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RAPPORTO DI RICERCA / MARZO 2012 A2a, Hera, Iren Le utility del nord. Evoluzione e prospettive

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RAPPORTO DI RICERCA / MARZO 2012

A2a, Hera, Iren

Le utility del nord. Evoluzione e prospettive

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La ricerca è stata realizzata con il sostegno finanziario e il contributo tecnico

di EQUITER S.p.A. – società del Gruppo Intesa Sanpaolo.

La ricerca è stata coordinata da Sandro Baraggioli

La ricerca non è intesa a raccomandare o a proporre una strategia di investimento

né a sollecitare l’acquisto o la vendita di qualsiasi strumento finanziario.

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SOMMARIO

INTRODUZIONE

Il panorama delle multiutility italiane 1

Le dimensioni di indagine 5

CONTESTO STORICO

1. PRIMA METÀ DEL NOVECENTO, BASE DEGLI ATTUALI ASSETTI DI IMPRESA 9

1.1 Dalla Legge Giolitti al secondo dopoguerra 9

1.2 I primi modelli di azienda municipale 14

Aem Milano e Asm Brescia 15

Aem Torino 17

Le municipalizzate dell’Emilia-Romagna 18

2. CONSOLIDAMENTO E CRISI DEL MODELLO DI MUNICIPALIZZAZIONE (ANNI ’70 E ’80) 20

3. PRIVATIZZAZIONE E TRASFORMAZIONI (ANNI ’90) 23

3.1 Le linee generali del nuovo processo 23

3.2 Lo sviluppo dei modelli multiutility 27

3.3 I gruppi multiterritoriali (e la diversificazione regionale) 32

3.4 Le Aem, piccole generation company del nord 38

4. TURNING POINT NORMATIVI E SPARTIACQUE STRATEGICO (2004) 44

SVILUPPI RECENTI

5. PROCESSI DI CONCENTRAZIONE MACROREGIONALE (2005-2010) 49

5.1 Il nord e i poli multiutility 49

5.2 Il Polo del nord-ovest: Iride 52

5.3 Le polarità Lombarde: Milano e Brescia 55

Aem-Edison 55

Asm Brescia-Bas Bergamo 57

5.4 Il duopolio in Emilia Romagna: Enia e Hera 59

Enia 59

Hera e Meta 60

5.5 Il superamento del modello 61

6. LE LOCAL MULTIUTILITY LEADER DEL NORD: A2A, IREN 66

6.1 Filiere di business e contesto competitivo 66

Energia elettrica 67

Gas naturale 69

Ciclo ambientale 70

Ciclo idrico integrato 71

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6.2 Il contesto competitivo e i fattori critici più influenti 72

Margini in contrazione nei comparti energetici 73

Diversificazione 75

Forte indebitamento 75

6.3 Hera, Iren e A2a. Principali indicatori a confronto 76

6.4 Gruppo Hera. Company profile 79

Tappe principali della storia del gruppo 79

Proprietà e forme di controllo 82

Aree geografiche di operatività 85

Dati di bilancio e indici di performance principali 85

Filiere di business e posizionamento nei vari settori 87

Ebitda breakdown e andamento 89

6.5 Gruppo Iren. Company profile 90

Tappe principali della storia del gruppo 90

Proprietà e forme di controllo 91

Aree geografiche di operatività 93

Dati di bilancio e indici di performance principali 94

Filiere di business e posizionamento nei vari settori 95

Ebitda breakdown e andamento 98

6.6 Gruppo A2a. Company profile 98

Tappe principali della storia del gruppo 98

Proprietà e forme di controllo 100

Aree geografiche di operatività 102

Dati di bilancio e indici di performance principali 102

Filiere di business e posizionamento nei vari settori 103

Ebitda breakdown e andamento 104

6.7 BP. Prospettive strategiche di sviluppo al 2015 106

Il consolidamento territoriale del “modello Hera” 117

Iren e A2a. Le ipotesi di riposizionamento e il nodo Edipower 110

7. SCENARI E PROSPETTIVE PER LE GRANDI MULTIUTILITY LOCALI ITALIANE 115

7.1 Unione europea: contrazione del mercato elettrico e consolidamento degli operatori 116

7.2 Prospettive 119

CONVEGNO

Sintesi del convegno di presetnazione 122

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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INTRODUZIONE

Il panorama delle multiutility italiane

Sono passati oltre 20 anni dalla prima legge diretta ad aprire i mercati del servizio pubblico locale e più di

dieci dal Decreto 79/99 (Bersani) che ha offerto la spinta più forte alla riconfigurazione dell'intero sistema

fondato sulle “ex-municipalizzate”. Durante questi anni l'esperienza dei grandi gruppi internazionali, che

nel frattempo consolidavano la propria posizione sul mercato interno e si espandevano sui mercati esteri,

rappresentava l’obiettivo al quale puntare; in particolare, è costante il richiamo alla storia di RWE AG,

secondo maggior produttore di elettricità tedesco, che oggi serve 120 milioni di clienti tra Europa e Nord

America ed è nato come aggregazione di società municipali.

Nonostante l’avvio di un profondo processo di riconfigurazione di alcune ex-municipalizzate e la nascita e

lo sviluppo di realtà multi-business di livello regionale e sovraregionale, manca ancora oggi in Italia un

soggetto industriale di livello nazionale, in grado di integrare le migliori esperienze emerse.

Dal lungo e complesso processo di aggregazione e crescita degli operatori pubblici locali si è consolidato,

nel corso degli anni Novanta, il modello delle imprese “multiutility”, eterogenee tra loro per portato

storico originario, profili di business, livelli di integrazione intersettoriale, orizzonti strategici,

organizzazione interna e struttura di corporate governance. Le ragioni di queste differenze molteplici,

ancorché figlie della negoziazione tra gli azionisti di maggior peso, nascondono interessanti valutazioni in

termini di caratteristiche territoriali del business, capacità e possibilità di realizzare sinergie tra le linee

produttive e i diversi territori nonché nel rapporto tra proprietà e controllo.

I principali player multiutility possono a ragione essere considerati l’esito più rilevante del processo di

concentrazione degli incumbent municipali. L’emersione di questo modello di impresa ha sancito sia il

superamento dei confini geografici comunali e locali che caratterizzavano le ex-municipalizzate, sia

l’originaria configurazione monobusiness. I nuovi poli multiutility, approdati al mercato azionario, hanno

raccolto il sostegno dei mercati, aggregato investitori privati e proceduto ad acquisire imprese locali. A

fianco dei grandi operatori nazionali Enel, Eni e Edison, che da tempo hanno impostato una strategia

multi-business e soprattutto una aggressiva penetrazione sui mercati internazionali, possiamo rilevare la

presenza di quattro aziende, A2a, Hera, Iren e Acea, leader per fatturato, dimensioni e presenza sul

territorio, nate da un processo di crescita delle municipalizzate delle grandi aree metropolitane di Milano,

Bologna, Torino/Genova e Roma.

Un gradino sotto, dal punto di vista dimensionale, emergono poli industriali di carattere locale o sovra

locale: si tratta di gruppi cresciuti aggregando servizi senza una vera capacità di penetrazione geografica su

nuovi mercati nazionali. Più in generale permangono numerose realtà a livello comunale che producono

profonde inefficienze sistemiche. Le statistiche ed i dati di bilancio evidenziano poi il forte divario

territoriale che segna le realtà industriali del Sud, più piccole e meno dinamiche, rispetto ai soggetti attivi

nei territori più ricchi del Paese.

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Al di fuori del Nord, l’unica realtà di rilievo è costituita dalla multiutility Acea di Roma, terzo operatore

locale a livello nazionale, con una dimensione di fatturato prossima a quella di Hera ed un posizionamento

di mercato su due business fondamentali: il servizio idrico integrato, che la pone al vertice della classifica

nazionale per numero di utenti-servizi e la filiera elettrica, il core business storico del gruppo. Gli esempi

più interessanti di sviluppo delle multiutility sono localizzati nel Centro-Nord Italia dove si è di fatto

consolidata una suddivisione economico-industriale per grandi aree regionali. In Lombardia A2a si è

imposta come risultato del più importante processo di concentrazione tra operatori locali, che ha

interessato Aem e Amsa di Milano e la bresciana Asm. Nel corso del 2009, A2a ha accresciuto la sua

egemonia territoriale grazie soprattutto a tre importanti acquisizioni: la nascita del Gruppo quotato

Acsm-Agam (Como e Monza) al quale A2a partecipa come azionista di peso, l’acquisto di Aspem

(Varese) e il presidio del mercato a Nord, con una quota partecipativa nell’azienda energetica valtellinese.

Le multiutility nazionali sopra i 100 milioni di euro di fatturato (dati 2010)

DENOMINAZIONE AREA STORICA

DI RIFERIMENTO ATTIVITÀ

FATTURATO 2010

(MLN EURO)

Eni spa Territorio nazionale Energia elettrica e gas 99.400

Enel spa Territorio nazionale Energia elettrica e gas 73.400

Edison spa Territorio nazionale Energia elettrica gas; controlla

il rigassificatore di Rovigo 10.400

A2a spa Milano, Brescia Energia elettrica, gas, teleriscaldamento, gestione

rifiuti, servizi idrici 6.041

Hera spa Emilia Romagna Energia elettrica, gas, servizio idrico, gestione rifiuti,

teleriscaldamento 3.668

Acea spa Lazio Energia elettrica, servizio idrico 3.599

Iren spa Parma, Piacenza, Reggio Emilia

Torino, Genova

Energia elettrica, gas, servizio idrico,

teleriscaldamento, servizio idrico, smaltimento rifiuti 3.380

Ascopiave spa Provincia Treviso Gas 855

Dolomiti Energia spa Trentino Energia elettrica, gas, teleriscaldamento, gestione

rifiuti, servizi idrici 720

Agsm Verona spa Verona Energia elettrica, gas, teleriscaldamento, servizi idrici 607

Egea spa Cuneo Energia elettrica, gas, servizi idrici, gestione rifiuti 518

Acegas Aps spa Trieste, Padova Energia elettrica, gas, gestione rifiuti, servizi idrici 462

Veritas spa Venezia Energia elettrica, gas, gestione rifiuti, servizi idrici 289

Aim Vicenza spa Vicenza Energia elettrica, gas, teleriscaldamento, gestione

rifiuti, servizi idrici (trasporti) 250

Aimag spa Province di Mantova

e Modena

Distribuzione di gas, raccolta e smaltimento rifiuti,

servizi idrici 230

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Tea spa Mantova Energia elettrica, gas, servizi idrici, gestione rifiuti 229

Acsm-Agam spa Monza Como Distribuzione gas e servizi idrici 214

Gelsia srl Brianza Energia elettrica, gas, teleriscaldamento, gestione

rifiuti, servizi idrici 187

Etra spa Vicenza, Padova, Treviso Servizio idrico integrato, servizio rifiuti 168

Multiservizi spa Ancona Distribuzione gas e servizi idrici 100

Il Gruppo ha assunto il ruolo di polo di riferimento per l’area centrale del Nord, estendendo il controllo e

le partecipazioni anche ad alcuni territori del Veneto, del Trentino Alto-Adige e del Piemonte. A2a

mostra un carattere spiccatamente multi territoriale, per ragioni legate alla collocazione dei suoi impianti

di produzione elettrica e smaltimento rifiuti. L’assetto industriale originario ha connotato le scelte

strategiche del Gruppo, meno condizionate dal radicamento territoriale e maggiormente rivolte allo

sviluppo secondo la formula della “generation company”. Ne sono testimonianza le operazioni Edison del

2004 (che ha visto concorrere sia Aem Milano che Asm Brescia), Ecpg del 2009 e ancora la più recente

Edipower del 2012. Nello stesso tempo A2a, diversamente dalle altre multiutility analizzate, ha mantenuto

una forte attenzione alle dinamiche internazionali: lo dimostrano l’acquisizione di Coriance – operatore

francese del teleriscal-damento – e lo sviluppo delle attività di trading internazionale. Il Gruppo mantiene

una forte impronta elettrica e di conseguenza una minore caratterizzazione territoriale. L’ultimo piano

industriale indicava una strategia nuova rispetto al passato, con una maggiore attenzione al territorio di

elezione e allo sviluppo di business radicati localmente; il riassetto di Edison tornerà invece a spostare il

peso sulla generazione, impattando sulla possibilità di proseguire nell’ampliamento del perimetro di

influenza macroregionale.

Diversa la situazione in Emilia Romagna, dove Hera ha assunto il ruolo di regional multiutility,

integrando tutte le utility e multiutility urbane e provinciali fino ad occupare il 70% circa del territorio

regionale. Hera, attraverso il consolidamento regionale, ha costruito economie di scala e di gamma,

accedendo a un mercato finale di oltre 2 milioni di clienti. La peculiarità del suo percorso di sviluppo la

qualifica come esempio di impresa che ha saputo crescere mantenendo una forte componente di

territorialità. Nel corso degli ultimi anni Hera ha esteso la sua influenza nelle Marche, in Veneto ed in

Abruzzo. Hera si è consolidata come leader nazionale nel settore dello smaltimento dei rifiuti ed occupa

posizioni di vertice nel servizio idrico integrato; la scarsa presenza nel segmento della generazione denota

un modello di crescita che ha fatto del downstream il principale vantaggio competitivo e della

valorizzazione degli impianti di smaltimento l’asset strategico e imprenditoriale per concorrere in nuovi

mercati.

Iren, nata dall’integrazione tra il Gruppo Iride (ex-muncipalizzata elettrica di Torino e Amga local utility

di Genova) ed Enia (imprese operanti nelle città e nelle province di Piacenza, Parma e Reggio Emilia), è il

principale operatore interregionale del Nord Ovest. Le attività del gruppo si estendono al Piemonte, alla

Liguria e all’Emilia. Solo in quest’ultima regione Iren presidia il mercato come leader territoriale di area

vasta. Negli altri territori il Gruppo ha operato, piuttosto debolmente, come catalizzatore delle piccole e

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medie utility locali. Iren si propone, pertanto, come tentativo di bridging territoriale tra sistemi locali

separati. L’anima torinese deriva dal modello delle Aem – le storiche municipalizzate della generazione

elettrica nelle grandi aree metropolitane – con la peculiarità di aver abbinato al segmento storico della

generazione da fonte idroelettrica, una sempre più marcata presenza nelle attività di cogenerazione e uno

sviluppo nel business del teleriscaldamento che ha portato Iren a ricoprire un ruolo di leadership

nazionale. Lo sviluppo nelle attività regolate è particolarmente forte negli altri poli territoriali e produttivi

del Gruppo: l’ambito genovese si caratterizza per le attività legate al business idrico, indicato dall’ultimo

piano industriale come uno dei settori su cui il Gruppo intende crescere di più. Il fronte emiliano si

contraddistingue per la presenza di attività nella filiera ambientale, sostanzialmente assenti nel resto del

territorio, e per un modello organizzativo e operativo legato al territorio, molto simile a quello di Hera.

L’esperienza di Iren è al momento difficile da valutare; il Gruppo è il risultato di tre fusioni avvenute

nell’arco di pochi anni (Enia e Iride nascono tra il 2005 e il 2006 e si uniscono nel corso del 2010); le

diverse operazioni di merger hanno disegnato un soggetto multipolare ancora scarsamente integrato sia a

livello geografico che settoriale. Sebbene il piano industriale (redatto due anni or sono) fosse focalizzato

sullo sviluppo nel settore idrico, è evidente che l’operazione Edipower influirà, come per A2a, in maniera

significativa sulle future scelte del Gruppo.

Il Nord Est, territorio con forte tradizione di localismo politico, mostra un’accentuata polverizzazione e

frammentazione del sistema delle società di servizio pubblico, con assetti dimensionali spostati verso le

piccole imprese (al contrario di ciò accade in Emilia Romagna). Tutti i Gruppi considerati sono presenti

nei principali mercati di servizio, anche se con differenti composizioni del business mix, derivanti dalla

storia delle imprese via via aggregate, dalle scelte strategiche che ne hanno contraddistinto lo sviluppo e

dalle opportunità industriali, regolative e politiche che hanno modellato la forma attuale. Le multiutility

operano oggi in settori di business che disegnano rapporti molteplici con il territorio. Ogni settore di

servizio pubblico locale giustifica l’esistenza di imprese di taglia diversa, poiché il conseguimento di

economie di scala è diverso nei settori elettrici rispetto al servizio di igiene ambientale. Nel primo caso è

importante ragionare su mercati di livello continentale; nel secondo contano i vincoli territoriali alla

possibilità di raccolta, spazzamento e trasporto dei rifiuti rispetto ai siti di smaltimento.

La progressiva semplificazione della geografia delle utilities italiane a cui stiamo assistendo sta

contribuendo a definire una nuova geografia delle città, forse una nuova geografia del Nord.

Prima della crisi del 2008, il dibattito sull’assetto dei servizi pubblici locali ruotava intorno al progetto

della grande multi utility, leader nazionale e internazionale, frutto dell’integrazione tra i grandi gruppi

locali; si esortavano le amministrazioni a superare i veti incrociati sulla composizione della governance e

ad aprire il capitale a nuovi investitori, affinché l’Italia (come la Germania con RWE) potesse

avvantaggiarsi di un grande soggetto industriale capace di risolvere uno dei principali limiti dei mercati di

servizio pubblico italiano: la frammentazione degli operatori e la scarsa capacità di sostenere programmi di

investimento adeguati ai bisogni del Paese. Si tratta di un dibattito che riemerge periodicamente in

occasione di grandi operazioni di sistema, come la nascita di Iren nel 2010 e prima di A2a. Il riassetto di

Edison e l’acquisto di Edipower da parte dei soci di Delmi hanno riportato questo progetto nel novero

delle possibilità perseguibili.

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L’attenzione della presente ricerca è rivolta a interpretare le condizioni che hanno favorito l’emergere di tre

differenti poli industriali nei mercati di servizio pubblico locale in Italia, discuterne gli assetti d’impresa e

le strategie di sviluppo. Accanto alla questione dimensionale – indubbiamente importante – sembra

opportuno tenere conto anche di altri aspetti: le differenti caratterizzazioni del business mix, la

dislocazione geografica, l’eredità storica, il legame con il territorio.

Le tante differenze che hanno segnato i processi di aggregazione tra gli operatori industriali e finanziari

negli ultimi anni spingono a interrogarsi sulla dimensione industriale e geografica ottimale per le local

multiutility leader del mercato in Italia.

Le dimensioni di indagine

È ragionevole domandarsi da dove provengano le differenze messe in luce nelle pagine precedenti, quale

profilo abbiano assunto questi gruppi nel passaggio dalle piccole local utility di inizio Novecento alle

conformazioni attuali, comprendere quali influenze abbiano esercitato non solo l’evoluzione normativa,

variabile classicamente utilizzata per leggere le trasformazioni in questi comparti, ma soprattutto il portato

storico delle esperienze locali, il carattere originario ereditato dalle realtà territoriali che ha influenzato la

cultura aziendale, le scelte strategiche dirette a valorizzarne i vantaggi competitivi e il legame con i

territori da cui hanno preso corpo i grandi soggetti multiutility.

Le problematiche connesse all’oggetto di ricerca sono molteplici, una grande quantità di ricerche si è

concentrata sull’evoluzione delle normative che hanno regolato i differenti settori di pubblica utilità, a

partire dalle trasformazioni occorse lungo gli anni ’90, con l’obiettivo di sottolineare, innanzitutto, le

dimensioni costitutive di questo specifico mercato: il concetto di servizio universale, di tutela degli utenti e

di accessibilità del servizio (Borgonovi 2005; Elefanti, 2006); le ragioni che hanno guidato la mano del

legislatore nel promuovere riforme di liberalizzazione nella gestione dei servizi (Cassese, 1992; Quadrio

Curzio, Fortis 2000). Alcuni autori si sono concentrati sulla rilettura in chiave storica dell’evoluzione del

settore dei servizi pubblici locali tra spinte centralistiche di regolazione nazionale ed esperienze locali

innovative, evidenziando l’ambivalente rapporto tra città e Stato, le spinte autonomiste della periferia

contro la volontà di mantenere un controllo sugli organi periferici della sfera pubblica sin dagli inizi del

secolo scorso (Melis, 2004, Giannetto, 2004); l’evoluzione del dibattito pubblico che ha caratterizzato il

‘900 tra sostenitori di una maggiore capacità di controllo da parte dell’ente locale e la necessità di definire

parametri comuni per uno sviluppo equilibrato dell’intero sistema nazionale (Lucarini, 2004).

Lungo questa direzione, un interessante filone di ricerche di matrice economica si è interrogato sul

rapporto tra Stato e mercato, a partire dai primi esiti delle riforme degli anni ’90 sulla

liberalizzazione/privatizzazione dei servizi, provando a mettere a fuoco la valenza economica dell’azione

dell’ente locale, il ruolo di quest’ultimo nella promozione dello sviluppo locale e le condizioni entro le

quali la capacità di regolazione dell’attore pubblico in questo specifico settore possa configurarsi come

necessità di supplenza nei confronti del mercato piuttosto che come limite allo stesso.

In particolare alcune ricerche hanno sottolineato come sia centrale la questione infrastrutturale e la

definizione di “monopoli naturali” (Chiri 2004; Osculati, Visco Comandini 2000), enfatizzando così il

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concetto di “bene pubblico” e il nesso tra “crescita urbana, servizi pubblici ed elettricità” (Bolchini 1999).

In parallelo, lo sforzo maggiore è stato prodotto sul tema della privatizzazione dei sevizi di pubblica utilità

(Giavazzi, Penati, Tabellini 1998, Trento 2004) e la valenza economica degli stessi, con l’obiettivo di

sottolineare la necessità di introdurre meccanismi di mercato per il miglioramento dell’efficienza nei

servizi e l’attivazione di meccanismi market oriented, in grado di favorire la crescita delle imprese (Bruti

Liberati, Fortis 2001; Fellegara 2006).

L’evoluzione del contesto normativo ha senza dubbio prodotto turning point rilevanti nelle diverse storie

aziendali, basti pensare, ad esempio, a cosa ha rappresentato il Decreto Bersani per soggetti come Aem

Milano o Aem Torino, che grazie alla finestra di opportunità offerta dalla vendita di centrali Enel, hanno

potuto compiere un salto di qualità proponendosi come soggetto di rilievo nazionale, e come lo stesso

decreto abbia sancito una profonda divisione rispetto alle utilities che non potevano o che hanno scelto di

non partecipare alle acquisizioni delle gen.co.

D’altra parte non è possibile attribuire a questa dimensione tutte le spiegazioni dell’attuale configurazione

del mercato dei servizi pubblici locali, come non è pensabile, allo stesso tempo, che solo attraverso nuovi

interventi normativi sia possibile promuovere la nascita della tanto evocata maxi-utility nazionale.

I percorsi di sviluppo seguiti dalle tre local multiutility leader: A2a, Hera e Iren sono piuttosto diversi; lo si

nota analizzando la struttura di business e l’incidenza dei settori nella composizione tanto dei ricavi,

quanto soprattutto dell’Ebitda. La complessità dell’oggetto di ricerca impone di scegliere le linee di

indagine lungo le quali si svolgerà la ricerca. Il lavoro, pertanto, procederà seguendo quattro percorsi di

analisi, che possono essere considerati complementari. Per ognuno di essi si vogliono fornire argomenti,

dati e riflessioni utili per interpretare la situazione attuale e per ragionare sulle possibili evoluzioni del

panorama in oggetto.

• L’approccio storico è finalizzato all’individuazione di alcuni modelli di sviluppo territoriali che si

rivelano importanti per comprendere le scelte strategiche più recenti. Questa linea di interpretazione si

concentra sugli avvenimenti che hanno portato all'assetto di business attuale. La ricostruzione storica

dei processi di aggregazione ha come primo obiettivo quello di raccontare le condizioni contingenti e

le scelte effettuate che hanno determinato la specifica configurazione dei tre gruppi industriali. La

valutazione di questi percorsi strategici offrirà lo spunto per la focalizzazione dei differenti modelli di

radicamento sul territorio e degli obiettivi perseguiti.

• L’approccio territoriale è rivolto principalmente a sottolineare i diversi radicamenti che le imprese

hanno prodotto lungo il loro sviluppo. La distinzione tra il ruolo svolto dalle imprese con forte

connotazione energetica rispetto ai gruppi che si sono contraddistinti come local service provider

evidenzia il peso del portato culturale come driver per la composizione di portafoglio e di business mix

dei diversi gruppi e offre una chiave di interpretazione delle dinamiche che hanno portato alla

costruzione delle differenti architetture di corporate governante.

• L’analisi economica restituisce i dati sulle performance dei gruppi. Si è scelto di leggere le

trasformazioni dal 2002 in avanti recuperando i dati di bilancio delle società che hanno concorso a

costruire Iren, Hera e A2a, nello specifico: Aem Torino, Amga Genova e Iride, Aem Milano e Asm

Brescia. L’analisi dell’evoluzione dei portafogli di business e degli investimenti effettuati è funzionale a

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interpretare il posizionamento del gruppo e la sua evoluzione in relazione ai mutamenti del contesto

economico, normativo e delle opportunità di sviluppo industriale.

• L’analisi del posizionamento delle local multiutility leader nei diversi mercati di servizio pubblico in

Italia risponde alla necessità di inquadrare l’esperienza delle multiutility italiane all’interno di un

quadro competitivo internazionale caratterizzato dalla progressiva concentrazione degli operatori.

In conclusione, l’esperienza delle tre multiutility analizzate offre elementi per valutare gli esiti del processo

di progressiva liberalizzazione dei mercati di servizio pubblico locale e le prospettive di consolidamento di

leader locali che in questo contesto si sono affermati.

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CONTESTO STORICO

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1. PRIMA METÀ DEL NOVECENTO, BASE DEGLI ATTUALI ASSETTI DI IMPRESA

1.1 Dalla Legge Giolitti al secondo dopoguerra

Gli storiografi sono concordi nel ritenere che non esista un modello unitario di sviluppo della

municipalizzazione in Italia e che il seme delle profonde differenze che oggi caratterizzano alcune delle

maggiori imprese del settore sia rintracciabile nelle differenti condizioni di contesto politico, sociale,

economico e geografico dei territori di elezione degli embrioni di società municipale. Ci si riferisce in

particolare al processo di urbanizzazione che a cavallo del ‘900 produsse una crescita vertiginosa della

domanda di servizi pubblici, tanto da parte della cittadinanza, quanto da parte delle imprese che

necessitavano di sostegno infrastrutturale alla loro crescita1; di conseguenza si manifestò la necessità di

colmare le carenze di un paese sottosviluppato a livello infrastrutturale cui si aggiungeva la situazione

finanziaria fortemente debitoria dei comuni e l’impossibilità di far fronte agli investimenti accentuando

l’imposizione fiscale.

L’insieme di queste circostanze favorì l’emergere di un’imprenditorialità privata in campo infrastrutturale

sottoforma di concessioni pluriennali per la gestione dei servizi.

La conseguenza fu l’elevato grado di dipendenza dei servizi pubblici locali dal capitale privato, e con essa i

rischi di fallimento di una regolazione prodotta attraverso il mercato, in termini di mancata tutela

dell’interesse pubblico e dell’accrescersi di disparità in ambito nazionale tra territori più avvantaggiati dalla

competizione privata per gli investimenti rispetto ad altri.

La situazione venutasi a creare contribuì a far nascere un dibattito sia locale che nazionale sul ruolo della

pubblica amministrazione nel governo dei processi di sviluppo del territorio, dando maggior forza a

posizioni culturali pre-esistenti di stampo municipalista che invocavano un ruolo più attivo dell’attore

pubblico nella gestione dello sviluppo territoriale, alternativo al mercato.

Le ragioni alla base delle visione municipale dello sviluppo dei servizi differivano a volte in misura

rilevante tra loro. Medesima fu la rivendicazione contro l’ingerenza dello stato centrale e la volontà più

volte ribadita di scegliere in autonomia le politiche e le pratiche di sostegno allo sviluppo e alla crescita del

territorio, ma diverse furono le ricette e soprattutto il modo di concepire strumentalmente il ruolo delle

imprese municipali all’interno delle dinamiche locali.

La nascita dell’Anci (1901) annunciava “la primavera municipale in Italia” (così la definì uno degli

intellettuali più influenti dell’epoca, il socialista riformista Giovanni Montemartini). Nell’Anci ebbero la

possibilità di lavorare, uno accanto all’altro, i protagonisti del movimento comunale, un complesso di

1 Nel decennio 1891-1901 le città italiane avevano aumentato notevolmente la popolazione; in particolare Roma del 54%, Milano

del 43%, Torino del 32%, Palermo del 27%, Napoli del 14%. Ciò suscitava nuove esigenze e bisogni la cui risposta era largamente

affidata alla presenza di infrastrutture e di reti in grado di fornire beni e servizi indispensabili nella vita cittadina. A ciò si aggiunga

che la fase di industrializzazione e di ammodernamento dell'apparato produttivo evidenziava quanto fosse importante disporre di

sistemi territoriali "attrezzati" suscitatori di "esternalità" positive. (Spadoni, p. 4 l'evoluzione istituzionale e organizzativa dei servizi

pubblici locali dalla municipalizzazione alla liberalizzazione)

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tecnici, amministratori e politici di diverso orientamento politico e culturale che aveva l’obiettivo di

affermare la centralità delle funzioni e dei problemi delle città presso le istituzioni e l’opinione pubblica.

In particolare nell’organizzazione lavorarono insieme - oltre a liberali, radicali e repubblicani - i

protagonisti della storia politico-istituzionale italiana del ‘900: gli esponenti del movimento socialista e di

quello cattolico, storici oppositori dello Stato liberale che, nella battaglia per l’autonomia comunale,

trovarono un eccezionale luogo di collaborazione e di confronto. Fu nella gestione della strategia dei

comuni italiani di fronte allo Stato liberale che il municipalismo sociale cattolico e il socialismo

municipale riuscirono per alcuni anni a trovare una sintesi. (Gaspari, Legautonomie)

Le diverse posizioni espresse rimangono sintomo della centralità di una questione che preannuncia

evoluzioni importanti.

• Secondo Montemartini lo sviluppo delle muncipalizzate doveva rispondere alla necessità di calmierare

i prezzi offerti dalle imprese private e insieme ridistribuire sulla cittadinanza, che sosteneva i costi del

servizi, i vantaggi della rendita monopolistica.

• I cattolici vedevano nell’istituzione comunale la principale forma di tutela degli interessi locali: ad essa

spettano le funzioni locali, mentre lo Stato doveva farsi carico delle questioni di livello generale. Era

dunque indispensabile che la produzione non venisse assunta da società private perché questa

soluzione avrebbe intaccato alla base i diritti fondamentali di libertà individuale e di proprietà privata,

e, senza controllo, la libertà privata sarebbe diventata abuso sulla collettività. L’impresa doveva dunque

perseguire il benessere sociale, reimpiegando i profitti per nuovi investimenti o per abbassare il costo

dei servizi erogati.

• I socialisti in occasione del congresso svoltosi a Parma nel 1895, avanzarono la proposta del passaggio

al Comune dei servizi pubblici, come gas, acqua potabile, tranvie, linee elettriche. Al Comune sarebbe

spettata l’offerta di energia a basso prezzo sia per il consumo familiare, in vista del miglioramento delle

condizioni di vita e di salute della popolazione, sia per lo sviluppo dell’economia locale. I Municipi

dovevano inoltre farsi carico di costruire case popolari, gestire forni per il pane, centrali del latte,

cantine sociali, aprire farmacie, bagni e lavanderie municipali. Garantire migliori condizioni abitative,

igieniche e sanitarie erano compiti cui il Comune doveva adempiere in nome della modernità, oltre

che della giustizia sociale.

La municipalizzazione dei servizi pubblici, come parte di una politica comunale più intraprendente e volta

ad invadere sfere fino ad allora riservate all’industria privata, fu uno dei capisaldi programmatici del rifor-

mismo socialista. Di fronte all’esclusione delle rappresentanze del movimento operaio da responsabilità di

governo nazionale, le correnti non rivoluzionarie del socialismo elaborarono una nuova politica, finalizzata

a conquistare e gestire le amministrazioni locali e i governi comunali. A questo orientamento venne dato il

nome di «socialismo comunale».

Ma la rapida diffusione delle municipalizzazioni, nel primo quindicennio del ’900, non fu opera soltanto

dei socialisti. Sull’onda dei primi successi da questi conseguiti, e di una domanda sociale resa visibile

dall’allargamento del suffragio e dalla sempre più ampia partecipazione alla vita politica, anche altre forze

politiche (soprattutto i radicali e i repubblicani) adottarono e realizzarono programmi di governo locale

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incentrati sulla fornitura da parte dell’amministrazione comunale di servizi pubblici di primaria rilevanza

(sanità pubblica, edilizia popolare, riqualificazione dei quartieri più degradati, assistenza agli indigenti) e

sulla creazione di un importante settore pubblico.

Nel 1903, in Italia fu approvata una legge, caldeggiata dai socialisti e dai cattolici e sostenuta poi dal go-

verno Giolitti, che regolamentava le municipalizzazioni e che diede impulso allo sviluppo delle aziende

municipalizzate: queste passarono dalle 26 del 1904 alle 74 del 1908 e alle 158 del 1926 (Giannetto,

2004). Giolitti, nel presentare la Legge, sottolineò un aspetto ancora oggi di grande interesse perché ele-

mento di contesa e di opposizione sia ideologica che istituzionale. Egli sostenne che l’assunzione da parte

dei Comuni della gestione dei servizi assegnati in precedenza in concessione a privati non poteva essere

considerata lesiva della libertà di impresa e della concorrenza, in quanto lo sviluppo passava necessaria-

mente dalla garanzia di accesso ai servizi di valenza universale. Il livello comunale venne incaricato dallo

Stato centrale di subentrare alla presenza del mercato e ai rischi del suo fallimento in nome di uno svilup-

po uniforme per una nazione, come quella italiana, all’interno della quale convivevano situazioni di estre-

ma marginalizzazione e centri dinamici che già alla fine del XIX secolo, spesso su iniziativa privata, si era-

no attrezzati autonomamente.

Contemporaneamente però, la capacità di azione locale fu drasticamente ridotta con l’istituzione della

“Commissione reale per il credito comunale e provinciale e per l’assunzione diretta dei pubblici servizi”, il cui

compito consisteva nello stabilire l’ammontare delle indennità di riscatto dei servizi pubblici gestiti da

privati in regime di concessione e soprattutto, nell’analizzare la base tecnica e finanziaria delle aziende

speciali. La Commissione, nata con compiti di “tutela”2 nei confronti dell’investimento prodotto dallo

Stato, esercitava, nei fatti, un ruolo totalizzante e poteva decidere la revoca dell’assunzione diretta del

servizio da parte di un Comune.

La legislazione sulle municipalizzazioni era nata con un duplice obiettivo, uno ufficiale, che consisteva nel

regolamentare l’attività economica comunale, ed un altro occulto, volto ad aumentare il controllo dello

Stato sugli enti locali. Il maggior controllo si tradusse nell’obbligo di compiere una successione di atti tale

da ostacolare pesantemente le capacità di iniziativa economica dei comuni e delle loro aziende, con effetti

molto gravi per lo sviluppo delle municipalizzate.

Nel definire i criteri di finanziamento per la regolazione dei “grandi servizi comunali con carattere

spiccatamente industriale” (acquedotti, illuminazione pubblica e privata, distribuzione di forza motrice) la

Legge Giolitti centralizzò il controllo sulle iniziative locali attraverso la Cassa Depositi e Prestiti

decidendo a quali condizioni e secondo quale parametro assegnare finanziamenti locali per

l’infrastrutturazione del territorio.

2 L’idea di tutela, sottolinea Giannetto, va intesa come volontà di preservare l’investimento prodotto con i fondi della cassa Depositi

e Prestiti, in un’azione dal sapore di verifica sull’effettiva congruità della richiesta in merito alle caratteristiche socio-economiche,

produttive e di sviluppo del territorio richiedente. Il lavoro della Commissione – non si esauriva nell’accertamento della legittimità e

in un astratto formalismo contabile, ma ne investiva la sostanza complessiva, per valutare la funzionalità e la congruità dell’iniziativa,

e i possibili esiti, in rapporto alle motivazione e agli scopi nel concreto delle singole località: dimensione demografica, struttura

socio-economica del Comune, situazione, prospettive e potenzialità del mercato in cui la futura società dovrà operare e soprattutto le

condizioni del bilancio comunale – Rossella 1999, op. cit. in Tosatti, 2004).

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L’intervento regolatore dello Stato denotava l’interesse a “rimediare” a possibili distorsioni speculative

dell’azione delle imprese di servizi pubblici e insieme intendeva limitare possibili tendenze autonomistiche

delle sue strutture locali decentrate. Si trattò – come ricorda Rugge (1986) – di una legge di

decentramento che concesse ai Comuni di incrementare le proprie competenze dotandoli di nuovi

strumenti per lo sviluppo delle attività sul territorio, sebbene fosse fortemente caratterizzata da un’idea

gerarchica di rapporto subordinato rispetto al centro3.

L’azione del governo centrale tornò a scontrarsi con la volontà della periferia di mantenere una propria

autonomia. Se da un lato, a causa dei vincoli di bilancio, il ricorso al capitale privato era stato vissuto come

un passaggio necessario per migliorare il livello di infrastrutturazione locale e di fornitura dei servizi a una

società in profonda trasformazione, il sostegno offerto dallo Stato fu interpretato come possibilità di

controllo diretto su un settore nevralgico. L’inferenza dello Stato centrale, la richiesta di costituzione di

“aziende speciali” municipali, con tutti i costi di gestione della struttura che questa comportava, e la

necessità di autorizzazioni preventive e garanzie da offrire allo Stato finanziatore, riproposero in altri

termini un vincolo per il livello comunale. Presero vita allora, come conseguenza, comportamenti “sulle

frange della legalità” (Gaspari 1998) come ad esempio, ritardi nel recepimento delle indicazioni offerte

dalla Legge 103 e un ricorso massiccio a forme di gestione in economia, ovvero attraverso specifiche

concessioni, nonostante la legge ne vincolasse il ricorso solo in casi piuttosto limitati4.

Il principio di gestione diretta di servizi in economia si era trasformato nella possibilità di promuovere

delle vere e proprie imprese pubbliche a carattere industriale, di proprietà del livello locale e senza la

mediazione, la vigilanza o il controllo dello Stato centrale.

La pratica mostrava uno scostamento rispetto alla volontà del legislatore, e lamentava “la costante resistenza

di tutti i Comuni alla costituzione delle aziende speciali, non solo per il peso e l’imbarazzo amministrativo che

esse rappresentano, ma anche per le lentezze della procedura di costituzione vincolata all’approvazione preventiva

per tutte le aziende di qualunque Comune e qualunque importanza, spettante alla Commissione Reale sedente a

Roma”. Inoltre, “tenuto conto dell’esperienza per cui una grandissima parte dei servizi diretti sono stati assunti

dai Comuni eludendo l’applicazione della legge e con l’espediente dell’assunzione in economia per le aziende

minori, oppure con la costituzione di aziende speciali per i servizi di grande importanza in forma diversa da

quella della legge e senza la preventiva approvazione e senza i controlli che questa prescrive”(Giannetto 2004).

Le esperienze locali che si affermarono all’inizio del Novecento condividono la prima regolamentazione

del settore operata dal Governo Giolitti nel 1903 e con questa la battaglia di affermazione dell’autonomia

locale sullo Stato centrale condotta da gruppi di interesse, lobby, intellettuali e politici di ispirazione di-

versa. Negli anni a seguire si manifestarono scelte differenti a seconda dei Comuni sul ruolo che le diverse

aziende speciali avrebbero dovuto svolgere. Numerosi furono i Comuni capoluogo che istituirono le prime

aziende, in particolare al nord e in misura minore a centro Italia.

3 Da notare che le aziende municipalizzate non avevano piena personalità giuridica e pertanto conservavano un carattere funzionale

ed un’autonomia di azione simile a quello dell’impresa privata, pur essendo sotto il totale controllo politico. 4 Si faccia riferimento all’interessante lavoro di inquadramento normativo del settore prodotto da Chiara Fabrizi, (Fabrizi, 2006,

Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli, Quaderni del laboratorio sui servizi a rete, Luiss).

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Le condizioni economiche e politiche di guerra, con l’avvento del primo conflitto mondiale, rallentarono

un processo di progressiva municipalizzazione di un numero sempre maggiore di servizi un tempo conces-

si all’operato di investitori privati o scarsamente sviluppati: l’illuminazione elettrica in luogo di quella a

gas, la realizzazione di acquedotti e l’implementazione di reti di trasporto, la costruzione di alloggi popo-

lari, lo spurgo dei pozzi neri, la fabbricazione del ghiaccio (Giacchetto, 1988).

Con l’avvento del fascismo si aprì una fase di ristagno, se non di regresso. Le aziende comunali, viste co-

me pericolosa espressione dell’ideologia socialista, subirono lungo gli anni Venti il ritorno alla privatizza-

zione. Si compì una sorta di passaggio attraverso la “smunicipalizzazione”, a favore di gruppi industriali

privati che approfittarono dell’opportunità di crescita offerta.

Il regime fascista ebbe nei confronti della municipalizzazione un atteggiamento ambiguo o quanto meno

non univoco. Con il nuovo testo del 1925 veniva estesa alle Province e ai Consorzi tra Province la facoltà

di assumere i servizi, e offerta qualche apertura al riconoscimento della personalità giuridica ai fini della

stipulazione dei contratti di lavoro.

Nell’Italia democratica del secondo dopoguerra, e poi ancora per molti decenni, rimase immutato il mo-

dello centralista dello Stato, e le caratteristiche industriali delle aziende municipalizzate risentirono della

loro natura strettamente pubblica. Esse assunsero infatti la forma di unità produttive monoservizio, ope-

ranti generalmente in ambiti territoriali corrispondenti a quelli amministrativi dei Comuni. Le loro con-

notazioni, insomma, si configurarono più vicine a quelle di soggetti di erogazione di servizi, che a vere e

proprie imprese. La competenza prevalente era, quindi, tecnical oriented con un assetto organizzativo volto

a garantire un bisogno collettivo mediante un servizio caratterizzato da adeguate specifiche tecnico-

ingegneristiche.

Questa logica ha continuato ad ispirare la gestione dei servizi pubblici locali per un periodo molto lungo

ed è stata sostanzialmente superata solo in tempi molto recenti. In particolare il fenomeno delle gestioni

multiutility, che caratterizza oggi una parte significativa dell’universo delle imprese pubbliche locali costi-

tuendone uno dei principali fattori innovativi e competitivi, era originariamente assai raro e ha iniziato a

svilupparsi solo a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta. Si consideri, al riguardo, che nel 1960

poco più del 25% delle aziende gestiva più di un servizio (in genere non più di due) mentre oggi questa

percentuale è salita ad oltre il 50% (con una media di servizi per azienda di quasi 3,5).

In questo contesto maturano traiettorie diverse nello sviluppo delle aziende municipali per ragioni che ri-

mandano alle condizioni economiche e territoriali dei Comuni di elezione e per scelte squisitamente poli-

tiche che dipendevano dal sostrato culturale prevalente nei diversi ambii locali.

Questo avveniva in un contesto economico e politico caratterizzato da forti contrasti, ma che in complesso

vedeva nella costituzione dell’Azienda speciale uno strumento importante per l’ammodernamento della

macchina comunale e un passaggio indispensabile per lo sviluppo della città. Un modello analogo si ripro-

pose per le imprese medie dei capoluoghi minori (Brescia, Verona e in altre città del Veneto, in Emilia

Romagna) dove prevalsero sin dall’inizio imprese multiservizio anche per l’iniziale modesta capacità dei

servizi elettrici, quasi interamente rivolti alla distribuzione.

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1.2 I primi modelli di azienda municipale

Per concentrare l’attenzione sulle imprese e sui territori che costituiscono i capisaldi da cui hanno preso

origine le multiutility leader oggetto del nostro studio (Torino e Genova, Milano e Brescia, le città

dell’Emilia-Romagna), è interessante rileggerne la storia e ricavare da questa i tratti caratteristici dei di-

versi modelli di azienda municipale che si sono sviluppati lungo il Novecento. Da questi caratteri è possi-

bile rintracciare alcune delle ragioni degli attuali assetti e delle scelte strategiche che hanno condizionato

l’attuale assetto di Iren, Hera e A2a. In questo senso va tenuta in considerazione la caratterizzazione set-

toriale delle imprese osservate nel loro sviluppo lungo il Novecento. Se da un lato la storiografia ha evi-

denziato la forte influenza che il milieu territoriale ha nella costruzione delle aziende municipalizzate, in

particolare per quanto riguarda il numero di servizi che i Comuni decidono di gestire attraverso imprese

pubbliche, il modello delle Aem sembra assumere da subito un carattere autonomo rispetto alla cultura

amministrativa locale da cui esse prendono corpo.

Le Aziende elettriche municipali devono molto alle condizioni geomorfologiche e orografiche del territo-

rio e, più di ogni altra azienda municipale, disegnano fin dagli esordi geografie nuove legate perlopiù ai

collegamenti infrastrutturali con le centrali idroelettriche realizzate in zone esterne alla città. Questo a si-

gnificare l’estrema complessità delle relazioni, delle variabili e delle condizioni che determinano oggi la

configurazione territoriale delle imprese e dei modelli di imprese che sono nati dalle municipalizzate. Lo

sforzo è giustificato dalla volontà di affiancare nuovi elementi alle analisi che negli anni hanno assunto

l’evoluzione normativa come cardine per leggere le trasformazioni delle public utilities italiane.

L’età dell’oro del muncipal trading italiano aveva visto sorgere aziende elettriche spesso di dimensione me-

dia o medio-piccola, che erano sopravvissute in prevalenza là dove avevano funto da erogatori di energia

prodotta altrove. Il circuito produzione-distribuzione restava limitato a pochi casi: alcuni favoriti dalla lo-

calizzazione dei Comuni altri necessitati dalle dimensioni dell’area urbana da servire (Milano, Torino,

Roma). Le zone privilegiate erano ovviamente quelle prealpine e appenniniche.

Le prime Aem vennero costruite nel corso del primo decennio del Novecento nell’area padana e nel Cen-

tro Italia e rimasero, al contrario, una presenza poco più che sporadica nel Mezzogiorno e nelle isole, an-

che grazie alle capacità e all’autorevolezza di veri e propri “imprenditori pubblici” come Ponti, Ponzio,

Saldini a Milano, Montemartini a Roma, Frola a Torino (Battilossi, Subbrero 1999). Alla base del nuovo

modello di impresa pubblica c’era la convinzione culturale che la gestione privata dei servizi di energia e-

lettrica generasse rendite sulle spalle dei cittadini e che a queste ultime si potesse opporre un’attenta ge-

stione pubblica indirizzata a massimizzare le esternalità positive per la collettività, ridistribuendo gli utili

in nuovi investimenti o nella riduzione delle tariffe per gli utenti. “La municipalizzazione era concepita

tanto come un sistema idoneo a servire meglio il pubblico e a procurare vantaggi alle finanze comunali,

quanto come lo strumento capace di limitare il potere dei monopoli privati. Questi avrebbero altrimenti

beneficiato dell’espansione della domanda di servizi a costi di produzione decrescenti conseguente allo svi-

luppo delle città. Furono proprio le giunte liberali le prime a costituire le imprese municipali riscattando le

concessioni ai gestori privati. Questa attitudine moderatamente positiva nei confronti dei monopoli si può

spiegare anche dal punto di vista della teoria economica: il credo degli economisti liberali era che in pre-

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senza di una situazione di monopolio, il monopolista pubblico costituisse un male minore rispetto al pri-

vato” (Lucarelli).

Nello specifico, le Aem si consolidarono come le aziende di punta dell’imprenditorialismo pubblico, se si

pensa che alla vigilia della guerra risultavano operanti sotto forma di aziende speciali (previste per le rea-

lizzazioni di maggior rilievo) 164 imprese con un capitale complessivamente investito di 160 milioni di

lire, di cui quasi 100 erano da ascrivere alle aziende elettriche municipali di Milano (la maggiore), Torino

e Roma.

Aziende municipalizzate in Italia nel 1915 (milioni di lire)

N. CAPITALE INVESTITO

Impianti elettrici 50 98.096.386

Officine gas 31 21.092.551

Tramvie 12 16.347.846

Case popolari 22 7.467.211

Acquedotti 14 12.005.081

Farmacie 8 141.938

Forni normali 12 419.919

Aziende diverse 15 4.489.621

TOTALE 164 160.060.553

Fonte: elaborazione Banca Commerciale Italiana

Aem Milano e Asm Brescia

Milano e Brescia furono la culla della contrapposizione tra il privato e le ambizioni dei primi imprenditori

pubblici nei servizi locali. La concorrenza tra aziende pubbliche e private sfociò spesso in aperti contrasti,

e lo sviluppo del patrimonio idroelettrico fu perseguito da tutte le imprese con una tendenza delle munici-

palizzate ad accentuare maggiormente il loro sviluppo nella distribuzione. Si verificò con frequenza

l’invasione reciproca dei rispettivi territori e mercati (Capra 2011). In entrambe le città la nascita

dell’azienda municipale avvenne come atto validato dalla popolazione. Nel 1910 la Città di Milano chiese

ai cittadini di esprimersi sulla volontà di promuovere un’impresa pubblica come fornitore di energia e la

stessa cosa accadde a Brescia qualche anno prima, nel 1907, con un referendum per l’istituzione di un ser-

vizio tranviario cittadino.

Non furono certo episodi isolati, anche Roma (1909) e Torino (1905) organizzarono una consultazione

popolare per dare l’avvio alla stagione delle aziende municipali. La decisione di costruire un impianto mu-

nicipale di produzione di energia elettrica maturò nella Milano dei primi del ‘900. Il panorama cittadino

dell’elettricità era stato fino a quel momento completamente dominato dalla società Edison che aveva de-

tenuto il monopolio della produzione, fornendo quanto necessario per i servizi di illuminazione pubblica e

di tram elettrici, e rifornendo ancora non numerosissimi utenti privati.

Le posizioni espresse dal “socialismo municipale” del movimento operaio e dal “municipalismo sociale”

caro all’ala cattolica furono, di fatto, superate da una visione estremamente pragmatica che vedeva nella

municipalizzazione un elemento di recupero del ritardo infrastrutturale cumulato lungo l’Ottocento non-

ché una fonte di finanziamento utile al Comune (Pavese). Un blocco di partiti cavalcò il malcontento nei

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confronti di Edison causato dal costo dell’energia (il più alto allora in Italia) e dalla bassa qualità del servi-

zio offerto, avanzando l’idea di una iniziativa comunale che consentisse di affrancarsi dal monopolio: la

Aem fu ufficialmente costituita in data 8 dicembre 1910. All’Aem fu affidata l’illuminazione pubblica del-

le città e da quel momento venne approntato un piano per crescere la capacità di generazione e soddisfare

la domanda locale. “Il primo quindicennio di attività dell’Azienda milanese fu pesantemente condizionato,

oltre che dai fattori esogeni di carattere generale quali l’economia di guerra, la conflittualità del cosiddetto

“biennio rosso” e l’avvento del fascismo, anche da difficili rapporti con le diverse amministrazioni di oppo-

sto colore che si susseguirono alla guida del Comune” (Pavese 1999).

Con l’inizio del conflitto mondiale nel 1914, la macchina industriale milanese cominciò a lavorare a pieno

ritmo saturando rapidamente la disponibilità dell’impianto di Grosotto, sulla riva sinistra dell’Adda. Nel

periodo fra le due guerre mondiali l'Aem crebbe e si consolidò: durante il ventennio fascista l'Azienda po-

tenziò gli impianti esistenti in città e in Valtellina e avviò la realizzazione di impianti idroelettrici nel si-

stema dell’Alta Valtellina. L'intero sistema oggi comprende sette centrali (Braulio, Isolaccia, Premadio,

Grosio, Lovere, Stazzona e Grosotto) e tre serbatoi di accumulo. L'ultimo impianto, collocato in caverna

per non alterare il paesaggio tutelato dal Parco dello Stelvio, è stato inaugurato nel 1986 nella valle del

Braulio, a circa 2000 metri di quota5.

A Milano come a Torino le Aem sfondarono senza troppe difficoltà il confine comunale creando impianti

idroelettrici in Valtellina e a Chiomonte, che furono in seguito collegati ai capoluoghi attraverso la costru-

zione di reti di trasmissione. Si trattò di una prova di forza operata da due città motore dello sviluppo del

Paese che di fatto non venne contrastata dallo Stato nonostante la nazionalizzazione del settore elettrico.

Queste caratteristiche hanno favorito la nascita di una seconda fase, quella dell'Azienda energetica, che

dal 14 luglio 1981 - quando fu acquisita la rete del gas dalla Montedison - si è estesa per oltre quindici

anni. Si afferma così la Società Multiservizio, un'azienda che ha fatto della qualità e dell'orientamento al

cittadino / cliente la propria principale missione.

A Brescia il servizio pubblico di illuminazione era fornito dalla Seb (Società elettrica bresciana), monopo-

lista privato locale e proprietario di numerosi impianti, cresciuto enormemente tra la fine dell’Ottocento e

l’inizio del secolo scorso. La Asm nacque come “azienda speciale pel esercizio di tram elettrici e del frigo-

rifero” (Ragni 2009) e guerreggiò per anni con la Seb dal momento in cui il Consiglio Comunale deliberò

il riscatto degli impianti di quest’ultima al termine del periodo di concessione. A Brescia l’avvio nella filie-

ra elettrica avviene dunque attraverso l’acquisizione di una centrale da privati e per ragioni comuni a quelle

di altre città italiane: promuovere lo sviluppo del trasporto pubblico. La municipalizzata bresciana fu co-

stretta per oltre vent’anni a stringere accordi con la Seb per la fornitura di energia in cambio del controllo

sulla vendita in città. I problemi crebbero in seguito alle resistenze di Seb ad alimentare le crescenti richie-

ste della concorrente Asm e all’esuberanza dello storico presidente Giarratana, che intraprese un lungo

braccio di ferro con i privati e nel frattempo permise ad Asm di conseguire una buona autonomia produt-

tiva stringendo accordi con le aziende municipali di Milano6 e Verona7. A metà degli anni Cinquanta,

5 Riferimenti al sito: www.laviadellenergia.it 6 Nel 1959 l’ Milano e Asm di Brescia, realizzano la centrale termoelettrica di Cassano d'Adda (ampliata nel 1984).

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l’Asm gestiva l’intera rete del trasporto pubblico cittadino, la distribuzione del gas metano nelle case e nel-

le aziende, e l’acquedotto. La produzione dell’energia elettrica, sufficiente per alimentare la rete

dell’illuminazione pubblica, non era però tale da soddisfare il fabbisogno della città: il principale compe-

titor era una grande azienda privata come Edison, che aveva rilevato la vecchia Società Elettrica Bresciana.

Nel 1961, si presentò l’occasione per ritentare la conquista del monopolio elettrico sulla città di Brescia: i

vertici di Asm strinsero un accordo con la municipalizzata di Milano, Aem, per costruire una centrale e-

lettrica a Cassano d’Adda. Sei anni più tardi raddoppiarono addirittura la scommessa iniziale, realizzan-

done un’altra a Ponti sul Mincio, in collaborazione con Agsm Verona. Nel frattempo Asm era cresciuta

qualificandosi come punto di riferimento multiservizio per la città. Con il tempo estese la sua attività alla

distribuzione del gas (1924), all’acquedotto (1933), al servizio di igiene ambientale (1968) al teleriscalda-

mento (1972), mentre risalgono ad epoche più recenti i servizi pubblici di gestione della sosta e di depura-

zione.

Aem Torino

La situazione di Torino ricalca per alcuni versi quanto visto in Lombardia. La necessità di sostenere la na-

scita di un’azienda municipale per la produzione di energia elettrica fu figlia di una domanda privata pro-

veniente dall’industria; nel corso del 1903 il Consiglio comunale deliberò la realizzazione di una centrale

per offrire forza motrice a basso prezzo e nel 1907 fu ufficialmente costituita Aem Torino. Questa scelta

creò non poche frizioni con la Società Alta Italia, presente da alcuni anni sul territorio, che temeva l’arrivo

di un concorrente. La città di Torino acquisì i diritti per la realizzazione di una grande centrale nei pressi

di Chiomonte e avviò contemporaneamente la realizzazione di una centrale termoelettrica sul territorio

comunale, in regione Martinetto. Attraverso questa centrale, che venne potenziata negli anni seguenti per

bilanciare la produzione, venivano rifornite importanti industrie locali, tra cui la Michelin. Fin dagli esor-

di si evidenziò il carattere elettrocommerciale, con produzioni rivolte alle utenze industriali piuttosto che a

quelle pubbliche, elemento di distinzione rispetto ad altre aziende municipali nate in quegli anni (Sobbre-

ro 1999). Questa caratteristica, abbinata alla capacità di offrire energia a prezzi competitivi (al punto da

agire come calmiere sui prezzi operati a Torino) creò accesi conflitti con i competitor territoriali, come la

già citata Società Alta Italia (Sai) e la Società Idroelettrica Piemontese (SIP). Nel 1923 venne realizzata

una centrale sulla seconda concessione acquistata dalla Città, quella tra Chiomonte e Susa, e nel corso de-

gli anni Venti venne impostato e in gran parte realizzato il sistema degli impianti della Valle dell’Orco,

che costituiranno il fulcro produttivo dell’azienda.

La crisi del ’29, con le conseguenti difficoltà a collocare l’energia prodotta e l’esposizione verso le banche

per gli investimenti effettuati, mise in crisi il modello di Aem e la costrinse a chiudere un accordo di trust

con Sip. Le utenze furono suddivise tra i concorrenti: Aem dovette accontentarsi di servire il 50% delle

industrie, il 75% delle utenze popolari e il 25% delle utenze domestiche borghesi e di lusso. Il livello di

7 Per approfondimenti sulla storia di Asm Brescia si guardi ai contributi di P.P.Poggio e M.Zane “Le aziende poliservizio di Brescia

e Verona" in “Storia delle aziende elettriche municipali” di P.Bolchini, Laterza 1999; al pamphplet di F.Ragni, Municipalizzati.

Breve stria di Asm Brescia, Liberedizioni 2009 e all’interessante contributo dello storico manager del Gruppo Renzo Capra, “150

anni di energia. Le sfide e i primati della Asm di Brescia”.

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prezzi imposto contribuì alla crisi dell’ipertrofica Sip (presente in oltre 900 comuni nonché referente per le

utenze telefoniche al nord e nel centro Italia).

La produzione e la crescita ripresero con vigore negli anni Trenta fino allo scoppio della seconda guerra

mondiale. Gli investimenti si indirizzarono non solo sull’aumento della capacità di generazione, ma anche

e soprattutto sulla distribuzione locale. Nel 1938 Aem Torino, con 321 milioni di Kw, era seconda solo a

Milano (381 milioni di Kw) tra le Aem italiane. Successivamente, vennero realizzati gli impianti idroelet-

trici Rosone-Bardonetto (1941), Bardonetto-Pont (1945), Telessio-Eugio-Rosone (1959), Agnel-Serrù-

Villa (1962), Valsoera-Telessio (1970) e San Lorenzo-Rosone (1999). Negli anni Cinquanta i lavori inte-

ressarono anche l'area torinese e la Val d'Aosta: nel 1953 entrarono in funzione la centrale di Moncalieri e

l'impianto idroelettrico Po-Stura-San Mauro. Negli anni ’60, per soddisfare la crescente domanda di e-

nergia conseguente allo sviluppo di Torino, Aem Torino procedette al potenziamento dei propri impianti:

nella centrale di Moncalieri vennero installati un nuovo gruppo termoelettrico (1966) e un turbogas

(1975); in Valle Orco venne realizzato l'impianto idroelettrico Valsoera-Telessio (1970)8.

Le municipalizzate dell’Emilia-Romagna

I casi di Torino e Milano raccontano uno sviluppo delle Aem concentrato, almeno fino agli anni ’70, sulla

valorizzazione della filiera elettrica. Il caso bresciano evidenzia interessanti sviluppi del modello multi bu-

siness che caratterizzerà la nascita delle multiutility attuali e che rimanda ad un differente rapporto tra

l’azienda municipale e il territorio cui offre i servizi pubblici. Sia Torino che Milano furono caratterizzate

da una separazione forte tra l’Aem locale e le altre aziende nate per l’erogazione di servizi pubblici: l’igiene

urbana, il servizio idrico, il trasporto pubblico vennero erogati attraverso altri enti strumentali facenti tutti

capo alla regia comunale.

Profondamente diverso il modello emiliano, in cui l’azienda municipale non fu concepita come propaggi-

ne operativa della macchina comunale cui assegnare lo svolgimento di un servizio, quanto piuttosto come

un soggetto cui affidare il ruolo di local public service provider. Lo stesso capitò in altre zone della Val Pa-

dana, come il Veneto e la Lombardia, dove i comuni accentrarono in un unico soggetto una vasta gamma

di servizi pubblici. L’articolazione dei servizi attraverso un’unica impresa dal carattere plurale è una condi-

zione che emerge fin dagli esordi della legge giolittiana. Questa configurazione rispondeva all’idea che una

regia unica avrebbe accresciuto l’efficienza e ridotto i costi per i cittadini; inoltre, i fautori del “socialismo

municipale” erano saldi nella convinzione che solo un controllo capillare del maggior numero di servizi

possibile avrebbe garantito la crescita, ma soprattutto lo sviluppo socio-economico dei territori.

L’Emilia Romagna si distingue sin dagli esordi della municipalizzazione per il numero di servizi gestiti

dai Comuni: il 26,9% del totale nazionale al 1913, prima della Lombardia e del Veneto (Balzani p.622). I

casi simbolo della via emiliana all’imprenditoria comunale (Reggio Emilia, Imola e Forlì) rappresentavano

un banco di prova per le amministrazioni “rosse”. Nel corso del primo decennio del secolo erano sorte le

prime aziende riunite che comprendevano la gestione di vari servizi, dall’officina a gas all’impianto elettri-

co, dal macello alla ghiacciaia, fino alle farmacie (Ibid.)

8 Riferimenti al sito: www.irenergia.it

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Rispetto alla fondazione delle singole imprese, l’idea di raccogliere sotto un’unica direzione pubblica atti-

vità destinate a incidere sui vari segmenti del mercato locale, esprimeva la volontà delle amministrazioni

locali di sostenere una gestione sociale dell’economia urbana. L’assenza di elementi naturali favorevoli alla

produzione di energia elettrica e i tentativi non edificanti di creare società elettriche a carattere municipale

per la generazione di energia, avevano da tempo imposto strategie alternative e la consapevolezza della ne-

cessità di gestire servizi su scala sovra locale. L’Emilia-Romagna, infatti, stante la penuria di investimenti,

fu in grado di installare solo una potenza elettrica modesta, pari a quella dell’Umbria o della Puglia.

La strada percorsa fu quella del sostegno allo sviluppo del sistema socio-economico locale attraverso

l’erogazione di servizi con maggior impatto sociale come panifici, case popolari, ecc. Dopo la seconda

guerra mondiale si assiste pertanto allo sviluppo di aziende multiservizio basate sullo sfruttamento della

diffusione dei servizi sul territorio.

Dopo la metà del secolo e dopo i tentativi, spesso sopiti, di sostenere l’emergere di campioni regionali nel-

la generazione elettrica (Modena, Imola, Bologna) si manifesta in pieno il carattere di “coalizione” che

identifica numerosi aspetti del modello di sviluppo emiliano-romagnolo. Attraverso una sedimentata cul-

tura della concertazione tra istanze sociali, esigenze amministrative e potenzialità produttive, che ha stori-

camente caratterizzato le aziende pubbliche locali, è andata maturando un’articolazione di imprese che,

pur mutata rispetto all’origine puramente municipale, ha assunto forme ed estensioni inedite.

L’unicità del modello emiliano-romagnolo ha offerto la base per lo sviluppo di due grandi multiutility

(Hera, anzitutto, ed Enia, poi confluita nel Gruppo Iren) fondate non sulla forza aggregante delle grandi

Aem, ma sulla fusione e sulla costruzione di grandi realtà di settore che hanno saputo tenere insieme i

grandi centri e i poli regionali con i piccoli comuni secondo una logica di creazione di economie di scala e

di sviluppo territoriale diffuso.

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2. CONSOLIDAMENTO E CRISI DEL MODELLO DI MUNICIPALIZZAZIONE (ANNI ’70 E ’80)

Per molti anni l’equilibrio raggiunto tra poteri e prerogative locali nella gestione dei servizi pubblici e il

ruolo di controllo dello Stato resse alle trasformazioni in corso nella società: nel Secondo Dopoguerra le

aziende municipalizzate raggiunsero quota 639 (Tosatti 2004, p. 87) con un’occupazione stimata di oltre

60.000 lavoratori.

Fino agli inizi degli anni ’60 tutto sommato non si assistette a fenomeni di dissesto finanziario delle

società municipali. Di lì in avanti, il boom economico italiano produsse un consistente incremento della

domanda di servizi, trainata ancora una volta dalla crescita delle città e dallo sviluppo dell’industria nel

dopoguerra. Iniziarono a manifestarsi alcune difficoltà nella gestione delle infrastrutture locali, la crescita

urbana si accompagnò alla motorizzazione di massa generando episodi di saturazione.

Nel corso degli anni ’60 la nazionalizzazione del settore elettrico, pur rappresentando una affermazione

dei sostenitori dell’intervento pubblico in campo energetico, colpì pesantemente il settore economicamen-

te più importante (e con i maggiori utili di bilancio) di tutte le aziende municipalizzate, ed ebbe l’effetto

di metterne in forse la stessa sopravvivenza. La prosecuzione dell’attività delle aziende elettriche munici-

pali era subordinata infatti ad un decreto di concessione (e come tale pur sempre revocabile) da parte

dell’Enel (che di fatto nel primo decennio di attività assorbì 168 aziende e servizi elettrici precedentemen-

te erogati da Enti locali). Comunque le aziende più vitali e con maggiore radicamento territoriale soprav-

vissero (Pavese 2000).

Le crisi finanziarie globali che portarono alla luce i limiti del sistema di intervento keynesiano, con il

conseguente innalzamento dell’inflazione, spinsero i governi dell’epoca a tentare di salvaguardare il

consumo calmierando le tariffe e riducendo il ricorso alla tassazione indiretta sui consumi di energia,

specie lungo gli anni ’70, nella fase degli shock petroliferi e dell’Austerity, riducendo così le risorse a

disposizione per l’ammodernamento delle reti e l’adeguamento delle stesse alle nuove esigenze della

società.

Il modello di municipalizzazione che caratterizzò tutto il Novecento e permise di accrescere la dotazione

infrastrutturale del territorio entrò in crisi a partire dagli anni ’70, evidenziando la necessità di

riconsiderare il ruolo dei Comuni nella produzione dei servizi e conseguentemente l’autonomia gestionale

delle aziende municipali. Il carattere di imprenditorialità che si intese dare alle “aziende speciali” con la

legislazione del 1903 e con le seguenti modifiche era funzionale a migliorare le performance nella gestione

dei servizi a diretto vantaggio della cittadinanza. L’obiettivo, in altri termini, era quello di accrescere la

rendita concessa dal monopolio attraverso una logica di impresa (mezzo) e di redistribuire le risorse alla

cittadinanza sotto forma di servizi aggiuntivi e miglioramento della dotazione territoriale (fine). Nel

momento in cui la sostenibilità del modello pre-esistente viene meno, sul versante dei servizi pubblici

locali si rianima il dibattito sul ruolo del Municipio, sui rapporti tra stato centrale e sue emanazioni

periferiche, e più in generale sulla presenza dello Stato nella regolazione del mercato alla luce dei risultati

conseguiti da anni di gestione di aziende statali raccolte all’interno del portafogli dell’IRI, gestito dal

Ministero della partecipazioni pubbliche.

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Con i Decreti Stammati di fine anni ‘70 si tentò dapprima di arginare i deficit di bilancio di molte aziende

pubbliche, ricorrendo all’imposizione del pareggio di bilancio. Dagli anni ’80 in avanti lo Stato ridusse

progressivamente le quote di trasferimenti a garanzia degli investimenti per le municipalizzate limitando,

di fatto, la capacità di innovazione a livello locale e aprendo alla necessità di reperire forme di

finanziamento alternative. Fu solo negli anni ’90, dopo circa vent’anni di dibattito e innumerevoli tentativi

di riforma, che si impose la separazione formale delle imprese dall’ente locale, maggiore autonomia

imprenditoriale e principi di gestione manageriali.

All’inizio del Novecento l’incentivo a costituire aziende speciali per la gestione dei servizi favorì

l’introduzione di giovani figure professionali provenienti dagli istituti politecnici e allo stesso tempo

garantì allo Stato la possibilità di valutare le sperimentazioni locali dei Comuni per selezionare i casi di

maggior successo.

Nei decenni successivi, lo stretto controllo applicato sulle municipalizzate aveva indotto il management a

sviluppare grandi competenze a livello tecnico-operativo. Molte città italiane si erano arricchite di

personale altamente qualificato nella distribuzione dell’energia e dell’acqua; al contrario la cultura

finanziaria, il controllo di gestione, l’attenzione all’economicità dei servizi e all’efficienza aziendale

risultavano, nella stragrande maggioranza dei casi, caratteri sottosviluppati. La presenza dell’attore locale

nel ruolo di finanziatore delle imprese aveva generato una de-responsabilizzazione nel management

rispetto ai risultati gestionali; gli interventi finanziari di ripianamento delle perdite rappresentavano

l’emblema di un modello virtuoso, sicuramente funzionale allo sviluppo di un paese arretrato e bisognoso

di investimenti infrastrutturali, ma anti-economico e, soprattutto, insostenibile negli anni a fronte di un

accrescimento dei costi di approvvigionamento delle materie prime e di investimenti per l’innovazione

industriale. In parallelo, la chiusura al mercato e alla competizione aveva prodotto un’esplosione di

monopoli locali governati dai Comuni come bacini occupazionali per accrescere il consenso locale, offrire

opportunità lavorative in territori depressi e soprattutto sostenere crescenti forme di clientelismo politico.

Il rapporto tra Comune e utilities si era arricchito di una funzione impropria rispetto alla mission che gli

era stata attribuita ad inizio secolo, un’anomalia che rappresentava un vincolo alla possibilità di crescita del

settore dei servizi e che spingeva i Comuni a conservare gelosamente il controllo delle proprie imprese

locali, alimentando la parcellizzazione delle gestioni e trascurando i benefici ottenibili dalla produzione di

economie di scala. Le aziende municipali tendevano a cristallizzarsi come propaggine strumentale del

governo locale attraverso la quale il Comune attuava forme di compensazione tra gli interessi del territorio

(distribuendo incarichi e posti nei consigli di amministrazione) e forme di controllo del consenso (veicoli)

sociale (attraverso la leva dell’occupazione), fino a rappresentare un veicolo finanziario del Comune in

grado di attuare sottotraccia alcuni degli elementi propri di una politica di federalismo fiscale, attraverso la

capacità di produrre valore e rendite utilizzabili per il finanziamento del policy making locale.

L’amministrazione delle aziende municipalizzate cominciò a diventare appannaggio di esponenti politici

legati alle maggioranze che reggevano il Comune anziché di tecnici e manager. Tale presenza andò via via

accentuandosi, portando alla direzione delle municipalizzate uomini sempre più legati agli “apparati”. A

partire dagli ultimi anni ’70 le imprese municipalizzate si trasformarono a volte in centri di potere dei par-

titi tra cui erano state lottizzate non tardando a diventare anche, in qualche caso, centri di malversazione

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finalizzata al finanziamento occulto di correnti politiche come le cronache giudiziarie hanno poi eviden-

ziato.

Come ammonisce Sapelli: “Le aziende municipali vengono sempre più trasformandosi da quello che

erano originariamente – imprese che dovevano distribuire a prezzi inferiori o quanto meno simili a quelli

delle imprese a proprietà privata, beni pubblici come il riscaldamento, l’illuminazione, gli alimenti di base

per consentire di aumentare via via il livello di vita delle classi sociali bisognose – in imprese che hanno,

oltre a questi fini, sempre più quelli di consentire l’accesso alle risorse economiche alle classi politiche che

si stanno sempre più aggregando non a livello nazionale o europeo, quanto, invece, a livello locale, sotto il

segno di una disgregazione alveolare dei sistemi di solidarietà e della loro trasformazione in sistemi di

interessi. Questo cambiamento è l’elemento forse più invisibile della trasformazione del sistema di potere

nell’inanellamento tra economia e politica in atto oggi in Italia. Ma proprio per questo esso è decisivo. E

per questo tale trasformazione del potere deve divenire l’oggetto fondamentale di analisi per il futuro”

(Sapelli 2005).

In quegli stessi anni alcune municipalizzate, forzando l’impianto normativo, avevano iniziato ad investire

fuori dei confini comunali, partecipando a gare per la gestione dei servizi, formando accordi con altre im-

prese ed estendendo, attraverso la stipula di “convenzioni”, i servizi nei Comuni limitrofi. Questo dinami-

smo, presente in particolare nelle città del nord come Genova, Milano, Torino, rappresenta l’embrione del

carattere imprenditoriale che le utilities assumeranno a pieno titolo solo dopo gli anni ’90 e contempora-

neamente.

Come accennato in precedenza nel corso degli anni ’80 ebbe inizio un processo di ripensamento delle au-

tonomie locali culminato nella legge 8 giugno 1990, n.142, che conferì alle aziende speciali piena persona-

lità giuridica e maggiore autonomia gestionale. La legge prevedeva, come è noto, la possibilità di realizza-

re nuove forme di gestione ed erogazione di pubblici servizi; in particolare, venne facilitata la gestione

consortile tra comuni ed enti locali contigui, consentita la costituzione di società per azioni a prevalente

capitale pubblico. Fu, inoltre, autorizzata la possibilità di costruire joint-venture tra capitale pubblico ed

azionisti privati. Da ultimo si stabilì maggior rigore nel perseguimento di una maggiore efficienza, effica-

cia ed economicità e si ribadì il vincolo del pareggio del bilancio.

L’accelerazione prodotta in sede comunitaria dai processi di riforma ha investito i governi nazionali

generando un ripensamento circa la natura dei servizi, le modalità di erogazione, il ruolo dello Stato

centrale e locale nella regolazione di questo specifico mercato. Attraverso un lungo processo di riforma si è

assistito all’introduzione di concetti nuovi, quali: concorrenza, efficienza, mercato e competizione, e con

questi l’idea che le trasformazioni del sistema economico e dei gruppi sociali lungo il Novecento potessero

essere assecondate in maniera più efficiente introducendo forme di mercato all’interno di una regolazione

garantita, sin dagli inizi del ‘900, dalla mano pubblica.

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3. PRIVATIZZAZIONE E TRASFORMAZIONI (ANNI ’90)

3.1 Le linee generali del nuovo processo

In Italia la liberalizzazione e la privatizzazione avvengono per impulso non tanto di una ridefinizione del

servizio pubblico in sé, i principi e gli scopi che si pone tale servizio restano i medesimi, quanto piuttosto

delle modalità attraverso le quali il servizio è offerto. In estrema sintesi, con l’intento di semplificare un

quadro necessariamente più complesso e articolato9, attraverso le riforme degli anni ’90 viene meno

l’equazione “impresa pubblica = ente pubblico”, senza però produrre una vera privatizzazione nel settore.

Si compiono i primi passi per creare le condizioni necessarie alla nascita del mercato dei servizi pubblici

locali, attraverso un processo di “accompagnamento” il cui fine è quello di tradurre un secolo di

municipalizzazione all’interno di un processo di progressiva privatizzazione e liberalizzazione dei servizi.

In altre parole si manifesta la volontà di far crescere un’industria dei servizi pubblici in Italia composta da

imprese di dimensioni maggiori, con livelli di redditività più alti e una maggiore competitività sui mercati

locali e internazionali. Si sostiene la ricerca dell’utile e dell’economia di scala favorendo la fusione tra

società locali pur nel rispetto degli oneri di servizio regolati da contratti con la pubblica amministrazione.

In questi termini, il salto che si compie tra la municipalizzazione dei servizi e la costituzione di imprese

dotate di una propria autonomia imprenditoriale va letto come un momento di passaggio cruciale lungo

un cammino che destabilizza i ruoli nel settore e trasforma il rapporto tra ente locale e mercato.

Sino ai primi anni ’90 le imprese pubbliche locali, nate come strumento di attuazione delle politiche

pubbliche attraverso la gestione operativa dei servizi loro affidati, hanno sostanzialmente operato

all’interno di un contesto a bassa o nulla competizione. Lo scambio implicito è stato a lungo impostato su

condizioni di tutela e garanzia dei mercati a fronte di una minore autonomia e indipendenza sul piano

strategico e imprenditoriale. Si è trattato di uno scambio conveniente sia per l’impresa, in grado produrre

risultati economici positivi e preservare i mercati di riferimento, che per l’ente locale, posto nelle

condizioni di influenzare significativamente le strategie aziendali e interessato alla riscossione degli utili

prodotti. All’interno di questa situazione di sostanziale “protezione”, alcune imprese hanno comunque

saputo intraprendere importanti percorsi di sviluppo, sino a diventare player di riferimento anche a livello

nazionale. Altre imprese invece non sono state in grado di crescere e rafforzarsi, rimanendo di fatto

confinate al vecchio modello dell’ “azienda del Comune” (Valotti 2006, p. 97).

L’avvio della stagione delle riforme nei servizi pubblici locali parte con l’approvazione della Legge 142 del

1990; questa riforma interviene dopo decenni di relativa stabilità normativa se si pensa che la famosa

103/1903 (Legge Giolitti), confluita poi nel T.U. n. 2578 del 1925, era sostanzialmente rimasta in vigore

fino ad allora.

9 Si rimanda alle distinzioni settoriali del complesso e frammentato processo di riforma dei servizi pubblici locali alle normative di

riferimento a partire dalla l. 142/90 e proseguite negli anni ’90 e 2000: Legge Galli 36/1994; Bassanini 59/1997 e “Bassanini bis”

127/1997; Bersani 79/1999, decreto Letta 164/2000.

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Se il quadro normativo vigente lungo tutto il Novecento era stato predisposto con l’obiettivo di porre i

Comuni al centro del processo di sviluppo locale attraverso l’istituto della “municipalizzazione” dei servizi

essenziali, in forte contrapposizione con gli operatori privati presenti, con la Legge 142 si effettua una

distinzione nella natura stessa del servizio che viene offerto individuando, per alcuni di essi, il carattere di

“rilevanza economica ed imprenditoriale”.

La Legge offriva importanti margini decisionali nella determinazione della forma più opportuna di

gestione dei servizi, gli enti locali erano liberi di ricorrere all’istituzione di società per azioni aperte a

capitali privati. Il punto di partenza era rappresentato da una profonda revisione del sistema di governo e

regolazione dei servizi pubblici con la separazione netta tra il ruolo del Municipio regolatore e quello

dell’impresa chiamata a erogare i servizi. Sulla scia delle indicazioni offerte dall’Unione Europea si posero

le basi per la ricostruzione dei rapporti tra ente locale e soggetto affidante attraverso la predisposizione di

contratti di servizio, di durata variabile, all’interno dei quali regolare gli affidamenti, definire le

caratteristiche del servizio e gli standard qualitativi richiesti.

Le ex aziende municipali furono formalmente privatizzate e dotate di personalità giuridica piena, un

patrimonio proprio e il riconoscimento di una maggiore “autonomia” imprenditoriale e discrezionalità

nella gestione dei servizi. Il carattere di imprenditorialità che accompagna la riforma si fonda su una serie

di assunti:

• Riconosce il cambiamento in corso all’interno dei mercati e l’incremento della redditività offerto

dall’evoluzione delle tecnologie e dei consumi, cosa particolarmente vera per i settori elettrici, del gas

naturale, così come per i servizi ambientali e la fornitura di acqua.

• Tende a favorire lo sviluppo di nuovi modelli organizzativi indirizzati all’incremento dell’efficienza.

• Offre agli enti locali un elevato grado di autonomia nella definizione delle modalità attraverso le quali

perseguire la maggiore efficienza possibile nell’erogazione dei servizi.

Importanti conseguenze maturano nei rapporti di regolazione tra enti locali e imprese: la riforma

introduce nuovi livelli di governo con l’istituzione di specifiche authority, terze nel rapporto tra ente

regolatore e impresa regolata; allo stesso tempo con la privatizzazione delle ex imprese municipali e i

tentativi di apertura al mercato dei settori emerge tutta l’ambiguità del ruolo del Comune, al tempo stesso

azionista e regolatore.

L’evoluzione del quadro normativo interviene su un insieme eterogeneo di imprese e produce esisti

differenti sia a livello territoriale sia a livello settoriale, denunciando la presenza di scelte strategiche

eterogenee. Alcune questioni in particolare sembrano essere cruciali per comprendere l’attuale assetto dei

mercati:

• Lungo gli anni ’90 interviene un processo di privatizzazione formale operato attraverso la modifica

della natura giuridica delle ex aziende municipali. Una quota rilevante e crescente di municipalizzate si

trasforma in società di capitali, società per azioni, o in aziende speciali. Si sancisce in questo modo la

fine del modello dell’azienda municipale. In una fase avanzata il capitale pubblico si apre all’ingresso di

investitori privati e alcune aziende vengono quotate in Borsa.

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• Le utility iniziano ad operare superando definitivamente i tradizionali confini comunali o, in casi

molto marginali, quelli provinciali. Gli interventi normativi settoriali approvati dopo la L. 142/90 (L.

36/1994 sul riordino del servizio idrico integrato; il Decreto 22/1997 sul ciclo ambientale, l’avvio della

liberalizzazione del mercato elettrico e del gas) apriranno nuove finestre di opportunità per lo sviluppo

delle aziende, contribuendo al ridisegno della geografia territoriale degli operatori.

• In diretta conseguenza le imprese attuano strategie volte ad accrescere le proprie dimensioni operative.

In alcuni casi promuovono integrazioni orizzontali con operatori del territorio per consolidare il

proprio posizionamento o diversificare la produzione in nuovi ambiti settoriali. In altri realizzano

processi di integrazione verticale, per modificare il proprio posizionamento nelle diverse filiere di

business.

• La complessità organizzativa imposta dalle evoluzioni societarie e l’emergere di nuovi caratteri

funzionali dell’impresa partecipata per i comuni proprietari spingono necessariamente alla revisione

dei comportamenti organizzativi alla ricerca di una maggiore efficienza.

Dal 1995 al 2006 le utility che assumono la forma di società per azioni passano da 22 a 889 con una

progressione notevole anno dopo anno: da 56 spa nel 1997, a 151 nel 1999, a 405 nel 2001 (Confservizi

2005). La stragrande maggioranza di queste produce, come detto, una privatizzazione solo “formale”,

adottando una veste giuridica di tipo privato e formando un’entità, dal punto di vista organizzativo e

contabile, separata dall’ente pubblico d’origine. Solo in alcuni casi si evidenziano esempi di privatizzazione

“sostanziale”, con il trasferimento, di tutta o in parte, la proprietà dei beni dal settore pubblico al settore

privato attraverso una cessione di azioni. In quest’ultimo caso i privati, una volta acquisita una sufficiente

quota di partecipazione al capitale, hanno la possibilità di definire gli indirizzi strategici delle aziende

(Buratti, Cavaliere e Osculati 2002) sia perché in possesso della maggioranza del capitale sociale, sia

partecipando in quota minoritaria attraverso l’esercizio di deleghe operative.

Si pensi, a tale riguardo, che le spa di cui gli Enti Locali sono unici azionisti sono largamente prevalenti

(73%) e che nel resto delle imprese ben il 23,6% ha mantenuto la maggioranza pubblica, mentre solo una

piccola percentuale (3,4%) ha optato per la Spa minoritaria. Tuttavia, nonostante i ritardi e la non lineari-

tà, le misure di liberalizzazione hanno rappresentato comunque un impulso al mutamento strutturale del

mercato dei servizi pubblici locali e all’aggiornamento delle strategie imprenditoriali. In particolare ciò ha

determinato una progressiva riorganizzazione dell’offerta volta a realizzare una dimensione più adeguata al

conseguimento di economie di scala. Il processo di trasformazione ha determinato un mutamento signifi-

cativo nelle strategie degli operatori. Le imprese, in risposta all’evoluzione del contesto competitivo, han-

no dato vita ad una fitta trama di aggregazioni e alleanze – sia tra imprese pubbliche locali, sia con primari

operatori nazionali e internazionali – finalizzate a consolidare la presenza sul mercato, rafforzare il potere

contrattuale, sfruttare le sinergie operative, ampliare il bacino di riferimento; in sintesi a migliorare

l’efficienza e l’economicità nella prestazione del servizio.

Una delle strade percorse con maggior forza da parte delle imprese più grandi e patrimonialmente solide è

stata la quotazione in Borsa.

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Alcuni Comuni decisero di affidare al mercato il reperimento delle risorse per sostenere la crescita delle

proprie controllate e insieme, raccogliere capitale per finanziare le proprie politiche. Sul lato degli assetti

proprietari non si verificano, in questa fase, cambiamenti sostanziali: la percentuale media di flottante di

Borsa raggiunse il 35,5% contro una media europea del 47% circa.

ANNO QUOTAZIONE

Amga Genova 1996

Aem Milano 1998

Acea Roma 1999

Acsm Como 1999

Aem Torino 2000

Acegas-Aps 2001

Asm Brescia 2002

Hera 2003

Meta Modena 2003

Al 31 dicembre 2003 le nove local utilities quotate rappresentavano l’1,6% della capitalizzazione totale

della Borsa italiana. Aem Milano da sola incideva per oltre il 30%, seguita da Asm Brescia, Acea, Hera e

Aem Torino, con percentuali differenti comprese tra il 16,7% e il 10%. Grazie alla quotazione, sono stati

collocati titoli per oltre 3 miliardi di euro, di cui 665 milioni sono confluiti nelle casse delle società per so-

stenere programmi di sviluppo, mentre il restante è stato incassato dai Comuni (Agici 2003).

La quotazione in Borsa segna inesorabilmente la distanza tra poche imprese leader, nate dall’esperienza

municipale che attraverso il mercato sono riuscite a raccogliere nuove risorse per promuovere i propri pia-

ni strategici di sviluppo e un ampio gruppo di operatori, perlopiù a carattere comunale, confinati in di-

mensioni ridotte e con maggiori difficoltà a crescere. Le ragioni sono certo molteplici e specifiche per ogni

territorio perché scontano condizionamenti contingenti e valutazioni politiche tali da influenzare le scelte

di azione rispetto alle possibilità offerte dalla Legge; d’altra parte, è possibile fare una considerazione sulla

distribuzione geografica delle utilities a partire dall’Indagine Cispel del 1999 i cui risultati trovano con-

ferma qualche anno più tardi nei dati raccolti da Nomisma e Confservizi (200710): “La distribuzione geo-

grafica delle IPL è caratterizzata da una rilevante concentrazione nelle aree settentrionali del paese e ciò dipende,

non soltanto dai modelli gestionali dei servizi pubblici locali prescelti, ma anche dal grado di sviluppo locale del

territorio nel quale si attivano le politiche di crescita dei servizi pubblici locali, attraverso il potenziamento del

grado di infrastrutturazione e quindi di fornitura del servizio all’utenza. Infatti, si può notare che le IPL sono

maggiormente sviluppate (non solo in termini di n. imprese ma anche in relazione al valore economico) nel nord

Italia, dove il tasso di industrializzazione risulta pari a 133, nel nord-ovest, e a 135, nord-est, (media Italia pa-

ri a 100)”.

La promozione di forme di imprenditorialità nei servizi è pertanto vincolata alla possibilità locale di

costruire un mercato. I differenziali di sviluppo registrati all’interno del paese hanno indotto lungo il ‘900

atteggiamenti differenti rispetto alla gestione dei servizi pubblici locali; spiegano Cavaliere e Osculati

(2002) che l’economia del nord del paese ha attivato una domanda forte di servizi incrementando la

10 La competitività delle Imprese Pubbliche Locali in collaborazione con Unicredit Banca d’Impresa

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capacità locale di promuovere investimenti in infrastrutture. Al sud, invece, i bassi margini di

contribuzione delle tariffe alla copertura dei costi hanno limitato lo sviluppo delle imprese favorendo

inoltre atteggiamenti opportunistici quali l’uso delle imprese locali come serbatoio di occupazione e,

conseguentemente, di consensi. In altri termini il sistema politico ha raccolto consenso, da un lato

attraverso la traduzione dei benefici economici generati dal settore in investimenti per lo sviluppo del

territorio e dall’altro attraverso l’assorbimento della disoccupazione.

All’introduzione di tecniche di gestione manageriale di impresa con l’affidamento delle stesse a personalità

in grado di influenzarne il mutamento di pelle si affianca l’attenzione alla crescita dimensionale delle

imprese in contrasto alla parcellizzazione diffusa in tutto il paese che limita la competitività del settore.

3.2 Lo sviluppo dei modelli multiutility

L’evoluzione normativa prodotta dalle riforme degli anni ’90 ha introdotto grandi trasformazioni sotto il

profilo degli assetti interni delle imprese pubbliche locali, nonché fenomeni differenziati di aggregazione

tra società, tali da ridisegnare in alcuni ambiti la mappa delle aziende operanti sul territorio. Il processo di

profonda riforma del settore si apre, come detto con la 142/1990, ma è attraverso gli interventi normativi

successivi11, sia di carattere settoriale sia a valenza generale, che si creano le condizioni per un

riposizionamento strategico degli operatori e l’avvio di una riconfigurazione dei mercati di servizio

pubblico locale.

Tra questi interventi i più importanti sono senza dubbio la Legge Galli in tema di servizio idrico integrato

(legge n. 36/1996) e il Decreto Ronchi in tema di rifiuti solidi urbani (d.lgs. n. 22/1997) che hanno

avviato il processo di concentrazione degli operatori locali. Soprattutto occorre ricordare le riforme

cardine dei mercati energetici: il decreto Bersani in tema di energia elettrica (d.lgs. n. 79/1999), il decreto

Letta in tema di gas naturale (d.lgs. n. 164/2000). Negli anni a seguire sia la Legge Finanziaria per il 2002

(L.448/2001) che quella per il 2004 (L. 350/2003), introdurranno dei vincoli sempre più stringenti sia dal

punto di vista delle forme societarie utilizzabili, sia a livello di procedure per l’affidamento dei servizi.

11 Con la l. 23 dicembre 1992, n. 498 venne, di conseguenza, introdotto il modello della società con capitale pubblico locale di

minoranza, caratterizzata dall’imputazione del capitale di maggioranza assoluta in capo ad un unico socio privato (organizzato anche

in forma di raggruppamento temporaneo di imprese), selezionato con gara ad hoc. All’ente locale veniva, al contempo, riservato il

potere di nominare uno o più amministratori e sindaci, o la cosiddetta golden share. Del resto, al pari delle società dal capitale

pubblico maggioritario, anche a quelle controllate dal privato era attribuito il beneficio dell’affidamento diretto, essendosi attuato a

monte il confronto competitivo tra gli operatori privati interessati a divenire soci del soggetto a capitale misto. La relativa procedura

di selezione fu analiticamente dettata dal d.p.r. 16 settembre 1996, n. 533, che fissò anche il contenuto minimo dell’atto costitutivo e

del contratto di servizio destinato a regolare i rapporti tra l’ente affidatario e la società di gestione. Successivamente, la riforma dei

modelli di gestione dei servizi pubblici locali subì un’ulteriore accelerazione con l’emanazione della legge 15 maggio 1997, n. 127,

che I) contemplò la possibilità di costituire società a responsabilità limitata; II) attribuì la facoltà di affidare il servizio direttamente

non solo a società appositamente costituite dall’ente locale, ma anche a società già esistenti, previa eventuale modifica dello statuto;

inoltre, III) previde soprattutto un procedimento di trasformazione delle aziende speciali in società per azioni tanto veloce ed

economicamente vantaggioso da rendere chiaro il disegno di sostituzione delle prime con le seconde. Ad eccezione del regolamento

di disciplina delle società minoritarie, tutte le disposizioni sin qui considerate sono poi confluite nel titolo V del d.lgs. 18 agosto

2000, n. 267, recante il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (Silleoni).

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Il tentativo promosso lungo gli anni ’90 di “costruire” un mercato dei servizi pubblici locali in Italia ha

generato risultati non omogenei; a fianco di gestioni imprenditoriali sempre più rivolte al mercato e alle

opportunità di crescita permane un vasto ricorso alla gestione dei servizi in economia. Le imprese hanno

vissuto fasi di intenso mutamento, tanto istituzionale quanto imprenditoriale e industriale, in un intreccio

che ha determinato sia effetti di stimolo sia ostacoli. Gli stimoli possono essere ricondotti alle prospettive

di liberalizzazione che hanno spinto le imprese a riposizionarsi sui mercati con l’obiettivo di migliorare le

proprie performance di competitività; gli ostacoli riguardano l’instabilità normativa e l’ampio ricorso a

forme di tutela dello status quo che nei fatti hanno inibito sia l’impostazione di programmi di sviluppo di

lungo respiro, sia le potenzialità economico-finanziarie delle imprese.

Tali stimoli e condizionamenti hanno interagito con le strategie delle imprese determinando un

mutamento significativo nelle scelte di investimento e nella direzione data allo sviluppo delle aziende. “In

questo contesto (globalizzazione e aumento della competizione internazionale, ndr.) al progredire dei

processi di deregulation si è accompagnata, tanto in Italia, quanto nel resto d’Europa, una tendenza

crescente da parte delle imprese di pubblici servizi a convergere su più settori, dando origine al modello

della multiutility, vale a dire società in grado di offrire tendenzialmente alla stessa base di clienti, una

molteplicità di servizi.” (Bruti Liberati, Fortis, 2001, p.15).

Si evidenziano, di seguito, una serie di strategie da prendere come punto di riferimento per comprendere

l’evoluzione del settore dei servizi pubblici relativamente ai processi di aggregazione e alla costituzione

delle moderne società multiutility:

• Le dimensioni aziendali diventano sempre più un fattore discriminante in grado di influenzare tanto la

capacità di produrre investimenti, agendo sulla leva del debito, quanto la possibilità di generare

economie di scala, specie sul lato degli approvvigionamenti di energia. La spinta a crescere sul mercato

assume caratteri diversi a seconda del settore e delle possibilità offerte dal quadro normativo. Gli

incentivi offerti dalle riforme sul servizio idrico e sul servizio di igiene ambientale e le opportunità

garantite dall’apertura dei mercati energetici favoriscono, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del

Duemila, il salto di qualità di alcune ex imprese municipali in player di livello regionale o nazionale.

• I percorsi strategici di sviluppo delle utilities si caratterizzano per una crescente diversificazione dei

business. Le imprese disegnano nuovi portafogli di attività investendo in quei settori in grado di offrire

i migliori margini di redditività in funzione di profili di rischio sostenibili. Le strategie di

diversificazione si caratterizzano per la ricerca di un business mix in equilibrio tra attività

regolamentate e attività in via di liberalizzazione o già liberalizzate, tra business caratterizzati da

concessioni monopolistiche di medio-lungo periodo (servizio idrico integrato), che tuttavia

impongono significativi impegni di capitale, e settori con profili di rischio elevati perché esposti ad

una crescente concorrenza (vendita energia elettrica e gas), ecc.

• Le caratteristiche di business delle imprese e la differente redditività delle loro attività segnano – come

evidenziato in figura – divari crescenti tra i soggetti che operano lungo la filiera energetica rispetto agli

operatori maggiormente impegnati in attività meno remunerative come l’igiene urbana e il servizio

idrico. In questo contesto si distinguono le local utility quotate, che evidenziano sia una redditività

complessivamente superiore a quella media del settore, sia una maggiore vivacità in termini di corporate

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activity. Si tratta, infatti, di imprese di medio-grandi dimensioni, il cui ingresso in Borsa ha

incentivato processi di riorganizzazione delle attività sotto il profilo gestionale e finanziario, la

realizzazione di alleanze e partnership strategiche per conseguire livelli di redditività più elevati e

remunerare adeguatamente gli azionisti (Mcc 2005).

Tipologia IPL e andamento medio dei setori/redditività

Fonte: Nomisma

Le specificità di ciascun mercato in cui si sviluppa il business delle multiutility hanno necessariamente

condizionato le scelte strategiche di investimento delle imprese. I mercati hanno assunto fisionomie

differenti principalmente in ragione dell’evoluzione normativa che ne ha ridisegnato le caratteristiche. A

partire dalla fine degli anni ’90 emerge tuttavia una tendenza trasversale alla crescita dimensionale degli

operatori. Lo sviluppo dei modelli multiutility avviene attraverso l’acquisizione di imprese operanti in

settori diversi (diversificazione) o su posizioni differenti rispetto alla catena del valore (integrazioni

verticali); in alternativa l’obiettivo di produrre economie di scala e di scopo è perseguito attraverso la

costituzione di nuovi soggetti nati attraverso accordi, joint venture o alleanze con altri attori economici

presenti in territori contigui (integrazione orizzontale).

Nel mercato energetico emergono due profili di azienda. Le grandi Aem, storicamente posizionate nel

mercato della generazione energetica a seguito delle riforme del mercato elettrico (in primis l’acquisizione

della capacità di generazione ceduta da Enel secondo le indicazioni del Decreto Bersani di cui si parlerà

più diffusamente in seguito), da un lato consolidano la propria presenza nell’upstream, dall’altro

promuovono integrazioni verticali lungo la filiera con l’acquisizione di porzioni di rete elettrica locale (tra

cui Roma, Torino, Milano e Brescia). Parallelamente emerge un secondo profilo di azienda, le piccole

imprese elettriche locali, poco presenti nella generazione, che operano nel settore più specificatamente sul

lato downstrem della distribuzione e vendita locale e che perseguono strategie di rafforzamento su mercati

in fase di piena liberalizzazione.

Nella filiera del gas, un mercato caratterizzato dalla profonda frammentazione delle gestioni, la presenza

delle local utilities è da sempre limitata al posizionamento downstream. Il profondo processo di

riorganizzazione iniziato con il Decreto Letta produce la disarticolazione verticale (o unbundling) delle

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imprese favorendo forme di concorrenza nei segmenti liberalizzati. Si assiste ad una progressiva riduzione

nel numero degli operatori a seguito dello sviluppo di accordi, alleanze, aggregazioni e acquisizioni che

coinvolgono sia imprese locali sia primari operatori nazionali e internazionali. A titolo di esempio si

ricordi l’esperienza di Plurigas spa12, joint-venture costituita nel 2001 da Amga spa di Genova, Aem

Milano spa e Asm Brescia spa con l’obiettivo di incrementare le capacità di acquisto della materia prima

con una conseguente ottimizzazione dei prezzi delle forniture. Questo genere di accordi permette alle

società costituenti di aumentare la propria capacità di penetrazione del mercato, in taluni casi scorporando

rami di azienda scarsamente competitivi e partecipando alla gestione della new.co. secondo quote

proporzionali al capitale investito.

Il servizio idrico integrato nato con la riforma Galli del 1994 ha solo parzialmente determinato la tanto

attesa riorganizzazione di un settore che in Italia manifesta profonde inefficienze e un ritardo notevole

nell’adeguarsi agli standard imposti dall’Unione Europea. L’obiettivo della Galli era quello di favorire

l’integrazione della gestione dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione per promuovere economie

di scopo e il superamento delle gestioni comunali. A metà del Duemila, nonostante i ritardi di

applicazione e i tentativi reiterati di elusione della legge, la dimensione media dei gestori era, in effetti,

triplicata, passando da 153.474 abitanti serviti in media nel 1999, ai 425.951 del 2007 (analisi Anea

2008); la concentrazione è particolarmente evidente se si osserva la crescente incidenza dei soggetti

maggiori, le imprese che servono più di 500.000 abitanti. Tra il 2000 e il 2010 il settore idrico si conferma

come core business per una delle maggiori multiutility nazionali, il Gruppo Acea di Roma e rappresenta il

settore di riferimento sia per Hera che per le costituende Iride e Iren. All’ombra di questi grandi gruppi

crescono le esperienze delle grandi imprese monobusiness come Acquedotto Pugliese spa, Smat Torino,

Amga Genova, Metropolitane Milanesi, Amiacque.

Come per il servizio idrico integrato, anche il settore dell’igiene ambientale ha vissuto una fase di riforma

a metà degli anni ’90 (Decreto Ronchi del 1997), momento in cui circa il 90% delle imprese era a carattere

comunale. L’intervento normativo ha solo minimamente prodotto l’integrazione delle gestioni e la

concentrazione del mercato al pari di quanto capita all’estero. Le strategie attuate dalle local utilities più

aggressive in questo settore si sono caratterizzate attraverso gli investimenti nel segmento dello

smaltimento, quello a maggior valore aggiunto, e la fusione tra imprese di bacini adiacenti per accrescere

le economie di scala. Nella filiera ambientale cresce e si consolida come leader nazionale il Gruppo Hera

cui riesce di estendere il servizio su oltre 180 comuni già dalla metà del decennio Duemila. Interessante

notare l’assenza o il basso coinvolgimento delle imprese energetiche come Aem Torino e Aem Milano in

questo settore fino alla seconda metà del Duemila, nonostante le evidenti sinergie tra la filiera ambientale

e il settore elettrico (relativamente al trattamento dei rifiuti e alla loro termovalorizzazione, cosiddetto

waste-to-energy) e la convergenza nei segmenti della cogenerazione e del teleriscaldamento. Eccezione

rilevante quella di Asm Brescia, unica multiutility che per risultati raggiunti, come vedremo a breve, riesce

a posizionarsi tra le prime multiutility sia nelle filiere energetiche che nel settore ambientale.

12 La compagine azionaria di Plurigas oggi vede , società con una quota del 70% e Iren, al 30%. Attualmente Plurigas opera

principalmente come fornitore dei soci, che a loro volta servono il mercato residenziale o utilizzano la risorsa in autoconsumo per

alimentare le proprie centrali.

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I percorsi strategici di sviluppo delle multiutility che si affermano a metà del Duemila in Italia non

presentano grandi caratteristiche di omogeneità al loro interno tali da poter avanzare l’ipotesi che si siano

costituiti dei veri e propri modelli di impresa o, quantomeno, delle tipologie precise. È più corretto dire

che le linee lungo le quali si sviluppano le imprese presentano alcune affinità e profili comuni, quali:

i)migliorare i livelli di efficienza economica ed operativa, rispondendo alle attese potenzialmente

divergenti di clienti ed azionisti; ii) crescere per aumentare la massa critica, sia per fronteggiare la

crescente concorrenza, sia per cogliere sinergie ed economie di scala; iii) sviluppare nuove aree di business

per migliorare la redditività con l’offerta di prodotti/servizi non regolamentati e perseguire politiche di

fidelizzazione della clientela.

Emerge una componente di path dependance nelle diverse storie di impresa determinata dalla particolare

configurazione del portafoglio di business con cui le imprese si presentano all’appuntamento con le

riforme dei mercati di servizio pubblico. In altre parole, osservando le scelte strategiche di alcune imprese

di servizio pubblico, è possibile notare la prosecuzione di “sentieri di crescita” pregressi, attraverso il

consolidamento all’interno delle filiere di business già precedentemente presidiate con un’ottica di

potenziamento e di espansione.

In linea generale, molti operatori – in quanto emanazione degli enti territoriali di riferimento – sono

tradizionalmente presenti nell’offerta di una pluralità di servizi (distribuzione e vendita di energia elettrica,

di gas naturale, gestione del ciclo dei rifiuti e di quello idrico), evidenziando una forte proiezione verso un

modello multiutility. In questo contesto, parzialmente diverso è il caso di quanti si posizionano nell’offerta

di servizi contigui a quelli tradizionalmente offerti (ad es. l’illuminazione pubblica) oppure potenzialmente

in grado di fidelizzare l’utenza servita (gestione calore/energia). Queste linee generali sono però state

coniugate in forma diversa nei diversi settori e nelle diverse regioni. Gli ambiti ottimali, spesso peraltro

disegnati lungo linee più amministrative che geografiche in senso stretto, sono propri di acqua e rifiuti,

laddove le gare per la distribuzione del gas sono state invece condotte a livello di singoli Comuni. Se da

un lato questo carattere è il naturale portato storico di esperienze industriali sviluppatesi lungo il

Novecento, la riorganizzazione dei mercati degli anni ’90 in imprese multiservizio è sembrata in molti casi

una risposta di tipo difensivo di fronte ai processi di deregolamentazione e di apertura alla concorrenza.

Molte amministrazioni locali hanno favorito l’integrazione orizzontale su base comunale per preservare il

controllo sugli operatori del territorio e questo tipo di integrazione ha tuttavia ridotto la possibilità di

costruire economie di scala. In altri termini alcune ex aziende municipali avrebbero utilizzato il modello

dell’impresa multiservizio soprattutto per mantenere livelli di attività e quote di mercato in precedenza

garantiti dalla posizione di monopolio (Bruti Liberati e Fortis 2001).

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3.3 I gruppi multiterritoriali (e la diversificazione regionale)

Il carattere multiservizio, come visto in precedenza, è parte costitutiva del DNA di molte utility, in

particolare quelle nate lungo la Via Emilia e in Veneto. Più in generale è una peculiarità tipica delle

aziende municipali sorte in quei contesti socio-economici caratterizzati dalla doppia impronta culturale

del “socialismo municipale” e del “municipalismo sociale”. Queste esperienze abbozzate fin dal primo

dopoguerra, identificano l’utility come punto di riferimento per l’erogazione dei servizi essenziali, una

sorta di piccolo local services provider. L’orientamento strategico ha quindi seguito la strada del

consolidamento territoriale e della valorizzazione delle economie di scala e di scopo soprattutto nelle fasi a

valle della filiera produttiva. Il rapporto con l’utente/cliente finale ha rappresentato il punto di riferimento

per l’organizzazione dei servizi e del lavoro, concentrando all’interno di un’unica struttura tutte le funzioni

amministrative. Nei territori di elezione l’impresa si è proposta come interfaccia unica per le esigenze di

servizio della cittadinanza. “La politica locale ha svolto usualmente un ruolo significativo, come

testimoniato dal fatto che le federazioni si sono per lo più mantenute all’interno dei confini regionali (e i

tentativi di superarli, per partecipare oggi al “risiko energetico”, hanno evidenziato difficoltà notevoli)”

(Banca d’Italia).

Tra le diverse modalità di attuazione di questa strategia, si segnala il consolidamento delle gestioni

all’interno di aree territoriali omogenee. Questo avviene essenzialmente attraverso la realizzazione di

processi di integrazione, cooperazione e collaborazione con gli incumbent presenti sui singoli ambiti

territoriali adiacenti ovvero, mediante la gestione integrata delle diverse filiere. La strategia di integrazione

verticale risponde, in primo luogo, alla necessità di stabilizzazione dei margini, che tendono a variare

spesso lungo le diverse fasi della filiera. Pertanto, le imprese, che vogliono abbassare il livello di rischio e

assicurarsi una certa stabilità di cash flow valutano positivamente l’opportunità di diventare operatori

integrati. In passato la forte specializzazione e la natura di impresa monobusiness erano una caratteristica

peculiare delle public utilities, l’unica strategia di crescita perseguita e perseguibile era proprio

l’integrazione verticale e/o orizzontale, ossia lo sviluppo nel settore di attività originario e nello stesso

contesto territoriale (locale e/o nazionale). L’integrazione verticale rispondeva alla duplice finalità di

perseguire le forti economie di scala legate alla gestione dei pubblici servizi e di facilitare l’esercizio della

funzione d’indirizzo e controllo da parte dello Stato coerentemente con gli obiettivi di politica economica

e di sviluppo industriale. Il value driver è rappresentato sia dalla possibilità di valorizzare la stessa base di

clienti, diversificando l’offerta al cliente finale, sia dall’opportunità di ricavare importanti risparmi nei costi

di gestione dell’impresa. L’approccio integrato risponde ad una logica “pervasiva” rispetto al mercato,

incentrata cioè sullo sfruttamento di sinergie tecnico-organizzative, politiche di brand e di marketing,

sinergie di immagine e di gestione comune dei bisogni del cliente. Tale integrazione è funzionale alla

creazione di una piattaforma di servizi accomunati da canali di vendita, infrastrutture tecnologiche ed

operative.

L’opzione di integrazione verticale è stata perseguita, per il settore idrico-ambientale, attraverso

l’individuazione di una gestione unitaria all’interno dei singoli ATO. Le attività di depurazione,

smaltimento e distribuzione dell’acqua sono state unificate con l’obiettivo di superare la frammentazione

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gestionale (gestioni in economia, servizio affidato ad una pluralità di local utility) e migliorare il livello di

efficienza nelle diverse gestioni. A livello locale si è operata una riduzione dei soggetti gestori allo scopo di

accrescerne la dimensione e dunque le capacità di investimento. Allo stesso tempo sono emersi progetti di

diversificazione nel settore ambientale con l’avvio di investimenti significativi nel segmento della

termovalorizzazione dei rifiuti. La costruzione di nuovi impianti che prevedono un assetto cogenerativo (il

primo con Asm a Brescia) si inserisce come opzione in grado di qualificare la produzione dei servizi sul

territorio determinando un beneficio economico derivante sia dal trattamento dei rifiuti apportati (filiera

dell’igiene urbana), sia dalla vendita di elettricità in regime di incentivo (CIP 6/certificati verdi), sia infine

dalla vendita di calore a servizio del teleriscaldamento (attività non regolata e in grado di assicurare

margini di redditività significativi (Mcc 2006).

Una seconda dinamica di sviluppo è rappresentata dalla crescita per linee esterne attraverso processi di

integrazione orizzontale su nuovi mercati. Questo è avvenuto lungo direttrici differenti:

• Consolidamento della presenza nei mercati regolati di servizio pubblico locale allargando il perimetro di

operatività dell’impresa su nuovi territori. Questa strategia è stata perseguita attraverso: i) la

partecipazione in quota minoritaria in società concessionarie alla ricerca di partner

industriali/finanziari; ii) la partecipazione diretta o la costruzione di veicoli societari nuovi per

concorrere alle gare per nuovi servizi. Le iniziative hanno puntato ad accrescere la massa critica delle

imprese favorendo l’allargamento del perimetro di operatività e lo sviluppo del portafoglio di

concessioni.

• Crescita su mercati locali. Sulla stessa linea, ma con obiettivi parzialmente differenti, si inseriscono le

alleanze, gli accordi e le fusioni tra soggetti industriali operanti in ambiti adiacenti. Questa strategia di

espansione territoriale punta alla valorizzazione delle economie di scala e di scopo, alla costruzione di

sinergie e alla possibilità di erogare un numero maggiore di servizi alla stessa base di utenti, nonché al

contenimento dei costi, in ragione ad esempio dell’accorpamento di funzioni aziendali comuni, le

economie di approvvigionamento. Le numerose fusioni cui si è assistito lungo il decennio 2000 hanno

portato alla costruzione di imprese multiutility di livello regionale con un’ampia base clienti cui

erogare un elevato numero di servizi. È, in estrema sintesi, la strategia perseguita da gruppi del calibro

di Enia, Hera, ma anche Acegas-Aps e LineaGroup.

• Approvvigionamento energetico. Una terza via allo sviluppo per linee esterne segue la realizzazione di

accordi con soggetti di rilievo nazionale o internazionale per migliorare le condizioni di

approvvigionamento delle materie prime.

Si tratta di operazioni volte a ridurre la storica assenza delle imprese multiservizio locali nel segmento

dell’upstrem energetico. Le imprese hanno promosso alleanze extra-locali attraverso accordi, forme

consortili o la creazione di new.co. con altri soggetti locali (non necessariamente prossimi

geograficamente) per migliorare la propria capacità nell’approvvigionarsi di energia (elettrica e gas).

Valgano gli esempi di Blugas (consorzio che coinvolge Linea Group, Amag Agliana - Pistoia, Consiag

Prato, Intesa Siena, Salerno Energia Vendite, Soenergy Argenta di Ferrara e Asm Magenta), la già citata

Plurigas e l’esperienza dei Consorzi formati in partnership con Edison da operatori di piccole/medie

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dimensioni come Blumet, Estgas, Prometeo. Allo stesso modo si inscrivono le partecipazioni, seppur in

quota ridotta con le Aem e partner internazionali per l’acquisizione di capacità di generazione elettrica

(GenCo Interpower).

Il perimetro all’interno del quale è possibile riunire le imprese caratterizzate da uno sviluppo multi

territoriale del business è estremamente ampio. Include infatti soggetti che, secondo strategie e politiche

differenti, hanno focalizzato il proprio sviluppo sulla possibilità di estendere il mercato di riferimento sia

sfruttando i vantaggi della regolazione sia ricercando all’esterno tanto un equilibrio finanziario locale,

quanto la possibilità di costruire margini da ridistribuire nei territori di elezione.

La ricerca di nuove forme di efficienza e una scala superiore di operatività è avvenuta in maniera diversa

territorio per territorio e azienda per azienda; esistono ragioni che rimandano alle differenti normative

regionali (in particolare per quanto riguarda la regolamentazione del servizio idrico integrato e del ciclo

ambientale) che hanno favorito o meno l’integrazione tra gli operatori, così come il ruolo di facilitazione e

di stimolo rivestito dagli azionisti pubblici, dai livelli di governo superiori (province, regioni) e dagli

stakeholder territoriali (le associazioni datoriali in particolare). Una parte rilevante delle motivazioni che

hanno portato a sviluppi differenziati delle imprese nel passaggio tra la forma di azienda municipale a

quello dei moderni gruppi multiutility va ricercata nei caratteri culturali specifici dei territori di elezione e

nel ruolo che le imprese di servizio pubblico sono state chiamate ad interpretare per lo sviluppo e la

crescita locale.

La strategia di diversificazione produttiva presenta quindi peculiarità regionali: è molto marcata in Emilia

Romagna, dove le multiutility estendono il proprio raggio d’azione a tutti i servizi pubblici locali

regolamentati, con l’eccezione dei trasporti locali, e ad una limitata produzione di energia. Tale strategia è

invece meno accentuata nelle rimanenti aree del nord-est. Le imprese del Triveneto sono cresciute

seguendo strade parallele e assolutamente autonome tra loro. Gli episodi di collaborazione si sono limitati

a progetti specifici e nonostante il forte ruolo esercitato dalla Regione Veneto, anche negli anni più

recenti, è mancata la capacità di aggregare le realtà comunali e provinciali all’interno di un soggetto unico

e plurale di dimensione macro-regionale. Lo sviluppo delle aziende ha determinato la nascita di

multiutility di taglia intermedia che hanno assunto caratteri di forte autonomia strategica rispetto ad

un’ipotesi di riassetto sistemico di livello macro-regionale.

L’esempio più rilevante è offerto dalla multiutility Acegas-Aps, nata alla fine del 2003 dalla fusione delle

imprese della città di Trieste e di Padova. Il Gruppo, attivo in tutti i settori di servizio pubblico con una

presenza importante anche nella produzione di energia elettrica, è presente in Borsa dal 2001 come

Acegas, in quanto a seguito dell’incorporazione della municipalizzata di Padova, ha preso l’attuale

denominazione. L’aggregazione delle attività di Acegas e Aps ha consentito la creazione di un’azienda

multiutility di riferimento per i servizi di pubblica utilità nell’ambito dell’Alto Adriatico; oltre alla

presenza nel segmento del gas naturale, che rappresenta la principale area di business in termini di

contributo ai ricavi consolidati, la società sviluppa una posizione di leadership nella fornitura del servizio

idrico integrato e nel ciclo dei rifiuti. All’ombra di questo gruppo l’unico altro soggetto ad essere presente

in Borsa è AscoPiave, società attiva storicamente nel comparto del gas naturale come distributore presso

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oltre 150 comuni. Lo scenario di mercato vede la presenza di soggetti polverizzati e poli aggreganti di

carattere provinciale incapaci di promuovere strategie unitarie.

Lo sviluppo delle aziende multiservizio emiliano-romagnole ha seguito un canovaccio tipico. Dapprima

attraverso l’integrazione tra aziende partecipate dallo stesso comune o attraverso affidamenti successivi di

servizi, si è consolidata l’azienda multiutility su base comunale. In seguito si è attuata una strategia di

espansione su territori contigui. È il caso di Ami a Imola, di Agac a Reggio-Emilia e Amps a Parma e in

epoca più recente di Seabo di Bologna che prima della fusione in Hera stava al centro di un bacino

d’utenza di 52 comuni.

Il Gruppo Hera (oggetto di un approfondimento nei capitoli seguenti) nasce nel 2002 dall’integrazione di

undici multiutility di base provinciale operanti in territori confinanti (Province di Bologna, Forlì, Ravenna

e Rimini). L’aggregazione ha dato vita a una delle più importanti local utility presenti in Italia nei servizi

energetici, idrici e ambientali, con un bacino di utenza di circa 2 mln di abitanti. L’unicità del percorso

aggregativo ha portato gli analisti a definirlo emblematicamente come il “modello Hera”, per richiamare le

caratteristiche di un’unione fondata sulla volontà di superare la suddivisione territoriale degli operatori e di

inserirsi in un contesto comune più ampio per poter realizzare economie di scala, disporre sia di servizi

centralizzati funzionalmente articolati, sia dei vantaggi derivanti dai processi di innovazione organizzativa.

Le strategie realizzate rispondono in primo luogo al potenziamento degli investimenti in impiantistica e

infrastrutture specie nei settori di punta del gruppo: la gestione del servizio di igiene ambientale e la filiera

del gas; in secondo luogo all’allargamento ulteriore del mercato di riferimento attraverso la concentrazione

in Hera degli operatori regionali presenti e la promozione di economie di scopo per focalizzare

l’attenzione sull’utente e sulla possibilità di erogare il maggior numero possibile di servizi in tutta l’area

servita.

L’approccio strategico allo sviluppo territoriale del gruppo romagnolo rimarrà una caratteristica distintiva

e uno dei principali vantaggi competitivi nel futuro. La scelta aggregativa sarebbe stata facilitata dalla

presenza di imprese di dimensioni confrontabili, ex-municipalizzate di comuni tutti di dimensioni medie.

L’approssimativa parità di condizioni di partenza tra soggetti federanti è stata importante e garantita da

un processo a più fasi, in cui nel primo stadio l’aggregazione è avvenuta tra i soggetti minori (i romagnoli,

in questo caso) e, nel secondo stadio, questi si sono associati all’impresa del Comune maggiore.

Lo sviluppo del Gruppo si è caratterizzato per la costituzione di strutture di raccordo territoriale (società

operative territoriali) con il compito di sovraintendere all’erogazione dei servizi e sostituire le vecchie im-

prese a carattere provinciale nell’interlocuzione con gli utenti e gli amministratori. Questo genere di orga-

nizzazione si distingue con forza rispetto alle dinamiche osservate nelle altre imprese multiservizio dove di

norma l’espansione su nuovi mercati si configura più spesso come acquisizione della posizione preceden-

temente occupata dall’incumbent o come collaborazione in veste di azionista di minoranza delle imprese

storicamente presenti.

In ambito regionale, lo sviluppo di Hera si accompagna a quello di due esperienze, entrambe confluite og-

gi in gruppi maggiori: Meta di Modena e Enia. La multiutility di Modena Meta (in Hera dal 2005) si

quota in Borsa perseguendo una strada autonoma caratterizzata da una strategia di espansione nel seg-

mento della generazione elettrica, e dall’ampliamento della capacità di trattamento del termovalorizzatore.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Sul fronte opposto, Agac Reggio Emilia sposa una strategia aggregante per la porzione emiliana della re-

gione. A differenza di Meta decide di non intraprende un cammino autonomo ma dà vita al Gruppo Enia

con altri due partner: Amps (Parma) e Tesa (Piacenza). Enia è un Gruppo multiutility operante in tutte le

filiere energetiche, in quella idrica e in quella dei rifiuti, seppure con attività in alcune filiere e in alcuni

loro stadi non uniformi sul territorio.

Nel nord-ovest all’ombra di Aem Torino, il cui profilo di generation company la distingue in maniera si-

gnificativa dalle piccole imprese comunali e provinciali del territorio, emergono le esperienze del Gruppo

Egea di Alba (una delle poche realtà multiutility a maggioranza privata) e di Amga Genova. Lo sviluppo

del gruppo genovese, in particolare, si caratterizza per un’intensa attività di costruzione di alleanze su base

extra-locale allo scopo di espandere territorialmente il perimetro di business dell’impresa e accrescere le

competenze interne. La strategia punta ad approfittare delle occasioni di sviluppo offerte dalle procedure

ad evidenza pubblica, promosse da singoli Enti Locali interessati a privatizzare le quote di minoranza del-

le local utility. Amga Genova ha perseguito una politica di alleanze fondata su una presenza minoritaria

nel capitale di questi soggetti (es. Asa Livorno, Gea Grosseto, Agam Monza, Asp Asti, Atena Vercelli,

Acos Novi Ligure, ecc). In parallelo la società genovese ha partecipato alla costruzione di veicoli societari,

new.co., attraverso i quali aprire nuovi spazi di mercato. A questo proposti basti citare la costruzione di

Tirreno Power con Acea Roma e Electrabel, che ha garantito al gruppo ligure una presenza più significa-

tiva nel business elettrico.

La multiutility ligure ha disegnato una strategia a tutto campo proponendosi come soggetto forte nel set-

tore del gas e del servizio idrico integrato. Per quanto concerne il primo settore sia le alleanze sull’upstream

che le operazioni dirette a conquistare mercati nuovi hanno seguito una logica imprenditoriale di investi-

mento in diverse regioni, alla luce delle opportunità che man mano si venivano a creare nei vari territori.

Nel servizio idrico integrato l’operatività di Amga si è sviluppata tanto sul versante interno della regione

(la gestione del servizio nell’ambito genovese e una partecipazione in quello di Imperia, più la concessione

a Chiavari e Ventimiglia) quanto nel tracciare ad hoc nuovi equilibri territoriali partecipando con nuovi

veicoli societari alle gare in Toscana e in Piemonte. Il salto di qualità di livello nazionale si compie nel

2004 con l’acquisizione della maggioranza del capitale di Società Acque Potabili in collaborazione con

Smat Torino. Quest’operazione consolida la presenza di Amga come punto di riferimento nazionale nel

settore e disegna lo sviluppo di un soggetto sempre più multi territoriale. Accanto ad un forte posiziona-

mento storico nel territorio di elezione cresce di intensità una strategia a tutto campo rivolta ad accrescere

il portafoglio di partecipazioni.

In ambito lombardo i player principali che emergono si caratterizzano per profili di business moto diffe-

renti; a parte Aem Milano, di cui si parlerà diffusamente nel prossimo capitolo, l’unico esempio di rilievo

è rappresentato dalla piccola multiutility comasca Acsm quotata in Borsa dal 1999. Il gruppo si connota

per una forte impronta nel settore del gas e una caratterizzazione locale del business. Per molti aspetti

Acsm ricalca il classico profilo di impresa, precedentemente denominato local service provider che in questa

fase caratterizza molte delle città del Triveneto: il teleriscaldamento, la raccolta e lo smaltimento dei rifiu-

ti, la gestione del servizio idrico coprono le utenze del capoluogo e dei comuni limitrofi e obiettivo del

gruppo è quello di consolidarsi territorialmente accrescendo il numero di servizi erogati (completare le fasi

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del servizio idrico integrate, estendere la gestione delle reti gas su territori limitrofi). L’occasione di fare

un salto di qualità, ipotizzato attraverso il progetto di incorporazione di Bas, utility bergamasca, fu persa

per la resistenza finale del consiglio comunale di Bergamo.

A sud di Milano le quattro municipalizzate che da Pavia, passando per Lodi e Cremona, arrivano fino a

Mantova, si sono riunite in Linea Group. Questa esperienza si distanzia profondamente dai casi di svilup-

po multi territoriali visti fino ad ora. Sebbene la costruzione di new.co partecipate da più imprese sia uno

dei tratti caratteristici con cui le ex-aziende municipali si sono mosse per acquisire nuovi spazi di mercato,

Linea Group si configura più come “accordo leggero” tra imprese nel segmento della commercializzazione

dei servizi (creazione di un marchio unico e una strategia coordinata) mantenendo ognuna la propria

struttura organizzativa. È in altri termini un “patto federativo” (così viene definito dagli stessi amministra-

tori) volto a migliorare il coordinamento tra soggetti piccoli e polverizzati sul territorio della Bassa Padana

e in ogni caso fondato sulla necessità di preservare gli assetti locali.

L’esempio più illustre e per molti aspetti unico di impresa multi utility locale che ha saputo costruirsi un

posizionamento di livello nazionale nel settore elettrico13 e del gas e insieme è cresciuta nell’erogazione di

tutti i servizi pubblici locali tanto in ambito locale, quanto all’esterno è l’Asm di Brescia.

Come detto in precedenza (cap.1, p. 37) l’azienda bresciana nasce e cresce come local service provider cui il

Comune ha affidato nel corso del Novecento tutti i principali servizi pubblici a partire dal trasporto pub-

blico locale, caso unico nel panorama delle imprese osservate, che esce dal perimetro aziendale solo prima

della collocazione in Borsa nel 2001. Asm sviluppa un carattere profondamente multiservizio, ma al con-

tempo, dopo le battaglie storiche con la Società elettrica Bresciana e l’Enel, conquista una capacità di ge-

nerazione superiore sia alle multi utility emiliano romagnole, sia a quelle venete. Con l’apertura del merca-

to elettrico e la vendita di centrali Enel dopo il 1999 (se ne parlerà a breve) Asm conquista nuova capacità

produttiva partecipando con una quota di minoranza al veicolo Endesa Italia creato dal gruppo spagnolo

per l’acquisizione di una delle tre gen.co Enel. In parallelo Asm ha completato l’acquisizione da Enel della

rete elettrica in 45 comuni della provincia posizionandosi come uno dei maggiori gruppi locali nel seg-

mento della distribuzione. Sempre nella prima metà del Duemila si è garantita l’approvvigionamento di

gas con la partecipazione in Plurigas e Cogas. Tra le operazioni di espansione territoriale, la più rilevante

è certo l’acquisizione di Bas Bergamo avvenuta nel 2005. Quello dell’azienda bresciana è dunque un uni-

cum nel panorama di sviluppo italiano, al punto che potrebbe configurarsi come un profilo autonomo sia

rispetto alle aziende multi territoriali sia nei confronti delle piccole generation company di cui si parlerà tra

breve.

13 Al 2004 Asm contava su nel segmento della generazione, la Capogruppo è attiva principalmente attraverso gli impianti termoelet-

trici di Cassano d’Adda (630 MW di capacità installata, in corso ulteriori interventi di repowering, quota ASM Brescia pari al 25%)

e Ponti sul Mincio (400 MW, quota ASM Brescia 45%), un termoutilizzatore (78 MW, compresa la terza linea), 2 impianti di co-

generazione elettricità/calore (163 MW, i cui ricavi rientrano nell’attività di teleriscaldamento) e altri siti minori (6 centrali idroelet-

triche da complessivi 9 MW e 4 siti per il recupero di biogas con una potenza installata di 11 MW). Al 30.09.2004, per effetto della

piena operatività delle centrali termoelettriche in virtù del completamento degli interventi di repowering e dell’entrata in esercizio

della terza linea del termoutilizzatore, si registra un incremento del 61,9% dei volumi di elettricità prodotti, a un livello di 1.868

GWh (comprendendo l’apporto degli impianti di cogenerazione). (Mcc 2006)

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In Lombardia accanto a queste esperienze che sottendono processi di crescita fortemente diversificati tra

di loro, esiste una costellazione di ex “municipalizzate polvere” (Confservizi-AAster 2006) e qualche ag-

gregante. Le traiettorie che queste stanno percorrendo sono ancora in vivace divenire. In costante tensione

tra la ricerca della massa critica necessaria all’offerta di un buon servizio, sia per qualità che per prezzo, e la

propria autonomia locale.

3.4 Le Aem, piccole generation company del nord

Un approccio al territorio profondamente differente è quello disegnato dalle Aziende Elettriche

Municipali che a partire dagli anni ’70 e ’80, con una decisa accelerazione nel decennio successivo,

perseguono strategie autonome di crescita attraverso l’integrazione e il consolidamento a monte e a valle

della filiera elettrica.

A seguito del processo di nazionalizzazione dell’energia elettrica del 1962, il panorama dell'industria

elettrica in Italia vedeva l’affermazione dell’Enel, grande azienda di dimensione nazionale con una

copertura superiore all’80% del mercato di produzione complessiva e l’85% dei consumi finali cui si

affiancava il gruppo di imprese municipalizzate dei principali centri urbani: Roma, Milano e Torino (6%

di energia prodotta e 5% di quella venduta). La parte restante della produzione e dei consumi derivava

dalla capacità di soggetti industriali privati che conferivano le eccedenze all’Enel una volta coperta le

proprie necessità di consumo.

All’interno di un mercato in profonda trasformazione le Aem di dimensioni superiori e maggiormente

capitalizzate, come ad esempio Aem Milano e Aem Torino, avevano avviato progetti strategici di

potenziamento dei propri comparti di generazione e iniziato processi di diversificazione a livello

geografico e produttivo. Gli investimenti principali furono rivolti al consolidamento della posizione di

leadership locale nelle filiere energetiche, muovendosi attraverso integrazioni verticali a monte e valle per

incrementare la capacità di generazione e insieme presidiare i mercati finali. Grandi investimenti sono

stati indirizzati anche nel settore del gas naturale per garantire l’alimentazione delle centrali

termoelettriche e le centrali di cogenerazione (convergenza upstream). Asm Brescia è stata la prima e più

illustre azienda italiana a lanciare nel 1971 gli investimenti nella cogenerazione legata alla

termovalorizzazione dei rifiuti.

Aem Milano, nonostante il blocco al potenziamento imposto da Enel, passa da 2.304 Gwh venduti nel

1971 agli oltre 3.300 del 1997, prima della riforma Bersani. Questo sviluppo fu garantito dalla crescita del

comparto idroelettrico, prerogativa storica non solo dell’Aem milanese, ma anche di quella di Torino. In

parallelo la società meneghina aveva intrapreso, su richiesta del Comune di Milano, un imponente

progetto di conversione degli impianti di riscaldamento, promuovendo con successo l’uso del metano e

con meno fortuna lo sviluppo delle attività di cogenerazione e teleriscaldamento (recupero della acque

dalla Centrale di Tavazzano).

Diversa la vicenda di Aem Torino che, subìto l’urto della crisi energetica degli anni ’70, al punto da dover

interrompere gli investimenti in programma, attraversò una fase di profonda debolezza lungo tutti gli anni

’80 a causa del calo dei consumi per il processo di deindustrializzazione del capoluogo torinese e per la

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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progressiva riduzione dei residenti. Il rilancio passò attraverso una maggior focalizzazione territoriale del

business affiancando alla storica attività della produzione elettrica le attività di servizio svolte per conto del

Comune di Torino (l’illuminazione pubblica e la distribuzione di energia), e altre attività non regolate

come la cogenerazione e il teleriscaldamento su cui la Città decise di investire (attività che cresceranno

costantemente come voce nei ricavi negli anni a seguire).

Lungo gli anni ’90 e per buona parte del primo decennio successivo Aem Milano e Aem Torino restano

gli unici o quantomeno i principali soggetti pubblici a livello nazionale a mantenere un forte profilo

energetico e, in particolare, un forte posizionamento nelle attività upstream di generazione elettrica. Il

ruolo svolto da queste imprese rispetto alle politiche di sviluppo e crescita locale si è sempre mantenuto

più distaccato rispetto a quanto non capitasse per le imprese multiservizio o per le aziende monobusiness

locali. Le Aem hanno a lungo giocato un ruolo di grande autonomia; il sistema locale ha guardato alle

Aem come strumento da preservare e assecondare nel suo sviluppo perché la buona redditività e la discreta

efficienza offerta dalla possibilità di giocare in mercati protetti garantivano agli azionisti flussi di entrate

annui di una certa consistenza e la possibilità di coprire autonomamente le proprie necessità di maggiore

efficienza e di espansione.

La disponibilità di risorse finanziarie derivanti dalle rendite di monopolio generate nella produzione di

energia ha consentito a queste imprese di finanziare gli investimenti resi necessari dall’innovazione

tecnologica e di crescere cogliendo le opportunità derivanti dalla integrazione a monte o a valle del ciclo

produttivo, e talvolta dalla diversificazione produttiva, in alcuni casi in anticipo rispetto agli stimoli

derivanti dalle riforme. Le vie di espansione erano fortemente connesse alle caratteristiche tecnologiche:

in comparti con sinergie nella produzione, quali il gas, e vantaggi di sfruttamento congiunto della rete,

quali il teleriscaldamento e l’idrico, ottenendo così una gestione più efficiente della gamma di combustibili

utilizzati (gas in alternativa al petrolio e input meno costosi per il teleriscaldamento, Banca d’Italia, 2009)

Il nuovo contesto determinato dalla riforma del mercato elettrico ha rappresentato un ulteriore stimolo

all’espansione. Le imprese si sono rafforzate nei comparti a monte dell’energia elettrica, che

rappresentano, anche in seguito alla liberalizzazione, le fasi più redditizie della filiera, cercando la crescita

prevalentemente per vie interne, incorporando, da posizioni di forza e non tramite strategie aggregative di

tipo paritario, altri operatori di più piccole dimensioni.

Tra il 1999 e il 2000 i Ministri dell’Industria Bersani e Letta introdussero due Decreti (78/99 e 164/00)

destinati a imprimere un’accelerazione al ridisegno del mercato dei servizi pubblici locali. Relativamente

alla generazione di energia elettrica, il primo Decreto impose all'Enel il limite del 50% alla produzione di

energia e conseguentemente la vendita della sovraccapacità produttiva ad altri soggetti attraverso

procedure ad evidenza pubblica. Questo processo si sviluppò tra il 2001 e il 2003 attraverso la creazione e

la messa sul mercato di tre società elettriche, denominate gen.co14, dotate di un determinato numero di

centrali elettriche del patrimonio impiantistico Enel: Elettrogen Eurogen e Interpower.

14gen.co 1 - Eurogen con una potenza totale degli impianti pari a 7.008 MW; gen.co 2 - Elettrogen con una potenza totale degli

impianti pari a 5.438 MW; gen.co 3 - Interpower con una potenza totale degli impianti pari a 2.611 MW.

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La parziale apertura del mercato alla generazione offrì un’occasione irrinunciabile per gli obiettivi di

espansione delle multi utility più grandi in Italia. Le dimensioni delle 3 gen.co imponevano il ricorso a

consorzi o gruppi di imprese capaci di sostenere lo sforzo economico rilevante dell’acquisizione. Si

vennero così a comporre gruppi internazionali partecipati secondo quota dalle utility che si sfidarono in

competizioni ad evidenza pubblica nelle tre diverse occasioni. Interessante notare la composizione

azionaria dei veicoli in gara:

• la prima gen.co Elettrogen, fu acquistata dalla cordata denominata Endesa Italia formata da Endesa

(45,33%), Banco Santander Central Hispano (40,00%) e Asm Brescia (14,67%)

• la gen.co Eurogen, la maggiore, fu acquistata dalla cordata Edipower spa cui azionisti erano Aem

Torino (oggi Iren), Aem Milano (oggi A2a), la società svizzera Atel ed Edison;

• la terza gen.co, Interpower spa, fu acquistata dal veicolo Tirreno Power spa formato da Acea

Electrabel (oggi di proprietà del gruppo francese Gdf) e Energia Italiana (oggi Sorgenia al 78%, Iren e

Hera entrambe all’11%).

Questa finestra di opportunità ha garantito solo ad alcune imprese del centro-nord Italia di compiere il

salto di qualità proponendosi come soggetto di rilievo nazionale alle spalle dell’incumbent Enel. Le stesse

imprese hanno, inoltre, sviluppato l’attività di trading nel gas naturale per conseguire risultati economici e

rafforzare la propria posizione nell’upstream di questo mercato, riducendo i rischi grazie ad una limitata

importazione del bene, effettuata prevalentemente tramite le principali società partecipate.

Il mercato del gas viene rivoluzionato nel maggio del 2000 per effetto del Decreto Letta in recepimento

della direttiva comunitaria n. 98/30/CE. La riforma è stata indirizzata a far crescere player nazionali in

grado di approvvigionarsi autonomamente sul mercato delle materie prime, andando a contrattare

direttamente con i grandi produttori internazionali (Russia, Algeria, Nigeria) il prezzo delle partite di gas.

Il processo di riorganizzazione muta quindi profondamente l’assetto degli operatori attivi nella varie fasi

della filiera del gas naturale. La possibilità di sfruttare le reti fisiche presenti e costruite dall’ex-

monopolista nazionale Eni, l’intervento di meccanismi anti-trust e l’apertura alla concorrenza nella

vendita al cliente finale hanno permesso a molte società di entrare nel mercato organizzando i propri

modelli di business. Va da sé che la possibilità di generare economie nel settore dipende sostanzialmente

dalla capacità di concorrere all’acquisto di grandi quantità di materie prime e insieme dalla possibilità di

realizzare impianti di rigassificazione sul territorio nazionale allo scopo di allargare il bacino di fornitori

della materia e di abbassare ancora una volta i costi di approvvigionamento.

Dai due decreti ne discende una spinta forte alla crescita dimensionale delle aziende e della loro capacità

di competere sul mercato; a fronte di una situazione quale quella italiana, caratterizzata da un’estrema

frammentazione degli operatori in alcuni mercati di servizio pubblico, iniziano ad innescarsi alleanze

industriali tra imprese che in un secondo momento troveranno pieno sviluppo all’interno di logiche di

crescita territoriale per fusioni societarie.

La ricerca di una scala dimensionale più elevata mediante processi di fusione ha inevitabilmente

comportato la necessità di attrarre capitali per finanziare lo sviluppo. La trasformazione in società per

azioni ha anticipato qualche anno prima la quotazione in Borsa (Aem Milano nel 1998, Aem Torino nel

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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2000). L’obiettivo era quello di assicurare introiti all’ente controllante senza tuttavia la rinuncia al

controllo. Questi processi hanno evidenziato l’ingresso nel capitale di investitori istituzionali, in

particolare Istituti di credito, Finanziarie, Fondi di investimento e seppur limitatamente soci industriali

interessati ad accedere al mercato italiano.

Aem Milano è stata l’unica impresa ad aver visto scendere il controllo del Comune sotto il 50%. In Borsa

fu collocato il 49% del capitale e l’assetto proprietario precedente alla fusione in A2a del 2008 vedeva

come principali azionisti il Comune di Milano con il 44% della società seguito da Atel, utility svizzera

(6%) e il fondo Fidelity International. La struttura del capitale di Aem Torino post quotazione vedeva il

Comune di Torino al 68,85%, San Paolo Imi 4,91%, Assicurazioni Generali 4,39%, Fondazione Cassa di

Risparmio di Torino 2,01% e il 20% circa come flottante di mercato.

La quotazione ha rafforzato la capacità di investimento e il proseguimento del sentiero di crescita che già

precedentemente ne aveva identificato la maggior autonomia imprenditoriale rispetto alle imprese

multiservizio precedentemente osservate. Il passaggio alla quotazione ha prodotto un’evoluzione nei

rapporti tra comune ed ex azienda municipale: il comune, più come shareholder che come stakeholder

aziendale, ha assecondato percorsi di crescita indirizzati alla massimizzazione dei risultati garantendosi i

benefici della redistribuzione degli utili, al pari di quanto accade per qualsiasi altra impresa privata.

Dal punto di vista dei modelli di diversificazione settoriale delle Aem, avviati già nel corso degli anni ’70,

è stata emblematica l’esperienza di Asm di Brescia (che è bene ricordare come caso atipico sia rispetto alle

imprese multi territoriali del precedente profilo così come delle Aem). L’azienda bresciana ha avviato

progetti fortemente innovativi, come il teleriscaldamento o lo smaltimento dei rifiuti urbani tramite

termovalorizzatore; percorsi strategici seguiti poi da molti gruppi multiutility e che in alcuni casi hanno

prodotto un’evoluzione nel business mix. Si pensi ad esempio al crescente ruolo esercitato dalla

cogenerazione e dal teleriscaldamento per Aem Torino prima, Iride e Iren oggi.

Sino alla metà del primo decennio Duemila la caratterizzazione elettrica è tuttavia rimasta di gran lunga la

principale fonte di sviluppo per le Aem. Importanti vantaggi derivanti dalla produzione di energia via

termovalorizzazione dei rifiuti sono emersi solo attraverso i processi di fusione del 2008 (A2a, non a caso

per l’incorporazione dell’esperienza di ASM Brescia) e 2010 (Iren, con l’ingresso di Enia da tempo

operante nell’igiene ambientale).

AEM MI ASM AEM TO

Produzione elettrica disponibile

(direttamente e indirettamente) (GWh)

11.900 5.700 3.800

Energia elettrica venduta

(GWh)

14.500 6.700 7.100

Volumi di gas importati direttamente

o tramite consociate (Gmc)

1.800 700 0

Volumi di gas utilizzati in proprio

e venduti a terzi

3.750 1.900 1.300

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A seguito della partecipazione all’acquisto di Eurogen (oggi Edipower), Torino raddoppia la propria

dimensione produttiva e dopo l’acquisizione da Enel della rete elettrica cittadina persegue un ulteriore

processo di crescita attraverso gli investimenti nella generazione con l’entrata in funzione dell’impianto

idroelettrico di Pont Ventoux. Allo stesso tempo crescono gli investimenti in quello che sempre di più

rappresenterà un asset strategico fondamentale per il Gruppo, lo sviluppo della cogenerazione da impianti

termoelettrici funzionale alla crescita nel settore del teleriscaldamento.

Dal 2001 in avanti, a seguito di un accordo con Italgas, nasce Aes società partecipata al 51% da e al 49%

dal gigante del gas cui sono conferiti sia la rete di teleriscaldamento sia quella di distribuzione gas di

Torino. Nel territorio di elezione, continua a mantenere assoluta autonomia rispetto alle scelte

strategiche sullo sviluppo degli altri settori di servizio pubblico. Il comune di Torino sceglie la separazione

tra le sue imprese partecipate: Smat per il servizio idrico integrato nell’Ato torinese e Amiat nell’igiene

ambientale e nello sviluppo del primo termovalorizzatore provinciale.

Milano si è sempre distinta come la principale ex azienda municipale italiana attiva nel segmento dei

servizi di pubblica utilità. La strategia di sviluppo che ne ha identificato il percorso sia lungo il Novecento,

sia soprattutto nella fase di parziale apertura dei mercati ha sempre guardato al core business elettrico come

punto di riferimento per crescere come player con ambizioni nazionali e internazionali. Tra le ex

municipalizzate è, infatti, l’unica ad aver percorso lo sviluppo sui mercati esteri: in Slovenia (attraverso

Mestni Plinovodi, che provvede al servizio di distribuzione e vendita di gas in sedici Comuni e nella quale

detiene una quota del 41,1%) e in Russia (attraverso Alagaz, partecipata al 35%, che gestisce le reti di gas

nella città di San Pietroburgo).

Il profilo di è dunque quello del soggetto locale che ambisce a superare i confini del locale per candidarsi

a divenire uno dei primi gruppi nazionali nel settore “dopo Enel”.

È in quest’ottica che vanno lette le operazioni cui l’azienda energetica milanese partecipa dalla fine degli

anni ’90 e che la portano a rivestire un ruolo di assoluto rilievo sullo scacchiere nazionale. Sostenuta da

una corrente di pensiero che vede in lei il punto di riferimento intorno al quale aggregare i principali

operatori multiutility nazionali, sulla scia della tedesca Rwe, diventa un soggetto cui fare affidamento per

il rilancio del settore energetico nazionale. Come Torino, anche il gruppo milanese ha sempre mantenuto

un profilo fortemente autonomo al punto da essere considerata un esempio eccellente di impresa, a

capitale pubblico, guidata da logiche e livelli di efficienza paragonabili a quelli dei soggetti privati. La

maggior dimensione operativa e le superiori capacità di investimento hanno favorito l’espansione nel

settore della generazione, una crescita proseguita con la partecipazione alle due maggiori operazioni nel

settore elettrico del Duemila: l’acquisizione di Eurogen, la maggiore tra le gen.co messe sul mercato da

Enel nel 2002 attraverso la società che prenderà in seguito il nome di Edipower, e l’acquisizione di Edison

(2004), il più antico e grande gruppo privato italiano nel settore dell’energia nonché lo storico contraltare

milanese di lungo tutto il secolo scorso.

In Edipower, partecipa con una quota di capitale sostanzialmente in linea con quella di Torino; la

cordata sostenuta dal forte impegno della stessa Edison consente al gruppo milanese di accrescere

notevolmente il proprio parco di generazione, in particolare con impianti termoelettrici.

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Il salto di qualità definitivo avviene pochi anni dopo nel 2004 con la partecipazione alla cordata che rileva

il controllo di Edison. Per avere un ordine di grandezza dell’operazione basti pensare che Edison, con una

quota di produzione nazionale di energia elettrica dell’11,2% (15,2% incluso il 50% prodotto dalla

partecipata Edipower), si collocava al secondo posto in Italia dopo il Gruppo Enel.

L’acquisto avviene con la partecipazione decisiva del gigante francese Edf attraverso il veicolo societario

Transalpina di Energia (partecipato in quota paritetica dai francesi) e da un ulteriore veicolo, Delmi,

all’interno del quale si raduna una partnership capeggiata da . La quota finale di capitale Edison detenuta

da si attesta al 18,2% per scendere successivamente al 15,6% per effetto di successivi aumenti di capitale.

A seguito dell’acquisizione la raggiunge un volume d’affari intorno a 5 miliardi di euro con circa 4.800

dipendenti. Il nuovo asseto societario vedeva l’apertura di nuovi mercati e una forte proiezione del business

all’estero: Edison era infatti operativa nel settore della ricerca di idrocarburi nonché uno dei maggiori

soggetti nazionali nel settore dell’eolico in Italia a fine giugno 2005.

A completare il quadro di potenziamento e sviluppo del gruppo milanese concorrevano in quegli anni

tutta una serie di operazioni di consolidamento: l’entrata in esercizio del quarto gruppo (110 MW) della

centrale idroelettrica di Grosio, il repowering del sito di Cassano d’Adda (MI) con Asm, l’incremento

della partecipazione detenuta in Edipower (sottoscrizione tramite aumento di capitale di una quota del

2,6%; nel 2007 ne rileverà un altro 4% in occasione dell’uscita di alcuni soci finanziari) e soprattutto

l’acquisizione della rete di distribuzione Enel sull’intera area di Milano. L’enorme sforzo economico

prodotto, sorretto da un trend di mercato che vedeva ampi spazi di crescita del mercato elettrico, specie

nel settore della generazione, contribuì all’accumulo di un’ingente massa di debito destinata negli anni

successivi a influenzare le scelte strategiche di .

Nell’ambito della strategia di espansione locale si collocano, inoltre, due operazioni dirette ad estendere il

mercato di riferimento locale: l’acquisizione di una partecipazione del 25% nel capitale di AGAM,

multiutility di Monza, in collaborazione con l’Amga di Genova e nel 2006 l’acquisito del 20% dell’Acsm

Como.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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4. TURNING POINT NORMATIVI E SPARTIACQUE STRATEGICO (2004)

Tra il 1994 e il 2004 si chiude una prima fase di trasformazione delle utility. Il 2004 può essere assunto

come anno in cui i principali gruppi multiutility del contesto nazionale, con particolare riferimento ai sog-

getti operanti al nord, hanno focalizzato in modo specifico le proprie traiettorie di sviluppo. Va quindi

considerato come anno di transizione verso nuovi assetti strutturali e manageriali del mercato dei servizi

pubblici locali.

Con le riforme settoriali degli anni ’90 (Legge Galli, Decreto Ronchi, Devreto Bersani, Decreto Letta)

prende, infatti, corpo e si struttura con maggior forza il processo di trasformazione delle imprese

pubbliche locali. Gli incumbent pubblici, partendo da posizioni di assoluto vantaggio e approfittando di un

sistema di regole ancora incompleto, impostano strategie imprenditoriali di sviluppo allo scopo di

accrescere la propria dimensione produttiva, il livello di competitività ed efficienza.

In questo contesto, si apre una stagione di grandi investimenti diretta in particolar modo verso i settori

dell’energia elettrica e del gas; sono gli anni in cui le amministrazioni locali progettano o supportano la

creazione di numerose esperienze multiservizio di livello locale, sia per proteggersi dal potenziale ingresso

di nuovi attori, sia per sfruttare sinergie operative. Tale dinamica ha notevolmente diminuito il numero di

operatori contribuendo, seppur non in modo del tutto soddisfacente, a ridurre la tradizionale

frammentazione del mercato nazionale. Nei territori in cui la tradizione dell’impresa multiservizio si era

già da tempo affermata, le strategie si sono sempre più caratterizzate per la ricerca di economie di scala

attraverso la definizione di accordi, partnership, fusioni o partecipazioni con altre imprese. Si è trattato di

una dinamica legata fortemente alle crescenti necessità di approvvigionamento di gas ed energia a prezzi

di vantaggio, nonché alla possibilità di allargare il numero di clienti attraverso una focalizzazione

downstream.

Inoltre, il lento passaggio verso condizioni di maggiore apertura dei mercati ha modificato tanto le

preesistenti forme di gestione delle utilities, quanto i rapporti tra queste ultime e il governo del territorio.

Come detto in precedenza, il riconoscimento della personalità giuridica propria di queste imprese distinta

da quella dell’ente proprietario, e il conseguente assoggettamento alle norme del codice civile e del diritto

societario, hanno condizionato inevitabilmente tutto il sistema di relazioni tra gli enti locali e le imprese,

definendo nuovi ambiti di autonomia e responsabilità. Nella mente del legislatore il progressivo passaggio

di consegne tra stato e mercato nella produzione dei servizi pubblici era mirato a consolidare, in un primo

tempo, alcune esperienze industriali presenti sul territorio, offrendo la possibilità agli operatori di

adeguarsi agli standard competitivi del settore. In linea di principio la fase di passaggio dalla

privatizzazione del settore dei servizi e alla sua liberalizzazione avrebbe garantito ai comuni e alle aziende

alcuni anni di adattamento, nonché, la possibilità di crescere al riparo dalla competizione.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Questo passaggio ha imposto agli incumbent una profonda rivisitazione dei sistemi di governo e gestione,

attraverso:

• la modifica degli assetti proprietari e il passaggio da contesti caratterizzati dalla presenza di un unico

soggetto di riferimento (l’ente locale) ad una pluralità di forme societarie: imprese pubbliche

partecipate da più enti, imprese miste pubblico-privato, imprese caratterizzate dalla presenza di un

azionariato diffuso a seguito di processi di quotazione in Borsa, ecc;

• i cambiamenti all’interno del modello di impresa, con l’emergere di gruppi aziendali;

• la trasformazione delle strategie di sviluppo industriale, sotto l’impulso dell’apertura dei mercati e dei

rischi della concorrenza e, almeno per le imprese più efficienti, l’attivazione di importanti processi di

sviluppo manageriale che hanno profondamente rinnovato: modelli organizzativi, sistemi di gestione,

e processi decisionali, alla ricerca di maggiore efficienza produttiva, e del miglioramento degli indici

di redditività (Valotti, 2006).

L’evoluzione dei profili di business è caratterizzata dalla continuità con il passato per tutti i gruppi osserva-

ti; emerge con forza il carattere di path dependance nelle strategie attuate e la focalizzazione sui rispettivi

core business, cosa particolarmente evidente per le aziende elettriche municipali. L’attuazione e l’avanzata

definizione di alcuni significativi sviluppi aggregativi e la maturazione di alcuni importanti investimenti,

con la conseguente immissione sul mercato di nuova capacità produttiva ad alta efficienza, sono i princi-

pali elementi che rimarcano un complessivo miglioramento delle performance economiche di quasi tutti i

Gruppi oggetto di esame (Iefe 2005).

I driver di sviluppo sono essenzialmente di carattere normativo. L’intervento del Legislatore ha consentito

l’apertura competitiva di alcuni mercati e incentivato la creazione di economie di scala. Le opportunità di

crescita offerte dal settore elettrico spingono verso un’ulteriore integrazione del mercato. Si tratta di una

dinamica sostenuta dalle grandi opportunità di crescita offerte dal contesto nazionale che, tuttavia, negli

anni successivi subirà un forte ritracciamento in ragione di due fenomeni: una crescente saturazione del

mercato interno e una competizione di livello continentale tra produttori di energia con dimensioni e-

normemente superiori rispetto a quelle delle maggiori multiutility italiane.

In parallelo, la valorizzazione del rapporto tra impresa e territorio per i gruppi che storicamente mancano

di una presenza significativa nella generazione, diventa un punto di riferimento per lo sviluppo fondato

sulle attività downstream e sulla costruzione di poderose economie di scopo e di gamma, il miglioramento

delle condizioni di approvvigionamento e più in generale, l’estensione dei servizi su ambiti territoriali

sempre più ampi. Questo profilo strategico sarà la base sulla quale si costituiranno le future polarità di li-

vello macroregionale.

Il 2004 è stato un anno in cui si è aperto un divario tra le decisioni strategiche effettivamente prese e quel-

le ancora in fase di tormentata incubazione. Ciò ha riguardato sia la lenta evoluzione di importanti pro-

cessi aggregativi tra le utilities ex-municipalizzate, sia le modifiche delle possibili partnership inizialmente

previste. È infatti nel 2004 che prendono corpo strategie e alleanze, a geometria variabile, finalizzate al

controllo di Edison che hanno comportato la separazione delle strategie di da quelle di Asm. Il gruppo di

Brescia proprio dal 2004 ha peraltro potenziato la sua partecipazione in Endesa Italia, ha realizzato una

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rilevante partnership paritetica con la stessa Endesa in Eurosviluppo Elettrica e ha acquisito il consorzio

Assoenergia (Iefe 2005).

In parallelo sempre il 2004 ha rappresentato l’anno in cui due delle maggiori multiutility nazionali, Hera e

Acea hanno formulato strategie in cui l’upstream elettrico riveste un ruolo marginale. Mentre Hera predi-

lige logiche downstream fondate sullo sviluppo multiutility a 360 gradi, nel secondo caso Acea, pur in pre-

senza di una capacità di generazione notevole (grazie alla partnership per l’acquisto di Interpower) decide

per l’espansione in nuovi territori nel settore del servizio idrico integrato, core business storico, su cui

l’azienda di Roma punta a conquistare una leadership nazionale.

Osservando i dato sulla distribuzione del fatturato ma soprattutto dell’Ebitda per filiera di business, è facile

notare come Torino e Milano rappresentino un profilo di impresa multiutility essenzialmente differente

rispetto alle altre esperienze nazionali. Tra le e le imprese multiterritoriali con una bassa capacità genera-

tiva spicca, ancora una volta, l’esperienza bresciana di Asm, seconda local multiutility nella filiera energe-

tica particolarmente attiva nei segmenti di diversificazione comuni sia a Milano che a Torino (cogenera-

zione e teleriscaldamento) seppur attraverso il potenziamento delle attività di termovalorizzazione dei ri-

fiuti. Asm percorre una strada di consolidamento che la porta a rivestire un ruolo di leadership definito

“imperialista” (Confservizi 2006) sul territorio lombardo, ponendosi come punto di riferimento delle filie-

ra ambientale e del servizio idrico integrato. Nonostante le opportunità offerte dall’apertura del mercato

elettrico, il 2004 segna per molte imprese una fase di forte investimento nelle filiere non energetiche, in

quella idrica in particolare.

Entità e distribuzione per filiere sul fatturato. Elaborazione Iefe Bocconi su dati di bilancio riclassificati (2003-2004)

DISTRIBUZIONE FATTURATO PER FILIERE (%) VALORE

PRODUZIONE Elettrica Gas Altre energie Idrica Rifiuti Altri

GRUPPI 2003 2004 2003 2004 2003 2004 2003 2004 2003 2004 2003 2004 2003 2004

Enel 31.317 36.489 64 69 4 4 - - - - - - 32 27

Edison 6.287 6.497 62 73 6 8 7 7 - - - - 25 12

Snam rete gas 1.758 1.747 - - 100 100 - - - - - - - -

Energia 828 961 71 n.d. 29 n.d. - n.d. - n.d. - n.d. - n.d.

Italgas spa 852 771 - - 100 100 - - - - - - - -

Endesa Italia 1.285 1.686 100 100 - - - - - - - - - -

Aem Mi 1.391 1.816 46 62 35 22 2 2 - - - - 17 14

Acea 1.481 1.710 66 67 - - 4 3 22 24 - - 8 6

Hera 1.331 1.639 11 14 44 41 - - 21 21 24 24 - -

Asm 854 1.235 27 47 42 30 8 5 4 2 12 8 8 7

Aem To 728 914 65 79 14 4 10 8 - - - - 12 9

Enia (1) 829 900 19 19 52 43 3 5 10 12 16 18 0 3

Acegas Aps (2) 495 503 30 n.d. 39 n.d. - - 13 n.d. 18 n.d. - -

Amga Ge (3) 387 481 18 21 66 61 - - 13 14 - - 3 4

Meta 316 298 30 31 43 39 - - 9 10 - - - -

Acsm Como 103 105 - - 65 67 5 4 8 7 15 13 7 9

(1) I dati di Enia 2004 sono tratti dal comunicato stampa di Agac; quelli del 2003 sono l’aggregazione dei dati dei bilanci consolidati.

(2) Per Acegas aps non è disponibile un confronto pro-forma per filiera per il periodo 2003-2004.

(3) La filiera elettrica di Amga Ge comprende anche la gestione calore e il teleriscaldamento.

Fonte: Dati aziendali elaborati da Iefe.

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Entità e distribuzione per filiere sul MOL. Elaborazione Iefe Bocconi su dati di bilancio riclassificati (2003-2004)

DISTRIBUZIONE DEL MOL PER FILIERE (%) MOL

Elettrica Gas Altre energie Idrica Rifiuti Altre

GRUPPI 2003 2004 ± % 2003 2004 2003 2004 2003 2004 2003 2004 2003 2004 2003 2004

Enel 9.841 11.010 11,8 80 75 3 3 - - - - - - 17 22

Edison 1.103 1.254 13,8 66 79 22 17 7 4 - - - - 5 -

Snam rete gas 1.428 1.479 3,6 - - 100 100 - - - - - - - -

Italgas spa 535 444 -17,0 - - 100 100 - - - - - - - -

Energia 39 43 10,3 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.

Endesa Italia 407 537 32,0 100 100 - - - - - - - - - -

Aem Mi 414 432 4,3 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.

Acea 314 398 26,7 50 56 - - - - 48 48 - - -2 -4

Hera 301 366 21,5 3 3 42 38 - - 28 27 26 31 - -

Asm 250 287 14,8 44 51 21 18 19 15 4 3 8 10 4 9

Enia 145 143 -1,3 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.

Aem To 134 141 5,2 65 70 9 - 15 11 - - - - 11 19

Acegas Aps 97 101 4,1 19 n.d. 36 n.d. - - 27 n.d. 18 n.d. - -

Amga Ge 77 89 15,4 5 3 62 63 5 7 24 23 - - 1 4

Meta (1) 77 67 -13,0 29 25 39 37 - - 13 15 19 23 - -

Acsm Como 11 12 11,0 - - 43 54 13 8 1 3 43 35 - -

(1) La filiera elettrica di Meta comprende anche il teleriscaldamento e la cogenerazione.

Fonte: Bilanci aziendali.

Lo scenario che viene a delinearsi a metà del decennio scorso evidenzia, tuttavia, alcune criticità circa il

posizionamento delle multiutility nei mercati nazionali:

• la scelta di crescere come generation company, in linea con il profilo storico che ha identificato lo svi-

luppo di Milano e Torino solleva alcune perplessità che, come si vedrà più avanti, non vengono ri-

solte nemmeno con la nascita delle grandi multiutility: A2a e Iren; la crescente concentrazione

dell’offerta nell’upstream elettrico, a seguito della de-verticalizzazione del mercato operata con la ven-

dita delle gen.co, spinge affinché in Italia si venga a costituire un oligopolio nell’upstream elettrico.

Oligopolio che è il tratto caratterizzante tutti i mercati del continente. In questo scenario le rivestono

una presenza del tutto marginale di fronte a colossi che nella maggior parte dei casi (Enel, Edf, E.on,

Endesa, ecc.) nascono sulle ceneri degli ex monopolisti e sono in ogni caso leader nei rispettivi merca-

ti nazionali;

• la presenza di Edf nella principale operazione che avviene in questa fase, l’acquisizione di Edison, e la

sproporzione tra la forza dei francesi e quella della cordata italiana capeggiata da Milano è un primo

segnale di uno svantaggio competitivo delle multiutility nazionali che si sono affacciate da troppo po-

co tempo sul mercato competitivo;

• è del resto interessante leggere le traiettorie di sviluppo di altri soggetti nazionali che percorrono uno

sviluppo fondato sulla territorializzazione del business, i servizi a rete e in particolare il rapporto con

l’utente finale. Anche in questo caso l’impressione è che queste imprese assecondino uno sviluppo co-

erente con la propria storia industriale, uno sviluppo centrato sulla fornitura di servizi ad uno specifi-

co territorio e ad una popolazione di cittadini/utenti.

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SVILUPPI RECENTI

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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5. PROCESSI DI CONCENTRAZIONE MACROREGIONALE (2005-2010)

5.1 Il nord e i poli multiutility

Dopo il turning point normativo di inizio decennio e lo spartiacque strategico del 2004, nel periodo com-

preso tra il 2005 e il 2010 si assiste a una nuova fase di aggregazioni tra i principali player di mercato.

Le maggiori multiutility perseguono un’ulteriore crescita dimensionale per garantirsi migliori condizioni

di approvvigionamento, ma soprattutto per estendere le aree di influenza sugli spazi territoriali adiacenti o

su mercati considerati promettenti e meno presidiati. Le operazioni avviate mirano ad un consolidamento

territoriale del business attraverso l’espansione dei servizi su nuovi mercati locali. L’evoluzione del quadro

normativo e il completamento della liberalizzazione del settore elettrico incentiva i player leader del mer-

cato elettrico ad attuare politiche di integrazione verticale della filiera concentrandosi sull’utente finale.

Nel nord Italia i processi di aggregazione rappresentano la principale strategia di crescita adottata dalle

utilities. Le dinamiche aggregative che vedono protagoniste le principali multiutility producono

un’interessante strutturazione del mercato nazionale dal punto di vista geografico. Si vengono a costituire

aree di livello regionale o macro-regionale in cui alcuni gruppi industriali esercitano il ruolo di poli di ag-

gregazione generando forme di egemonia sulla strutturazione del mercato locale. Queste dinamiche sono

evidenti, in particolare al nord, mentre le imprese del centro-sud, fatta eccezione per Acea Roma, faticano

a costruire processi di rilievo; protagoniste di questa fase sono indubbiamente le multiutility quotate in

Borsa che si dimostrano l’esempio più evoluto di trasformazione imprenditoriale delle ex-municipalizzate.

La ricerca di economie di scala e la riduzione dei costi sono il principale obiettivo perseguito con le aggre-

gazioni e quello raggiunto con maggiore successo. Lo conferma una ricerca Nomisma che sul tema ha

chiesto di esprimersi al top management delle principali utility italiane. La ricerca evidenza, inoltre, che le

operazioni di concentrazione e di aggregazione delle attività hanno portato ad un miglioramento delle va-

riabili economiche e reddituali delle imprese. Le operazioni di aggregazione tra società o tra specifici rami

di attività (afferenti al core business) evidenziano un’intensificazione delle sinergie e una razionalizzazione

dei servizi e del personale.

In parallelo, i grandi incumbent come Eni ed Enel si caratterizzano per una propensione allo sviluppo su

un contesto sempre più internazionale e alcuni importanti gruppi stranieri E.On e GdF Suez consolidano

la loro presenza in Italia.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Mappa dei poli di aggregazione sul territorio nazionale (Nomisma 2007)

Nonostante molte delle operazioni concluse in questo lasso temporale siano il naturale approdo di scelte e

strategie avviate negli anni precedenti, si verifica una convergenza nelle scelte dei principali leader del

mercato multiutility con il superamento del modello che aveva caratterizzato alcune esperienze industriali

di primissimo piano: innanzitutto Milano e in seconda battuta, seppur con numeri inferiori Torino. Il

processo di aggregazione deve, tuttavia, fare i conti con un drastico cambiamento dello scenario macroe-

conomico.

Dal 2007 in avanti, infatti, il comparto energetico segna un deciso calo di redditività dovuto ad una serie

di fattori concomitanti:

• La contrazione della domanda dovuta alla congiuntura sfavorevole, che culmina con la recessione del

2008 e parte del 2009, manifestano le criticità di un settore considerato anticiclico. La crisi produce

una riduzione dei consumi domestici ma soprattutto industriali e segna una cesura rilevante rispetto

alla crescita costante che aveva contraddistinto le dinamiche di settore negli ultimi anni. Ne consegue

una notevole riduzione dei prezzi: l’elettricità registra un calo del 41% rispetto al 2008 e il gas il 46%).

• Da una situazione di carenza strutturale del sistema energetico nazionale, che aveva trovato una sua

plastica raffigurazione nel famoso “black out” del settembre 2003 e nella “crisi gas” dell’inverno 2005-

2006, si passa ad una situazione di eccedenza, di natura sia congiunturale (la crisi per l’appunto) sia

strutturale (il notevole flusso di investimenti in nuova capacità di generazione elettrica e qualche nuo-

vo investimento nell’approvvigionamento di gas) e che viene spesso definita “bolla gas” e “overcapa-

city” di generazione elettrica. Lungo il decennio Duemila aumenta enormemente la capacità installata

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di nuova generazione, rispetto ad una domanda di punta invernale di circa 51,69 GW la capacità me-

diamente disponibile alla punta nel 2010 è infatti di 75,73 GW; rispetto ad una domanda di punta

estiva di circa 52,41 GW la capacità mediamente disponibile alla punta nel 2010 è invece di ben

74,72 GW (Noce 2010).

• Le sfide ambientali legate al pacchetto 20-20-20 e alle normative in tema di concorrenza incentivano

la conversione degli investimenti verso le energie rinnovabili.

• Le multe europee per gli aiuti di Stato hanno causato un ulteriore abbattimento delle disponibilità

liquide di diverse società ex municipalizzate quotate. In questo quadro, molte utilities hanno comin-

ciato a cancellare o a ritardare gli investimenti e a dismettere alcuni rami di azienda (Gilardoni, Romè

2010).

Il calo della domanda di energia provoca il fermo di molte centrali a ciclo combinato e in questo quadro di

forte contrazione risultano particolarmente penalizzate le imprese che avevano contratto accordi di forni-

tura gas sul modello del take or pay agganciato al costo del petrolio. Da un lato, si vengono lentamente ad

erodere i vantaggi siglati con i grandi gruppi nazionali (Eni) e internazionali (Gazprom, Libia, ecc.),

dall’altro questi contratti vincolano le imprese all’acquisto forzato di materia prima a prezzi definiti.

Nel valutare le operazioni di concentrazione del mercato multiutility che avvengono in questa fase è, per-

tanto, necessario tenere in considerazione le ripercussioni che il cambiamento di scenario macro-

economico ha prodotto sui programmi industriali e sugli investimenti programmati dai diversi gruppi.

Com’è noto le strategie di sviluppo delle imprese di servizi pubblici sono di norma imperniate su pro-

grammi di investimento di medio, medio-lungo periodo, specie nel caso in cui sia prevista la realizzazione

di nuovi impianti produttivi, il repowering degli esistenti o avviato un processo di infrastrutturazione delle

reti di sottoservizio, ecc. Con l’avvento della crisi, la cui entità ha superato le previsioni dei mercati, si è

imposto un cambio di rotta nelle scelte strategiche delle imprese.

L’analisi delle operazioni nella seconda metà del decennio possono dunque essere inquadrate secondo due

prospettive:

• la dimensione spaziale delle aggregazioni che conduce al consolidamento di polarità di livello macro-

regionale;

• la dimensione industriale delle aggregazioni: che evidenzia la presenza di driver differenti e permette

di cogliere l’evoluzione delle scelte strategiche determinata dalla caduta di redditività del settore ener-

getico alla fine del decennio, locomotiva dello sviluppo delle .

Dal 2005 al 2010 maturano importanti fusioni tra gruppi multiutility: nel 2005 si chiude la già citata ope-

razione che porta Milano ad entrare nel capitale di Edison, in parallelo viene costituita Enia dalla fusione

delle principali multiutility delle province di Piacenza, Parma e Reggio Emilia. Sempre in Emilia-

Romagna è l’anno in cui Hera incorpora la quotata Meta di Modena e Asm Brescia acquista Bas Berga-

mo. L’anno successivo, dopo lunghe trattative, si realizza la fusione tra Torino e Amga Genova,

un’operazione che può essere inquadrata come risposta al processo di concentrazione degli operatori sul

territorio nazionale e come tentativo di coltivare un soggetto leader per l’area del nord-ovest.

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5.2 Il Polo del nord-ovest: Iride

Le operazioni che interessano le due grandi possono essere inquadrate in un continuum rispetto alle stra-

tegie di sviluppo che i due gruppi avevano attuato negli anni passati. L’ingresso in Edison segna un salto

di qualità per Milano che accrescere la sua capacità di generazione e si assicura un posizionamento di as-

soluta leadership tra le imprese nate dall’esperienza locale; la scelta di Torino di unirsi ad Amga, multiu-

tility presente in mercati in buona parte complementari a quelli energetici (in particolare il servizio idrico

integrato o il segmento dell’importazione gas) segna solo un parziale cambio di rotta rispetto al profilo se-

guito lungo tutto il Novecento.

Si tratta di uno sviluppo aggregativo particolare e diverso, nelle sue determinanti di fondo, rispetto a quel-

lo che ha dato vita al Gruppo Hera e che ne sostiene a tutt’oggi, in modo coerente, la crescita costante.

Gli obiettivi della fusione tra e Amga sono sintetizzati nel Documento informativo del 19 Aprile 2006:

“(i) raggiungere una scala significativa nel panorama delle utilities italiane e favorire l’ulteriore crescita;(ii)

costituire un nucleo industriale radicato nel territorio in grado di favorire ulteriori aggregazioni societa-

rie;(iii) ottimizzare la struttura finanziaria dell’entità risultante, permettendo di proseguire e ulteriormente

valorizzare i programmi di investimento;(iv) integrare la catena del valore a monte e a valle del core busi-

ness;(v) redistribuzione dei rischi aziendali”.

Il buon posizionamento di Amga nel settore gas, avvalorato dall’avvio del progetto per la realizzazione di

un rigassificatore a Livorno, in collaborazione con E.on, facevano dell’utility genovese un partner ideale

per soddisfare la crescente necessità di gas a prezzi vantaggiosi, necessaria ad alimentare le centrali di .

Allo stesso tempo, all’interno del risiko energetico del nord, Amga era l’unico soggetto in grado di garan-

tire il salto di qualità dimensionale di cui Torino necessitava per evitare di rimanere ai margini del proces-

so di concentrazione in atto, ed era anche l’unico possibile interlocutore nello spazio di nord-ovest, carat-

terizzato da un’ampia frammentazione tra gli operatori.

La fusione per incorporazione di Amga Genova in Torino aveva come obiettivo il raggiungimento di una

dimensione aziendale paragonabile a quella dei primi operatori multiutility che negli anni avevano note-

volmente accresciuto la propria dimensione e scala operativa. In parallelo l’operazione mirava ad insediare

un soggetto industriale attivo in quasi tutti i mercati di servizio pubblico locale (servizio di igiene ambien-

tale escluso) con l’obiettivo di farne il centro di aggregazione territoriale. La storia industriale di portava

in dote una fortissima presenza nella filiera elettrica, in particolare sul lato della generazione e una presen-

za territoriale essenzialmente locale, circoscritta al capoluogo e all’area metropolitana. Lo sviluppo de-

territoriale del modello Aem si è negli anni coniugato con una diversificazione che ha incentrato gli inve-

stimenti sulle erogazioni di servizi per il Comune di Torino; dall’altro lato Amga evidenziava una dinami-

ca fortemente multiterritoriale e una propensione allo sviluppo multiservizio a 360 gradi, come nel caso di

Asm, seppur con dimensioni nettamente contenute.

Va notato, tuttavia, che le profonde differenze dal punto di vista delle caratteristiche industriali nonché le

distanze tra le rispettive storie e culture hanno segnato fin dall’inizio la storia di Iride. La bassa redditività

dei mercati dell’energia ha minato alle basi il presupposto su cui si è ancorata la fusione; la disponibilità di

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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gas a prezzi concorrenziali ottenuta da Amga attraverso Plurigas, e l’invidiabile posizionamento nazionale

in questo settore si sono dimostrati un vantaggio sempre meno competitivo di fronte alla generale discesa

dei prezzi e all’aumento di disponibilità di risorse sul mercato. In aggiunta a questo, la riduzione della

domanda elettrica ha limitato l’approvvigionamento rispetto alle previsioni.

Questi fattori hanno messo allo scoperto le criticità di una fusione in cui i due contraenti hanno mantenu-

to ognuno il forte presidio sui propri business originari limitando la possibilità di produrre quelle sinergie,

in ambito energetico, che nei piani industriali erano state elencate.

L’eccesso di complementarietà è risultato un limite più che il viatico per la creazione di una moderna mul-

tiutility, multiterritorilizzata, stante le differenze tra i rispettivi portafogli di business e le difficoltà di tra-

sferire le competenze da un territorio all’altro.

Iride ha vissuto solo tre anni (esercizi) prima della successiva fusione in Iren e in questo lasso di tempo

potrebbe non essere riuscita a conseguire i risultati attesi. In ogni caso l’architettura organizzativa e la

composizione della corporate governance hanno senza dubbio disincentivato la costituzione di un soggetto

integrato.

La fusione non sembra aver portato ad una riorganizzazione industriale e di governance orientata alla coe-

sione e alla creazione di pratiche e culture aziendali condivise; in secondo luogo, complice la congiuntura

economica, il percorso di consolidamento non sembra ancora compiuto.

Queste circostanze hanno prodotto un’architettura di governo in cui entrambi i poli hanno mantenuto il

controllo sui rispettivi perimetri di business e la holding, controllata pariteticamente, ha svolto funzioni di

complemento, deliberando strategie e investimenti che in buona parte erano la sommatoria delle iniziative

che i due gruppi stavano portando avanti prima della fusione.

L’indirizzo strategico del gruppo si caratterizzava, infatti, lungo 5 punti: aumentare l’indipendenza nelle

forniture di gas valorizzando gli investimenti di Amga sul rigassificatore Olt, incrementare la capacità di

generazione elettrica da fonte idroelettrica e cogenerativa, in particolare attraverso la centrale di Torino

nord, sviluppare l’attività di intermediazione e vendita sul mercato libero del gas e dell’energia elettrica

attraverso offerte dual energy, consolidare e sviluppare la presenza nel servizio Idrico Integrato nell’Ato

Genovese ed estendere la rete di teleriscaldamento a Torino.

Si è dunque consumato un matrimonio di interesse o una sorta di convivenza in cui i contraenti hanno

beneficiato dei vantaggi finanziari dell’aumento di massa critica, ma hanno in buona parte disatteso

l’aspettativa di costituire una vera polarità a nord-ovest, capace di inglobare o catalizzare il pulviscolo di

soggetti piccoli e medio piccoli presenti soprattutto in Piemonte.

La tabella riporta la composizione dei ricavi e dell’Ebitda divisi secondo la pertinenza definita dai bilanci

Iride ovvero per società Caposettore.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Iride: Composizione dei ricavi

2009 2008 2007 2006

% del tot % del tot % del tot % del tot

Energia 724,4 21,99% 664,4 18,88% 593,0 18,31% 709,0 23,03%

9,03% 12,04% -16,36%

Servizi 84,8 2,57% 89,6 2,55% 93,0 2,87% 92,0 2,99%

-5,36% -3,66% 1,09%

Mercato 2195,6 66,64% 2484,0 70,58% 1979,4 61,12% 1694,9 55,05%

-11,61% 25,49% 16,79%

Acqua e gas 219,2 6,65% 216,0 6,14% 214,0 6,61% 239,0 7,76%

1,48% 0,93% -10,46%

Altro 70,8 2,15% 65,4 1,86% 359,0 11,09% 344,0 11,17%

8,26% -81,78% 4,36%

Iride: Composizione e andamento Ebitda (dati bilancio 2006-2009)

Iride si configura come bridging territoriale guidato dalla volontà di realizzare un polo di rilevanza nazio-

nale in grado di competere con i first player nazionali. In questa prospettiva l’operazione va interpretata

con l’ottica del processo di riposizionamento delle città, e di Torino in particolare, nell’ambito del nord-

ovest del paese. In altri termini, a fianco dei potenziali vantaggi industriali ed economici dell’operazione,

una parte importante delle ragioni che muovono questo genere di processo vanno ricercati nella volontà di

costruire un ponte tra i soggetti forti della macro-area occidentale del nord. Le difficoltà nel produrre le

sinergie ipotizzate sono da ricercarsi nella costruzione di una governance tesa a preservare le autonomie

territoriali all’interno del gruppo. Questo ha determinato la creazione di un soggetto bicefalo che ha perso

il profilo originario di Aem senza tuttavia essere in grado di attivare un nuovo modello di impresa sulla

scorta delle integrazioni in corso in Emilia-Romagna.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

2006 2007 2008 2009

ENERGIA SERVIZI MERCATO ACQUA E GAS ALTRO

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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5.3 Le polarità Lombarde: Milano e Brescia

Aem-Edison

Come per Iride, la lunga e complessa operazione che ha portato Aem Milano a partecipare al controllo di

Edison affonda le radici in un contesto di forte espansione del mercato energetico.

L’azienda elettrica lombarda mirava a consolidare ancora di più la propria leadership nel settore della ge-

nerazione percorrendo una strada di progressiva crescita con l’obiettivo di posizionarsi alle spalle di Enel

come maggior produttore nazionale del mercato elettrico. L’analisi storica dello sviluppo di Aem testimo-

nia la costanza di questo carattere nelle scelte strategiche dell’utility e identifica, in particolare, nell’eterna

rivalità con Edison e nella compartecipazione a molti investimenti (Edipower su tutti), le tappe di un pro-

cesso di fusione nell’aria da alcuni anni.

L’operazione condotta attraverso i precedentemente citati veicoli societari, Delmi (costituito dalla cordata

di soci italiani capeggiata da Aem Milano) e Transalpina di Energia (50% Edf e % e 50% Delmi), ha con-

sentito ad Aem di accrescere considerevolmente il proprio parco generazione e di segnare una distanza

notevole rispetto alle altre multiutility locali. Allo stesso tempo è evidenziabile una crescita altrettanto vi-

gorosa della posizione finanziaria netta, che nel 2005 segna oltre 5,7 miliardi, per attestarsi, prima della

fusione con Asm Brescia, ad u livello comunque molto alto, 4,6 miliardi di euro. Al 2005, data del conso-

lidamento al 50% di Edison, Aem fatturava 3,15 miliardi di Euro contro i 2,14 di Hera e gli 1,67 miliardi

di Asm Brescia.

Dall’analisi dei bilanci emerge in maniera eloquente la caratterizzazione elettrica del Gruppo Aem. Un

profilo nettamente più spinto sul settore elettrico rispetto a quello di Iride e pertanto esposto in modo ri-

levante alla contrazione dei consumi e alla caduta del prezzo dell’energia che si verifica dopo il 2008. I ri-

cavi del Gruppo Aem crescono sensibilmente dal 2004 fino all’ultimo esercizio precedente la fusione, che

porterà alla nascita di A2a e in particolare si registrano performance positive nelle attività core: generazio-

ne di energia elettrica e trading di elettricità e gas.

Osservando la scomposizione dei ricavi15 così come definita nel bilancio consolidato del gruppo, si nota il

salto di qualità determinato sostanzialmente dal consolidamento del 50% di Edison.Tra il 2004 e il 2006 i

ricavi del settore energia elettrica schizzano da 822 milioni di euro a oltre 4,6 miliardi. Allo stesso modo

una ripercussione forte si registra nella filiera del gas.

15 Energia elettrica: include la produzione e la vendita sul mercato libero di energia elettrica, nonché le attività derivanti dal commer-

cio all’ingrosso dell’energia elettrica. Gas e calore: produzione e acquisto del gas e la successiva rivendita sul mercato o al suo impiego

nelle centrali termoelettriche del gruppo. Il settore include anche le attività di produzione e commercializzazione del calore mediante

teleriscaldamento ed i servizi di gestione calore. Reti e mercati regolamentati: Comprende le attività di trasmissione e distribuzione

di energia elettrica, di vendita di energia elettrica al mercato vincolato, di stoccaggio e di distribuzione di gas. Include infine le attivi-

tà di gestione della rete di telecomunicazione di proprietà di Metroweb. Servizi: racchiude le attività di guida, indirizzo e controllo

della gestione industriale ed i servizi centralizzati perle unità operative

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Aem Milano: Composizione dei ricavi

2007 2006 2005 2004

% del tot % del tot % del tot % del tot

Energia elettrica 5.038,0 58,03% 4.622,0 55,09% 1.654,0 44,30% 822,0 35,94%

Δ% 9,00% 179,44% 101,22%

Gas e calore 2.650,0 30,53% 2.742,0 32,68% 1.180,0 31,60% 592,0 25,89%

Δ% -3,36% 132,37% 99,32%

Reti e mercati regolamentati 704,0 8,11% 751,0 8,95% 793,0 21,24% 758,0 33,14%

Δ% -6,26% -5,30% 4,62%

Waste e power 149,0 1,72% 130,0 1,55% 0,0 0,00% 0,0 0,00%

Δ% 14,62% - -

Servizi 125,0 1,44% 128,0 1,53% 107,0 2,87% 115,0 5,03%

Δ% -2,34% 19,63% -6,96%

Altre attività 15,0 0,17% 17,0 0,20% 0,0 0,00% 0,0 0,00%

Δ% -11,76% -

Si conferma la forte caratterizzazione del gruppo nei settori energetici, che arrivano a coprire quasi il 70%

dell’Ebitda a discapito dei settori regolamentati.

Aem Milano: Composizione e andamento Ebitda (dati bilancio 2004-2007)

La caduta della domanda che colpirà il settore alla fine del decennio, le deludenti performance di Edison e

l’alto livello di dividendi offerti dall’impresa contribuiranno a mettere in crisi questo disegno strategico ed

enfatizzare i problemi legati alla copertura della massa di debito contratta.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

2004 2005 2006 2007

ENERGIA ELETTRICA GAS E CALORE RETI E MERCATI REGOLAMENTATI

WASTE E POWER ALTRE ATTIVITÀ

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Asm Brescia-Bas Bergamo

Nel 2005 l’area di influenza della multiutility bresciana si estende al territorio bergamasco con

l’integrazione di Bas. I presupposti dell’operazione muovevano da una serie di considerazioni:

• la contiguità territoriale tra le due aziende conservava interessanti risvolti sinergici nella gestione di

alcuni servizi;

• la presenza negli stessi settori di attività offriva enormi vantaggi dal punto di vista dei costi, del trasfe-

rimento delle best practice, del potenziamento delle attività;

• il ruolo di leader nazionale di Asm nel settore della termovalorizzazione e soprattutto del teleriscal-

damento garantiva un vantaggio competitivo per la città di Bergamo, da tempo alle prese con l’avvio

del proprio progetto di teleriscaldamento;

• l’integrazione offriva la possibilità di crescere nel settore del servizio idrico, ATO bergamasco, ser-

vendo circa 1 milione di abitanti.

Questa strategia di espansione su spazi di prossimità geografica con l’area di elezione esprimeva la volontà

di produrre economie di scala e di integrare due aziende che possedevano competenze comuni. Il percorso

di sviluppo di Asm Brescia, che sfocerà nella controversa fusione con Milano del 2008, ha seguito due

grandi driver.

• Il primo è rappresentato dallo sviluppo multiterritoriale attraverso la fidelizzazione dell’utenza e

l’allargamento della propria area di influenza dentro e fuori la Lombardia. Asm aveva sviluppato negli

anni l’attività del gas in numerose province del nord, arrivando ad acquisire reti di distribuzione nei

territori di Piacenza, Cremona, Lodi, Alessandria, ecc. (nel 2006 nasce Asm Reti). L’aggregazione di

territori limitrofi e la creazione di economie di scala erano dirette a valorizzare le integrazioni oriz-

zontali e insieme a rendere antieconomico per potenziali competitor l’ingresso sul mercato locale.

• Il secondo, comune allo sviluppo delle principali nazionali, ha seguito una crescita nell’upstream elet-

trico attraverso la realizzazione di nuovi impianti di generazione, la costruzione di partnership con

soggetti di rilievo nazionale e internazionale, l’avvio di una diversificazione nelle fonti energetiche pu-

lite. A questa strategia che porterà Asm a realizzare centrali in Abruzzo (Abruzzo Energia) e in Cala-

bria con Endesa, la società ha affiancato una crescita costante delle attività di WTE (waste-to-

energy) sfruttando il vantaggio competitivo della lunga esperienza nel settore.

La scomposizione dei ricavi16 mostra l’unicità di Asm Brescia nel panorama delle utilities analizzate. Il

settore di business più importante, sia in termini di reddito sia di margine, è costituito dalla filiera energe-

tica, ma a differenza delle “pure” appaiono performance rilevanti in altri settori di business: cogenerazione

16 Produzione di energia elettrica: produzione di energia termoelettrica, idroelettrica e da centrali a biogas da discarica. i ricavi di

quest’area si originano prevalentemente dalla vendita di energia prodotta al segmento di vendita di energia elettrica e gas. vendita di

energia elettrica e gas: vendita di energia elettrica, approvvigionamento di gas e vendita dello stesso.

Reti elettrica e gas: trasmissione energia elettrica, distribuzione energia elettrica, trasporto gas, distribuzione gas. teleriscaldamento:

produzione tramite impianti cogenerativi e distribuzione di energia elettrica e di calore per usi civili e industriali. Ciclo idrico inter-

grato: captazione di acqua, gestione degli acquedotti, distribuzione e vendita idrica, fognatura e depurazione. Ambiente: raccolta e

smaltimento dei rifiuti. Altri servizi: servizi di supporto alle società del gruppo e altri servizi di carattere tecnico verso clienti esterni.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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e teleriscaldamento su tutti. Il modello Asm è l’unico esempio di impresa territoriale che ha saputo cresce-

re ed eccellere anche nelle filiere energetiche. Il gruppo bresciano ha giocato a tutto campo consolidandosi

come leader territoriale e raggiungendo posizioni di vertice anche nella generazione, in cui ha tentato di

contendere la leadership di Milano partecipando all’acquisizione di Edison in cordata con Endesa.

Asm Brescia: Composizione ricavi

2007 2006 2005 2004 2003 2002

% del tot % del tot % del tot % del tot % del tot % del tot

Produzione energia elettrica 601,0 21,27% 574,0 21,59% 543,0 23,52% 253,0 16,28% 163,0 16,18% 302,0 36,78%

Δ% 4,70% 5,71% 114,62% 55,21% -46,03%

Vendita elettricità e gas 1.706,0 60,37% 1.542,0 57,99% 1.241,0 53,76% 883,0 56,81% 521,0 51,73% 287,0 34,96%

Δ% 10,64% 24,25% 40,54% 69,48% 81,53%

Reti elettricità e gas 183,0 6,48% 221,0 8,31% 222,4 9,63% 161,2 10,37% 67,2 6,67% 0,0 0,00%

Δ% -17,19% -0,63% 37,97% 139,88%

Teleriscaldamento 112,0 3,96% 117,0 4,40% 107,0 4,64% 96,0 6,18% 99,0 9,83% 87,0 10,60%

Δ% -4,27% 9,35% 11,46% -3,03% 13,79%

Ciclo idrico 87,0 3,08% 72,0 2,71% 70,0 3,03% 50,0 3,22% 52,0 5,16% 44,0 5,36%

Δ% 20,83% 2,86% 40,00% -3,85% 18,18%

Ambiente 137,0 4,85% 133,0 5,00% 125,0 5,42% 111,0 7,14% 105,0 10,42% 101,0 12,30%

Δ% 3,01% 6,40% 12,61% 5,71% 3,96%

Asm Brescia: Composizione Ebitda

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

2002 2003 2004 2005 2006 2007

PRODUZIONE ENERGIA ELETTRICA VENDITA ELETTRICITÀ E GAS

RETI ELETTRICITÀ E GAS TELERISCALDAMENTO CICLO IDRICO AMBIENTE

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Asm evidenzia un buon equilibrio tra le attività regolate e i mercati aperti alla concorrenza. La scelta di

allargare il proprio business a tutti i settori di servizio pubblico ha permesso di conseguire un’invidiabile

stabilità sancita anche da un’ottima capacità di produrre reddito e da un livello di indebitamento molto

contenuto rispetto alle , testimoniato da un rapporto medio di 2 tra posizione finanziaria netta ed Ebitda

(2.58 nell’ultimo bilancio). Il confronto tra l’indice di ritorno sul capitale investito Roic evidenzia questo

aspetto: Asm fa registrare un livello medio superiore al 10%.

5.4 Il duopolio in Emilia Romagna: Enia e Hera

In parallelo maturano due operazioni di assoluto rilievo all’interno dei confini regionali dell’Emilia-

Romagna, il territorio si polarizza su due realtà principali: a ovest, nasce Enia dall’integrazione tra le mul-

tiutility di Parma, Piacenza e Reggio Emilia, a est si consolida Hera acquisendo la quotata Meta di Mo-

dena. All’ombra di questi due grandi soggetti permangono realtà in taluni casi significative ma di dimen-

sione sub provinciale (su tutte Aimag che tutt’oggi continua a mantenere la propria autonomia rispetto ad

Hera pur avendo raccolto una partecipazione della multiutility romagnola al 25%).

Enia

Nel marzo 2005 si completa la costituzione di Enia, mediante la fusione tra le multiutility a carattere loca-

le Tesa di Piacenza, Amps di Parma e Agac di Reggio Emilia; le stesse avevano in precedenza scisso la

proprietà delle reti e degli impianti a favore di tre società neo-costituite (Piacenza Infrastrutture, Parma

Infrastrutture e Agac Infrastrutture) con le quali Enia ha stipulato appositi contratti di concessione d’uso

dei beni. L’attività` del gruppo si estendeva così su 140 comuni delle province di Parma, Piacenza, Reggio

Emilia e Modena, con un bacino di oltre 1,1 milioni di abitanti. Il modello di business è diretto a sfruttare

la contiguità territoriale, un’ampia base di clienti e un posizionamento storico nei business ambientali e

idrici e del gas naturale come presupposto per costruire un soggetto di dimensioni superiori in grado di

erogare i servizi.

Il secondo semestre del 2005 vede l’ingresso di Enia in Delmi (acquisto del 15% del veicolo italiano per il

controllo di Edison con un esborso estremamente elevato: 275 milioni di euro) e segna un passaggio rile-

vante della strategia di sviluppo del gruppo. Enia, al pari della cugina romagnola Hera, si focalizzava prin-

cipalmente sul mercato del downstream. La scelta del management fu quella di entrare con una quota ri-

dotta nella partita energetica più rilevante dopo la vendita delle gen.co Enel provando così a equilibrare il

proprio business mix e a sfruttare i vantaggi economici che una presenza nell’upstream elettrico aveva ga-

rantito alle per buona parte del Novecento. Questa operazione accresce però anche l’indebitamento: dopo

il 2005 il rapporto posizione finanziaria netta ed Ebitda veleggerà stabilmente sopra il 3.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Enia: Composizione Ebitda

I dati mostrano un certo equilibrio tra i settori presidiati nella composizione dell’Ebitda, servizio idrico

integrato, ambiente e gas (vendita e distribuzione) contribuiscono tra il 20 e il 30% sul totale.

Nel luglio 2007 Enia entra in Borsa collocando circa il 38% del suo capitale. I principali azionisti di Enia

sono il Comune di Reggio Emilia (21,92%), il Comune di Parma (17,28%) e il Comune di Piacenza

(4,62%).

Hera e Meta

Il caso del Gruppo Hera, dimostratosi efficace e tale da sollecitarne un’ulteriore espansione territorialmen-

te determinata, risponde a un modello di sviluppo aggregativo tra soggetti prossimi geograficamente e af-

fini anche da un punto di vista di caratterizzazione industriale, obiettivi di sviluppo e cultura territoriale.

Nel novembre 2005 Hera acquisisce il 19,99% del capitale sociale di Meta Modena tramite il lancio di

un’OPA per 97 milioni di euro. Con effetto 31 dicembre 2005, Hera incorpora Meta attraverso un au-

mento del proprio capitale sociale. A seguito di questa operazione la compagine societaria si distribuisce le

quote nel modo seguente: il Comune di Bologna scende dal 18,2% al 14,99% e Modena diventa secondo

azionista con l’11,2%. Il nuovo gruppo raggiunge un bacino di oltre 2,5 milioni di abitanti (circa il 70%

del territorio dell’Emilia-Romagna).

L’iniziativa più importante che si poteva sviluppare era quella di acquisire una capacità industriale nel setto-

re dell’energia elettrica, partendo da due territori che avevano esperienza nella gestione elettrica: Imola e Mo-

dena. Da qui inizia la nostra attività nel settore elettrico, che è cresciuta molto in questi anni, sia perché ab-

biamo ereditato clienti sia perché abbiamo sviluppato una politica commerciale nei confronti dell’energia elet-

trica, diventando produttori di energia elettrica, attraverso la partecipazione in Tirreno Power.

0%

5%

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2004 2005 2006 2007 2008 2009

SERVIZIO IDRICO

GAS

TELERISCALDAMENTO

AMBIENTE

ENERGIA ELETTRICA

ALTRE ATTIVITA’

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Hera: Acquisizioni nel settore ellettrico

INTEGRAZIONE ZONE ATTIVITÀ PROPRIETÀ

Tirreno Power 2003 Nazionale Generazione (2600 MW) 5,50%

Calenia Energia 2004 Caserta Generazione (800 MW) 15,00%

Set 2004 Caserta Generazione (400 MW) 39,00%

Rete energia elettrica 2005 Modena Distribuzione 100,00%

La fusione rappresenta un salto di qualità per Hera che nel giro di due anni, dal 2006 al 2008 triplica il

proprio fatturato nel settore elettrico, crescendo in un settore su cui aveva sempre segnato il passo rispetto

ad Milano, Asm Brescia e Torino.

Hera: Ebitda

2010 2009 2008 2007 2006 2005

% del tot % del tot % del tot % del tot % del tot % del tot

Gas 193,9 31,92% 174,0 30,70% 127,9 24,21% 104,7 23,09% 116,1 27,20% 118,5 30,67%

Energia elettrica 59,8 9,84% 53,0 9,35% 51,4 9,73% 42,7 9,42% 25,3 5,93% 22,5 5,82%

Ciclo idrico 142,1 23,39% 131,5 23,20% 130,2 24,65% 118,5 26,13% 107,5 25,19% 94,3 24,40%

Ambiente 195,2 32,13% 187,2 33,03% 186,2 35,25% 156,4 34,49% 150,5 35,26% 130,5 33,77%

Altri servizi 16,5 2,72% 21,0 3,71% 32,6 6,17% 31,2 6,88% 27,4 6,42% 20,6 5,33%

La componente elettrica rappresenterà nel tempo la voce più rilevante dei ricavi. Tuttavia, come verrà am-

piamente descritto nei prossimi capitoli, la bassa marginalità del settore per Hera (per i ribaditi limiti

nell’upstream, per la caduta della domanda sul mercato) non porterà mai questo business a superare il 10%

di impatto sull’Ebitda complessivo.

Una seconda operazione, nel 2008 apre ad Hera il mercato marchigiano allargando il perimetro del grup-

po su un’area extraregionale. La fusione tra la Aspes Multiservizi di Pesaro e la Megas di Urbino in Mar-

che Multiservizi vede Hera come secondo azionista al 41,9%. Questa iniziativa si inserisce in forte conti-

nuità e coerenza rispetto al percorso di sviluppo seguito da Hera: l’allargamento multiterritoriale attraver-

so l’acquisizione di soggetti presenti in mercati adiacenti per valorizzare le economie di scala e sviluppare

offerte integrate nei mercati del downstream energetico.

5.5 Il superamento del modello

La maggior competizione e la progressiva privatizzazione impongono una remunerazione adeguata del

capitale investito e una gestione efficiente del business, nonché la necessità di avere una struttura

finanziaria e una dotazione di capitale consona ad investimenti cospicui, fondamentali per lo sviluppo e la

manutenzione delle reti e per l’ammodernamento delle strutture. In questo quadro di grandi cambiamenti,

il processo di integrazione verso un incremento della dimensione aziendale sembra una tappa obbligata e

indispensabile per fronteggiare le nuove sfide. A parere di chi scrive, le integrazioni sono state intraprese

in primo luogo per raggiungere “la massa critica” necessaria alla difesa dei margini e a sostenere gli

investimenti; tuttavia, per i motivi che abbiamo spiegato nelle premesse, non è facile isolare gli effetti e i

contributi delle fusioni/acquisizioni sul raggiungimento degli obiettivi dichiarati in fase progettuale, a

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

62

maggior ragione in un contesto congiunturale così negativo e incerto. Fatta questa considerazione, rimane

da indagare l’eventuale guadagno di efficienza operativa garantito dai nuovi assetti societari.

Secondo Massarutto (2008), osservando le dinamiche delle multiutility nel corso del primo decennio

Duemila, si possono evidenziare tre modelli di crescita aziendale:

• Un primo modello è rappresentato dalla multiutility emiliano-romagnola, nata attraverso la creazione

di una holding cui i comuni azionisti hanno via via conferito le proprie aziende municipali in cambio

di azioni; successivamente alla quotazione in Borsa che ha in ogni caso preservato il controllo

pubblico sul capitale, ha proseguito il proprio cammino di crescita aggregando nuove realtà

industriali del territorio regionale, come la quotata Meta di Modena, ma sempre mantenendo un

controllo fortemente centralizzato dello sviluppo aziendale, lasciando a società operative il rapporto

più stretto con i diversi territori. Il processo di creazione di valore si è sempre fondato sulla

razionalizzazione dei centri di costo, trasferiti a livello di holding e trasformati in centri di servizio per

tutte le aziende del gruppo. Un percorso similare a questo è quello intrapreso da Enia sul versante

emiliano della regione.

• Un secondo modello di sviluppo può essere individuato nella fusione tra aziende di pari rango (non

necessariamente operanti in territori contigui) allo scopo di accrescere al propria capacità di

investimento e di approvvigionamento sul mercato; in questa categoria possono rientrare, ad esempio,

casi come quello di Acegas Trieste-Aps Padova, o quello di Iride.

• Un terzo modello, infine, si è sviluppato in stretta relazione con la privatizzazione del settore elettrico

e ha avuto come principale motore l’acquisizione delle tre gen.co (le compagnie create per cedere la

capacità di generazione di cui Enel è stata obbligata a disfarsi), con alleanze che hanno visto alcune

delle principali IPL allearsi ad altri soggetti, anche stranieri: ad esempio Asm con Endesa, Acea con

Electrabel, Milano con Edison e quindi con Edf.

Queste dinamiche hanno contribuito alla nascita di polarità geografiche caratterizzate dal presidio di aree

territoriali ampie e da profili di business differenti. I driver che hanno sostenuto i processi di integrazione

sono fortemente connessi a due aspetti: le caratteristiche del mercato o dei mercati in cui l’impresa opera e

il rapporto con il sistema locale da cui l’impresa prende corpo. Nel primo caso si tratta di analizzare i

vantaggi competitivi espressi da un’impresa o da un gruppo di imprese e leggere, in funzione delle

evoluzioni normative avvenute negli anni, le ragioni che hanno spinto i soggetti a intraprendere il proprio

percorso di sviluppo. Il secondo aspetto rimanda all’identità territoriale dell’impresa, al ruolo che gli

azionisti pubblici hanno inteso fornire e dunque al significato della partecipazione del territorio al capitale

di un’impresa che opera su mercati concorrenziali o prossimi all’apertura.

Emerge una tendenza comune alle grandi multiutility a crescere dimensionalmente diventando un player

sempre più rilevante sullo scacchiere nazionale, al contempo, è evidente una separazione netta tra i

comportamenti delle imprese a forte caratterizzazione elettrica, e in particolare, a forte caratterizzazione

upstream e le strategie delle imprese posizionate su business regolati più legati alle attività di servizio locale;

questo almeno fino al 2007/2008, anni in cui, come detto in apertura del capitolo, gli investimenti nella

generazione, le nuove normative europee e le forme di incentivazione sulle rinnovabili contribuiscono a

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

63

raggiungere, addirittura, una situazione di overcapacity. Il combinato tra questa condizione e l’avvento

della crisi congiunturale tra il 2008 e il 2010 segnano una caduta della redditività dei mercati energetici,

contribuendo a sfatare, almeno in parte, il mito dell’”anticiclicità” di questo business. Da allora si assiste ad

una nuova stagione di alleanze, strategie, percorsi di crescita per le . In particolare, si verifica una sorta di

convergenza degli investimenti verso attività più direttamente legate al presidio di spazi territoriali come il

servizio idrico integrato, e la filiera ambientale. Questo processo è favorito dal tentativo di recuperare la

redditività erosa dalla contrazione del settore energetico, dallo sviluppo delle tecnologie del waste-to-

energy, in cui Asm Brescia ha fatto scuola, che rivestono un comune ambito di sviluppo sia per le sia per

le local multiutility e dalle opportunità di sviluppo derivanti del presidio del mercato finale dell’energia.

2

Come descritto nei capitoli precedenti le maggiori che si sono mosse sul mercato elettrico nazionale sono

essenzialmente tre: Milano, la maggiore, Torino e Acea Roma (con l’importante eccezione di Asm

Brescia su cui si tornerà tra breve), con un’importante distinzione, l’azienda romana ha intrapreso fin dagli

anni ’30 un percorso di sviluppo distinto divenendo presto un soggetto multiutility attivo lungo la filiera

elettrica, ma soprattutto nel servizio idrico integrato, settore in cui ha prodotto gli investimenti più

rilevanti lungo la sua storia e nel quale ha fondato il suo percorso di sviluppo su nuovi mercati territoriali.

Le Aem del nord hanno conservato, lungo il Novecento, un profilo omogeneo investendo in capacità di

generazione e affiancando negli anni attività di servizio pubblico locale come l’illuminazione pubblica, la

gestione degli impianti semaforici, ma soprattutto la distribuzione elettrica e del gas e le attività di

cogenerazione teleriscaldamento. La diversificazione si è dunque prodotta su settori adiacenti al core

business storico e, a differenza di quanto avvenuto in altre città, le diverse amministrazioni che si sono

Nazionale

Regionale

Dimensione Locale Local Utility

Monobusiness

Piccole e Medie Multiutility a

carattere locale

APS/ACEGAS, LINEAGROUP

Multiutilities

internazionali

SUEZ, VEOLIA, RWE

Operatori

internazionali

EDF, EON, ENI, ENEL

Regional utility non

integrata

IRIDE, ACEA

Operatori energetici

nazionali

AEM MI, EDISON

Regional utility integrata

HERA, ASM

Internazionale

Azienda Mono-business Business Multi-utility

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

64

succedute nei rispettivi Comuni hanno tenuto separato il destino di queste imprese da quello delle altre

aziende pubbliche locali. A Torino dall’azienda acquedotti (Aam) è nato il gruppo Smat azienda

monobusiness che è cresciuta arrivando a coprire il territorio dell’intera provincia di Torino e ha prodotto

una strategia di espansione autonoma al di fuori dei confini locali partecipando, nel 2005 all’acquisizione

di Sap (Società Acque Potabili), presente in tutta Italia, in partnership con Amga. Allo stesso modo a

Milano la gestione del servizio idrico è stata mantenuta in MM (Metropolitane Milanesi) e nei due

capoluoghi il servizio di igiene ambientale, fino al 2008 è stato ricoperto rispettivamente da Amiat Torino

e Amsa Milano.

IDRICO RIFIUTI ELETTRICITÀ GAS

2007

Hera x x x x

Iride x - x x

Asm x x x x

Aem - - x x

2008

Torino Smat Amiat Iride Energia Iride Energia

Milano MM Amsa Aem Aem

Roma Acea Ama Acea Acea

Napoli Arin Asia Napoligas Napoligas

Bologna Hera Hera Hera Hera

La diversificazione, dettata dalla progressiva riduzione delle opportunità offerte dal profilo delle

generation company, disegna una nuova mappa delle aggregazioni e lo sviluppo delle moderne multiutility

del nord. In questa mappa le moderne multiutility ridefiniscono il proprio posizionamento cercando di

coniugare le opportunità e i rischi dei diversi mercati con i vantaggi competitivi derivanti dal proprio

portato storico, dal posizionamento di mercato e dalla necessità di costruire un nuovo bilanciamento del

business mix in funzione dell’evoluzione dello scenario competitivo.

Una caratteristica comune alla maggior parte delle imprese è la ricerca di nuovi equilibri tra diversi tipi di

attività: le attività regolamentate garantiscono cash flow stabili e prevedibili, mentre le attività liberalizzate

possono consentire di sfruttare meglio le opportunità offerte dal mercato e di seguire percorsi di crescita

più dinamici, ma espongono a maggiori rischi17. In generale, comunque, la presenza delle multiutility nei

17 È necessario distinguere tra: attività ad elevata intensità di capitale, ossia le attività di gestione delle reti (reti idriche, elettriche,

teleriscaldamento, per il gas) e degli impianti (produzione di energia, smaltimento rifiuti) e attività con una bassa intensità di

capitale, ossia tutte le attività di vendita. Una seconda distinzione può essere fatta sulla base delle regole del mercato: attività

regolamentate e affidate. Si tratta di attività svolte in regime di monopolio locale, a tariffe definite dall'Autorità. Fino ad oggi, la

determinazione delle tariffe è stata complessivamente benevola ed ha quindi consentito buoni ritorni economici (soprattutto per la

distribuzione di energia elettrica e gas). A queste sono da aggiungere le attività gestite sulla base di appalti di lunga durata (il servizio

di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti), oltre alle attività di vendita ai clienti del servizio di maggior tutela (vedi segmenti) e

attività liberalizzate. Si tratta di attività svolte in regime di concorrenza (vendita di gas e di energia elettrica, produzione di energia

elettrica).

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

65

settori regolamentati rappresenta un elemento di stabilità e quindi un fattore di successo rispetto alle

società specializzate nella sola vendita.

Il primo decennio Duemila si chiude con le due più grandi fusioni tra imprese multiutility fatte registrare

dall’avvio del processi di privatizzazione in avanti. Prima A2a, fusione tra Aem e Amsa Milano con Asm

Brescia (con effetto dal 1 gennaio 2008), a seguire Iren (Iride e Enia) dopo due anni circa di

contrattazione e l’integrazione sfumata con la terza multiutility dell’asse padano, Hera; quest’ultima

prosegue il suo coerente percorso di crescita allargando il controllo su oltre il 70% del territorio emiliano

romagnolo ed espandendo le attività su aree regionali limitrofe, consolidandosi come la maggior regional

multiutility nazionale. I grandi player di derivazione locale segnano ulteriori distanze rispetto alla

moltitudine di micro gestioni locali, ma soprattutto rispetto a quelle medie e medio piccole multiutility di

carattere locale o provinciale che non riescono a imboccare la strada della crescita dimensionale.

Le tre multiutility del nord rappresentano esiti distinti del medesimo processo di privatizzazione e parziale

liberalizzazione dei mercati di servizio pubblico locale. Sono al contempo le aziende leader del settore per

dimensioni, servizi erogati, capacità di investimento.

I diversi percorsi seguiti rispondono a strategie e logiche differenti, determinate in misura consistente dal-

la storia industriale delle imprese che hanno contribuito al loro sviluppo e in misura altrettanto rilevante

alle scelte strategiche effettuate negli anni ’90 e nel primo decennio Duemila.

• A2a fonda la sua storia sull’energia. Il portato storico di Aem Milano è il profilo di un gruppo con

una scarsa propensione alla diversificazione sul locale e l’ambizione di competere sul livello nazionale;

Asm Brescia allo stesso modo fonda buona parte della propria ricchezza sull’energia, ma il suo profilo

storico guarda al territorio, alla diversificazione a 360°, all’estensione egemonica su scala regionale. Il

prodotto della fusione di due culture industriali profondamente differenti restituisce il profilo in dive-

nire di un gruppo di caratura nazionale che conserva una forte inclinazione all’upstream, ma che con-

temporaneamente studia un proprio riposizionamento territoriale lungo le direttrici definite dal profi-

lo di Asm.

• Il Gruppo Hera nasce, invece, dalla necessità di ricomporre il frammentato panorama del servizio

pubblico locale romagnolo, in vista degli ingenti investimenti – altrimenti finanziariamente irrealiz-

zabili – per l’ampliamento e la modernizzazione del parco impianti di termovalorizzazione. Lo svi-

luppo è stato, quindi, graduale e legato al territorio, votato alla valorizzazione della clientela che le

piccole municipalizzate locali portavano in dote; da queste premesse nasce l’esigenza di diversificare il

mix di business per realizzare un’offerta commerciale variegata ma omogenea, che consentisse lo sfrut-

tamento delle economie di scopo.

• Iren è il primo gruppo con un profilo decisamente interregionale, un profilo definito, tuttavia, da aree

o ambiti eterogenei tra loro. Il gruppo costituisce un’aggregazione leggera tra poli settoriali e territo-

riali discretamente autonomi. A livello di holding la caratterizzazione elettrica del portato Aem Tori-

no continua a segnare il profilo di Iren, tuttavia, negli anni sono cresciute attività di complemento che

hanno restituito al gruppo la fisionomia di una multiutility multiterritorializzata presente in tutti i

settori. Tra l’espansione diffusa e coerente di Hera e il polo attrattore di livello regionale rappresenta-

to da A2a, Iren appare una terza via ancora in fase di assestamento.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

66

6. LE LOCAL MULTIUTILITY LEADER DEL NORD: A2A, IREN

Dopo aver esaminato il processo storico-strategico che ha plasmato la fisionomia delle ex-municipalizzate

fino alla configurazione che oggi tutti conosciamo, in questa sezione analizzeremo più nel dettaglio

l’andamento del business mix e delle performance delle tre multiutility, cercando di ricondurre la struttura

odierna alle differenti scelte industriali, con valutazioni legate ai dati di bilancio. Esamineremo, quindi,

l’evoluzione del portafoglio delle multiutility in oggetto e parallelamente, le ripercussioni sui risultati.

È evidente che l’analisi dei dati di bilancio da sola non è sufficiente a dare un giudizio compiuto e

conclusivo sui processi di politica industriale che hanno interessato i vari gruppi; tuttavia è interessante

individuare dei legami tra le scelte strategiche, le performance e le conseguenze sul posizionamento attuale

nel panorama competitivo. È bene precisare, comunque, che l’utilizzo e il confronto dei dati di bilancio

non è sempre attendibile perché i bilanci di aziende di dimensioni così rilevanti e attive in progetti di

finanza straordinaria, presentano frequenti disomogeneità nei criteri di consolidamento e di

comunicazione dei risultati, imponendo quindi la massima cautela nel processo di analisi.

In apertura, prima di procedere con i business case, forniamo alcuni dati circa la struttura delle singole fi-

liere in cui operano le local multiutility, in modo da avere un quadro generale cui fare riferimento per ca-

pire il peso relativo di ciascun soggetto nel contesto competitivo nazionale.

6.1 Filiere di business e contesto competitivo

La storia, il business mix, il rapporto con il territorio e i processi di aggregazione delle tre local multiutility

esaminate sono molto diversi, perciò è utile considerare la struttura e la dimensione di mercato dei settori

presidiati da Hera, Iren e A2a. Di seguito sono forniti alcuni confronti tra le filiere in cui operano le local

multiutility, per avere un quadro generale di riferimento per capire il peso relativo di ciascun soggetto nel

contesto competitivo nazionale.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

67

Ebitda 2010 (mln €)

Energia elettrica

Nel settore elettrico negli ultimi anni le local utility hanno accresciuto il patrimonio, partecipando

all’acquisizione delle centrali cedute da Enel, e sostenuto progetti di re-powering ed espansione del parco

produttivo di generazione o cogenerazione, arrivando ad occupare posizioni di tutto rilievo: secondo i dati

del 2010, A2a si classifica al 6°posto con il 3,8% della produzione nazionale lorda, e al 2° posto per la

generazione da fonte idroelettrica. Iren nel settore della generazione idroelettrica si colloca al 4° posto. Le

local multiutility sono cresciute progressivamente negli anni, specialmente nel mercato libero, dove A2a,

Hera e Iren si classificano rispettivamente all’8°, 9° e 10° posto, con una quota di mercato complessiva

prossima al 9% (in crescita rispetto al 2009).

Maggiori operatori nel settore dell'energia elettrica, 2010

CONTRIBUTO ALLA PRODUZIONE LORDA 000GWH % DEL TOT

Enel 83.7 28.1%

Edison 32.2 10.8%

Eni 29.5 9.9%

E.On 16.7 5.6%

Edipower 16.4 5.5%

A2a 11.3 3.8%

Tirreno Power 10.7 3.6%

Erg 7.7 2.6%

Axpo 6.6 2.2%

Iren 5.7 1. 9%

Altri produttori 77.5 26.0%

Produzione lorda 298.0 100%

Fonte: Autorità dell’Energia Elettrica e del Gas (AEEG)

25.690

17.480

2.540

1.369 1.175 1.040 667 607 603 412 108 78

-4.000

1.000

6.000

11.000

16.000

21.000

26.000

Eni Enel Snam Edison Terna A2A Acea Hera Iren Edipower Acegas

Aps

Ascopiave

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

68

DISTRIBUZIONE ENERGIA ELETTRICA 000GWH % DEL TOT

Enel 246.8 86.3%

A2a 11.5 4.0%

Acea 9.7 3.4%

Iren 3.6 1.3%

Hera 2.4 0.8%

Set 2.2 0.8%

Agsm 1.8 0.8%

Aim 1.1 0.4%

Deval 0.9 0.3%

Azienda energetica 0.9 0.3%

Altri produttori 5.1 1.8%

Totale energia distribuita 286.0 100%

VENDITE AL MERCATO FINALE 000GWH % DEL TOT

Enel 106.2 40%

Edison 23.8 9%

Electrabel/Acea 15.0 5.6%

Eni 10.5 4.0%

A2a 9.7 3.6%

Sorgenia 9.6 3.6%

E.On 9.2 3.5%

Energetic Source 8.1 3.0%

Hera 7.4 2.8%

Iren 5.8 2.2%

Altri produttori 60.5 22.8%

Totale energia venduta 265.8 100%

Energia elettrica – Ebitda 2010 (mln €)

534

371

261

60 12 5

0

100

200

300

400

500

600

A2A Acea Iren Hera Acegas Ascopiave

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

69

Gas naturale

Nel business della distribuzione e vendita del gas le local utility sono storicamente presenti in quanto

gestori delle reti locali del gas. Nella fase di distribuzione, Iren ed Hera si collocano alle spalle dell’ex

monopolista Eni e del fondo infrastrutturale F2i, leader emergente entrato sul mercato ritagliandosi un

ruolo di primo piano. Tra il 2009 e il 2011 F2i ha chiuso tre operazioni di grande portata: l’acquisto del

60% di Enel Rete Gas, della rete di E.ON in Italia e di G6 Rete Gas del gruppo Gdf-Suez, cui

afferiscono circa 1 milioni di clienti. Oggi il fondo si posiziona al 2° posto in attesa delle prossima tornata

di gare che ridisegnerà la geografia dei concessionari. Iren, Hera ed A2a coprono ognuna il 6% circa della

distribuzione grazie alla gestione delle reti delle grandi aree metropolitane, mentre sono più deboli nella

vendita ai clienti finali, dove arrivano al 3-4% della quota di mercato.

Maggiori operatori nel settore del gas naturale, 2010

IMPORTATORI DI GAS IN ITALIA 000M3 % DEL TOT

Eni 28.7 39.2%

Edison 13.5 18.4%

Enel 10.3 14.1%

Enoi 1.8 2.5%

Sonatrach 1.8 2.5%

Sorgenia 1.4 1.9%

Gdf-Suez 1.4 1.9%

Plurigas 1.2 1.6%

E.On 1.1 1.5%

Shell 1.0 1.4%

Altri produttori 11.1 15.1%

Totale importazioni 73.3 100%

Fonte: AEEG

DISTRIBUTORI DI GAS IN ITALIA 000M3 % DEL TOT

Eni 8.3 22.9%

F2i 3.7 10.2%

Iren 2.3 6.3%

Hera 2.3 6.3%

A2a 2.2 6.1%

Gdf-Suez 1.5 4.1%

E.On 1.2 3.3%

Toscana Energia 1.2 3.3%

Asco Holding 0.8 2.2%

Linea Group Holding 0.6 1.7%

Altri produttori 12.2 33.6%

Totale distribuito 36.3 100%

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

70

VENDITE AL MERCATO FINALE 000M3 % DEL TOT

Eni 17.8 24.9%

Enel 9.5 13.3%

Edison 7.2 10.1%

Gdf Suez 4.5 6.3%

E.On 3.7 5.2%

A2a 3.2 4.5%

Hera 2.3 3.2%

Iren 2.5 3.5%

Electrabel/Acea 1.6 2.2%

Shell 1.5 2.1%

Altri produttori 17.8 24.9%

Totale vendite 71.6 100%

Gas naturale – Ebitda 2010 (mln €)

Ciclo ambientale

Negli ultimi anni, il ciclo dei rifiuti è rapidamente evoluto da servizio di raccolta e conferimento di

materiali in una sempre più complessa attività industriale, che concentra tecnologie, competenze e

conoscenze, specialmente nella fase post-raccolta (lavorazione, riciclo, smaltimento). Le maggiori imprese

italiane sono soggetti multiutility: Hera, A2a Iren, Acegas-Aps. Tra i gruppi monobusiness, Amiat

Torino è al secondo posto nazionale dopo Ama Roma. I principali player italiani sono imprese a controllo

pubblico, unica eccezione il Gruppo Biancamano. Il mercato italiano, molto frammentato anche in

ragione di una certa instabilità normativa e di importanti resistenze locali, sconta una accentuata

inefficienza e scarsa capacità di investire nelle infrastrutture di smaltimento.

193 189

128

73

39 34

0

50

100

150

200

250

Hera A2A Iren Ascopiave Acsm-Agam Acegas

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

71

Ciclo ambientale – Ebitda 2010 (mln €)

Ciclo idrico integrato

Anche il ciclo idrico è condizionato dai medesimi fattori negativi che agiscono nel ciclo ambientale: la

frammentazione gestionale e l’incertezza regolatoria. In Italia sono attivi circa 50.000 impianti

(acquedotti, reti di acquedotto e fognarie, depuratori) gestiti da una miriade di soggetti, per lo più

Comuni e solo in modo residuale aziende municipalizzate, consorzi pubblici e società per azioni.

L’incertezza regolatoria è stata acuita dell’esito del recente referendum, che rischia di pregiudicare gli

investimenti fino all’emanazione di disposizioni legislative chiarificatrici.

Ciclo idrico integrato – Ebitda 2010 (mln €)

262

195

45 35

23 7

0

50

100

150

200

250

300

A2A Hera Iren Acegas Acea Acsm-Agam

296

142

108

38 10 3

0

50

100

150

200

250

300

350

Acea Hera Iren Acegas A2A Acsm-Agam

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

72

6.2 Il contesto competitivo e i fattori critici più influenti

I cambiamenti di strategia e di politica industriale avvenuti nel settore dei servizi pubblici locali sono stati

spesso condizionati anche da fattori esterni all’azienda: ad esempio, mutamenti nella struttura di un

mercato o fattori macroeconomici e congiunturali. Pertanto, i processi di aggregazione e la gestione

aziendale non possono essere considerati come driver esclusivi della trasformazione in un contesto

competitivo; andrebbero piuttosto intesi come risposte all’evoluzione di fattori non direttamente

controllabili. Nella sezione di seguito, proponiamo un’analisi sintetica di alcuni fattori che hanno più

influito sul contesto competitivo, come il calo della domanda energetica e la conseguente contrazione dei

margini, la diversificazione produttiva e l’indebitamento finanziario.

Domanda energetica

La domanda di energia è fortemente correlata al prodotto interno lordo: nel 2009 i consumi interni di

prodotti energetici hanno subito una flessione di straordinaria ampiezza a causa della lunga e profonda

recessione che ha coinvolto i paesi più industrializzati. Si stima che la domanda energetica avrà una ripresa

particolarmente lenta, con un ritorno ai livelli pre-crisi solo nel 2014-2015; i dati preliminari sul consumo

nel 2011, mettono in evidenza una flessione del 6% della domanda di gas ed un leggero incremento di

quella elettrica.

Domanda di energia in Italia

Fonte: Terna, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero dello Sviluppo Economico, AEEG

80

90

100

110

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160

1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

GDP Energia elettrica

Gas

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

73

Margini in contrazione nei comparti energetici

La crisi economica ha intaccato pesantemente i consumi energetici e di conseguenza i prezzi di vendita di

energia elettrica e gas. I fattori congiunturali si sono, quindi, andati a sommare ad una situazione di

overcapacity strutturale. Nel 2010 Terna stima che la potenza media disponibile alla punta sia stata di

69.3 GW, contro un fabbisogno massimo nell’anno di 56.4 GW; nonostante l’Italia sia tecnicamente

autosufficiente, il 12,9% del fabbisogno nazionale lordo è importato dall’estero. In questo contesto, i forti

margini commerciali di cui avevano goduto le aziende di generazione elettrica negli anni passati sono

venuti meno e le performance di chi era molto esposto su questo business vengono di conseguenza erose.

Di seguito si riportano alcuni confronti tra i margini nei settori energetici, per fornire un’indicazione

quantitativa sulle conseguenze che la contrazione della domanda e dei prezzi hanno avuto sulle

performance aziendali; si precisa che, data la difficoltà di confronto tra le voci di bilancio che presentano

forti disomogeneità, i dati vanno letti soprattutto come trend del settore.

Prezzo Unico Nazionale

Fonte: Gestore Mercati Energetici (GME)

apr set feb lug dic mag ott mar ago gen giu nov apr set feb lug dic mag ott

04 04 05 05 05 06 06 07 07 08 08 08 09 09 10 10 10 11 11

110

100

90

80

70

60

50

40

30

€/MWh

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

74

Gas – prezzi medi di vendita sul mercato finale

Fonte: AEEG

I dati di bilancio di Iren (indicati nella tabella sottostante) sulla vendita di energia elettrica e gas

confermano che il trend negativo nella commercializzazione dell’energia elettrica al mercato finale è

iniziato già nel 2007, per toccare i minimi nel 2009 e ritornare ad una timida ripresa nel 2010. Analoga

tendenza si riscontra nei dati di Hera che, essendo però rilevati per filiera, comprendono oltre alla vendita

di energia elettrica anche la fase di distribuzione. Negli altri settori, invece, i margini operativi sono più

stabili. Come si vedrà meglio di seguito, per diversificare il rischio di mercato e stabilizzare le

performance, le local multiutility hanno aumentato gli investimenti nel comparto ambientale, nelle reti e

nel ciclo idrico. Si tratta, com’è noto, di settori fortemente capital intensive.

Commercializzazione energia - Ebitda margin

2010 2009 2008 2007 2006

Iren 1.71% 1,46% 2.13% 2.38% 3.07%

Hera 4,07% 2,61% 3,31% 4,32% 6,50%

Altri settori - Ebitda margin

2010 2009 2008 2007 2006

Hera

Ambiente 27,76% 29,14% 29,46% 28,25% 27,89%

Ciclo idrico 24,53% 27,90% 28,37% 29,07% 26,98%

A2a

Ambiente 33,16% 30,11% 41,13% 48,99% 36,15%

Reti 42,27% 40,68% 52,87% 24,72% 22,10%

Iren

Ambiente 20,27% 17,92% - - -

Reti 50,00% 48,12% - - -

Ciclo idrico 24,88% 26,63% 34,72% 34,58% 28,03%

45

40

35

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25

20

c€/mc

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Diversificazione

Il crollo dei consumi nel 2009 e il già citato problema di overcapacity, che si riflette in margini sempre

meno consistenti nel business elettrico, hanno spinto le ex-Aem, A2a e Iren, a diversificare di più il

portafoglio di business su filiere un tempo non considerate core, come quella ambientale nel caso di A2a e

Iren. La tendenza al riposizionamento ha coinvolto tutte le aziende esaminate da questo studio, portando

chi storicamente era focalizzato sul business della generazione e della vendita di energia elettrica a

prevedere investimenti in settori prima considerati marginali (si veda tabella riassuntiva di seguito). Chi,

invece, come Hera, per eredità storica non possiede asset per la generazione e gestisce business mix più

bilanciati, è riuscito a mitigare il downturn beneficiando dell’effetto positivo della diversificazione del

rischio. Tuttavia, come già accennato in precedenza e come verrà discusso più avanti, le novità intervenute

con il raggiungimento dell’accordo sulla questione Edison-Edipower (i soci italiani acquisiranno il 100%

dell’ex-Gen.co) spingeranno A2a ed Iren a ritornare soprattutto sul fronte della generazione e della

vendita di energia elettrica.

Business plan

% TOT INVESTIMENTI CAGR EBITDA*

Hera 2011-2015

Ambiente 41,58% 8,50%

Ciclo idrico 47,44% 6,30%

Gas 7,96% 2,70%

Elettricità 3,02% 4,40%

A2a 2010-2014

Reti 30,00% 5,18%

Calore 17,00% 8,99%

Ambiente 26,00% 13,11%

Energia 6,00% 3,86%

Altro 5,00%

EPCG-Montenegro 16,00%

Iren 2010-2015

Generazione 10,50% 5,70%

Mercato 2,34% 7,60%

Servizio idrico 43,58% 19,30%

Reti 24,64% 3,50%

Ambiente 16,15% 20,60%

Servizi e altro 2,79%

* Tasso composto di crescita annua atteso nel periodo di business plan

Forte indebitamento

Nelle scelte strategiche future le local multiutility dovranno tener conto del forte indebitamento: come

mostra la tabella, la crescita dimensionale e la grande mole di investimenti effettuati durante gli anni

duemila sono stati realizzati principalmente con capitale di debito. Il livello di leva delle utility italiane ha

raggiunto valori molto elevati, con rapporti tra PFN ed Ebitda prossimi a 4, limite che il mercato dei

capitali giudica difficilmente sostenibile. Questa criticità potrebbe compromettere la crescita sui diversi

fronti presidiati. Pertanto, come accaduto su scala europea, anche a livello nazionale emerge la difficoltà di

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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gestire portafogli poco integrati, problema cui le grandi utility europee hanno risposto o con la

dismissione di filiere di business non “core” o con l’apertura del capitale di alcuni settori operativi a

investitori finanziari. Pertanto, affinché le local multiutility possano proseguire nel loro percorso di

crescita e investimento sul territorio sarà necessario un processo di razionalizzazione degli asset e la loro

valorizzazione tramite cessioni o coinvolgimento di investitori finanziari.

Capitale investito e indebitamento

2010 2009 2008 2007 2006 CAGR

Hera (mln€)

Capitale investito netto 3.753 3.598 3.143 2.964 2.678 8,80%

Equity 1.870 1.701 1.579 1.539 1.517 5,38%

PFN -1.883 -1.897 -1.564 -1.425 -1.162 12,83%

PFN/Ebitda 3,10 3,34 2,96 3,14 2,72

A2a (mln€)

Capitale investito netto 8.841 9.258 8.246 9.473 9.147 -0,85%

Equity 4.845 4.595 4.722 4.839 4.211 3,57%

PFN -3.996 -4.663 -3.524 -4.634 -4.936 -5,14%

PFN/Ebitda 3,84 4,52 3,30 3,15 3,53

Iren (mln€)

Capitale investito netto 4.342 3.976 2.716 2.635 2.455 15,32%

Equity 2.082 1.920 1.457 1.420 1.354 11,35%

PFN -2.260 -2.056 -1.258 -1.215 -1.102 19,69%

PFN/Ebitda 3,75 3,65 3,46 3,77 3,73

6.3 Hera, Iren e A2a. Principali indicatori a confronto

Prezzo (25/06/2003=100)

0

50

100

150

200

250

300

25/06/2003 20/04/2004 14/02/2005 11/12/2005 07/10/2006 03/08/2007 29/05/2008 25/03/2009 19/01/2010 15/11/2010 11/09/2011 07/07/2012

FTSE ALL SHARES HERA A2A IREN

INCORPORAZIONE AGEA

INCORPORAZIONE META

FUSIONE AEM TO-AMGA

FUSIONE AEM MI-ASM FUSIONE IRIDE-ENÌA

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Come possiamo osservare dal grafico, le aziende oggetto del report hanno messo in evidenza andamenti

generalmente migliori dell’indice italiano; se nella prima parte del periodo considerato le tre multiutility

hanno generato performance discretamente sopra il benchmark, a partire dalla crisi di liquidità del 2007 e

dall’esplosione della crisi dei mutui subprime avvenuta con il tracollo di Lehman Brothers, le performance

si sono compresse maggiormente su quelle dell’indice. Nel corso dell’ultimo anno Iren e A2a, in

particolare, hanno fatto segnare una forte caduta che ha profondamente eroso la capitalizzazione dei due

gruppi. Ciò che è interessante osservare è che, nel complesso, il gruppo Hera è quello che ha prodotto una

performance migliore.

Il settore delle utilities è solitamente considerato anti-ciclico e relativamente impermeabile alle crisi

macroeconomiche, perché caratterizzato da una domanda abbastanza rigida, soprattutto nella componente

domestica che non può fare a meno dei servizi essenziali, quali elettricità, gas, raccolta dei rifiuti e ciclo

idrico; tuttavia, è evidente che solo una parte della domanda di utility è rigida rispetto alle turbolenze

economiche, dato che i consumi del segmento industriale sono legati alla natura peculiare dei beni e dei

servizi offerti. Ci sentiamo di ipotizzare, comunque, che il mercato abbia valutato con eccessivo

pessimismo la redditività delle utility in oggetto, soprattutto nei casi in cui, nel mix di portafoglio, sono

presenti business regolati, per natura più stabili e meno esposti ai rischi di mercato; il forte calo dei corsi

azionari, trascinati dall’andamento dell’indice italiano, non è accompagnato da performance industriali

particolarmente negative. Tuttavia, è necessario tenere a mente alcuni aspetti critici che toccano il settore

delle multiutility:

• Incertezza regolamentare post referendaria del settore del ciclo idrico.

• Problema di overcapacity nel settore della generazione elettrica che contrae fortemente i margini del

settore, per via dell’entrata a regime degli investimenti in un contesto sostanzialmente recessivo.

Capitalizzazione (mln€)

2012 2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003

Hera 1210 1567 1706 1721 2393 3160 2730 2288 1458 981

A2a 2318 3183 3773 4027 6755 - - - - -

Aem Milano - - - - - 4871 3501 3065 2774 2396

Asm Brescia - - - - - 3502 2445 2036 1560 1235

Iren 748 1388 1677 - - - - - - -

Iride - - - 957 1484 2163 1804 - - -

Enìa - - - 502 848 1204 - - - -

Adj. EPS

2010 2009 2008 2007 2006 CARG

Hera 0,11 0,09 0,09 0,09 0,09 4,4%

A2a 0,10 0,12 0,10 0,16 0,17 -13%

Iren 0,14 0,11 0,13 0,13 0,10 9,9%

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Il ROA fornisce una misura della redditività degli asset totali, mettendo in rapporto l’utile operativo con

l’attivo totale; i valori dell’indicatore mostrano livelli abbastanza uniformi intorno al 5%-6%. Ancora una

volta si osserva un netto peggioramento del dato di A2a, in contrazione durante tutti gli anni considerati.

Le performance di Hera e Iren mostrano una discreta omogeneità e un trend abbastanza stabile.

Roa 2010 2009 2008 2007 2006

Hera 5,09% 4,99% 5,10% 4,62% 5,30%

A2a 4,03% 4,99% 6,27% 6,20% 5,52%

Iren 4,98% 5,25% 5,24% 5,09% 4,57%

Si riporta infine l’andamento dei principali indicatori di bilancio, che forniscono un ordine di grandezza

sulle dimensioni operative di ciascuna società e sulla sua evoluzione nel tempo. Nel caso di A2a è possibile

osservare una netta discontinuità, dovuta al consolidamento del 50% di Edison in Aem Milano negli anni

2006-2007 (Iren: dati 2009 – pro forma, dati 2006-2008 relativi ad Iride. A2a: dati 2006-2007 relativi ad

Aem Milano).

Ebitda (mln€)

2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 CAGR

Hera 685 607 567 528 453 427 386 300 243 192 15,2%

A2a 942 1040 1032 1068 - - - - - - -4,1%

Aem Milano - - - 1473 1400 767 390 414 302 37,3%

Aem Mi (depurato Edison) - - - 647 610 578 390 414 302 16,4%

Asm Brescia - - - 391 381 339 287 250 195 15,0%

Iren 592 603 564 - - - - - - - 2,5%

Iride - 381 364 322 296 - - - - 8,9%

Enìa - 184 175 159 143 157 143 - - 5,1%

Adj. Net profit

2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 CAGR

Hera 123,9 117,3 98,8 94,6 96,2 90,2 101,3 56,8 49,6 33,2 15,8%

A2a -420,0 308,0 364,0 316,0 - - - - - - -

Aem Milano - - - 292,0 302,0 242,0 172,2 297,1 112,6 21,0%

Asm Brescia - - - 225,0 238,0 212,2 112,8 96,4 62,9 29,0%

Iren -107,9 177,6 145,4 - - - - - - - -

Iride - 109,4 111,2 107,5 78,8 - - - - 11,6%

Enìa - 36,0 35,1 27,5 27,1 20,4 22,8 - - 9,6%

Per uniformità di confronto gli earning per share sono stati depurati dall’effetto della restituzione nel 2009

delle agevolazioni fiscali ricevute nel periodo 1996-1999 (c.d. moratoria fiscale). Hera realizza EPS ini-

zialmente bassi in valore assoluto, che però seguono un trend di crescita abbastanza regolare nel tempo.

A2a non riesce a confermare le performance Aem Milano (2006-2007); Iren invece sembra attestarsi su

livelli simili a quelli di Iride.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Adj. EPS

2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003

Hera 0,11 0,11 0,09 0,09 0,09 0,09 0,10 0,07 0,06

A2a - 0,13 0,10 0,12 0,10 - - - - -

Aem Milano - - - 0,16 0,17 0,13 0,10 0,17

Asm Brescia - - - 0,29 0,31 0,27 0,15 0,13

Iren - 0,08 0,14 0,11 - - - - - -

Iride - 0,13 0,13 0,13 0,10 - - -

Enìa - 0,33 0,33 0,26 0,27 0,20 0,23 -

Il ROA fornisce una misura della redditività degli asset totali, mettendo in rapporto l’utile operativo con

l’attivo totale; i valori dell’indicatore mostrano livelli abbastanza uniformi intorno al 5%-6%. Ancora una

volta si osserva un netto peggioramento del dato di A2a, in contrazione durante tutti gli anni considerati.

Le performance di Hera e Iren mostrano una discreta omogeneità e un trend abbastanza stabile.

ROA

2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002

Hera 5,17% 5,09% 4,99% 5,10% 4,62% 5,30% 5,49% 5,37% 5,11% 4,02%

A2a 2,77% 4,03% 4,99% 6,27% - - - - - -

Aem Milano - - - 6,20% 5,52% 2,96% 6,45% 6,04% 5,71%

Aem Milano (depurato Edison) - - - 6,69% 7,08% 6,17% 6,45% 6,04% 5,71%

Asm Brescia - - - 7,38% 6,98% 6,98% 6,93% 7,02% 5,24%

Iren 4,39% 7,41% 7,29% - - - - - - -

Iride - 5,25% 5,24% 5,09% 4,57% - - - -

Enìa - 4,31% 4,51% 3,95% 3,89% 3,76% 4,17% - -

6.4 Gruppo Hera. Company profile

Tappe principali della storia del gruppo

Hera vuole essere la migliore multiutility italiana per i suoi clienti, i lavoratori e gli azionisti, attraverso

l'ulteriore sviluppo di un originale modello di impresa capace di innovazione e di forte radicamento

territoriale, nel rispetto dell'ambiente.

Questa frase, in calce alla mission del gruppo, offre uno spaccato significativo delle scelte strategiche che

ne identificano lo sviluppo e il posizionamento all’interno del risiko italiano delle public utilities. Il

Gruppo emiliano romagnolo è il più longevo tra le multiutility prese in esame, nonché il secondo per

dimensione di business dopo A2a. Hera nasce nel 2002 dalla fusione di 12 ex municipalizzate comunali

romagnole18sulla scia di una precedente collaborazione da cui era nato un consorzio per l’acquisto del gas a

prezzi vantaggiosi (Eos Energia). Il Gruppo è organizzato in una holding industriale, partecipata pro-

quota da oltre 180 Comuni che vanno dalla provincia di Modena fino all’Adriatico, che coordina e dirige

la gestione dei servizi idrici, energetici e ambientali su tutto il territorio.

18 Seabo Bologna, Amf Faenza, Ami Imola, Amia Rimini, Amir Rimini, Area Ravenna, ASC Cesenatico, Geat Riccione, SIS S.

Giovanni in Marignano, Taularia Imola, Team Lugo e Unica Forlì-Cesena

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

80

Nel ’95 in provincia di Bologna nasce Seabo, multiutility che raccoglie 46 comuni del territorio oltre al

Capoluogo, primo tassello del processo che prenderà corpo alcuni anni dopo e vero e proprio catalizzatore

per le imprese del territorio romagnolo. Hera viene fondata da 137 soci delle province di Bologna,

Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena, con l’obiettivo di diventare strumento di sistema per il miglioramento

dei servizi in ambito locale e soggetto in grado di promuovere investimenti sul territorio. A questo

proposito, sembra interessante citare un’intervista rilasciata da uno dei consiglieri, che, rievocando le fasi

della nascita di Hera, fornisce interessanti particolari sulle logiche che fin da principio erano alla base

dell’operazione:

Non bisogna dimenticare che Hera è nata per avviare un progetto di vasta portata - 5 inceneritori per un

investimento di oltre 600 milioni di euro -, che le singole realtà locali non sarebbero state in grado di

realizzare autonomamente. Avendo ereditato un progetto, abbiamo cercato di trasformarlo in qualcosa di

unico, in un contesto nazionale caratterizzato da un’elevata frammentazione. Abbiamo creato, per

dimensione, numero di impianti e asset gestiti, un vero campione nazionale nel settore dell’ambiente. Oggi

Herambiente ha ancora spazi per crescere ed è di fatto il più grande operatore nazionale. Qualcuno oggi

sorridendo dice: “Qualcuno ha ereditato le centrali idroelettriche, noi abbiamo ereditato 2000 spazzini.

Il 26 giugno 2003 la positiva accoglienza della Borsa di Milano spinge Hera ad aumentare la quota di

azioni da assegnare ai risparmiatori, portandola dal 30% al 50% dell’offerta globale. A conclusione del

processo di quotazione, il 55% delle azioni è posseduto dai Comuni (che per previsione statutaria non

possono scendere al di sotto del 51%.), con una quota prevalente (pari al 17%) detenuta dal Comune di

Bologna, la restante parte è costituita dal flottante.

Il modello Hera è senza dubbio unico all’interno del panorama italiano delle utilities. Se nel caso di Iride

era stato evidenziato un controllo paritetico sulla società ad opera di due grandi Municipi quali Torino e

Genova, senza qualche forma di partecipazione o rappresentanza di altri Comuni nel capitale della

società, Hera presenta una composizione plurale della maggioranza, composizione che rispecchia in pieno

il valore di radicamento territoriale enfatizzato nella sua mission. Il meccanismo che ha portato alla nascita

del Gruppo è lo stesso che ha permesso l’incorporazione di altre realtà territoriali a seguito della sua

nascita. In estrema sintesi, le fusioni tra local utility si sono prodotte attraverso uno scambio tra la società

incorporata e quella incorporante. La prima attribuisce alla seconda i propri asset e le proprie attività

(concessioni, ecc.), la holding incorporante (Hera) a questo punto offre in cambio una quota

proporzionata di azioni proprie via aumento di capitale.

Nel 2004 il controllo del Gruppo si estende ad Agea Ferrara mentre, un anno più tardi, è il turno della

principale operazione di fusione: l’incorporazione di Meta Modena. Nel corso nel 2006 Hera aumenta la

sua partecipazione in Aspes Multiservizi, multiutility operativa nella provincia di Pesaro-Urbino, e

acquista da Enel Distribuzione la rete di distribuzione elettrica in diciotto Comuni della provincia di

Modena. Nel 2008 entrano nel perimetro aziendale le partecipazioni in Sat e Aimag.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

81

Hera: Acquisizioni multi-business (mln€)

ANNO ZONE RICAVI EBITDA

Agea 2004 Ferrara 144 25

Meta 2005 Modena 278 65

Aspes 2006 Pesaro-Urbino 90 13

Geat 2006 Riccione 13 2

Sat 2008 Sassuolo-Modena 62 12

Aimag 2009 Modena-Mantova 231 40

Le tappe di sviluppo del gruppo Hera hanno così portato a successivi ridimensionamenti delle quote dei

soci fondatori rispetto alla crescita di valore della società conseguita attraverso fusioni. Ad oggi nessun

socio di Hera controlla una quota superiore al 15% (il Comune di Bologna è oggi al 13,7%). In sintesi, lo

sviluppo del gruppo si caratterizza, da sempre, per una duplice strategia:

• La crescita per via esterna, attraverso aggregazioni sul territorio di imprese geograficamente contigue,

acquisizione di partecipazioni e stipula di alleanze con soggetti di rilievo nazionale e una strategia di

crescita per vie interne, attraverso un’ottimizzazione dei processi aziendali, la realizzazione di siner-

gie, la focalizzazione sul territorio presidiato nell’ottica di estendere il maggior numero di servizi al

maggior numero di comuni o utenti.

• La crescita per linee interne ha saputo, da una parte, sfruttare la liberalizzazione dei mercati energeti-

ci con lo sviluppo dell'attività di trading e, dall'altra, sfruttare il contributo di alcuni elementi di cre-

scita "fisiologici" quali gli adeguamenti tariffari, l'espansione della clientela e il completamento della

copertura impiantistica sul territorio.

Attraverso le aggregazioni, Hera ha raggiunto una dimensione extraregionale, valorizzando le economie di

scala sul lato degli approvvigionamenti e la possibilità di sostenere gli investimenti. La strategia

multibusiness ha inoltre perseguito l’attività di cross-selling che ha permesso di espandere velocemente il

mercato elettrico e quello dei rifiuti speciali beneficiando della vasta base di clienti già servita con i servizi

del gas. Facendo leva sulla fidelizzazione del cliente e il vasto patrimonio di conoscenza raccolto grazie

all’informatizzazione delle sue abitudini di consumo, Hera ha prodotto una strategia commerciale

aggressiva sul territorio, riuscendo a rosicchiare importanti spazi di mercato a incumbent del calibro di

Enel o Eni ad esempio.

Il grande vantaggio da cui si è costruita la strategia di Hera è stato il fatto che mediamente tutte le local

utilities, romagnole e in parte emiliane, gestivano almeno tre servizi. Si trattava di un caso abbastanza

unico, se si esclude l’ASM di Brescia. La logica di sviluppare un approccio multiutility era per certi versi

l’unica strategia perseguibile, cui si affiancava un secondo asset, la customer base. La crescita “a cipolla”, cioè

basata sull’asset territoriale che va ad aggregare progressivamente altre imprese del territorio, è un modello

per definizione esportabile ad altre regioni, ma ovviamente bisogna capire come riuscire a salvaguardare uno

dei fattori caratterizzanti del modello, cioè l’uniformità di territori Rispetto alle altre 2 aziende, che sono

incentrate sulla grande città , noi siamo un’azienda di territorio e non di città, perché il territorio è fatto da

tante piccole città.

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La strategia di crescita esterna ha spinto il gruppo ad uscire dai confini dell’Emilia Romagna, acquisendo

una partecipazione in Marche Multiservizi (Pesaro e Urbino) nonché a ricercare sul mercato un migliore

posizionamento nell’upstream energetico. In seconda battuta, Hera è entrata nel capitale della società

Galsi, costituita per la costruzione di un gasdotto Algeria-Italia, questa partecipazione è valsa al Gruppo

la firma di un accordo con Sonatrach per la fornitura di gas naturale.

Un’attenzione particolare va posta alla strategia esterna finalizzata a ridurre il gap di Hera nella

produzione di energia elettrica, rispetto ad altre realtà industriali del paese. Hera è oggi leader in Italia nel

recupero di energia elettrica dai rifiuti (waste-to-energy), grazie, come detto, allo sfruttamento dei suoi 7

impianti di termovalorizzazione (a Bologna, Ferrara, Forlì, Modena, Ravenna e Rimini), di cogenerazione

(Bologna, Ferrara, Forlì, Cesena, Imola e Modena), degli 11 impianti per la captazione di biogas da

discarica o depuratori, dei 4 turboespansori (Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna) e dell’impianto

idroelettrico di Cavaticcio. Il gruppo ha effettuato un importante investimento partecipando seppur in

quota ridotta (5,5%) al capitale di Tirreno Power (ex gen.co Enel) e promuovendo una serie di

investimenti in centrali elettriche in Campania (Sparanise e Teverola in provincia di Caserta). Tutte

queste iniziative portano a coprire un’importante quota della domanda di fornitura dei clienti con

produzione propria di energia elettrica che il Gruppo mira a portare fino al perfetto equilibrio nei

prossimi anni. In ultimo, nel 2006 Hera ha acquisito da Enel la rete di distribuzione elettrica in 18

Comuni della Provincia di Modena.

Infine, per capire ed entrare nell’ottica strategica di Hera, è interessante considerare un altro estratto di

un’intervista al management che sintetizza molto bene le logiche di sviluppo:

Abbiamo fatto un percorso esattamente contrario rispetto a quello degli altri operatori: siamo partiti dal

cliente, dalla centralità del cliente e dalla rete che ci girava intorno, rendendo sostenibile quella parte di

business che era esposta alla competizione, ovvero la parte liberalizzata. Infatti guardando agli allargamenti

territoriali con le conseguenti iniziative di razionalizzazione, tutte le altre mosse sono state finalizzate a

creare un posizionamento upstream perlomeno per avere un equilibrio tra ciò che avevamo a valle e quello su

cui potevamo contare. L’unico altro vero asset che avevamo e che abbiamo cercato di valorizzare e che nessun

altro degli altri operatori aveva, sempre fatta eccezione per Brescia, era la posizione nell’ambiente. Di fatto

questa regione è sempre stata negli anni ‘70 e ’80, un precursore nello sviluppo dei modelli di gestione del ciclo

dei rifiuti.

Proprietà e forme di controllo

L’azionariato di Hera è costituito da enti pubblici, investitori privati e investitori professionali. Gli Enti

Pubblici rappresentano la categoria più rilevante tra gli investitori di Hera con una quota del 61,3% del

capitale sociale e sono costituiti prevalentemente da Comuni delle province dell’Emilia-Romagna in cui

opera il Gruppo. Quasi tutti gli enti pubblici azionisti di Hera hanno sottoscritto un “Patto di Sindacato”,

obbligandosi a mantenere una partecipazione pari al 51% del capitale sociale come previsto dallo Statuto.

Il cosiddetto flottante è quindi costituito dal 49% del capitale sociale di cui il 78% è detenuto da

investitori privati e professionali.

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Originariamente il modello di crescita si basava su una struttura organizzativa articolata in un capogruppo

e in società operative con un forte radicamento nel territorio di competenza. Il gruppo si articolava in una

holding con funzioni di indirizzo e coordinamento e in Società Operative Territoriali (Sot) interamente

partecipate. Le Sot hanno rappresentato il tentativo di ricostruzione della territorialità da parte di un

gruppo industriale di carattere macroregionale che nel corso del suo sviluppo ha aggregato le realtà

minori. Alle strutture operative territoriali fino al 2009 competeva la gestione dei servizi e del rapporto

con la clientela, lo sviluppo delle relazioni con gli enti e le organizzazioni territoriali (Enti pubblici,

organizzazioni industriali, associazioni di categoria) e il presidio delle relazioni con le Ato (Agenzie

d'Ambito Territoriale Ottimale) per aspetti relativi a tariffe e investimenti. Attualmente le Strutture

operative territoriali sono 7 e si trovano a Bologna, Ferrara, Ravenna, Rimini, Modena, Forlì-Cesena e

Imola-Faenza.

Con il processo di riorganizzazione funzionale della struttura del gruppo nel 2009 e 2010 è stato

approvato il superamento delle Società Operative Territoriali con l’integrazione delle loro attività nella

Holding. Contestualmente a tale operazione, le attività commerciali della Gestione Clienti delle Sot sono

state collocate in Hera Comm. Inoltre le attività di Amministrazione, Qualità, Sicurezza e Ambiente e

Rapporti con i Media e Comunicazione Locale sono state accentrate gerarchicamente, passando dalle

Strutture Operative Territoriali alle rispettive Direzioni Centrali, con il mantenimento del presidio

territoriale dal punto di vista logistico.

Nel 2010 le strutture operative territoriali sono state desocietarizzate e sono diventate delle divisioni, in

cui permane ancora traccia del vecchio Consiglio di Amministrazione. Infatti, i CdA sono trasformati in

Comitati per il Territorio, la cui funzione è esclusivamente consultiva, non hanno una funzione operativa,

sono dei facilitatori dei rapporti tra aziende e territorio. Questo è stato possibile perché la Società, nella

sua evoluzione, ha dato ai territori la garanzia che i territori potevano continuare ad avere voce in capitolo

sulle questioni più importanti, senza, necessariamente, avere parola attraverso lo strumento della s.r.l. che

poi decideva sulla base di scelte di gruppo.

Dal 2010 ogni Sot si avvale per l’attività di promozione e di sviluppo del radicamento territoriale di un

Comitato per il Territorio che affronta periodicamente alcune tematiche chiave quali il monitoraggio della

soddisfazione dei clienti, della qualità e della sostenibilità dei servizi offerti. Il Comitato ha altresì il

compito di supportare il top management del Gruppo nell’interazione con gli enti pubblici e gli altri

stakeholder locali.

Il maggior accentramento dei poteri nella holding richiama la volontà di spingere in direzione di una

gestione omogenea a livello territoriale, il turn-over tra i direttori e la possibilità che questi possano essere

destinati ad una o all’altra Business Unit è il segnale di un nuovo modello di relazione con il territorio.

Il riassetto della macrostruttura del Gruppo ha visto il superamento delle Divisioni e l’istituzione di nuove

Direzioni. Interessante leggere la distribuzione di deleghe tra il Presidente e l’Amministratore Delegato in

riferimento alle aree di business in cui opera il gruppo: il primo presidia le attività dei mercati non regolati,

al secondo compete l’organizzazione del gruppo nei mercati regolati.

Seguendo gli stessi principi di territorialità espressi in precedenza, la struttura di governo di Hera prevede

un Consiglio di Amministrazione composto da 18 membri, 16 dei quali non esecutivi, designati per la

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maggior parte da un Comune capofila che raduna intorno a sé altre realtà minori e ne rappresenta la

volontà in Consiglio19; la restante parte dei consiglieri è designata dai soci privati che possiedono almeno

l’1% di azioni con diritto di voto.

Si viene così a comporre una struttura societaria in cui c’è la possibilità per un solo Comune, sia questo

Bologna, Modena (i soci principali) o un altro Comune, di imporre delle scelte autonome sugli indirizzi

della società. I soci pubblici di Hera sono uniti in un Patto Parasociale, dotato di una Presidenza e di una

segreteria, con l’obbligo di rispettarne le decisioni (Sindacato di voto) e in virtù del quale ogni socio si è

impegnato a mantenere una partecipazione al capitale sociale in misura almeno pari al 51% del capitale

stesso (Sindacato di blocco). È bene comunque precisare che tutte le decisioni sull’assetto della società

passano all’interno del patto di sindacato, il cui funzionamento rispetta rigide logiche territoriali ed

attribuisce ai Comuni maggiori (parallelamente alla maggior quantità di azioni detenuta in proporzione

sugli altri) poteri di indirizzo e nomina di gran lunga maggiori.

In ultimo, allo scopo di mantenere in mani pubbliche il controllo dell’impresa e la stabilità nella sua

composizione societaria, lo Statuto pone la maggioranza pubblica come vincolo20 e limita ad un misero 2%

la quantità di azioni in possesso da parte di un socio non-pubblico21.

19 Il Comune di Bologna ha diritto a nominarne 4 consiglieri (art. 17) in ragione della dimensione aziendale raggiunta SEABO al

momento della fusione e del valore aggiunto ad Hera; uno per i Comuni di Faenza e Imola (attraverso Con.Ami); uno il Comune di

Casalecchio di Reno, in rappresentanza di altri 47 Comuni della zona; uno il Comune di Forlì; uno a sua volta il Comune di

Ravenna, in rappresentanza di 10 comuni romagnoli tra cui Cervia; uno su nomina della Città di Rimini (con 25 Comuni); uno a

testa per Cesena e Ferrara, fatto salvo l’accordo con i comuni che questi stessi rappresentano in società; tre, infine, su nomina della

Città di Modena. 20 Il capitale sociale della Società dovrà essere di proprietà, in misura almeno del 51% dello stesso, di Comuni, Province, o Consorzi

costituiti ai sensi dell’art. 31 D. lgs. N. 267/2000 21 È fatto divieto per ciascuno dei soci diversi da quelli pubblici di detenere partecipazioni superiori al 2%

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Aree geografiche di operatività

Come si osserva nelle tavole introduttive a questo capitolo, Hera è la seconda azienda del settore per

fatturato dietro A2a, la terza per margine operativo lordo dopo il gruppo lombardo e Acea.

Il gruppo vanta una forte presenza in Emilia-Romagna, dove si configura come vera e propria regional

utility, beneficiando della possibilità non solo di offrire ai propri clienti l’opzione dualfuel (vendita

combinata al cliente finale di energia e gas), ma anche di consolidare la propria presenza e conoscenza del

mercato gestendo i servizi regolati (Idrico, Ambiente, Reti). La presenza territoriale di Hera è configurata

come segue:

Hera: Presenza territoriale

S.O.T. NUMERO DI COMUNI SERVITI

Bologna 48

Ferrara 17

Forlì-Cesena 30

Imola-Faenza 22

Modena 33

Ravenna 12

Rimini 27

Pesaro-Urbino n.a.

Dati di bilancio e indici di performance principali (scomposizione del ROE, cenni di struttura finanziaria)22

La presenza di Hera sul mercato dal 2003 ci consente di osservare una serie piuttosto lunga di esercizi e di

analizzare anno per anno gli elementi che hanno inciso sulle performance economiche e le ragioni che li

hanno determinati.

I ricavi di vendita di Hera hanno subito una crescita costante, fatta eccezione per l’anno 2010 mentre, l’

Ebitda mostra un incremento più lento e graduale, segno che il margine sui ricavi consolidato tende a

contrarsi tra il 2004 e il 2009; nell’esercizio 2010, invece, torna a crescere. A questo proposito è

interessante prendere in considerazione l’Ebitda margin per avere una misura dell’efficienza e della

redditività operativa del Gruppo. Possiamo notare che il margine rimane pressoché costante intorno al

18% fino al 2006; successivamente subisce una contrazione continua fino al minimo del 2009, per risalire

nuovamente nel 2010 in virtù di un consistente taglio dei costi, in particolare nel settore elettrico.

22I dati 2007 sono relativi al bilancio consolidato di Torino.

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Hera: Conto economico

2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 Δ medio CAGR

Ricavi 4315,9 3.877,3 4.436,0 3.792,0 2.905,1 2.364,5 2.147,6 1.644,4 1.338,3 1.133,2

11,31% -12,59% 16,98% 30,53% 22,86% 10,10% 30,60% 22,87% 18,10% 17,43% 16,62%

Costi operativi per materiale e servizi -3261,3 -2.908,1 -3.516,7 -2.932,7 -2.150,8 -1.641,2 -1.491,1 -1.123,6 -903,3 -751,9

12,14% -17,31% 19,91% 36,35% 31,05% 10,07% 32,71% 24,39% 20,14% 19,66% 18,42%

Valore aggiunto 1054,6 969,2 919,3 859,3 754,3 723,3 656,5 520,8 435,0 381,3

8,81% 5,43% 6,98% 13,92% 4,29% 10,18% 26,06% 19,72% 14,08% 12,58% 12,37%

Ebitda 684,6 607,3 567,3 528,2 453,4 426,7 386,4 300,2 242,6 191,9

12,73% 7,05% 7,40% 16,50% 6,26% 10,43% 28,71% 23,74% 26,42% 15,81% 15,49%

Ebit 334,5 315,4 291,3 280,6 220,6 231,3 215,7 144,4 113,0 77,6

6,06% 8,27% 3,81% 27,20% -4,63% 7,23% 49,38% 27,79% 45,62% 20,58% 19,16%

Net profit 221,3 117,3 71,2 94,6 96,2 90,2 101,3 56,8 49,6 33,2

7,59% 64,75% -24,74% -1,66% 6,65% -10,96% 78,35% 14,52% 49,40% 22,04% 17,09%

Adj. Net profit 104,6 117,3 98,8 94,6 96,2 90,2 101,3 56,8 49,6 33,2

-10,81% 18,72% 4,44% -1,66% 6,65% -10,96% 78,35% 14,52% 49,40% 19,93% 17,09%

Hera: Stato patrimoniale

2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 Δ medio CAGR

Net equity 1736,9 1727,6 1642,7 1525,3 1492,0 1476,3 1459,7 952,5 870,3 841,6

0,54% 5,17% 7,70% 2,23% 1,06% 1,14% 53,25% 9,45% 3,41% 9,3% 8,4%

PFN -1987,0 -1860,0 -1892,0 -1572,0 -1432,0 -1173,0 -974,0 -562,0 -444,0 -254,0

6,83% -1,69% 20,36% 9,78% 22,08% 20,43% 73,31% 26,58% 74,80% 28,1% 25,7%

Capitale investito netto 3866,3 3730,3 3592,8 3151,2 2970,7 2689,5 2464,3 1541,0 1338,5 1119,2

3,65% 3,83% 14,01% 6,08% 10,46% 9,14% 59,92% 15,13% 19,59% 15,8% 14,8%

Asset totali 6470,6 6201,2 5841,9 5505,6 4774,2 4360,4 3931,6 2688,5 2210,2 1928,2

Hera: Struttura f inanziaria

2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002

Current ratio 1,17 1,25 1,18 0,98 1,06 0,96 0,91 1,08 1,06 1,11

Pfn/Equity 1,06 0,99 1,11 1,00 0,93 0,77 0,65 0,57 0,50 0,29

Pfn/(Equity+Pfn) 51,39% 49,86% 52,66% 49,89% 48,20% 43,61% 39,52% 36,47% 33,17% 22,69%

Costo medio passività finanziarie 0,00% 4,42% 4,19% 5,51% 5,33% 5,77% 5,71% 5,04% 4,37% 8,51%

Pfn/Ebitda 2,90 3,06 3,34 2,98 3,16 2,75 2,52 1,87 1,83 1,32

Pfn/Ebit 5,94 5,90 6,50 5,60 6,49 5,07 4,52 3,89 3,93 3,27

Ebit/Oneri finanziari 1,58 1,53 2,08 2,41 2,04 2,31 2,82 5,45 5,65 4,38

Hera: Scomposizione del roe

2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002

a. Ebitda/Sales 15,66% 15,66% 12,79% 13,93% 15,61% 18,05% 17,99% 18,26% 18,13% 16,93%

b. Ebit/Ebitda 48,86% 51,93% 51,35% 53,12% 48,65% 54,21% 55,82% 48,10% 46,58% 40,44%

c. Ros (Ebit/Sales, a*b) 7,75% 8,13% 6,57% 7,40% 7,59% 9,78% 10,04% 8,78% 8,44% 6,85%

d. Rotazione del capitale (Sales/Tot assets) 66,70% 62,52% 75,93% 68,88% 60,85% 54,23% 54,62% 61,16% 60,55% 58,77%

e. Roa (Ebit/Total assets, c*d) 5,17% 5,09% 4,99% 5,10% 4,62% 5,30% 5,49% 5,37% 5,11% 4,02%

f. Gross profit/Ebit 66,16% 65,22% 55,85% 67,25% 64,60% 77,52% 87,71% 81,09% 78,58% 97,16%

g. Adj. Net profit/Gross profit 55,99% 57,02% 60,73% 50,13% 67,51% 50,31% 53,54% 48,51% 55,86% 44,03%

h. Adj. Net profit/Total assets (e*f*g) 1,92% 1,89% 1,69% 1,72% 2,01% 2,07% 2,58% 2,11% 2,24% 1,72%

i. Leverage (Tot assets/Net equity) 3,73 3,59 3,56 3,61 3,20 2,95 2,69 2,82 2,54 2,29

j. Adj. Roe (h*i) 7,13% 6,79% 6,01% 6,20% 6,45% 6,11% 6,94% 5,96% 5,70% 3,94%

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Ciò che appare più evidente anche ad un rapido esame della scomposizione del ROE è la discreta stabilità

delle componenti dell’indicatore, caratteristica riconducibile alla già citata diversificazione del portafoglio

di business. A posteriori, è possibile apprezzare i benefici in termini di mitigazione dei rischi della

peculiare strategia di sviluppo industriale di Hera, conseguenza dei presupposti storici del gruppo, ma

anche di scelte ben precise circa le modalità di operare nel business dell’energia elettrica.

I numeri che osserviamo nella scomposizione del ROE riflettono, quindi, la logica di una crescita

industriale e territoriale graduale e senza strappi. Il ROE non ha valori assoluti particolarmente alti, ma

mostra un trend stabile; il ROS si mantiene sempre in uno stesso intorno, la rotazione del capitale

investito attestandosi a un livello medio del 60% compensa il basso livello del ROS.

I risultati economici sono attribuibili esclusivamente all’andamento operativo e mai a proventi straordinari

(lettera f.); il ROA, indicatore che ci fornisce una misura complessiva (indipendente dalla struttura

finanziaria) della redditività degli asset in un’ottica operativa, è basso in valore assoluto, ma stabile (come il

ROE). Volendo dare un’interpretazione finanziaria al fenomeno, possiamo affermare che gli asset di Hera

sono meno redditizi perché meno rischiosi, in virtù della citata diversificazione (siccome stiamo

ragionando su serie storiche di lunghezza molto limitata e che, quindi, non permettono alcuna

considerazione di valore statistico, è evidente che queste osservazioni hanno una valenza puramente

qualitativa e descrittiva). Possiamo notare, inoltre, un tentativo di ottimizzazione della struttura

finanziaria tramite un ampliamento della leva, che consente rendimenti sull’equity più alti.

Filiere di business e posizionamento nei vari settori

Hera (Holding Energia, Rifiuti, Ambiente) opera in 5 differenti settori:

• Igiene ambientale: raccolta, trattamento e smaltimento di rifiuti.

• Servizio idrico integrato: acquedotti, servizi di purificazione e fognature.

• Filiera del gas: servizi di vendita e distribuzione di metano e GPL, teleriscaldamento e gestione del

calore.

• Filiera dell’energia elettrica: produzione e servizi di vendita e distribuzione di elettricità.

• Altri servizi, in particolare teleriscaldamento e a seguire illuminazione pubblica e altri minori.

Il gruppo gode di un profilo operativo piuttosto saldo, sostenuto da un portafoglio ben bilanciato di servizi

utility, con un forte contributo a livello di Ebitda reso da attività monopolistiche regolate a basso rischio

(circa il 60% dell’Ebitda), date in concessione e remunerate sulla base di schemi tariffari concepiti per

coprire i costi operativi e in conto capitale. In tali settori di attività le tariffe sono state fissate fino al 2011-

12. Concessioni di lungo termine nei settori idrico (fino al 2024) e della distribuzione elettrica (fino al

2030) offrono un margine di tranquillità. Di più corta durata sono invece le concessioni relative ai rifiuti e

alla distribuzione del gas, sulle quali grava dunque un rischio rinnovo più elevato.

L’esposizione verso i business regolati (oltre il 50% dell’Ebitda) può costituire un elemento di debolezza di

fronte alle evoluzioni normative che negli ultimi anni hanno cercato di aprire una nuova stagione di gare

in luogo delle concessioni in house presenti. Va tuttavia sottolineato che i settori regolamentati

presentano notevoli barriere all’ingresso, che dipendono tanto dall’andamento delle gare (negli ultimi anni

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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quasi tutti i servizi sono stati riassegnati agli incumbent) quanto, nel caso specifico di Hera, dalla presenza

di un vantaggio competitivo enorme, ossia l’essere player di un sistema integrato che oggi si estende nella

maggior parte del territorio regionale e che potenzialmente rappresenta un fattore disincentivante nei

confronti dell’ingresso di nuovi attori. La forte esposizione ai settori regolati ha come risvolto della

medaglia la dipendenza dalle scelte di remunerazione definite per legge.

Nel corso degli ultimi anni, e in particolare a seguito della fusione con la utility locale Meta SpA nel

novembre del 2005, il gruppo Hera è entrato con maggior decisione nel business elettrico, con un beneficio

notevole dal punto di vista del valore della produzione (oggi la filiera elettrica pesa per il 36% sui ricavi),

ma meno rilevante dal punto di vista della capacità di produrre reddito (9,8% dell’Ebitda). La contrazione

del mercato energetico ha dunque influito in misura importante, ma il gruppo ha sofferto decisamente

meno sia di Iren che di A2a la ridotta redditività del 2010, grazie anche alla forte presenza nel segmento

delle reti di distribuzione.

Hera è il primo operatore nazionale per quantità di rifiuti raccolti e smaltiti (5,7 milioni di ton), ed è uno

dei più importanti operatori integrati del settore a livello europeo con 77 impianti di trattamento e

smaltimento dei rifiuti urbani e speciali. Il sistema impiantistico per il trattamento di tutte le tipologie di

rifiuti fa capo a Herambiente, spin-off del gruppo nato nel 2009, partecipata da Hera spa (75%) e dal

fondo internazionale di investimento Eiser (25%). Il gruppo opera la raccolta di rifiuti urbani e assimilati

nel territorio di 7 ATO, ossia in oltre 170 Comuni delle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini,

Bologna, Ferrara, Modena, Pesaro-Urbino e Firenze (2,7 milioni di abitanti).

A seguito della fusione con Meta SpA del 2005, oltre all’acquisizione di una serie di altre società di più

piccole dimensioni, il gruppo Hera controlla oggi il 95% del mercato nei servizi idrici, il 75% nella

raccolta dei rifiuti e soddisfa circa il 70% della domanda regionale di gas. Nella filiera del gas Hera

contende ad Iren il terzo posto nazionale nella distribuzione (con il 6,4% del mercato nazionale) ed è

seconda solo ad A2a tra le local multiutility nella vendita al cliente finale. Il gruppo vanta una base clienti

di 1,1 milioni di persone, con vendite di gas pari a oltre 2,5Mld m3 all’anno e un forte posizionamento di

mercato, anche nel mercato deregolamentato. Il servizio di distribuzione copre 84 Comuni delle Province

di Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì-Cesena, Firenze e Modena.

Tramite il servizio di teleriscaldamento, Hera soddisfa i fabbisogni energetici di utenze civili e terziarie

nelle Province di Bologna (Comuni di Bologna, Casalecchio di Reno, Monterenzio, Imola), Forlì-Cesena

(Comuni di Forlì e Cesena), Ravenna (Comune di Castel Bolognese), Ferrara. Avvalendosi delle

competenze acquisite nella gestione degli impianti energetici, Hera ha offerto servizi di gestione

calore/energia per centrali termiche di terzi (soggetti pubblici e privati) nelle Province di Bologna, Forlì-

Cesena, Rimini, Modena e Ravenna.

Il gruppo è inoltre presente nel settore della gestione dei servizi idrici integrati, distribuzione di acqua

potabile, raccolta e purificazione delle acque reflue, in più di 220 Comuni, servendo una popolazione di

oltre 2,5 milioni persone. Hera è il quarto operatore per utenza servita in Italia dopo Acea, Acquedotto

Pugliese, Smat e Iren. È inoltre l’unica società operante nelle sette province dell’Emilia Romagna e delle

Marche in forza di concessioni di lungo termine (con scadenza media nel 2022), nonché il leader

nazionale per dimensione di infrastruttura, oltre 26 mila km.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Ebitda breakdown e andamento

Tradizionalmente, le attività che contribuiscono in maggior proporzione all’Ebitda di Hera sono il gas e

l’ambiente, ma il gruppo ha cercato di diversificare il proprio portafoglio di business con investimenti

massicci e acquisizioni nel settore elettrico, in particolare con l’acquisto nel 2006 della rete elettrica Enel

in alcuni Comuni della provincia di Modena.

L’ambiente risulta la componente più importante insieme al gas, a seguire troviamo il ciclo idrico e infine

l’energia elettrica e le attività varie. I risultati economici del settore ambiente hanno evidenziato un

continuo e significativo miglioramento: pur essendo solo la terza componente del fatturato, il settore

ambiente costituisce la fonte principale dell’Ebitda con un contributo del 30%.

Nel 2002, il gas costituiva il business più importante per il gruppo; negli anni, pur rimanendo un’attività

centrale, diventa la seconda componente sia dei ricavi – a favore dell’energia elettrica – sia dell’Ebitda –

dietro l’ambiente. Per quanto riguarda i margini di Ebitda sui ricavi, il gas è in quarta posizione dietro ad

ambiente, al ciclo idrico e agli altri servizi.I clienti dell’area gas sono in aumento in tutti gli anni

considerati, anche se a tassi decrescenti, i quali segnalano un possibile esaurimento della opportunità di

espansione del bacino di utenza a causa di una saturazione del mercato in cui Hera è presente. Inoltre, per

i già citati inverni piuttosto miti, i volumi venduti e distribuiti calano, inducendo una flessione dei ricavi,

ma, soprattutto, dell’Ebitda.

L’ambiente è sicuramente il più redditizio in termini commerciali, con un Ebitda margin sopra il 25%, a

seguire abbiamo il business del ciclo idrico, con margini simili a quelli dell’ambiente; è necessario

comunque sottolineare che il ciclo idrico costituisce un settore ad alta intensità di capitale, che pertanto

richiede ingenti investimenti, per di più in un contesto regolatorio attualmente poco chiaro. Il processo di

ampliamento dell’attività del settore idrico si è sviluppato in modo costante e in linea con le altre aree di

business (fatta eccezione per l’energia elettrica, che, grazie all’acquisizione delle reti Enel nella provincia di

Modena, vede un balzo nei ricavi). Tuttavia, negli ultimi esercizi si segnala una contrazione dei volumi

venduti e della crescita dei clienti, un altro segnale della presunta maturità del business di Hera nei territori

in cui è presente.

Il gas si attesta, approssimativamente, intorno ad un Ebitda margin 15%, mentre l’attività elettrica risulta

la meno proficua con un margine generalmente inferiore al 5%.

AMBIENTE 32%

IDRICO 23%

GAS E CALORE 32%

ENERGIA 10%

ALTRO 3%

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Hera: Ebitda

2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004

% del tot % del tot % del tot % del tot % del tot % del tot % del tot % del tot

Gas 208,7 32,37% 193,9 31,92% 174,0 30,70% 127,9 24,21% 104,7 23,09% 116,1 27,20% 118,5 30,67% 108,8 36,24%

Energia elettrica 73,2 11,35% 59,8 9,84% 53,0 9,35% 51,4 9,73% 42,7 9,42% 25,3 5,93% 22,5 5,82% 7,5 2,50%

Ciclo idrico 150,2 23,29% 142,1 23,39% 131,5 23,20% 130,2 24,65% 118,5 26,13% 107,5 25,19% 94,3 24,40% 77,7 25,88%

Ambiente 194,2 30,12% 195,2 32,13% 187,2 33,03% 186,2 35,25% 156,4 34,49% 150,5 35,26% 130,5 33,77% 89,2 29,71%

Altri servizi 18,5 2,87% 16,5 2,72% 21,0 3,71% 32,6 6,17% 31,2 6,88% 27,4 6,42% 20,6 5,33% 17,0 5,66%

6.5 Gruppo Iren. Company profile

Tappe principali della storia del gruppo

Iren è la più giovane nonché la minore tra le leader multiutility nazionali. Nasce il 25 maggio 2010

attraverso un atto di fusione per incorporazione di Enia spa in Iride spa e si inquadra, in chiave tattica,

come consolidamento del polo di nord-ovest a seguito del mutamento di scenario causato dalla nascita di

A2a.

Lo scenario di sviluppo del mercato delle multiutility, dopo l’accordo tra Aem Milano e Asm Brescia, ha

di fatto determinato un’accelerazione del processo di integrazione tra player locali. La configurazione

iniziale delle trattative, come noto prevedeva una fusione a tre, fra soggetti collocati lungo l’asse del Po:

Iride, Enia e Hera. Questa ipotesi, abbandonata poi nel corso del 2009, avrebbe segnato un deciso salto di

qualità sia per il gruppo ligure piemontese, sia per le imprese emiliano romagnole; l’operazione mirava,

infatti, ad affermare un gigante industriale dotato di una robusta presenza in tutti i principali settori di

servizio pubblico locale e capace di valorizzare importanti sinergie territoriali nei business del servizio

idrico e di igiene ambientale.

La scelta compiuta dagli azionisti di Iride, di dare, comunque, seguito ad un’operazione di crescita per via

esterna aggregando Enia, pur in assenza di parte dei presupposti industriali garantiti da Hera, può essere

interpretata secondo due determinanti: da un lato, la trattativa prolungata (oltre due anni) rischiava di

turbare i mercati, da tempo in attesa di una risposta alla nascita di A2a; dall’altro lato, la partecipazione di

Enia in Delmi e il forte radicamento territoriale del gruppo emiliano rappresentavano elementi strategici

per il consolidamento del polo di nord-ovest in ambito nazionale. Su questo è stato costruito un progetto

industriale coerente con le caratteristiche industriali di due gruppi, Iride e Enia, segnati da una profonda

distanza tra i rispettivi profili storici e culturali.

Sebbene sia ancora presto per analizzare i benefici del processo di fusione, la nascita di Iren non ha al

momento evidenziato grandi sinergie tra settori di business e ambiti territoriali, piuttosto ha offerto alcuni

vantaggi in termini di riduzione dei costi. Ancora una volta la complementarietà accentuata tra i core

business dei gruppi ha riproposto una separazione gestionale tra poli. In questo senso la possibilità di

sviluppare sinergie appare complessa, nonostante le opportunità di crescita su un mercato locale poco

competitivo. Come detto i tre poli su cui si impernia lo sviluppo di Iren presentano caratteri di forte

eterogeneità. Lo sforzo compiuto nel ridisegnare la governance del gruppo, attribuendo alla holding

centrale maggiore potere di controllo e coordinamento (rispetto a quanto capitava in Iride), si è risolta

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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ancora una volta in un’accentuata separazione geografica e settoriale, che è figlia della storia e del profilo

industriale di Aem Torino, Amga Genova e Enia.

Attraverso queste operazioni si è prodotta una metamorfosi del gruppo e una progressiva diluizione della

quota di Edibta prodotta dalla generazione elettrica e calore (core business storici del gruppo torinese) in

favore di un ruolo crescente del servizio idrico (oggi al 18% dell’Ebitda) e soprattutto della rete gas (vero

elemento comune a tutte le realtà che hanno composto Iren). Vi sono ragioni per affermare che la nascita

di Iren sia per questo una sorta di risultato sub-ottimale rispetto alle premesse con cui Iride, Enia ed Hera

si erano inizialmente seduti al tavolo: l’affermazione di un player territorialmente e industrialmente leader

sul mercato nazionale.

Proprietà e forme di controllo

Il lungo e combattuto processo di integrazione ha prodotto, in termini di organizzazione e governo del

gruppo, una separazione accentuata tra le diverse società partecipate del Gruppo sia a livello geografico sia

per linee di business. Questo deriva dalle caratteristiche storiche e industriali dei soggetti che hanno dato

origine ad Iren. Come detto, Aem Torino, cresciuta come generation company, ha conosciuto limitati

processi di diversificazione produttiva e si è sviluppata lungo le fasi della filiera energetica o su aree

adiacenti il core business, su tutti la cogenerazione e la vendita di calore; Amga Genova presidiava con forza

due business, idrico e gas evidenziando solo in questo caso un’area comune a quella di Torino; allo stesso

modo Enia oltre alla presenza nel gas e nell’idrico vantava una competenza in materia ambientale assente

in Iride.

L’organizzazione del gruppo ha dunque riproposto questa forte eterogeneità cercando di valorizzare le

filiere comuni pur mantenendo separati a livello societario (per ragioni in parte tecnologiche e in parte di

equilibrio tra gli azionisti) i diversi business. Le società, così chiamate di primo livello, gestiscono le filiere

dei singoli business nella misura in cui questi coincidono con una predefinita suddivisione territoriale. A

differenza di quanto si può osservare nel caso di Hera, le società operative partecipate al 100% dalla

holding mantengono un controllo forte sui business prodotti nella loro specifica area geografica di

riferimento, riproponendo la separazione che contraddistingueva i gruppi ante fusione: Aem Torino in

linea di massima può essere sovrapposta da un punto di vista di business a Iren Energia (e prima a Iride

Energia e Iride Servizi); Amga Genova, prossima per caratteristiche a Iren Acqua e Gas (e Iride Acqua e

Gas), Iren Ambiente e Iren Emilia che ripropongono la separazione presente tra le Divisioni in Enia (fatti

salvi i servizi a rete su cui si opera un controllo congiunto).

L’importante innovazione introdotta con la nascita di Iren è un miglior coordinamento tra i poli: torinese,

emiliano e genovese, con l’attribuzione della responsabilità sulle reti elettriche e di teleriscaldamento di

Parma, Reggio Emilia e Piacenza a Iride Energia23, e gestione del ramo Idrico relativamente agli ambiti di

23 Nell’aprile 2010 Enia ha deliberato il conferimento a Iride Energia del ramo di azienda principalmente costituito dal complesso

delle attività, passività, contratti e rapporti giuridici in genere afferenti la produzione e distribuzione di calore ed in particolare: (i)

dagli assetdi produzione di energia elettrica e calore con combustibili fossili (sono pertanto esclusi i termovalorizzatori), (ii) dalle

relative reti di distribuzione, (iii) dai contratti intercompany con Enia Energia (che sarà incorporata in Iride Mercato) per la

fornitura di gas naturale e per la cessione dell’energia elettrica prodotta; (iv) dai provvedimenti amministrativi concernenti le attività

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Reggio Emilia e Parma a Iride Acqua Gas, pur mantenendo in Iren Ambiente un coordinamento

operativo e i rapporti con il territorio24. In parallelo è stata potenziata la struttura della holding centrale

cui sono state attribuite funzioni e personale in misura maggiore a quanto capitava in Iride.

Visto il portato storico delle diverse realtà industriali e il peso dei diversi azionisti nella compagine

azionaria sarebbe stato improbabile arrivare, fin da subito a una diversa strutturazione e anzi, “l’eccesso di

complementarietà” se così si può definire, è stato fin da principio la sfida più importante, tanto di Iride,

quanto soprattutto di Iren: far funzionare in maniera coordinata realtà territoriali e industriali tanto

diverse perché a livello aggregato si realizzasse una multiutility presente in tutti i settori di servizio

pubblico in grado di ampliare la propria offerta soprattutto nel nord-ovest.

Il modello di corporate governance scelto si basa su un consiglio di amministrazione composto da 13

membri (7 scelti da Finanziaria Sviluppo Utilities - FSU, la società costituita con quote paritetiche da

Torino e Genova; 4 dagli azionisti di Enia; 2 della minoranza). Il Comitato Esecutivo è presieduto dal

Presidente del Consiglio di Amministrazione25(nominato da FSU e dalla Città di Genova), con delega sul

coordinamento e la nomina della maggioranza degli amministratori delle società operative di stanza a

Genova (Mercato e Acqua e Gas).

Fanno parte del comitato esecutivo il Vicepresidente (Enia), l’Amministratore Delegato26(FSU, Città di

Torino) con poteri di controllo su Iren Energia e le sue controllate, e il direttore generale27(Enia) con

facoltà di determinare le scelte e gli indirizzi gestionali di Iren Emilia e Iren Ambiente. Per assicurare

unità e stabilità di indirizzo, gli azionisti di controllo, FSU e i Comuni del Patto Enia – 61 soci pubblici

di teleriscaldamento (autorizzazioni, licenze, ecc.); (v) dalla partecipazione in Sarmato Energia spa (5,3%). Nell’aprile 2010 Enia ha

deliberato il conferimento a Torino Distribuzione spa del ramo di azienda principalmente costituito dal complesso delle attività,

passività, contratti e rapporti giuridici in genere afferenti le attività di distribuzione e misura di energia elettrica nella città di Parma

ed in particolare: (a) dagli asset (cabine, reti di distribuzione, contatori, ecc..), (b) dalla concessione ministeriale. (Prospetto

informativo Gruppo Iride 28 giugno 2010) 24 Nell’aprile 2010 Enia ha deliberato il conferimento il conferimento a Iride Acqua Gas spa del ramo di azienda principalmente

rappresentato dal complesso delle attività, passività, contratti e rapporti giuridici in genere afferenti le attività di laboratorio e

progettazione del servizio idrico integrato, comprese le partecipazioni in società che svolgono attività di gestione del servizio idrico

integrato. Il ramo di azienda è inclusivo delle strutture e del personale addetto: studi tariffari; gestione logiche di fatturazione; ricerca

e controlli analitici; project management; progettazione di sistemi e di impianti idrici. Nell’aprile 2010 Enia ha deliberato il

conferimento in Sarem spa - e stipulato il relativo atto - del ramo di azienda rappresentato dai rapporti contrattuali con l’utenza

afferenti ai servizi regolati e non regolati; i rapporti con l’Ato; la proprietà delle infrastrutture strumentali realizzate da Enia nel corso

dell’affidamento del servizio; la titolarità e la realizzazione degli investimenti previsti dal Programma degli Interventi e suoi

aggiornamenti afferenti all’area territoriale già servita da Enia limitatamente a quanto riferito alla gestione del servizio idrico

integrato di Piacenza utilizzando il supporto tecnico delle SOT controllate disciplinato da opportuni strumenti negoziali. (Prospetto

informativo Gruppo Iride 28 giugno 2010). 25Al Presidente sono attribuiti inoltre le direzioni: relazioni istituzionali ed esterne. 26Delega alle direzioni: sharedservices, legale societario, personale, organizzazione, progetti speciali, risk management, acquisti e

appalti, comunicazione e immagine, corporate complianceofficer, corporate social responsability, internal audit. 27Il Direttore Generale gestisce le direzioni/staff che hanno sede a Parma: amministrazione, finanza, controllo di gestione, investor

relations, pianificazione strategica, sistemi informativi e telecomunicazioni, M&A (fusioni e acquisizioni), gestione delle società

partecipate attive in settori diversi da quelli in cui operano le società di primo livello: “Mercato”, “Settore Idrico e Gas”, “Energia”,

“Servizi tecnologici”; ove esistente come società di primo livello, società di primo livello “Reti gas e Coordinamento SOT” e la

società di primo livello “Ambiente”.(Iren, Corporate Governance 2010)

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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in tutto che rappresentano il 55,2% del capitale sociale di Iren – hanno sottoscritto il 28 aprile 2010 un

Patto parasociale che nei fatti impone la maggioranza pubblica dell’azionariato.

Aree geografiche di operatività

Iren è il leader territoriale di un’area che si estende tra il Piemonte, la Liguria e parte dell’Emilia, uno dei

bacini più ricchi sul panorama nazionale, uno spazio di mercato in cui la competizione è piuttosto

limitata, fatto salvo il Gruppo Egea ad Alba, la Cva in Valle d’Aosta e alcune sporadiche incursioni di

A2a (Novara, Alessandria e Cuneo) in qualità di azionista minore.

I tre poli di Iren evidenziano profonde differenze anche dal punto di vista geografico: due sono sistemi

urbani mentre quello emiliano è area vasta, territorio diffuso. Torino è lo spazio della generation company

deterritorializzata che ha ricostruito il proprio radicamento dopo le crisi petrolifere investendo in servizi

per la città, reti energetiche (elettriche, gas e teleriscaldamento) e centrali di cogenerazione. Come Aem

Milano non ha conosciuto il modello del local service provider né ha operato una concentrazione dei servizi

in ambito metropolitano come invece Milano ha fatto con l’operazione Aem-Amsa-Asm.

In ambito torinese, Iren non copre né il servizio idrico integrato (garantito dal Gruppo Smat), né

tantomeno il ciclo ambientale, oggi spezzato tra un’utility che svolge attività di raccolta e spazzamento

senza un impianto proprio di smaltimento (Amiat) e una società posseduta al 95% dal Comune di Torino

che sta costruendo un termovalorizzatore (Trm, ndr. atteso a regime nel 2014); allo stesso modo in

ambito genovese il business ambientale è gestito dall’utility comunale Amiu, la rete elettrica controllata da

Enel.

Del tutto diversa la situazione del polo emiliano in cui Enia ha prevalso come local service provider

aggregando i servizi di piccole multiutility storicamente insediatesi e le ha portate ad una scala

dimensionale più rilevante. Va notato che manca una vera capacità di generazione al di là dei risultati

attesi dal prossimo avvio del polo ambientale parmigiano. Sul fronte energetico Enia portava in dote una

partecipazione in Delmi che le ha garantito un ritorno a livello finanziario piuttosto basso, ma non un

vantaggio posizionale in termini di approvvigionamento.

COMUNE DI REGGIO EMILIA 7,76%

FINANZIARIA CITTÀ DI TORINO 7,4%

ALTRI AZIONISTI 32,26%

FONDAZIONE CRT 2,32%

INTESA SANPAOLO 2,84%

FSU (COMUNI DI TORINO E GENOVA) 33,3%

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Dati di bilancio e indici di performance principali (scomposizione del ROE, cenni di struttura finanziaria)28

Iren: Conto economico

2011 2010 2009 Δ medio CAGR

Ricavi 3520,0 3380,8 3272,9

4,12% 3,30% 3,71% 3,71%

Costi operativi per materiale e servizi -2665,7 -2515,4 -2447,7

5,98% 2,77% 4,37% 4,36%

Valore aggiunto 854,3 865,4 825,2

-1,28% 4,87% 1,79% 1,75%

Ebitda 591,7 603,4 563,7

-1,94% 7,04% 2,55% 2,45%

Ebit 308,3 338,5 312,3

-8,92% 8,39% -0,27% -0,64%

Gross profit 14,2 290,3 192,9

-95,11% 50,49% -22,31% -72,87%

Net profit -107,9 177,6 42,4

-160,75% 318,87% 79,06% -

Adj. Net profit -107,9 177,6 145,4

-160,75% 22,15% -69,30% -

Iren: Stato patrimoniale

2011 2010 2009 Δ medio CAGR

Net equity 1631,3 1852,0 1690,7

-11,92% 9,54% -1,19% -1,77%

PFN -2652,0 -2260,2 -2055,7

17,33% 9,95% 13,64% 13,58%

Capitale investito netto 4496,7 4341,8 3976,0

3,57% 9,20% 6,38% 6,35%

Asset totali 7023,3 6793,4 4394,4

Iren: Scomposizione del ROE 2011 2010 2009

a. Ebitda/Sales 16,81% 17,85% 17,22%

b. Ebit/Ebitda 52,10% 56,10% 55,40%

c. Ros (Ebit/Sales, a*b) 8,76% 10,01% 9,54%

d. Rotazione del capitale (Sales/Tot assets) 50,12% 49,77% 74,48%

e. Roa (Ebit/Total assets, c*d) 4,39% 4,98% 7,11%

f. Gross profit/EBIT 4,61% 85,76% 61,77%

g. Adj. Net profit/Gross profit -759,86% 61,18% 75,38%

h. Adj. Net profit/Total assets (e*f*g) -1,54% 2,61% 3,31%

i. Leverage (Tot assets/Net equity) 4,31 3,67 2,60

j. Adj. Roe (h*i) -6,61% 9,59% 8,60%

28 I dati 2007 sono relativi al bilancio consolidato di Torino.

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Iride: Scomposizione del ROE

2009 2008 2007 2006 2005

a. Ebitda/Sales 17,37% 14,64% 12,98% 11,86% 16,73%

b. Ebit/Ebitda 60,48% 62,04% 62,57% 59,30% 65,49%

c. Ros (Ebit/Sales, a*b) 10,50% 9,08% 8,12% 7,03% 10,96%

d. Rotazione del capitale (Sales/Tot assets) 49,93% 57,74% 62,67% 66,56% 55,25%

e. Roa (Ebit/Total assets, c*d) 5,25% 5,24% 5,09% 4,68% 6,05%

f. Gross profit/Ebit 57,27% 80,00% 75,69% 82,13% 85,29%

g. Adj. Net profit/Gross profit 82,95% 61,56% 70,38% 53,75% 56,98%

h. Adj. Net profit/Total assets (e*f*g) 2,49% 2,58% 2,71% 2,07% 2,94%

i. Leverage (Tot Assets/Net equity) 3,51 3,25 3,08 3,11 3,01

j Adj. Roe (h*i) 8,75% 8,40% 8,35% 6,43% 8,86%

Avendo a disposizione solo i dati pro-forma 2009-2010 per via della breve vita del gruppo, risulta difficile

fare delle osservazioni che vadano al di là del constatare che la struttura del ROE di Iren è molto simile a

quella di Iride pre-fusione. Il ROA 2010 pro-forma è sostanzialmente in linea con quello degli anni

precedenti e tra l’altro molto vicino in valore assoluto a quello di Hera e degli ultimi due anni di A2a,

indice di una convergenza dei mercati regionali verso standard omogenei, attraverso percorsi e con

prospettive future del tutto diverse. Inoltre, i risultati di Iren sono riconducibili completamente all’attività

operativa del gruppo.

Filiere di business e posizionamento nei vari settori

In seguito alla fusione con Amga Genova e Enia, il business elettrico viene via via diluito. Ciononostante

l’impronta elettrica identifica ancora con forza la neo-costituita utility del nord-ovest, e rende il gruppo

maggiormente esposto rispetto ad Hera, alla caduta della redditività del mercato energetico fatta segnare

nell’ultimo esercizio. Va tuttavia segnalato che gli ingenti investimenti nella cogenerazione e nelle reti di

teleriscaldamento avviati negli ultimi anni hanno offerto risposte confortanti, consentendo un recupero

della redditività e la valorizzazione di un fattore competitivo che fa di Iren l’impresa leader in Italia nel

settore del district heating.

Il Gruppo opera attraverso le sue controllate nei settori: elettricità (generazione, distribuzione e vendita),

gas (importazione, distribuzione e vendita), teleriscaldamento (produzione, distribuzione e vendita di

calore), servizio idrico integrato e ambiente (in tutte le fasi di raccolta e smaltimento), e fornisce anche

altri servizi di pubblica utilità come le reti di telecomunicazione, l’illuminazione pubblica e la gestione

degli impianti semaforici. Iren è strutturata in una holding cui fanno capo le attività strategiche, di

sviluppo, coordinamento e controllo e cinque società operative che garantiscono il coordinamento e lo

sviluppo delle linee di business:

• Iren Acqua Gas nel ciclo idrico integrato.

• Iren Energia nel settore della produzione di energia elettrica e termica e dei servizi tecnologici.

• Iren Emilia nel settore gas, raccolta dei rifiuti, igiene ambientale e gestione dei servizi locali.

• Iren Ambiente nella progettazione e gestione degli impianti di trattamento e smaltimento rifiuti oltre

che nella gestione degli impianti di produzione calore per il teleriscaldamento in territorio emiliano.

• Iren Mercato nella vendita di energia elettrica, gas e teleriscaldamento.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

96

Con la recente entrata in funzione della centrale di Torino Nord, Iren ha consolidato la propria leadership

in Italia nel settore del District Heating, generazione e vendita di calore. Il volume d’affari del 2010 ha

raggiunto i 687 milioni di euro in aumento del 2,3% rispetto al 2009.

Il contributo della nuova centrale consoliderà il primato di Torino come città più teleriscaldata d’Italia

(55% dell’utenza totale), 550.000 abitanti utilizzeranno il calore distribuito al posto degli impianti di

riscaldamento autonomi con conseguente e drastica contrazione dell’emissione di CO2 in atmosfera. In

parallelo il parco generativo di Iren crescerà di 400 MW elettrici e 220 MW termici. E’ già stato avviato

l’iter autorizzativo relativo al Progetto Torino nord-est con il quale sarà possibile teleriscaldare ulteriori 16

milioni di metri cubi di volumetria edificata, ubicati nell’area nord-est del capoluogo, pari a una

popolazione di circa 150.000 abitanti, che si andranno ad aggiungere agli attuali 50 milioni di metri cubi

già teleriscaldati. Il Gruppo dispone di quasi 1000 chilometri di rete distribuiti nelle città di: Parma,

Piacenza, Reggio Emilia, Torino e Genova e una capacità distributiva di 2.430 GWh di calore a circa

550.000 abitanti. Nel corso dell’esercizio 2010 la generazione di energia elettrica e calore hanno fatto

registrare un aumento del 2,3% rispetto al 2009. La caduta della produzione idroelettrica, a causa del

fermo degli impianti in Valle Orco per operazioni di repowering, è stata in buona parte compensata da una

sostenuta crescita dell’attività di cogenerazione (+9,5%). Allo stesso modo l’Ebitda 2010 (pari a 172

milioni di euro) ha visto una riduzione nel settore elettrico (-53 milioni) e un recupero dovuto ai maggiori

volumi di energia e calore prodotti dalla cogenerazione (+57 milioni).

Il settore della generazione core business e prima fonte di redditività per il gruppo può vantare un parco

impianti composto da 12 centrali idroelettriche (nelle province di Torino e Genova) e 6 termoelettriche in

cogenerazione (nelle province di Torino, Genova, Parma e Reggio Emilia) che contribuiscono ad

abbattere le emissioni di CO2 negli spazi urbani, grazie alla riduzione del consumo di gas naturale da

riscaldamento domestico.

Nel teleriscaldamento, grazie a circa 700 chilometri di reti interrate di doppia tubazione, il Gruppo Iren

fornisce il calore ad una volumetria di oltre 66 milioni di metri cubi. In totale il Gruppo può far conto su

circa 2.440 MW installati (1.500 MW attraverso centrali proprie e 940 MW attraverso le partecipate

Edipower e Tirreno Power) e oltre 5 TWh prodotti nel 2009 (7,8 TWh considerando Edipower e

Tirreno Power). Iren è il decimo produttore elettrico nazionale con una quota dell’1,9% sul totale (sia

della produzione generale si di quella diretta al consumo) e secondo solo a A2a tra le local multiutility.

Nella filiera del gas naturale, Iren si muove con tre delle sue società operative: Iren Energia si occupa della

distribuzione del gas a Torino attraverso Aes (51% Iren, 49% Italgas), Iren Acqua e Gas, in continuità

con la storia di Amga, occupa l’area genovese e Iren Emilia distribuisce nelle province di Piacenza, Parma

e Reggio Emilia. Il gruppo si posiziona al terzo posto nella distribuzione in coabitazione con Hera e al

settimo posto per quantità vendute.

Il forte ritardo nell’entrata in funzione del rigassificatore di Livorno, infrastruttura che ha costituito uno

degli elementi cardine su cui si è costituita Iride nel 2006, non ha ancora prodotto i benefici attesi

sull’approvvigionamento. Se da un lato la caduta dei prezzi sul mercato del gas ha permesso a Iren di

beneficiare di acquisti favorevoli anche sul mercato spot, l’impegno finanziario per la costruzione

dell’impianto e i vincoli imposti dai contratti di Plurigas hanno di fatto ridimensionato i vantaggi attesi

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

97

dalla fusione tra Aem Torino e Amga. Con l’incorporazione di Enia si è ampliato il numero di clienti

finali che oggi raggiunge gli 1,2 milioni.

Iren Energia, tramite la controllata Aem Torino Distribuzione, svolge l’attività di distribuzione di energia

elettrica su tutto il territorio delle città di Torino e di Parma (circa 1.085.000 abitanti); nel 2010 l’energia

elettrica distribuita è stata pari a 4.282 GWh, di cui 3.365 GWh nella città di Torino e 917 GWh nella

città di Parma. Il gruppo si posiziona così al quarto posto nazionale per punti di prelievo ed energia

distribuita.

Nel settore del servizio idrico integrato, il Gruppo opera in Emilia Romagna (province di Parma,

Piacenza e Reggio Emilia) attraverso Iren Emilia, in Liguria (province di Genova, Imperia e Savona), in

Piemonte (province di Alessandria, Asti e Vercelli), Sicilia (province di Enna e Palermo) e in Toscana

(province di Livorno, Pisa e Siena) attraverso Iren Acqua e Gas, servendo oltre 2,4 milioni di abitanti. Nel

corso del 2010 sono stati distribuiti circa 192 milioni di metri cubi di acqua29 permettendo a Iren di

posizionarsi dietro alla sola Acea Roma per numero di abitanti serviti e al terzo posto per quantità di

acqua erogata e marginalità.

Nell’area di business ambiente, Iren raccoglie il patrimonio di esperienza proveniente dalla componente

emiliana del Gruppo. Svolge il servizio di raccolta dei rifiuti urbani e assimilati per 111 Comuni e serve un

bacino di oltre 1.200.000 abitanti. La gestione dei rifiuti è regolata da convenzioni di affidamento

stipulate con le Autorità di Ambito territoriali.

I rifiuti gestiti nel corso del 2009 hanno raggiunto le 1005 ktons trattate nel sistema impiantistico del

Gruppo (al terzo posto in Italia dopo Hera e A2a) che comprende 2 termovalorizzatori per la produzione

di energia elettrica e calore per il teleriscaldamento dai rifiuti non utilmente recuperabili, 2 discariche

controllate, 11 impianti di trattamento e un impianto di selezione.

Il principale investimento prodotto negli ultimi anni da Enia (oggi Iren Ambiente) è rappresentato dal

Polo Ambientale Integrato di Parma (PAI) di cui è prevista l’apertura nel 2012. Si tratta di un centro di

nuova concezione che comprende impianti di trattamento meccanico biologico dei residui della raccolta

differenziata, un termovalorizzatore cogenerativo per lo smaltimento dei rifiuti e la produzione di energia

termica per il teleriscaldamento, un impianto di trattamento e recupero di rifiuti speciali, autorimesse e

officine per i mezzi adibiti alla pulizia e alla raccolta dei rifiuti. Il termovalorizzatore sarà in grado di

produrre energia elettrica per circa 75.000 cittadini ed energia termica per circa 38.000 abitanti. Il

completamento del Polo Ambientale Integrato consentirà alla provincia di Parma di raggiungere

l’autonomia nello smaltimento dei rifiuti urbani, l’investimento completerà la presenza di

termovalorizzatori nel territorio emiliano portando gli impianti a tre unità, con conseguente sviluppo del

settore dello smaltimento e del teleriscaldamento.

Da ultimo, nella vendita, ramo Mercato, il Gruppo commercializza a clienti finali, borsa e grossisti,

11.645 GWh con una diminuzione di circa 9,3% rispetto al 2009 (12.841 GWh). Nel 2010 le

disponibilità di energia elettrica da produzioni interne al Gruppo (Iren Energia, Tirreno Power), sono in

linea rispetto all’esercizio passato e ammontano a 5.799 GWh (5.728 GWh nel 2009), mentre i volumi

29 Somma della distribuzione di Iride Acqua e Gas più Enia spa

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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provenienti dalla gestione del tolling di Edipower risultano in calo e ammontano a 1.515 GWh (1.910

GWh nel 2009). Si rileva inoltre un maggior ricorso al mercato IPEX (5.119 GWh contro i 3.999 GWh

del 2009) come effetto dei bassi prezzi espressi dal mercato che hanno reso l’attività in borsa più

competitiva rispetto all’esercizio precedente (Iren , Bilancio 2010).

Ebitda breakdown e andamento

Nel corso del 2010 Iren ha raggiunto un valore della produzione di 3,38 mld di euro. Comparando i dati

pro-forma, si registra una crescita del 3,3%. In parallelo, di segno positivo sono anche l’Ebitda e l’Ebit,

rispettivamente +7% e + 8,3%. La crescita del fatturato ha visto i buoni risultati dei servizi regolati:

servizio idrico (+9%) e reti energetiche (+7%) e la conferma delle attività di vendita (+1%), notizia positiva

in una fase di contrazione dei consumi.

Le attività regolate trainano l’Ebitda (+30 milioni di euro) spostando l’equilibrio del business mix a favore

di queste ultime, con un rapporto di 60 su 40. Questa proporzione offre al gruppo una buona stabilità nel

breve periodo al netto delle possibili evoluzioni normative allo studio del Governo e che interesseranno in

particolare il servizio idrico integrato e il servizio di igiene ambientale.

6.6 Gruppo A2a. Company profile

Tappe principali della storia del gruppo

La fusione tra Aem Milano e Asm Brescia, al tempo i maggiori player multiutility locali italiani, e

l’impresa monobusiness di igiene ambientale Amsa rappresenta lo spartiacque strategico per i processi di

concentrazione degli operatori sul mercato lombardo. L’integrazione, come detto, ha segnato la fine del

modello Aem che lungo il Novecento aveva caratterizzato la strategia di sviluppo dell’impresa milanese e

che a seguito della nascita di Iride era rimato l’unico esempio di rilievo sul panorama nazionale. La scelta

di unire Aem ad Asm segna l’incontro tra due tradizioni di impresa molto diverse tra loro e dunque tra

due modelli di business che, solo negli ultimi anni, avevano disegnato percorsi strategici simili.

GENERAZIONE ELETTRICA E CALORE 29%

MERCATO 8%

SERVIZI 3%

RETE EE 13%AMBIENTE 7%

IDRICO 18%

RETE HEATING 7%

RETE GAS 15%

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

99

A partire dal 2000 e dalla progressiva apertura dei mercati energetici, tanto Aem quanto Asm avevano

contratto una parte rilevante degli investimenti nella crescita come player di generazione elettrica.

L’occasione offerta dalla vendita delle gen.co Enel permise ad entrambe le parti di acquisire centrali e

affermarsi come i maggiori produttori dopo gli incumbent nazionali e il Gruppo Edison (per il controllo

del quale i gruppi si sfidarono fieramente a metà del decennio scorso).

Aem nasce sostanzialmente come una società elettrica con produzioni idroelettriche in Valtellina, distribuzione

di gas ed energia elettrica a Milano e una partecipazione di natura anzitutto finanziaria in Edison. Un

primo passo verso la diversificazione fu quello di acquisire Ecodeco, attiva nel business del trattamento

smaltimento rifiuti. Asm invece nasce con un modello di business maggiormente improntato alle attività

multiservizio. Era, a tutti gli effetti, la società del Comune di Brescia con un’importante presenza nel

territorio circostante. Asm era cresciuta, in particolare, in settori ad alto valore aggiunto: teleriscaldamento ed

energia, con importanti progetti per lo sviluppo di nuove centrali termoelettriche in Abruzzo e in Calabria nel

momento in cui è stato avviato il grande ciclo di investimenti. In questo quadro si è perfezionata l’operazione

di fusione, un’operazione che era nell’aria da anni.

L’incontro tra le due maggiori local utility del mercato nazionale si inscriveva indubbiamente in un

comune interesse a crescere nel settore elettrico e in secondo luogo lungo la filiera ambientale e nella

cogenerazione, settori in cui l’impresa bresciana aveva raggiunto posizioni di eccellenza.

Prima della fusione in A2a, Aem Milano aveva partecipato solo marginalmente al risiko locale e dell’area

nord del paese, preferendo perseguire un processo autonomo di sviluppo nel mercato della generazione

elettrica, concentrare gli sforzi e l’attenzione in direzione di un consolidamento settoriale più che

territoriale. In questo contesto si inquadra l’operazione Edison e i tentativi di costruire il secondo

operatore elettrico nazionale.

Al contrario, il percorso di sviluppo seguito da Asm Brescia già lungo il Novecento si caratterizza per uno

sviluppo su base territoriale e l’aspirazione ad espandere il proprio controllo su aree limitrofe o su ambiti

di mercato profittevoli. La fusione con Bas di Bergamo ha rappresentato uno dei passaggi strategicamente

più rilevanti, ma non certo l’unico. Asm si presenta alla fusione del 2008 con un ruolo consolidato di

leader regionale, forte di una presenza nell’area orientale della Lombardia, in Veneto e in Trentino Alto-

Adige, dove nel corso degli anni aveva stretto alleanze, sinergie con alcune utility locali (su tutte si ricordi

l’acquisto del 20% di Trentino Servizi nel 2001), e a sud verso il Po (Cremona, Piacenza, Lodi, Pavia) e

un buon posizionamento nell’upstream, grazie alla collaborazione con Endesa.

La fusione ha rappresentato un passaggio centrale del processo di consolidamento territoriale del gruppo,

che negli anni seguenti ha visto il perfezionamento di una serie di operazioni in ambito regionale: la

partecipazione nella multiutility quotata Acsm-Agam in cui A2a è azionista rilevante con una quota del

21,9% e svolge un ruolo chiave in CdA; l’acquisizione di Aspem Varese che completa il controllo sull’area

occidentale del mercato lombardo.

Allo stesso tempo prosegue la strategia di sviluppo nella generazione elettrica, in questo caso aprendo un

importante fronte internazionale. Nel 2009 A2a acquisisce, per 469 milioni di Euro, il 43,7% di

Elektroprivre da Crne Gore (Epcg), la “piccola Enel” così denominata del Montenegro. Epcg opera nella

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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produzione di energia elettrica con una potenza installata di 0,9 GW il 70% della quale è idroelettrica, il

core business storico delle generation company lombarde. L'azienda montenegrina gestisce anche una rete

distributiva di 19.000 km e vende l’energia a oltre 300.000 utenti finali.

In Montenegro abbiamo comprato, attraverso una gara, il 44% circa della corrispettiva Enel locale. Il

Montenegro è uno stato molto piccolo, paragonabile al Molise più o meno, che però ha un duplice vantaggio: è

baricentrico rispetto all’area balcanica, è interessato da un progetto per la costruzione di un cavo sottomarino

che dal Montenegro raggiunge l’Italia e consente di trasformare il Montenegro sostanzialmente in una regione

elettrica dell’Italia e che determina un ulteriore vantaggio perché le importazioni di energia verde dal

Montenegro rientreranno negli strumenti che l’Italia adotta per adempiere ai propri obblighi rispetto alla

Direttiva Europea.

L’opportunità di questo investimento è stata a lungo discussa sia dal punto di vista industriale che,

soprattutto da quello finanziario. L’acquisizione di Ecpg si è rivelata particolarmente onerosa per il

Gruppo lombardo contribuendo in misura rilevante ad accrescerne il livello di indebitamento, già

profondamente segnato dalla partecipazione in Edison. In parallelo, l’incerta ultimazione del cavo

sottomarino, e la scarsa redditività del mercato montenegrino hanno notevolmente ridotto le potenzialità

dell’investimento con un conseguente appesantimento per A2a.

Proprietà e forme di controllo

Al 31 dicembre 2010 il capitale sociale di A2a ammonta a 1.629 milioni di euro, suddiviso in

3.132.905.277 azioni dal valore nominale di 0,52 euro ciascuna. I Comuni di Brescia e Milano possiedono

ciascuno il 27,5% del capitale, Alpiq Holding AG il 5% e Carlo Tassara il 2,5%. Il restante 37,5% è sul

mercato azionario. Ogni azione dà diritto a un voto. Nessun investitore, al di fuori del Comune di Milano

e del Comune di Brescia, può possedere una quota azionaria superiore al 5% del capitale sociale: se tale

soglia dovesse essere superata, il diritto di voto associato alle azioni detenute in eccesso non può essere

esercitato.

A2a detiene 26.917.609 azioni proprie, pari allo 0,86% del capitale sociale. Al momento non vi è alcun

programma di riacquisto di azioni proprie. Gli investitori istituzionali detengono circa il 18,5% del

capitale sociale (19,5% nel 2009). Il 62,7% del flottante in mano a investitori istituzionali è detenuto da

investitori italiani, il 9,3% da investitori americani, il 7,0% da investitori tedeschi. Tra le altre nazioni

rilevanti si segnalano Francia (4,6%), Regno Unito (4,1%), Lussemburgo (2,3%) e Svizzera (2,2%

escludendo la quota di Alpiq AG).

Gli investitori retail sono circa 123.000 e detengono il 15,2% del capitale sociale, in aumento rispetto al

14,5% del 2009. Il 99,7% degli investitori retail è residente in Italia e in particolare il 56,5% in

Lombardia, la regione dove storicamente A2a ha una maggiore presenza sul territorio.

Quando nel 2008 i Comuni di Brescia e Milano, fondendo Aem, Amsa e Asm, hanno dato vita al

gruppo, il modello di governance duale è stato individuato come lo strumento più adatto a garantire una

gestione efficace e, contemporaneamente, a definire una più equa distribuzione dei ruoli tra i delegati dei

due Comuni partner. Il duale è un modello di derivazione tedesca introdotto nel nostro ordinamento con

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

100

produzione di energia elettrica con una potenza installata di 0,9 GW il 70% della quale è idroelettrica, il

core business storico delle generation company lombarde. L'azienda montenegrina gestisce anche una rete

distributiva di 19.000 km e vende l’energia a oltre 300.000 utenti finali.

In Montenegro abbiamo comprato, attraverso una gara, il 44% circa della corrispettiva Enel locale. Il

Montenegro è uno stato molto piccolo, paragonabile al Molise più o meno, che però ha un duplice vantaggio: è

baricentrico rispetto all’area balcanica, è interessato da un progetto per la costruzione di un cavo sottomarino

che dal Montenegro raggiunge l’Italia e consente di trasformare il Montenegro sostanzialmente in una regione

elettrica dell’Italia e che determina un ulteriore vantaggio perché le importazioni di energia verde dal

Montenegro rientreranno negli strumenti che l’Italia adotta per adempiere ai propri obblighi rispetto alla

Direttiva Europea.

L’opportunità di questo investimento è stata a lungo discussa sia dal punto di vista industriale che,

soprattutto da quello finanziario. L’acquisizione di Ecpg si è rivelata particolarmente onerosa per il

Gruppo lombardo contribuendo in misura rilevante ad accrescerne il livello di indebitamento, già

profondamente segnato dalla partecipazione in Edison. In parallelo, l’incerta ultimazione del cavo

sottomarino, e la scarsa redditività del mercato montenegrino hanno notevolmente ridotto le potenzialità

dell’investimento con un conseguente appesantimento per A2a.

Proprietà e forme di controllo

Al 31 dicembre 2010 il capitale sociale di A2a ammonta a 1.629 milioni di euro, suddiviso in

3.132.905.277 azioni dal valore nominale di 0,52 euro ciascuna. I Comuni di Brescia e Milano possiedono

ciascuno il 27,5% del capitale, Alpiq Holding AG il 5% e Carlo Tassara il 2,5%. Il restante 37,5% è sul

mercato azionario. Ogni azione dà diritto a un voto. Nessun investitore, al di fuori del Comune di Milano

e del Comune di Brescia, può possedere una quota azionaria superiore al 5% del capitale sociale: se tale

soglia dovesse essere superata, il diritto di voto associato alle azioni detenute in eccesso non può essere

esercitato.

A2a detiene 26.917.609 azioni proprie, pari allo 0,86% del capitale sociale. Al momento non vi è alcun

programma di riacquisto di azioni proprie. Gli investitori istituzionali detengono circa il 18,5% del

capitale sociale (19,5% nel 2009). Il 62,7% del flottante in mano a investitori istituzionali è detenuto da

investitori italiani, il 9,3% da investitori americani, il 7,0% da investitori tedeschi. Tra le altre nazioni

rilevanti si segnalano Francia (4,6%), Regno Unito (4,1%), Lussemburgo (2,3%) e Svizzera (2,2%

escludendo la quota di Alpiq AG).

Gli investitori retail sono circa 123.000 e detengono il 15,2% del capitale sociale, in aumento rispetto al

14,5% del 2009. Il 99,7% degli investitori retail è residente in Italia e in particolare il 56,5% in

Lombardia, la regione dove storicamente A2a ha una maggiore presenza sul territorio.

Quando nel 2008 i Comuni di Brescia e Milano, fondendo Aem, Amsa e Asm, hanno dato vita al

gruppo, il modello di governance duale è stato individuato come lo strumento più adatto a garantire una

gestione efficace e, contemporaneamente, a definire una più equa distribuzione dei ruoli tra i delegati dei

due Comuni partner. Il duale è un modello di derivazione tedesca introdotto nel nostro ordinamento con

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

101

la riforma del diritto societario del 2003. In estrema sintesi tale sistema prevede l’inserimento di un

ulteriore organo, il consiglio di sorveglianza, tra il consiglio di amministrazione e l’assemblea dei soci, in

altre parole è uno schermo posto tra la gestione e la proprietà. Il consiglio di sorveglianza, infatti, esercita

alcune delle competenze che tradizionalmente nel nostro ordinamento erano riservate all’assemblea dei

soci: ha il potere di decidere le strategie generali della società, di approvare o meno i piani di lungo

periodo predisposti dal management.

Tali principi trovano puntuale riscontro nello Statuto di A2a approvato nel 2008: i Comuni di Brescia e

Milano, finché detengono la maggioranza congiunta delle azioni, possono nominare ciascuno 6 consiglieri

a testa su 15 del consiglio di sorveglianza (quindi l’80% dei membri pur possedendo solo il 55% delle

azioni). Tale possibilità di fatto sussisteva – attraverso meccanismi differenti – anche nel caso in cui i due

Comuni fossero scesi sotto il 50% delle azioni, ma almeno in questo caso l’opzione fu abolita dallo Statuto

di A2a nel gennaio 2011, in seguito al recepimento della norma comunitaria nell’ordinamento nazionale

secondo il principio per cui si vota in base al numero di azioni possedute.

Nondimeno chi possiede 6 voti nel consiglio di sorveglianza può nominare 4 degli 8 membri del consiglio

di amministrazione. In questo modo tutti i manager, non la maggior parte, sono scelti dai due Comuni di

Brescia e Milano. I soci privati che, in base all’art. 9 tuttora vigente, non possono possedere più del 5% del

capitale del gruppo, in base al meccanismo di nomina appena descritto, non possono nominare un proprio

membro nel consiglio di gestione.

La grande novità insita nel modello duale, almeno in Italia, ha implicato la necessità di rivedere lo Statuto

di A2a già a gennaio 2009 con l’approvazione di un regolamento per definire nel dettaglio le modalità di

funzionamento e rapporto del consiglio di sorveglianza e di quello di gestione. Come riportato dal

quotidiano “Il Sole 24 Ore” in un articolo del 29/01/09 di Laura Galvagni:

34 articoli divisi in dieci capi che […] affrontano il tema delle competenze e del funzionamento del consiglio

(con relative norme su convocazione e organizzazione delle riunioni), il ruolo del presidente e del vice

presidente, i comitati, la costituzione della segreteria generale del consiglio di sorveglianza e infine il

coordinamento tra gestione e sorveglianza.

[…] Ha disciplinato anche l'istituzione di un comitato ad hoc, nel caso in cui si presenti la necessità, per

superare eventuali diatribe o dissensi. Più nel dettaglio, l'articolo 30 stabilisce che, ogniqualvolta sia

necessario, venga istituito «un comitato paritetico composto di quattro membri con la funzione di individuare

indirizzi volti a consentire ai consigli un'uniforme interpretazione delle rispettive competenze». Inoltre, al

Consiglio di Sorveglianza, come recita l'articolo 2, è permesso «elaborare e trasmettere i propri orientamenti al

consiglio di gestione in vista della definizione degli indirizzi generali programmatici e strategici della società e

del gruppo». Nel farlo il board può avvalersi «di una struttura di supporto denominata segreteria generale del

consiglio di sorveglianza (sgcs).

In sintesi questo regolamento ha dato al consiglio di sorveglianza gli strumenti per esercitare in modo più

efficace ed efficiente le proprie funzioni strategiche, con tempi accettabili sia dal consiglio di gestione sia

dal mercato azionario. Soprattutto, essendo tutti e due gli organi esattamente divisi a metà tra Brescia e

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

102

Milano, attraverso il comitato paritetico di 4 membri il regolamento del 2009 offre una via d’uscita per

superare eventuali momenti di impasse.

Aree geografiche di operatività

A livello territoriale l’attività di A2a si caratterizza per una forte presenza in ambito lombardo, una delle

regioni più popolose d’Italia, nonché una delle regione più ricche a livello europeo per Pil pro-capite dove,

direttamente o attraverso società partecipate esercita un controllo egemonico sulle trasformazioni in corso

nel diversi mercati. Inoltre, è l’unica delle imprese analizzate ad avere una presenza significativa nei

mercati internazionali: in Montenegro (produzione e distribuzione di energia), Francia (cogenerazione e

teleriscaldamento), Regno Unito (partnership di ricerca), Grecia e Spagna (sviluppo di impianti di

trattamento dei rifiuti).

Dati di bilancio e indici di performance principali (scomposizione del ROE, cenni di struttura finanziaria)30

A2a: Conto economico

2011 2010 2009 2008 Δ medio CAGR

Ricavi 6198,0 6041,0 5910,0 6094,0

2,60% 2,22% -3,02% 0,60% 0,57%

Costi operativi per materiale e servizi -4698,0 -4447,0 -4391,0 -4573,0

5,64% 1,28% -3,98% 0,98% 0,90%

Valore aggiunto 1500,0 1594,0 1519,0 1521,0

-5,90% 4,94% -0,13% -0,36% -0,46%

Ebitda 942,0 1040,0 1032,0 1068,0

-9,42% 0,78% -3,37% -4,01% -4,10%

Ebit 301,0 498,0 609,0 699,0

-39,56% -18,23% -12,88% -23,55% -24,49%

Gross profit 42,0 134,0 233,0 572,0

-68,66% -42,49% -59,27% -56,80% -58,13%

Net profit -420,0 308,0 80,0 316,0

-236,36% 285,00% -74,68% -8,68% -

Adj. Net profit -420,0 308,0 364,0 316,0

-236,36% -15,38% 15,19% -78,85% -

A2a: Stato patrimoniale

2011 2010 2009 2008 Δ medio CAGR

Net equity 2767,0 3501,0 3690,0 3874,0

-20,97% -5,12% -4,75% -10,28% -10,61%

Pfn -4021,0 -3893,0 -4644,0 -3484,0

3,29% -16,17% 33,30% 6,80% 4,89%

Capitale investito netto 7614,0 8738,0 9239,0 8206,0

-12,86% -5,42% 12,59% -1,90% -2,47%

Asset totali 10855,0 12361,0 12200,0 11147,0

30I dati 2007 sono relativi al bilancio consolidato di Torino.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

103

A2a: Struttura f inanziaria

2011 2010 2009 2008

Current ratio 1,22 1,21 1,18 1,07

Pfn/Equity 1,12 0,80 1,01 0,74

Pfn/(Equity+Pfn) 52,81% 44,55% 50,27% 42,46%

Costo medio passività finanziarie 0,00% 0,00% 0,00% 0,00%

Pfn/Ebitda 4,27 3,74 4,50 3,26

Pfn/Ebit 13,36 7,82 7,63 4,98

Ebit/Oneri finanziari 1,69 2,62 2,05 3,13

A2a: Scomposizione del ROE

2011 2010 2009 2008

a. Ebitda/Sales 15,20% 17,22% 17,46% 17,53%

b. Ebit/Ebitda 31,95% 47,88% 59,01% 65,45%

c. Ros (Ebit/Sales, a*b) 4,86% 8,24% 10,30% 11,47%

d. Rotazione del capitale (Sales/Tot assets) 57,10% 48,87% 48,44% 54,67%

e. Roa (Ebit/Total assets, c*d) 2,77% 4,03% 4,99% 6,27%

f. Gross profit/EBIT 13,95% 26,91% 38,26% 81,83%

g. Adj. Net profit/Gross profit -1000,00% 229,85% 156,22% 55,24%

h. Adj. Net profit/Total assets (e*f*g) -3,87% 2,49% 2,98% 2,83%

i. Leverage (Tot assets/Net equity) 3,92 3,53 3,31 2,88

j. Adj. Roe (h*i) -15,18% 8,80% 9,86% 8,16%

La scomposizione del ROE è abbastanza eloquente: nonostante il valore del 2010 sia buono in valore

assoluto e in linea con il risultato del 2008, possiamo osservare che i due dati hanno una genesi diversa.

Spicca immediatamente il valore di 229.85% alla lettera g. del 2010, sintomo di un utile originato

esclusivamente da sopravvenienze straordinarie (i.e. la plusvalenza della cessione del 5.16% del capitale

della società Alpiq Holding AG, le plusvalenze conseguenti alle cessioni della società Retrasm srl e di

Itradeplace spa, i proventi relativi al prestito obbligazionario verso la società Metroweb spa, nonché il

risultato dell’esercizio delle società Bas S.I.I. spa e Metroweb spa). Gli altri indicatori sono in calo (ROS,

rotazione del capitale, ROA), segno di un andamento operativo in peggioramento (minor capacità di

controllo dei costi, riduzione dei ricavi in rapporto alle attività). E’ necessario, comunque, tener conto che

il risultato del 2010 risente pesantemente delle svalutazioni dell’avviamento e di altri asset di Transalpina

di Energia (punto f in tabella). In conclusione, l’informazione più rilevante è costituita dall’andamento

calante del ROA, che pone degli interrogativi sulle performance operative della società.

Filiere di business e posizionamento nei vari settori

A2a opera in tutti i principali settori di servizio pubblico locale distinguendosi per la forte

caratterizzazione energetica (in particolare elettrica) del suo portafoglio di business. Il Gruppo gestisce

tutta la filiera elettrica: dalla generazione alla distribuzione, alla vendita (con la sola eccezione della

trasmissione) qualificandosi come la quarta società in Italia in termini di capacità installata. La classifica

italiana dei produttori di energia vede contribuire con il 3,8% alla quota di generazione nazionale, un

valore al di sopra del quale si posizionano solo gli ex monopolisti nazionali Enel ed Eni, due società in cui

la multiutility lombarda partecipa come azionista (Edison e Edipower) e il colosso tedesco E.On.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

104

A2a opera nella distribuzione di energia elettrica in forza di 48 concessioni, con una rete estesa per 12.577

chilometri e 1,1 milioni di clienti. Il Gruppo è anche la quarta più importante società in termini di vendite

nel mercato elettrico italiano (l'elettricità viene venduta nei mercati all'ingrosso e al dettaglio) e gestisce le

attività di trading sui mercati esteri, come Austria, Francia, Germania, Grecia, Slovenia e Svizzera. La

gestione delle reti di distribuzione dell’energia elettrica, del gas naturale, terza filiera per importanza, pesa

per circa il 10% dei ricavi totali con 705 milioni di euro. Del tutto marginale la presenza nel servizio idrico

integrato (10 milioni di euro nel 2010).

Nell’esercizio 2010 la produzione di energia elettrica del Gruppo è stata pari a 12.869 GWh, a cui si

aggiungono acquisti per 29.741 GWh. La disponibilità complessiva è quindi di 42.610 GWh (ricavi

2010: 4.702 milioni di euro).

In parallelo A2a si distingue come primo operatore nazionale per valore della produzione nel settore

Ambiente, i ricavi 2010 hanno raggiunto i 790 milioni di euro, in netta crescita rispetto al 2009.

Il Gruppo è presente lungo l'intera filiera ambientale, dove opera attraverso Ecodeco, Amsa, Aprica,

Ecofert, Montichiari Ambiente, Ecofert and Partenope Ambiente. Nel corso del 2010, A2a ha fatto

registrare il primato tra le local multiutility leader nazionali anche nella filiera ambientale (800 milioni di

euro, Hera invece precede il gruppo lombardo per quantità di rifiuti trattati e Ebitda) e nel district heating,

prima per calore venduto e ricavi e seconda per Ebitda, per cui leader nazionale è Iren. L’acquisto del

100% di Coriance nel 2008, quarto operatore francese del settore, con circa 20 impianti di generazione,

dimostra il ruolo strategico che A2a riconosce a questo business.

Nel corso del 2010 sono state raccolte 976 ktons di rifiuti, mentre ne sono stati smaltiti per 2.763 migliaia

di tonnellate. L’attività di cogenerazione da termovalorizzazione e da recupero biogas ha permesso di

produrre 1179 GWht di elettricità. Nel segmento della vendita di calore le società del gruppo hanno

prodotto ricavi pari a 367 milioni di euro attive (3.038 GWht totali venduti).

La forte caratterizzazione energetica porta il Gruppo A2a ad essere la più esposta, tra le leader multiutility

locali italiane, alle evoluzioni del mercato energetico, viste soprattutto le difficoltà del mercato italiano

dell'energia e le attese negative relative ai prossimi anni. La debolezza della domanda energetica e

l’istituzione della Robin Hood Tax rappresentano fattori che mettono e metteranno pressione sui margini

del gruppo. Allo stesso modo l’esposizione verso i business non regolati (che incide per oltre la metà

dell’Ebitda), tratto caratteristico del gruppo lombardo, è stato sicuramente uno dei fattori che ha decretato

la forte espansione del Gruppo, almeno fino al 2009; oggi al contrario rischia di incidere negativamente

sui risultati di A2a, più di quanto non accadrà alle altre multiutility analizzate.

Ebitda breakdown e andamento

Sotto il profilo economico, il margine operativo lordo è di circa 1.040 milioni di euro al 31.12 2011.

Come evidenziato dal grafico seguente, le filiere più importanti sono quelle dell’elettricità (359 milioni di

euro di MOL, pari al 34.4% dei 1.040 milioni registrati nel 2010), delle reti (298 milioni, 28%) e

dell’ambiente (262, milioni pari al 24%). La filiera gas (8%, 82 milioni) e il ramo Calore e servizi (7%, 70

milioni) contribuiscono in maniera significativamente inferiore.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

105

Il margine operativo lordo degli esercizi 2008 e 2009 sono stati influenzati positivamente dalla dinamica

crescente dei prezzi dell’energia elettrica e della maggiore idraulicità registrata nell’anno. Nel 2009, il gas

ha beneficiato dell’andamento climatico che ha contribuito alla crescita dei volumi venduti ai clienti finali.

Sul Calore hanno contribuito positivamente le neo-controllate Coriance (che fornisce servizi di

teleriscaldamento e raffrescamento in circa 20 Città nel centro della Francia) e Varese Risorse, nonché

l’aumento dei volumi venduti grazie ad un incremento delle utenze.

A2a: breakdown

A2a: Ebitda

2011 2010 2009 2008 2007

% del tot % del tot % del tot % del tot % del tot

Energia 336,0 35,90% 441,0 42,53% 532,0 51,55% 439,0 41,10% 326,0 60,04%

Δ % -23,81% -17,11% 21,18% 34,66%

- Energia elettrica 242,0 25,85% 359,0 34,62% 398,0 38,57% 371,0 34,74%

Δ % -32,59% -9,80% 7,28%

- Gas 94,0 10,04% 82,0 7,91% 134,0 12,98% 68,0 6,37%

Δ % 14,63% -38,81% 97,06%

Calore e servizi 85,0 9,08% 70,0 6,75% 76,0 7,36% 67,0 6,27% 10,0 1,84%

Δ % 21,43% -7,89% 13,43% 570,00%

Reti 259,0 27,03% 298,0 28,16% 227,0 22,00% 276,0 25,84% 166,0 30,57%

Δ % -13,09% 31,28% -17,75% 66,27%

- Energia elettrica 142,0 15,17% 175,0 16,88% 127,0 12,31% 170,0 15,92%

Δ % -18,86% 37,80% -25,29%

- Gas 104,0 11,11% 107,0 10,32% 83,0 8,04% 81,5 7,63%

Δ % -2,80% 28,92% 1,84%

- Acqua 7,0 0,75% 10,0 0,96% 17,0 1,65% 24,0 2,25%

Δ % -30,00% -41,18% -29,17%

Ambiente 287,0 262,0 25,27% 221,0 21,41% 320,0 29,96% 70,0 12,89%

Δ % 9,54% 18,55% -30,94% 357,14%

Altri servizi -25,0 -2,67% -28,0 -2,70% -24,0 -2,33% -34,0 -3,18% -29,0 -5,34%

Δ % -10,71% 16,67% -29,41% 17,24%

RETI 28%

AMBIENTE 24% CALORE E SERVIZI 7%

ENERGIA 41%

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Nel 2009, infine, il contributo positivo delle filiere Energia, è stato mitigato dalla flessione dei risultati in

quelle Reti e Ambiente, che hanno impattato in maniera negativa sui risultati complessivi, sia per quanto

riguarda i ricavi, sia a livello di Ebitda. In particolare, la filiera ambientale sconta la perdita dell’incentivo

CIP6 e gli effetti della manutenzione straordinaria del termovalorizzatore di Brescia. Il settore del Calore

è in espansione grazie alle maggiori quantità di calore vendute per l’irrigidimento del clima e al trend

positivo delle utenze.

Nel corso del 2010 la situazione si ribalta, la caduta di profittabilità nella filiera energetica viene

compensata dalla crescita del comparto Ambiente e dalle Reti, che hanno consentito di mantenere

pressoché invariati ricavi e Ebitda. Nel corso del 2010 la filiera Energia segna una contrazione

significativa della marginalità pari a 97 milioni di euro (-17%), 45 milioni di euro attribuibili al comparto

energia elettrica e 52 milioni di euro al comparto gas31. Questo risultato ha scontato le difficoltà di ripresa

del mercato nazionale, la cui domanda è ancora lontana dai livelli pre-crisi, ma ha tuttavia beneficiato dei

risultati prodotti da ECPG in Montenegro.

Il Calore registra un buon andamento dei ricavi legato alle condizioni climatiche, che però viene annullato

dalla contrazione di marginalità derivante dalla vendita di energia elettrica prodotta in cogenerazione,

nonché dalle dinamiche tariffarie. L’incremento del settore Reti è invece segnato dall’andamento della

distribuzione di energia elettrica (inclusione del settore reti del Gruppo EPCG nel perimetro della filiera)

e dalla maggior distribuzione nell’area di Brescia e Milano.

6.7 BP. Prospettive strategiche di sviluppo al 2015

Dai dati oggi a disposizione possiamo tracciare un profilo dell’evoluzione prossima delle local multiutility

leader. Un profilo, tuttavia, solo parziale perché superato nei fatti dagli eventi dei mesi passati legati al

riassetto di Edison e al rilancio dell’impegno di A2a, innanzitutto, e di Iren nel settore dell’upstream

energetico. Solo il business plan di Hera ha subito un aggiornamento recente; sia nel caso di Iren che in

quello di A2a è comprensibile il ritardo e la prudenza da parte dei due gruppi nel predisporre documenti

di scenario. È probabile si debba attendere ancora prima di conoscere le strategie predisposte dal

management, i target, e prima di tutto, le ipotesi di riconfigurazione dei rispettivi modelli di sviluppo.

Vale in ogni caso la pena di restituire l’immagine dei gruppi al 2014-2015, come testimoniato dai business

plan ufficiali perché da questi è possibile trarre alcuni spunti di riflessione sugli obiettivi perseguiti dai

diversi gruppi e rispetto ai quali il riassetto Edison ha agito da elemento di discontinuità e turbamento.

Gli elementi su cui è importante concentrare l’attenzione sono due:

• Una tendenziale ricerca di consolidamento territoriale, dopo anni segnati da processi di crescita per

via esterna; questa dinamica, dettata dalla necessità di mettere a frutto gli investimenti prodotti negli

anni recenti, è mirata al conseguimento di economie industriali e gestionali nonché alla volontà di

irrobustire la propria presenza a livello territoriale svolgendo un ruolo di leadership locale. Scelte

analoghe sono state effettuate anche dai principali player internazionali e seguono un trend che vede

31 Da segnalare che il 2009 aveva beneficiato di componenti di reddito non ricorrenti per circa 65 milioni di euro (4,5 milioni di euro

nel 2010) al netto delle quali la riduzione di marginalità si attesta a 36 milioni di euro.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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nella riduzione dell’esposizione debitoria e nella volontà di valorizzare le sinergie i primi obiettivi da

perseguire.

• In secondo luogo, la crescita degli investimenti nei business territoriali come: il servizio idrico

integrato e il settore di igiene ambientale. Questo risponde ad un altro trend riscontrabile nel mercato

europeo: la caduta di redditività del settore energy, che ha ridotto gli investimenti nella costruzione di

nuova capacità di generazione e spostato l’attenzione su nuove filiere di business. In questo quadro si

inserisce l’attenzione di Iren, Hera e A2a nei confronti della grande partita sulla distribuzione del gas

che si aprirà a partire dal prossimo anno.

In estrema sintesi è riscontrabile un processo di ulteriore consolidamento territoriale per Hera e una forte

attenzione alla valorizzazione del proprio posizionamento competitivo in area macroregionale e dall’altro

lato, due interessanti ipotesi di riposizionamento strategico: la prima, quella di Iren, incentrata

innanzitutto su un importante sviluppo del settore idrico; la seconda, A2a, diretta a consolidare il Gruppo

come player di riferimento nei servizi ambientali e nelle attività di cogenerazione e teleriscaldamento.

Il consolidamento territoriale del “modello Hera”

Hera è la multiutility italiana che vanta uno dei tassi di crescita più rapidi del mercato utility, e ha svolto

un ruolo proattivo nel processo di consolidamento delle utility locali in Italia. Il gruppo ha ottenuto un

tasso annuo di crescita dei ricavi (CAGR) pari a +25,3% negli ultimi 5 anni, pur a scapito dei margini

(CAGR Ebitda +15,3% e CAGR EBIT 11,5%, con un CAGR degli utili netti pari a +3% nel periodo)

(Banca Imi 2010).

Attraverso le aggregazioni Hera ha raggiunto una dimensione extraregionale valorizzando le economie di

scala sul lato degli approvvigionamenti e la possibilità di sostenere gli investimenti. La strategia

multibusiness ha inoltre perseguito l’attività di cross-selling che ha permesso di espandere velocemente il

mercato elettrico e quello dei rifiuti speciali beneficiando della vasta base di clienti già servita con i servizi

del gas. Facendo leva sulla fidelizzazione del cliente e il vasto patrimonio di conoscenza raccolto grazie

all’informatizzazione delle sue abitudini di consumo, Hera ha prodotto una strategia commerciale

aggressiva sul territorio, riuscendo a rosicchiare importanti spazi di mercato ad incumbent del calibro di

Enel o Eni ad esempio.

La strategia di crescita esterna ha spinto il gruppo ad uscire dai confini dell’Emilia Romagna, acquisendo

una partecipazione in Marche Multiservizi (Pesaro e Urbino) nonché a ricercare sul mercato un migliore

posizionamento nell’upstream energetico. In seconda battuta, Hera è entrata nel capitale della società

Galsi, costituita per la costruzione di un gasdotto Algeria-Italia, questa partecipazione è valsa al Gruppo

la firma di un accordo con Sonatrach per la fornitura di gas naturale.

Un’attenzione particolare va posta alla strategia esterna finalizzata a ridurre il gap di Hera nella

produzione di energia elettrica, rispetto ad altre realtà industriali del paese. Hera è oggi leader in Italia nel

recupero di energia elettrica dai rifiuti (waste-to-energy), grazie, come detto, allo sfruttamento dei suoi 7

impianti di termovalorizzazione (a Bologna, Ferrara, Forlì, Modena, Ravenna e Rimini), di cogenerazione

(Bologna, Ferrara, Forlì, Cesena, Imola e Modena), agli 11 impianti per la captazione di biogas da

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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discarica o depuratori, ai 4 turboespansori (Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna) e all’impianto idroelettrico

di Cavaticcio. In seconda battuta, il gruppo ha effettuato un importante investimento partecipando seppur

in quota ridotta (5,5%) al capitale di Tirreno Power (ex gen.co Enel) e promuovendo una serie di

investimenti in centrali elettriche in Campania (Sparanise e Teverola in provincia di Caserta). Tutte

queste iniziative portano a coprire un’importante quota della domanda di fornitura dei clienti con

produzione propria di energia elettrica che il Gruppo mira a portare fino al perfetto equilibrio nei

prossimi anni. In ultimo, nel 2006 Hera ha acquisito da Enel la rete di distribuzione elettrica in 18

Comuni della Provincia di Modena.

Uno sguardo al recente Piano Industriale ci aiuta a inquadrare le prossime tappe di sviluppo del Gruppo e

ad interpretare quali strategie il management ha inteso produrre in risposta alla citata evoluzione degli

scenari economici e regolativi. Il documento di Piano 2011-2015 sancisce innanzitutto l’ingresso di Hera

in una fase nuova della sua storia industriale. Le strategie attuate fino allo scorso anno erano dirette alla

crescita del Gruppo e al suo consolidamento su un’area territoriale di livello macro-regionale, la nuova fase

si apre all’interno di uno scenario economico profondamente depresso, in cui sia il titolo in Borsa, sia le

prospettive finanziare rischiano di limitare la possibilità di ricorrere all’indebitamento o all’avvio di

operazioni straordinarie di crescita per linee esterne, al pari di quanto avvenuto negli anni passati.

Questa nuova fase definita di razionalizzazione si fonda sulla necessità di difendere lo spazio occupato,

presidiando mercati captive con l’obiettivo di valorizzare il posizionamento territoriale. In altri termini si

apre una fase di sviluppo per linee interne diretta a moltiplicare le opportunità di costruire sinergie

operative, industriali e commerciali su un contesto territoriale definito. Gli elementi che vanno a

connotare lo scenario strategico dei prossimi anni e sui quali saranno parametrate le strategie sono:

• Uno scenario economico recessivo in cui possono tornare a manifestarsi i tassi di caduta dei consumi

energetici.

• L’overcapacity energetica che disincentiverà l’installazione di nuova potenza nella generazione.

• L’aumento della competizione nel settore della vendita al cliente finale e la necessità di fidelizzare la

clientela.

• L’avvio della stagione delle gare della distribuzione del gas che rappresenta uno dei business di

riferimento per il Gruppo Hera.

All’interno di questo scenario, Hera si propone come soggetto interessato a consolidare la propria

leadership territoriale limitando l’espansione territoriale alle opportunità che si verranno a creare sia

dall’evoluzione del contesto normativo, in caso di gare per i servizi regolati, sia dalla possibilità di costruire

joint venture con soggetti di livello nazionale e internazionale.

Ed è proprio questo secondo aspetto ad identificare una delle strategie più interessanti prodotta dal

gruppo romagnolo. La nascita di Herambiente, società cui Hera ha conferito tutti gli asset infrastrutturali

dello smaltimento rifiuti ha visto la partecipazione del fondo infrastrutturale Eiser come azionista di

minoranza (25%). L’accordo ha offerto a Hera risorse necessarie a finanziare il proprio piano di sviluppo

senza la necessità di aggregare un socio industriale. L’operazione, che per molti versi si avvicina alla

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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collaborazione tra Iren Acqua e Gas e F2i per la costituzione della Nuova Mediterranea delle Acque,

rappresenta una frontiera dello sviluppo strategico per Hera.

Le opportunità di sviluppo devono fare i conti con le capacità finanziarie della Società, il vincolo finanziario

si può superare solo e soltanto condividendo il capitale con soggetti terzi in grado di portare risorse

immediatamente di dotazione. Con Eiser lo abbiamo fatto per liberare risorse per altre iniziative, e per

avviare un primo step di collaborazione. Eiser può essere il soggetto con cui condividere un aumento di

capitale se ci sono operazioni importanti che singolarmente non potremmo avviare.

Il Piano industriale prevede un aumento da 607 a circa 800 milioni di euro al 2015, la maggior parte

derivanti dalla valorizzazione di sinergie interne e dall’entrata a pieno regime degli impianti su cui si è

investito fino ad oggi. Secondariamente è atteso un aumento di 29 milioni di euro dalla realizzazione di

nuovi impianti per il biogas e 60 da nuove operazioni di M&A (con tutta probabilità l’acquisizione della

quota restante di Aimag).

Noi lavoriamo circa 800.000 tonnellate di rifiuti organici, per farne energia. I passaggi sono sostanzialmente

due: il primo è quello di utilizzare tutto quello che si può per fare biogas, e poi, fare compost del residuo, del

digestato di qualità. L’obiettivo futuro è il bio-metano, più che la produzione elettrica dall’organico. Quindi,

ci saranno tre prodotti finali: calore e energia elettrica per la combustione delle parti solide residuali, digestato

di qualità e bio-metano o energia elettrica.

Hera: Business plan 2011-2015

EBITDA 2010 a 2011 2012 2013 2014 2015 CAGR

Ambiente 195,10 211,68 229,68 249,20 270,38 293,36 8,50%

Ciclo idrico 142,00 150,95 160,46 170,56 181,31 192,73 6,30%

Gas 193,90 199,14 204,51 210,03 215,70 221,53 2,70%

Elettricità 59,80 62,43 65,18 68,05 71,04 74,17 4,40%

Il piano strategico è in continuità con il passato, la spinta alla razionalizzazione rende prioritario un

processo di riconquista dell’equilibrio finanziario e di razionalizzazione del portafoglio di attività secondo

logiche di filiera. Per quanto concerne il settore delle Reti, Hera intende confermarsi nei territori già oggi

presidiati concorrendo contro gli altri operatori e provando ad estendere l’area di influenza. L’operazione

di acquisto dai Comuni del patrimonio infrastrutturale va inteso come una sorta di polizza assicurativa che

Hera ha stipulato per tutelarsi dall’eventualità che nuovi soggetti riescano a penetrare il territorio

emiliano-romagnolo.

Il contributo più forte alla crescita della società fino al 2015 continuerà a derivare dalla gestione dei rifiuti

e dalla termovalorizzazione, segmenti nei quali il gruppo vanta un forte posizionamento competitivo. In

parallelo è prevista una riduzione progressiva dell’incidenza della filiera gas, il business che ha storicamente

connotato i ricavi del gruppo e che dal 2006 è stato superato dal comparto elettrico. Il settore è da allora la

seconda componente sia dei ricavi sia dell’Ebitda.

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

110

Hera: Business plan 2011-2015

INVESTIMENTI 1.193,00

Ambiente 496,00 42%

Ciclo idrico 566,00 47%

Gas 95,00 8%

Elettricità 36,00 3%

La crescita registrata negli anni è legata all’aumento del numero di clienti finali e soprattutto

dall’estensione dell’area operativa della distribuzione; il tasso di crescita è tuttavia in rapida riduzione,

segnale di un possibile esaurimento della opportunità di espansione del bacino di utenza a causa di una

saturazione del mercato in cui Hera è presente. Questo elemento, sommato alla crescita del gruppo in

altre aree di business, appare il motivo per cui è prevista una riduzione progressiva dell’incidenza della

filiera gas sia a livello di ricavi che di Ebitda.

Lo scarto dimensionale dell’impresa ci penalizza sotto diversi profili: finanziario, tecnologico e commerciale e

ci espone ad una concorrenza asimmetrica nei confronti del principali competitori europei. La nostra è

un’azienda che ha nel modello multiutility l’asse portante, l’equity story che abbiamo cercato di raccontare e di

vendere è: “cresceremo più lentamente di altri ma cresceremo più stabilmente di altri”. Chi ha le centrali

termoelettriche esibiva, fino a due anni fa, conti che oggi non riesce più ad esibire, noi andiamo avanti in

maniera costante con il nostro 6% (ndr. indice di return on equity capital, Roe). Questo attualmente è il

modello che fino a qui ha funzionato. Funzionerà ancora in futuro? È ovvio che dipenderà da molte cose.

Iren e A2a. Le ipotesi di riposizionamento e il nodo Edipower

In attesa di conoscere il nuovo Piano Industriale che ha il compito di recepire gli elementi di forte

discontinuità rispetto alla situazione del 2010 - il referendum sul servizio idrico, innanzitutto, la rinnovata

partecipazione in Edipower e, come detto, il contesto di contrazione della redditività delle filiere Energy-,

è interessante andare a leggere le linee di sviluppo ipotizzate dal Piano 2011-2015 presentato il 13

dicembre 2010.

Il Gruppo comunica l’intenzione di crescere nei mercati regolati raggiungendo una proporzione di 2/3 -

1/3 rispetto alle attività a libero mercato (oggi il rapporto è 60/40). In particolare, Iren comunica un

obiettivo ambizioso: la crescita del 10% medio all’anno dell’Ebitda con target a quota 1 miliardo di euro al

2015.

In base allo scenario prospettato, si assisterà ad un mutamento profondo nella caratterizzazione industriale

di Iren entro 4 anni: il management ha ipotizzato un CAGR superiore al 20% nel servizio idrico integrato

che dovrebbe portare il settore ad occupare il primo posto per contributo all’Ebitda tra tutti i business nel

Gruppo (30%). L’idrico (business particolarmente capital intensive con ritorni economici di medio-lungo

periodo) assorbirà oltre il 43% di tutti gli investimenti prospettati (1063 milioni di euro su 2439 totali).

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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Iren: Business plan 2010-2015

EBITDA 2009 a 2010 2011 2012 2013 2014 2015 % del tot CAGR

Generazione 166,00 175,46 185,46 196,03 207,21 219,02 231,50 24,3% 5,70%

Mercato 43,00 46,27 49,78 53,57 57,64 62,02 66,73 7,0% 7,60%

Servizio idrico 105,00 125,27 149,44 178,28 212,69 253,74 302,71 31,7% 19,30%

Reti 195,00 201,83 208,89 216,20 223,77 231,60 239,70 25,1% 3,50%

Ambiente 37,00 44,62 53,81 64,90 78,27 94,39 113,84 11,9% 20,60%

Il primo tassello della strategia di potenziamento del business idrico è rappresentato dall’operazione F2i-

Mediterranea delle Acque (Iren Acqua e Gas). Il Gruppo Iren ha dato continuità al processo di

riorganizzazione delle attività nel settore idrico, precedentemente avviato da Iride, stringendo un accordo

con F2i, fondo di investimento infrastrutturale (partecipato dalla Cassa Depositi e Prestiti) per rilevare il

capitale della controllata Mediterranea delle Acque. L’operazione ha previsto l’uscita di un partner

industriale, Veolia, e l’ingresso di un partner finanziario, allo scopo di realizzare gli investimenti previsti

dal Piano d’Ambito dell’Ato Genovese, e soprattutto proporsi come forte concorrente alle future gare per

la gestione di servizi in altri ambiti territoriali. La strategia adottata per la Nuova Mediterranea delle

Acque costituisce, verosimilmente, una direttrice di sviluppo lungo la quale si andranno a concretizzare i

prossimi processi di sviluppo del settore.

Iren si pone l’obiettivo di consolidare la propria presenza nel territorio di riferimento tramite il rinnovo delle

concessioni in scadenza. In particolare, in Liguria, guardiamo con attenzione a una possibile integrazione

della nostra presenza alle province di Imperia e Savona, bacini limitrofi a territori già serviti dal Gruppo.

Gli investimenti strategici completati nel corso dell’anno (Centrale di Torino Nord e rete di

teleriscaldamento) o in fase di completamento nel 2012 (Termovalorizzatore di Parma e, probabilmente il

rigassificatore a largo di Livorno Olt) offriranno, nelle previsioni, una spinta in particolare nel settore

delle reti energetiche, che dovrebbero superare per Ebitda la generazione e posizionarsi al secondo posto

per capacità di produrre redditività. Va da sé che le ipotesi espresse dal Gruppo debbano oggi confrontarsi

con uno scenario economico e soprattutto normativo, profondamente differente.

Iren: Investimenti 2010-2015

2010-2015 % del tot

Totale 2.439

Generazione 256 10,50%

Mercato 57 2,34%

Servizio idrico 1.063 43,58%

Reti 601 24,64%

Ambiente 394 16,15%

Altro 68 2,79%

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

112

L’esito della tornata referendaria ha espressamente rigettato le imposizioni del 23 bis e del Codice

Ambientale sia per quanto attiene la formulazione delle gare e la cessazione degli affidamenti sia

soprattutto per quanto riguarda i parametri di remunerazione del business idrico. L’assoluta

indeterminatezza normativa e la necessità di una nuova legislazione sui servizi pubblici rendono le

prospettive di investimento sempre più indeterminate e spingeranno con tutta probabilità il Gruppo a

rivedere presto le proprie linee di sviluppo.

In parallelo, l’alto livello di indebitamento raggiunto da Enia con l’operazione Delmi, sommato alla

posizione debitoria assai rilevante di Iride (investimenti in Olt e nella generazione), vede il rapporto tra

posizione finanziaria netta ed Ebitda del Gruppo nel 2010 prossima alla soglia di allarme di 4 (al

31.12.2010 il dato per Iren presenta un indice di 3,89, in crescita). Questa condizione pesa come vincolo

strategico e può condizionare le scelte di breve e medio periodo del Gruppo.

La fase dei grandi investimenti del gruppo è pressoché completata e per il 2012 prevediamo una riduzione dei

fabbisogni finanziari accanto ad un incremento dei flussi di cassa.

In ultimo le previsioni per i settori energetici continuano ad essere negative, sia a causa della congiuntura

economica sfavorevole che potrebbe ampliare il divario fra l’aumentata capacità di generazione di energia

elettrica e domanda di mercato (come nel 2009 e parte del 2010) sia per l’introduzione della Robin Hood

tax che inciderà pesantemente sugli utili di impresa. Il debito e i suoi costi iniziano a preoccupare poiché

ciò che era compatibile prima del rischio recessione e della crisi del debito sovrano è diventato ora

elemento di rischio. Questo anche perché i tassi d’interesse hanno evidenziato una crescita notevole negli

ultimi mesi e ciò non può lasciare indifferenti in vista del rifinanziamento di tranche di debito, che nel

terzo trimestre 2011 ha toccato i massimi storici. Per quanto riguarda A2a, a fronte di una sostanziale

stabilità nelle caratteristiche di business mix del Gruppo, è a livello prospettico che dobbiamo interpretare

le linee di trasformazione.

Il Piano industriale è incentrato sul potenziamento delle attività del Gruppo nella filiera ambientale e nei

settori del teleriscaldamento e della cogenerazione. A tale decisione corrisponde la riduzione degli

investimenti nel comparto termoelettrico previsti nel piano precedente. È evidente che il management

abbia inteso lavorare su una prospettiva di maggiore territorializzazione del business, valorizzando

competenze presenti in azienda, dopo anni in cui il profilo di business si era contraddistinto per una

crescita da generation company. Il mix di business rimarrà comunque imperniato sul segmento energetico e

secondariamente sull’ambiente, ma è chiara l’intenzione di perseguire una maggior diversificazione

puntando sui business regolati, a fronte dei noti problemi di overcapacity elettrica e dei margini del settore

generativo in contrazione.

Si nota subito come le previsioni del Piano abbiano riscontrato esiti profondamente differenti già

nell’esercizio 2010. Il settore energia fa registrare, come detto, un Ebitda a 441 milioni di euro, contro i

552 da previsti, disavanzo colmato in parte da una crescita del settore Reti che nel 2010 raggiunge il target

individuato al 2014 (298 milioni di euro, contro gli ipotizzati 238). Il Gruppo prevede di raggiungere al

2014 un Ebitda di 1,46 miliardi (CAGR target 7.5%), in aumento di circa 400 milioni di euro garantiti da

un sostanziale raddoppio della redditività della filiera ambientale (da 220 del 2009 a 410 nel 2014, con un

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

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CAGR del 13%), e del gas (da 82 a 131 milioni di euro, CAGR a 9,76%) nel calore (da 76 a 116 milioni

di euro, CAGR al 9%); i tassi di crescita annua previsti dal piano industriale indicano chiaramente il

processo di riposizionamento in atto verso la filiera ambientale e del teleriscaldamento, finalizzato ad una

rimodulazione più equilibrata del business mix.

A2a: Business plan 2010-2014

EBITDA 2009 a 2010 2011 2012 2013 2014 CAGR

Reti 227,00 238,76 251,13 264,13 277,82 292,21 5,18%

Reti (actual) 298,00

Calore 76,00 82,83 90,28 98,40 107,24 116,88 8,99%

Calore (actual) 70,00

Ambiente 221,00 249,97 282,74 319,81 361,74 409,16 13,11%

Ambiente (actual) 262,20

Energia 532,00 552,54 573,86 596,01 619,02 642,91 3,86%

Energia (actual) 441,00

Per loro stessa natura le multiutility operano a cavallo di filiere che, talvolta, non hanno evidenti logiche

tecnico-industriali per essere gestite dallo stesso soggetto; tuttavia, il valore aggiunto che può scaturire

dall’amministrazione congiunta di settori eterogenei è la possibilità di valorizzare appieno il cliente sul

territorio e di diversificare il rischio. Pertanto, le local utility storicamente più concentrate sul lato

generativo e che nel periodo di maggior redditività guardavano alle altre filiere in maniera marginale, oggi,

momento critico per il comparto elettrico, sono ritornate a puntare fortemente sugli altri settori, in vista di

una maggior redistribuzione dei rischi di mercato e congiunturali.

A2a con il business plan 2010-2014, punta fortemente sulla filiera ambientale che passa dal costituire il

21% del’Ebitda ad un 28% nel 2014 e su quella del calore che dal 7% passerà all’8%; al contrario, il settore

elettrico che oggi vale il 50% del margine operativo lordo, nel 2014 contribuirà “solo” per il 44%.

Gli investimenti previsti sono quantificati in 2,6 miliardi di euro (in contrazione di 200 milioni rispetto al

precedente Piano) e sono suddivisi nelle Reti (30%), nella filiera Ambiente (26%), nella valorizzazione

della società montenegrina (16%) da cui è previsto un beneficio dal 2010 superiore ai 70 milioni di euro.

A2a: Investimenti - Business plan

2008-2012 % del tot 2009-2013 % del tot 2010-2014 % del tot

Investimenti 2.500,0 2.800,0 2.600,0

Development 1.300,0 52% 1.800,0 64% 1.872,0 72%

Reti 312,0 24% 396,0 22% 561,0 30%

Calore 429,0 33% 414,0 23% 318,2 17%

Ambiente 312,0 24% 558,0 31% 486,7 26%

Energia 234,0 18% 396,0 22% 112,3 6%

Altro 13,0 1% 36,0 2% 93,6 5%

Epcg 299,5 16%

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Le prospettive di redditività del primo business del Gruppo e lo scenario stagnante dell’economia sono

campanelli d’allarme che non possono essere trascurati. Inoltre, tratteggiare possibili scenari futuri per la

principale multiutility nazionale è reso più complesso dall’impasse sul controllo delle società Edison ed

Edipower. Gli esiti della contrattazione con Edf nello scenario peggiore per A2a potrebbero portare

all’iscrizione a bilancio di enormi minusvalenze con il rischio, assolutamente reale, di dover ristrutturare il

gruppo cedendo asset all’esterno. L’ipotesi avanzata di costituire una piccola Edipower con Iren,

trasformando gli stake in asset era parsa come una promettente via d’uscita che tuttavia oggi non è altro

che una delle opzioni sul tavolo.

Per capire le direzioni che prenderà A2a sarà necessario attendere l’esito di questa vicenda e la

presentazione di un nuovo Piano Industriale, vale comunque la pena di anticipare una delle domande che

saranno poi oggetto di maggior argomentazione nelle conclusioni di questo lavoro: l’esperienza di Aem

prima e di A2a a seguire, nelle vicende della grande utiliy energetica Edison, possono essere prese a

riferimento per discutere quale sia la scala dimensionale e competitiva in cui oggi le local multiutility

leader nazionali possono aspirare a competere.

Le due multiutility con la maggiore esposizione nel business elettrico hanno dunque proposto strategie di

diversificazione più spinte. In linea generale possiamo affermare che buona parte degli investimenti

previsti sia per quanto riguarda Iren che A2a rappresentano la prosecuzione di investimenti avviati di

recente e che dovrebbero vedere la luce nel periodo di tempo preso in considerazione dai Piani industriali.

Questo significa che l’evoluzione è in atto ormai da qualche tempo e che l’ipotesi di consolidamento

territoriale di tre leader macroregionali è, quantomeno nei piani che abbiamo potuto studiare, una realtà.

In questo quadro si inserisce, come ribadito, il riassetto Edison e la trattativa dei soci italiani per il

controllo e la gestione delle centrali Edipower. È ragionevole domandarsi quanto questa operazione è

destinata ad incidere sulle traiettorie di sviluppo che le imprese hanno approntato e quanto potrà influire

sulla struttura tripolare delle multiutility leader del nord.

Per capire quale evoluzione potranno avere le multiutility leader del nord occorre allargare lo sguardo al

contesto economico e alla contingente situazione dei mercati di servizio pubblico locale.

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7. SCENARI E PROSPETTIVE PER LE GRANDI MULTIUTILITY LOCALI ITALIANE

Il rapporto tra imprese e sistemi territoriali è un elemento centrale nel settore delle ex-municipalizzate. Il

business dei servizi pubblici locali si fonda su attività che impongono un radicamento in ambito locale, ed

è a livello locale che le imprese hanno costruito e costruiscono le maggiori economie di scala, le sinergie e

l’efficienza industriale. Il radicamento territoriale dei business in cui operano le utility rimane importante

nonostante il forte peso della filiera elettrica, che include la generazione e la vendita di energia, cioè

attività liberalizzate e di dimensioni nazionali. Si può inoltre aggiungere che il legame con il territorio

resta un elemento qualificante per questo genere di imprese, nonostante il processo di privatizzazione e

parziale liberalizzazione abbia in parte avviato una revisione del rapporto localistico tra azienda municipali

e spazio locale. Inoltre nel Nord, come sottolineato in precedenza, è avvenuta una polarizzazione in aree

territoriali di livello macroregionale, nelle quali si è progressivamente estesa la presenza di grandi gruppi

industriali. Si tratta di un processo avvenuto in fasi successive e con notevole accelerazione lungo il primo

decennio del duemila, attraverso aggregazioni tra imprese di dimensioni minori, apertura del capitale a

soci privati e quotazione in Borsa.

Anche questi processi di fusione/incorporazione hanno segnato una parziale discontinuità nei rapporti

storici tra azienda municipale e comune o territorio: la crescita dimensionale ha imposto la

“managerializzazione” delle imprese e l’allargamento della base azionaria ha richiesto la formulazione di

nuove configurazioni di corporate governance. Tuttavia, i processi di aggregazione regionale non si

possono ancora considerare conclusi e il Nord-Ovest è un esempio emblematico della presenza di ampi

spazi di aggregazione a livello macroregionale. Basti pensare che nell’area metropolitana torinese il

servizio di igiene ambientale e il servizio idrico sono oggi forniti da imprese pubbliche (controllate dal

Comune di Torino) diverse dal Gruppo Iren.

Sempre in ambito piemontese si ravvisano oltre 20 gestioni del servizio idrico integrato, più del doppio

nell’igiene ambientale, nonché operatori di taglia intermedia come ad esempio Egea. Allo stesso modo si

ravvisano spazi di ulteriore concentrazione di mercati regionali sia in Lombardia, dove opera un’impresa

di taglia intermedia come Lgh Holding, sia soprattutto nel Triveneto delle medie multiutility a carattere

provinciale (eccezion fatta per il bridging territoriale di Acegas-Aps). Nel Nord Est l’assenza di una leader

capace di dar vita ad un terzo polo multiutility potrebbe, in prospettiva, offrire l’occasione per ulteriori

processi di espansione dei maggiori gruppi del Nord.

È ragionevole domandarsi se l’attuale configurazione industriale-territoriale di A2A, Hera e Iren sia il

punto di arrivo del lungo processo di sviluppo delle ex-municipalizzate o se vi siano le premesse per un

importante riassetto organizzativo/strategico degli operatori nazionali.

Le recenti operazioni Edison-Edipower rappresentano un punto di svolta per la riconfigurazione del

mercato multiutility in Italia. L’uscita dei soci italiani dal capitale di Edison può costituire l’occasione per

il rilancio di un percorso di crescita alternativo, focalizzato sulla costituzione del secondo operatore

elettrico nazionale, approdo naturale e necessario del processo di concentrazione degli operatori locali

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RAPPORTO DI RICERCA / A2a, Hera, Iren.

116

avviato negli anni Novanta. Ma cosa potrebbe significare unire Gruppi tanto diversi tra loro? L’analisi

mostra le profonde eterogeneità negli assetti di business e la mappa operativa delle imprese indica con

chiarezza la segregazione territoriale delle attività tra Gruppo e Gruppo. Nel valutare la realizzabilità e

l’importanza strategica dell’operazione, sembra opportuno approfondire alcuni aspetti che emergono dalla

ricerca da prendere in considerazione nel momento in cui si intraprende un processo di così vasta portata.

7.1 Unione europea: contrazione del mercato elettrico e consolidamento degli operatori

Scorrendo l’elenco delle operazioni più importanti di M&A avvenute in Italia ed in Europa negli ultimi

anni, si palesa una chiara cesura avvenuta nell’ultimo triennio.

Verso la metà del decennio scorso, le utility europee si sono impegnate in una fase caratterizzata da

“mega-fusioni”, acquisizioni e accordi tra soggetti di rilievo internazionale, dirette alla crescita

dimensionale e allo sviluppo integrato dei business. Con l’arrivo della recessione si osserva per contro una

tendenza alla focalizzazione strategica sul “core business” da parte dei top player continentali, con l’uscita

da mercati e da segmenti produttivi considerati no-core e il presidio degli spazi occupati negli anni

precedenti per valorizzare le economie inseguite con le fusioni (Gilardoni et al, 2010).

Il riferimento va innanzitutto agli operatori delle filiere energetiche e in particolare agli incumbent

nazionali come E.ON, Edf, Gdf, Enel ed Eni, che negli anni passati hanno intrapreso con decisione la via

internazionale, beneficiando di una domanda energetica in costante crescita, dell’apertura di molti mercati

nazionali a seguito dei processi di liberalizzazione e del superamento delle barriere transnazionali grazie

allo sviluppo tecnologico.

In altri termini, se si esamina il processo di crescita dei principali operatori europei e la concentrazione del

mercato continentale dagli anni Novanta in poi, si possono individuare due fasi temporali ben distinte.

Nel corso della prima metà del duemila le strategie multiutility hanno spinto le leading european utility

alla diversificazione dei settori di business attraverso l’investimento in nuove filiere ritenute promettenti,

quali servizio idrico, servizio ambientale e telecomunicazioni. In seguito, con una forte accelerazione a

partire dalla crisi del 2008, la maggior parte delle imprese ha abbandonato questa strada, concentrandosi

sui settori “core”.

Un cambiamento determinato delle difficoltà di produrre sinergie, ma soprattutto dai rilevanti

investimenti richiesti per essere competitivi in tutti i settori di business. Si è assistito, di conseguenza, ad

un processo di exit da alcuni mercati o segmenti di business per ridurre la forte esposizione finanziaria

contratta negli anni precedenti. Il superamento del modello multiutility avvenuto a partire dalla metà del

decennio scorso, ha aperto la fase dei “mega-merger” e della concentrazione dei big player internazionali.

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Maggiori operazioni di M&A 1998-2009

ANNO OPERAZIONE VALUE (mln €)

2007 ENEL + ACCIONA/ENDESA 43,4

2000 VEBA/VIAG (E.ON) 38,0

2008 GDF/SUEZ 29,2

2002 NATIONAL GRID/LATTICE 19,2

2007 IBERDROLA/SCOTTISH POWER 18,3

2009 GAS NATURAL/UNION FENOSA 16,7

2001 E.ON/POWERGEN 15,3

2008 EDF/BRITISH ENERGY 13,5

2008 E.ON/ENDESA E ENEL ASSET 11,8

2003 E.ON/RUHRGAS 11,2

2003 SUEZ/ELECTRABEL 11,2

2005 EDF+AEM MILANO/EDISON 11,0

2009 VATTENFALL/NUON 10,3

2002 RWE/INNOGY 8,5

1999 SUEZ/TRACTEBEL 7,5

2009 RWE/ESSENT 7,3

I settori energetici sono stati caratterizzati dall’interesse a mettere in atto processi di integrazione verticale

finalizzati ad acquisire posizioni di vantaggio competitivo nell’approvvigionamento energetico (gas,

petrolio, carbone, etc.). Contemporaneamente, grandi operazioni di M&A rispondevano all’obiettivo di

cercare importanti economie di scala, specialmente nella generazione elettrica e di entrare su nuovi

mercati. Evidenti in questo senso le operazioni di respiro transnazionale che hanno determinato la

significativa riduzione dei grandi operatori europei e segnato una certa distanza tra i leader europei e le

imprese a carattere regionale o nazionale.

I protagonisti della fase che si chiude con la crisi sistemica di fine decennio sono gruppi che partivano da

posizioni di leadership nei mercati domestici di elezione e che già a partire dagli anni Novanta puntavano

a ricoprire un ruolo da leader continentali.

I maggiori gruppi cresciuti durante gli anni Novanta e nel decennio scorso, come Edf, E.On, Enel, RWE,

Vattenfall, Gdf Suez, Iberdrola, rappresentano oggi circa il 55% della produzione di elettricità nella UE.

Le “leading european utility” hanno condiviso un percorso di crescita finalizzato a raggiungere grandi

dimensioni competitive e ad occupare spazi territoriali e di mercato sempre più rilevanti, anche se la

composizione dei rispettivi business mix disegna percorsi di espansione dimensionale parzialmente

differenti.

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Valore della produzione 2011 (mld €)

La recessione del 2008 ha portato in primo piano l’andamento fortemente ciclico dei business energetici

che in passato si riteneva meno pronunciato; ha reso pesante il costo dei finanziamenti a seguito

dell’ingente accumulo di debito degli anni precedenti; ha spinto le leading european utility a intraprendere

strategie di consolidamento territoriale e di razionalizzazione produttiva.

In Europa si osserva l’abbandono progressivo delle attività multi-business, contrariamente a quanto fatto

dalle multiutility in Italia dove la diversificazione è apparsa negli ultimi anni una strada possibile per

stabilizzare i conti economici delle imprese.

Tendenza comune di molte grandi utility europee è stata l’uscita o la riduzione di peso del business

regolato delle reti all’interno del profilo imprenditoriale dell’impresa. Il business dei servizi a rete

(distribuzione, trasporto, così come il servizio idrico) richiede elevati investimenti, compensati da flussi di

cassa certi anche se inferiori rispetto a quelli ottenibili in altre aree di business. Per questa ragione le

maggiori utility internazionali hanno ceduto tali asset a fondi di investimento, disposti ad entrare in

business con un basso rischio e con un orizzonte temporale di medio-lungo periodo. La presenza di fondi

internazionali di investimento in questo mercato rappresenta, già da alcuni anni, un tratto comune in

Europa.

Di fatto la dismissione di asset ritenuti non strategici rispetto alla riconfigurazione delle leading european

utility ha offerto ampi spazi di crescita ai fondi. Ad esempio: Macquarie ha rilevato la rete di distribuzione

elettrica di Edf in Inghilterra, Goldman Sachs ha creato due fondi con cui ha acquisito la rete gas di

Endesa (Gruppo Enel) in Spagna e la Caisse des Depots francese, attraverso il fondo CDC Infrastructure,

è entrata con una quota del 25% in GRTgaz (una filiale di GDF Suez).

In Italia è cresciuto il peso del fondo F2i, partecipato dalle principali Fondazioni Bancarie e dalla Cassa

Depositi e Prestiti, che ha rapidamente occupato un ruolo di leadership nella distribuzione del gas,

acquisendo le attività di Enel, E.ON (E.ON Rete-Thuega Italia) e Gdf Suez, posizionandosi così al

secondo posto sul mercato nazionale. Allo stesso modo nei mercati non-energy (eccezione fatta per Gdf

Suez), le maggiori imprese mantengono una presenza contenuta nelle filiere energetiche.

In conclusione se si guarda ai maggiori operatori internazionali, i modelli multiutility sembrano

rappresentare, nell’attuale fase congiunturale e di mercato, un’opzione strategica meno efficace di quanto

113,0

90,7

79,5

65,3 57,2

31,6 27,4

20,4

0

20

40

60

80

100

120

E.On GDF-Suez Enel Edf Rwe Iberdrola Centrica Vattenfall

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non lo sia per i player di dimensione inferiore che, come visto in Italia, hanno perseguito con forza una

strategia di diversificazione.

7.2 Prospettive

Quale modello strategico seguono le multiutility internazionali caratterizzate da una significativa presenza

di azionariato pubblico? Quale può essere il benchmark per lo sviluppo futuro delle multiutility italiane?

A queste domande gli analisti sono soliti proporre, come riferimento, due modelli d’impresa, entrambi

tedeschi: la multinazionale RWE AG (Rhenish-Westphalian Electric power company) e il gruppo EnBw

AG (Energie Baden-Württemberg). Nessuno sembra tuttavia soddisfare pienamente le esigenze di

confronto con le local multiutility italiane.

Il Gruppo RWE, con soci pubblici che raggiungono una quota prossima al 50%, ha seguito il trend

comune alle leading european utility: la focalizzazione strategica sui settori energetici e vendita degli asset

del servizio idrico (è del 2006 la cessione della Thames Water alla banca di investimenti australiana

Macquaire) e della filiera ambientale (in favore del gruppo privato Rethmann). Negli ultimi anni il

Gruppo è anche meno presente nelle attività di distribuzione e trasporto di energia, riproponendosi come

uno dei maggiori player internazionali nell’upstream energetico e nel mercato del trading e supply, con un

importante ruolo nel settore delle fonti rinnovabili.

Diversa la storia di EnBW, che ha visto crescere tra il 1999 e il 2006 la partecipazione del colosso francese

Edf (fino a un massimo del 45%), mentre la restante quota di proprietà pubblica era costituita da un

consorzio di enti locali e di comunità del sud del Baden-Wuerttemberg (OEW). Ma nel 2011, anche a

seguito della strategia tedesca di uscita dal nucleare, lo stato del Baden-Wuerttemberg ha riacquistato da

Edf il 45,01% delle azioni, riportando l’azienda quasi interamente sotto l’ombrello pubblico, con

l’obiettivo di mettere sul mercato nei prossimi anni una quota non ancora definita.

EnBW non è un’impresa quotata e ha ridimensionato notevolmente la strategia di crescita al di fuori della

Germania. È notizia recente la vendita, proprio a Edf, delle partecipazioni in gruppi energetici in Polonia

e la volontà dichiarata di consolidare lo sviluppo in ambito locale, sostenendo in particolare

l’ammodernamento degli impianti di generazione e promuovendo investimenti nelle energie rinnovabili.

A differenza di RWE, il Gruppo EnBW ha consolidato il proprio ruolo in ambito locale, mantenendo un

forte presidio delle attività di distribuzione e operando nella filiera ambientale.

I caratteri messi in evidenza dalle maggiori multiutility nazionali sembrano tratteggiare un “modello

italiano” dello sviluppo delle multiutility. Nonostante i diversi portafogli di business di A2a, Hera e Iren, i

tre Gruppi osservati sono leader di mercati macroregionali. Va inoltre ricordato come in Italia i business

regolati restino centrali nel modello di sviluppo delle multiutility, non a caso la stagione delle gare che si

aprirà il prossimo anno mostrerà delle local multiutility leader nazionali interessate a confermare il proprio

ruolo nel settore, o estenderlo dove possibile in aree economico/territoriali prossime, con il contributo di

fondi di investimento.

Le scelte strategiche di crescita esterna degli ultimi dieci anni avvicinano molto di più le multiutility

nazionali al profilo delle regional multiutility presenti in alcuni paesi dell’Europa centrale come Germania,

Svizzera e Olanda; un profilo che sembra privilegiare il consolidamento in ambito sub-nazionale e che

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vede solo occasionali proiezioni all’estero, in particolare nella generazione elettrica o nella vendita di

sistemi integrati per lo sfruttamento energetico dei rifiuti, la cogenerazione, il teleriscaldamento.

In Europa le regional multiutility hanno assunto i caratteri di imprese di sistema locale. Con l’eccezione

dei Gruppi francesi Gdf Suez e Veolia (cresciuti come multiutility internazionali sin dagli anni Ottanta

rispettivamente da Lyonnais des Eaux e General des Eaux), la storia recente dei mercati internazionali ha

derubricato l’approccio multiutility a modello per le imprese locali e regionali. In particolare, proprio dal

superamento della strategia multiutility (che ha caratterizzato, come detto, tutti i Gruppi fino alla metà

del decennio scorso) ha preso avvio la stagione del consolidamento dei maggiori operatori continentali.

Attualmente la trattativa per l’uscita dei soci italiani dal capitale di Edison si pone come elemento nuovo,

rispetto a un quadro strategico di consolidamento macroregionale delineatosi fin dal 2006 con la nascita di

Iride prima e a A2a dopo. Poiché gli ultimi sviluppi sembrano porre Edipower al centro del riassetto delle

imprese del Nord, è necessario valutare le conseguenze che potrebbero riflettersi sugli assetti industriali,

finanziari e territoriali delle imprese pubbliche locali.

Il controllo di Edipower da parte di A2a e Iren si affianca infatti al processo di crescita sui settori regolati,

intrapreso negli ultimi anni. Inoltre, l’operazione si realizza in un periodo di mercato critico per il settore

della generazione: secondo le più recenti previsioni, il recupero dei consumi su livelli pre-crisi potrebbe

concretizzarsi non prima del 2015 (i più pessimisti ritengono che i livelli del 2008 non saranno raggiunti

mai più).

Il dibattito individua una possibile opzione nella creazione di una generation company pura in cui

conferire, innanzitutto, gli asset di Edipower, Iren e A2a. Il nuovo soggetto raggiungerebbe 13 Gigawatt

di potenza installata, qualificandosi come secondo operatore elettrico nazionale, alle spalle di Enel. Una

prospettiva di questo tipo aprirebbe la strada alla possibilità di costituire un soggetto di caratura europea e,

insieme, disegnerebbe una nuova via per lo sviluppo delle imprese nazionali.

Il progetto della grande generation company si muove nel solco delle possibili aggregazioni per linee di

business; un ragionamento analogo potrebbe essere proposto per i segmenti di distribuzione locale di

energia. Come detto, però, le principali multiutility italiane sono oggi leader di mercati macroregionali ed

è questa la scala su cui poggiano la loro dimensione competitiva. Il loro radicamento territoriale è

determinato sia dal presidio di business territoriali (la distribuzione locale di energia elettrica e di gas, dei

servizi idrici nonché la filiera ambientale, così come la cogenerazione) sia soprattutto dalla presenza degli

azionisti pubblici all’interno del capitale delle imprese. Chi ritiene che quest’ultimo aspetto sia legato

unicamente all’interesse dell’azionista pubblico al recupero dei dividendi, sottovaluta il ruolo economico

delle imprese per il sistema locale e la capacità delle utility di produrre imponenti volumi di investimento

e di indotto sul sistema locale.

Data la storica frammentazione del mercato italiano è evidente il grande potenziale di sviluppo dei

maggiori soggetti nazionali, all’interno degli stessi mercati territoriali in cui già oggi si presentano come

leader; politiche industriali di consolidamento macroregionale possono garantire il raggiungimento di

notevoli risultati, valorizzando le sinergie locali tra le diverse filiere di business. In altri termini, non

mancano gli spazi per ulteriori aggregazioni, né la possibilità di costruire grandi regional utility

incorporando le medie imprese ancora presenti a Nord-Ovest e a Nord-Est.

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Osservando le dinamiche in corso in Europa è forse opportuno spostare l’attenzione dalle leading

european utility, essenzialmente energetiche, e approfondire il ruolo delle “municipalizzate” tedesche: le

“Stadtwerke”, vere e proprie multiutility locali il cui ruolo non si esaurisce nel raggiungimento di

parametri di efficienza, ma si concretizza in una strategia da “utility di sistema locale”. Le Stadtwerke si

sono costruite un posizionamento nella filiera energetica, ma hanno soprattutto concentrato gli

investimenti sul livello locale, sulla base del principio della Daseinsvorsorge: declinazione della dottrina

della libertà sociale del mercato che richiama la centralità dei servizi pubblici locali come elemento per la

crescita economica e lo sviluppo sociale (Wollmann, 2011).

Alcuni big player energetici si sono ritirati dal livello locale e hanno venduto alle municipalizzate le azioni

degli Stadtwerke, che avevano acquistato negli anni recenti per rafforzare la loro posizione nei mercati

locali. È bene sottolineare come le Stadtwerke siano per la maggior parte a capitale totalmente pubblico e

che solo alcune di loro (ad esempio Mvv Ag) abbiano intrapreso la strada della quotazione e

l’ampliamento dei confini operativi oltre il livello regionale.

In conclusione il dibattito sulla riconfigurazione dell’attuale assetto delle local multiutility leader in Italia

dovrà cercare di collegare i progetti di aggregazione imperniati sul settore della generazione elettrica con il

radicamento territoriale delle imprese di servizio pubblico locale, peculiarità e punto di forza delle utility

italiane che non va ignorato se si vogliono valorizzare anche i benefici di ulteriori processi di fusione.

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CONVEGNO

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Convegno di presentazione della ricerca

(22.3.2012, Sala Congressi Intesa Sanpaolo, Torino)

Il Convegno “Quale futuro per le grandi multiutily?”, svoltosi a fine marzo a Torino nella Sala Congressi

di Intesa Sanpaolo, ha visto la presenza in qualità di relatori del Sindaco di Torino, Piero Fassino, il

Sindaco di Imola, Daniele Manca, il Presidente del Consiglio di Sorveglianza del Gruppo Intesa

Sanpaolo, Andrea Beltratti, Giuseppe Berta dell’Università Bocconi, l’Amministratore Delegato di Equiter,

Carla Ferrari, e Sandro Baraggioli di Torino Nord Ovest. Il dibattito è stato condotto e moderato da

Massimo Mucchetti, giornalista del “Corriere della Sera”.

L’obiettivo del Convegno era favorire un confronto sulle prospettive di sviluppo delle local multiutility

leader nel Nord Italia sulla base dei risultati della ricerca qui pubblicata e più in particolare indagare la

dimensione competitiva ottimale – sia settoriale che territoriale – su cui possono misurarsi le società di

servizio pubblico locale. Come ha sottolineato il Sindaco Fassino: “Ragionare oggi sullo sviluppo delle

imprese di servizio pubblico locale e immaginare un loro percorso di sviluppo e concentrazione, significa

occuparsi delle politiche industriali del Paese, in una fase in cui nessuno lo sta facendo. Anche perché il

contributo delle imprese di servizio pubblico locale al valore aggiunto prodotto ogni anno dall’Italia è

sicuramente rilevante”. Il loro contributo diventa poi cruciale nei territori (come ad esempio Torino e il

Piemonte) dove le local utilities si sono sviluppate e dove continuano a fornire servizi ai cittadini e alle

imprese, per le quali i servizi costituiscono uno dei fattori critici da cui può dipendere la capacità di

confrontarsi con i rivali internazionali.

Tutti i relatori sono stati concordi nel ritenere che è opportuno interrogarsi su future aggregazioni anche

perché, come ha evidenziato Piero Fassino: “Iren, Hera, A2a e Acea sono oggi società di livello regionale

e nazionale ma restano in una posizione di ambiguità: troppo piccole per ricoprire un ruolo di leadership

in Italia e in Europa, troppo grandi per restare ancorate a strategie di imprese locali.”

In effetti l’aggregato delle tre utility esaminate nella ricerca (A2a, Hera e Iren), formerebbe un soggetto

che in termini di capitalizzazione e di risultati economici (fatturato, margine operativo) risulterebbe del

tutto confrontabile con le grandi multiutility francesi. Per contro l’attuale assetto dimensionale, come

sottolineato da Andrea Beltratti, in una situazione di capitalizzazioni di borsa fortemente depresse

potrebbe favorire l’acquisizione da parte di soggetti internazionali, desiderosi di estendere la loro presenza

sul mercato italiano.

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Dopo aver sottolineato l’importanza dei processi aggregativi i diversi relatori si sono soffermati sulle

modalità per realizzare le scelte di politica industriale e di eventuale aggregazione, in un contesto di

mercato profondamente cambiato da una crisi economica strutturale e non congiunturale. Dai vari

interventi che si sono susseguiti nel corso della mattinata, sono emersi tre aspetti critici in tema di future

aggregazioni:

1) Una prima criticità riguarda il settore della generazione elettrica che ha risentito maggiormente del

cambio di scenario causato dalla crisi economica: l’incremento di capacità produttiva dovuto agli

ingenti investimenti unito al calo della domanda di energia elettrica in seguito alla contrazione dei

consumi ha eroso pesantemente i margini economici.

2) Un altro aspetto critico riguarda il forte indebitamento accumulato dalle public utilities. in passato.

Il debito è stato senza dubbio una fonte fondamentale di finanziamento, per un ingente ciclo di in-

vestimenti industriali e processi aggregativi. Tuttavia, oggi data l’instabilità economica, il conteni-

mento del debito rappresenta una priorità, che può incidere pesantemente sulle soluzioni di politi-

ca industriale da privilegiare.

3) Infine, oltre alla crisi economica, un ulteriore fattore di freno ai processi di aggregazione deriva dai

differenti modelli di business e dalle diverse formule organizzative che caratterizzano le grandi im-

prese di servizio pubblico locale: aspetto quest’ultimo ampiamente trattato nella ricerca e più volte

richiamato dai diversi relatori. A2a è sicuramente la più grande delle tre imprese esaminate e

l’assetto industriale originario ha fatto sì che le scelte strategiche del Gruppo fossero poco condi-

zionate dal radicamento territoriale e maggiormente rivolte allo sviluppo secondo la formula della

“generation company”. Completamente diverso è il caso di Hera, il cui percorso di sviluppo la qua-

lifica proprio, a differenza di A2a, come esempio di impresa che ha saputo mantenere un forte le-

game con il territorio. Lo stretto legame territoriale, unito ad un elevato grado di integrazione

all’interno della Società, rappresentano i punti di forza della multi utility emiliano - romagnola. In-

fine Iren, la più giovane delle tre, è il risultato di tre fusioni avvenute nell’arco di pochi anni. Pro-

prio perché giovane, il Gruppo leader del Nord-Ovest necessita (a differenza di Hera) di una mag-

giore integrazione che va accelerata perché, come ha sottolineato il Sindaco di Torino: “oggi rap-

presenta uno dei principali problemi allo sviluppo del Gruppo”.

Tenendo conto degli argomenti precedenti, il Sindaco Fassino ha sottolineato che: “Per competere è

necessario specializzarsi maggiormente e occorre altresì mettere in campo nuovi investimenti facendo

ricorso a nuovi partner. Solo attraverso l’ingresso di nuovi capitali, insieme ad un aumento dimensionale

delle imprese, possiamo continuare a mantenere elevati gli investimenti, garantendo al contempo servizi di

qualità ma a costi contenuti.

Con Edipower – ha proseguito Fassino – è stato fatto il primo passo di un percorso che potrebbe puntare

sulla creazione di un nuovo grande soggetto industriale nazionale nelle public utilities. I prossimi passi

potranno essere quelli di una maxi-fusione tra società o la nascita di grandi soggetti uniti per linee di

business. Una linea univoca oggi non esiste e le strade sono aperte. Sul tema dei rifiuti, ad esempio, le

opportunità non mancano.

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La tendenza è comunque quella della concentrazione – ha concluso Fassino - i piccoli operatori si stanno

inesorabilmente muovendo verso i gruppi maggiori alla ricerca di vantaggi competitivi, che diversamente

non riuscirebbero a raggiungere. Analogamente i grandi gruppi devono conseguire dimensioni idonee a

migliorare la propria capacità di produrre servizi e valore.”

Più prudenti sono state le indicazione di Daniele Manca, Sindaco di Imola e presidente del Patto di

sindacato di Hera. Dopo essersi dichiarato contrario all’idea che vada smantellato tutto ciò che è pubblico

solo in quanto tale, Manca ha affermato: “Non dobbiamo correre i rischi di processi di crescita

dimensionale per grandi aggregazioni, fini a se stessi e senza un progetto industriale alle spalle. “Le tre

multiutily del Nord sono realtà troppo diverse e i debiti una volta messi in comune non diminuiscono ma

si sommano. Abbiamo intrapreso – ha proseguito Manca – un percorso di sviluppo volto a creare società

ad hoc per la valorizzazione delle competenze che negli anni abbiamo appreso e che oggi possiamo

esportare. Con Herambiente ci siamo aperti al capitale di rischio per sostenere uno specifico progetto.

Ritengo che questa sia la strada da seguire anche nel rapporto con altre imprese multi utility. E’ più facile,

credo, creare sinergie su specifici progetti per specifiche aree geografiche piuttosto che un’aggregazione

unica su tutti i business”.

Andrea Beltratti, Presidente del Consiglio di Gestione di un grande Gruppo bancario europeo, ha

tracciato un parallelismo tra il sistema bancario e quello delle local multi utilities, sottolineando come la

overcapacity delle local utilities, specie di quelle elettriche, la loro progressiva riduzione dei margini,

l’incertezza normativa come vulnus di un assetto regolativo che non riesce a trovare una fase di

assestamento, tutti questi elementi rendano il settore delle utility simile a quello bancario.

Inoltre anche le imprese di servizio pubblico locale, come le banche, producono rilevanti esternalità sul

territorio e sono responsabili dello sviluppo e della crescita delle comunità locali.

Nel suo intervento Andrea Beltratti ha insistito sulla necessità di dare risposte rapide ed efficienti ad

alcune domande che la ricerca e il dibattito hanno sollevato: “Come valorizzare e costruire economie di

scala e di scopo se è vero che ci sono e sono conseguibili? (il fatto che se ne parli da tempo spinge a

credere che sia difficile valorizzarle in pieno); qual è l’assetto ottimale da preferire per conseguire questi

risultati? E soprattutto quali sono i meccanismi di governance capaci di salvaguardare gli interessi presenti

sul territorio, date le rilevanti esternalità prodotte da questo genere di imprese?”

Un ulteriore aspetto critico sottolineato dal Presidente Beltratti è quello della diversificazione che non

sempre rappresenta un premio per il valore dell’azienda; anzi in certi casi può tradursi in uno sconto

“perché essere impegnati su diversi settori può ridurre la capacità di conseguire posizioni di leadership sul

mercato”.

Beltratti ha poi concluso il suo intervento con un pressante invito a recuperare efficienza e redditività: “

Data la presenza di ingenti capitali in giro per il mondo alla ricerca di investimenti con redditività stabile e

di lungo periodo si deve lavorare per perseguire strategie vincenti: a quel punto i capitali arriveranno come

naturale conseguenza.”

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Nel corso del dibattito con il pubblico presente in sala è emerso un ulteriore aspetto interessante: il ruolo

delle Fondazioni ex bancarie come shareholder delle imprese di servizio pubblico locale. Già oggi alcune

Fondazioni hanno investito un parte (peraltro non rilevante) delle loro disponibilità patrimoniali in

società ex – municipalizzate e potrebbe essere auspicabile che in futuro la quota posseduta, direttamente o

indirettamente (ad esempio tramite fondi infrastrutturali), venga incrementata. D’altronde come ha

replicato Piero Fassino:”Le fondazioni ex-bancarie sono parti della governance della città, dunque sono

naturali interlocutori cui è fondamentale prestare attenzione”.