TRAIETTORIE DI LAVORO ATIPICO UNA PRIMA … di lavoro atipico 5 La rilevanza sociale del lavoro...
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Massimo Angelo Zanetti
TRAIETTORIE DI LAVORO ATIPICO.UNA PRIMA ANALISI SULLE FASI INIZIALI
DEL PERCORSO LAVORATIVO: I MECCANISMI DI BLOCCO
DELLA PROGRESSIONE DI CARRIERA
DSS PAPERS SOC 8-02
INDICE
1. Due tradizioni di ricerca ........................................................... Pag. 06
2. Gli studi delle carriere lavorative ...................................................... 7
3. Lo studio del corso di vita ................................................................. 13
4. La convergenza tra le due prospettive di ricerca ........................... 15
5. La ricerca ........................................................................................... 18
6. Open coding. Raccolta dei dati e analisi .......................................... 26
7. Una definizione operativa di episodio lavorativo ........................... 27
8. I percorsi lavorativi ........................................................................... 30
9. Il passaggio scuola-lavoro ................................................................. 34
10. L'analisi di un caso ............................................................................ 37
11. La ricerca di nuove opportunità e le transizioni lavorative .......... 41
Bibliografia ......................................................................................... 45
Traiettorie di lavoro atipico 5
La rilevanza sociale del lavoro atipico è ormai ampiamente
riconosciuta. Allo stesso tempo gli istituti di rilevazione statistica riescono
attualmente a fornire una rappresentazione del fenomeno in grado di darci
conto della sua (crescente) consistenza quantitativa. Ma ciò non significa
affatto che in relazione a tale fenomeno si sia raggiunta una conoscenza
adeguata o anche solo sufficiente. In realtà si è solo agli inizi di quello che
appare un compito impegnativo e complesso, e non tanto per la rilevanza
dimensionale del fenomeno, ma soprattutto per la sua natura intrinsecamente
multiforme e sfuggente e per il suo portato di potenziali dirompenti effetti su
consolidati assetti sociali e su rappresentazioni collettive ampiamente
condivise che investono la concezione di lavoro e quella di equità sociale.
Raggiunta la consapevolezza sociale della sua rilevanza, predisposti gli
strumenti per la rilevazione della sua consistenza, definito il fenomeno nei
suoi caratteri essenziali, molto del dibattito attuale verte intorno al carattere
segregante di queste forme occupazionali. In questa prospettiva un
importante interrogativo di ricerca si genera circa i percorsi lavorativi
individuali in relazione alla progressione di carriera che tali nuove forme di
lavoro consentono: se essa sia possibile, per quali soggetti e a quali
condizioni, che forme essa assuma. In questa sede considereremo potenziali
meccanismi di “blocco” della progressione di carriera che si presentano nei
percorsi di lavoro atipico.
Si impone quindi un approccio di ricerca che si doti di strumenti
concettuali e metodologici per un’analisi longitudinale avente per unità
d’analisi i corsi lavorativi individuali.
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1. Due tradizioni di ricerca
A questo scopo sono almeno due le tradizioni di ricerca sociale che
debbono essere necessariamente considerate, sia per l’utile
complementarietà delle reciproche prospettive di analisi, sia per il crescente
interesse che le nuove forme di lavoro stanno suscitando nell’ambito delle
rispettive comunità di studiosi.
La prima delle due tradizioni a cui facciamo riferimento è quella dei
career studies. Filone di studi molto vivo nei paesi di cultura anglosassone,
pur avendo uno spiccato carattere multidipliscinare ha saputo, forse proprio
per il suo situarsi al confine tra diverse discipline, trovare una sua coesione
interna che ha permesso una lunga e feconda comunicazione tra economisti,
psicologi sociali, studiosi organizzativi, sociologi e antropologi culturali.
La seconda tradizione di ricerca è invece più strettamente sociologica
ed è quella che si raccoglie intorno al cosiddetto “paradigma del corso di
vita” [Saraceno 2001]. Lo studio in questo caso si concentra sull’età come
elemento in base al quale si regola l’intervento di sistemi culturali e
normativi che strutturano vincoli e risorse dell’agire individuale e collettivo.
Le vite, o meglio i ciclo o corsi di vita individuali risultano così sequenziati
in fasi e periodi attraverso i quali l’età scandisce differenziazione e
stratificazione sociale. In questa prospettiva l’indagine ha così per oggetto i
processi di costruzione e trasformazione dei corsi di vita in relazione alla
principali sfere dell’esistenza individuale, in primo luogo quella lavorativa e
famigliare.
Di entrambi questi filoni di studi appare opportuno in questa sede
tratteggiare le linee fondamentali mettendo in evidenza gli elementi di
convergenza che forniscono utili elementi ai nostri scopi di ricerca, e quindi
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concentrarci più diffusamente sulle modalità con le quali tematizzano il
fenomeno delle nuove forme di lavoro.
2. Gli studi delle carriere lavorative
La complessità di questa tradizione di studi non si esplica solo nella sua
natura multidisciplinare, ma anche nei diversi livelli in cui si articola
l’analisi. È quindi necessario considerare entrambi – approcci disciplinari e
livelli di analisi – per comprendere come si strutturi tale ambito di studi.
Sono questi i criteri che guidano la suddivisione di Gunz [1989] (ripresa ed
aggiornata da Evetts [1992]), citata in letteratura come una delle più efficaci
per la linearità delle sue classificazioni. L’autore, partendo dal criterio
ordinatore del livello di analisi, distingue due livelli, che corrispondono
sostanzialmente a due prospettive di guardare al fenomeno delle carriere. Il
primo è il livello e il punto di vista dell’organizzazione, nel quale la ricerca
si occupa di studiare come le organizzazioni strutturano le carriere (career
structures) nonché i percorsi di carriera effettivamente compiuti dagli
individui (career patters o career routes) nelle strutture così predisposte. Il
secondo è il livello dell’individuo, nel quale la prospettiva di osservazione
ruota di 180 gradi per occuparsi dei percorsi lavorativi e delle dinamiche di
carriera (career dynamics) degli individui nonché delle carriere soggettive o
“interne” (subjective careers) e delle strategie di carriera (career strategies)
[Gunz 1989: 226].
L’analisi delle strutture di carriera trae origine dagli studi di matrice
funzionalista che negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso
dominarono il versante sociologico dei carter studies. Se allora, nella fase di
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massimo splendore della grande impresa fordista, le strutture di carriera
erano concepite e definite essenzialmente come scale di promozioni
(promotion ladders) definite dai contratti di lavoro che legano tra loro
posizioni aventi funzioni a livelli di responsabilità, prestigio, retribuzione
diversi e gerarchicamente crescenti in base ad una sequenza stabile, ordinata
e prevedibile [Wilensky 1960; Slocum 1966], attualmente la ricerca assume
non assume più il carattere irreversibilmente progressivo dei percorsi
predisposti dalle aziende ma continua ad analizzare la struttura dei livelli o
strati di promozione (promotion layers) nonché i requisiti formali che gli
individui devono soddisfare per raggiungerli [Evetts 1992: 5].
Nella sua impostazione originaria – di chiaro stampo funzionalista
anch’essa – lo studio dei percorsi di carriera (career patters) consiste
nell’analisi delle modalità con le quali i lavoratori si muovono attraverso le
strutture di carriera nel corso del loro ciclo di vista lavorativa [Evetts 1992].
La ricerca ha in questa prospettiva il compito di individuare eventuali
differenti vie (routes) attraverso le quali un lavoratore può raggiungere una
determinata posizione [Brown 1982]. Ad esempio considerando una tipica
carriera progressiva realizzata interamente nell’ambito di grandi
organizzazioni burocratiche vi sono almeno due modalità di percorso
(pathways) differenti: la prima, che l’autore definisce carriera organizzativa,
si realizza nell’ambito di una sola organizzazione datoriale, e la seconda che
assume la denominazione di carriera occupazionale, nella quale invece il
lavoratore si muove tra più datori di lavoro.
Un secondo compito tipicamente assunto dalla ricerca sui career
patterns è quello di individuare come lavoratori con differenti caratteristiche
giungono a differenti posizioni e livelli delle strutture di carriera [Hilsum,
Start 1974]. Lungo questa prospettiva – sottolineano Gunz [1989] e Evetts
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[1992] – la ricerca sui percorsi di carriera si legano ad approcci di analisi più
macro come gli studi di demografia economica e di mobilità occupazionale.
Un importante ampliamento di orizzonte si è avuto anche in direzione
micro con lo sviluppo di modelli socio-psicologici che descrivono stadi e
regolarità dei processi di costruzione delle carriere. Nella loro prima
formulazione Super [1957] individuava tre stadi o fasi fondamentali age-
related dello sviluppo di carriera (esplorazione, consolidamento,
mantenimento). I successivi progressi negli studi di psicologia evolutiva
della vita adulta [Erikson 1963] hanno contribuito, che ha contribuito in
maniera decisiva a raffinare i modelli di career timetables [Roth 19871; Hall
1976; Levinson et al. 1978] e a porre la dovuta attenzione alle differenze di
genere [ad esempio Levinson 1986]. Con riferimento soprattutto alle donne
tali studi hanno sottolineato il rapporto dinamico, nel corso del ciclo di vita,
esistente tra impegni ed obiettivi lavorativi ed extralavorativi, e l’incidenza
di eventi extralavorativi – tipicamente la maternità – sullo sviluppo delle
carriere [Cytrymbaum, Crites 1989; Gallos 1989]. Più in generale questo
approccio ha avuto un ruolo non secondario nel determinare la crisi
dell’impostazione struttural-funzionalista classica dello studio delle carriere
sottolineando come il rapporto tra dimensione oggettiva e soggettiva della
carriera non sia riducibile ad una semplice questione di matching tra
personalità e struttura e debba essere invece tematizzato in termini dinamici,
cogliendo l’evoluzione dell’approccio al lavoro nelle diverse fasi della vita
[Arthur, Lawrence, Hall 1989].
Al livello individuale di analisi lo studio sulle carriere può contare su
una lunga e illustre tradizione le cui origini Evetts [1992] individua negli
esperimenti condotti nello stabilimento Hawthorne da Majo e colleghi
[Roethlisberger, Dikson 1939] sull’influenza delle relazioni informali in
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ambito lavorativo. Come è noto quelle pionieristiche ricerche rivelarono
come i lavoratori si attivassero per costruire autonome formazioni sociali in
grado condizionare o addirittura stravolgere le finalità manifeste delle
organizzazioni e delle strutture formali. Nell’ambito della ricerca sulle
carriere lavorative tale approccio si tradusse nello studio della prospettiva
dell’attore individuale (career builder). Si hanno in proposito due filoni
principali di ricerca. Il primo si concentra, a partire dall’opera di Hughes
[1937 e 1958], il più autorevole dei sociologi del lavoro della Scuola di
Chicago, sullo studio della dimensione soggettiva della carriera (subjective
career), il secondo invece adotta l’approccio della scelta razionale per
studiare le strategie degli attori in carriera (career stategies).
La dimensione soggettiva della carriera, secondo una citatissima
definizione di Hughes, consta in
“the moving perspective in which the person sees his life as a whole and interpretsthe meaning of his various attributes, actions and the things which happens to him”[Hughes 1958: 63].
Poiché sono gli individui, attraverso la loro attività interpretativa, a
definire, e quindi costruire, il mondo sociale, Hughes rifiuta la visione
funzionalista che costringe l’azione individuale in “gabbie strutturali”: è più
corretto riconoscere che il rapporto tra azione e struttura è mediato dai
processi di interazione sociale. La stessa “carriera soggettiva” appare in
definitiva un prodotto dell’interazione sociale. Essa infatti matura in
relazione ad un gruppo di riferimento che condivide una comune definizione
di progressione, i criteri per valutarla, una terminologia ed un orizzonte
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culturale (o, meglio, subculturale) per definire la propria identità e il senso
del proprio ruolo [Hughes 1937: 413]1.
Un importante contributo dell’opera di Hughes, e di quella di altri
sociologi della Scuola di Chicago (che tuttavia non raggiunse lo stesso
livello di consapevolezza teorica e metodologica), è l’ampliamento del
campo di applicazione del concetto di carriera, che nell’accezione estesa
giunge ad indicare ogni progresso conseguito nel quadro di una successione
di esperienze di apprendimento di ruolo tra loro collegate [Hughes 1958]. Se
questa definizione ha aperto, come è noto, al proficuo impiego del concetto
di carriera in ambiti diversi da quello lavorativo, essa è stata forse ancora più
utile per la sociologia del lavoro perché ha stimolato l’applicazione del
concetto anche ai percorsi lavorativi che non si esaurivano nelle strutture
burocratiche.
L’approccio di studi sulla carriera soggettiva ha stimolato numerose
ricerche empiriche sui vissuti individuali che hanno confermato –
coerentemente con quanto rilevato dagli studi psico-sociali già citati –
l’intuizione originaria di Hughes sulla dinamicità della prospettiva
soggettiva, anche in presenza di una carriera oggettiva stabile, prevedibile e
regolare [Evetts 1992]. L’analisi della dimensione soggettiva ha inoltre reso
manifesto quanto risulti artificiosa la separazione analitica tra ambito
lavorativa ed extralavorativa, e in particolare come strategie e progetti di
carriera – intesi nel senso più ampio di una ricerca di una progressione
favorevole all’individuo – considerino congiuntamente traguardi
professionali ed obiettivi relativi ad altre sfere di vita. 1 Questa raffinata concezione della carriera come prospettiva di osservazione dinamica e
privilegiata dell’incontro tra attore e struttura farà di Hughes l’autore “classico”preferito dagli studiosi delle carriere che a partire dalla fine degli anni settanta
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Un secondo approccio che assume il punto di vista dell’attore si
prefigge l’analisi della percezione soggettiva dei vincoli e delle opportunità
alla propria azione, e di come gli individui elaborino corsi di azione per
affrontare la situazione problematica così rappresentata. Muovendosi in
questa prospettiva alcuni autori hanno applicato l’apparato analitico
elaborato nell’ambito degli studi sui comportamenti strategici con l’obiettivo
di individuare regolarità nelle logiche di azione (strategic patterns) in
relazione a determinate strutture di vincoli e opportunità e dotazioni di
risorse e definiti obiettivi di carriera [Woods 1983; Crow 1989]. Come
osserva Evetts [1992: 12] l’approccio strategico ha avuto il grande merito di
mostrare come l’attore individuale sviluppando strategie agisca attivamente
e creativamente per piegare ai suoi fini definite strutture di carriera piuttosto
che adattarsi passivamente ad esse. Ma se tale approccio ha contribuito
anch’esso a superare definitivamente la tradizionale sottovalutazione del
ruolo dell’azione dell’attore in carriera in rapporto alle strutture definite,
esso ha trascurato quello giocato dall’azione collettiva nel ridefinire le
strutture di carriera stesse, cioè il set di vincoli, opportunità e risorse nel
quale l’attore in carriera sviluppa la propria strategia individuale. Gunz
[1989] e altri ricercatori hanno riconosciuto questi limiti e hanno tentato di
sviluppare raffinati modelli che ammettano la possibilità di una
modificazione della struttura, ma permangono ancora difficoltà sostanziali
nello spiegare il cambiamento strutturale utilizzando gli strumenti analitici
dell’approccio strategico.
intendono superare la tradizionale separazione tra i livelli di analisi individuale eorganizzativo [Barley 1989].
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3. Lo studio del corso di vita
La sociologia del corso di vita ha la sua origine nella sociologia dell’età
[Saraceno 2001] ponendosi come sintesi dei due indirizzi di ricerca nei quali
quest’ultima di articolava, le teorie della stratificazione per età e l’approccio
demografico di coorte da un lato e la tradizione di studi sulle carriere, non
solo e non tanto quelli sulle carriere lavorative, quanto quelli sui percorsi e
meccanismi, mediati e costretti da vincoli istituzionali, in base ai quali i
soggetti costruiscono la percezione della propria identità sociale [Idem: 27].
L’approccio del corso di vita si propone di interpretare le transizioni
individuali come parte di un processo continuo di mutamento storico
connettendo biografie individuali e comportamento collettivo. [Hareven,
Adams 1982: 7]. In questa prospettiva il mutamento sociale è posto in
relazione con i modelli di corso di vita individuale legando le dimensione
micro e macro, e integrando metodologie qualitative e quantitative.
Come Saraceno [2001: 28] sottolinea, come la stessa scelta del termine
“corso”, contrapposto a quello di “ciclo”, è indicativo di una precisa opzione
teorica che pone l’accento sulla continuità dello sviluppo e del cambiamento
nella vita individuale. Le fasi della vita sono concepite come costruzioni
successive, esiti di processi di accumulo e integrazione di esperienze il cui
esito sull’equilibrio individuale non è mai scontato. Di conseguenza lo
studio del corso di vita pone l’attenzione non sulla definizione delle fasi di
vita ma sui percorsi, e gli tra le diverse linee di carriera o traiettorie di cui si
compone la biografia individuale. Ciò comporta, esito importante ai nostri
fini di ricerca, che l’approccio del corso di vita non si limiti allo studio di
una particolare traiettoria o carriera di vita, ma al modo con il quale questa
interagisce e si intreccia con quelle relative ad altre sfere di vita. Le
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traiettorie o carriere non possono infatti essere concepite come isolate le une
dalle altre ma come interdipendenti e intersecatesi. E ciò non solo in
relazione alle diverse sfere di vita del singolo individuo ma anche tra questi
e i suoi altri significativi, come l’analisi delle carriere lavorative di una
coppia rende evidente. Le modalità in cui le traiettorie si compongono,
iniziano e finiscono danno luogo a strutture di vita [Levinson 1978],
costrutti dinamici in continuo itinere, ma essenziali per la costruzione e la
rappresentazione dell’identità individuale. Lo studio dei corsi di vita così
concepito implica la necessità di coniugare tre approcci di ricerca che
solitamente vengono tenuti distinti: l’analisi dei modelli normativi e
istituzionali relativi alle diverse fasi e traiettorie dei corsi di vita, l’analisi
dei percorsi comportamentali e dei life events basata su dati longitudinali
quantitativi, l’analisi qualitativa delle storie di vita e dei modi soggettivi di
definizione della realtà [Saraceno 2001].
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4. La convergenza tra le due prospettive di ricerca
A partire dagli anni settanta la tradizione dei career studies vive una
fase di profonda revisione dell’approccio di analisi che l’ha portata a
riformulare completamente i propri schemi interpretativi e che ha portato ad
un sostanziale allineamento tra la propria prospettiva teorica e di ricerca e
quella degli studi dei corsi di vita. La crisi del vecchio paradigma-guida
degli studi di carriera, pazientemente costruito nel corso degli anni
cinquanta e sessanta attraverso una sapiente integrazione dei contributi
provenienti dai diversi ambiti disciplinari, si consuma per effetto di una
crescente insoddisfazione degli studiosi in relazione a due aspetti
caratterizzanti l’approccio tradizionale: l’assunzione che le dinamiche
evolutive nell’ambito della sfera lavorativa obbedissero principalmente a
logiche endogene a tale sfera di vita (la carriera tipo considerata dai modelli
di carriera era infatti quella del male bread winner, il maschio adulto
capofamiglia occupato a tempo pieno con contratto a tempo indeterminato);
la separazione tra il livello di analisi organizzativo (meso) e quello
individuale (micro).
Si afferma infatti rapidamente intorno alla metà degli anni settanta un
nuovo approccio allo studio delle carriere orientato allo studio delle
dinamiche di carriera individuali (the New Career Development
Perspective), che insiste proprio sui due punti sopra indicati.
Si avverte infatti la necessità di dotarsi di modelli più adeguati del
processo di matching tra azienda e lavoratore che siano in grado di tenere
conto:
- della crescente variabilità degli approcci al lavoro e dei livelli di
coinvolgimento relativi al lavoro stesso e alla carriera,
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- del mutare degli stessi nel corso dei diversi stadi dello sviluppo della vita
famigliare e individuale
- ed infine della crescente variabilità che essi manifestano in funzione del
differenziarsi crescente delle condizioni di lavoro [Bailyn, Schein 1972 e
1976; Bailyn 1977]
L’utilità pragmatica di concentrare l’attenzione ed approfondire lo
studio del link tra individuo e organizzazione diverrà a partire dalla metà
degli anni ottanta piena consapevolezza teorica – anche per effetto della
diffusa percezione che le concrete carriere stavano mutando profondamente
– della necessità le unire le prospettive di ricerca di livello micro e meso,
dando luogo a diversi modelli di integrazione [Arthur, Hall, Lawrence 1989;
Barley 1989; Evetts 1992].
La New Career Development Perspective insiste anche, come abbiamo
detto, sulla necessità di integrare l’analisi della carriera lavorativa con quella
che si sviluppa nelle altre sfere della vita. Con lo slogan “Encourage
Analysis of the Total Person” [Schein 1978] si diffonde così un nuovo un
nuovo indirizzo di ricerca sulle carriere lavorative che si allinea al nascente
approccio allo studio dei corsi di vita e che, nelle intenzioni dei promotori,
rappresenta una svolta indispensabile per comprendere i mutamenti che si
osservano – siamo negli Stati Uniti di fine anni settanta – sul mercato del
lavoro e all’interno delle aziende. In saggio dall’emblematico titolo “The
Shape of Things to Come” ecco come tre dei suoi principali esponenti
presentano i caratteri fondamentali della nuova tendenza:
The career development perspective encourages one to
consider the total person who comes to work. In practice this
point of view means that we must consider how activities related
to self-development, career development, and family
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development interact throughout the entire life span of that
person. Such a concern with the total person has become
especially important in recent years because of societal value
changes about the meaning and importance of work, how work
and family concerns should interact, how one should measure
one’s success in life, the proper role of husbands and wives in
dual careers, the importance of having children, how to care for
them, and so on (Van Maanen, Schein, Bailyn 1977).
Dal passo citato risulta evidente l’influenza che sulla riflessione degli
autori stanno esercitando i cambiamenti che sempre più distintamente si
osservavano nei concreti percorsi lavorativi. In primo luogo la crescente
presenza femminile sul mercato del lavoro e soprattutto della
consapevolezza che la comunità di studi raggiunge di questo fenomeno
grazie all’impegno delle ricercatrici di orientamento femminista. In secondo
luogo i processi di differenziazione/destrutturazione dei percorsi lavorativi e
il conseguente affacciarsi di nuove forme di lavoro e di occupazione che
produrranno inedite categorie di lavoratori complessivamente ricomprese
nella definizione negativa di non-standard workers e che vanno dai
knowledge workers, ai contingent workers fino alla temporary workforce.
[Arthur, Inkson, Pringle 1999].
18 Traiettorie di lavoro atipico
5. La ricerca
La letteratura, di cui abbiamo dato una sintetica rassegna, fornisce
importanti indicazioni per la predisposizione del disegno di una ricerca che
abbia per obiettivo lo studio dei percorsi lavorativi e delle forme di
progressione di carriera che si realizzano nell’ambito del lavoro atipico. In
primo luogo per comprendere il senso del percorso lavorativo la letteratura
segnala l’utilità di ricostruire i corsi individuali nei principali ambiti di vita –
famigliare, residenziale, educativo. In secondo luogo le più recenti tendenze
di ricerca perseguono l’integrazione tra dati qualitativi e quantitativi,
inerenti i primi alla biografia individuale e i secondi al percorso
oggettivamente compiuto dagli attori.
La ricerca di cui in questa sede presentiamo i primi risultati tenta di
recepire queste due indicazioni ritenendole indispensabili per comprendere il
fenomeno lavoro atipico nei termini prospettiva di corsi individuali. Il
disegno di ricerca predisposto si caratterizza come un “panel qualitativo”,
centrato quindi sul cambiamento nel tempo delle attribuzioni di senso dei
soggetti circa il loro vissuto in relazione al percorso lavorativo, ma al tempo
stesso a ricostruire con accuratezza le condizioni e percorsi oggettivi nei
quali tali rappresentazioni soggettive sono maturate.
Fattivamente la ricerca consiste nell’intervistare una seconda volta 70
lavoratori atipici (nello specifico parasubordinati o “autonomi di seconda
generazione”) occupati nell’area metropolitana torinese già intervistati agli
inizi del 2000 nell’ambito del progetto europeo Moriana [AASTER 2000].
In occasione della prima intervista, di tipo semi-strutturato, si era
provveduto a ricostruire in dettaglio le origini sociali del soggetto, la
condizione lavorativa, reddituale e famigliare, le caratteristiche del mercato
Traiettorie di lavoro atipico 19
del lavoro del settore nel quale operava, il rapporto con istituzioni pubbliche
e rappresentanze collettive degli interessi, le risorse relazionali e soprattutto
i percorsi educativo/formativo e lavorativo, le esigenze di tutela, le
valutazioni degli intervistati sulla propria condizione nonché i progetti per il
futuro a breve-medio termine. La seconda rilevazione si propone di
ricostruire, a distanza di due anni e mezzo, la condizione e i percorsi
oggettivi nonché di registrare nuovamente valutazioni e i progetti di vita
dell’intervistato (in questo caso non solo di vita lavorativa ma anche
famigliare e relazionale), e infine di chiedere al soggetto una valutazione
sulla rappresentazione che di esso e dei propri progetti aveva fornito nel
corso della prima intervista.
Vediamo più in dettaglio i diversi aspetti. Il campione risulta costituito
da 87 soggetti che nella prima metà del 2000 risultavano occupati nell’area
metropolitana torinese come lavoratori parasubordinati o con contratto di
prestazione occasionale o come lavoratori autonomi. In quest’ultimo caso si
trattava di lavoratori indipendenti riconducibili all’ambito del cosiddetto
“lavoro autonomo di seconda generazione” [Bologna, Fumagalli 1997], con
esclusione quindi delle figure autonome tradizionali quali i commercianti,
gli artigiani e gli occupati nelle professioni liberali. La traccia di intervista
(vedi schema 1) era finalizzata ad esplorare l’intera esperienza lavorativa
dell’intervistato sia in termini oggettivi sia in termini soggettivo
(valutazioni, bisogni, progetti) con una prospettiva “ad ampio spettro” che
spaziava dalle mansioni lavorative alle esigenze di protezione sociale e di
rappresentanza degli interessi, alla quale era premessa la ricostruzione della
storia educativa e lavorativa dell’intervistato più la richiesta di informazioni
sulla propria condizione famigliare e sociale.
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Schema 1 – Punti della traccia di intervista della prima rilevazione
(Progetto Moriana)
Aspetti ‘strutturali’:La Famiglia di origineLa Famiglia attuale (stato civile)L’eventuale mobilità geografica dei soggettiIl percorso educativo
Il lavoro:Il passaggio scuola-lavoroIl primo lavoro: l’inizio della carrieraI successivi passaggi occupazionaliLe eventuali esperienze di disoccupazioneIl passaggio al lavoro indipendente (ex-dipendenti)
Il lavoro attuale:Il lavoro oggi: aspetti, pregi, limiti, problemi, difficoltà, requisiti, skills, bisogni easpettative.Il reddito
Il rapporto con il mercato:Il mercato come luogo in cui esercita l’attività: problemi, difficoltà, concorrenza,soddisfazioniLa scelta per un’attività ‘indipendente’. Occasioni di verifica.Il mercato del lavoro
Le risorse relazionali:Le risorse relazionali nell’ingresso nel mercato del lavoro (primo impiego)Le risorse relazionali nel passaggio al lavoro indipendenteLe risorse relazionali oggi: ruolo e rilevanza.Le abilità relazionali come aspetto dello ‘skill’ del lavoro indipendente.
Il rapporto con le istituzioni:Il rapporto con gli albi e/o gli ordini professionaliIl rapporto con lo Stato e le Amministrazioni (locali, territoriali, nazionali)Il rapporto con la rappresentanza: bisogni, aspettative, richieste, azioniintraprese.
Le garanzie socialiAspetti e rapporti con il sistema delle garanzie sociali: pensione, sanità,assicurazioniI bisogni rispetto al sistema delle garanzie socialiLe risposte date ai rischi sociali
Il futuro prossimo: aspetti, prospettive, problemi
Traiettorie di lavoro atipico 21
personalidel mercatodella professionedel mercato del lavoro (professionale specifico)del rapporto con le istituzionirispetto alle garanzie sociali
Il disegno della ricerca prevede una seconda ondata di interviste
(tuttora in corso) somministrate agli stessi 87 soggetti sulla base di una
nuova traccia che in parte riproduce quella originaria, in parte ne ridefinisce
e articola maggiormente alcuni punti e infine ne aggiunge di nuovi. Nello
specifico si è provveduto a precisare la traccia di intervista nella
ricostruzione del percorso lavorativo sulla base dell’obiettivo di ricostruire
le dinamiche di carriera. Ciò ha reso necessario una maggiore definizione
delle caratteristiche formali del rapporto di lavoro, le forme di progressione
realizzatesi nell’arco di ogni episodio lavorativo nonché l’accertamento di
una possibile struttura di carriera, ovvero l’accertamento dell’esistenza di
accordi tra lavoratore e datore di lavoro su eventuali progressioni (di vario
tipo) e della loro effettiva realizzazione. Punto importante ai fini della
ricostruzione delle dinamiche di carriera già presente nella prima traccia e
reinserito nella seconda con quale ulteriore specificazione è quello relativo
alle transizioni tra gli episodi lavorativi: in relazione ad esso l’obiettivo
principale è di fare emergere il carattere di necessità o di volontarietà delle
transizioni.
Due punti che è apparso utile inserire sono relativi ai progetti di vista
extralavorativa e alla valutazione dell’intervistato su quanto appaia agevole
o problematico conciliare i progetti in ambito lavorativo/professionale e
quelli della sfera extralavorativa. Infine come già anticipato si è ritenuto
utile inserire alla fine dell’intervista la richiesta di un commento sui progetti
che l’intervistato aveva esposto nel corso della prima intervista. Con questa
22 Traiettorie di lavoro atipico
richiesta il soggetto è chiamato a produrre un nesso tra due momenti della
sua carriera soggettiva, ovvero ad una ricostruzione di senso di estrema
utilità per esplicitare modalità e livello di consapevolezza con le quali
l’intervistato, confrontandosi con la propria progettualità alla verifica del
tempo, rappresenta e problematizza la propria identità di lavoratore in
termini dinamici.
Schema 2 – Punti della traccia di intervista della seconda rilevazione
La condizione famigliare, residenziale e abitativa
Il LavoroIl lavoro al momento della precedente rilevazioneI passaggi occupazionali
Per ogni episodio lavorativo:I contenuti del lavoroLa forma del rapportoIl datore di lavoroIl compenso/salario/stipendioSviluppo di carriera nel corso dell’evento lavorativoStrutture di carriera definite (concordate, promesse, ecc.) da o con lacommittenza all’inizio e nel corso dell’evento lavorativoLe transizioni
Solo per gli episodi lavorativi ancora in corso:Bisogni, richieste e aspettative
Le (eventuali) esperienze di disoccupazione
La formazioneGli eventi formativi/educativiI bisogni formativi
Il rapporto con il mercatoLa rappresentazione che l’intervistato ha del mercato in cui esercital’attività: caratteristiche, problemi, difficoltà, concorrenza Accreditamento delle competenze professionali e reputazione
Le risorse relazionaliLe risorse relazionali: ruolo e rilevanza
Il rapporto con le istituzioni
Traiettorie di lavoro atipico 23
Il rapporto con gli albi e/o gli ordini professionali e associazioni professionali
Il rapporto con lo Stato e le Amministrazioni (locali, territoriali, nazionali)Il rapporto con la rappresentanza: bisogni, aspettative, richieste, azioniintraprese
La percezione del rischio e le esigenze di protezione socialeIl problema della sicurezza e delle garanzie socialiLa risposta che l’intervistato ha dato ai rischi sociali
Il futuro prossimo: aspetti, prospettive, problemiRappresentazione del futuro del settore e del mercato del lavoro Rappresentazione del futuro in relazione alla dimensione del rischio e delleprotezioni socialiProgetti in ambito lavorativoProgetti in ambito extralavorativoValutazione su compatibilità tra progetti in ambito lavorativo edextralavorativo
Il confronto con il passato
Nella seconda rilevazione la seduta non si esaurisce con l’intervista
semistrutturata, ma segue una seconda fase che finalizzata ad una
ricostruzione dettagliata del corso di vita dell’intervistato nelle sue sfere
principali, ovvero educativo/formativa, lavorativa, famigliare, residenziale a
partire dall’anno in cui ha termine il corso regolare di studi. Questa seconda
sezione della sessione di intervista si è resa necessaria perché la storia di vita
lavorativa raccolta nel corso della prima e seconda ondata mediante lo
strumento dell’intervista semistrutturata, ha per obiettivo far emergere il
vissuto soggettivo del percorso lavorativo non una accurata rilevazione di
quest’ultimo. Quest’ultimo era tuttavia un obiettivo importante per la nostra
ricerca che ha uno dei suoi elementi qualificanti proprio nel confronto tra
carriera “interna”, ovvero il vissuto soggettivo, e la carriera “esterna”,
ovvero il percorso oggettivo compiuto dall’intervistato. Era necessario
impiegare una tecnica di rilevazione che permettesse di ottenere
24 Traiettorie di lavoro atipico
informazioni retrospettive accurate relative a diverse dimensioni di corso di
vita prevedibilmente molto segmentate, almeno in relazione al percorso
lavorativo. Sono ben note le difficoltà di ottenere retrospettivamente
informazioni affidabili, era quindi necessario porre una particolare
attenzione per elevare la qualità dei dati ricorrendo a specifici strumenti. Il
più opportuno ci è parso il Life History Calendar (LHC). Questo consta di
un foglio che contiene calendari relativi a diverse storie di eventi. Esso
appare in sostenza come una griglia con una dimensione della matrice che
definisce i diversi patterns comportamentali che devono essere indagati e
l’altra che viene suddivisa in unità di tempo (nel nostro caso il mese) e la cui
lunghezza copre l’arco temporale per il quale si intendono registrare gli
eventi intervenuti nelle diverse dimensioni oggetto dell’indagine.
L’intervistatore riempie le caselle della matrice con le informazioni fornite
dal rispondente producendo così una rappresentazione grafica degli eventi.
Vi sono diverse possibilità di integrare intervista o questionario e LHC. Nel
nostro caso abbiamo scelto una delle più comuni, e la più indicata per la
registrazione di percorsi particolarmente segmentati, che consiste
nell’accompagnare il calendario ad un breve questionario che registra con
poche domande i caratteri essenziali di ogni evento in modo da renderne
possibile la collocazione sul calendario stesso [Freedman, Thornton,
Camburn, Alwin, Young-DeMarco ].
Un LHC ha due fondamentali vantaggi nella raccolta di dati
retrospettivi. In primo luogo accresce la qualità del dato aiutando il
rispondente a porre in relazione, con l’ausilio della visualizzazione grafica,
il timing di eventi di diverso tipo. Ciò permette ad esempio di trarre
vantaggio dagli eventi che vengono ricordati con più accuratezza e più
prontamente – quali matrimonio, nascita dei figli, cambiamenti di residenza
Traiettorie di lavoro atipico 25
abitativa o di residenza geografica, ecc. – e intorno ai quali si organizza la
memoria degli altri eventi. La visualizzazione del calendario richiama
inoltre l’attenzione sia dell’intervistato che dell’intervistatore sulle eventuali
inconsistenze tra gli eventi di tipo differente. Il rispondente può infatti
utilizzare il calendario per avere sotto il proprio sguardo l’intero pattern del
corso di vita nelle sue diverse dimensioni per richiamare il timing degli
eventi con maggiore accuratezza.
In secondo luogo un LHC permette di registrare con più facilità
sequenze molto dettagliate di eventi di quanto sia possibile fare con un
questionario convenzionale. Infatti registrare date di inizio e fine di molti
episodi di breve durata può rivelarsi decisamente time-comsuming per
l’economia dei tempi di un’intervista, mentre con un LHC la registrazione
può essere fatta graficamente in molto meno tempo e molta meno difficoltà,
usando dei simboli per marcare le caselle di inizio e fine e connettendole
con linee per indicare una attività continuativa stesso [Freedman, Thornton,
Camburn, Alwin, Young-DeMarco ].
26 Traiettorie di lavoro atipico
6. Open coding. Raccolta dei dati e analisi
In questa sede si presenteranno e discuteranno i risultati relativi
all’analisi preliminare di circa un terzo del campione. Pur trattandosi solo di
una frazione del campione complessivo, la sua numerosità (23 soggetti)
appare comunque comparabile a quella di molte ricerche qualitative. Ma al
di là della rilevanza in termini sostantivi che l’analisi di tali casi comunque
possiede, la scelta di condurla risponde precisi criteri metodologici. Infatti,
in una ricerca a carattere esplorativo con una spiccata componente
qualitativa quale quella che si sta conducendo, appare opportuno superare la
tradizionale separatezza – nel quadro del processo di ricerca – tra la fase
della raccolta e quella dell’analisi del dato che vede la seconda seguire
necessariamente al completamento della prima [Gobo 2001; Silverman
2000]. Come è noto nella ricerca qualitativa è consigliabile che raccolta e
analisi procedano circolarmente mediante un’interazione reciproca. Sebbene
il disegna della ricerca che stiamo conducendo con contempli un feed-back
di una prima fase di analisi condotta sui dati raccolti su circa un terzo del
campione come è consigliato da molti autori nel caso della ricerca
etnografica [Glaser, Strauss 1967; Wiseman 1970; Spradley 1980; Strauss,
Corbin 1990; Gobo 2001], appare invece utile e applicabile l’indicazione
metodologica di avviare in prossimità appunto di terzo del campione
un’analisi avente spiccato carattere induttivo – definita open coding analysis
– finalizzata a far emergere le categorie rilevanti al fine di orientare
utilmente l’analisi da condursi considerando tutto il campione, un lavoro
interpretativo chiamato ad operare su una mole ben più ingente di dati (si
ricorda che si tratta di interviste qualitative caratterizzate da notevoli volumi
di testo), fase che risulta così sicuramente agevolata dalla presenza di
Traiettorie di lavoro atipico 27
concetti sensibilizzanti di provata consistenza empirica. A questa
considerazione di ordine metodologico se ne aggiunge una seconda di ordine
più pragmatico legata alle economie sui tempi della ricerca che è possibile
conseguire anticipando l’attività di analisi durante la fase di raccolta, la
quale come è noto comporta spesso considerevoli perdite di tempo a causa
definizione degli appuntamenti per le interviste.
7. Una definizione operativa di episodio lavorativo
L’analisi dei percorsi lavorativi si è rivelata molto complessa, come del
resto era prevedibile per una ricerca avente per oggetto il lavoro atipico. Si è
dovuta in primo luogo affrontare il problema di operativizzare il concetto di
episodio lavorativo, non facile data l’estrema eterogeneità dei rapporti di
lavoro atipico sia dal punto di vista qualitativo che della durata. In questa
sede si propone una prima soluzione, che si confronta dilemmaticamente
con il problema pragmatico del recupero mnemonico da parte del
rispondente e della sua registrabilità in sede di intervista, con quelli
metodologici dell’intelleggibilità e della parsimonia che impongono di
formulare una definizione non ambigua e che assicuri la computabilità degli
episodi e quindi la trattabilità al dato, e infine con l’esigenza – che deriva
dagli obiettivi di ricerca – di una definizione di episodio che salvaguardi il
più possibile, almeno negli aspetti rilevanti per l’orizzonte teorico di
un’indagine sulle dinamiche di carriera, la “ricchezza” del dato empirico
grezzo, fondata a sua volta sull’estrema eterogeneità dei rapporti di lavoro
che caratterizzano l’ambito del lavoro atipico.
28 Traiettorie di lavoro atipico
La definizione utilizzata si basa su quattro criteri che si basano su
altrettante caratteristiche del rapporto lavorativo. Il primo è quella della
forma occupazionale (dipendente, autonomo, parasubordinato, ecc.). Il
secondo criterio, è quello della forma contrattuale. Ovviamente il secondo
criterio si innesta sul primo specificando ulteriormente l’episodio come
rapporto lavorativo caratterizzato da determinate forma e durata
contrattuale. Per cui se quest’ultima si esaurisce, ad esempio per la scadenza
di un contratto di lavoro dipendente a tempo determinato, sarà conteggiato
un episodio anche se il rapporto di lavoro venisse immediatamente rinnovato
da parte dello stesso datore di lavoro con un altro contratto, ad esempio
nuovamente a tempo determinato, nel qual caso allo scadere di quest’ultimo
si conterebbero due episodi lavorativi, sebbene con lo stesso datore di
lavoro. Il terzo criterio è quello della durata temporale, con l’imposizione di
una soglia minima di estensione nel tempo perché la prestazione lavorativa
sia considerata episodio lavorativo. Questo criterio si rende necessario per
due ordini di motivi. Il primo è di ordine pragmatico ed è relativo al crescere
della difficoltà per il rispondente di ricordare gli episodi al ridursi della loro
durata con conseguente degradare della qualità del dato rilevato. Il secondo,
con riferimento particolare al lavoro indipendente e soprattutto autonomo, è
di ordine teorico ed è legato alle caratteristiche della prestazione lavorativa
in un dato ambito di attività. Se questa è caratterizzata da tempi ridotti – ad
esempio pochi giorni, come accade per molte commesse dei grafici
impaginatori e dei correttori di bozze – risulta non solo impossibile ricordare
ogni singola prestazione ma anche fuorviante dal punto di vista
interpretativo se questa venisse equiparata ad un episodio lavorativo. In
questi casi si è fondata la definizione operativa di episodio lavorativa su
forme di continuità differenti da quella contrattuale, ovvero la continuità dei
Traiettorie di lavoro atipico 29
contenuti della prestazione professionale, che risulta così il quarto criterio
della definizione operativa di episodio lavorativo utilizzata. In sostanza
qualora l’attività professionale si esplichi in frequenti commesse di durata
temporale inferiore ad una certa soglia, nello specifico di tre mesi, la durata
dell’episodio lavorativo coincide con quella della condizione occupazionale
autonoma con cui si svolge la professione.
Per entrambi i tipi di episodi lavorativi così definiti – il tipo
occupazional-contrattuale e quello occupazional-professionale – si è rilevato
anche il datore di lavoro o committente (o committenti principali). La
continuità del datore di lavoro o committente/i lungo un sequenza di episodi
lavorativi di tipo contrattuale o la presenza di un nucleo di committenti
stabili nel corso di un episodio di tipo professionale sono dato importanti per
la comprensione delle dinamiche del percorso lavorativa e delle progressioni
di carriera.
In sostanza, per riassumere, la definizione operativa di episodio
lavorativo risulta la seguente per le diverse forme occupazionali:
- nel caso del lavoro dipendente l’episodio coincide con il rapporto di
lavoro temporalmente definito dalla durata del contratto di lavoro se si
tratta di un rapporto a tempo determinato o da eventi di dimissioni e
licenziamento, messa in mobilità, prepensionamento, ecc se a tempo
indeterminato. Quindi se ad esempio l’intervistato è stato ad esempio
grafico con un contratto da lavoro dipendente a tempo determinato di
durata semestrale rinnovato una volta si è in presenza di due episodi
lavorativi da sei mesi ciascuno;
- nel caso di rapporto di collaborazione (coordinato continuativo o
occasionale) o lavoro autonomo l’episodio è definito dalla durata della
prestazione, oppure, se le commesse brevi (meno di tre mesi) sono
30 Traiettorie di lavoro atipico
frequenti e si succedono con regolarità con uno o più committenti, si
considera un solo episodio l’intero periodo durante il quale l’intervistato
svolge la medesima attività professionale.
8. I percorsi lavorativi
Se, sulla base della definizione operativa di episodio lavorativo fornita
nel paragrafo precedente si procede alla ricostruzione dei percorsi lavorativi
dei 23 soggetti, emerge evidente il dato di una elevatissima frammentazione
delle storie lavorative dei soggetti più giovani. Infatti il numero medio di
episodi lavorativi esperiti dagli intervistati con meno di 40 anni nel corso del
loro breve percorso lavorativo (sono tutti laureati o almeno diplomati, l’età
media è di circa 32 anni e tutti sono stati iscritti all’università frequentando
almeno un anno di corso) è quasi uguale a 9 (vedi tabella 1).
Tabella 1 - Età ed episodi lavorativi
Meno di 40 anni 40 anni e oltreIntervistati 16 7Episodilavorativi
143 51
Media episodiper intevistato
8,94 7,29
Età media 31,94 47,33
Traiettorie di lavoro atipico 31
Tabella 2
32 Traiettorie di lavoro atipico
Tabella 3 - Forme di lavoro esperite dagli intervistati con meno di 40 anni
Codiceinterv.
Sesso Età N° forme dilavoro
N° forme dilavoro
(PO=CCC)INT003 F 32 6 6INT010 F 31 4 3INT013 F 38 5 4INT019 M 37 4 4INT021 F 32 6 5INT026 M 29 4 3INT029 M 30 7 6INT033 F 30 3 2INT036 F 32 2 1INT041 F 35 4 3INT044 F 29 7 6INT049 F 30 2 2INT050 F 36 3 2INT092 M 35 2 2INT099 F 28 3 3INT111 F 27 2 2Media 31,9 4,0 3,4
Tale elevata segmentazione può solo in parte essere imputata alla
“sensibilità” della definizione operativa di episodio lavorativo che abbiamo
adottato: infatti quello che sorprende è l’elevata varietà delle forme di lavoro
esperita dai singoli soggetti (vedi tabelle 2 e 3), in media 4 per intervistato,
valore che scende di poco (3,4) se non si tiene distinta la forma della
collaborazione occasionale da quella coordinata continuativa per l’elevata
correlazione che manifestano nei singoli casi (vedi tabella 2). E altrettanto
elevato (5,8) è il numero medio di datori di lavoro / committenti, per di più
calcolato escludendo dal computo i due casi con un numero di prestazioni di
Traiettorie di lavoro atipico 33
breve durata e relativo un numero di committenti così elevati da non poter
essere ricordato dai due intervistati in questione.
A livello di tenue suggestione, vista l’estrema esiguità del numero di
soggetti con un’età di 40 anni e oltre, suggestione comunque utile in questa
fase preliminare della ricerca, si noti anche come il numero medio di episodi
sia sensibilmente più basso in presenza di un differenziale di età media di
oltre 15 anni. Inoltre è interessante osservare che in 5 su 7 i casi vi siano
episodi di lavoro dipendente a tempo indeterminato agli inizi della carriera
lavorativa e che episodi di questo tipo occupino gran parte della carriera
lavorativa in 4 casi su 7. Anche nella ristrettezza di questi pochi casi emerge
dunque con chiarezza la nota presenza di diversi modelli di ingresso nel
mondo del lavoro atipico e autonomo “di seconda generazione” in funzione
dell’età e della coorte di appartenenza e quindi del capitale umano e di
capitale sociale di tipo professionale2 accumulati e posseduti [Carroll, Mayer
1986].
E se è nota la dinamica dell’uscita dal mondo degli insiders “garantiti”
di attori ad alto livello di istruzione ed elevata professionalità in una fase
matura del proprio percorso lavorativo al fine di sfruttare la nuova “struttura
delle opportunità” [Barbieri 1999] che l’esperienza accumulata e le relazioni
costruite durante la carriera, meno lo è quella di giovani di altrettanto
elevato se non superiore livello di istruzione che hanno già superato la fase
di primo impatto con il mondo del lavoro e stanno costruendo la propria
identità lavorativa vivendo esperienze di lavoro atipico. E ad essi che
rivolgiamo dunque la nostra attenzione con una prima esplorazione del ricco
materiale qualitativo sulla storia lavorativa e dell’accurata registrazione dei
percorsi oggettivi degli intervistati.
2 Per la definizione di capitale sociale professionale si rimanda a Bianco [2001: 40-52].
34 Traiettorie di lavoro atipico
9. Il passaggio scuola-lavoro
Il passaggio scuola-lavoro è un fenomeno che è stato studiato a
ampiamente in prospettiva comparata, confrontando le istituzioni educative
dei vari paesi e le modalità di associazione tra qualificazioni e occupazioni
nonché gli esiti in termini occupazionali delle qualificazioni acquisite dagli
individui che si presentano sul mercato del lavoro, se possibile inserendo nei
modelli di analisi variabili come il genere e l’origine sociale [Shavit, Muller
1998]. Una ricerca qualitativa condotta su campione di piccole dimensioni e
non rappresentativo statisticamente come la presente si muove ovviamente
su un piano diverso, proponendosi di indagare i micro-meccanismi
costitutivi dei processi sociali che si osservano a livello macro e che possono
rivelarsi uno stimolante ausilio per l’interpretazione dei risultati delle analisi
suddette. Nel nostro caso il campione è costituito da soggetti aventi tutti un
elevato titolo di studio e, tranne nel caso dell’intervistato più anziani, tutti
con esperienza di studi universitari, sebbene non sempre conclusi. Nel
campione di intervistati si possono distinguere due diverse modalità di
passaggio tra studi universitari e ingresso nel mondo del lavoro, strettamente
legate ad altrettante modalità di condurre gli stessi studi universitari.
La prima modalità vede una chiara divisione tra fase dello studio e fase
del lavoro, è caratterizzata da un corso di studi universitari nel quale prevale
una sostanziale continuità, anche nel caso in cui questi durino qualche anno
in più del corso legale previsto. In questo caso durante il periodo dedicato
all’istruzione universitaria, gli individui hanno esperienze lavorative molto
contenute, per lo più in nero o a collaborazione occasionale, spesso limitate
al fine settimana o a ben delimitati periodi dell’anno, come quello natalizio
o estivo. Il lavoro ha l’obiettivo di fornire modesti introiti per le spese
Traiettorie di lavoro atipico 35
personali nel quadro di un sostentamento economico garantito dalla
famiglia. Questi piccoli “lavoretti” sono comunque subordinati alle esigenze
e alle scadenze dello studio. Questo modello di rapporto tra l’attività
principale – lo studio – e quella secondaria – i “lavoretti” – permane stabile
sino alla laurea, o almeno fino alla fine degli esami. Conseguita la laurea
inizia una fase di riorientamento dell’intervistato verso l’obiettivo della
ricerca di un lavoro e dopo qualche mese iniziano le prime esperienze
lavorative, siano o meno quelle auspicate dall’intervistato. Con la fine
dell’università si chiude generalmente anche l’esperienza dei lavoretti e
inizia una fase di esplorazione sul mercato del lavoro a cui segue un
processo di “instradamento” verso un’attività professionale o più attività
complementari e affini.
La seconda modalità vede invece una sorta di “confusione” tra fase
dello studio e fase del lavoro. Questa modalità è caratterizzata da una o più
importanti interruzioni del corso di studi determinate da diverse cause e
ragioni, in diversi casi compresenti: un problematico impatto con il mondo
universitario, un progressivo venir meno dell’interesse per lo studio in
generale o per lo specifico ambito di studi, l’emergere di difficoltà
economiche, la pressione di genitori che supportano limitatamente la scelta
di studiare, la ricerca di autonomia personale che diventa pressante e quindi
di una maggiore disponibilità economica, la distanza geografica dalla
famiglia e l’ingresso in un nuovo mondo di relazioni che ridisegna interessi
e progetti. Dalla crisi nei confronti dello studio o delle condizioni materiali
di supporto alla condizione di studente possono seguire esiti differenziati. Il
primo è l’abbandono netto e la ricerca di un lavoro alla stregua di un
semplice diplomato. Il secondo è uno spostamento di tempo e energie dallo
studio ad un’attività lavorativa ad esso legata (ad esempio illustratore per
36 Traiettorie di lavoro atipico
uno studente di Belle Arti, disegnatore per un architetto). Il corso di studi
viene rallentato o interrotto ma vi sono per diverso tempo grandi resistenze
soggettive ad abbandonarlo e in qualche caso a distanza di anni si consegue
la laurea, spinti anche dall’esigenza di esibire credenziali educative adeguate
in campo professionale e da un’esigenza psicologica di chiudere un
“elemento in sospeso” della propria vita. Il terzo esito è il più complesso e
problematico nei suoi effetti a medio termine e quindi su di esso ci
soffermeremo maggiormente. In questo casi le risorse di attenzione dedicate
ai “lavoretti” aumentano, mutando progressivamente la natura degli stessi da
ausiliaria a dominante nell’economia dei tempi di vita del soggetto, mentre i
progetti che motivano questa trasformazione divengono a più a breve
termine e sempre più legati al bisogno di maggiore autonomia (“non volevo
più dipendere dai miei come prima”, “volevo prendermi una stanza da solo,
ma non volevo chiedere altri soldi ai miei”) giustificando la necessità di un
maggior impegno lavorativo. La relativa facilità per gli studenti universitari
di trovare occupazioni in alcuni settori dei servizi (cameriere, commessa,
standista, modella, istruttore sportivo, produttore libero, ecc.) in nero o con
forme di lavoro molto flessibili e quindi poco impegnative in termini
psicologici producono un offuscamento graduale da una percezione di sé
come studente in favore di quella di persona che “deve” lavorare, evitando
così di pagare il costo psicologico dell’abbandono degli studi. La mancanza
o la debolezza del progetto però dopo qualche tempo si manifestano e
provocano delle “ripartenze” sul fronte degli studi che possono avere
successo e condurre alla laurea o portare al contrario al tentativo di elaborare
un progetto sul fronte del lavoro, con la ricerca di un’occupazione che
risponda in qualche modo ai propri interessi e alle proprie aspettative
reddituali. L’attività esplorativa tuttavia risulta più lunga e più dispersiva
Traiettorie di lavoro atipico 37
che negli altri casi e gli esiti più casuali, e il processo di instradamento più
difficile e meno stabile.
10. L’analisi di un caso
Il percorso lavorativo rappresentato nel grafico 1 fornisce un esempio
di questo tipo di esito. L’intervistata è figlia di genitori divorziati (una
famiglia di ceto medio-alto che però ha conosciuto una fase di serie
difficoltà economiche) e riceve un limitato supporto economico dal padre
nei primi anni degli studi universitari. L’esigenza di integrare il proprio
reddito la porta dapprima ad un impegno lavorativo molto contenuto come
modella (in nero) e quindi ad oneroso (in termini di tempo e energie) lavoro
come cameriera in una birreria (sempre in nero), che però le permette di
guadagnare a sufficienza (un milione di lire al mese) per conquistare la
possibilità di affittare da sola un alloggio. Riesce però a destinare poche
energie allo studio. La rete di amicizie che ha instaurato con altri studenti
universitari le permette di trovare un lavoro meno faticoso, un po’ meglio
retribuito e più interessante come operatrice grafica al computer per il
montaggio di audiovisivi, un lavoro vagamente affine al suo corso di studi,
che tuttavia si rivela modesto nei contenuti professionali ed essenzialmente
esecutivo. Dopo quasi sei mesi in nero, viene assunta con un contratto di
formazione biennale, che però allo scadere non si trasforma in assunzione a
tempo indeterminato. L’intervistata non riesce a trovare un altro lavoro e
deve quindi tornare a dividere un appartamento con altri. Ottiene un
supporto economico questa volta dalla madre e dopo una crisi decide di
38 Traiettorie di lavoro atipico
riprendere gli studi universitari per terminarli. Nel frattempo integra il
Traiettorie di lavoro atipico 39
Inserire grafico
40 Traiettorie di lavoro atipico
contributo materno con saltuari lavoretti come standista. Dopo circa un anno
e mezzo, nonostante un certo progresso negli studi, vive però un’altra
profonda crisi di identità e si iscrive ad un corso di formazione professionale
per disoccupati promosso dalla CISL in Comunicazione multimediale, dove
apprende i rudimenti della programmazione Html, che coltiverà poi
formandosi autonomamente sui manuali. Le credenziali formative del corso
non le permettono di trovare direttamente un lavoro nel settore e presa da
una profonda crisi accetta un lavoro offerto da suoi amici (compagni di
università) come addetta di pulizie in una cooperativa sociale part-time.
Sempre attraverso la stessa rete di amicizie trova infine i successivi contatti
che le permettono di trovare lavoro congruo al percorso formativo compiuto
e di dare un contenuto e un minimo di stabilità alla propria identità
lavorativa.
Questo è un caso nel quali appaiono evidenti i costi di medio-lungo
termine di un debole supporto economico e motivazionale durante la fase
degli studi universitari nonché di una mancanza di una struttura di vincoli e
incentivi che eviti una deviazione verso obiettivi a breve termine, come
l’autonomia residenziale, tipici della subcultura giovanile [Saraceno 2001]
o, come affermano gli psicologi dello sviluppo, della fase tardo-
adolescenziale del ciclo di vita. Sebbene quello presentato costituisca un
caso limite tra quelli presi in esame, vi sono altri cinque casi che presentano
significative analogie. A differenza di quello analizzato, l’origine sociale dei
soggetti è la classe operaia ma anche in essi si riproduce lo stesso schema:
limitato supporto motivazionale ed economico da parte della famiglia,
trasferimento di energie dallo studio ai lavori flessibili, che nel tempo si
trasformano da risorsa per affrontare una situazione critica in “gabbia” che
Traiettorie di lavoro atipico 41
ostacola la fase di instradamento verso una condizione occupazionale stabile
e professionalmente definita.
11. La ricerca di nuove opportunità e le transizioni lavorative
Gli studiosi delle carriere tradizionalmente definiscono la fase di
ingresso nel mondo lavorativo “fase dell’esplorazione”, una fase in un certo
senso preliminare nella quale il giovane conosce e costruisce sé stesso come
lavoratore attraverso le prime esperienze lavorative [Schein 1978], la cui
successione non deve necessariamente possedere una dinamica di
progressione, in quanto risponde a logiche più profonde legate ai personali
meccanismi di costruzione identitaria [Arthur, Inkson, Pringle 1999].
Tuttavia al di là dell’accento sulla variabilità individuale, i testi tendono poi
a ridurla essenzialmente al minimo, considerando solitamente due tipi ideali
di condotta. Un approccio “chiuso” o vocazionale, che delimita fortemente il
campo di sperimentazione del soggetto, e un approccio “aperto” o
sperimentale, che all’opposto si concede esperienze lavorative eterogenee,
che si lascia tentare e indulge al richiamo della novità. Sulle determinanti
sociologiche dei due approcci o del passaggio del primo al secondo esiste
una significativa letteratura, alla quale si rimanda, basti ricordare che la
diffusione della nuove forme di lavoro flessibili è considerato uno dei fattori
causali più importanti delle teorie che tentano di spiegare il crescente
successo dell’approccio “aperto” o vocazionale [Arthur, Inkson, Pringle
1999; vedi anche Galland 2001]. Più interessante ai fini esplorativi è
riflettere, con l’ausilio dei casi empirici di cui si dispone, su se e come si
realizzi nell’ambito del lavoro atipico la fase successiva della early career,
42 Traiettorie di lavoro atipico
quella definita da Schein “gaining full membership”, cioè la fase di
inserimento nella comunità organizzativa o professionale. Una risposta
esaustiva a tale interrogativo esula dagli obiettivi del presente lavoro, il cui
fine come abbiamo detto è trovare stimoli utili per una successiva e più
esaustiva fase di analisi.
Poiché come abbiamo visto per i lavoratori più giovani gli episodi
lavorativi sono tendenzialmente brevi e la “fedeltà” del datore di lavoro è
tendenzialmente bassa, il problema di un consolidamento della posizione
lavorativa si traduce da un lato nell’essere inseriti e accettati come membro
trovare l’accesso alla rete di relazioni che legano i membri di una comunità
professionale nella quale circolino reputazione e informazioni sulle “buchi”
nella struttura occupazionale della specifica comunità organizzativa o
professionale e dall’altro nel fidelizzare il/i committente/datore/i di lavoro.
In relazione a questa problematica i casi analizzati evidenziano l’emergere
di alcuni elementi ricorrenti.
Il primo è relativo all’accesso alla rete che veicola informazioni utili.
L’accesso alla rete di rilevanza per il soggetto avviene in modo che appare
differenziarsi per origine sociale. In particolare i figli di operai (10 casi su
10) vi giungono essenzialmente attraverso i contatti attivati dagli istituti
formativi e quindi attraverso reti para-professionali alle quali hanno accesso
secondo regole universalistiche. In un solo caso e per un solo episodio
lavorativo, per di più di tipo difensivo, si utilizza capitale sociale famigliare,
di tipo diretto (dopo un periodo di disoccupazione un’intervistata è andata a
lavorare per la sorella come aiuto-parrucchiera nel negozio di questa). Per i
figli di membri del ceto invece la possibilità di ricorrere al capitale sociale
famigliare è diffuso, e si verifica in particolare nel caso di fasi critiche (ad
esempio dopo un periodo di disoccupazione o per compiere un salto di
Traiettorie di lavoro atipico 43
qualità nella rete delle relazioni professionali): infatti su 13 soggetti 5
utilizzano in questo modo capitale sociale e altri 3, dato interessante, pur
avendone la possibilità, rifiutano espressamente di farvi ricorso. Che vi sia
una differenza basata sull’origine sociale nelle modalità e possibilità di
accesso alla rete delle relazioni professionali significative è un’ipotesi
ragionevole se si considera che si tratta in tutti i casi di professioni a media-
elevata qualificazione e che le reti sociali sono tendenzialmente di tipo
orizzontale, sia in ambito professionale che parentale-amicale.
Il secondo è relativo a meccanismi di scambio tra livello di garanzia e
copertura offerte dalle soluzioni contrattuali e opportunità di accrescere il
proprio capitale umano e sociale. Come si può vedere dalla tabella 2
addirittura in 3 casi un lavoratore ha accettato di fornire addirittura una
prestazione lavorativa a titolo gratuito pur di accedere ad un “ambiente” che
potesse assicurargli crescita professionale o l’ingresso ad una rete di
relazioni da cui era escluso3.
Naturalmente non sempre la posta in gioco è cumulativa per il
lavoratore: ad esempio in mancanza di altre opportunità può trovarsi
costretto ad accettare un rapporto di lavoro in nero dopo aver lavorato come
dipendente o collaboratore coordinato continuativo (vedi grafico 1). In
sostanza il lavoratore atipico si trova impegnato a strutturare un percorso
lavoratori le cui due dimensioni principali della progressione di carriera
(sicurezza occupazionale e crescita professionale) non procedono
necessariamente in modo congiunto come avveniva con le tradizionali forme
di lavoro. In questo senso appare decisiva il livello di stabilità di quello che
3 Da qui la scelta di considerare gli episodi di prestazione a titolo gratuito come episodi
lavorativo, Infatti benché non vi sia remunerazione in termini monetari, e quindi incapitale economico, tuttavia vi è per il lavoratore remunerazione in termini di capitaleumano e capitale sociale.
44 Traiettorie di lavoro atipico
gli studiosi di carriera chiamano work context: nel caso della lavoratrice il
cui percorso lavorativo compare nel grafico 1 ad esempio, dopo una
sequenza di consolidamento (episodi 8, 10, 11) caratterizzati da
progressione sia della durata contrattuale che del grado di copertura della
forma contrattuale (lavoro nero, prestazione occasionale, collaborazione
coordinata continuativa), ricade, sempre con lo stesso datore di lavoro nella
situazione iniziale (lavoro nero): la lavoratrice vede tradursi rapidamente in
una modificazione prima in senso migliorativo e poi peggiorativo l’effetto
che l’andamento prima positivo e poi negativo del settore internet ha
sull’impresa che lo occupa e il suo potere contrattuale. È la componente
contributiva e fiscale della retribuzione il polmone su cui si scarica la
variazione del potere contrattuale del lavoratore e dell’impresa, infatti per
tutta la durata del rapporto con l’impresa la lavoratrice riceva sempre la
stessa retribuzione netta (1.960.000 lire). Un ulteriore elemento tipico dei
meccanismi di “ingabbiamento” che abbiamo in questo scritto cercato di
analizzare è legato, nell’ambito delle nuove professioni e dei settori
innovativi – come quello dell’informatica – all’equilibrio dinamico tra ritmi
dell’innovazione e tempi di riproduzione/aggiornamento delle conoscenze.
Utilizzando ancora una volta il caso portato ad esempio, l’intervistata, pur
essendo perfettamente consapevole già agli inizi del 2000 della probabile
fragilità di una professionalità costruita sulla programmazione in linguaggio
Html e quindi dei rischi di ritrovarsi a medio termine con una competenza
inflazionata, non ha potuto destinare sufficienti energie, tempo e risorse
economiche per dedicarsi alla formazione nonostante avesse una chiara
visione di quali competenze andassero sviluppate per rimanere competitivi
sul mercato del lavoro di settore.
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