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TESI N.8 MUSICA POPOLARE E TEATRO NEL MEDIOEVO TROVATORI E MENESTRELLI La monodia profana nel medioevo: alcune premesse Sacro e profano nel Medioevo L’espressione poetica e musicale del Medio Evo si caratterizza per una commistione di sacro e profano , di spirituale e mondano , di cristianesimo e attaccamento ad usanze pagane; la musica da un lato è un mezzo al servizio della liturgia ufficiale della Chiesa romana (non dimentichiamo che la cultura era detenuta almeno fino all’XI secolo dai centri religiosi), dall’altro è strumento per dilettare la società feudale (aristocratici, piccoli nobili, borghesi professionisti e studenti universitari). Lo sviluppo che ricevettero le città durante la cosiddetta ‘rinascita del Mille’ spianò la strada ad un affrancamento della produzione artistica dal controllo e dall’influsso fino ad allora esercitato dal clero, che a poco a poco perse il vecchio monopolio nella formazione scolastica. La musica profana resta a lungo di tradizione orale Se nelle scholae cantorum la musica iniziò ad essere fissata per iscritto (si è visto che ciò avvenne per ragioni legate alla volontà di mantenimento del repertorio concepito come sacro, e per motivi connessi ad esigenze mnemotecniche degli esecutori), negli ambienti profani le musiche resteranno di trasmissione orale almeno fino al 1300. La musica nella vita quotidiana Ogni attività sociale era scandita da segnali sonori: - gli orari di lavoro, - l’apertura delle porte di un borgo - i pagamenti dei tributi

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TESI N.8 MUSICA POPOLARE E TEATRO NEL MEDIOEVO TROVATORI E MENESTRELLI

La monodia profana nel medioevo: alcune premesse

Sacro e profano nel Medioevo

L’espressione poetica e musicale del Medio Evo si caratterizza per una commistione di sacro e

profano, di spirituale e mondano, di cristianesimo e attaccamento ad usanze pagane; la musica

da un lato è un mezzo al servizio della liturgia ufficiale della Chiesa romana (non

dimentichiamo che la cultura era detenuta almeno fino all’XI secolo dai centri religiosi),

dall’altro è strumento per dilettare la società feudale (aristocratici, piccoli nobili, borghesi

professionisti e studenti universitari). Lo sviluppo che ricevettero le città durante la cosiddetta

‘rinascita del Mille’ spianò la strada ad un affrancamento della produzione artistica dal controllo

e dall’influsso fino ad allora esercitato dal clero, che a poco a poco perse il vecchio monopolio

nella formazione scolastica.

La musica profana resta a lungo di tradizione orale

Se nelle scholae cantorum la musica iniziò ad essere fissata per iscritto (si è visto che ciò

avvenne per ragioni legate alla volontà di mantenimento del repertorio concepito come sacro, e

per motivi connessi ad esigenze mnemotecniche degli esecutori), negli ambienti profani le

musiche resteranno di trasmissione orale almeno fino al 1300.

La musica nella vita quotidiana

Ogni attività sociale era scandita da segnali sonori:

- gli orari di lavoro,

- l’apertura delle porte di un borgo

- i pagamenti dei tributi

- le sedute dei tribunali

- pericoli imminenti.

I gruppi sociali più potenti avevano veri stendardi musicali rappresentativi del loro status: le

trombe e i corni rappresentavano il monarca e i feudatari segnalandone la presenza (erano

connotativi del potere costituito).

La poesia è concepita per essere intonata

Al di là della musica profana funzionale all’attività sociale vi era una musica composta per l’otium

delle corti feudali. La poesia nel Medio Evo era spesso composta per essere rivestita di suono.

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La monodia profana in latino (IX-XI sec.)Le più antiche reliquie di canti profani a noi giunte sono databili intorno al secolo IX e rientrano nel

fervore creativo che diede vita ai tropi, alle sequenze, al dramma liturgico.

1) MONODIE SU CLASSICI LATINI

I più antichi cimeli della musica profana medioevale si distinguono in due gruppi, il primo dei

quali comprende l'intonazione neumatica di testi poetici di Orazio, dell'Eneide virgiliana e

di Boezio. Sebbene la lettura non sia sempre univoca per colpa della notazione che è ancora

adiastematica, questi frammenti testimoniano la continuità dell'attenzione rivolta ai classici

specialmente nel periodo carolingio e un modo di approccio, quello musicale, assai

significativo.

2) I PLANCTUS

Più ricco di suggestioni è il secondo gruppo, composto da un manipolo di composizioni epico-

storiche, tra le quali predominano i compianti (planctus) per la morte di personaggi illustri.

Una decina di questi canti profani è raccolta in un solo manoscritto proveniente da San Marziale

(ora a Parigi, Bibl. Nat., lat. 1154) redatto nel secolo IX e forse neumato poco dopo.

Il Planctus de obitu Karoli (per la morte di Carlo Magno) in versi a sistema accentuativo alterna con il ritornello Heu mibi misero! distici non privi di rude solennità che invitano tutte le regioni a piangere la morte del grande imperatore. A riprova del legame con le melodie chiesastiche, nella notazione di questo planctus ricorre il quilisma, sicura tessera di riconoscimento delle cantilene liturgiche ornate.

In Mecum timavi saxa, novem flumina... Paolino patriarca di Aquileia (m. 802) esprime il suo lamento per Enrico duca del Friuli morto in combattimento contro gli Avari. Se il carme fu composto nel 799, anche la melodia è indubitabilmente uno dei cimeli musicali più vetusti, se non altro perché ci è trasmessa identica in un codice di Berna del secolo X: indice che già quell'epoca essa aveva conosciuto una cospicua notorietà. Pur richiamandosi a vicende profane, il componimento ebbe destinazione liturgica essendovi palese la solenne gravità della preghiera.

Imbevuta nel testo di reminiscenze liturgiche e musicalmente derivata da fonte ecclesiastica è anche l'anonima celebrazione della battaglia combattuta a Fontenoy tra i figli di Ludovico il Pio, il 25 giugno dell'anno 841: Aurora rora cum primo mane .... Di poco posteriore e con gli stessi caratteri è il Planctus Hugonis abbatis (Hug dulce nomen...), forse un figlio naturale di Carlo Magno perito mentre si prodigava a sedare le contese tra i successori di Ludovico.

I 'planctus' di Abelardo

Una posizione di rilievo nella storia della lirica profana detiene Pietro Abelardo (1079-1142), di cui ci è pervenuto anche un inno liturgico con melodia: O quanta qualia sunt illa sabbata. L’originalità di Abelardo emerge soprattutto nei sei planctus, che celano sotto immagini bibliche i casi del suo sventurato amore per Eloisa. Dal punto di vista della versificazione i planctus costituiscono un banco di prova delle possibilità tecniche offerte a un poeta del secolo XII. In una ritmica perfettamente sillabica o determinata dall'accento intensivo, rivendica ai propri versi varietà di movenze (accanto al ritmo binario usa quello ternario) e li combina arditamente in nuove strutture strofiche penetrate da un fitto gioco di rime e di assonanze.Il segno della novità attribuibile ad Abelardo sta appunto nel legame – in qualsiasi modo lo si voglia interpretare – tra il planctus latino e un canto d'amore.

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3) I CARMINA GOLIARDICI

Della lirica profana nel secolo XI è sicura testimonianza la raccolta dei cosiddetti Carmina

Cantabrigensia (un codice scritto nella Renania, attualmente alla Biblioteca Universitaria di

Cambridge, Gg. 5.35). Vi figurano composizioni in forma di sequenza, alcune delle quali

ispirate a vari temi (elogio di imperatori, ritmi scherzosi, canzoni amorose, ecc.). Si distingue

per la piana cantabilità l'invito amoroso improntato al Cantico dei Cantici Iam, dulcis amica,

venito, in strofe tetrastiche, il cui schema musicale è ABCD. I Carmina burana (fine XIII)

composti dagli studenti (laici e clerici) e dai goliardi (clerici vagantes) che inneggiavano al

gioco, alla libidine e spesso diventavano sottili mezzi per una satira a sfondo sociale (celebri i

che prendono il nome dall’abbazia tedesca di benediktbeuren. In queste monodie spesso si usava

la tecnica della parodia o del contrafactum. La poesia dei goliardi assimilava le differenti

esperienze lirico-musicali dell’alto medioevo: sequenze, lais, innodie, introducendo pure testi in

volgare.

Trovatori (XII sec. Francia del Sud, langue d’Oc)

Bernart de Ventadorn Arnaut Daniel Marcabru Raimbaut Vaqueiras

La nuova poesia per musica in lingua provenzale (la langue d’oc era la lingua della Francia del

Sud) sbocciò alla fine del 1000 nelle stesse regioni che erano state all'avanguardia nel fervore

creativo di tropi, versus, sequenze e drammi; non a caso vers si denominarono le composizioni dei

primi trovatori; e trovatore deriva da tropare, cioè «fare dei tropi». Il perimetro cronologico della

lirica trobadorica copre duecento anni: 1086 (Guglielmo IX duca d’Aquitania, primo mitico

trovatore) – 1284 (morte di Guiraut Riquier, uno degli ultimi trovatori)

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L’origine dell’arte trobadorica è incerta: i legami con la tradizione liturgica sono evidenti sia a

livello etimologico, sia sul piano formale: la struttura della sequenza è imparentata con il Lai, e le

melodie – con forme recitative simili alla salmodia – sono gestite intorno a uno o anche a due poli

con sezioni sillabiche e melismatiche (anche se l’ambitus delle melodie dei trovatori è più ampio di

quello dei canti liturgici). Oltre all’ipotesi liturgica, per spiegare l’origine di quelle liriche c’è pure

l’ipotesi araba che imparenta le poesie trobadoriche a quelle arabe sia per la tematica amorosa, sia

per la condivisione di schemi strofici (quello arabo più usato era lo zagial AAAx BBBx).

1130-1220: è il periodo di massima fioritura con i maggiori rappresentanti appartenenti a diverse

classi sociali:

a) giullari: Marcabru (1150?), Bernard de Ventadorn (1140-1200)b) ricchi mercanti: Peire Vidal (1175-1205) Folchetto da Marsiglia (1150-1231) che poi divenne vescovo!)c) piccola nobiltà feudale: Raimbaut de Vaqueiras, Jaufre Rudel, Arnaut Daniel, Guiraut de Bornelh) d) chierici: Peire Cardenal, Gui Folqueis (futuro Papa Clemente IV)e) grandi nobili: Guglielmo IX duca d’Aquitania

La tradizione trovadorica si configurò come un fenomeno intellettuale di vasto raggio coinvolgente

tutte le classi che possedevano un certo grado di cultura. Meno riconosciuti sul piano sociale i

giullari (joculatores da «Jocus») esecutori itineranti di corte in corte; considerati invece uomini di

fiducia dei feudatari i menestrelli («ministerium» significava servizio fisso a corte). Entrambi

erano professionisti che diventarono meri esecutori delle musiche applicate alle poesie composte

dai trovatori (che comunque erano anche interpreti delle proprie composizioni).

N.B. Le ultime considerazione degli storici tendono a fare coincidere trovatore e jongler.

Repertorio e fonti

Uno dei lati più appariscenti della poesia trobadorica e trovierica è l'enorme sproporzione tra il

numero delle poesie (circa 5000) e quello delle melodie conservate (circa un terzo); dei soli

trovatori abbiamo 2542 testi e 264 melodie. Tuttavia altri aspetti peculiari vanno ricordati: pur

cominciando la fioritura della poesia provenzale tra il finire del secolo XI e l'inizio del XII, nessuno

dei manoscritti che ne conservano le melodie è anteriore al 1250 e taluni sono del 1300; inoltre la

loro notazione non appartiene, in generale, all'ars mensurabilis e, come possiamo ormai

immaginare, la loro trascrizione rimane nell'incertezza per quanto concerne il ritmo.

Generalmente l'attribuzione dei testi poetici è sicura, mentre sussistono perplessità per l'assegnazione di talune melodie sia per la disparità delle attribuzioni, sia perché siamo lontani dal conoscere con precisione quali trovatori-poeti abbiano dato anche la melodia ai propri testi: le uniche fonti di informazione al riguardo sono le vidas, la cui scarsa attendibilità è stata in troppi casi provata. A rendere più complesso il problema della paternità melodica si aggiungono talora le

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versioni assai distanti testimoniate per un identico testo; spesso non si tratta solo di varianti, ma di vere redazioni differenti. L’esistenza di versioni multiple per singoli canti è da collegarsi alla loro trasmissione orale. Le discordanze presenti tra i manoscritti non sembrano infatti rientrare nella normale tipologia degli errori grafici. Di conseguenza non possediamo nessuna delle canzoni nella forma originale; il cantore reputava di essere fedele al presunto “originale” (ma è un concetto che non esisteva all’epoca) quando introduceva le sue variazioni. Per questo repertorio dunque bisogna ricostruire nel modo criticamente più valido il testo e la melodia così come ci sono documentati da una determinata fonte, che è testimone sicuro dell'ambiente e del periodo in cui fu redatta.

Il tema centrale della produzione poetica dei trovatori è l’amor cortese. La donna diventa nella

nuova concezione trobadorica una figura desiderata ma mai raggiunta, da corteggiare e omaggiare a

tal punto da avvicinare tale forma di devozione cavalleresca al culto della Vergine Maria.

Le forme musicali principali erano:

Il VERS = forma più arcaica priva di ripetizioni interne

La CANSO = sistema di rime: ab/ab/cde: melodia A = sui versi 1-2; rip. melodia A = sui versi 3-4;

melodia B = sui versi 5-7. Sottocategorie di cansò erano distinte in base al soggetto trattato:

-Pastorela (dialogo tra cavaliere e umile ragazza concepito come schermaglia amorosa)

-Alba (addio all’alba di due amanti richiamati da un amico sentinella)

-Sirventes (basato su temi moraleggianti e a sfondo politico)

- Tenso (in forma dialogica e che poteva dare spunto ad una sorta di certame poetico)

- Planh (equivalente del planctus in latino).

Assai complessa e varia è l'organizzazione delle rime all’interno delle coblas (stanze): il modello più comune è quello delle coblas unissonas che hanno lo stesso schema di rime e di melodie. Se ne ha un esempio in questa canso di Bernard de Ventadorn che con Jaufrè Rudel e Marcabru è tra i più celebri rappresentanti della I generazione di trovatori

    melodia  1. Lanquan li jorn son lonc en may

M'es belhs dous chans d'auzelhs de lonh,E quan mi suy partitz de layRemembra·m d'un'amor de lonh:Vau de talan embroncx e clisSe que chans ni flors d'albespisNo·m platz plus que l'yverns gelatz

ABABCDB

Quando le giornate sono lunghe, a maggio,m'è grato il dolce canto d'uccelli di lontano,e quando mi sono partito di là,mi ricordo d'un amore di lontano.Vado con animo imbronciato e depresso,sì che né canto, né fiore di biancospinopiù non mi piace dell'inverno gelato.

  [...]    5. Be tenc lo Senhor per veray

Per qu'ieu veirai l'amor de lonh;Mas per un ben que m'en eschayN'ai dos mals, quar tan m'es de lonh.Ai! car me fos lai pelegris,Si que mos fustz e mos tapisFos pels sieus belhs huelhs remiratz!

ABABCDB

Ben tengo il Signore per veracee perciò vedrò l'amore di lontano;ma per un bene che me ne vienene ho due mali, poiché tanto m'è lontano.Ah! ch'io fossi là pellegrino,così che il mio bordone e il mio saiodai suoi begli occhi fossero ammirati!

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Nella seconda metà del secolo le ricerche formali presero il sopravvento sull'ispirazione e si

diramarono in due direzioni: il trobar ric, una tendenza tesa a sperimentare le varietà della

versificazione rappresentata da Arnaut Daniel; il trobar clus, caratterizzato dalle sottigliezze del

pensiero, che ebbe tra i massimi protagonisti Guiraut de Borneill. In generale si osserva che, a

confronto con la complessità degli schemi metrici, le melodie suonano come improvvisazioni

fissate nella memoria in modo assai tradizionale e semplice; inoltre appare inverosimile che si sia

usata la notazione nel comporle.

La fortuna di Arnault Daniel

Dante Alighieri menziona Daniel nella “Divina Commedia” collocandolo tra i lussuriosi, nel Canto

XXVI del Purgatorio, insieme a Guido Guinizzelli che nel poema lo indica a Dante riferendosi a lui come il migliore dei poeti che hanno scritto in volgare:

« O frate, - disse, - questi ch'io ti cerno

col dito, - e additò un spirto innanzi, -

fu miglior fabbro del parlar materno.

Versi d'amore e prose di romanzi

soverchiò tutti: e lascia dir li stolti

che quel di Lemosì credon ch'avanzi. »(Purg. XXVI, 115-120)

Questi versi che Dante fa pronunciare a Guinizzelli sono stati oggetto di vari studi e contrastanti interpretazioni. Sulla base dell'espressione “versi d'amore e prose di romanzi” alcuni ritennero che Arnaut fosse stato autore anche di scritti in prosa, scritti che sarebbero poi andati perduti (gli fu attribuito persino un Lancillotto). Questa tesi, che pure trovò sostenitori di prestigio, come Luigi Pulci

nel Morgante e Torquato Tasso, Discorsi del poema eroico, è stata oggi decisamente abbandonata. Nei versi successivi, attraverso le parole di Guinizzelli, Dante sostiene la superiorità di Arnaut su Guiraut de Bornelh (“quel di Lemosì”, cosiddetto con riferimento alla regione francese del Limosino

della quale Guiraut era originario) che altri consideravano il migliore dei Trovatori.

L'incontro tra Dante e Arnaut inizia con i seguenti versi:

« Io mi feci al mostrato innanzi un poco,

e dissi ch'al suo nome il mio disire

apparecchiava grazioso loco. »(Purg. XXVI,136-138)

Nei versi successivi Dante fa parlare Arnaut nella materna lingua provenzale:

« El cominciò liberamente a dire:

“Tan m'abellis vostre cortes deman,

qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.

Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;

consiros vei la passada folor,

e vei jausen lo joi qu'esper, denan.

Ara vos prec, per aquella valor

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que vos guida al som de l'escalina,

sovenha vos a temps de ma dolor!”.

Poi s'ascose nel foco che li affina. »(Purg., XXVI, 139-148)

(“Tanto mi piace la vostra cortese domanda/ che io non mi posso né voglio a voi celare./ Io sono Arnaldo, che piango e vado cantando;/ afflitto vedo la passata follia,/ e lieto vedo, davanti (a me) la gioia che spero./ Ora vi prego, in nome di quel valore che vi guida alla sommità della scala,/ al tempo opportuno vi sovvenga del mio dolore”).

Il nome di Arnaut ricorre più volte nel De Vulgari Eloquentia dove si fa spesso riferimento alla sua tecnica compositiva (ad indicem).

Anche Petrarca nel Trionfo d'amore (IV, 40 ss) lodò le sue composizioni e di lui scrisse:

« Fra tutti il primo Arnaldo Daniello

gran maestro d'amor; ch’alla sua terra

Ancor fa onor col suo dir novo e bello. »Importante è la sua influenza su poeti catalani come Jordi de Sant Jordi, Andreu Febrer e Cerverí de Girona.

Va ricordato che alcuni studiosi, tra primo e secondo Ottocento, (Friedrich Diez, Giovanni Galvani, Alfred Jeanroy, tra gli altri) si mostrarono estremamente critici verso l‘opera di Daniel che da questi fu accusato di “freddo virtuosismo” e bollato con aggettivi quali banale, frivolo, puerile e bizzarro.

Nel XX secolo, invece, fu particolarmente apprezzato da Ezra Pound che lo considerò il più grande poeta mai vissuto e tradusse in inglese i suoi versi. Particolare è l'approccio di Pound che studiò Daniel con l'occhio “del poeta” più che del filologo, interessato quindi soprattutto allo studio di “alcune forze, alcuni elementi, o qualità - come egli stesso dichiarò - che erano operanti nelle letterature medievali [...] e che sono ancora certamente operanti nelle nostre”. La cosiddetta “sestina di Arnaldo”, diffusa da Dante e Petrarca, infatti, fu usata in tempi più recenti da Giosuè Carducci, Gabriele d'Annunzio, Giuseppe Ungaretti e Franco Fortini.

Trovieri (XIII sec. Francia del Nord, langue d’Oil)

I giullari itineranti, gli spostamenti di artisti a seguito di matrimoni tra casate aristocratiche e la

comunione forzata di popoli diversi che l’impresa delle crociate comportò, furono i tre principali

veicoli di trapianto del repertorio trobadorico nei territori di lingua d’oil (base del francese moderno

Nord della Francia) a partire dal 1120 ca. (in quell’anno Eleonora d’Aquitania, nipote di

Guglielmo IX primo leggendario trovatore, andò in sposa a Luigi VII di Francia portandosi il

seguito di corte tra cui Bernart de Ventadorn).

Il più antico troviere conosciuto è uno dei più illustri autori di romanzi versificati, Chrétien de

Troyes, autore del Perceval le Gallois, cui Wagner ispirò il suo Parsifal. Nel secolo XIII la vita

musicale della Francia settentrionale, con il rinnovamento del patrimonio paraliturgico e i primi

monumenti polifonici della scuola di Notre-Dame, fu profondamente trasformata e la stessa

monodia oscillò tra l'antica fonte d'ispirazione (troubadours) e i nuovi modelli. Tra il 1219 e il 1236

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Gautier de Coinci scrisse chansons alla Vergine attingendo indifferentemente per le melodie alle

sequenze, ai lais e ai conducti polifonici: indice d'una coesistenza di forme e di gusti a prima vista

inconciliabili. Dagli inizi del secolo XIII si fece più consistente l'influsso delle forme musicali fisse

di origine popolareggiante: ne risentirono le musiche di Thibaut de Champagne (1201-53) e,

soprattutto, le composizioni del più alto talento trovierico: Adan de la Hale (1230 ca.-88 ca. ),

autore del celebre Li Geus de Robin et de Marion, azione scenica composta forse per la corte di

Napoli, alle cui sezioni cantate e danzate egli adattò refrains e chansons. Furono gli estremi bagliori

di un'arte che, esportata fuori dal territorio francese insieme con quella dei troubadours, aveva già

suscitato imitatori ed epigoni in quasi tutti i paesi d'Europa.

La proporzione tra i testi rinvenuti e le musiche è più equilibrata in questo repertorio rispetto

a quello trovadorico: su circa 2400 testi poetici abbiamo 1700 brani musicali alcuni in

notazione quadrata.

Alcuni generi sono direttamente derivati dalla tradizione dei trovatori:

Chanson = Canso;

Aube = Alba;

Pastourelle = Pastorela (Adam de la Halle sviluppa da una pastourelle il primo esempio di

teatro musicale profano il Jeu de Robin et de Marion forse composto per la corte di Napoli).

La Chanson trovierica poteva avere un primo finale di cobla aperto e uno chiuso:

Versi 1-2 3-4 5-6

Musica A (vert) A (clos) B

Rime ab Ab cd

La forma del Lai prevedeva una seconda cobla con musica B, la prima vert, la seconda clos.

Altri generi sono caratterizzati da un impianto narrativo che si rifaceva alle Chanson de geste (la più

celebre è la Chanson de Roland) evidente nella Chanson de toile dove una dama lamentava le sue

pene d’amore; oppure da un impianto formale con strutture ripetitive:

- Rondeaux schema v.1A v.2B v.3A v.1A v.4A v.5B v.1A v.2B

- Ballade tre stanze intonate sulla stessa musica A A B

- Virelai schema identico alla ballata italiana: AB CC AB AB

- Estampida = musica strumentale del 1200-1300 con sezioni denominate puncta che si

ripetevano due volte.

Lo schema melodico fondamentale della chanson trovierica è AB AB' CDEF, ecc., dove B e B'

differiscono soltanto nella cadenza finale: B = ouvert (cadenza sospensiva) e B' = clos (cadenza

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conclusiva). Da questo schema modello sono derivate molte varianti, soprattutto in rapporto alla

posizione e alle iterazioni dei refrains (= ritornelli), nel cui gioco sarebbe possibile identificare i

primi esempi di rondeau e virelai. Uno schema strofico nella forma del rondeau si coglie in

Amereis mi vous:

Amereis mi vous, cuers dous,a cui j'ai m'amour donnée?

ABMi amerete, o dolce cuore,cui ho dato il mio amore?

Nuit et jours je pens a vous.Amereis mi vous, cuers dous?

AANotte e giorno io penso a voi.Mi amerete, o dolce cuore?

Je ne puis durer sans vous,vostre grans biauteis m'agreie.

ABIo non posso durare senza di voi,tanto mi piace la vostra gran beltà.

Amereis mi vous, cuers dous,a cui j'ai m'amour donnée?

ABMi amerete, o cuore dolce,cui ho dato il mio amore?

Tra le forme, assai diffusi furono i jeux-partis intonati alternativamente da due interlocutori sulla

stessa melodia, con un envoi (commiato) finale. Si leggano le prime due strofe (sezioni dialogiche)

del jeu-parti tra uno sconosciuto giovane e il re Thiebaut di Navarra:

1. Bons rois Thiebaut, sire, consoilliez moi:Une dame ai mout à lonctemp améeDe cuer leal, saichiez en bone foi,Mais ne li os descovrir ma pensée;Tal paour ai que ne mi soit veéeDe li l'amors qui me destroint souvent,Dites, sire, qu'en font li fin amant?Souffrent il tuit ausi si grant dolour,Com il dient dou mal qu'il ont d'amor?

ABABCDEFG

Re Thiebaut, sire, consigliatemi:ho molto amato e a lungo una signora,con cuore leale e in buona fede;ma non oso scoprirle il mio pensiero,tale è il timore che rifiutil'amore che sovente mi strugge.Ditemi, sire, che fanno i sinceri amanti?Soffrono davvero un dolore così intensocome dicono, per la pena che viene d'amore?

2. Clers, je vos lo et pri que toigniez quoi;Ne dites pas por quoi ele vos hée,Mais servez tant et faites le, porqoiQu'ele saiche ce que vostre cuers bée,Que par servir est mainte amors donée.Par moz coverz et par cointes semblanzEt par signes doit on venir avant,Qu'ele saiche le mal et la dolorQue fins amis trait por li nuit et jor.

ABABCDEFG

Giovane, vi prego vivamente che stiate sereno;non chiedete perché ella vi abbia in odio,ma siate suo servo e fate ch'ella sappia ciòdi cui abbisogna il vostro cuore,poiché per servire molto amore è dato.Si deve procedere con parole allusivee sguardi accorti e segni,perché sappia la sofferenza e il doloreche un sincero amante notte e giorno ha per lei

Il lai presenta spesso la struttura della coppia strofica propria della sequenza, dalla quale sembra derivato.

Monodie profane in Germania: Minnesanger e Meistersinger

Sebbene l'esistenza d'una tradizione musicale autoctona non possa essere negata ai paesi di lingua

tedesca (si ricordino i canti goliardici), una ricca documentazione a noi giunta testimonia la nascita

d'un movimento ispirato agli ideali e ai modi della poesia e della musica francese e provenzale. La

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presenza del troviere Guiot de Provins tra il seguito di Beatrice di Borgogna, che nel 1156 andò

sposa all'imperatore Federico Barbarossa, assicura che almeno a quella data deve farsi risalire

l'inaugurazione di più fitti rapporti tra l'arca francese e quella germanica. Tali scambi si effettuarono

sia grazie alla trasmissione di canzonieri, sia per i viaggi o per il soggiorno di giullari francesi nelle

corti germaniche. E noto, del resto, che intorno al 1200 Peire Vidal giunse fino all'Ungheria.

Minnesänger è il termine con cui furono designati i poeti-musici tedeschi. Il loro movimento,

Minnesang (da Minne = amor cortese e Sang = canto), prese le mosse, a quanto pare, dalla Baviera

e dall'Austria, ma una seconda corrente, attraverso il basso Reno, lo introdusse in Renania, Turingia

e Svizzera.

I termini cronologici si possono fissare all'incirca tra il 1170 e la metà del 1300 e abbracciano due

o tre fasi creative, sulla cui delimitazione gli specialisti non sono peraltro concordi.

La produzione dei Minnesänger ci è conservata in fonti piuttosto tardive rispetto al loro periodo: le

principali sono il canzoniere di Jena (secolo XIV; 91 melodie) e quello di Colmar (secolo XVI;

contiene 107 melodie, alcune delle quali appartengono già al più tardo genere dei Meisterlieder).

La dipendenza dai modelli francesi fu pressoché totale fino al 1200: per questo periodo si

conoscono soltanto melodie presenti in fonti franco-provenzali le quali, con ogni probabilità, furono

adottate nel momento in cui si composero i testi tedeschi. Anche in seguito la creazione dei testi

risentì fortemente del repertorio francese per il contenuto e le forme, per le immagini poetiche, la

terminologia cortese e la struttura strofica; analogie molto strette, del resto, si notano nelle melodie.

Per ognuno dei generi si riscontrano denominazioni corrispondenti:

Lied = chanson = canso

Tagelied = aube = alba

Wechsel = jeu-parti = tenso

Spruch = sirventes

È usata di preferenza la forma di Bar (poema, canzone), la cui struttura poetico-musicale consiste

nella ripetizione di due Stollen (corrispondono ai piedi o mutazioni della nostra ballata), cui si

aggiunge l'Abgesang (ad esempio: AB+AB+CDE...); assai spesso l'Abgesang utilizza in vari modi

il materiale melodico degli Stollen creando rime musicali come AB+AB+CDB: in tal caso si ha il

tipo di canzone «a rotundello». Nel Lied l'amore verso la gentildonna tende ad assumere aspetti più

idealisti, quasi una devozione di natura cavalleresca; accanto al tema amoroso ricorrono con

frequenza l'esaltazione della natura e gli argomenti religiosi.

Tra i Minnesänger della prima generazione i più noti sono: Friedrich von Hûsen, Hartmann von der

Aue (autore anche del poema narrativo Der arme Heinrich), Reinmar il Vecchio e Rudolf von Fenis.

Uno stile più personale rivelano i rappresentanti del secondo periodo: Walther von der

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Vogelweide (autore tra l'altro d'un noto Palästinalied che si riferisce alla crociata del 1228 e

impronta la sua melodia su Lanquan li jorns on lonc en may di Jaufre Rudel); Wolfram von

Eschenbach (diventerà il Wolfram nel Tannhäuser wagneriano); Heinrich von Meissen, denominato

il Frauenlob forse perché in una tenzone canora aveva difeso il termine Frau (signora) invece di

Wip (donna); con la sua morte (1318) cominciò il declino del Minnesang. Per ognuno di questi

cantori è possibile indicare il modello o i modelli franco-provenzali da cui trassero ispirazione per

le loro opere.

Come la corrispondente produzione romanza, i Minnelieder presentano problemi d'interpretazione

ritmica, con la fondamentale differenza che la versificazione germanica è fondata sul numero degli

accenti forti e non esige uguaglianza numerica delle sillabe non accentate. Ciò impedisce che la

'teoria modale' possa essere applicata sistematicamente nelle trascrizioni.

Meistersinger e Geisslerlieder

L'eredità del Minnesang fu, in certo senso, assunta dal Meistersang (da Meister = maestri e Sang =

canto), che tuttavia si distinse dal primo per essere estraneo agli ambienti di corte e per

rappresentare l'espressione della classe borghese-cittadina.

Si è soliti dividere il Mestersang in due filoni: il primo è formato da cantanti girovaghi (il

rappresentante tipico è Behaim); il secondo da scuole con sede stabile. Alle origini di queste ultime

istituzioni sta la figura dello stesso Frauenlob, che fu a capo della scuola di Magonza, il centro più

autorevole dei Meistersinger prima che Hans Sachs (1494-1576) portasse a pari importanza la

scuola di Norimberga.

Per la loro analogia con i canti penitenziali, soprattutto italiani, e per aver anticipato alcuni tratti del

corale luterano, vanno inoltre ricordati i Geisslerlieder (Geissler = flagellanti), un repertorio di canti

popolari religiosi fiorito nell'Europa settentrionale nel secolo XIV, durante l'infuriare della peste

nera.

Penisola iberica e Italia: le Cantigas di Santa Maria e le Laude

La collocazione geografica favorì un massiccio irradiamento della lirica provenzale anche in

Spagna e Portogallo. Non solo le corti di Catalogna, Castiglia e Aragona accolsero numerosi

trovatori, ma gli stessi signori catalani si esercitarono nel poetare (la parlata del Limosino era usata

in Catalogna prima che si imponesse il catalano). L'influsso provenzale si prolungò in certe regioni

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fino al secolo XV, ma la collezione più grandiosa della monodia iberica era già stata raccolta da

Alfonso X «el Sabio», re di Castiglia e di León dal 1252 al 1284: si tratta delle Cantigas de Santa

Maria.

Con il termine cantigas si designavano i componimenti tanto sacri come profani della letteratura

gallego-portoghese. In questa lingua erano già state composte sette canciones de amor attribuite al

joglar Martin Codàx (inizio del secolo XIII), sei delle quali ci sono pervenute con una melodia in

notazione amensurale: un minuscolo precedente a paragone delle oltre 400 canzoni che formano la

raccolta di Alfonso. Per comprendere l'humus culturale dal quale sbocciarono le cantigas, basti

ricordare che il più tardo dei trovatori, Guiraut Riquier, dimorò a lungo alla corte di Alfonso.

Le cantigas celebrano in prevalenza i miracoli della Vergine e si ispirano ai Miracles de Notre

Dame del monaco troviere Gautier de Coinci; ci sono pervenute in alcune fonti, tre delle quali

conservano anche le melodie; sono anonime, ma non è da escludere che alcune appartengano allo

stesso re Alfonso. La struttura strofica predominante ricalca quella del virelai francese: è aperta da

un ritornello (estribillo), cui segue la estrofa chiusa nuovamente dall'estribillo; ma all'interno di

questo schema le varianti sono numerose. Un altro elemento derivato dalla tradizione francese è la

presenza delle due cadenze sospensiva e conclusiva (overt e clos). Secondo Higinio Anglès, editore

e studioso delle melodie delle cantigas, a redigere alcune delle fonti spagnole sarebbero stati tecnici

consumati nella paleografia musicale e perfettamente al corrente delle innovazioni musicali

europee, ivi compresa la produzione polifonica, a differenza dei copisti francesi e provenzali, i quali

erano più letterati che musici; ancor meno preparati sarebbero stati i notatori dei laudari italiani, dai

quali sembra conosciuta soltanto la notazione quadrata gregoriana. [...]

Circa l'origine del modello strofico o dei modelli strofici impiegati nelle cantigas, dai primi decenni

del nostro secolo gode buona fortuna l'ipotesi d'un influsso arabo, che vede nello schema dello

zagial araboandaluso (e cioè un tristico con volta e ritornello) il precedente metrico-strofico della

lirica romanza. Non mancano tuttavia studiosi che sostengono l'illogicità di attingere in repertori

diversi quei modelli che la stessa lirica sacra e profana in latino proponeva a poeti e musici. Perfino

lo schema del virelai, ad esempio, ricorre in componimenti mediolatini e addirittura in Spagna. Il

problema è molto complesso e non esige, meno che mai in questa sede, una soluzione apodittica; si

devono peraltro tenere distinti i due aspetti, quello letterario e quello musicale. Se nell'ambito

metrico e poetico i canali di derivazione possono essere individuati o, più esattamente, intravisti,

nulla di simile si verifica in campo musicale: per quanto concerne le melodie la teoria dell'influsso

arabo è, fino ad oggi, una mera ipotesi.

Le Laudi

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In Italia la poesia trobadorica ebbe una serie di effetti: le forme della ballata, tenzone, sirventese ne

furono direttamente influenzate; i poeti di scuola siciliana (Jacopo Protonotaro, Cielo d’Alcamo)

così come quelli della scuola toscana (Guinizzelli, Cavalcanti) o altri del nord (Sordello da Goito)

furono influenzati dai trovatori (alcuni di essi trovano spazio nella Divina Commedia: Arnaud

Daniel è nel Purgatorio); cionondimeno alle forme poetiche (che recano nelle loro etimologie un

retaggio musicale: ballata, sonetto, canzone) non corrispose una prassi esecutiva monodica, che fu

forse appannaggio di giullari e improvvisatori (sappiamo peraltro che i poeti siciliani avevano una

formazione giuridico-notarile e non chiesastico-aristocratica come i trovatori; gli stessi poeti filosofi

dello stil novo incaricavano musicisti specializzati per intonare i loro testi: si pensi al Casella di

Dante).

Fu la nuova visione francescana del culto a dare nuovo impulso alla poesia religiosa in volgare (il

Cantico delle creature è del 1224) e alla musica concepita come mezzo di lode innalzato da frati che

si facevano chiamare «giullari di Dio» (purtroppo il codice di Assisi che riporta le Laudes

creaturarum pone solo righi musicali senza note). La sensorialità mondana della musica era dunque

piegata alla devozione durante processioni che riflettevano il nuovo bisogno di forme penitenziali (i

fedeli sfilavano scalzi cantando laude, altri si autoflagellavano con cilici). I primi esempi di laudi si

registrano tra il 1200-1250: i «Laudesi della beata vergine» a Firenze nel 1233; o anche le «Laude

dei Servi di Bologna». Furono dunque le nascenti confraternite di laici (per la maggior parte tutti di

estrazione sociale elevata) a promuovere il canto delle laude raccolti in sillogi dette Laudari (ne

sono giunte 200 ca.).

1) I Laudesi (la prima confraternita nacque a Siena nel 1267 in una chiesa domenicana) diffusero

la Lauda lirica e una relativa prassi esecutiva elaborata che necessitava di codici notati (ne

possediamo solo due integri: il Codice Cortonese 91 con 46 melodie con notazione quadrata su

tetragramma e il Magliabechiano della Nazionale di Firenze con 89 melodie).

2) I Disciplinati (movimento nato a Perugia nel 1260 da Raniero Fasani) svilupparono invece le

laude drammatiche sul tema della passione incentivando i primi esempi di teatro volgare italiano

(i manoscritti non recano notazione musicale anche se erano per certo cantati).

Laudesi e Disciplinati dunque percorsero strade con esiti diversi: i secondi crearono il teatro volgare

italiano (i manoscritti che li riguardano non hanno notazione musicale, ma sappiamo che le loro

laude erano cantate su due schemi melodici: quello «pasquale» e quello «passionale»); ai Laudesi

va riconosciuto il merito della diffusione delle laude liriche (i cui temi variano secondo il calendario

liturgico) e d'una prassi esecutiva tecnicamente curata; donde la necessità di strumenti idonei, come

i codici notati, due esemplari dei quali sono giunti integri fino a noi. Tuttavia, prima di descrivere

queste fonti, è da menzionare un evento di vitale importanza nella protostoria della lauda, anteriore

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alla formazione dei manoscritti pervenuti: voglio dire l'adozione dello schema strofico della ballata

profana. Malgrado l'infittirsi delle ricerche negli ultimi anni, l'interrogativo circa il responsabile del

fortunato trapianto rimane aperto: i candidati cui la critica ha dato via via preferenza sono Guittone

d'Arezzo, Jacopone da Todi e Garzo, l'unico nome di rimatore che, nel generale anonimato, appare

per auto-attribuzione nelle fonti.

Le melodie delle laude procedono di preferenza per intervalli congiunti ad andamento sillabico e

sono realizzate in rapporto dialettico tra solista e coro; le raffinatezze trovadoriche sono assenti e

forte è l’influsso della modalità ecclesiastica benché si prefigura una tensione verso i toni moderni

minore e maggiore. Il problema della definizione del ritmo permane anche per questo repertorio non

mensurato: le interpretazioni più convincenti sono quelle che si basano sul rapporto tra testo e

musica portando in direzione di una varietà interpretativa contro un assetto monotono e omogeneo

(del resto i testi stessi prevedevano versi irregolari secondo quello che si definisce anisosillabismo).

Nulla sarebbe più lontano dal vero quanto la valutazione tendente a livellare nell'omogeneità o, ancor peggio, nella monotonia le melodie delle laude dugentesche. L'analisi attenta rivela una varietà insospettata: dalla modulazione raffinata, al sapore di canto popolare; dall'intonazione processionale semplice e austera, alla canzone a ballo; dal cantare narrativo e drammatico che insiste sulle note ribattute (si pensi alla stanza di De la crudel morte de Cristo), al tono ora eccitato, ora sereno e disteso e sicuro.

Uffici drammatici e dramma liturgico

Al confine tra ambito sacro e sfera profana si collocano alcune drammatizzazioni degli episodi

biblici ed evangelici di più forte pathos. I primi esempi di generi liturgico-musicali con velleità

drammatiche sono i cosiddetti Uffici drammatici.

1) Già nel IX sec. si verificò una concezione dell’Ufficium concepito in maniera unitaria e

interamente versificato (forse sulla spinta offerta dagli Inni). Antifone e responsori, che prima

potevano non avere alcun nesso fra loro, sono ordinati secondo un ordine logico che conferisce

carattere narrativo (tanto che si parla di Historiae o Uffici metrici) e al posto dei testi in prosa si

colloca un assetto in esametri (altro segno della sudditanza nei confronti della classicità degli

ambienti culturali carolingi). Con gli uffici versificati si diffondono una serie di modelli

melodici poi ripetuti anche per testi diversi e in regioni distanti.

2) Gli Uffici drammatici nascono invece dalla tendenza alla drammatizzazione del rito che si fece

più evidente tra IX e X secolo. La messa è già in sé un ‘dramma’, inteso tuttavia secondo un

codice di natura simbolica e non di tipo mimetico come è il linguaggio teatrale. Ciononostante

il racconto della passione per sua natura si prestava ad essere reso in forma drammatica (basti

pensare che era affidato a tre diaconi che leggevano le parti dei diversi personaggi). Nel

periodo carolingio dunque si intensificano racconti dialogizzati sulla passione, morte e

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risurrezione del Cristo (il primo modello era il tropo basato sul dialogo tra gli angeli e le tre

Marie al sepolcro: «Quem queritis in sepulchro o christicolae? – Jesum Nazarenum crucifixum

o caelicolae») e le processioni, nelle quali però i celebranti con i paramenti sacri erano ‘gli

attori’ e i testi restavano le antifone e i responsori dell’Ufficio. Graduale fu il trapasso verso

l’adozione del linguaggio teatrale mimetico che impose abbigliamento adeguato e apparati

scenici, approfondimento psicologico dei personaggi impersonati non più dall’agente liturgico

bensì da attori chierici o anche laici.

Il Dramma liturgico affonda dunque le sue origini nel tropo Quem queritis, che trovò collocazione

autonoma nel Mattutino di Pasqua (la fonte è il Tropario di Winchester) seguito da antifone che

prolungavano il dialogo fino al canto finale (Te deum laudamus) posto a conclusione del piccolo

dramma liturgico per musica in una sola scena (poi denominato Visitatio sepulchri), che conobbe

enorme diffusione in tutta Europa. A tale nucleo originario nei secoli XIII e XIV andarono ad

aggiungersi altre scene, con testi metrici non biblici e su melodie nuove.

Sempre legati al tema della passione sono poi i Planctus Mariae, dialoghi tra Giovanni, Cristo e

Maria; e il Peregrinus che rievoca il dialogo tra due discepoli e Cristo sulla via di Emmaus. Altri

episodi drammatizzati potevano riguardare personaggi biblici (il pianto di Rachele sui figli morti) o

del nuovo testamento (la conversione di Paolo, la risurrezione di Lazzaro). Il codice di Fleury

contiene alcuni drammi legati ai miracoli di S.Nicola (uno di essi Il figlio di Getrone sviluppa

addirittura una sorta di ‘leitmotive’ primitivo per caratterizzare melodicamente i numerosi

personaggi). Un esempio di primo ‘melodramma sacro’ fu il Ludus Danielis scritto alla fine del XII

secolo in latino e in ambiente scolastico: le ampie proporzioni, la varietà musicale (50 melodie) la

caratterizzazione dei personaggi e la richiesta di scene di massa ne fanno una sorta di unicum.