitudine dello stesso alla coagulazione, condizionando la riuscita ottimale della cagliata.L'acidità del latte del singolo animale è elevata nelle prime settimane della lattazione, negli animali affetti da chetosi subclinica ed è più alta nelle primipare rispetto alle bovine di parti successivi; i valori tendono a scendere negli ultimi due mesi della produzione lattea e quando la bovina sia affetta da malattie croniche o da mastiti, anche subcliniche.

Acidità bassa (inferiore a 3.2)Il latte ipoacido presenta bassi livelli di fosforo, indipendentemente dalla disponibilità di

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quest'elemento nella razione; il latte ipoacido inoltre ha un tenore proteico piuttosto scarso (inferiore al 3.2%). Il suo utilizzo nella caseificazione ha come risultato una scarsa velocità di formazione del coagulo e lo spurgo del siero dalla cagliata risulta difficoltoso. A parte che dall'alcalosi ruminale, il latte ipoacido può essere causato da problemi alimentari, quali squilibri tra Calcio e Fosforo, carenza di vitamina D, oppure da eccessi di principi alimentari altamente fermentescibili.

Acidità alta (superiore a 3.8)Il latte iperacido dà una cagliata troppo asciutta, con conseguenti difetti nel formaggio (crepe, gessatura, sapore amaro ecc.) ed è causato da situazioni gestionali (presenza di molti animali pluripari, oppure molte bovine in fase finale di lattazione), da cause ambientali (temperature esageratamente elevate, condizioni di caldo-umido estivo) o da errori alimentari (carenza di energia, di proteine o di fosforo).

La seguente tabella riassume le principali cause di variazioni d'acidità nel latte:

Acidità bassa (inferiore a 3.2) Acidità alta (superiore a 3.8)

Eccesso proteico e/o carenza energetica Carenza di energia

Ultima fase lattazione Prima fase di lattazione

Squilibri Ca/P Carenza di P

Cambiamenti improvvisi della razione Intossicazioni

Bovine di seconda e succ. lattazioni Bovine primipare

Mastiti (anche subcliniche) Acidosi o chetosi

Temperatura ambientale elevata --

Stress Stress

Disinfettanti o detergenti nel latte --

Scarsa igiene mungitura (inquinamento da proteolitici)

Inquinamento da bacilli latto-produttori

L'acidità del latte è inoltre un parametro correlato alla razza bovina che lo produce, come si può osservare dalla seguente tabella:

Frisona Bruna Reggiana Modenese

Acidità* °SH/50 I 3.31 3.47 3.47 3.73

Acidità °SH/50 I 3.29 3.45 3.33 3.59

Acidità °SH/50 S 3.20 3.26 3.45 3.71

Tempo coagulazione (r) Minuti I 16.5 16.3 16 17.9

Tempo rassodamento (k20) Minuti I 14.1 8.9 7.7 10.5

Consistenza coagulo (a30) Minuti I 22.2 28.2 30.7 25.4

Tempo coagulazione (r) Minuti S 17.9 16.7 14.0 19.0

Tempo rassodamento (k20) Minuti S 13.0 8.6 9.7 11.3

Consistenza coagulo (a30) Minuti S 20.3 27.3 33.3 23.7

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(Da "rivista della Razza Bruna - Mariani P. - 2002)

* latte di vacche dal 4° al 7° mese di lattazioneI latte individualeS latte di stalla

Come si nota dall'analisi dei dati tabulati, il latte della Razza Modenese è caratterizzato da un'acidità notevolmente più elevata (circa 3/10) rispetto a quello ottenuto dalla Bruna o dalla Reggiana, mentre il latte derivante dalla Razza Frisona ha spesso caratteristiche di ipoacidità ed alcalinità.Come precedentemente detto, il latte ipoacido, carente in fosforo e/o caseina, è scarsamente reattivo alla coagulazione, poiché dà cagliate di scadente qualità.

Il tracciato lattodinamografico (LDG)

L'esame del latte effettuato con uno strumento detto "lattodinamografo" fornisce un tracciato che identifica le caratteristiche d'idoneità del campione alla caseificazione.Il tracciato - tipo rappresenta graficamente tre parametri fondamentali per riconoscere la qualità del latte:• Tempo di coagulazione r: si misura in minuti, ed è rappresentato dal tempo che intercorre dall'aggiunta del caglio fino all'inizio del processo di coagulazione• Velocità di formazione del coagulo k20: va dall'inizio della coagulazione fino al momento in cui la cagliata raggiunge una consistenza standardizzata (con un'oscillazione di 20 mm. sul dinamogramma)• Consistenza del coagulo a30, che viene misurata in millimetri (oscillazione sul dinamogramma a 30 minuti dall'aggiunta del caglio)

Naturalmente ogni campione di latte fornisce tracciati diversi, in base alle sue caratteristiche intrinseche; la seguente tabella riassume i principali tipi di latte, suddivisi per attitudine alla caseificazione secondo i vari parametri lattodinamografici:

Parametri lattodinamografici

A B C D E F

Tempo coagulazione r (minuti)

Normale Lento Rapido Molto rapido

Lento Molto lento

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Velocità formazione coagulo k20 (min)

Normale Elevata Lenta Elevata Lenta Molto lenta

Consistenza coaguloa30 (mm.)

Normale Elevata Scarsa Molto elevata

Bassa Inesistente

Attitudine Ottimale Buona Discreta Buona Mediocre Inadatto

(Da "rivista della Razza Bruna - Mariani P. - 2001)

r : tempo di coagulazione in minuti primik20 : tempo che impiega la cagliata a raggiungere una resistenza meccanica tale da produrre uno spostamento di 20 mm.a30 : consistenza del coagulo a 30 minuti, espresso in millimetri

Ogni lettera maiuscola identifica un tipo di latte avente proprietà diverse:

A: latte con buone caratteristiche, idoneo alla caseificazioneB: latte a lenta coagulazione, ma con buona velocità di presa del coagulo e consistenza finale della cagliata relativamente elevata. Questo latte è tipico di bovine a fine lattazione ed è ricco in caseina.C: dopo una prima fase con tempo di coagulazione rapido, segue un rallentamento nella velocità di formazione del coagulo, con una consistenza finale della cagliata piuttosto scarsa. Questo latte è piuttosto frequente in bovine ad inizio lattazione e si presenta generalmente povero in caseina.D: le fasi di caseificazione si svolgono molto velocemente ed il coagulo raggiunge un'altissima consistenza. Questo è un tipo di latte leggermente acido e/o molto ricco in caseina.E: in questo caso si ha un tempo di coagulazione lungo, con bassa velocità di presa e scarsa consistenza finale della cagliata. In genere è il latte tipico di bovine affette da mastiti settiche e disordini secretori, con elevato numero di cellule somatiche. Altre cause sono la predisposizione genetica, l'ipoacidità, stress ambientali, errori alimentari e patologie in essere. Oltre a ciò, questo è anche un reperto tipico nel latte da lattazioni eccessivamente prolungate.F: in questo caso si hanno lunghissimi tempi di coagulazione, bassissima velocità di presa e scarsissima consistenza finale della cagliata; questo è il quadro tipico in caso di mastiti con elevata conta di cellule somatiche e latte fortemente ipoacido. Ovviamente un latte con queste caratteristiche è totalmente inadatto alla caseificazione.

La seguente figura mette in relazione le varie tipologie di latte sopra esaminate con i relativi tracciati lattodinamografici.

Data l'importanza della qualità della materia prima, si può evitare la produzione di latte di tipo E o F applicando alcune strategie gestionali:• Curare la selezione genetica, in quanto alcune bovine presentano una predisposizione alla produzione di latte non idoneo alla caseificazione• Curare l'igiene mammaria, poiché il latte mastitico o prodotto da mammelle con disordini secretori è di qualità non idonea alla caseificazione; utili strumenti di miglioramento possono essere l'analisi del Linear Score dell'allevamento e delle singole bovine, nonché la manutenzione programmata dell'impianto di mungitura e l'adozione di opportune misure terapeutiche ed

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igieniche nella stalla• Curare la razione, analizzandone l'adeguatezza alle varie fasi produttive delle bovine ed evitando squilibri e/o carenze delle varie componenti alimentari• Curare le condizioni di benessere delle bovine, evitando o minimizzando le situazioni di forte stress ambientale (condizioni di caldo - umido e/o temperature troppo elevate, scarsa igiene dei ricoveri e delle zone di passaggio, maltrattamenti da parte del personale ecc.) e stress gerarchico tra gli animali stessi (formazioni di gruppi non omogenei per età o stadio di lattazione, competizione alla mangiatoia ecc.)

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Il tenore proteico del latteA seguire vengono passate in rassegna diverse variabili in grado di influenzare

la percentuale proteica del latte, ricordando comunque che solo un elevato livello genetico della mandria può rendere ragione di un effettivo aumento

della proteina nel latte prodotto.

· Proteina e produzione: com'è noto, questi due parametri sono in antitesi tra loro ed è quindi assurdo pensare di poter ottenere contemporaneamente

elevate produzioni giornaliere con una proteina pari al 3.5!! Poiché l'industria di trasformazione è orientata al pagamento della qualità soprattutto per

quanto concerne la percentuale proteica, è sicuramente preferibile concentrare i propri sforzi per aumentare questo parametro

· Proteina e stadio di lattazione: la percentuale proteica del latte - che all'inizio della lattazione dovrebbe essere intorno a 3.2 - scende gradatamente sino a

toccare il livello più basso intorno al cinquantesimo giorno di lattazione, pressappoco in corrispondenza al picco produttivo (anche in tale fase

comunque non dovrebbe mai essere inferiore al 2.9%) per poi risalire sino a valori che possono arrivare al 3.8%: un indice di squilibrio metabolico a livello

ruminale è dato proprio dalla mancata risalita della curva proteica al decrescere della curva di lattazione. E' quindi conveniente per l'allevatore

programmare i parti distribuendoli quanto più possibile omogeneamente lungo l'arco dell' anno; questo accorgimento consentirà di mantenere la percentuale proteica del latte entro livelli accettabili, senza incorrere nel pagamento delle

penali applicate dai caseifici

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· Proteina, razza e stagione: è stata rilevata una maggiore percentuale proteica nel latte di razze colorate (Bruna alpina, Jersey, Guernsey) rispetto alla

Frisona, come risulta anche dalla seguente tabella:

Razza Proteina Grasso RapportoProt/Grasso

Frisona 3,2 3,66 .87

Bruna 3,57 4,06 .88

Jersey 3,75 4,69 .80

Guernsey 3,54 4,53 .78

Per quanto concerne la stagione, il contenuto in proteina nel latte è in genere maggiore durante i mesi autunnali ed invernali

· Proteina e cellule somatiche: il numero di cellule somatiche presente nel latte influenza positivamente la percentuale proteica; si tratta tuttavia di un

aumento "falso", dovuto alla maggiore presenza di lattoalbumine e lattoglobuline, entrambi inutili per la resa del latte stesso alla caseificazione

· Proteina ed età dell'animale: il contenuto in proteina in genere decresce negli animali con molte lattazioni

· Proteina ed alimentazione: in genere i cambiamenti apportati alla razione influiscono maggiormente sulla percentuale in grasso del latte che non sulla proteina (eventuali variazioni dell'alimentazione hanno come risultato una

variazione in proteina pari a 0,1 - 0,2 punti)I seguenti fattori nutrizionali possono comunque influenzare il tenore proteico:

· Contenuto energetico: è importante massimizzare l'assunzione giornaliera d'energia fornendo un'adeguata quota di carboidrati fermentescibili; in questo modo i microorganismi ruminali hanno a disposizione energia sufficiente per la

sintesi di proteina microbica ; gli aminoacidi che ne derivano verranno impiegati per costruire la proteina del latte. E' comunque opportuno lavorare

sulla fonte dei carboidrati più che su un'effettiva variazione della quota energetica fornita, per evitare l'insorgere di acidosi, zoppie e cadute del tenore

lipidico del latte; in quest'ottica si raccomanda l'uso di cereali con amido a diverse velocità di fermentazione (l'orzo è più fermentescibile del mais) e con diverse forme di trattamento (pellettatura, fioccatura e macinazione fine ne

aumentano la fermentescibilità) Approssimativamente ci si dovrebbe limitare a 3-3.5 kg. di cereali circa per

foraggiata, differenziando come si è detto il tipo impiegato o - nell'ambito di un

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solo tipo (es. mais) - la forma di presentazione dello stesso; può essere utile per es. sostituire una parte di farina di mais con i fiocchi, in modo da fornire ai

microrganismi ruminali una fonte d'energia relativamente costante nella giornata; in questo caso la farina non deve essere macinata troppo finemente.La tabella che segue può essere utile per stimare la quota di cereali in razione

in base al livello produttivo dell'animale:

Latte Prodotto Quantità di cereali

meno di 18 litri ½ kg. ogni 2 litri di latte

da 18 a 31 litri ½ kg. ogni 1,4 litri di latte

oltre 31 litri ½ kg. ogni 1,2 litri di latte

Poiché il problema del deficit energetico incide fortemente sulla proteina del latte,oltre ai cereali è utile impiegare altre fonti, come ad es. il glicole

propilenico che a dosi di 150 - 200 gr. per capo si rivela un utile fonte di energia di pronto impiego e ridotto ingombro, nonché un efficace preventivo

antichetosi· Aggiunta di grassi: la grassatura della razione fornisce energia alla bovina, ma non ai microorganismi ruminali; varie esperienze hanno dimostrato che

l'addizione di grassi porta ad una riduzione del tenore proteico del latte di 0,1 - 0,3 punti. Qualora si ritenga opportuno utilizzarli si può effettuare una

supplementazione con niacina (6 - 12 gr. / giorno) per minimizzarne gli effetti indesiderati.

· Contenuto proteico: Razioni a contenuto proteico scarso tendono ad abbassare anche il tenore proteico del latte, tuttavia un apporto proteico

eccedente i fabbisogni non è la soluzione per aumentarlo. Questo obbiettivo invece può essere raggiunto ottimizzando il bilancio tra proteina degradabile a

livello ruminale e proteina by-pass: tra gli alimenti con buon contenuto di proteina by-pass si ricordano le farine di pesce (soprattutto aringhe), il glutine, il germe di mais; per le vacche nella prima fase di lattazione (sino a 100 - 120

giorni) la percentuale di proteina by-pass rispetto alla proteina grezza in razione dovrebbe essere compresa tra il 33 ed il 40 %

Circa il 65-70 % delle proteine provenienti dall'alimentazione subisce l'attacco dei microrganismi ruminale, con conversione delle proteine vegetali in proteine

microbiche che passeranno poi nell'intestino: tali proteine posseggono un ottimo rapporto tra Lisina e Metionina, due aminoacidi considerati " critici" per la proteosintesi del latte, in quanto la mammella non riesce a ricavarli in altro modo: in sostanza quindi quanta più proteina microbica giunge all'intestino,

tanto più aumenta la proteina del latte. Sono perciò giustificate le somministrazioni di questi due aminoacidi in forma protetta, cercando di rispettare il rapporto ottimale Lisina/ Metionina, pari a 3/1 circa.Poiché la

percentuale di proteina microbica che giunge all'intestino è aumentata da una maggiore assunzione di cibo, è logico adottare tutti quegli accorgimenti che

possono stimolare l'assunzione di sostanza secca da parte della bovina, ricordando che le grandi lattifere dovrebbero consumare circa il 3,6-4 % del loro peso vivo (24 kg. di sostanza secca per una vacca di P.V.= 600 kg.) Per

favorire l'assunzione di questi quantitativi è importante attuare un programma di questo tipo:

1) curare il management nutrizionale, controllando che le corsie d'alimentazione siano sempre pulite e con spazio adeguato alla mangiatoia

2) stabilire un'idonea frequenza di distribuzione della foraggiata (soprattutto in estate è opportuno distribuire la razione in due volte, riservando la parte più consistente alle ore serali, più fresche) ed una giusta sequenza degli alimenti (anche con l'impiego dell'unifeed sarebbe opportuna la distribuzione in corsia

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di circa 1-1,5 kg. a capo di ottimo fieno lungo, per meglio modulare l'azione dei microrganismi ruminali)

3) accertarsi che l'umidità della razione sia pari o inferiore al 50 %4) evitare quanto più possibile le competizioni alla mangiatoia tra manze e

vacche5) evitare cambiamenti improvvisi della razione: ogni introduzione di nuovi

alimenti deve essere graduale6) fornire agli animali una pavimentazione ed una ventilazione adeguate

· Foraggi: è noto che razioni ad elevata fibrosità tendono a limitare la proteina del latte, poiché l'animale - a causa dell'elevato ingombro - tende ad assumere

meno alimento e perciò meno energia; d'altra parte foraggi sminuzzati o pellettati possono aumentarla lievemente. Una certa quantità di fibra è

comunque indispensabile per assicurare la buona funzionalità del rumine: è bene assicurarsi che le bovine assumano 1/3 della fibra grezza prevista in

totale sotto forma di fieno lungo di ottima qualità, in particolar modo se gli insilati presentano una trinciatura molto fine (inferiore a 1,5 cm.)

La seguente tabella, dove viene indicato l'effetto delle varie operazioni alimentari sulla proteina del latte, riassume quanto esposto in precedenza; è

opportuno ricordare però che l'eccesso di amidi e zuccheri da cereali, la trinciatura esagerata del foraggio ed una scarsa percentuale di fibra in razione innalzano la percentuale proteica del latte a scapito della salute dell'animale,

con comparsa di acidosi, zoppie e fluttuazioni nell'ingestione di sostanza secca.

Operazione alimentare Effetto sulla Proteina

Massimizzare l'ingestione Aumento (da .2 a .3 unità)

Diminuire l'energia Diminuzione (da .1 a .4 unità)

Forte presenza di carboidrati non strutturali

Aumento (da .1 a .2 unità)

Eccesso di fibra Diminuzione (da .1 a .4 unità)

Scarsità di fibra (NDF <26%) Aumento (da .2 a .3 unità)

Fibra molto trinciata Aumento (da .2 a .3 unità)

Alta proteina grezza Aumento (se la razione precedente era scarsa)

Bassa proteina grezza Diminuzione (se la razione attuale è scarsa)

Proteina by-pass (33-40% della P.G.)

Aumento (se la razione precedente era scarsa)

Grassatura (>7-8% della S.S.) Diminuzione (da .1 a .2 unità)

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Il tenore lipidico del latteLa quantità di grasso presente nel latte dipende da svariati fattori di tipo

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alimentare, manageriale e genetico; per maggior chiarezza passiamo dapprima in rassegna le cause non nutrizionali che possono influenzare la percentuale

lipidica.

Razza e selezione genetica: com' è noto vi sono notevoli differenze tra razza e razza per quanto riguarda l'attitudine alla produzione di grasso; basti

confrontare la media percentuale della Jersey (4.9) o della Bruna (4.0) rispetto alla Frisona (3.5-3.7) L'uso di tori miglioratori, facilmente individuabili esaminando le classifiche diffuse dalle associazioni di razza, consente

all'allevatore di individuare i riproduttori più vantaggiosi a questo riguardo. Un altro utile accorgimento laddove vi siano problemi di scarso tenore lipidico del

latte è dato dall'introduzione di qualche soggetto delle razze prima citate, senza dimenticare comunque che per la Frisona la maggior produzione

quantitativa durante la lattazione assicura una massa lipidica decisamente maggiore.

Stagione: è piuttosto comune durante la stagione calda rilevare un calo del tenore lipidico; in effetti, temperature elevate associate ad alta umidità

possono far diminuire l'ingestione di sostanza secca, soprattutto quella da foraggi e fibra. Considerato che la percentuale di grasso può ridursi di 0.4

unità già a temperature superiori a 20°C, è opportuno adottare provvedimenti atti a ridurre lo stress termico, fornendo agli animali un buon sistema di

ventilazione ed ombreggiamento e distribuendo la foraggiata nelle ore più fresche.

Stadio di lattazione: è noto che la composizione del latte negli animali freschi presenta un tenore in grasso e proteina elevato, valore che decresce al picco di lattazione, per poi risalire gradualmente. Ovviamente non c'è da preoccuparsi riscontrando valori in grasso pari a 3.3-3.5 se la maggior parte delle bovine sia

sotto ai 120 giorni di lattazione, in caso contrario è opportuno un controllo dell'alimentazione e del management aziendale.

Età della bovina: gli animali oltre la quinta lattazione hanno valori di percentuale lipidica in calo di circa 0.2 unità.

Alte conte di cellule somatiche: le mastiti cliniche e subcliniche possono essere causa d'abbassamento della percentuale lipidica del latte di circa 0.2 unità.

Pratiche di mungitura, conservazione e campionamento: la percentuale di grasso nel latte aumenta costantemente dalle prime alle ultime fasi di

mungitura; è buona norma quindi assicurarsi che quest'operazione venga svolta nel modo più completo possibile, rispettando i tempi ossitocinici e

sforzandosi di mantenere uguali intervalli tra le mungiture (una frazione di tempo più lunga del solito può infatti determinare un calo della percentuale

lipidica). Anche un congelamento o un eccessivo scuotimento del latte nel tank o nelle condutture dell'impianto produrrà analisi "false", con un tenore lipidico

inferiore a quello reale. Per finire, è bene controllare sempre come viene eseguita la raccolta dei campioni: questi ultimi devono essere conservati in

idoneo contenitore, a temperatura inferiore a 4.4°C, evitandone il congelamento; inoltre i contenitori vanno sempre riempiti al massimo per

evitare scuotimento se il latte non viene mantenuto alla temperatura suddetta. Se il campione viene raccolto dal tank, il latte di massa dovrebbe essere

agitato per almeno 5 minuti prima della raccolta, tenendo conto che più grosso è il contenitore, più bisogna prolungare i tempi di scuotimento.

CAUSE ALIMENTARILa maggior parte degli acidi grassi presenti nel latte deriva in larga quota dall'acido acetico e beta- idrossibutirrico del rumine e in minima parte dai

grassi alimentari o da quelli corporei di riserva. Com' è noto, l'acetato si forma nel rumine a causa dell'attacco batterico sulla fibra foraggiera: è logico quindi

fornire all'animale una razione formulata in modo tale da assicurare un

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rapporto ottimale tra l'acido acetico e gli altri acidi grassi ruminali, con particolare riguardo al propionato. In effetti la teoria circa la minor percentuale

di grasso nel latte è basata proprio sulla carenza di fibra e/o sull'eccesso di carboidrati molto fermentescibili in razione, cosa che comporta un aumento del propionato a scapito dell'acetato, con una scarsa disponibilità di quest'ultimo a

livello mammario.Questa sfavorevole situazione è aggravata ancor di più dal ruolo del propionato come precursore glucogenico: in generale le razioni che

ne favoriscono la formazione forniscono troppa energia alla bovina, favorendo così lo spostamento dell'acetato e del beta-idrossibutirrato verso il tessuto

adiposo piuttosto che verso la mammella.Esaminiamo ora più in dettaglio le possibili cause di quest'alterato rapporto ac.

acetico/ ac. propionico:

· Scarsa assunzione di fibra: è bene controllare sempre l'assunzione di foraggio, in particolare di NDF da foraggi. La percentuale minima di NDF (foraggi) assunta dovrebbe essere pari a 0.85% del Peso Vivo, mentre la quantità minima di NDF totale dovrebbe essere pari a 1.1-1.2% del P.V.Queste stime risultano utili essenzialmente per determinare il corretto

rapporto foraggi / concentrati necessario a mantenere una buona produzione quantitativa ed un adeguato tenore lipidico. Il foraggio andrebbe incluso perciò

in razione in quantità non inferiore ad 1.4% del P.V., considerando inoltre lo stadio di maturazione e la specie botanica del foraggio stesso. Molto

importante è anche la presentazione fisica della fibra: foraggi e razioni unifeed troppo sminuzzate influiscono negativamente sul grasso del latte; la fibra

lunga infatti aumenta i tempi di ruminazione e favorisce la secrezione di saliva, neutralizzando l'eccessiva acidità del rumine con produzione d'acetato a favore

del propionato. Foraggi ed insilati di misura inferiore a mezzo centimetro andrebbero evitati.

· Eccesso di carboidrati facilmente fermentescibili: la frazione alimentare denominata NSC (carboidrati non strutturali) è altamente assimilabile a

confronto del NDF; una quota eccessiva di NSC riduce la digeribilità della fibra, alterando il rapporto acetato/propionato a favore di quest'ultimo ed

abbassando perciò il tenore lipidico dl latte. Idealmente la percentuale di NSC in razione deve essere pari a 32-38% della S.S. totale. Bisogna inoltre

considerare il tipo di cereale impiegato in razione - tenuto conto che l'amido dell'orzo è più fermentescibile di quello del mais - e la forma di trattamento

subìto dal cereale stesso: la molitura, fioccatura, pellettatura o vaporizzazione aumentano la degradabilità dell'amido, contribuendo ad un eccesso di

produzione di propionato da parte dei microrganismi ruminali.

· Eccessiva assunzione di grassi alimentari: quest'operazione porta in genere ad un calo del tenore lipidico del latte, perché razioni troppo grassate riducono

la digeribilità della fibra. Qualora si ritenga necessario aggiungere grassi in razione, sarà opportuno ricorrere a grassi saturi in forma protetta (saponi di

calcio), mentre la distribuzione di grosse quantità di semi di soia estrusi, macinati o pellettati può ripercuotersi negativamente sul tenore lipidico del latte. La grassatura minima della razione deve essere pari al 4% della S.S.

· Scarsità di proteina in razione: una carenza di proteina grezza e degradabile può deprimere l'assunzione di sostanza secca e la digeribilità della fibra. Questo problema può verificarsi soprattutto con razioni basate su grosse

quantità di silomais od insilati d'erba di scarsa qualità.

· Carenza di zolfo: quest'elemento è necessario per le sintesi d'aminoacidi essenziali effettuate dai microrganismi ruminali. L'aggiunta di zolfo è

importante però solo se la razione contiene alti livelli d'azoto non proteico (es. urea).

· Carenza d'energia: può rappresentare un problema soprattutto negli animali freschi, a causa del naturale deficit energetico in tale periodo. Sarebbe

Page 45: tutto il processo

opportuno ricontrollare la razione nel caso che più del 30% della mandria si presenti eccessivamente magro (body condition score pari a 2.75-3 su una

scala da 1 a 5).

· Scarsa regolarità di distribuzione della razione: questo problema è importante soprattutto nelle stalle ad alimentazione convenzionale, dove è opportuno alimentare gli animali frequentemente, evitando di distribuire i

concentrati una sola volta il giorno, in quantità troppo elevate. Approssimativamente è bene effettuare quattro distribuzioni il giorno per gli animali a produzione superiore ai 35 litri, evitando così le oscillazioni del pH ruminale ed un suo eccessivo abbassamento per periodi troppo prolungati.

· Errata gestione alimentare: al di là d'ogni altra considerazione, qualsiasi razione, per quanto adeguata, può essere inefficace se non correttamente distribuita. Gli animali dovrebbero potersi alimentare per almeno venti ore

giornaliere; eventuali residui dovrebbero essere rimossi dalla corsia prima di procedere ad una nuova distribuzione. Se l'alimentazione è di tipo tradizionale, è bene distribuire agli animali fieno od insilato prima dei concentrati, se si usa

il carro miscelatore è opportuno assicurarsi che la foraggiata sia ben mescolata, in modo che le bovine non possano scegliere selettivamente tra gli alimenti; anche in tal caso è raccomandabile distribuire in corsia circa un chilo

di buon fieno lungo prima della foraggiata. Qualunque cambiamento quantitativo o qualitativo della razione va effettuato gradualmente ed infine è

necessario controllare che gli animali abbiano libero accesso all'acqua.

ADDITIVI: l'aggiunta alla razione di tamponi od agenti alcalinizzanti è utile per aumentare il pH ruminale e mantenerlo a valori cui viene facilitata la

digeribilità della fibra. Il tampone più usato, anche per il suo basso costo, è senza dubbio il bicarbonato di sodio; la sua azione è di favorire un

innalzamento del pH ruminale,con conseguente sviluppo di microrganismi utilizzatori di fibra. Questo cambiamento della popolazione microbica influisce

positivamente sul rapporto acetato /propionato, aumentando la digeribilità della fibra. Nelle stalle-problema per il test del grasso, il bicarbonato dovrebbe

essere incluso in razione allo 0.8% sulla S.S. totale. Anche l'ossido di magnesio si rivela un ottimo tampone, soprattutto se usato in

associazione al bicarbonato, la sua efficacia è in parte dovuta anche ad un migliorato trasferimento dei lipidi ematici verso le cellule mammarie; la sua

inclusione in razione deve essere pari a 0.25% sulla S.S. totale. Di particolare utilità è un mix composto da due parti di bicarbonato ed una d'ossido di

magnesio. Esistono poi altri additivi utili ad innalzare il tenore lipidico del latte; un

esempio è rappresentato dal siero di latte - una fonte notevole di minerali e lattosio - e da metionina e colina, entrambe coinvolte nel trasferimento di lipidi

dai tessuti adiposi alla ghiandola mammaria.

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Le cellule somatiche nel latte

DEFINIZIONE

Page 46: tutto il processo

Nel latte sono presenti due categorie di cellule:- cellule epiteliali: provenienti dalla desquamazione della mucosa che riveste internamente la mammella; questo tipo di cellule si riscontrano normalmente e non rivestono un significato patologico- globuli bianchi o leucociti: presenti nel latte proveniente da mammelle sane in concentrazioni inferiori a 200.000 cellule/ml. Questo numero aumenta considerevolmente in situazioni patologiche quali la mastite, potendo raggiungere e superare il milione/ml.

Tipo di cellule % Cellule (intervallo)

Epiteliali 0 -7

Macrofagi 66 - 88

Linfociti 10 - 27

Neutrofili 0 - 11

I leucociti includono i macrofagi, i linfociti ed i neutrofili polimorfonucleati; ognuna di queste categorie ha funzioni specifiche a) macrofagi: sono il tipo cellulare predominante nel latte normale e rappresentano il 30 - 74% delle cellule totali in latte di mammelle sane; nel caso d'infezioni mammarie hanno il compito di fagocitare e distruggere i batteri, ma soprattutto di favorire la migrazione dei neutrofili polimorfonucleati dal sangue verso il latte b) linfociti: organizzano e coordinano l'attività delle altre cellule coinvolte nel sistema immunitario di difesac) neutrofili polimorfonucleati: sono la maggioranza dei leucociti presenti nel latte da mammelle infette; sono in grado di riconoscere ed inglobare i batteri distruggendoli (fagocitosi) In genere la loro concentrazione nel latte aumenta 12 - 24 ore dopo l'iniziale infezione batterica, tuttavia alcuni microorganismi come Escherichia coli possono suscitare una risposta più rapida.

Alcuni fattori sono in grado di aumentare lievemente il numero di cellule somatiche del latte:1°) età e stadio di lattazione - lo SCC aumenta con l'aumentare dell'età dell'animale ed in genere dopo la quarta lattazione. Elevate SCC possono verificarsi nell'ultima fase di produzione (durante gli ultimi 15 - 30 giorni, con una netta prevalenza di macrofagi e cellule epiteliali) e per alcune settimane successive al parto, indipendentemente dall'esistenza di un'effettiva infezione mammaria: questo fenomeno rientra nel potenziamento spontaneo delle difese immunitarie in preparazione al parto stesso2°) stress e stagione - si è ipotizzato un aumento (peraltro contenuto) di SCC in bovine sottoposte a stress di vario genere e durante il periodo dell'estro; è comunque certo che i livelli di SCC sono in genere bassi in un ambiente pulito, asciutto e confortevole. Il clima gioca un ruolo rilevante nel controllo della mastite: nella bovina esposta ad alte temperature ed eccessiva umidità aumenta la suscettibilità verso nuove infezioni. Anche una corretta gestione aziendale è molto importante: improvvise variazioni della razione, squilibri alimentari, somministrazione d'alimenti (in particolare insilati) avariati o mal fermentati, maltrattamenti sono alcune tra le possibili cause di un elevato conteggio cellulare3°) ferite alla mammella - danni al tessuto mammario derivanti da ferite possono innalzare temporaneamente lo SCC anche se non sono seguiti da infezioni; perciò è essenziale cercare di prevenire eventuali cause di ferite (pavimentazioni scivolose, spigoli taglienti ecc.)4°) cause indirette - un metodo di mungitura inadeguato o scorretto facilita la trasmissibilità d'infezioni mammarie, contribuendo ad aumentare lo SCCAnche una manutenzione trascurata della mungitrice (risciacquo della mammella per mancato allontanamento del latte, fluttuazioni nel livello del vuoto, deterioramento delle guaine ecc.) ha effetti negativi sulla conta cellulare, è perciò opportuno un controllo completo ogni sei mesi oppure ogni mille ore circa di funzionamento dell'impianto.

Fin qui abbiamo esaminato alcune possibili cause d'innalzamento della SCC, ma da quanto esposto in precedenza è chiaro che la causa più frequente di quest'aumento è un'infezione della mammella, in altre parole una mastite sostenuta da batteri patogeni contagiosi (Staphylococcus aureus, Streptococcus agalactiae) o ambientali; poiché il numero di cellule è

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strettamente associato alle infiammazioni ed allo stato sanitario della mammella, la conta delle cellule somatiche (SCC) è internazionalmente accettata come valutazione della qualità del latte.

Importanza del rilevamento dello SCC: uno SCC da considerarsi normale deve essere inferiore a 200.000 cellule/ml (nelle manze di primo parto i valori sono addirittura nell'ordine delle 100.000 cellule/ml) Conteggi più elevati sono indice di una possibile infezione mammaria e vengono associati non solo a diminuite produzioni di latte, ma anche a difetti qualitativi dello stesso, soprattutto per quanto riguarda la caseificazione (questo fenomeno è dovuto ad un aumento nel latte d'enzimi proteolitici e lipolitici derivanti dai leucociti).

SCC medio Kg. latte persi/capo/giorno

200.000 1,30

400.000 2,00

800.000 2,70

1.600.000 3,40

3.200.000 4,00

Relazione tra SCC e Linear Score (LS): la presenza in una stalla di poche bovine con elevata conta cellulare può influenzare la valutazione dello SCC nel latte di massa che rappresenta una media del latte ottenuto in allevamento, fornendo pertanto valori lontani dalla realtà. Per ovviare a quest'inconveniente si può adottare il Linear Score o LS: questo sistema rapporta su una scala lineare da 1 a 9 i conteggi cellulari, cosa che implica raddoppiamento del numero di cellule somatiche per ogni aumento di un punto nel LS.

Linear Score- LS SCC - Media SCC - Intervallo

0 12.500 0 - 17.000

1 25.000 18 - 34.000

2 50.000 35 - 70.000

3 100.000 71 - 140.000

4 200.000 141 - 282.000

5 400.000 283 - 565.000

6 800.000 566 - 1.130.000

7 1.600.000 1.131 - 2.262.000

8 3.200.000 2.263 - 4.525.000

9 6.400.000 4.526 e oltre

Dato il modo d'impostazione, il Linear Score offre alcuni vantaggi rispetto allo SCC:1. presenta meno variabilità da mese a mese nell'arco di una lattazione2. presenta un'ereditabilità maggiore (il 25%) rispetto alla conta delle cellule somatiche3. è un metodo più semplice per il confronto tra vari allevamenti per quanto riguarda la sanità della mammella. Altrettanto non si può dire per lo SCC, in quanto questo valore può essere fortemente alterato dalla presenza di pochi soggetti con conte molto alte.

Obbiettivi del programma di controllo: l'uso del sommario mensile del LS o dello SCC sui campioni di latte ottenuti da ogni singola bovina rende ragione dell'efficacia del programma di controllo seguito. Non è possibile indicare con sicurezza un valore di LS che permetta di separare gli animali sani da quelli infetti, ma per un primo approccio negli allevamenti-problema sarà utile prendere in considerazione le bovine con LS pari o superiore a 5, tenendo conto che le vacche di prima lattazione dovrebbero presentare LS pari od inferiore a 3 (questo gruppo d'animali, infatti, non ha ancora subito le eventuali condizioni sfavorevoli d'allevamento) Più in generale, si può affermare che un buon traguardo per l'allevamento è avere il 90% delle bovine con un LS inferiore a 5.

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Punti del programma di controllo

- Identificazione dei soggetti infetti: è possibile individuare gli animali ammalati basandosi sui monitoraggi mensili dello SCC o del LS; entrambi forniscono indicazioni sul tipo d'infezioni a lunga durata causate da batteri contagiosi, ma sono meno utili per quanto riguarda l'individuazione delle infezioni di tipo ambientale che possono passare inosservate se i test vengono eseguiti con cadenza mensile. Per identificare correttamente il tipo di batteri è perciò necessaria una coltura microbiologica dei campioni di latte da bovine con LS superiore a 5- Analisi della gestione aziendale: in caso di conte cellulari elevate è necessario controllare anche il metodo e la routine di mungitura nonché lo stato manutentivo della macchina mungitrice. Come detto in precedenza è opportuno curare anche l'ambiente in cui vivono le bovine, impiegando materiali da lettiera di tipo inorganico (sabbia, materassini ecc.) in caso d'infezioni ambientali, assicurandosi comunque che le superfici con cui la mammella viene a contatto siano quanto più possibile asciutte e pulite.- Trattamento in lattazione: benché il momento migliore per trattare le bovine infette sia l'asciutta, può essere necessario anche un trattamento in lattazione, soprattutto se i conteggi cellulari elevati siano causa di perdite economiche per l'allevatore. Muovendosi sull'esame del più recente SCC, dei risultati dell'analisi colturale del latte e dello stadio di lattazione, è necessario identificare le bovine da trattare. Gli animali a fine lattazione possono essere messi in asciutta anticipatamente e trattati con antibiotico. Per le bovine ad inizio o metà lattazione con elevati conteggi è opportuno separare il latte prodotto da quello di massa, tenendo conto che un alto LS ad inizio lattazione seguito da progressivo calo può essere una spia di problemi gestionali durante l'asciutta. L'aumento delle cellule durante la lattazione è invece associato ad infezioni da batteri patogeni contagiosi e può derivare da problemi nell'impianto o nelle tecniche di mungitura.- Trattamento in asciutta: in tale periodo le cure usate risultano di maggiore utilità, in quanto eliminano le infezioni preesistenti e prevengono le nuove. Nella fase iniziale di questo periodo la mammella è particolarmente esposta ai rischi d'infezione: poiché il trattamento selettivo (effettuato solo su vacche ad alto LS) presenta una percentuale di fallimento del 20-40%, è opportuno trattare tutte le bovine indistintamente.- Eliminazione degli animali infetti: questo procedimento può rendersi necessario nel caso di bovine con mastiti croniche o che comunque non rispondono al trattamento in asciutta; anche se buone produttrici, queste vacche sono in ogni caso un serbatoio di batteri e possono instaurare un circolo vizioso di reinfezioni in allevamento.

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La mastite subclinica

La mastite è ancora oggi una delle principali cause d'eliminazione d'animali nell'allevamento, nonché un costo (peraltro evitabile) per l'allevatore. Una stima approssimativa ci dice che - a livello mondiale - il costo medio annuo per bovina si aggira sui 140 €, cifra imputabile alle seguenti voci:

Calo quantitativo della produzione di latte Minor valore qualitativo del latte, a causa delle variazioni negative nella sua

composizione Spese per trattamenti veterinari Perdite di latte scartato perché non idoneo

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Eliminazione degli animali infetti

Nella stragrande maggioranza dei casi (1:50), la mastite si presenta in forma subclinica. Anche se le manifestazioni sono meno clamorose, le perdite economiche dovute a questo tipo di patologia sono notevoli, per la difficoltà di individuarla e curarla in tempo utile, per la necessità di diagnosticarla con tecniche di laboratorio, nonché per le variazioni che la malattia induce nella composizione del latte: diminuzione del lattosio e della caseina, aumento delle cellule somatiche, presenza di coaguli di fibrina e siero in quantità superiore alla norma.

Cambiamenti nel latte con SCC alto

Costituente Latte normale Latte con alto SCC(%)

Grasso 3.5 3.2Lattosio 4.9 4.4

Proteina totale 3.61 3.56Caseina totale 2.8 2.3

Proteina del caglio .8 1.3Sieroalbumina .02 .07Lattoferrina .02 .10

Immunoglobuline .10 .60Sodio .057 .105Cloro .091 .147

Potassio .173 .157

Calcio .12 .04

Inoltre, se lo stato d'infiammazione sussiste nel tempo (essenzialmente per la mancanza di segni clinici evidenti nel latte, come fiocchi, pus, ecc.) si può avere una fibrosi del tessuto della mammella (a volte rilevabile anche al tatto sotto forma d'indurimenti e noduli) a scapito del tessuto secretivo, e quindi minor produzione di latte.Il controllo della mastite subclinica è più importante del semplice trattamento dei casi clinici e questo per due ragioni:

Le bovine con mastite subclinica sono dei "serbatoi" di microrganismi che possono scatenare l'infezione in vacche sane.

La maggior parte dei casi clinici inizia come subclinici: la cura di questo tipo di mastite è perciò essenziale per la riduzione dei casi clinici.

Microrganismi coinvoltiI ceppi più comuni coinvolti nelle forme subcliniche sono rappresentati da Staphylococcus aureus, Streptococcus agalactiae ed alcuni microrganismi ambientali del genere Streptococcus. Anche i microrganismi del genere Mycoplasma, Pseudomonas, Nocardia e Prototheca possono causare incrementi nello SCC, mentre altri ambientali (es. Escherichia coli, Klebsiella) sono più difficili da individuare tramite SCC, poiché l'aumento provocato è di breve durata. In genere i più comuni agenti della mastite subclinica sono gli Stafilococchi coagulasi negativi, opportunisti che solo raramente danno luogo a forme cliniche acute.I microrganismi responsabili della mastite contagiosa, come S. aureus, S. agalactiae e Mycoplasma sono spesso causa di mastiti subcliniche, con alte percentuali di quarti infettati e SCC del latte di massa pari o superiore a 500.000 cell./ml.La risposta del sistema immunitario della bovina è data da un aumento delle cellule somatiche nel latte, come si rileva dalla seguente tabella:

Tipo di cellule Latte normale (%) Mastite subclinica (%)

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Neutrofili 0 - 11 % > 90%Macrofagi 66 - 88 %

2 - 10 %Linfociti 10 - 27 %

Cellule epiteliali 0 - 7 % 0 - 7 %

SCC o conteggio delle cellule somatichePer la definizione dello SCC e la sua relazione con il Linear Score, si rimanda all'articolo " le cellule somatiche nel latte" in questo sito.

LS Media SCC (cell./ml)

Intervallo(cell /ml) Perdite previste di latte (kg. per lattaz.)

Prima lattazione Seconda e succ.

0 12.500 0 - 17.000 0 01 25.000 18.000 - 34.000 0 02 50.000 35.000 - 70.000 0 03 100.000 71.000 - 140.000 90 1804 200.000 141.000 - 282.000 180 3605 400.000 283.000 - 565.000 270 5406 800.000 566.000 - 1.130.000 360 7207 1.600.000 1.131.000 - 2.262.000 450 9008 3.200.000 2.263.000 - 4.525.000 540 10809 6.400.000 >4.526.000 630 1260

Importa qui rilevare che il latte con SCC troppo alto comporta penalità per i produttori, in quanto poco idoneo alla caseificazione e responsabile di una ridotta "vita di scaffale" dei prodotti lattiero-caseari. Come già detto in precedenza, le sintesi di lattosio, grasso e proteina sono molto ridotte in presenza di una mastite, fatto evidenziato anche dal grafico seguente:

E' logico quindi che aumenti anche modesti (>100.000/ml) nello SCC della singola bovina siano causa di ridotta produzione casearia.L'entrata in vigore del DL 54/97, che ha recepito la Direttiva CEE 92/46, ha stabilito che -per commercializzare il latte prodotto - il livello massimo di cellule somatiche presenti per ml deve essere pari a 400.000 ( come media geometrica di almeno tre prelievi in tre mesi consecutivi). Per la produzione di latte pastorizzato d'alta qualità questo valore scende a 300.000 per ml (DM 185/91).

REQUISITI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE CRUDO DI VACCA (NORMATIVA

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COMUNITARIA 92/46 G.V. recepita dal DPR 14.01.1997 N. 54)

REQUISITI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE CRUDO DI VACCAPer la produzione di: latte alimentare trattato termicamente, latte fermentato,

cagliato, gelificato o aromatizzato e di cremeTenore in germi (1) a +30°C non superiore per ml

100.000

Tenore in cellule somatiche (2) non superiore per ml

400.000

Residui di medicinali veterinari LMR(3) Reg. (Cee) 2377/90Per la produzione di: prodotti a base di latte Fino al 31/12/97 dall'1/1/98Tenore in germi (1) a +30°C non superiore per ml

400.000 100.000

Tenore in cellule somatiche non superiore per ml

500.000 400.000

Residui di medicinali veterinari LMR(3) Reg. (Cee) 2377/90Per la produzione di: prodotti al "latte crudo"

Tenore in germi (1) a +30°C non superiore per ml

100.000

Tenore in cellule somatiche non superiore per ml

400.000

Staphylococcus aureus per ml

n (unità campionarie)=5m (valore min di batteri)=500

M (valore max di batteri)=2.000c (unità camp tra m e M)=2

Residui di medicinali veterinari LMR (3) Reg. (Cee) 2377/90(1) Germi: media geometrica di 2 prelievi al mese per 2 mesi.(2) Cellule somatiche: media geometrica di 1 prelievo al mese per 3 mesi.(3) Limite massimo di residui.

REQUISITI MINIMI DEL LATTE CRUDO DA DESTINARE ALLA PRODUZIONE DI LATTE ALIMENTARE VACCINO (LEGGE 169/89)

REQUISITI MINIMI DEL LATTE CRUDO DA DESTINARE ALLA PRODUZIONE DI LATTE ALIMENTARE VACCINO (LEGGE 169/89)

Latte trattato termicamente (DPR.54/97)

Latte di "alta qualità"

(D.M.185/91) Residui di composizione

Peso specifico a + 10 °C non inferiore a 1.030 1.030Materia grassa non inferiore in % 3,0 3,5Materia proteica non inferiore g/litro 28 32Materia secca sgrassata non inferiore in % 8,5 8,5Indice crioscopico non superiore a - 0,520 - 0,520

Requisiti igienico-sanitariTenore in germi (1) a +30°C (per ml.) non superiore

100.000 100.000

Tenore in cellule somatiche (2) (per ml.) non superiore

400.000 300.000

Contenuto in acido lattico non superiore in ppm (3)

30

Residui in chemio-antibiotici pencilline in ug/ml inferiori

0,004 0,004

altri non rilevabili non rilevabili

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(1) Germi: media geometrica di almeno 2 prelievi al mese per 2 mesi. (2) Cellule somatiche: media geometrica di ica di almeno 1 prelievo al mese per 3 mesi. (3) Parametro non richiesto.

Il latte proveniente da quarti sani presenta uno SCC inferiore a 200.000 cellule/ml. ( in molti casi addirittura inferiore a 100.000 cell./ml.)In pratica, qualunque bovina che abbia uno SCC> 300.000 cellule/ml. deve essere posta sotto stretto controllo, poiché questo valore è di per sé un indizio di probabile mastite subclinica.Interpretazione del LS: come si evince dalla tabella di correlazione tra SCC e LS, questi due parametri sono entrambi espressione del numero di cellule somatiche presenti nel latte. Merita un chiarimento la distinzione tra SCC del latte di massa ed individuale: infatti il primo è un indizio di base della presenza di mastite subclinica nella stalla e l'allevatore che dispone del dato SCC effettuato sul latte di massa, potrà rendersi personalmente conto di quanti animali affetti da mastite subclinica siano presenti confrontando la seguente tabella:

SCC latte di massa % di vacche infette

0 - 99.000 6 %100.000 - 199.000 17 %200.000 - 299.000 34 %300.000 - 399.000 45 %400.000 - 499.000 51 %500.000 - 599.000 67 %

Oltre 600.000 79 %

D'altra parte questo dato può fornire un'indicazione solo generica sullo stato di salute delle mammelle, mentre non è in grado di individuare le "vacche-problema" né i fattori che contribuiscono a provocare una carica elevata; inoltre è di scarsa efficacia per quanto riguarda il monitoraggio delle mastiti di tipo ambientale.Lo SCC o meglio ancora il LS effettuato sui campioni della singola bovina dimostra invece l'efficacia delle procedure di controllo della mastite adottate in allevamento: basti considerare per es. che l'80% degli animali con LS 5 hanno uno o più quarti infetti, mentre si può ritenere efficace un programma di cura che porti ad avere almeno il 90% delle bovine in stalla con LS minore di 5. Il dato individuale inoltre identifica gli animali da eliminare.Il parametro che si riferisce alle cellule somatiche (SCC o LS) possiede un efficacia solo se valutato con costanza nel tempo: è chiaro che un'analisi sporadica non può fornire informazioni utili né all'andamento della mastite subclinica, né all'efficacia delle eventuali cure adottate. Sarà quindi necessario:

Un controllo mensile della SCC nella stalla: l'identificazione delle vacche con valori superiori alla norma consente di individuare bovine con uno o più quarti infetti (SCC>300.000)

Un campionamento dai quarti potenzialmente infetti per identificare l'agente responsabile ed applicare la cura più appropriata

L'uso di corrette procedura di mungitura e la revisione di routine dell'impianto stesso

La valutazione del trattamento per gli animali asciutti: il confronto tra LS prima della messa in asciutta e ad un mese dal parto può rendere mostrare l'efficacia dei trattamenti impiegati

L'eliminazione di quegli animali che comunque non rispondono ai trattamenti effettuati

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E' importante ricordare che le forme subcliniche di mastite rispondono meglio alla prevenzione che non alla cura, anche se il costo della prevenzione in sé può essere alto, soprattutto se effettuato in periodi in cui sembra che la stalla - apparentemente - non abbia grossi problemi.

Come usare il LS per ridurre la mastiteSe la stalla presenta un alto numero di cellule somatiche, dato rilevabile dallo LS O SCC effettuato sul latte di massa, il primo passo da compiere è capire quanti animali sono effettivamente responsabili di questa anomalia: se le bovine che contribuiscono ad un alto LS sono poche, è consigliabile prenderne in considerazione gli SCC individuali e campionarne il latte per analisi colturali. Se invece sono molti gli animali responsabili dell'alto LS, il successivo passo consiste nel distinguere tra alte percentuali di nuove infezioni o alte percentuali di casi cronici.Il grafico seguente può chiarire meglio la situazione su esposta:

Cosa fare1. Trattamento in asciutta - lo scopo principale di questo trattamento è prevenire la comparsa di nuove infezioni in stalla, oltre naturalmente al recupero produttivo della bovina infetta. Inoltre, dal momento che l'animale non è in produzione, non c'è una diffusione delle infezioni dovuta appunto alle operazioni di mungitura. Il problema maggiore di questo intervento è però la necessità di asciugare l'animale e di poter agire solo in un periodo di tempo limitato; questo trattamento tuttavia presenta un tasso di guarigione piuttosto elevato, poiché elimina le infezioni precedenti e ne previene di nuove. La terapia è perciò molto efficace, anche perché i prodotti usati allo scopo posseggono un maggior periodo di permanenza in mammella.2. Trattamento in lattazione - questa terapia si rende necessaria per gli animali all'inizio o nel pieno della fase produttiva: attendere la fase d'asciutta è comunque sconsigliato, poiché ci sono seri rischi di diffusione della mastite al resto dell'allevamento. In questa situazione, l'ultimo LS disponibile può aiutare il tecnico e l'allevatore ad individuare gli animali da trattare, prendendo in considerazione anche altri fattori, tra cui i risultati dell'analisi colturale del campione di latte, la produzione, lo stadio di lattazione e l'età delle bovine. In una bovina che presenti LS maggiore di 5 più volte nel corso della lattazione, questo dato fornisce indicazioni sulla cronicizzazione dell'infezione. Un alto LS ad inizio lattazione, seguito da un calo può indicare problemi gestionali in asciutta, tra cui l'impiego di un trattamento curativo inadeguato; un LS in aumento durante la lattazione è indice della presenza

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di mastite da patogeni contagiosi e può essere uno spia di scarsa igiene in mungitura, di problemi dell'impianto stesso, di tecniche non corrette o ricoveri inadatti. Il trattamento degli animali in lattazione va continuato per più giorni, rispettando i tempi di sospensione: anche se in apparenza sembra che gli svantaggi siano notevoli, è provato che le perdite economiche iniziano a minimizzarsi già dalla lattazione in corso.3. Scelta degli animali da trattare - bisogna innanzi tutto considerare il soggetto: se si tratta di una bovina ad inizio od a fine carriera, se presenta una cronicità della mastite, se ha un potenziale genetico più o meno elevato. In genere gli animali giovani, di 1° o 2° lattazione sono soggetti a mastiti subcliniche non croniche: il trattamento è consigliabile per ammortizzare i costi di mantenimento con una piena produttività ed anche perché queste bovine in generale rispondono molto bene alla terapia. Per le bovine di lattazioni successive (dalla 3° in poi) studi americani rilevano una maggior incidenza delle mastiti con l'avanzare dell'età dell'animale. L' alto SCC in bovine "anziane" è dovuto probabilmente ad un'accresciuta risposta leucocitaria data dal cronicizzarsi delle infezioni. In questi casi è senz'altro consigliabile eliminare questi animali, poiché raramente si riscontra una buona efficacia dei trattamenti ed inoltre tali soggetti possono essere un "serbatoio" di contagio per l'allevamento.4. Stabilire un idoneo ordine di mungitura - i soggetti con un alto LS vanno equiparati a bovine con mastite clinica; è necessario pertanto mungere per ultimi questi animali, per evitare la diffusione dell'infezione nelle bovine sane.

Selenio, vitamina E e salute della mammellaI livelli di selenio possono essere direttamente correlati alla mastite subclinica: uno studio dell'università della Pennsylvania ha riscontrato concentrazioni notevolmente basse di questo elemento in stalle dove lo SCC era maggiore di 700.000 cellule/ml. Lo SCC medio effettuato sul latte di massa diminuisce all'aumentare del selenio plasmatico. D'altra parte, se la razione è deficitaria per questo elemento, un'integrazione di Vitamina E distribuita in asciutta riduce l'incidenza di mastite subclinica al momento del parto.Per concludere, sia la vitamina E che il selenio giocano in sinergia un ruolo importante nel promuovere i meccanismi di difesa della mammella. Per un risultato ottimale, è necessario assicurare in razione il massimo apporto possibile di selenio, sia alle bovine in lattazione che alle asciutte. Animali alimentati con foraggi conservati possono richiedere supplementi di vit. E maggiori di 1000 UI (500 UI per le bovine in lattazione) per massimizzare i meccanismi immunitari della mammella nel periodo immediatamente successivo al parto.

Procedure da adottare 1. Identificazione delle vacche infette: ciò è reso possibile dall'analisi dello SCC o dello LS individuale; come detto in precedenza, questo dato è affidabile solo se valutato con costanza nel tempo.2. Identificazione dei principali agenti responsabili della mastite: è opportuno prendere campioni da vacche con LS pari o maggiore a 5; capire quali siano i microrganismi coinvolti fornisce al veterinario indicazioni sulle cure più efficaci.3. Analisi della gestione aziendale: è necessario analizzare le pratiche e la routine di mungitura. Le mammelle vanno pulite, disinfettate ed asciugate e gli animali vanno stimolati per ottenere un completo rilascio del latte; le bovine vanno munte completamente, ma bisogna evitare la sovramungitura. Al termine, , sia che l'applicazione avvenga con il "dipping" che con lo spray, bisogna disinfettare la mammella con opportuni antisettici.4. Controllo dell'impianto: da effettuarsi a scadenze regolari, in quanto il cattivo funzionamento può danneggiare i tessuti sensibili della mammella; oltre al monitoraggio effettuato dai tecnici APA, è opportuno stabilire regolare assistenza anche da parte della casa produttrice dell'impianto.5. Gestione dell'ambiente di stalla: la lettiera deve essere pulita e rinnovata frequentemente; le zone di stabulazione ed i recinti non devono essere fangosi, ma privi di pozzanghere e zone a ristagno. Se la mastite è di tipo "ambientale" è

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necessario usare materiale da lettiera di tipo inorganico (sabbia) o cuccette con materassini in gomma.6. Trattamento delle vacche in asciutta: al momento dell'asciugatura, è opportuno - dopo un'accurata pulizia - trattare gli animali con appositi antibiotici in tutti i quarti ed alloggiarli in zona separata da quella destinata alle bovine in lattazione. Se il veterinario lo consiglia, può risultare utile un supplemento integrativo con Vit. E e selenio

Checklist

Segue una lista di controllo che l'allevatore può utilizzare come raccolta di dati da sottoporre al veterinario o al tecnico che segue l'allevamento.

Preparazione delle bovine alla mungitura

Gli animali sono preparati con salviette monouso? Viene applicata una soluzione igienizzante alla mammella? Viene usata una tazza per esaminare i primi getti di latte (eventuali anomalie)? La mammella viene lavata ed asciugata prima della mungitura? Le mammelle sono pulite quando si applica il gruppo di mungitura? Se si usa il "pre - dipping" il prodotto impiegato ricopre totalmente la

mammella? E viene asportato completamente prima dell'applicazione del gruppo mungitore?

Modalità di mungitura

I gruppi vengono applicati entro 2 minuti dopo l'inizio della preparazione? I gruppi vengono applicati in modo adeguato (in modo delicato e con minima

perdita di vuoto)? I gruppi sono allineati in modo corretto? Esiste un apparecchio per determinare il flusso di latte? Il vuoto viene tolto prima di rimuovere i gruppi di mungitura? Gli stacchi automatici sono usati in modo adeguato e le bovine sono munte

completamente? Esiste un corretto ordine di mungitura (prima le manze, per ultime le bovine

con alto SCC ed infette)? I capezzoli sono disinfettati immediatamente dopo la rimozione dei gruppi? Le bovine possono accedere ad una razione fresca, così da rimanere in piedi

per un certo tempo dopo la mungitura?

Controllo dell'impianto

Negli ultimi 6 mesi l'impianto è stato sottoposto a verifiche da parte di un tecnico specializzato?

Ambiente di stalla

Le asciutte sono completamente separate dalle vacche in lattazione? Gli edifici della stalla sono adeguatamente ventilati? Gli edifici sono adeguati per dimensione? (annotare lunghezza, larghezza ecc.) La lettiera sembra idonea? E' asciutta e pulita? (annotare il tipo di lettiera

usato) Il letame viene asportato giornalmente? Le zone d'esercizio (recinti all'aperto, passaggi ecc.) sono fangose, con

pozzanghere o ristagni? La zona riservata alle asciutte ed alle manze presenta i problemi su esposti

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oppure è adeguata?

Gestione aziendale

Lo SCC viene regolarmente e costantemente esaminato per tutte le bovine in stalla?

Le condizioni generali degli animali risultano accettabili? In quali gruppi d'animali si verificano più frequentemente le mastiti cliniche

(annotare separatamente i casi nei gruppi: fresche, asciutte, manze di primo parto, grandi produttrici, gruppo misto tra i precedenti)

Risultati delle analisi del latte di massa negli ultimi 6 mesi (annotare: data, tipi di microrganismi riscontrati e SCC di massa)

Le vacche asciutte sono trattate con prodotti antibiotici adatti? (annotare nome del prodotto)

Le vacche in lattazione con mastite clinica vengono trattate con prodotti antibiotici adeguati? (annotare il nome del prodotto)

I tempi di sospensione sono rispettati? Il latte prodotto da animali trattati viene esaminato per la presenza di residui

prima della consegna? Le vacche acquistate vengono esaminate con opportuni test per la mastite

prima della loro immissione in stalla?

 

 

 

 

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Le mastiti ambientali

DescrizioneLe mastiti ambientali si caratterizzano per essere solitamente di tipo clinico acuto, anche se in alcuni casi possono manifestarsi come subcliniche. In modo abbastanza anomalo, anche in stalle ben gestite, che presentano bassi conteggi di cellule somatiche (minori di 200.000-300.000), si possono sviluppare mastiti da ambientali, piuttosto difficili da diagnosticare anche a causa della loro breve durata. Generalmente vi sono periodi ben precisi nella vita della bovina in cui si nota la comparsa di questo tipo di patologia, la seguente tabella li riassume:

PeriodoN° casi senza trattamento

in asciutta

N° casi con trattamento in

asciutta

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Primi 10 giorni in asciutta Molti Pochissimi

Da 2 a 3 settimane in asciutta

Pochi Pochi

Fine dell'asciutta Molti Molti

Periparto Molti Molti

Nel caso d'infezioni da ambientali, i quarti infetti si gonfiano ed il latte prodotto diventa acquoso; la temperatura corporea può aumentare e l'animale perde appetito e, di conseguenza, peso.Le perdite economiche sono notevoli, dovute per la maggior parte ai costi risultanti dalla ridotta produzione e dall'accantonamento del latte infetto, nonché ai maggiori costi per accresciuto lavoro, cure e spese veterinarie. Per le lattazioni successive alla prima, le perdite si raddoppiano; inoltre, le bovine che sviluppano mastite clinica presentano un immediato calo produttivo e non ritornano ai precedenti livelli di produzione per almeno i due mesi successivi alla comparsa della malattia.Di seguito vengono elencati alcuni indizi di un probabile problema di mastite ambientale in stalla:- Un numero troppo alto di bovine che presentano mastite nella prima fase di asciutta- Un numero eccessivo di animali che sviluppano mastite nei primi 30-60 giorni dopo il parto (superiore al 20%) - Aumento dello SCC della mandria- Aumentata incidenza di mastiti in assenza di casi da Staphilococcus aureus e Streptococcus agalactiae- Aumento dei casi di mastite clinica, anche con una corretta terapia in asciutta: spesso, infatti, una mastite sostenuta da streptococchi ambientali ed acquisita in asciutta, sfocia in una mastite clinica al parto

Tipo di microrganismi coinvoltiLe mastiti ambientali sono causate da due diversi gruppi di batteri: i Coliformi e gli Streptococchi ambientali (o fecali). Alcune considerazioni valgono per entrambi i gruppi, ad es. si possono trovare comunemente nell'ambiente di stalla su vari tipi di lettiera, letame, sudiciume, acqua ecc. Dal momento che questi microrganismi si sono adattati a diversi substrati, non hanno alcuna dipendenza diretta dall'animale per la loro sopravvivenza e propagazione: in questo differiscono dai contagiosi, che vivono di preferenza sopra o all'interno della bovina stessa.

ColiformiQuesta categoria include due gruppi predominanti: Escherichia coli e Klebsiella spp. con alcune caratteristiche in comune, tra cui la gram-negatività.I coliformi trovano un idoneo terreno di sviluppo sul letame depositato dagli animali in stalla. Vivono normalmente nel tratto gastro-intestinale dei bovini e si rinnovano in continuazione.Klebsiella spp. sono microrganismi legati al terreno e si trovano frequentemente nei materiali da lettiera provenienti dal legno, quali segatura, trucioli ecc. Condizioni ambientali caldo umide favoriscono un rapido sviluppo di questi microrganismi nelle aree in cui vivono le bovine, soprattutto in condizioni d'affollamento eccessivo.Il metodo migliore per prevenire o controllare lo sviluppo di questi microrganismi è l'impiego di sabbia come materiale da lettiera, ma occorre comunque una buona manutenzione per evitare che un suo eccessivo imbrattamento con le deiezioni fornisca substrato utile alla crescita. Ancora una volta è necessario ribadire che una pulizia costante ed accurata della stalla è il miglior sistema per tenere sotto controllo questo tipo di batteri.Un numero anche relativamente basso di coliformi penetrati in mammella è già sufficiente a creare mastiti di notevole entità, con fenomeni di endotossiemia, aumento della temperatura corporea e marcato calo nelle produzione di latte; inoltre, essendo gram-negativi, questi batteri non rispondono alla terapia antibiotica comunemente adottata in caso di mastite. Il trattamento comporta in genere un

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aumento del numero di mungiture, per allontanare la maggior quantità possibile di tossine batteriche e l'uso di farmaci anti-infiammatori per ridurre la temperatura ed il gonfiore mammario. Spesso vengono utilizzate anche soluzioni ipertoniche saline per via parenterale, in modo da aumentare il passaggio di fluidi in mammella, con conseguente allontanamento delle tossine.Le bovine con infezioni da coliformi rispondono con elevati SCC in tempi brevi.Recentemente sono stati prodotti vaccini in grado di minimizzare la severità di nuove infezioni da coliformi: in sostanza si tratta di fornire al sistema immunitario della bovina la possibilità di riconoscere le sostanze-chiave che compongono i batteri e di sviluppare perciò anticorpi capaci di combatterli.L'efficacia di questi vaccini in un programma di prevenzione di routine sull'intera stalla è riconosciuta per controllare le mastiti sostenute da coliformi, Klebsiella ed altri gram-negativi.Anche una corretta gestione della mungitura può contribuire a ridurre il numero di coliformi presenti in stalla: è essenziale che la mammella pronta per essere munta sia pulita, igienizzata ed asciutta. Per raggiungere questo scopo, occorre usare un prodotto pre-dipping capace di eliminare efficacemente i batteri, con un tempo di contatto sul derma di 30 secondi, e successivamente rimuoverlo ed asciugare perfettamente la mammella.

Streptococchi ambientaliQuesta specie di batteri opportunisti si trova comunemente nel letame, sulla lettiera, nel suolo, sul pelo, negli scoli uterini ecc. Gli esami di laboratorio identificano alcune specie, tra cui più frequentemente Streptococcus uberis e S. dysgalactiae. Le mastiti causate da questi microrganismi sono in genere di tipo clinico; inoltre i batteri tendono a concentrarsi in forti quantità nel latte d'animali infetti che non vengono identificati come tali, con aumento delle conte batteriche nel latte di massa.Le strategie di controllo per questi microrganismi sono simili a quelle impiegate per i coliformi, tendendo a ridurre l'esposizione della bovina in tutte le zone frequentate (aree di riposo e di mungitura, recinti per l'asciutta ecc.).Le mastiti sostenute da questo tipo di batteri si manifestano soprattutto alla messa in asciutta e nel periparto. Il livello produttivo raggiunto al termine della lattazione, la cessazione delle due mungiture quotidiane e la scarsa igiene dei ricoveri destinati alle bovine in questo periodo sono fattori concomitanti che scatenano le mastiti ambientali; oltre al trattamento dei quarti all'asciugatura, è molto importante trattare la bovina nelle prime 2-3 settimane d'asciutta, per permettere alla mammella di chiudersi completamente, diventando perciò assai resistente alle infezioni.Quando si avvicina il momento del parto, invece, il tessuto produttivo della mammella inizia a svilupparsi e possono verificarsi anche lievi perdite di latte; gli animali in questo stadio subiscono un notevole stress, e sono sensibili a tutte le malattie - mastiti incluse - a causa della depressione delle difese immunitarie.A tutt'oggi non esistono purtroppo vaccini contro gli Streptococchi ambientali, anche se numerose ricerche si stanno sviluppando in questa direzione.La miglior possibilità di controllare il numero di questi microrganismi è ancora una volta affidata alla pulizia delle aree e dell'impianto di mungitura, facendo pre-dipping con un prodotto a rapida azione, ed ad una corretta gestione delle zone destinate alle bovine asciutte, nonché naturalmente alla terapia al momento dell'asciugatura. In questa fase può risultare utile l'impiego di un sigillante da applicare all'estremità del capezzolo, per evitare l'ingresso di batteri nel canale e ridurre il rischio di nuove infezioni.

Fattori rischio d'insorgenza I batteri ambientali, come detto in precedenza, sono opportunisti in grado di vivere su diversi substrati. I principali serbatoi sono feci, urina, scoli vaginali, derma del ventre e della mammella per quanto attiene agli animali; lettiera, sala-parto, sala di mungitura, ricoveri delle asciutte e delle manze, corridoi di passaggio e spostamento per quanto riguarda invece le strutture di stalla.Data la grande varietà di substrati, è praticamente impossibile eliminare completamente gli ambientali da una stalla, quindi il controllo ed il contenimento a

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bassi livelli di tali microrganismi deve orientarsi su programmi di prevenzione che limitino il più possibile l'esposizione ed il contatto della mammella a questi batteri.Una corretta gestione aziendale è quindi il fattore chiave nel controllo di tali mastiti, cosa evidenziata anche dalla seguente tabella:

Fattori Casi di mastite in %

Impianto di mungitura 6 %

Stalla ed ambiente 25 %

Genetica 20 %

Gestione aziendale 49 %

Fonte: Dr. Nelson Philpot, Presidente Philpot and Associates International, Homer, La.

Come si nota dall'esame della tabella, problemi ambientali, gestione aziendale e strutture di stalla sono responsabili al 75% delle mastiti ambientali, ed è perciò logico focalizzare gli interventi su questi punti.

Controllo e prevenzione Un'efficace azione di controllo di queste mastiti si attiva su due fronti:- diminuendo l'esposizione della mammella ai patogeni ambientali- aumentando le difese immunitarie della bovina

In sintesi, vengono qui di seguito elencati i principali punti a cui prestare attenzione:

1. Fornire un ambiente di vita che minimizzi l'esposizione delle bovine a condizioni di sporco: è perciò importante l'igiene delle principali strutture di stalla, curando la pulizia e la manutenzione della lettiera, fornendo alle bovine cuccette o recinti correttamente dimensionati, evitando i fenomeni di sovraffollamento e competizione gerarchica. Le zone di passaggio e vicino agli abbeveratoi devono essere quanto più possibile prive d'aree fangose ed umide, soprattutto in condizioni d'elevata temperatura ambientale. E' opportuno ricordare che la quantità di sporco presente sui piedi dell'animale è strettamente correlata al livello di contaminazione fecale della mammella: per tale motivo è consigliabile curare l'igiene ambientale e far muovere le bovine in maniera tranquilla. Se è possibile, è opportuno tenere gli animali in piedi per almeno trenta minuti dopo la mungitura, al fine di evitare risalite dei batteri ambientali attraverso il canale del capezzolo ancora aperto.2. Attuazione di un efficace trattamento in asciutta: dal momento che il periodo d'asciutta è il più propizio all'instaurarsi d'infezioni da ambientali (fino a cinque volte più facilmente che in lattazione), è raccomandabile effettuare una terapia antibiotica in asciutta. L'uso a scopo preventivo del vaccino è efficace solo nelle mastiti ambientali sostenute da Escherichia coli, mentre è inutile contro gli Streptococchi. Nelle prime due settimane del periodo dell'asciutta può essere efficace un trattamento con un sigillante del capezzolo, da ripetere negli ultimi quindici giorni precedenti il parto. Prima di applicare il sigillante, è però importante assicurarsi che la bovina non sia già infetta (presenza di mastite nell'ultima fase di lattazione).3. Tenere registrazioni accurate degli esiti dei trattamenti: è importante per ogni caso di mastite clinica conoscere: il tipo d'antibiotico usato, la dose e la data della cura, la durata del periodo d'accantonamento del latte, ecc.4. Stabilire un corretto ordine di mungitura: è opportuno mungere separatamente sia le vacche infette che quelle trattate, tramite formazione di gruppi o l'uso d'unità di mungitura separate5. Usare una routine di mungitura adeguata: è essenziale lavorare su mammelle ragionevolmente libere da fango e deiezioni (una regolare tosatura può risultare utile in tal senso). Prima della mungitura è opportuno lavare la mammella con sola acqua e poi asciugarla perfettamente con carta o tessuto a perdere. L'asciugatura è

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essenziale, poiché i batteri ambientali sono veicolati proprio dall'acqua. Se la stalla è in buone condizioni igieniche, si può sostituire al lavaggio un "pre-dipping" con idonei disinfettanti, con tempi di contatto di almeno 30-45 secondi. Anche in tal caso è comunque indispensabile un'attenta asciugatura della mammella, anche per evitare che eventuali residui di disinfettante finiscano nel latte. Effettuate queste operazioni, è bene attaccare i gruppi di mungitura entro 1-1.5 minuti e quindi rimuovere i prendicapezzoli dopo aver interrotto il vuoto, per evitare riflussi di latte sulla mammella. Dopo la mungitura si può effettuare il "post-dipping", arrivando ad almeno metà/due terzi della superficie mammaria; in ogni caso è consigliabile mantenere le bovine in piedi per almeno mezz'ora, magari distribuendo la foraggiata o del fieno. Naturalmente è indispensabile anche una regolare manutenzione dell'impianto di mungitura, ponendo particolare attenzione al livello del vuoto, ai pulsatori, ai filtri dell'aria, alle guaine ecc. In genere, si raccomanda un controllo dell'intero impianto ogni tre mesi, oppure ogni 500 ore di mungitura.6. Controllo delle mosche: questi insetti sono spesso responsabili della diffusione di batteri che possono colonizzare eventuali lesioni cutanee della mammella e dei capezzoli. E' noto inoltre che l'incidenza di mastiti ambientali è più elevata in estate ed autunno, in parallelo al ciclo d'infestazione da mosche: è quindi raccomandabile cercare di agire soprattutto sui luoghi di riproduzione degli insetti (avanzi di cibo in putrefazione, letame ecc.)7. Precauzioni particolari per le primipare: molto spesso le manze presentano mastiti al momento del parto o nella prima fase di lattazione; queste bovine non dovrebbero essere sistemate con le asciutte più anziane, dal momento che l'ambiente comune può scatenare l'insorgere di nuove infezioni. Questi animali possono essere sottoposti allo stesso trattamento antibiotico per l'asciutta a 60 giorni circa dalla data prevista del parto, oppure alla cura antibiotica per la lattazione 7-14 giorni prima del parto, controllando il latte 3-5 giorni dopo per accertarsi della presenza d'eventuali residui: in entrambi i casi, i trattamenti vanno effettuati sotto stretto controllo veterinario. Un'altra possibilità è mungere le manze da 1 a 3 settimane prima del parto, tenendo presente che i vitelli che nasceranno andranno immunizzati con colostro proveniente da vacche più anziane.8. Alimentazione: è consigliabile integrare la razione con supplementi di vitamina E, selenio, vitamina A e ß-carotene e bilanciare l'apporto di zinco e rame per coprirne il fabbisogno. Il trattamento congiunto di iniezioni di selenio (4.5 mgr. / 45 kg. di peso corporeo, 21 giorni prima della data prevista per il parto) e integrazioni di vit.E (pari ad almeno1000 U.I. /giorno in asciutta e 500 U.I./giorno in lattazione) si è rivelato utile nel diminuire l'incidenza della mastiti cliniche, soprattutto negli animali di prima lattazione. Il selenio può anche essere aggiunto alla razione delle asciutte (3 mgr./capo/giorno) e delle fresche (6 mgr./capo/giorno) ed in associazione alla vit. E riduce anche l'incidenza di metriti, cisti ovariche e ritenzioni di placenta.9. Limitare i fattori di stress: fornire alle bovine un'ambiente privo di stress, soprattutto in prossimità del parto, è utile non solo per ottenere alte produzioni, ma anche per limitare l'insorgere di mastiti. Lo stress causa infatti nella bovina il rilascio di cortisone, con conseguente effetto negativo sulle difese immunitarie. Per tale motivo, è consigliabile evitare il sovraffollamento, le competizioni alla mangiatoia, lo stress da caldo, la formazione di gruppi non omogenei per età (primipare e vacche di lattazioni successive) ecc.

 

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Le mastiti nelle manze

Contrariamente a quanto si riteneva fino a pochi anni fa, le mastiti nelle manze gravide ed in età fecondativa sono piuttosto diffuse: queste infezioni possono durare a lungo e sono associate ad alte conte delle cellule somatiche; sono probabilmente la causa di uno sviluppo non corretto della mammella durante la gestazione ed influenzano negativamente la produzione di latte dopo il parto.Nelle secrezioni mammarie di manze non fecondate o gravide sono spesso presenti almeno 8 ceppi di Stafilococchi - Staph. chromogenes, Staph. Hyicus e Staph. Aureus i più frequenti -fra questi i livelli d'infezione al parto dovuti a Staph. Aureus variano tra 0.7 e 7.6% dei quarti. Altri batteri spesso presenti sono quelli coagulasi-negativi (14.4 - 53% dei quarti) ed i coliformi e streptococchi ambientali (2 - 11% dei quarti).

Questo comporta logicamente un aumento dei conteggi delle cellule somatiche, ma anche -a livello mammario - una forte infiltrazione leucocitaria, con aumento del tessuto connettivo a scapito di quello ghiandolare: questo aspetto spiega perché le infezioni che si verificano in manze in età molto giovane possano influenzare negativamente le sviluppo della ghiandola mammaria e la produzione delle future lattazioni.Lo Staph. aureus e gli altri tipi di stafilococchi possono essere isolati in manze anche di giovane età, le sedi elettive sono costituite da narici, mucosa orale e vaginale. Le azioni di succhiamento e leccamento tra vitelle trasmettono questo genere d'infezione. Anche le mosche possono essere un veicolo d'infezione da Staph. Aureus, per cui è opportuno adottare un programma di controllo di questi insetti.Mycoplasma spp. sono stati invece isolati in vitelle alimentate a latte che presentano infezioni alle giunture ed alle orecchie, mentre i patogeni ambientali si sviluppano a livello mammario nel periodo immediatamente precedente al parto, a causa di esposizione degli animali a letame contaminato. Infine la prevalenza di mastiti sostenute da streptococchi ambientali è associata all'età della manza al momento del parto. Trattamento con antibioticiL'infusione intramammaria di antibiotici nella fase di preparto si è rivelata una procedura utile ed efficace nel ridurre l'incidenza delle mastiti, sia nelle primipare fresche che nelle fasi successive della lattazione. Un aspetto negativo di questo tipo di trattamento è la presenza di antibiotici nel latte, soprattutto negli animali che partoriscono prima della data prevista. Tuttavia, usando alcuni tipi di antibiotici, come ad es. la cloxacillina, il problema può essere risolto: uno studio dell'Università del Tennessee (S.P.Oliver 2000) dimostra come già a tre giorni dal parto il latte di tutte le bovine trattate con questo antibiotico una settimana prima dell'evento fosse libero da residui.

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Oltre a ciò, bisogna considerare i vantaggi economici di questi trattamenti: lo stesso studio sopra citato dimostra come si ottengano quantità di latte significativamente più elevate dalle manze trattate, rispetto ai gruppi di controllo senza alcuna somministrazione di antibiotico preparto, come risulta dalla seguente tabella:

Produzione di latte in kg.

Gruppi di manze Effettiva 305 gg. SCC

Controllo 5195 5005 2.63

Trattate 5726 5464 2.04

In ogni caso, se si sceglie di effettuare il trattamento antibiotico, è bene affidarsi al veterinario per conoscere il farmaco più idoneo da usarsi e, 3-5 giorni dopo parto, testare le manze trattate, scartando il latte fino alla completa scomparsa dei residui. Al di là del trattamento farmacologico, è possibile seguire alcune linee-guida per prevenire le mastiti nelle manze:• Precauzioni al momento del parto: molte mastiti si verificano al parto o nelle due settimane ad esso precedenti, infatti le primipare non hanno avuto la possibilità di sviluppare reazioni immunitarie contro i patogeni più frequentemente presenti nella mandria. Per tale motivo è bene assicurare alle manze un'area asciutta e pulita dove partorire, evitando il sovraffollamento nelle settimane precedenti l'evento.• Aspetti alimentari: la razione gioca un ruolo piuttosto importante nell'aumentare la resistenza della mammella alle infezioni, poiché diversi alimenti sono coinvolti nei meccanismi di difesa - funzioni leucocitarie, trasporto anticorpale, integrità del tessuto mammario - supplementi di Selenio e Vit.E distribuiti con la razione (rispettivamente 3 e 50 ppm. /giorno) o per iniezione (4.5 mg Se / 45-50 Kg. P.V.) due - tre settimane prima della data parto prevista si sono rivelati utili nel ridurre l'incidenza delle mastiti dopo l'evento. Inoltre l'effetto benefico della Vit. E è ben più evidente negli animali di prima lattazione, rispetto alle bovine più vecchie. Le somministrazioni di Vit. E e Selenio sono inoltre efficaci nel ridurre ritenzioni placentari, metriti e cisti ovariche. Altri elementi utili a ridurre la comparsa di mastite sono :alfa e beta carotene, rame e zinco. Oltre a ciò, le bovine dovrebbero avere libero accesso ad alimento fresco non appena fuori la sala di mungitura. Per quanto riguarda la razione preparto, è opportuno contenere i livelli di sodio e potassio, per evitare comparsa di edema mammario. Anche alti livelli di proteina solubile possono costituire un fattore di rischio.• Gestione delle vitelle durante lo svezzamento: molti batteri patogeni responsabili delle mastiti possono sopravvivere anche fuori la mammella stessa, su substrati quali letame, lettiere umide, cavo orale, narici, pelle della mammella, latte scartato. Le vitelline dovrebbero essere isolate dopo lo svezzamento prima di costituire dei gruppi, così da minimizzare lo stimolo allo succhiamento reciproco. Un'altra precauzione è quella di non somministrare alle neonate colostro o latte proveniente da bovine affette da mastite coliforme.• Mungitura prima del parto: nelle mandrie in cui le manze vengono sottoposte a mungitura 14 giorni prima del parto, l'incidenza delle mastiti cala notevolmente, mentre la produzione di latte di queste primipare può aumentare quantitativamente. Questa procedura abitua le manze alla routine di mungitura, riduce la congestione mammaria e la sensazione di fastidio e/o dolore; le conte delle cellule somatiche risultano inoltre significativamente più basse nelle manze così trattate. Un aspetto da valutare è la mancanza di colostro nelle bovine sottoposte a mungitura preparto, per cui il vitello alla nascita dovrà essere alimentato con colostro proveniente da altre vacche. • Procedure di mungitura: una raccomandazione valida è mungere le primipare prima delle vacche di lattazioni successive, che potrebbero teoricamente essere infette da mastiti subcliniche. (questo consiglio è ovviamente efficace solo se le manze non sono già infette). Risulta opportuno separare le bovine di prima lattazione (anche dal punto di vista del razionamento) se è possibile creare dei gruppi di mungitura; in caso contrario gli animali problema o quelli sottoposti a terapia antibiotica vanno munti per ultimi, sanitizzando i gruppi di mungitura dopo il passaggio di queste bovine. • Gestione ambientale: è necessario fornire sia alle vitelle che alle manze un'area confortevole, con lettiere pulite ed asciutte; le zone di riposo e di esercizio non devono

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essere fangose o con pozzanghere, per evitare la continua esposizione delle mammelle ai batteri patogeni. Un' altro aspetto da valutare è l'abitudine in alcune stalle di formare un unico gruppo costituito da primipare e vacche asciutte: ciò è causa d' infezione trasmessa alle manze da bovine più vecchie, potenzialmente portatrici di patogeni.• Controllo delle mosche: il morso di questi insetti può traumatizzare l'estremità della mammella, inoltre le mosche trasportano molti batteri patogeni in grado di colonizzare in queste lesioni. Eliminare i luoghi di sviluppo delle mosche (cibo ammuffito o marcescente, cumuli di letame, lettiere sporche ecc.) è essenziale per controllare questi insetti. Nelle stalle dove viene applicata qualche programma di controllo verso le mosche c'è una minor incidenza di mastiti da Staph. Aureus e da Streptococchi ambientali, come si evince dalla seguente tabella:

Specie batterichePercentuale vacche infette

Con controllo mosche Senza controllo mosche

Stafilococchi coagulasi-negativi 32.9 41.4

S. aureus 5.6 55.2

Streptococcus sp. 3.7 20.7

Coliformi 2.2 0

A.pyogenes 0 3.4

Totale specie batteriche 44.4 100

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