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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI UDINE __________________________________________ FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di Laurea in Lettere Indirizzo Moderno Tesi di Laurea in Antropologia Culturale L'Ors di Pani: tra mito e realtà Relatore: Chiar.mo Prof. Gian Paolo Gri Laureanda: Ilaria Toscano ANNO ACCADEMICO 2009-2010

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI UDINE __________________________________________

FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di Laurea in Lettere

Indirizzo Moderno

Tesi di Laurea in

Antropologia Culturale

L'Ors di Pani: tra mito e realtà

Relatore: Chiar.mo Prof. Gian Paolo Gri

Laureanda: Ilaria Toscano

ANNO ACCADEMICO 2009-2010

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Indice

Introduzione 2

1. Antonio Paolo Zanella 7

2. Antonio Zanella diventa l'Ors di Pani 16

3. Vita a Pani 30

4. Un tavolo ricoperto di banconote 40

5. L'Ors di Pani e le donne 51

6. Nel tempo dei cosacchi 60

7. Racconti e ricordi 70

8. L'assassinio ed il processo 77

Conclusioni 92

Tavole 96

Informatori 101

Bibliografia 103

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Introduzione

Questo lavoro di ricerca nasce dalla volontà di ricostruire la vicenda dell'Ors di Pani,

al secolo Antonio Zanella, cercando di discernere gli eventi reali dai racconti

leggendari che attraversano la Carnia da più di sessantanni. Il mio primo contatto con

l'Ors di Pani sono state le narrazioni fattemi da bambina da mia mamma e da mio

nonno. Crescendo e confrontandomi con dei miei coetanei, mi resi conto che in molti

conoscevano alcune storie su di lui, soprattutto i carnici od i figli di origine carnica

da parte di uno od ambedue i genitori. Da qui è nata la curiosità di conoscere più a

fondo la vita di questo montanaro, cercando di capire in che modo fosse entrato nella

leggenda.

La storia di Antonio Zanella inizia il 10 gennaio 1887, ad Amaro. Figlio di Tomaso

Zanella (figura carismatica della Carnia di fine Ottocento, imprenditore e

contrabbandiere, soprannominato Ors dell'Amariana), seguirà le orme del padre,

diventando anch'egli un importante imprenditore, nonchè malgaro. In giovane età

comincerà ad essere riconosciuto come l'Ors di Pani, un soprannome non solo

semplicemente ereditato dal padre, ma ricco di personali connotazioni fisiche e

caratteriali. Con un'abilità maggiore rispetto al padre, riuscirà ad acquistare quasi

interamente i terreni della conca di Pani, diventando così un ricchissimo proprietario

terriero, nonostante il suo sembiante che lo faceva apparire più simile ad un pezzente

che ad un ricco ed arguto imprenditore. Uomo che si discostava dalla morale

comune, lontano dal pensiero clericale, indifferente alle regole sociali ed alle

chiacchere della gente, attraversò la sua vita, ricca di eventi, con un unico

denoniminatore comune: la libertà. A cui dobbiamo associare un forte sentimento di

solidarietà; nonostante la sua vita caratterizzata da una forte asocialità e ricercato

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isolamento, fu sempre solidale con i più bisognosi; durante la Seconda Guerra

Mondiale si prodigò per nutrire partigiani e compaesani, decimando le sue greggi,

andando quindi ad intaccare quelli che erano i suoi interessi principali: il possesso e

l'accumulazione.

La vita di Antonio Zanella si inserisce sia nella storia che nella leggenda;

protagonista involontario nelle vicende della Seconda Guerra Mondiale seppe però

affrontare la situazione senza mai tradire il suo temperamento, caratterizzato da

comportamenti inconsueti, che spesso la tradizione orale ha arricchito con elementi

curiosi ed originali, fino a trasformare i fatti storici in leggenda. Nella figura dell'Ors

di Pani si concentrano alcuni tratti tipici del mito dell'uomo selvatico (detto anche

uomo dei boschi), motivo narrativo caratteristico della tradizione orale: la scelta di

vivere lontano dai centri abitati in una sorta di autoemarginazione, l'abilità nella

produzione del formaggio, la propensione a vivere in gruppi sociali numericamente

poco consistenti, l'essere ritenuto originale e strambo per la sua condotta di vita, una

certa propensione per le attività amatorie e non da ultima la sua villosità,

caratterizzata da una peluria color fulvo.

Tutte caratteristiche che hanno favorito la cristallizzazione della sua figura nella

memoria collettiva come figura mitica.

Le fonti utilizzate sono di tre tipologie diverse : bibliografiche, archivistiche ed

orali.

Queste ultime sono il frutto di una serie di interviste a venti persone diverse per età,

estrazione sociale, provenienza geografica, istruzione e relazione con lo Zanella. Ho

preferito diversificare la natura delle fonti orali proprio per comprendere quanto

fosse diffusa la sua popolarità.

Inizialmente ho intervistato gli informatori più giovani, per comprendere quanto

fosse ancora vivo il ricordo di episodi diventati in breve tempo leggendari.¹

Successivamente ho incontrato persone più anziane che non avevano mai intrattenuto

rapporti diretti con l'Ors ma conoscevano maggiori dettagli e racconti rispetto ai

_______________________________________¹Andreina D'Ambrosi, Matteo Petris, Mario Sigalotti, William Toscano, Sergio Triolo ed informatori anonimi.

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giovani, i quali in genere ricordavano solo gli episodi più celebri o comunque più

stravaganti.²

In conclusione ho intervistato un piccolo gruppo di persone anziane che ebbero

rapporti diretti Zanella, essendo stati suoi amici, o lavoranti, o compaesani; cercando

in questo modo di arricchire le prime fonti, le cui narrazioni erano incentrate più

sulla leggenda ed il mito, con resoconti più precisi e dettagliati, per tentare di

giungere così ad una ricostruzione realistica, purgata il più possibile dalle fantasie

stratificatesi nei decenni.³ In molti casi i racconti sono stati avvalorati da prove

archivistiche.4 La ricerca bibliografica si è sviluppata inizialmente esaminando i

pochi testi che ricostruivano parzialmente la biografia di Antonio Zanella5 per poi

passare a pubblicazioni che si limitavano a descrivere più minuziosamente alcuni

eventi6. Le informazioni più dettagliate derivano dalle interviste ai testimoni diretti;

purtoppo il numero degli informatori è esiguo sia per gli evidenti limiti anagrafici

(molti contemporanei di Zanella sono ormai deceduti) sia per le peculiarità

caratteriali dei carnici, contraddistinti spesso da una chiusura che diminuisce le

possibilità di indagine (i carnici stessi si definiscono sierâts).7

_____________________________________² Giuseppe Bulfone, Ernestina Englaro, Alessandro Moroldo, Elia Polonia, Maurizio Vergendo,Miriam Vergendo ed informatori anonimi.³ Pier Arrigo Carnier, Romano Marchetti, informatori anonimi.4 Archivio comunale di Amaro, Archivio comunale di Raveo, Archivio di Stato di Udine, Archivio Generale dell'Azienda per i servizi sanitari n. 4 Medio Friuli di Udine (Dipartimento di salute mentale). 5 AVANZATO P.G., Gente di Tumieç : racconti. immagini e poesie, Tolmezzo, Edizioni Andrea Moro, 2004; CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, pp. 77-138; MARCHETTI R., L’Ors di Pani, Genova, La Lontra, 1993; ARIIS A., Antonio Zanella. L’ors di Pani tra leggenda e realtà, s.d., in http://digilander.libero.it/raveo/ORS_DI_PANI.PDF; Fuocolento in http://www.fuocolento.it/giornaledelmese; L'Ors di Pani in http://www.donneincarnia.it/pianetauomo/ors-di-pani.htm, 6 BALZAN R., Lassù dulà ch’al bailave l’Ors di Pani, in Cjargne e tradizion, Udine, La Vita Cattolica, 1988; CARNIER P.A. L’armata cosacca in Italia.1944-1945, Milano, Mursia, 1990; CHIARUTTINI N.,Ricuarz dal gno friûl, Udine , Arti Grafiche friulane, 1977; DE CANEVA T., La battaglia di Pani : 17-18-19 novembre 1944 : testimonianze,Udine, Arti grafiche friulane, 1971; DORIGO E., Il finimento del paese, Udine, Kappa VU edizioni, 2006; HEADY P., “Il popolo duro. Rivalità, empatia e struttura sociale in una valle alpina”,Udine, Forum, Editrice Universitaria Udinese, 2001; MAINARDIS A., Carnia fidelis, Reana del Rojale, Chiandetti editore, 1981; RIGAMONTI C.- ROS M., Carnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio 1978; DI RONCO M., Le malghe della montagna friulana attorno al Col Gentile, in www.ersa.fvg.it/informativa/notiziario-ersa/.../934.pdf; Libertà vo cercando..., intervista di Alberto Burgos a Romano Marchetti (18 marzo 2005) in Www.carnialibera1944.it. 7 Cfr. HEADY P., “Il popolo duro. Rivalità, empatia e struttura sociale in una valle alpina”,Udine, Forum, Editrice Universitaria Udinese, 2001, pp. 87-89.

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Sette intervistati mi hanno richiesto di mantenere l'anonimato8, principalmente

perché si sentivano in imbarazzo nel raccontare e diffondere episodi, a volte

spregiudicati e forse da loro considerati immorali, dell'esistenza di una persona

deceduta. Questa ritrosia l'ho rilevata soprattutto nelle persone più anziane. Queste le

difficoltà principali, a cui mi sento di aggiungere anche un personale iniziale disagio

dovuto alla mia timidezza.

Trattandosi di una ricostruzione biografica, la tesi è strutturata in ordine cronologico.

Nei primi due capitoli viene trattata la parte biografica, con la storia del padre, Ors

dell'Amariana, ed il primo insediamento della famiglia Zanella a Pani, l'avvicendarsi

di Antonio, l'incremento della proprietà fondiaria, i due matrimoni, i figli non

riconosciuti, la figlia con cui si narrava avesse un rapporto incestuoso.

Nel terzo capitolo, per comprenderne la vita abituale ho descritto la sua attività

lavorativa nel contesto agropastorale di Pani.

Il quarto capitolo è completamente dedicato all'aneddoto più famoso dell'Ors di Pani,

quello per cui probabilmente è diventato leggendario e che comunque ha colpito

maggiormente l'immaginario popolare: l'episodio che lo vide "imbandire" una tavola

in un locale alla moda con biglietti da mille lire al posto della tovaglia al rifiuto del

cameriere di servirgli il pasto. Di questo accadimento ho raccolto molte varianti.

Nel quinto capitolo ho analizzato il rapporto di Zanella con il sesso femminile in

genere, e in particolare alle tre donne che gli sono state più vicine, la prima moglie

Domenica Mainardis, deceduta al manicomio femminile di Gemona, la seconda

moglie Domenica Zanier, dalla quale ebbe tre figli mai riconosciuti. Questa fu

scacciata da casa quando fece ritorno a Pani la terza figura femminile, forse la più

importante e a lui vicina, ovvero la primogenita Maria, l'unica figlia riconosciuta,

con cui si racconta ebbe un rapporto incestuoso.

Il sesto capitolo è dedicato al periodo della Seconda Guerra Mondiale e alle vicende

che videro contrapposte le brigate partigiane e l'esercito nazifascista (compreso

l'alleato "cosacco") in Carnia.

______________________________8 Verranno indicati come "informatori anonimi".

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Non solo Pani divenne teatro di battaglie, ma anche rifugio di partigiani.

L'Ors si trovò a dover foraggiare le truppe cosacche con fieno per cavalli e a

decimare le greggi e le sue consistenti riserve di cibo per sfamare i suoi conterranei e

le brigate partigiane. Tra gli episodi che riporto, la battaglia di Pani e il rischio

fucilazione dell'Ors da parte dei cosacchi.9 Nel settimo capitolo ho raccolto alcune

testimonianze, dirette ed indirette, con l'intento di facilitare la comprensione della

complessa quanto eccentrica personalità di Zanella.

L'ultima parte di questa indagine, grazie anche alla risonanza che ebbe al tempo sui

quotidiani, ripercorre la notte dell'assassinio di Antonio e Maria Zanella, il lavoro

degli inquirenti e il successivo processo conclusosi con la condanna dell'assassino,

Romano Lorenzini.10

_________________________________________________________ 9 ALFARÈ B.., Carnia Libera 1944: guida al museo, Udine, Kappa Vu Edizioni, 2006; ANGELI G.. - CANDOTTI N., Carnia libera: la Repubblica partigiana del Friuli, estate-autunno 1944, Udine, Del Bianco, 1971; CARNIER P.A., 18.000 cosacchi in Carnia, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, pp. 41-67; CARNIER P.A, L’armata cosacca in Italia.1944-1945, Milano, Mursia, 1990; DE CANEVA T., La battaglia di Pani : 17-18-19 novembre 1944 : testimonianze,Udine, Arti grafiche friulane, 1971; GORTANI M, Il martirio della Carnia dal 14 marzo 1944 al 6 maggio 1945: una pagina di storia della resistenza, Pasian di Prato, Leonardo editrice, 2000; RIGAMONTI C. - ROS M, La Resistenza in Carnia e le vicissitudini della gente di Raveo, in Carnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio,1978, pp. 52-59; SIBILLE SIZIA B., La terra impossibile, Udine, Doretti, 1991; VENIR G, I cosacchi in Carnia: 1944-1945;BUVOLI A.- DOMENICALI I., 1940-1945 : la seconda guerra mondiale e la resistenza in Friuli, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 1995; AA.VV., Movimento di liberazione in Friuli, 1900-1950, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 1973; BUVOLI A.-DOMENICALI I.., La zona libera della Carnia e del Friuli, Comunità Montana della Carnia, s.d.; s.d.; BUVOLI A.- NIGRIS C.., Percorsi della memoria civile. La Carnia. La Resistenza, Ist. Friulano Storia del Movimento di Liberazione - Comunità Montana della Carnia, 2004.10 Il “patriarca della Carnia” e la figlia uccisi nella notte a colpi di fucile, in “Messaggero Veneto”, 8 marzo 1955, pp. 4-7; Nelle progettate nozze di Maria Zanella la chiave del dramma nella baita solitaria? , in “Messaggero Veneto”, 9 marzo 1955, p. 4; Amori e stranezze dell' “ors di Pani” in “Messaggero Veneto”, 9 marzo 1955, p. 5; L'”Ors di Pani” e sua figlia uccisi per vendetta da un giovane di ventiquattro anni amico di casa in “Messaggero Veneto”, 10 marzo 1955, pp. 4-5; Freddo e cinico l'assassino di Raveo afferma di aver ucciso per vendetta, in “Messaggero Veneto”, 11 marzo 1955, p. 4; Ritrovato lo zainetto dell'”Ors”, con tessuti, un binocolo e sigari, in “Messaggero Veneto”, 12 marzo 1955, p.5; L'assassino di Pani nella prossima Assise, in “Messaggero Veneto”, 16 aprile 1955, p. 4; Apre i battenti la Corte d'Assise, in “Messaggero Veneto”, 29 maggio 1955, p.4; Oggi in Assise il processo per il duplice omicidio di Pani, in “Messaggero Veneto”, 8 giugno 1955, p. 4; L'assassino dell'”Ors di Pani” sarà sottoposto a perizia psichiatrica, in “Messaggero Veneto”, 9 giugno 1955, p.4-5; Affidata ad uno psichiatra udinese la perizia dell'omicida di Raveo, in “Messaggero Veneto”, 24 giugno 1955, p.4; Lunedì Romano Lorenzini aprirà la serie dei processi sensazionali, in “Messaggero Veneto”, 6 aprile 1956, p.4; Sfuggirà all'ergastolo l'omicida dell'”Ors di Pani”? in “Messaggero Veneto”, 9 aprile 1956, p.3; L'assassino dell'”Ors di Pani” dice di aver ucciso per vendetta, in “Messaggero Veneto”, 10 aprile 1956, p. 4-5; Stasera molto probabilmente Romano Lorenzini conoscerà la sua sorte, in “Messaggero Veneto”, 11 aprile 1956, p. 4; A trent'anni di reclusione condannato l'omicida di Raveo, in “Messaggero Veneto”, 12 aprile 1956, p. 4-5.

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“Una curiosa e solitaria figura di patriarca delle

montagne, l'Ors di Pani, un vecchio selvaggio e

ricchissimo, generoso e torbido, che aveva aiutato i

partigiani e finì, anni dopo, assassinato per incerti e

foschi motivi”.¹

Claudio Magris

1. Antonio Paolo Zanella

Antonio Paolo Zanella nasce il 10 gennaio 1887 ad Amaro, comune montano in

provincia di Udine, collocato su un declivio ai piedi del monte Amariana alla

confluenza del fiume Fella nel Tagliamento, da Tomaso Zanella e Maria Monai.

Il 12 gennaio 1887, alle “ore pomeridiane quattro e trenta minuti” nella casa

Comunale Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Amaro avviene la registrazione

dell'atto di nascita; vi compare Zanella Tomaso fu Antonio, di anni ventotto,

agricoltore, domiciliato in Amaro, “il quale ha dichiarato che alle ore antimeridiane

otto del dì dieci del corrente mese, nella casa posta in Amaro, via Tolmezzo al

numero settantaquattro, da Monai Maria Antonia, contadina, sua moglie, seco lui

convivente e domiciliata è nato un bambino di sesso mascolino che esso mi presenta

_____________________________________¹ MAGRIS C., Mussolini bocciato .Un documento inedito sul giovane Benito che nel 1907 insegnò alle elementari di Tolmezzo, in Carnia, in “Corriere della sera”, 27 febbraio 1993, p. 27.

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a cui dà il nome di Antonio Paolo”.²

Ad Antonio Zanella seguiranno poi altri quattro figli: Antonia Lucia (18 dicembre

1891), GioBatta (5 giugno 1898), Margherita Valentina (14 febbraio 1901) e Paolo

Nicolò (1 luglio 1903).

Il padre, Tomaso fu Antonio, classe 1858, nato anch'egli ad Amaro, era detto “Ors

dell’Amariana”. Di lui si hanno pochissime notizie, ma pare che fosse un abile

affarista nonché contrabbandiere, ed avesse come unico interesse il possesso sempre

maggiore di terreni e il loro sfruttamento.³

Per questo si mosse dalla zona di Amaro fino alla conca di Pani in modo da

espandere i suoi possedimenti. La località di Pani si trova nel comprensorio del

comune di Raveo, ed è situata in uno splendido altopiano con una straordinaria

varietà paesaggistica ed ambientale, forse uno dei luoghi più belli della Carnia, con

vegetazione rigogliosa e vaste distese di pascoli, che in primavera ed estate si

riempiono di distese di fiori; foreste di conifere colorate ed ingentilite da macchie di

faggi e roveri, che in tarda estate si popolano di funghi, dominata sullo sfondo dal

Coladôr, dal massiccio montuoso del Col Gentile e dal monte Avedrugno.

La cinta montuosa che incastona la Conca di Pani, inizia ad ovest con il monte

Veltri, che insieme al Col Gentile forma un gruppo di cime isolato, per giungere ad

est al monte Avedrugno; sono tutti monti caratterizzati da fianchi ripidi e quasi

totalmente ricoperti da vegetazione.

Molto diversi dal monte Amariana, povero di vegetazione e ricco di pascoli sassosi,

che evidentemente mal si adattava all'alpeggio.

Un luogo incantevole che d'estate si trasforma in un enorme giardino con un tripudio

di fiori dai colori sgargianti, completato da una ricca presenza di api e farfalle, ma

____________________________² Trascrizione dal Registro delle nascite, Ufficio Anagrafe, Archivio Comunale di Amaro.³ CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, pp. 77-89. Pier Arrigo Carnier, Giuseppe Bulfone, Elia Polonia ed informatori anonimi.

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anche di svariate specie di uccelli.4

La Conca di Pani inoltre ben si prestava all’insediamento di attività agricole e

d’allevamento, vista l’ottima posizione quasi sempre soleggiata, la fertilità dei prati e

la ricchezza d’acqua.

Pani originariamente si chiamava “Piani”, il nome derivava probabilmente dalla

struttura della conca, molto simile ad un falso piano; con lo scorrere del tempo e

l'utilizzo del termine nel linguaggio comune, si è verificata la caduta della vocale.5

Pani era molto lontano da Amaro; la distanza risultava evidentemente superiore nei

primi anni del Novecento, dato che gli spostamenti erano effettuati principalmente o

a cavallo degli asini o semplicemente a piedi. Ma per la sua conformazione la Conca

di Pani era un luogo molto interessante a livello imprenditoriale, soprattutto per gli

Zanella che si occupavano principalmente di allevamento e pastorizia.

Si trattava di un luogo difficile da raggiungere (anche al giorno d’oggi la piccola

strada, stretta e un poco dissestata, è tutt’altro che agevole).

Non erano state costruite strade battute, solo sentieri ed una mulattiera che non

arrivava fino a Pani (si fermava forse a Fieris), alla scomparsa della quale era

comunque necessario calcolare altri venti minuti di cammino a piedi per raggiungere

la conca, attraversando il Chiarsò, un torrente che poteva rivelarsi minaccioso in certi

momenti dell’anno, con pericolose piene, ma solitamente parco di acque.6

L’occasione per lo spostamento dell’Ors dell’Amariana, nel 1907, da Amaro a Pani

giunse da Caterina Muser, che viveva a Pani insieme al figlio. Rimasta

prematuramente vedova (si racconta che il marito morì colpito da un fulmine mentre

si riparava da un temporale accanto ad un larice) decise di accettare l'offerta di

Zanella.

__________________________________4 DEL FABBRO N., Lu regno dall'ors di Pani in “Friuli nel mondo”, maggio 1995, p. 6.5 RIGAMONTI C. - ROS M., Nella conca incantata di Pani, in Carnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio, 1978, p. 7.6 Romano Marchetti ed informatori anonimi.

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Stabilì così di abbandonare Pani insieme al figlio, per non tornarci mai più.

L’Ors dell’Amariana comprò i terreni pagandoli con delle monete d’oro, di cui non è

certa la provenienza. Pare che questa disponibilità di monete d’oro avesse provocato

l’invidia degli abitanti del luogo, che ribattezzarono il gruzzolo come “oro

maledetto”.7

Questo il racconto dell'arrivo di Tomaso Zanella a Pani di Raveo.

Consultando le documentazioni custodite all'Archivio di Stato di Udine8, sono

riuscita a ricostruire l'insediamento della famiglia Zanella.

Le prime tracce di Tomaso Zanella vengono registrate nel 1908. Il 5 ottobre del

1908, il notaio Bonanno di Ampezzo registra una serie di vendite a favore di Tomaso

Zanella.

La prima9, pari a 12.307 mq, viene ceduta da Zanier Pietro di Domenico (vengono

omessi i passaggi intermedi della voltura che vedevano in precedenza Zanier Pietro e

Maria di Domenico, Bearzi Giusto di Pietro, Zanier Pietro Antonio e Giuseppe di

Leonardo proprietari e Caterina di Mattia vedova Zanier, usufruttuaria in parte).

Sempre in data 5 ottobre, sono presenti le registrazioni di altri passaggi di proprietà

sempre ceduti da Zanier Pietro di Domenico a Tomaso Zanella: 7.930mq (cinque

mappali), 967 mq (tre mappali), 904 mq (un mappale), per un totale di 221.080mq.10

Nel 1909 i possedimenti dei Zanella continuano ad incrementarsi.

Il 27 gennaio 1909, al cospetto del notaio Mussiniano di Tolmezzo, vengono

registrati ulteriori atti di vendita.

_________________________________7 CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, pp. 87-89.8 Mappa del comune censuario di Raveo ed Unito distretto XVIII di Ampezzo, Provincia del Friuli, rettificata nell'anno 1846. Desunta dall'originale approvato dall'I.R. Giunta per l'attivazione del nuovo Censo mediante Decreto 7 febbraio 1851, n° 46288 del Collegio dei Periti dell'I.R. Giunta del censimento, Archivio di Stato di Udine.9 Libro delle partite d'estimo dei Possessori del Comune censuario di Raveo, Archivio di Stato di Udine, foglio 1018.10 Ibidem, fogli 1019, 1020,1021.

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In particolare, Tomaso Zanella acquisisce 129.743 mq (ventinove mappali) ed in

un'altra registrazione 6.662mq (due mappali) da Beorchia Micoli Giovanbattista fu

Giovanni. Nella stessa data vengono registrati altri 8.462 mq (tre mappali) a favore

dello Zanella comprati da Lorenzini Francesco, Domenico, Giacomina, Iola, Maria,

Santa e Vittoria di Pasquale (proprietari) e Zanier Maria Anna di Leonardo vedova

Lorenzini (usufruttuaria in parte).11

Sempre nel 1909, il tre giugno, sempre di fronte al notaio Mussiniano di Tolmezzo,

Zanella compra altri 61.957 mq (quattordici mappali) ed in una seconda

registrazione, ulteriori 1.800 mq (un mappale) da Fabris Vincenzo di GioBatta.12

I pochi ricordi sull’Ors dell’Amariana si limitano a qualche sfumatura caratteriale.

Pare fosse un possidente autoritario, burbero, interessato solo al dominio di terreni ed

animali, dedito all’alcool ma contestualmente lavoratore indefesso con uno spiccato

senso per gli affari.13

Le persone che ho intervistato riportano labili ricordi su di lui; alcune di esse non

erano neppure a conoscenza della sua esistenza e del suo soprannome. Un piccolo

numero di persone più anziane ricordano invece un secondo “Ors dell’Amariana”,

fratello di Tomaso, di carattere simile al fratello e con la stessa bramosia di

possedimenti.14

Si spostò anch’egli da Amaro, ma in direzione Pramosio, in particolare nei pascoli

della Cercevesa, che si trova in comune di Paluzza, sulle pendici della Creta di

Timau.

Come Pani, anche Pramosio è un luogo difficilmente accessibile; per raggiungere

l’alpeggio, incastonato in un incantevole paesaggio, è necessario attraversare la

“Foresta Pramosio” (ricca di faggi, abeti rossi ed abeti bianchi).

_________________________________11 Libro delle partite d'estimo dei Possessori del Comune Censuario di Raveo, Archivio di Stato di Udine, fogli 1218, 1024, 1219.12 Ibidem, fogli 1221, 1220. 13 CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957,pp. 89-90.14 Giuseppe Bulfone ed informatori anonimi.

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Secondo la maggior parte delle persone che ho potuto intervistare, le proprietà di

Pramosio non appartenevano allo zio, ma a Tomaso stesso, dove pare andasse a

monticare prima di spostarsi a Pani.15 Tomaso dimostrò di essere quindi un abile

affarista con uno spiccato ingegno imprenditoriale.

Antonio Zanella, Toni per gli amici, seguì il padre a Pani insieme alla sorella

Margherita, per aiutarlo nella gestione dei nuovi pascoli.16

Purtroppo il rapporto tra i due era molto burrascoso. La tensione riguardava molti

ambiti, partendo dalla conduzione dei pascoli e delle greggi fino ad arrivare a

controversie familiari.17

Dopo qualche anno di difficile convivenza, il primo giugno 1912, ad Amaro,

Antonio Zanella sposò Domenica Mainardis, anch’essa originaria di Amaro, nata il

19 dicembre 1885 da Nicolò Mainardis e Maria Pozzi.18

I rapporti tra padre e figlio divennero sempre più tesi; l’arrivo di Domenica non fece

altro che incrinarli ulteriormente. Tomaso Zanella si era invaghito della nuora e la

situazione stava diventando insostenibile.

Domenica Mainardis divenne l’ennesimo oggetto di contesa tra padre e figlio,

insieme ai possedimenti ed agli animali.

Il 7 aprile 1913, ad Amaro, Domenica diede alla luce Maria Teresa, la prima dei figli

dell’ Ors di Pani, nonché l'unica riconosciuta, ma questo non portò ad un

miglioramento della situazione, anzi, sembra che Domenica fosse così spaventata da

divenire pazza.

Pochi si ricordano di lei; il ricordo comune si limita alla sua pazzia.

____________________________________15 Pier Arrigo Carnier, Alessandro Moroldo, Maurizio Vergendo, Miriam Vergendo ed informatori anonimi. 16 DI RONCO M., Le malghe della montagna friulana attorno al Col Gentile, in www.ersa.fvg.it/informativa/notiziario-ersa/.../934.pdf .17 CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, pp. 90-91.18 Ufficio Anagrafe, Archivio comunale di Raveo ed Archivio comunale di Amaro.

12

Ilus
Barra
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Le uniche testimonianze che sono riuscita ad estrapolare si riferiscono alla sua

instabilità mentale. Probabilmente Domenica non visse mai a Pani, o ci visse per

periodi molto limitati, infatti nessuna delle persone più anziane si ricorda di una sua

presenza in malga; plausibilmente rimase ad Amaro con la sua famiglia natia per

crescere la figlia, mentre il marito viveva e lavorava quasi stabilmente in Pani.

Questa ipotesi è supportata dalla totale mancanza di registrazioni di variazione di

domicilio o residenza sia negli archivi del comune di Amaro che in quelli del

comune di Raveo.

Le uniche documentazioni di cui sono a conoscenza si riferiscono ad una richiesta

del Podestà di Amaro al manicomio Provinciale di Udine, datata 11 luglio 1929.19

Il giorno seguente fu infatti ricoverata presso la struttura udinese, accompagnata da

un certificato medico con la diagnosi di melanconia.

Mi è stata raccontata una diceria che all’epoca attraversava la valle, che se potesse in

qualche modo essere confermata andrebbe a spiegare il particolare rapporto tra

Antonio Zanella e la primogenita Maria, che andremo a specificare più avanti.

La voce che correva in paese, mai comprovata, riguardava la paternità di Maria

Teresa.

Gli informatori20 ricordano che quando Antonio Zanella sposò Domenica Mainardis,

quest’ultima fosse già incinta, ma non di Antonio bensì del padre Tomaso Zanella.

Essendo Tomaso già sposato con Maria Monai (madre naturale di Antonio), obbligò

il figlio a sposare la Mainardis e ad assumersi la paternità di Maria Teresa. Antonio e

Maria Teresa non sarebbero quindi padre e figlia ma fratellastri da parte di padre.

Se i fatti fossero realmente andati in questo modo, risulterebbe più comprensibile sia

il loro rapporto esclusivo sia le cause che hanno contribuito a portare la Mainardis ad

un disturbo mentale. Nei registri comunali però non vi è alcuna traccia di

quest’eventuale paternità di Tommaso.

________________________________

19 Richiesta di internamento di Domenica Mainardis, conservato presso l'Archivio Generale dell'Azienda per i servizi sanitari n. 4 Medio Friuli di Udine, Dipartimento di salute mentale.20 Miriam Vergendo, Elia Polonia ed informatori anonimi.

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Sia all’anagrafe di Raveo che in quella di Amaro (dove si specifica che Antonio

Zanella non era presente alla nascita della figlia, poiché lontano da Amaro per

lavoro), Maria Teresa risulta figlia naturale di Antonio Zanella e Domenica

Mainardis.21

In realtà le date non coincidono (primo giugno 1912 e 7 aprile 1913): se

effettivamente fosse stato Tomaso a mettere incinta Domenica Mainardis prima del

matrimonio con Antonio, la gravidanza di Domenica sarebbe durata dieci mesi

abbondanti. L'ipotesi quindi di un matrimonio riparatore, non sussiste. L'unica

possibilità che potrebbe supportare l'ipotesi di una paternità di Tomaso è che egli

abbia abusato della nuora successivamente al matrimonio, ma non ho alcun elemento

per poterlo comprovare.

Successivamente all’abbandono di Domenica, le persone più anziane ricordano che

l’Ors dell’Amariana lasciò Pani portando con sé la nipote, ritornando a vivere alle

pendici dell’Amariana. Antonio Zanella divenne così padrone assoluto delle terre e

del bestiame.

Molte persone ricordano invece la morte dell’Ors dell’Amariana, che avvenne nel

1937. Il ricordo della sua morte è più vivo probabilmente a causa della situazione

grottesca e violenta in cui si verificò.

La versione più comune22, su cui si sono trovati quasi tutti d’accordo, e forse per

questo a mio avviso più accreditata, riporta che Tomaso Zanella, dopo un’importante

sbornia ad Enemonzo, era in procinto di ritornare verso Piano d’Arta (nella Valle del

But) insieme a due dei suoi muli.

Probabilmente a causa dell’ubriacatura, decise infilare i piedi nelle staffe di ambedue

i muli (un piede per ogni mulo, quindi), forse nel tentativo di controllarli meglio.

Accadde che i due muli, spaventati da qualcosa (su questo punto nessuna delle mie

fonti ha saputo essere chiara) si misero a correre in direzioni opposte con un impeto

______________________________________21 Registro delle nascite, Ufficio Anagre, Archivio comunale di Raveo e di Amaro.22 Romano Marchetti, Alessandro Moroldo, Mario Sigalotti, Elia Polonia, Ernestina Englaro, Sergio Triolo, Miriam Vergendo, Andreina D'Ambrosi ed informatori anonimi.

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tale da staccargli le gambe dal tronco. Morì quindi dilaniato.

Anche il Messaggero Veneto, negli articoli pubblicati in seguito all’assassinio di

Antonio e Maria Zanella, che esamineremo nell’ultimo capitolo, riportano una

variante simile alla precedente:

“ E nella mente di questi semplici montanari tornerà, seguendo le due bare, il ricordo della tragica fine che il vecchio padre di Toni, detto “Orso dell’Amariana”, fece molti anni orsono, quando, nella zona di Imponzo, scendeva con due cavalli per portarsi a Tolmezzo. Egli era sulla sella di uno dei due animali e teneva il piede nella staffa dell’altro, quando le due bestie si imbizzarrirono partendo in diverse direzioni, sicchè lo sventurato finiva squarciato in due”.23

Pier Arrigo Carnier, nel suo racconto “L'Ors di Pani”24, riporta la stessa versione sia

del Messaggero Veneto che delle testimonianze orali. E vi aggiunge un dettaglio che

nessuno ricordava o conosceva: la causa che scatenò l'imbizzarrimento dei muli.

Secondo Carnier infatti, mentre si stava dirigendo verso una località imprecisata

della valle del But (quindi poteva trattarsi sia di Imponzo che di Piano D'Arta), si

trovò di fronte ad un cane bianco infuriato, che si piantò davanti ai muli digrignando

i denti, terrorizzandoli tanto da impennarsi bruscamente e correre in direzioni

diverse, tranciando così le gambe al malcapitato.

___________________________________________23 Amori e stranezze dell' “Ors di Pani” in “Messaggero Veneto”, 9 marzo 1955, p. 5.24 CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, pp. 91-92.

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1.2. Antonio Zanella diventa l’Ors di Pani

Antonio Zanella, dopo la partenza del padre, rimase quindi proprietario degli stavoli

di Pani. Seguì però l'esempio del padre e cominciò anch'egli ad incrementare il suo

"possesso". Come il padre, era affascinato dagli affari cospicui (ricordo che con due

transazioni, una del 1905 e l'altra del 1909, l'Ors dell'Amariana comprò una

sostanziosa parte della conca, pari a circa un terzo abbondante dell'estensione

dell'intera Pani, come si può notare alle tavole 1 e 2).

Era solito infatti procedere a compravendite di ingenti quantitativi di capi di

bestiame, pratica che lo portava a spingersi fino in Cadore.¹ Sempre dal padre aveva

mutuato una percezione forse un po' deviata dell'esperienza lavorativa, che diventò

anche per lui quasi un'ossessione.

Dedicò infatti l'intera sua esistenza al lavoro. Più che una scelta di vita potrebbe

essere intesa come una vera e propria dipendenza, che mise in pericolo e logorò sia i

rapporti sociali che le relazioni familiari, che come descriverò più avanti, erano

molto difficili e tese.

Certamente Zanella incarna lo stereotipo del carnico lavoratore per il quale la

vocazione del singolo è la realizzazione per mezzo del lavoro, rispondendo

perfettamente alle aspettative sociali dell'essere produttivo. La percezione che ho

avuto, ascoltando le persone che avevano vissuto a stretto contatto con lui, è che

questa peculiarità carnica fosse in lui esacerbata, portandolo ad un'irrequietudine che

derivava dalla necessità di possedere sempre di più.²

Ciò non si limitava al desiderio di disporre di un elevato numero di capi di bestiame,

ma si realizzava anche nella bramosia di un vero e proprio dominio della terra

circostante.

__________________________________________¹ CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, p. 92.² Romano Marchetti, Pier Arrigo Carnier ed informatori anonimi.

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In particolare, il 16 ottobre del 1910 (tavola n° 3), davanti al notaio Mussiniano di

Tolmezzo, registrò l'atto di vendita di 1.635 mq (cinque mappali) comprati da Fabris

Vincenzo di Giobatta³, andando così ad accrescere ulteriormente la già considerevole

proprietà di famiglia. Evidentemente lo scopo di Antonio Zanella era di diventare

lentamente l'unico padrone dell'intera conca, quasi a volerne divenire una sorta di

"imperatore"4, dove poteva dettare le proprie leggi ed aumentare la produzione

lattiero casearia rafforzando in questo modo anche il suo patrimonio.

Antonio preferiva essere chiamato Toni, ma lentamente cominciò ad essere per tutti

l’“Ors di Pani”.

Ci sono varie componenti che ci possono portare alla definizione di questo

soprannome.

Una chiave di lettura può essere l’eredità del soprannome paterno. Il padre,

dopotutto, era riconosciuto da tutti come “Ors dell’Amariana”, quindi si potrebbe

giungere alla conclusione che “Ors di Pani” sia semplicemente un soprannome

ereditario, patronimico, dove varia solamente la connotazione geografica. Alcune

persone che ho intervistato, maggiormente le più anziane, riconducono l'origine del

soprannome esclusivamente alla linea ereditaria, ricordando che appunto Antonio

Zanella non era altro che il figlio dell'Ors dell'Amariana e che, seguendo le orme

paterne nella veste di imprenditore che viveva isolato nelle proprie malghe, non

avrebbe potuto essere chiamato diversamente.5 Sembra quasi che abbia sostituito il

nome ed il cognome e, ereditandolo da una generazione alla successiva, sia finito per

diventare un vero e proprio secondo nome.

Il soprannome, che risponde ad esigenze di concretezza e a ricerca di espressività,

spesso scherzosa e ludica, ha molte volte un significato trasparente, alludendo per lo

più a caratteristiche fisiche della persona cui è riferito, accennando a particolari

attitudini e qualità con similitudini e metafore popolari o modi di dire, ricordando il

luogo di nascita o di provenienza o una parentela, o episodi e circostanze varie.

________________________________________

³ Libro delle partite d'estimo dei Possessori del Comune censuario di Raveo, Archivio di Stato di Udine, foglio 1220.4 Romano Marchetti, informatore.5 Pier Arrigo Carnier, Elia Polonia, Maurizio Vergendo, Miriam Vergendo, Matteo Petris, Giuseppe Bulfone, William Toscano ed informatori anonimi.

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Ritengo che il soprannome “Ors di Pani” derivi da una commistione di ereditarietà,

caratteristiche fisiche e caratteriali.

All’epoca l’orso era un animale ancora ben conosciuto in Carnia (gli ultimi

avvistamente risalivano all'inizio del Novecento), quindi soprannominare Zanella

“Ors” poteva essere un tentativo di dargli una connotazione familiare. L'orso è

l'incarnazione di pulsioni quali la chiusura e l'asocialità ed i carnici sono

storicamente e culturalmente espressione di una certa indipendenza di tipo asociale.

Antonio Zanella ne era e ne è sicuramente il simbolo. Anch'egli era irsuto e selvatico.

Per la maggior parte dell'anno Zanella viveva nelle sue malghe e nei suoi stavoli,

lavorando duramente e scendendo a valle di rado, principalmente per commerciare o

per sbrigare qualche pratica burocratica.6 A suo modo conduceva uno stile di vita che

poteva avvicinarlo ad un eremita, ovviamente nel senso etimologico del termine,

ovvero nel senso di solitario, senza implicazioni di tipo religioso. Anche l'orso può

essere considerato una sorta di eremita: dopotutto l'orso vive in solitudine,

solitamente rifugiato nel cuore della foresta, lontano dagli altri animali, lontano dal

mondo "umano", quasi a volersi difendere preventivamente dai vari pericoli e dalle

varie tentazioni che una vita nel mondo comune può presentare.7 Questa solitudine

porta l'orso ad adattarsi all'ambiente ed al clima che lo circonda, nello stesso modo si

può pensare che Antonio Zanella si sia adattato al clima ed alla mancanza del benché

minimo comfort che Pani gli ha riservato, un clima ben più rigido della natia Amaro

e sicuramente povero delle seppur minime comodità di cui all'epoca si poteva

disporre.

Un'altra caratteristica che accomuna l'orso ad Antonio Zanella è di tipo caratteriale.

Gli orsi infatti hanno un'indole più asociale che violenta.8 Vivono spesso appartati e

diventano aggressivi e distruttivi solo se vengono attaccati oppure se qualcuno

invade i loro territori; anche l'Ors di Pani viveva lontano dalla civiltà civile ed a

_______________________________________6 Romano Marchetti, Pier Arrigo Carnier, Elia Polonia, Alessandro Moroldo, Sergio Triolo ed informato- ri anonimi.7 PASTOUREAU M., L’orso. Storia di un re decaduto, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2008, p. 111.8 AA.VV., Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana fondato da Giovanni Treccani, Istituto Poligrafico dello Stato, 1949.

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contatto con la natura in modo piuttosto pacifico e si adirava ed irritava solo quando

qualcuno penetrava senza permesso nel suo territorio od andava a intaccare il suo

patrimonio, che si trattasse di terreni, animali o semplice sottrazione di tempo

dall'orario di lavoro.

L’orso è un animale imponente ma allo stesso tempo tozzo e dalle movenze goffe,

con un folto pelo bruno rossiccio (ovviamente il modello di riferimento è l'orso

bruno, ovvero la specie che si poteva ritrovare in Carnia) e degli occhi piccoli e

penetranti. Anche Zanella era così, non molto alto ma imponente, con una lunga

barbara ispida e rossiccia che gli arrivava fino al petto e due occhi piccoli, pungenti

ed infossati nel viso scarno. Nelle svariate foto che ho potuto visionare, forse ciò che

mi ha colpito di più erano proprio i suoi occhi; anche chi l'ha conosciuto ricorda

benissimo il suo sguardo.

Gli occhi erano quasi nascosti da tutto quel "pelo"; Antonio Zanella portava infatti,

oltre all'importante barba, anche i capelli piuttosto lunghi e disordinati, con un taglio

che potremmo definire alla nazzarena e delle sopracciglia molto folte ed arruffate.

Nascosti in tutta questa peluria ("lane") spiccavano due occhi vivacissimi, veloci,

attivi nell'osservare tutto ciò che gli accadeva attorno, a volte esprimevano diffidenza

ed a volte spregiudicatezza, spesso severi ma anche in grado di avere la morbidezza

della dolcezza e della generosità.

Anche il suo abbigliamento dava l'idea di un uomo "selvatico", abituato a vivere

lontano dalla comunità civile. La foggia dei suoi abiti lo faceva sembrare poco più di

un pezzente. Vestiva infatti in maniera dimessa e trasandata, con giacche abbondanti,

simili a quelle utilizzate dai cacciatori, di lana grezza, che ricavava artigianalmente

dalle sue pecore, di colore grigio scuro (la tonalità era dovuta dalla diversa tipologia

di lana utilizzata, bianca e nera); comodi pantaloni che portava fin sopra l’ombelico,

generalmente sostenuti da uno spago al posto della cintura; camicie di flanella che

amava indossare quasi sempre sbottonate sul davanti.9

_____________________________________9 ARIIS A., Antonio Zanella. L’ors di Pani tra leggenda e realtà, s.d., rintracciabile in http://digilander.libero.it/raveo/ORS_DI_PANI.PDF.

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Era solito calzare ai piedi delle dàlmine, ovvero degli zoccoli intagliati da un solo

pezzo di legno, che venivano un tempo utilizzate per i lavori pesanti oppure per

camminare sui terreni umidi, spesso chiodate nella suola per affrontare il suolo

coperto di neve o ghiaccio. Anche il suo abbigliamento sottolineava quindi

determinati aspetti della sua personalità, in primis esprimeva la sua condizione di

"uomo antico", che viveva in modo anacronistico rispetto ai suoi contemporanei, ma

nello stesso tempo anche il suo saper essere un "uomo libero" dalle convenzioni

sociali ed incurante ed indifferente alle chiacchere della gente. Libertà che si

esprimeva anche nell'autosufficienza economica, non solo limitatamente alla

produzione alimentare, ma anche alla realizzazione di capi di vestiario quindi.

Autosufficienza che portava anche al risparmio. La maggior parte delle persone

anziane mi hanno raccontato di una fissazione quasi patologica di Antonio Zanella

per il risparmio. Il lavoro ed il risparmio erano la base della sua attività

imprenditoriale, ma anche della sua vita privata.

Nella sua visione il tempo doveva essere utilizzato esclusivamente per lavorare e

produrre, non andava sprecato, così come non dovevano essere sprecati i beni.

Il risparmio ed il lavoro erano per lui un assillo: mi è stato raccontato che non

permetteva neppure alle donne di fare il bucato, sostenendo che non bisognava

perdere tempo ma impiegare tutte le proprie forze nel lavoro, che diventava così

evidentemente più importante della pulizia.10

Questo modo di porsi era ovviamente motivo di litigi e baruffe, soprattutto

all’interno del nucleo familiare. Ma la vita di Antonio Zanella non veniva disturbata

dal clima teso che si era creato, nonostante molti lo definiscano, anche oggi, un

despota all'interno della propria famiglia (ma anche con i lavoranti meno laboriosi),

egli continuava caparbiamente dritto per la sua strada, essendoci nelle sue

inclinazioni e nei suoi desideri un incontenibile stimolo di grandezza, una volontà di

diventare padrone di sempre maggiori appezzamenti.

___________________________________10 Informatore anonimo.

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Certamente questo lato del suo carattere spigoloso, burbero, severo e duro lo

avvicina al modo di dire "essere un orso", presente in quasi tutte le lingue e culture

indoeuropee.11

Con l'espressione "essere un orso" comunemente si vuole indicare una persona con

un carattere non facile (un "caratteraccio") delineato da peculiarità come la rozzezza,

l'asocialità, la brutalità, la solitudine, la collera e selvatichezza. Per molti versi

Antonio Zanella è identificabile con queste caratteristiche.

Non a caso, quindi, era detto l'Ors di Pani. E non a caso in Carnia esiste un modo di

dire molto comune: “tu sês come l’Ors di Pani” ("sei come l'Ors di Pani") utilizzato

quando si vuole riprendere qualcuno per il suo brutto carattere o per i suoi modi

bruschi o per un'eccessiva schiettezza o per degli atteggiamenti rudi e burberi oppure

ancora per descrivere chi esprime un'indole scontrosa; ma "essere come l'Ors di

Pani" significa anche essere fondamentalmente asociali, vivendo in maniera solitaria

dove la solitudine è razionalmente cercata.

Ma questa non è l'unica espressione tipica riferibile ad Antonio Zanella. Molti

bambini sono cresciuti con lo spauracchio dell'Ors di Pani12, che veniva utilizzato in

Carnia in sostituzione all'"uomo nero" o del "Babau". Quando i bambini non

volevano mangiare oppure non volevano dormire, veniva evocata la figura dello

Zanella; se non avessero chiuso gli occhi e non si fossero addormentati come

richiesto, i genitori avrebbero chiamato l'Ors di Pani ( "Se no tu duarms clami l'Ors

di Pani", "se non dormi chiamo l'Ors di Pani", è stato un monito che ha

accompagnato la mia infanzia. Me lo ripeteva spesso mio nonno, originario di Sezza

di Zuglio, prima di farmi addormentare).

Oltre alla convergenza di significato specificatamente caratteriale tra “essere un

orso” ed “essere come l'Ors di Pani” e alla funzione di “mostro immaginario”

invocato per spaventare i bambini, Zanella viene chiamato in causa anche per

sottolineare un'accezione espressamente fisica: “assomigli all'Ors di Pani” vuole

__________________________________11 PASTOUREAU M., L’orso. Storia di un re decaduto, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2008, p. 273.12 Mario Sigalotti, Sergio Triolo, William Toscano, Matteo Petris, Andreina D'Ambrosi ed informatore anonimo.

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indicare un individuo che si veste in maniera trasandata e spesso poco pulita, ma

anche ricorda l'apparenza dell'Ors, ovvero una corporatura imponente corredata da

barba e capelli lunghi, fatti crescere in maniera disordinata ed arruffata.

Ho già parlato più volte della pulsione di Zanella ad accrescere i propri possessi;

Anche se dopo l'ultima compravendita registrata nel 1910, lo stato patrimoniale

rimase immutato fino al 1926.

Nel frattempo, Antonio Zanella si era sposato ed era nata la sua primogenita. Dalle

testimonianze che ho potuto raccogliere, come dicevo, la moglie e la figlia non si

trasferirono nella conca di Pani ma rimasero a vivere ad Amaro (dove sicuramente le

condizioni di vita erano migliori e più adatte ad una bambina).

Nonostante fosse sposato con Domenica Mainardis, pare che fin dal 1910 avviasse

una relazione extramatrimoniale con Domenica Zanier (detta "Meneute") da cui ebbe

tre figli. In occasione della sua morte ne parlò anche Il Messaggero Veneto13. Il

quotidiano riporta che Antonio Zanella non fece mistero e neppure nascose la

relazione con la Zanier, che viene definita "una donna notevolmente più vecchia di

lui".

In realtà Domenica Zanier, figlia di Domenico Zanier e Maria Bearzi, nacque a

Raveo il 12 ottobre 188414; quindi non avevano neppure tre anni di differenza. Nel

ricordo di molte persone però, la Zanier viene identificata come una vecchia, o

quantomeno molto più anziana di Antonio Zanella; ciò mi fa supporre che

probabilmente dimostrasse più anni della sua età.

Una persona in particolare, che fu intimo amico dell'Ors di Pani, mi ha parlato della

Zanier come di una "brutta vecchiaccia"15 che fu avvicinata dallo Zanella solo per

riuscire ad acquisire le ingenti proprietà, sia terreni che stavoli, della famiglia Zanier,

proprio nella conca di Pani.

___________________________13 Il “patriarca della Carnia” e la figlia uccisi nella notte a colpi di fucile, in “Messaggero Veneto”, 8 marzo 1955, pp. 4-7.14 Registro delle nascite, Ufficio Anagrafe, Archivio comunale di Raveo.15 Romano Marchetti, informatore.

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Cercando di ricostruire la vita e la personalità di Antonio Zanella mi sono imbattuta

spesso in persone che, avendolo conosciuto personalmente, mi han parlato più volte

di questa sua ossessione di possedere sempre maggiori terreni.16 Tutti concordano nel

dire che il suo desiderio e la sua pulsione principale fossero riuscire a diventare

l'unico proprietario della conca di Pani. In particolare hanno utilizzato espressioni

come "Imperatore di Pani", "Signore di Pani", "Podestà di Pani", "Re della montagna

di Carnia", "Patriarca della Carnia".

Come riportavo sopra, per sedici anni non sono state registrate nuove acquisizioni di

terreni. Il 12 aprile 1926 venne redatto un contratto d'acquisto dal notaio Mussiniano

di Tolmezzo, risalente al 27 dicembre 1922, in cui Zanella rilevò da Giovanni Marchi

un numero notevole di proprietà pari a 232.150 mq (cinquanta mappali).17 Come si

può evincere dalla tavola n° 4 la nuova transazione incrementa in maniera

sostanziosa i terreni nella parte sud orientale della frazione montana, con relativi

annessi, andando a colmare la striscia di lotti situati tra gli acquisti paterni del 1905 e

del 1909, che ancora non deteneva. Oltre a dare continuità all'area di cui era titolare,

in questo modo era arrivato a disporre di un patrimonio agricolo che superava i due

terzi dell'intera estensione di Pani.

I beni dell'Ors di Pani cominciarono quindi a diventare considerevoli; ogni nuova

transazione corrispondeva anche all'acquisto di ulteriori capi di bestiame, iniziava

quindi a realizzarsi lentamente il suo sogno di dominio dell'intera conca. Nel

frattempo però la sua situazione familiare diventava giorno per giorno più delicata.

Egli continuava a vivere da solo a Pani, proseguendo la sua relazione illecita con

Domenica Zanier alla luce del sole, mentre la moglie legittima, Domenica Mainardis,

era rimasta ad Amaro a crescere la figlia.

Dopo la nascita di Maria, nel 1913, Zanella ebbe dalla Zanier tre figli, tutti e tre

ovviamente illegittimi.

______________________________16 Pier Arrigo Carnier, Romano Marchetti ed informatori anonimi.17 Libro delle partite d'estimo dei Possessori del Comune censuario di Raveo, Archivio di Stato di Udine, foglio 1220.

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Il 9 aprile del 1914 la Zanier, a Raveo, diede alla luce i due gemelli Maria e Antonio ,

i primi figli illegittimi dell'Ors.18 Non potendo ereditare il cognome del padre, furono

inizialmente registrati come Cella, per poi essere riconosciuti esclusivamente dalla

madre, acquisendo così il cognome Zanier.

Il 2 luglio del 1916 nacque il terzo dei figli illegittimi dell'Ors, Tommaso (detto

"Masino"), anch'egli inizialmente registrato con altro cognome, per poi essere

riconosciuto solamente dalla madre.19

All'epoca, seguendo le direttive del Codice Civile (era ancora in vigore il primo

codice civile del Regno d'Italia, emanato nel 1865, detto anche Codice Pisanelli, dal

nome del ministro Guardasigilli di allora), i figli naturali erano individuati come figli

illegittimi, in contrapposizione ai figli legittimi, identificabili esclusivamente con i

figli procreati da persone unite tra loro in matrimonio.

I testimoni dell'epoca hanno molto insistito sul fatto che Antonio Zanella avesse

come preciso desiderio il riconoscimento dei figli, e che in più di un'occasione avesse

richiesto all'amministrazione locale come procedere per poter dare il proprio

cognome ai tre figli.

Non ho trovato nessuna documentazione scritta che comprovi queste sue richieste.

Pare che non abbia potuto riconoscere i tre figli illegittimi poiché la prima moglie era

ancora in vita e che gli sia stato consigliato di attendere il decesso della stessa. Dai

ricordi delle persone del luogo, sembra che la prima moglie, Domenica Mainardis,

non si sia mai trasferita a Pani, ed infatti nessuno ha saputo raccontarmi nulla su di

lei, a parte la sua degenza all'ospedale psichiatrico.

Nonostante fosse un rapporto extramatrimoniale, tutti identificano la Zanier come

“la” moglie dell'Ors. Vorrei sottolineare che secondo le norme vigenti all'epoca,

Antonio Zanella, vista la sua relazione extraconiugale, avrebbe potuto separarsi dalla

Mainardis.

________________________________________18 Registro delle nascite, Ufficio Anagrafe, Archivio comunale di Raveo.19 Ibidem.

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Infatti, secondo il Codice Pisanelli sopracitato, nel caso in cui il marito fosse adultero

e avesse una concubina in casa od altrove, ciò avrebbe potuto condurre allo

scioglimento del vincolo matrimoniale. Ma Zanella rimase sposato con la Mainardis,

fino alla morte della stessa.

L'impressione che scaturisce dai pochi documenti reperiti negli archivi comunali e

dai ricordi della gente del luogo, è che l'Ors avesse quasi abbandonato moglie e figlia

legittime. Anche quando la Mainardis verrà internata al manicomio di Udine,

nell'estate del 1929, in un intero anno di degenza non risulta nessuna visita da parte

del marito. Neppure quando, nell'estate del 1930, verrà trasferita nel più vicino

manicomio femminile di Gemona, non si hanno notizie di visite da parte di Zanella.

Quest'impressione è supportata dalle memorie degli anziani della zona; tutti si sono

trovati d'accordo nell'affermare che l'Ors convivesse con la Zanier e i tre figli avuti

da lei, che facevano parte integrante dell'azienda familiare, infatti, come dicevo

sopra, nei ricordi della gente è la Zanier ad essere identificata come moglie, fin da

quando partorì i gemelli Maria ed Antonio (1914).20 È importante ricordare che i

gemelli nacquero ad un solo anno di distanza dalla nascita della primogenita

legittima (1913), il che ci suggerisce che la relazione con la Zanier fosse davvero di

lunga data e praticamente contemporanea al recente matrimonio con la Mainardis.

Non molto tempo dopo la morte della Mainardis, avvenuta poco dopo il

trasferimento al manicomio femminile di Gemona, Zanella e la Zanier si sposarono.

Il matrimonio fu celebrato nella chiesetta di Pani, il 23 gennaio 1932.21

Confrontando le date, si può pensare che sia plausibile l'opinione di molti

contemporanei sulla natura di questo matrimonio. Sei mesi dopo infatti, molti lotti

passano dalla famiglia Zanier a Zanella.

In particolare, il 18 giugno 1932 a Tolmezzo vengono registrate una serie di

compravendite. L'Ors acquistò un piccolo fondo da Giusto Bearzi, pari a 1.220 mq e

uno di poco più consistente da Carolina Bonanno, pari a 4.640 mq; ma la parte

_________________________________20 Romano Marchetti, Pier Arrigo Carnier ed informatori anonimi.21 Informatore anonimo.

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ingente di queste movimentazioni riguardano la voltura tra lui e Zanier Pietro.

Risulta un atto registrato sempre in data 18 giugno 1932 in cui Zanella acquisisce da

Zanier 221.080 mq (32 mappali).22 Sempre nella stessa data, risulta un quarto

passaggio di proprietà; in quest'ultimo caso si tratta di 2.450 mq levati a Giacomo

Zanier.23 Il 28 marzo 1949, la Zanier gli cedette ulteriori dodici lotti.

Consultando la tavola numero 5, può sembrare verosimile l'impressione che ebbero

molti contemporanei, ovvero che il matrimonio con la Zanier nascondesse un

secondo fine di tipo patrimoniale. Grazie a questa transazione diventa titolare di tutta

la parte nord orientale, confinante con i terreni acquistati dal padre nel 1905, zona in

cui si trovavano anche i pascoli migliori.

Si può presumere che Zanella avesse pianificato queste nozze fin dall'inizio, ma

ovviamente non esiste alcuna documentazione che lo possa provare e quindi queste

supposizioni rimangono nell'ambito della pura congettura, della diceria di paese o

delle opinioni degli amici. Rimane però evidente il fatto che, a livello

imprenditoriale, l'Ors di Pani ci abbia decisamente guadagnato da quest'unione,

diventando proprietario della quasi totalità dell'estensione dell'area di Pani.

La vita famigliare, con la seconda moglie ed i figli illegittimi, continuava con grosse

tensioni all'interno. L'opinione comune di chi ha vissuto insieme a lui24 è che gli

attriti nascessero da questa sua mania del lavoro e del risparmio; il termine ricorrente

è “despota”. Non si trattava di una famiglia unita, sembra che l'Ors fosse molto

autoritario con i suoi congiunti a cui serbava la stessa severità e la stessa inflessibilità

che adottava con i lavoranti. Le mancanze dei figli venivano punite severamente,

soprattutto se taciute: era solito picchiarli fino a farli cadere a terra e poi calpestarli

con le dàlmine. Se il castigo veniva inflitto d'inverno, li obbligava a camminare nella

neve trascinando per molto tempo dei fasci di rami lungo i pascoli.24

_____________________________22 Libro delle partite d'estimo dei Possessori del Comune censuario di Raveo, Archivio di Stato di Udine, foglio 1220.23 Ibidem, foglio 1032.24 Pier Arrigo Carnier, Romano Marchetti ed informatori anonimi.25 CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, p. 93.

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Nel giro di pochi anni, il rapporto con i figli progressivamente si raffreddò.

Negli archivi comunali del comune di Raveo sono registrate molte variazioni di

residenza dell'ultimogenito Tommaso (“Masino”) soprattutto verso Enemonzo (un

piccolo comune carnico limitrofo a Raveo), che divenne definitiva nel 1946. Anche

Antonio, uno dei due gemelli, si spostò in direzione di Enemonzo, dove si trasferì

stabilmente nel 1940.26

La figlia Maria lasciò Pani trasferendosi a Raveo dopo il proprio matrimonio.

Evidentemente la convivenza con il padre risultava insostenibile, i litigi erano

all'ordine del giorno e a detta di chi assistette all'epoca, sembra fossero piuttosto

animati e violenti. Alcuni mi hanno riportato che non fu una decisione autonoma dei

figliastri quella di abbandonare Pani e l'azienda di famiglia, ma che furono cacciati

dal padre. La situazione precipitò nel 1947, quando Maria Zanella, l'unica figlia

legittima, si trasferì a Raveo.27

Nonostante Maria fosse sempre vissuta lontano dal padre, ad Amaro, pare che tra di

loro ci fosse un rapporto che potremmo definire “speciale”. Questa situazione

provocò le ire della moglie, che sembra non andasse molto d'accordo con la figliastra

(rimasta nel frattempo orfana di madre).

I dissidi all'interno della famiglia si esasperarono a causa del carattere della

primogenita.

Le persone anziane con cui ho parlato hanno evidenziato una palese differenza di

trattamento tra Maria e la Zanier ed i suoi figli, sembra infatti che con lei non fosse

un capofamiglia arcigno e dispotico, ma che invece avesse per lei sempre un occhio

di riguardo; attenzioni che non venivano concesse al resto della famiglia. In molti si

sono trovati concordi nell'affermare che Maria Zanella era l'unica a tenergli testa,

forse anche per questo godeva una considerazione maggiore rispetto ai fratellastri.28

_________________________________26 Ufficio Anagrafe, Archivio comunale di Raveo.27 Ibidem.28 Pier Arrigo Carnier, Romano Marchetti ed informatori anonimi. Cfr. anche CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, pp. 96-97.

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In parecchi mi hanno parlato di una certa acredine tra Maria e la moglie dell'Ors,

pare che le due non si sopportassero e a causa di ciò, quest'ultima abbandonò Zanella

per trasferirsi in uno stavolo vicino.

In contrapposizione a questa “scarsa morale familiare” ed a questa indole quasi

tirannica ci sono le testimonianze della sua generosità. Molte persone hanno ricevuto

prestiti da lui in momenti di difficoltà.29 Soprattutto durante la Seconda Guerra

Mondiale, quando la fame e la povertà toccarono picchi mai ripetutisi nei decenni

successivi, l'Ors aiutava tutte le persone che gli chiedessero qualcosa per sfamarsi.

Su questo aspetto tutte le persone che ho intervistato sono state concordi (sia chi ha

beneficiato del suo appoggio alimentare, sia chi ha avuto un parente che è stato

aiutato da lui, sia chi conosce più dettagliatamente le sue gesta): l'Ors di Pani portava

aiuto a tutti con una ricotta, un pezzo di formaggio o un coniglio.

Era dunque generoso. Le uniche persone che non hanno ricevuto sostentamento da

parte sua pare fossero le persone troppo insistenti o lagnose.30

La sua generosità dipendeva quindi dal tipo di persona che si trovava di fronte; chi si

presentava con un atteggiamento troppo lamentoso lo seccava e non riceveva nulla.

Nonostante la sua immagine di burbero ed eremita, possedeva una sua umanità, una

certa solidarietà umana, che veniva però stemperata dal suo personale senso della

morale.

Un suo amico mi ha confidato la sua personale opinione in merito alla generosità

dell'Ors: secondo lui, il suo dimostrarsi generoso non si limitava ed essere

espressione di magnanimità e di comprensione per le difficoltà dei suoi simili, ma

nascondeva anche una necessità di accrescere la propria autostima. Il fatto di essere

una delle poche persone che in quegli anni aveva la possibilità di poter elargire cibo

ai compaesani lo faceva sentire “qualcuno”, andava così a nutrire il suo ego,

facendolo sentire una persona importante.31

________________________29 CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, pp. 94 e Romano Marchetti ed informatori anonimi.30 Romano Marchetti, informatore.31 Ibidem.

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In alcuni testi ed articoli di quotidiani è riportata la notizia che, in date non meglio

precisate, egli donò due milioni di lire alla latteria sociale di Raveo ed un milione

all'asilo.32

Purtroppo non ho trovato nessuna documentazione a supporto di queste affermazioni

e neppure gli anziani di Raveo, con cui ho parlato, ricordavano questi fatti.

_________________________________________32 ARIIS A., Antonio Zanella. L’ors di Pani tra leggenda e realtà, s.d., in http://digilander.libero.it/raveo/ORS_DI_PANI.PDF. ; RIGAMONTI C. - ROS M., Nella conca incantata di Pani, in Carnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio (1978), p. 76; Il “patriarca della Carnia” e la figlia uccisi nella notte a colpi di fucile, in “Messaggero Veneto”, 8 marzo 1955, pp. 4-7.

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3. Vita a Pani

Per comprendere la vita di Antonio Zanella è utile descrivere il suo contesto sociale e

la sua quotidianità lavorativa. Raccontare il suo lavoro nel dettaglio è come

raccontare egli stesso. La sua vita infatti era pregna del suo impegno lavorativo, che

abbracciava tutto lo scorrere della giornata, che si ripeteva spesso in maniera identica

nel susseguirsi delle settimane e dei mesi. Inoltre, tratto caratteristico dell'Ors di Pani

era proprio il primato del lavoro.

All'inizio del novecento a Pani viveva una comunità quasi del tutto autosufficiente di

circa un centinaio di persone1, alloggiata negli stavoli, ovvero delle costruzioni rurali

tipicamente carniche edificate in pietra e legno, dove trovavano rifugio le greggi, le

mandrie ed i pastori e dove veniva anche immagazzinato il fieno ricavato dallo

sfalcio. Il perimetro degli appezzamenti dell'Ors di Pani era segnato da dei recinti di

spesso filo spinato per il contenimento del bestiame; l'entrata era delimitata da un

rozzo cancello di legno.2

Ciò che la comunità non riusciva a produrre autonomamente veniva solitamente

acquisito settimanalmente scendendo in paese.

Il trasporto veniva fatto esclusivamente a spalla. Per le piccole quantità di prodotti

veniva solitamente utilizzato uno zaino, mentre per volumi maggiori venivano

adoperate le gerle (zèi), ovvero delle ceste di vimini o legno intrecciati, a forma di

tronco di cono rovesciato con l'apertura in alto; erano corredate da due cinghie

oppure da spallacci di legno di nocciolo per poter essere portate sulle spalle.3 Spesso

assieme al zèi veniva utilizzato il màmul o musse ovvero un treppiede di legno su cui

veniva appoggiata la gerla per poterla caricare senza bisogno d'aiuto. Il zèi è divenuto

famoso grazie alla figura delle portatrici carniche, ovvero quelle donne che

_____________________________1 RIGAMONTI C.- ROS M., Nella conca incantata di Pani, inCarnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio, 1978, pp. 74-79.2 Pier Arrigo Carnier, informatore.3 Romano Marchetti, Pier Arrigo Carnier, Alessandro Moroldo ed informatori anonimi.

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durante la prima guerra mondiale trasportavano in queste gerle munizioni,

rifornimenti e medicinali fino alle prime linee italiane, partendo dai magazzini e dai

depositi militari posizionati nel fondovalle.

Il trasporto a spalla era l'unico possibile da Pani a valle e viceversa. Nonostante fosse

faticoso e lungo, risultava essere tuttavia il più comodo viste le zone impervie e

difficilmente percorribili. Si utilizzava il zèi sia per il trasporto di generi alimentari

sia per il fieno, la paglia e le foglie secche.

La produzione era principalmente di tipo lattiero-casearia, e dagli animali si

ricavavano anche la lana ed il pellame ed ovviamentela carne. Spesso i generi non

derivanti dalle attività della comunità, non venivano acquistati ma barattati con

formaggio, burro o ricotta. Per esempio il granoturco.

A quelle altezze e con quel clima il granoturco stentava a maturare.4 Era un alimento

centrale e necessario nella cucina carnica, in quando serviva a produrre la farina che

veniva utilizzata per cucinare la polenta. La polenta è forse il piatto principe

dell'alimentazione carnica ed è il nutrimento base della dieta dei carnici, soprattutto

in quegli anni, in cui veniva utilizzata anche al posto del pane.

A Pani c'era un mulino (mulinat) che per produrre energie utilizzava la corrente del

torrente Chiarsò, ricco di acque spesso impetuose. Attraverso una dinamo collegata al

mulino, veniva prodotto un piccolo quantitativo di energia elettrica, anche se la

maggior parte dell'illuminazione derivava da lampade ad acetilene (anche dette "a

carburo").5

Questa piccola comunità, aveva anche un luogo di culto.

La chiesetta di Pani fu dedicata a San Rocco circa cinque secoli fa per invocare la

protezione divina contro un'epidemia di peste scoppiata all'epoca. San Rocco,

patrono degli emarginati, oltre ad essere invocato nelle campagne contro le malattie

del bestiame e le catastrofi naturali, veniva infatti supplicato anche contro la peste.

Ogni sera si recitava il rosario e vi partecipava anche l'Ors con i suoi famigli, ovvero

dei lavoratori di campagna che venivano quasi "adottati" e vivevano nelle sue

_____________________________________4 Alessandro Moroldo, informatore.5 RIGAMONTI C.- ROS M., Nella conca incantata di Pani , inCarnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio 1978, pp. 74-79.

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proprietà durante il periodo lavorativo, quasi alla stregua dei domestici.

Pare che Antonio Zanella avesse un concetto di fede genuino e schietto. Teneva

all'interno della chiesetta gli attrezzi che gli servivano per i lavori agricoli, che faceva

anche da ricovero per le patate ed il legname.6 Gli attrezzi e gli utensili utilizzati

all'epoca possono essere essenzialmente identificati con: la batadorie (piccola

incudine su cui con il martello si rinnova il taglio alla falce da fieno), il riscjel (il

rastrello), la verie (cerchio per fermare la falce sul paletto), il falcet (la falce,

utilizzata per tagliare l'erba dei prati), la cout (pietra per affilare il falcet), il codâr

(contenitore della cout), la butace (botticella d'acqua per chi lavora nei campi), i

cesti, il segon (sega a mano per tavoloni), il fier dal fen (ferro per tagliare a mano il

fieno imballato).7

Il fatto stesso che tenesse gli arnesi all'interno della chiesetta fa comprendere che per

lui il lavoro non fosse di meno della religione, sebbene partecipasse ogni sera al

rosario. Nel corso degli anni la struttura della chiesetta cominciò ad andare in rovina,

sicuramente ciò fu favorito dalla particolare destinazione d'uso e dalla poca

manutenzione. Recentemente è stata ristrutturata dai volontari del corpo degli alpini.

I casolari, o stavoli, erano sparsi nella valle; ognuno aveva un proprio nome e una

sua autosufficienza. Erano per lo più dotati di una ampia casa funzionale

all’abitazione ed alla lavorazione dei latticini, con annessi stalla e fienile. Si trattava

principalmente quindi di un’economia di sussistenza, nella quale restavano anche dei

margini di guadagno, più o meno cospicui, attraverso la vendita dei prodotti in

eccesso: latticini soprattutto, ma anche lana, carne, agnelli, vitelli e conigli.

Venivano destinate alla produzione foraggiera tutte le zone adatte; in questo modo si

ottenevano colture intensive date dai prati, semintensive costituite dai prati-pascoli

ed estensive rappresentate dai pascoli.8

_________________________________6 RIGAMONTI C.- ROS M., Nella conca incantata di Pani , inCarnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio 1978, pp. 74-79; ARIIS A.., Antonio Zanella. L’ors di Pani tra leggenda e realtà, s.d., in http://digilander.libero.it/raveo/ORS_DI_PANI.PDF.; Romano Marchetti, B.A., A.B.,C.B, informatori.7RIGAMONTI C.- ROS M.,Fatica per vivere , inCarnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia,Grafiche Fulvio, 1978, pp. 60-73.8 PASCOLINI M.-TESSARIN N.., Lavoro in montagna: boscaioli e malghesi della regione alpina friulana, Milano, Angeli, 1985, pp. 106-109.

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Vi era quindi un'integrazione tra ambiente agricolo-forestale ed insediamenti umani;

per non sprecare suolo agricolo si cercava di compattare le costruzioni murarie; gli

edifici si presentavano come una commistione di abitazione e di rustico, destinato a

stalle e fienili. Spesso le due componenti edilizie non si associavano in un'unica

tipologia che integrava anche gli orti, come nel caso della corte friulana, ma rustici e

seminativi erano collocati fuori dagli insediamenti.

I prati-pascoli erano interessati da insediamenti temporanei costituiti dal fienile e

dalla stalla, oltre che da vani adibiti al riposo ed all'eventuale lavorazione del latte nei

brevi periodi di pre e post alpeggio; oltre a queste strutture esistevano una miriade di

piccoli fienili (staipe) per l'accumulo e la momentanea conservazione del fieno.9

Una buona parte dei famigli dell'Ors di Pani erano donne. Ciò era dovuto alla

massiccia emigrazione degli uomini. Con la maggior diffusione della ferrovia e

grazie all'ingente necessità di manodopera per grandi lavori infrastrutturali ed edilizi

che si stavano compiendo in Europa, nel corso dell'Ottocento l'emigrazione maschile

da invernale era diventata estiva e questo comportò come conseguenza la

femminilizzazione delle attività agricole (che avvenivano principalmente d'estate).

Un ruolo fondamentale nell'attività imprenditoriale di Antonio Zanella era detenuto

dall'allevamento. Non si limitava solo alla crescita e cura di bovini, ma conviveva

anche con un consistente numero di capre, pecore, conigli e galline.

Strettamente connesso all'allevamento bovino è il comparto della lavorazione del

latte che in Carnia ha sempre avuto una particolare importanza, sia per la prevalente

presenza di capi da latte, sia per le caratteristiche dei prodotti caseari.

In Carnia la consuetudine della monticazione è antichissima, così come lo sono i

metodi seguiti nel trattamento degli animali e dei loro prodotti; la trasmigrazione

estiva del bestiame dalle vallate ai pascoli alpini tradizionalmente avveniva

nell'andata tra le festività di S. Antonio (13 giugno) e quella di S. Pietro (29 giugno),

nel ritorno alla vigiliadella festa della Madonna (9 settembre).

___________________________________9PASCOLINI M.-TESSARIN N.., Lavoro in montagna: boscaioli e malghesi della regione alpina friulana, Milano, Angeli, 1985, pp. 91-98.

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L'allevamento del bestiame, basandosi su uno sfruttamento altimetrico successivo

delle risorse foraggiere, era scandito da ritmi ben precisi in relazione all'andamento

stagionale; il permanere degli armenti sui pascoli d'alta quota per circa 100 giorni

rappresentava una diminuzione del lavoro in stalla e quindi la possibilità di dedicarsi

a tempo pieno alla fienagione. Il bestiame stazionava nelle strutture adiacenti ai prati-

pascoli di media quota, in questo modo si ottenevauna graduale preparazione

fisiologica all'alimentazione con vegetali freschi; nel frattempo l'Ors di Pani, insieme

ad i suoi lavoranti, procedeva nello sfalcio.10

L'utilizzazione dell'erba estiva direttamente sul posto da parte degli animali

rappresenta il mezzo più economico per alimentare il bestiame: l'eliminazione di gran

parte delle spese di raccolta e di conservazione del foraggio riduce il costo

dell'alimentazione di due o tre volte rispetto a quello derivante dalla fienagione.

L'Ors di Pani era un uomo molto oculato, a detta di chi ha lavorato con lui era

decisamente fissato con il risparmio, tanto da trasformarsi in una vera e propria

ossessione; l'alpeggio rappresentava quindi un'ottima metodologia per nutrire i suoi

animali, non solo per i costi evidentemente contenuti ma anche perché in questo

modo utilizzava meno lavoranti per amministrare la sua realtà imprenditoriale. Scelta

che si rivelò vincente, visti i cospicui guadagni e l'ingente patrimonio che riuscì ad

accumulare.11

Il latte prodotto durante l'alpeggio veniva lavorato in loco e trasformato

principalmente in formaggio, burro e ricotta. L'Ors di Pani utilizzava la malga

Avedrugno, di proprietà del comune di Raveo, che però gli era stata affittata per il

periodo canonico di nove anni.

La malga rappresentava un'azienda rurale temporanea o stagionale, dotata di terreno

utilizzato esclusivamente per il pascolo estivo del bestiame; era situata al di sopra

delle abitazioni permanenti, al limite del bosco, e con costruzioni proprie necessarie

per l'esercizio dell'azienda.12

____________________________10 PASCOLINI M.-TESSARIN N.., Lavoro in montagna: boscaioli e malghesi della regione alpina friulana, Milano, Angeli, 1985, pp. 98-106.11 CECONI P.., L'alpeggio: elemento determinante dell'attività montana, in “Terra Friulana”, sesto numero, 1960, p.7.12 DREOSSI G.- PASCOLINI M., Malghe e casere della montagna friulana, Udine, CO.EL., 1995, pp. 8-9.

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L'Ors di Pani si assunse la conduzione della malga, da affittuario appunto. Aveva alle

spalle una solida tradizione familiare.

Suo padre, l'Ors dell' Amariana era stato a sua volta allevatore e malghese, quindi il

patrimonio di conoscenze e tecniche venne trasmesso da una generazione all'altra.

Alla competenza ereditata dal padre si deve aggiungere l'esperienza acquisita

attraverso il lavoro quotidiano.

Chi l'ha conosciuto è concorde nell'affermare che Antonio Zanella fosse un gran

lavoratore, sempre il primo a svegliarsi e mettersi all'opera la mattina e l'ultimo ad

abbandonare la malga od i pascoli a fine giornata. Sembra che fosse un titolare

particolarmente autoritario ed esigente, ma la stessa severità e rigidità la riservava

anche a se stesso.

Nel territorio di proprietà dell'Ors di Pani c'erano vari stavoli e casere. Le casere

erano utilizzate per la lavorazione del latte e per il ricovero dei pastori e del

bestiame. Servivano per l'alloggio degli uomini, per la lavorazione del latte e per la

conservazione dei prodotti (in Carnia le casere presentano un notevole grado di

uniformità strutturale anche se compare quasi sempre qualche elemento distintivo,

frutto della personalità del proprietario o importante riflesso delle condizioni

ambientali), mentre gli stavoli erano utilizzati esclusivamente per l'alloggio dei

pastori e degli animali.13

I fabbricati erano costruiti in muratura, utilizzando i materiali presenti in loco, e

generalmente intonacati; la copertura nelle forme originali era in legno, formata da

scandole (ovvero delle assi di legno piuttosto lunghe, solitamente di larice) disposte

ad embrice, era costruita a due spioventi con un'apertura regolabile che fungeva da

camino.

In entrata una grande sala costituiva il caseificio e spiccava in un angolo il focolare e

la grande caldera in rame sorretta da un asse mobile: da qui partiva la linea di

caseificazione che comprendeva il tabio (una tavola d'appoggio per la lavorazione

dei latticini, dotato di una leggera pendenza, che permetteva di lasciar scolare il siero

dal formaggio appena fatto), l'acquaio e tutte le attrezzature.14

___________________________________13DREOSSI G.- PASCOLINI M., Malghe e casere della montagna friulana, Udine, CO.EL., 1995, pp. 8-12.

14 Ibidem.

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Il vano era unico e nel sottotetto erano disposti i graticci per l'affumicatura delle

ricotte, non presentava camino e generalmente c'era una scala in legno che

conduceva alla camera al secondo piano.

Grazie all''assenza della canna fumaria il fuoco acceso a livello del pavimento,

adempieva benissimo alla caseificazione, alle volte alla cucina, all'illuminazione

notturna e permetteva ai pastori di scaldarsi ed asciugarsi. Il fumo si addensava nel

sottotetto uscendo lentamente da un'apertura regolabile posta sul tetto; questo

permetteva di lavorare tranquillamente in casera e di affumicare le ricotte, inoltre

svolgeva la funzione di eliminare lo spiacevole odore di latte acido tipico dei

caseifici e di tenere lontani gli insetti. Vicino all'entrata si trovava il magazzino, il

celar, dove erano conservati i prodotti del caseificio e tutte le cose più preziose della

malga; le sbarre e la rete a maglia fine alle finestre assicuravano un certo grado di

umidità e di ventilazione necessari alla maturazione ed alla conservazione degli

alimenti: generalmente occupava la parte meno esposta della casera. All'esterno

un'ampia tettoia permetteva il riparo dei pastori e la conservazione della legna da

ardere.

La mungitura ed il ricovero del bestiame avveniva nelle logge, fabbricati in muratura

con lunga tettoia ad uno spiovente e porte a due battenti: il pavimento in selciato o

cemento scolava le acque all'esterno e sul muro posteriore era fissata una lunga trave,

il zuvriâl, con le poste per il bestiame. Le pecore venivano lasciate libere e le capre,

molto sensibili alla pioggia, avevano un'apposita loggia detta chiavrin.All' esterno el

cortile, generalmente a ridosso delle logge, si trovano le concimaie.15

La giornata lavorativa iniziava all'alba con la pulizia dei ricoveri degli animali.

Terminato il riassetto dei ricoveri, iniziava la mungitura dei capi da latte che

avveniva nelle logge in un orario compreso dalle cinque alle sette del mattino circa;

era un'occupazione molto gravosa. All'epoca era effettuata manualmente poiché non

erano ancora state introdotte le mungitrici meccaniche (che inizieranno ad apparire

solo dopo il 1950) che avrebbero ridotto notevolmente sia i tempi che le fatiche di

_________________________________________15 DREOSSI G.- PASCOLINI M., Malghe e casere della montagna friulana, Udine, CO.EL., 1995, pp. 10-14.

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questo lavoro.

Il latte munto veniva poi filtrato e andava a riempire la caldera, utilizzando un filtro

vegetale, la cole.

Nel primo periodo di alpeggio la caseificazione veniva fatta sia al mattino che alla

sera; alla fine della stagione invece una sola volta al giorno e spesso con quantità

ridotte di latte solitamente contenuto in bidoni, che veniva prima scremato e poi

versato nella caldera; il burro era invece prodotto con una zangola (ovvero un

recipiente di legno di forma cilindrica o tronco-conica) a pistone, la pigna, o più

spesso con una zangola a botte.

Quando tutto il latte era nella caldera veniva portato a temperatura , a questo punto si

aggiungeva il caglio in polvere ed il tutto era lasciato raffreddare per circa un'ora,

tempo necessario affinché avvenisse il coagulo; in seguito si procedeva alla

lavorazione della cagliata fin tanto che non fosse stata eliminata la quantità di siero

ritenuta opportuna. In seguito veniva tutto riscaldato e tolto definitivamente dal

fuoco.

Con l'ausilio di tele da formaggio il coagulo veniva raccolto dal fondo della caldera e

posto in fascere di legno o metallo, sotto compressione, rimaneva a scolare sul tabio;

questo piano inclinato, costituito da un tavolone in larice, presentava una scanalatura

per la raccolta e lo sgrondo del siero e dei residui della cagliata. A dodici ore dalla

fabbricazione le forme di formaggio venivano pesate, numerate e registrate nel

quaderno di casera; riposte nel magazzino queste venivano salate per una decina di

giorni.

Ricavato il formaggio, nella caldera rimaneva il siero a cui veniva aggiunto il

latticello, residuo della fabbricazione del burro. Portato il tutto quasi ad ebollizione, e

aggiungendo dei sali si otteneva la coagulazione; tolta la caldera dal fuoco, con una

particolare schiumarola (o mestolo forato) si estraeva il coagulo che posto in

sacchetti di tela veniva pressato e salato per uno o due giorni. La ricotta veniva

messa per un breve periodo sulle graticole ad affumicare.16

___________________________16DREOSSI G.- PASCOLINI M., Malghe e casere della montagna friulana, Udine, CO.EL., 1995, pp. 10-14; PASCOLINI M.-TESSARIN N.., Lavoro in montagna: boscaioli e malghesi della regione alpina friulana, Milano, Angeli, 1985, pp. 91-98.

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Terminati i lavori in stalla, il bestiame veniva sciolto, radunato nel cortile della malga

e munito di campanacci: a questo punto era pronto per essere condotto al pascolo.

Le vacche da latte utilizzavano i pascoli migliori, mentre gli altri erano destinati al

vitellame, cioè ai bovini giovani da allevamento; pecore e capre si nutrivano invece

nelle zone più impervie, altrimenti inutilizzate.

Strettamente connesso alla custodia degli animali durante il pascolo risultava essere

l'approvvigionamento della legna da ardere per la caseificazione; oltre alle

motivazioni economiche, l'uso del legno come combustibile finalizzava l'attività di

decespugliamento sempre più necessaria per la conservazione dei pascoli.17

Ovviamente tutte queste incombenze non ricadevano solo sulle spalle dell'Ors di

Pani, che si occupava principalmente dell'organizzazione dei lavoranti e della

caseificazione.

La componente più numerosa degli addetti all'alpeggio era quella dei pastori. Questi,

oltre a condurre e vigilare il bestiame al pascolo, adempivano anche al lavoro in

stalla. I lavoranti provenivano quasi principalmente dai comuni limitrofi, il

reclutamento del personale si basava su un rapporto di conoscenza e di fiducia;

spesso Antonio Zanella con generosità dava lavoro agli orfani della zona o comunque

alle famiglie disagiate. Oppure si trattava di appartenenti alla famiglia.

Alcune persone che all'epoca hanno lavorato per lui mi han raccontato che l'Ors di

Pani era un datore di lavoro molto corretto; dava ovviamente alloggio nei fienili a

tutti i lavoranti e corrispondeva sempre loro il giusto per il lavoro svolto. Solitamente

il pagamento non avveniva in denaro ma con i prodotti che derivavano dalla

caseificazione: ricotta, formaggi, burro.18

Correttezza che andava di pari passo con una certa severità e rigidità nel rapporto

lavorativo con i suoi famigli, che venivano controllati anche a distanza.

Una signora che da ragazzina lavorò per lui, mi ha narrato che un giorno fu ripresa

perché non era a sfalciare erba nel prato.

_____________________________17 PASCOLINI M.-TESSARIN N.., Lavoro in montagna: boscaioli e malghesi della regione alpina friulana, Milano, Angeli, 1985, pp. 113-124.18Pier Arrigo Carnier, Romano Marchetti ed informatori anonimi.

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Chiaramente si chiese come avesse fatto a notare che in quel momento non era a

lavorare, dato che l'Ors non si trovava nei dintorni.

Ma l'Ors, divertito, le confessò che li sorvegliava con il binocolo dalla malga

Avedrugno, di modo che lui potesse controllare loro in qualsiasi momento ma loro

non potessero notare la sua presenza incombente.19

_________________________________19 Informatore anonimo.

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4. Un tavolo ricoperto di banconote

La maggior parte delle persone che sono a conoscenza della figura dell'Ors di Pani,

ricordano due eventi in particolare: la sua tragica morte ed il racconto del "tavolo

ricoperto di banconote".

Tutti gli informatori, di valli ed età diverse, ravvisavano questa storia. Anche il mio

primo approcio all'Ors di Pani è riferibile a questo episodio, che mi è stato raccontato

molte volte, soprattutto quando ero piccola. In particolare me lo raccontava mia

madre, originaria della Carnia, anche se di una valle diversa da quella dell'Ors di

Pani. Alcuni, soprattutto i più giovani¹, conoscono quasi esclusivamente questo in

merito alla sua intera esistenza, identificando quindi l'Ors di Pani con la stravaganza

dell'accaduto. Le persone più anziane invece, nutrono qualche dubbio sulla veridicità

dei fatti.²

L'originalità e l'eccentricità dell'accaduto decisamente si prestano bene a diventare il

nucleo di un racconto per bambini ed è tipico della favola avere come personaggi

degli animali dotati di linguaggio e comportamenti tipicamente umani, spesso portati

all'eccesso. L'Ors di Pani, grazie al fraintendimento che scaturisce dal suo

soprannome, può quindi facilmente impersonare un orso dal comportamento umano.

Nell'immaginario infantile probabilmente viene identificato con l'animale-orso, con

atteggiamenti umani e non come l'uomo-orso, con folta peluria e modi un po' rozzi. A

sostegno di questa ipotesi penso alla mia personale esperienza, supportata dal ricordo

di alcuni amici, per cui l'Ors di Pani era un orso vero che si era adattato a vivere

come un uomo.

E come tutte le favole, anche in questa "storia" si intravede una morale che potrebbe

essere identificata con il proverbio "l'abito non fa il monaco", e quindi sottolineare

________________________________________

¹ Matteo Petris, William Toscano, ed informatore anonimo.² Romano Marchetti, Elia Polonia, Giuseppe Bulfone ed informatori anonimi.

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che l'apparenza molte volte non corrisponde alla realtà e suggerire che è necessario

essere cauti nel giudicare gli altri.

Perciò è comprensibile la fortuna di questo racconto, visto che poteva essere

utilizzato dai genitori che volevano trasmettere determinati valori ai propri figli; e

sono comprensibili anche tutte le varianti dal momento che veniva tramandata

oralmente.

La versione che mi riportava mia madre non è che una delle tante varianti di questo

racconto divenuto ormai leggendario.

"L'Ors di Pani, era un uomo ricchissimo che viveva a Pani, un piccolis-simo paesino in mezzo alle montagne, sopra Raveo. Viveva in mezzoalle capre ed alle mucche e faceva il formaggio. Lo chiamavano Ors perchè viveva da solo ed aveva un brutto carattere.Ma anche se era così ricco, non gli interessavano i bei vestiti, infatti indossava sempre dei vecchi stracci che usava anche per lavorare. Sembrava più un barbone che un uomo ricco. Un giorno era venuto giù a Tolmezzo per vendere il formaggio. Gli era venuta voglia di un caffè ed allora ha deciso di andare a sedersi al Caffè Manin, che una volta era il bar più bello e costoso di Tolmezzo. Ma quando il camerierelo vede, vestito così come un pezzente e tutto sudicio, gli chiede di an-darsene ma l'Ors di Pani rimane lì. Il cameriere allora, per fargli capire che non l'avrebbe servito, sparecchia il tavolino e porta via la tovaglia bianca che lo ricopriva. A quel punto, l'Ors di Pani tira fuori il taccuino,che era pieno di biglietti da mille lire.A quei tempi mille lire erano davvero tanti soldi, e lui ne aveva così tanti che ha ricoperto tutto il tavolino con delle banconote. Quando il cameriere ha visto tutti quei soldi, è corso a prendere l'ordinazione, l'Orsdi Pani ha ordinato il suo caffè, l'ha bevuto, ha pagato lasciando una cospicua mancia al cameriere ed ha raccolto tutti i suoi biglietti damille lire prima di andarsene, lasciando tutti i camerieri e tutti i clientia bocca aperta."³

Questa è la prima variante che ho conosciuto, è l'unica che colloca l'accaduto al Caffè

Manin di Tolmezzo. Parlando con altre persone provenienti dalla valle del But, mi è

________________________________

³ Miriam Vergendo, informatore.

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stata confermata questa versione del Caffè Manin: probabilmente in quella zona è

stata tramandata con questi particolari.

Volevo ricordare le dimensioni delle banconote da mille lire intorno al 1930, per

sottolineare e cercare di comprendere la reazione stupita di cui si racconta: 22,2

centrimetri di lunghezza e 12,6 cm di altezza, quattro volte più grande dei biglietti da

mille lire che abbiamo maneggiato negli anni '90. E non bisogna dimenticare che il

valore d'acquisto di mille lire intorno agli anni '30 era molto alto se si pensa che lo

stipendio medio di un operaio in quegli anni si aggirava intorno alle 530 lire, quasi la

metà. Si tratta quindi degli anni in cui tutti canticchiavano la canzone di Gilberto

Mazzi "Se potessi avere mille lire al mese", il che ci aiuta a comprendere

maggiormente quale sbigottimento potevano provocare un gran numero di banconote

da mille lire utilizzate come tovaglia.

La variante di cui parlerò ora è forse la più conosciuta. Infatti la maggior parte degli

intervistati conosce la vicenda in questo modo.4 L'ambientazione è collocata a

Venezia, più precisamente all'Hotel Danieli. Come molti sapranno, l'Hotel Danieli è

un locale storico di Venezia, situato sulla Riva degli Schiavoni nell'ex Palazzo

Dandolo, risalente al XIV secolo, ornato da lampadari di Murano, soffitti a foglia

d'oro, porte in legno cesellate e colonne in marmo rosa. Si tratta quindi di un hotel

molto esclusivo, decisamente lussuoso e solitamente frequentato da persone di un

certo lignaggio ed abbigliamento; una clientela quindi molto distante dall'aspetto di

Antonio Zanella, che somigliava più ad un barbone che ad un ricco borghese in grado

di permettersi di pranzarci o pernottarci. Non esiste nessuna prova che ciò sia

accaduto realmente. Sicuramente però, il fatto che l'episodio possa occorrere in uno

degli alberghi più fastosi d'Italia, famoso in tutto il mondo, non fa altro che

alimentare la leggenda di questo uomo solitario e libero, che si disinteressava delle

chiacchere e delle regole del comportamento civilizzato, regole inventate dall'uomo e

non presenti in natura, e quindi a lui estranee.

__________________________________________4 Alessandro Moroldo, Mario Sigalotti, Matteo Petris, Elia Polonia, Andreina D'Ambrosi, Ernestina Englaro, Sergio Triolo, Giuseppe Bulfone ed informatori anonimi.

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Si apre quindi una seconda chiave di lettura di questo episodio, diversa dalla favola

per bambini e maggiormente rivolta o ad i suoi contemporanei o comunque a delle

persone più adulte.

La fortuna di questo racconto, veritiero o leggendario che sia, risiede proprio in

questo atteggiamento quasi di sfida di Antonio Zanella verso il mondo civilizzato. Si

ricollega a quel primato del lavoro che affiora più volte nella vita dell'Ors di Pani.

Nonostante l'Hotel Danieli non fosse un locale pubblico rivolto a montanari coi

vestiti sgualciti, Antonio Zanella grazie ai proventi della sua attività imprenditoriale

poteva permettersi di frequentarlo; egli lavorava e guadagnava, quindi, a dispetto del

suo sembiante, nella sua concezione della vita aveva tutto il diritto di trovarsi lì.

Queste suggestioni sicuramente ispiravano ed ispirano simpatia nei carnici; il

successo dell'Ors di Pani sui canoni codificati della civiltà, tramite il potere del

denaro derivato dal duro lavoro, non poteva passare inosservato.

L'occasione del viaggio a Venezia è narrato come uno dei tanti spostamenti a valle a

scopo commerciale. La motivazione pare appropriata; molte persone mi hanno

confermato che egli si spostava anche in Veneto, anche se soprattutto in Cadore, per

vendere i prodotti della sua azienda.

"Fu durante uno dei tanti trasferimenti a valle, per commerciare il formaggio e le bestie, che prima conobbe la moglie e poi si verificò il fatto (o i fatti) celebrato nella leggenda. Si dice infatti che un giorno, a Venezia, si sedette a un tavolo del Danieli. In sé il fatto non costituisce certo una stranezza se non fosse per la straordinarietà del luogo, uno dei più eleganti e fascinosi della Laguna. Il Nostro vi si presentò, invece, con i consueti modesti indumenti e con la barba incolta a incorniciare il viso scolpito dalla fatica e dalla durezza del vivere in montagna. Per tutta risposta il cameriere gli sparecchiò il tavolo, sia perché non credeva avesse veramente intenzione di mangiare sia per il timore che quell’uomo così rude gli rovinasse la tovaglia. A questo punto la leggenda vuole che l’Ors, esibiti i proventi della vendita di latte formaggi bestie e quant’altro, ricoprisse letteralmente il tavolo con biglietti da mille lire, a quei tempi di dimensioni considerevoli, per poi chiedere al cameriere allibito se era ora disposto a servigli il pranzo sulla tovaglia così improvvisata."5

___________________________________

5 Fuocolento in http://www.fuocolento.it/giornaledelmese.

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Anche il "Messaggero Veneto", nei molti articoli che parlarono di Antonio Zanella in

seguito al suo assassinio, ricorda che frequentava Venezia e l'Hotel Danieli:

" (...) quando andava a Venezia alloggiava al "Danieli" dove molto spesso qualcuno, vedendolo entrare, metteva mano al borsellino".6

Nella variante seguente l'occasione del viaggio a Venezia è totalmente diversa; non si

parla più di uno spostamento di tipo commerciale ma di un vero e proprio viaggio di

nozze (senza specificare se si trattasse del primo o del secondo matrimonio) ma

manca la descrizione dell'atto di ricoprire il tavolino con i biglietti da mille lire;

vengono enfatizzate solo l'enorme disponibilità di denaro di Zanella e il mutamento

di trattamento da parte del personale del locale alla vista delle banconote.

"C'era anche una cappelletta dove, nei vecchi tempi, quando i cappellani abbondavano, si celebrava saltuariamente la messa. Poi la cappella andò in rovina. Una volta trovò il tempo per sposarsi anche Toni. Fece il viaggio di nozze a Venezia. Per quanto si fosse sforzato, in quella occasione massimamente, di rassomigliare ad un cittadino, la sua barba ed i suoi modi rustici denunciavano sempre la sua origine ben montanara. Entrò in un grande albergo per pranzare e creò imbarazzo da parte del personale, a contatto con la fine clientela del locale. Fu accompagnato in un tinello separato e si cercò di fargli capire , con tatto, la situazione non scevra di contrasti. Senza dir nulla, trasse di tasca il ben fornito portafoglio ed incominciò ad allineare biglietti di banca, che allora non erano troppo comuni, davanti agli occhi stupiti dei presenti. Dopo di che fu facile trovare il compromesso: quel denaro era pulito."7

Trovo questa variante più fantasiosa che veritiera. Nessuna delle persone che ho

intervistato, specificatamente nessuna delle persone che l'hanno conosciuto o di cui

era amico, è a conoscenza di un viaggio di nozze a Venezia. Inoltre mi sembra

improbabile che un uomo così attento al risparmio e che dava un'importanza

fondamentale al duro lavoro di ogni giorno abbia deciso di intraprendere un viaggio

fino a Venezia per festeggiare le sue nozze.

_____________________________________6 Il “patriarca della Carnia” e la figlia uccisi nella notte a colpi di fucile, in “Messaggero Veneto”, 8 marzo 1955, p. 5.7 MAINARDIS A., Carnia fidelis, Reana del Rojale, Chiandetti editore, 1981, p. 164.

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Quest'altra variante è sempre ambientata a Venezia. Il luogo in cui accadde non è più

l'Hotel Danieli ma il Caffè Manin, uno storico caffè di piazza San Marco, quindi

sempre un locale molto elegante ed esclusivo. Può essere che la versione che vede

l'evento accadere al Caffè Manin di Tolmezzo, quella più comune nella valle del But,

sia collegata o derivata da questa.

L'occasione per la discesa a Venezia è nuovamente di tipo lavorativo, o più

precisamente burocratico, ovvero in merito alla Malga Avedrugno, della quale aveva

un contratto d'affitto. E' da sottolineare che questa è l'unica versione in cui appare

anche una data piuttosto precisa: autunno del 1935.

"Si ricorda e se ne parla ancora del fatto accaduto al Caffè Manin di Venezia, allorquando venne malamente allontanato perchè ritenuto un barbone, un balordo. Il fatto dovrebbe essere accaduto nell'autunno del 1935 quando con il Podestà Bonanni di Raveo ed il segretario comunale Brodevani si era recato nella città lagunare per derimere, presso il Commissariato per gli usi civili (sic.), una questione sorta per l'utilizzo della Malga Avedrugno. Rimasto momentaneamente solo sulla piazza S. Marco si era diretto con la giacca sulla spalle e camicia aperta, al Caffè Manin e qui aveva ordinato un aperitivo. Ma il suo aspetto villoso, il vestire incolto mise in allarme il personale inserviente che decise di accompagnarlo senza complimenti, alla porta. A tale trattamento gli occhi dell'Ors di Pani mandarono lampi di disappunto, ma non si perse d'animo: uscito dal Caffè prese rapidamente posto in uno dei tavoli antistanti, ed estratto il capace portafoglio rapidamente coprì il piano del tavolo con biglietti da mille lire. Un capitale per quei tempi! Sorseggiò con compostezza l'aperitivo, pagò il cameriere lasciandogli una lauta mancia, tale da lasciare strabiliato il personale del Caffè Manin."8

Effettivamente, potrebbe essere possibile che nel 1935 Antonio Zanella si recasse a

Venezia per discutere dell'affitto ed utilizzo della Malga Avedrugno. Esiste infatti un

verbale datato 21 giugno 1926, conservato all'Archivio comunale di Raveo,

riguardante la "novennale affittanza della Malga Avedrugno ad Antonio Zanella".9

_________________________________8 ARIIS A., Antonio Zanella. L’ors di Pani tra leggenda e realtà, s.d., in http://digilander.libero.it/raveo/ORS_DI_PANI.PDF.9 Archivio comunale di Raveo.

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Quindi è verosimile che nel 1935, quindi esattamente nove anni dopo, si trovasse a

discutere il rinnovo dell'affittanza oppure la compravendita, che però non avvenne

poichè l'otto ottobre 1938, il Municipio di Raveo mise all'asta la malga che venne

acquistata dalla famiglia De Antoni.

Questa variante non è ambientata né a Tolmezzo né a Venezia, ma ad Udine. Non si

tratta né di un caffè né di un albergo di lusso, ma di una semplice trattoria.

"In che volta, quant ch'al vegniva jù tal paîs cul mul a fa la spêsa, 'al veva i cjavei lungs e drets ch'a sameavin implantâs cun la sclopa, e una barba lungja ch'a gj rivava insint tal stomi. Sot la nêv, sot la ploja, sot il sorèli, à no impuartava quala stagjon, 'al jera simpri come un ors, e par chèl à lu an clamât l'Ors di Pani. Lasù dondja il Cjarsò, al veva una granda cjasa, e centenârs e centenârs di bestias tra vacjas e piôras, e duta la mont 'a era sô proprietât. 'Al veva cun se, no sai ce tagn famèjs ch'a stavi daûr al besteàm. Par dâ da mangiâ a duta cgesta int 'al faseva copâ ogni di un vidjel o una piôra, e là duc' à mangjavin cun lis mans. Una di à l'a scugnût lâ a Udin par via di documents. Viers misdi à gi ven fan e 'al decîd di lâ a mangià in una tratoria. Entrât ch'al jera, a si senta in una taula di za preparada, cui tavajuz e la tavaja. Il paron da tratoria a si visina e cun malagrasia a gj domanda ce ch'al vûl, e tal stes timp à gj tira via la tavaja par paura chìa gj la sporci. Alora l'Ors di Pani 'al comanda una pastasuta e un plat di vidjel in umid. Intant che il paron à le lât ta cusina, al tira fûr il so tacuinon e 'al giava un pachet di bigliets da mil francs e a jù distira su la taula al puest da tavaja. Quant che il paron da tratoria 'al ven fûr da cusina cul plat da pasta, a jodi duc' chesc bigliets da mil francs distirâs su la taula (e che in che volta 'an si vedeva pocùz) a gj ven un girament di cjâf ch'al lasa colâ par-tiera il plat da pasta ch'a l'e lât dut a tocùts. Tirant jù qualchi bestema, al torna in cusina e al telefonêa a la Questura, disingi che ta sô tratoria à l'é un barbon plen di bigliets di mil francs. Qualchi minût dopo à capitin doi poliziots, e ancja chêi a jodi tagn bêzs, squasi à lavin in sveniment. 'A si visinin egj domandin las cjartas, e chês à jerin in règula, ma a volevin savê indunà ch'al veva puartât via duc' chei bèz ch'al veva distirât su la taula. Ma l'Ors di Pani 'al restava mùt come il mùs da Menia. I poliziots jodint ch'a no gj dava nesuna rispuesta a telefonèin in Questura, e par fortuna à l'jera il Questôr in persona al telefono. Che quant ch'a l'a cognosût las veras generalitâs da l'Ors di Pani, 'al comenza a sigà al poliziot disingj: No sastu che chel omp li, cun duc' i bèz ch'a l'a e dutas la conosinza 'al puès comprâ Udin dut intîr?

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Quant che il paron dav tratoria à le vegnût a savei cui ch'a l'jera l'Ors di Pani, cun mil compliments à gj domandà dutas las scûsas, e ancja il personâl da tratoria a gj meterin la plui biela tovaja ch'a vevin, e un bjel mac di flôrs."10

Mi sembra che questa variante sia un po' romanzata, l'autore si è preso qualche

libertà, discostandosi sensibilmente dalle altre varianti, per dare al racconto una

sfumatura più leggendaria arricchendolo con dettagli che a volte virano al comico.

Un piccolo numero di persone11 che non conosceva molto bene le vicende di Antonio

Zanella, ma solo quest'isolato episodio, mi ha raccontato una versione ambientata

sempre ad Udine, ma al Caffè Contarena. Il Contarena è il caffè più esclusivo della

città. Fu costruito seguendo un progetto di Raimondo D'Aronco, un architetto

friulano tra i maggiori e più importanti esponenti della corrente Liberty in Italia.

Anche in questo caso, l'ambiente è un locale di lusso e si crea nuovamente

un'immagine stridente tra il montanaro vestito di lana grezza, simile ad un accattone,

e la raffinatezza del caffè costruito e decorato in Art Nouveau.

________________________10 CHIARUTTINI N.., Ricuarz dal gno friul, Udine , Arti Grafiche Friulane, 1977, pp. 18-19.Traduzione mia: "Un giorno dovette scendere ad Udine per fare dei documenti. Verso mezzogiorno gli viene fame e decide di andare a mangiare in una trattoria. Entra e si siede ad un tavolo già apparecchiato, con tovaglia e tovaglioli. Il padrone della trattoria si avvicina con scortesia e gli domanda cosa vuole, e nello stesso tempo gli tira via la tovaglia per paura che la sporchi. Allora l'Ors di Pani gli ordina una pasta e un piatto di vitello in umido. Intanto che il padrone si reca in cucina, tira fuori il suo grosso taccuino e toglie un pacchetto di biglietti da mille lire e li stende sul tavolo al posto della tovaglia. Quando il padrone della trattoria esce dalla cucina con il piatto di pasta, a vedere tutti questi biglietti da mille lire stesi sul tavolo (a quei tempi se ne vedevano pochini) gli viene un giramento di testa che gli fa cadere a terra il piatto di pasta che si è tutto rotto a pezzettini. Bestemmiando, torna in cucina e telefona alla Questura, dicendo che nella sua trattoria c'è un barbone pieno di biglietti da mille lire. Qualche minuto dopo arrivano i poliziotti, e anche loro nel vedere tanti soldi, quasi finiscono svenuti. Si riprendono e gli chiedono i documenti, e quelli erano in regola, ma volevano sapere da dove avevano portato via tutti quei soldi che aveva steso sul tavolo. Ma l'Ors di Pani restava muto come il mulo di Mènia. I poliziotti vedendo che non gli dà nessuna risposta telefonano in questura, e per fortuna c'era il Questore in persona al telefono, che quando ha saputo le vere generalità dell'Ors di Pani, comincia ad urlare al poliziotto dicendogli: "Non sai che quell'uomo lì, con tutti i soldi che ha e tutte le conoscenze, può comprarsi tutta Udine? Quando il padrone della trattoria è venuto a sapere chi fosse l'Ors di Pani, con mille complimenti (convenevoli) gli ha chiesto scusa, e anche il personale della trattoria gli ha messo la più bella tovaglia che avessero ed un bel mazzo di fiori." 11 Informatori anonimi.

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Anche in questa variante è presente l'ostentazione del denaro, come unico

stratagemma per farsi accettare da un altro tipo di mondo sociale. Ma la "trama" è un

po' diversa, tanto da farmi pensare che si tratti di un altro eventuale episodio, visto

che non ha molti tratti in comune con le altre varianti.

"Si racconta che un giorno l'Ors di Pani entrò al Contarena di Udine, si sedette ad un tavolo e dopo aver ordinato un caffè si mise a fare zuppetta con una fetta di polenta che aveva tirato fuori dallo zaino. Molti avventori cittadini, ben vestiti e di modi raffinati, si sentirono in diritto di fare commenti sarcastici e derisori sul modo di vestirsi e di comportarsi di quella persona che pareva proprio "franata" giù da qualche montagna. Zanella chiamò il cameriere e, tirata fuori una moneta d'oro, lo invitò a chiedere agli altri presenti una mancia di pari valore."12

Sempre il Messaggero Veneto, narra "il curioso episodio" come accaduto ad Udine,

senza però precisare in che locale pubblico.

"(...) si riferisce ad una sua sosta ad Udine, in un noto ristorante del centro dove Toni Zanella, in una delle sue rare gite in città, si portò per colazione. Il dimesso aspetto del cliente indusse il cameriere a sbarazzare il tavolo della bianca tovaglia. Al che, il "patriarca della Carnia" nulla replicò: ma, dalla tasca, estrasse un fascio di biglietti da mille lire che, l'uno vicino all'altro, dispose sul tavolo per sopperire alla mancanza della tovaglia. Il cameriere , allibito, volle rimediare, ma con gesto quasi melodrammatico Toni Zanella non glielo permise: dopo la colazione raccolse il suo denaro, pagò il conto e lasciò sul tavolo una mancia da mille lire."13

Le varianti che ho raccolto sono le più comuni. Vi sono poi molte altre sfumature di

dettagli che diversificano un racconto da un altro.

Per esempio, un'unica persona mi ha riferito che le banconote con cui avrebbe

ricoperto il tavolo non erano da mille lire ma da diecimila lire.

______________________________________12 AVANZATO P.G., Gente di Tumieç: racconti. immagini e poesie, Tolmezzo, Edizioni Andrea Moro, 2004, p. 143.13 Amori e stranezze dell'“Ors di Pani”, in “Messaggero Veneto”, 9 marzo 1955, p. 5.

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Se ciò fosse vero però, sarebbe necessario spostare la datazione (che tutti i racconti

confermano intorno agli anni trenta) come minimo al 1945, anno in cui fu autorizzata

all'emissione provvisoria di banconote superiori alle mille lire per combattere

l'inflazione postbellica o addirittura il 1948, anno in cui questo taglio divenne

ordinario. Sia per la datazione che per l'effettivo valore della banconota, che

considero eccessivo, non mi sento di avvallare l'ipotesi delle diecimila lire ritenendo

più plausibile la versione comune delle mille lire.

Alcuni, tra cui il nipote Giuseppe Adami14, riportano che sicuramente il fatto avvenne

al Caffè Italia di Udine, ma oltre al nipote, si tratta di un paio di persone che hanno

un ricordo piuttosto sfumato dell'episodio.

Altri narrano che il cameriere che gli tolse la tovaglia, temendo che l'Ors di Pani la

sporcasse e per fargli intendere che non sarebbe stato servito, fu addirirttura

licenziato (questo dettaglio mi è stato sottolineato in qualche caso, anche di fronte a

varianti diverse).

Patrick Heady, antropologo inglese, nel suo libro Il popolo duro15 (dove analizza la

vita, i vizi, le virtù, le tradizioni e le credenze dei carnici in Val Degano dal secondo

novecento) parla brevemente dell'Ors di Pani e riporta in maniera scarna l'episodio,

collocandolo o a Venezia o a Milano. Non ho nessuna altra notizia di un viaggio di

Zanella fino a Milano e mi sembra piuttosto improbabile che si sia mosso fino là.

Forse Milano è stata nominata solo per enfatizzare la possibilità che sia avvenuto in

una grande città.

Alcune persone, soprattutto chi l'ha conosciuto, ritengono che sia solo una leggenda,

che il fatto non sia mai realmente accaduto, spiegando che non faceva parte del suo

carattere il desiderio di frequentare locali di un certo livello. Secondo loro preferiva

intrattenersi in ambienti più simili al suo.16

________________________________14 Fuocolento in http://www.fuocolento.it/giornaledelmese.15 HEADY P., “Il popolo duro. Rivalità, empatia e struttura sociale in una valle alpina”, Udine, Forum, Editrice Universitaria Udinese, 2001, pp. 205 -206.16 Elia Polonia ed informatori anonimi.

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Un paio di anziani mi hanno raccontato che secondo loro in realtà il protagonista non

fosse l'Ors di Pani, ma suo padre, ovvero l'Ors dell'Amariana e che con il passare

degli anni gli sia stata semplicemente attribuita. Oppure che egli l'abbia

semplicemente replicata; infatti alcune persone credono che la "scena" non sia

avvenuta un'unica volta ma che sia stata ripetuta in svariate occasioni.17

L'unico informatore che ha un punto di vista certo è Carnier18, mi ha infatti

raccontato che l'Ors stesso gli spiegò come avvennero i fatti: Zanella si trovava a

Cortina d'Ampezzo per comprare del bestiame e decise di fermarsi a pranzare in un

hotel; lì accadde l'episodio della copertura del tavolo con le banconote da mille lire,

per dare al cameriere una lezione morale e contestualmente manifestare le sue ingenti

possibilità economiche.

Carnier data la vicenda successivamente al 1943, riferendo che si trattasse di Am-lire

(Allied Military Currency).

_______________________________________________________________

17 Romano Marchetti, Giuseppe Bulfone, Sergio Triolo ed informatore anonimo. 18 Pier Arrigo Carnier, informatore.

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5. L'Ors di Pani e le donne

La tradizione orale è concorde nell'attribuire ad Antonio Zanella un grande trasporto

per le donne.1

Amava le donne e veniva ricambiato; restavano infatti affascinate – si racconta – dal

suo magnetismo e dal suo carisma, ma anche dal suo aspetto fisico: nonostante gli

abiti dimessi e capelli e barba portati disordinatamente lunghi, riusciva ad avere un

aspetto regale che attraeva le donne. Chiaramente il suo fascino non si limitava

all'aspetto fisico e caratteriale; le sue proprietà e la sua ricchezza, conosciute in tutta

la Carnia, ne aumentavano il potenziale seduttivo.

Durante il difficile periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando la povertà era un

problema endemico, spesso le donne salivano a Pani alla ricerca di cibo.² L'Ors come

al solito generosamente elargiva loro o qualche prodotto di derivazione casearia o

qualche agnello sgozzato sul momento oppure ancora qualche denaro; abitualmente

Zanella approfittava della situazione ed in cambio veniva consumato un rapporto

sessuale nella sua stalla, quasi a voler equiparare le donne ai beni.3

Ciò accadeva nonostante fosse sposato e convivesse con la moglie ed i tre figli, ma

egli si sentiva un uomo libero da ogni convenzione e quindi viveva secondo delle

leggi che si era auto imposto e che faceva rispettare anche agli altri.4

____________________________¹ ARIIS A., Antonio Zanella. L’ors di Pani tra leggenda e realtà, s.d., rintracciabile in http://digilander.libero.it/raveo/ORS_DI_PANI.PDF. “Così io ti vidi e capii, quando fui testimone casuale ed attore di un tuo sacro commercio di cacio con una donna che continuava a far udire la sua voce da dentro il chiuso della casera; mi faceva udire la voce ed io trasalivo, temendo per lei, perchè mi pareva notare del querulo nel timbro e temevo la sua certa disgrazia...” Cfr. MARCHETTI R., L’Ors di Pani, Genova, La Lontra, 1993.2 CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, p. 98.3 Pier Arrigo Carnier, informatore.4 RIGAMONTI C. - ROS M., Nella conca incantata di Pani, in Carnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio, 1978, p. 76.

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Le tre figure femminili principali furono le due mogli e la discussa figlia Maria.

Come abbiamo visto, il primo giugno 1912 sposò Domenica Mainardis.5

Su questo matrimonio ci furono molte dicerie, forse alimentate anche dalla brevità

della convivenza fra i due.

La Mainardis visse infatti per un periodo molto breve a Pani, tanto da rimanere quasi

una sconosciuta per compaesani, per amici e per chi successivamente si è interessato

ed informato sulla vita di Antonio Zanella.

L'opinione della maggior parte degli intervistati, forse fomentata dalle voci che

circolavano, è che il matrimonio fra i due fosse di convenienza. Infatti si parla di un

rapporto tra la Mainardis ed il padre dell'Ors di Pani, che obbligò quest'ultimo a

sposarla per poterle vivere accanto.6 L'Ors dell'Amariana era ancora coniugato con la

moglie, ma sembra che come il figlio avesse una predisposizione al libertinaggio, ed

invaghitosi della Mainardis, non potendola sposare, costrinse il figlio a contrarre il

matrimonio in modo da poterla frequentare liberamente senza dare adito a troppe

chiacchere.

Vengono descritti come due amanti ed in molti è ancora vivo il convincimento che

Maria Zanella fosse figlia dei due e non di Antonio. Erano quindi fratellastri da parte

di padre.7 Come descritto nel primo capitolo, l'ipotesi di un matrimonio riparatore

non regge a causa di una mancata coerenza delle date8, ma questo ovviamente non

esclude che esistesse una relazione tra i due, dissimulata dal matrimonio tra

Domenica e Antonio.

Carnier, che fu confidente di Maria, mi ha riferito che lei era a conoscenza di non

essere la figlia di Antonio, anzi secondo i suoi racconti in realtà non era figlia

naturale neppure della Mainardis. Maria gli raccontò che l'Ors dell'Amariana ebbe

una relazione da una terza donna (di cui non sono riuscita a risalire alle generalità)

__________________________________________________

5 Cfr. cap. 1., p. 12.6 Pier Arrigo Carnier, Romano Marchetti, Alessandro Moroldo, Elia Polonia, Mario Sigalotti ed informatori anonimi.7 Romano Marchetti, Alessandro Moroldo, Elia Polonia, Mario Sigalotti ed informatori anonimi 8 Cfr. cap. 1., p. 12.

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che rimase incinta di Maria.

L'Ors dell'Amariana decise quindi di affidarla alla Mainardis che si occupò di

crescerla, fingendo che fosse figlia sua e dell'Ors di Pani (ed in questo modo venne

anche registrata all'anagrafe).9

Dopo la registrazione anagrafica della nascita della figlia, non si ritrovano altri

documenti fino all'undici luglio 1929, giorno in cui il Podestà di Amaro chiese il suo

ricovero al manicomio provinciale di Udine; richiesta che fu ufficializzata il giorno

seguente con il ricovero.10 Nel Certificato medico per l'invio dei malati al manicomio

provinciale di Udine la Mainardis venne definita come una contadina di condizione

disagiata, di mediocre costituzione fisica e mediocri vennero dichiarati anche lo

sviluppo mentale ed il “raggiunto grado di intelligenza”. Nell'anamnesi familiare

venne annotato il dubbio che la madre fosse malata di mente. Alla voce “occupazioni

abituali” si riscontra “laboriosa, poco socievole, buona ed onesta che non abusò di

vino e neanche di Venere”11. La diagnosi fu una generica melanconia, provocata,

secondo il medico che compilò il certificato, dall'esplosione dell'età critica

(menopausa) e da un'influenza nociva da parte del padre (rimasto da poco vedovo).

Le manifestazioni principali della pazzia furono definite in tendenza suicida,

melanconia e stati depressivi; si richiese l'internamento perché considerata pericolosa

a sé, in quanto le cure precedenti non ebbero esito positivo. La visita d'ingresso al

manicomio riportava gli stessi sintomi e le stesse inclinazioni. Venne infatti descritta

taciturna, appartata, depressa e rallentata.12

___________________________________________________

9 Pier Arrigo Carnier, informatore.10 “Il Podestà Ufficiale di P.S. Ritenuto che Mainardis Domenica, figlia di fu Nicolò, nata ad Amaro il 19-12-1885 è affetta da alienazione mentale ed è divenuta pericolosa a sé e agli altri, come risulta dall'unito certificato medico; visto l'art.2 della legge 24 febbraio 1936, comma terzo, ordina il ricovero urgente della demente Mainardis Domenica nel manicomio provinciale di Udine.” Documento allegato alla cartella clinica di Domenica Mainardis, conservato presso l'Archivio Generale dell'Azienda per i servizi sanitari n. 4 Medio Friuli di Udine, Dipartimento di salute mentale.11 Certificato medico per l'invio dei malati al manicomio provinciale di Udine conservato presso l'Archivio Generale dell'Azienda per i servizi sanitari n. 4 Medio Friuli di Udine, Dipartimento di salute mentale.12 Certificato medico del 27 luglio 1929, conservato presso l'Archivio Generale dell'Azienda per i servizi sanitari n. 4 Medio Friuli di Udine, Dipartimento di salute mentale.

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La Mainardis rimase ricoverata presso la struttura fino al 28 giugno 1930, quando fu

trasferita al manicomio femminile di Gemona.

Le sue condizioni però non migliorarono durante l'anno di internamento.

Dal diario clinico si può osservare come invece la sua salute e la sua alienazione

peggiorarono nel giro di breve tempo.13

Le prime annotazioni dello psichiatra che l'aveva in cura raccolgono le confidenze

della Mainardis (definita ancora taciturna con atteggiamento depresso); con una certa

difficoltà nel rispondere alle domande, raccontò di essersi sentita inquieta dopo la

morte della madre, di non riuscire più a prendere sonno e di vivere nel timore di non

poter più essere capace di seguire le proprie occupazioni; negò però di avere tentato

il suicidio.

Tre mesi dopo, ad ottobre, la situazione cominciò a peggiorare; venne infatti descritta

come raccolta, silenziosa e negativista, a volte nervosa. Iniziò a rifiutare il cibo, per

questo venne sedata ed alimentata con un sondino. Iniziò a perdere lucidità mentale.

Due mesi dopo la situazione continuò a peggiorare; la Mainardis appariva denutrita e

sempre alimentata con il sondino, perse quasi totalmente la lucidità mentale che

venne sostituita da un forte disorientamento. A febbraio dell'anno successivo un

nuovo peggioramento; sempre più denutrita venne posta in isolamento e bloccata a

letto. Il suo stato fu definito precomatoso. Ad aprile perse quasi totalmente la

lucidità, non parlava, non rispondeva e passava le giornate o vagando per la corsia o

picchiandosi e sbattendo la testa sulla testiera del letto. A giugno sembrò migliorare,

sia dal punto di vista della nutrizione che della deambulazione, anche se trascorreva

la maggior parte della giornata seduta in un angolo con la testa reclinata. Il 28 giugno

del 1930 venne trasferita al manicomio femminile di Gemona, dove, poco dopo,

morì.

Il decesso della Mainardis fu l'occasione per Zanella per chiudere definitivamente

questo matrimonio senza frequentazione e sposare Domenica Zanier, con la quale

intesseva una relazione extraconiugale dal 1910 e da cui ebbe tre figli. __________________________________________________________

13 Diario clinico, conservato presso l'Archivio Generale dell'Azienda per i servizi sanitari n. 4 Medio Friuli di Udine, Dipartimento di salute mentale.

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Alcuni pensano che il matrimonio fu celebrato per motivi di interesse; sposando la

Zanier infatti divenne proprietario di tutta la parte nord orientale della conca.

Romano Marchetti descrive i nuovi possedimenti derivati dal matrimonio come “la

terra più ambita” ed il matrimonio con la Zanier (“l'anziana vicina”) come un

“espediente” per l'appropriazione di quel territorio, visto che non erano bastati i

lunghi anni di rapporto extraconiugale e neppure la nascita di tre figli.14

Uno dei miei informatori mi ha raccontato come avvenne la cerimonia, avendovi

partecipato in quanto chierichetto (nonostante fosse una bambina).15

Antonio Zanella e Domenica Zanier si sposarono nella chiesetta di Pani. C’erano

parecchi invitati, ma pochi di Raveo. Il tavolo di nozze era stato imbandito in una

stanza scura, con tutti i muri anneriti dal fumo. Probabilmente si trattava della stanza

in cui venivano affumicate le ricotte. La stanza è stata definita “quasi spaventosa” per

la sua cupezza. Al centro si trovava il tavolo imbandito con delle tovaglie candide di

tessuto pregiato, un tipo di tovaglia che non ci si sarebbe aspettati di trovare

nell'abitazione di un malgaro. L'informatore ricorda che quando salirono in Pani per

assistere alla cerimonia, Zanella si stava lavando alla fontana con l’acqua gelata.

C’erano l'Ors, la Zanier ed i figli (non ancora riconosciuti dall’Ors).

Quando fu il momento di scambiarsi le promesse di matrimonio, e il prete chiese:

“Vuoi tu Antonio Zanella prendere come tua legittima sposa la qui presente

Domenica Zanier, per amarla, onorarla e rispettarla, in salute e in malattia, in

ricchezza e in povertà finché morte non vi separi ?” egli rispose in maniera risoluta e

ridondante “Sì”; quando invece la formula di rito fu rivolta alla futura moglie, non

rispose immediatamente, forse anche un po’ intimidita dalla situazione, lasciò

scorrere qualche secondo, al che Antonio Zanella la apostrofò dicendole “E ce

spietitu a rispuindi?”16 al che lei sommessamente rispose “Sì Siôr...”17.

_________________________________14 MARCHETTI R., L’Ors di Pani, Genova, La Lontra, 1993, paragrafo II.15 Informatore anonimo.16 Traduzione mia: “E cosa aspetti a rispondere?”.17 Traduzione mia: “Sì Signore...”.

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Questo racconto ci fa comprendere meglio quale fosse il rapporto tra l'Ors e la

moglie; veniva trattata al pari di una serva, si occupava infatti di tutti i lavori

domestici nel casolare in cui vivevano.18

Lei stessa dichiarò che l'Ors la trattò sempre con distacco e severità. Alla moglie

riservava lo stesso trattamento che serbava ai figli; si comportò quindi in maniera

dura, severa, autoritaria e dispotica.19 Inoltre, nonostante l'ufficializzazione della loro

unione, l'Ors continuò ad avere rapporti, per lo più fugaci, con altre donne.20

Nonostante le nozze, Zanella non provvide a regolarizzare la posizione dei tre figli

illeggitimi. Secondo Carnier, i figli sarebbero risultati d'intralcio alla sua visione del

futuro, poiché ci teneva ad essere libero, anche di destinare il suo patrimonio a modo

suo, senza obblighi legali; quindi principalmente alla figlia Maria.21

Questa supposizione è avvalorata da un'intervista che il Messaggero Veneto fece a

Maria Gressani, moglie di uno dei suoi figli, Antonio. La Gressani raccontò al

quotidiano che quando seppe che il marito non era stato riconosciuto dal padre

naturale, si ribellò all'Ors, soprattutto per assicurare un futuro ai suoi figli. Chiese

quindi al suocero di intestare loro una casa o di dargli qualche mucca, ma l'Ors

rispose che non ce n'era bisogno poiché alla sua morte “sarebbero stati tutti bene”.

Spingeva anche perchè si trasferissero a Pani. 22

La situazione precipitò quando del 194723 la figlia Maria si trasferì a Pani.

Aveva passato un lungo periodo a Milano, presumibilmente, come tante donne della

sua età, soprattutto venete e friulane, a fare la domestica in qualche famiglia

_________________________18 ARIIS A., Antonio Zanella. L’ors di Pani tra leggenda e realtà, s.d., in http://digilander.libero.it/raveo/ORS_DI_PANI.PDF , A.B., C.B., informatori.19 L'assassino dell'”Ors di Pani” sarà sottoposto a perizia psichiatrica, in “Messaggero Veneto”, 9 giugno 1955, p.4-5. 20 “Così io ti vidi e capii, quando fui testimone casuale ed attore di un tuo sacro commercio di cacio con una donna che continuava a far udire la sua voce da dentro il chiuso della casera; mi faceva udire la voce ed io trasalivo, temendo per lei, perchè mi pareva notare del querulo nel timbro e temevo la sua certa disgrazia...” Cfr. MARCHETTI R., L’Ors di Pani, Genova, La Lontra, 1993, paragrafo III.21 Pier Arrigo Carnier, informatore.22Amori e stranezze dell' “ors di Pani”, in “Messaggero Veneto”, 9 marzo 1955, p. 5.23 Ufficio Anagrafe, Archivio Comunale di Raveo.

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abbiente; anche se in realtà si sussurrava che si fosse trasferita a Milano per fare la

prostituta.24

Qualunque fosse il reale rapporto di parentela tra i due, non si vedevano da decine di

anni; erano quindi quasi due estranei. Maria mi è stata descritta con un carattere

simile a quello dell'Ors: era una donna molto bella, magnetica, dal piglio

decisamente autoritario, grande lavoratrice, astuta, intelligente ma a differenza del

padre molto devota.

Con il suo arrivo avvenne una vera e propria rivoluzione in quei casolari. Divenne

subito la prediletta dell'Ors; i litigi aumentarono vistosamente, gli altri tre figli

decisero infatti di lasciare la casa natia. Maria iniziò subito ad essere parte integrante

sia della vita che dell'azienda dello Zanella, partecipando attivamente a qualsiasi

discussione o decisione (diversamente dalla Zanier che era relegata alle faccende

domestiche). Vista la sua indole autoritaria iniziò anche a criticare la moglie dell'Ors,

soprattutto lamentandosi della cucina. Tra l'Ors e Maria nacque un rapporto di amore

e passione, una relazione privilegiata; infatti erano soliti dormire nello stesso letto.25

Le chiacchere di paese, l'irregolarità della situazione familiare ed il contesto

quotidiano divenuto insostenibile spinsero la Zanier ad abbandonare la casa,

silenziosamente. Se ne andò mestamente, volgendosi verso l'Ors solo per lasciare

un'ultima frase: “Ricordati, ritornerò un giorno in questa casa, perchè io ho nutrito

il tuo sangue!”26.

Maria e l'Ors continuarono quindi con il loro rapporto esclusivo. Vista la natura

incestuosa della relazione, molti informatori hanno preferito non entrare nei dettagli,

nonostante fosse risaputa.

L'Ors di Pani la trattava come una sua pari, nei suoi confronti non aveva

comportamenti dispotici ed autoritari come per gli altri membri della sua famiglia.

Maria aveva a disposizione anche un ingente quantitativo di denaro; scendeva spesso

a Venezia in treno, alloggiando anch'ella al rinomato e lussuosissimo Hotel Danieli.

___________________________24 Pier Arrigo Carnier, informatore.25 Romano Marchetti, Pier Arrigo Carnier ed informatori anonimi.26 CARNIER P.A.., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, p. 97.

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Amava i gioielli, si recava appunto a Venezia per visitare le gioiellerie della città,

dove spesso comprava preziosi di alta fattura. A volte si limitava ad osservare le

vetrine senza comprare nulla, solo l'idea che volendo avrebbe potuto permettersi quei

gioielli costosi la riempiva di gioia. Non fece mai mistero dei suoi monili, anzi le

piaceva parlarne e mostrarli; forse anche per questo motivo subì un'aggressione e

qualche furto, che non vennero però mai denunciati.27

Essendo una donna molto bella e con una grande personalità, aveva molti

corteggiatori ma lei considerava l'Ors “l'uomo della sua vita”. Particolare non

trascurabile, essendo l'unica figlia legittima, avrebbe ereditato gran parte del

patrimonio. Questo era anche il desiderio di Zanella. Romano Marchetti mi ha

raccontato in particolare di una serata passata nel casolare dell'Ors; fu invitato dal

geometra Vittorio Pittoni di Imponzo (incaricato da Zanella per l'amministazione dei

suoi beni) ad andare a cena con lui dall'Ors. Si trattava di discutere del passaggio di

proprietà di diversi terreni da Zanella direttamente alla figlia. Questo ovviamente

suggerisce che tra i due ci fosse un rapporto speciale, visto che gli altri figli non

erano stati neppure riconosciuti; invece si premurava di lasciare a Maria delle

proprietà prima di un'eventuale eredità. Questo fatto si rivela ancora più interessante

se ci si sofferma sulla forte inclinazione al possesso dell'Ors.28

Il rapporto incestuoso tra i due, per cui furono molto chiaccherati e considerati

amorali, in realtà veniva vissuto con estrema semplicità. Da una parte Maria era

sicura di non essere né la figlia dell'Ors di Pani né di Domenica Mainardis29 , dall'altra

Antonio Zanella, con la sua personalissima morale e la sua abitudine a non seguire le

regole sociali codificate. Come abbiamo visto ebbe molti rapporti con molte donne

diverse. Tutto ciò veniva da lui vissuto con estrema normalità; seguiva la sua natura e

non le norme sociali e religiose, o più genericamente culturali, soprattutto nel suo

regno. Non va sottovalutato l'isolamento in cui i due vivevano.

____________________________________________________________

27 Pier Arrigo Carnier, informatore.28 Romano Marchetti, informatore.29 Pier Arrigo Carnier, informatore.

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Probabilmente visse il matrimonio più come uno scambio economico, mentre il

rapporto con Maria investiva maggiormente le sue pulsioni ed il suo sentire, la parte

più istintuale della sua natura.

Era sicuramente consapevole della proibizione culturale e religiosa dell'incesto, ma

questo sembrava non interessarlo, come se inconsciamente prediligesse il suo stato di

natura, non dando importanza alle regole della società civile.

Anche questo aspetto sottolinea la sua grande esigenza di libertà che cercò sempre di

concretizzare, seguendo i suoi istinti e cercando di soddisfare i suoi desideri, anche

con atteggiamenti che imbarazzavano la comunità.

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6. Nel tempo dei cosacchi

Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale vide Antonio Zanella protagonista suo

malgrado. Non venne arruolato e non combatté per l'esercito italiano, ma la conca di

Pani divenne teatro delle battaglie tra partigiani e cosacchi.

Si trovò quindi a perdere la "ferocia della solitudine", ovvero quella pienezza

esistenziale di cui beneficiava vivendo immerso nella natura, ossia in un delicato

equilibrio tra uomo e natura che non presupponeva la presenza di altre persone oltre

agli altri abitanti di Pani. Le incursioni di partigiani e cosacchi andarono a spezzare

questa stabilità, immergendolo nella novità della socialità e rendendolo partecipe

della storia.¹

I "cosacchi", termine generico per indicare un'antica comunità militare composta da

georgiani, caucasici e cosacchi, proveniente dall'Europa dell'est e dall'Asia, da fine

agosto del 1944 ad inizio maggio del 1945 invasero il Friuli e soprattutto la Carnia.2

Erano una popolazione perseguitata dallo stalinismo per le posizioni anticomuniste e

giunsero in Friuli dopo tre anni di peregrinazioni tra Polonia, Ungheria, Germania ed

Austria. Sotto il comando dell'atamano Krassnoff (già in carica durante la

rivoluzione bolscevica con posizioni filozariste) si allearono con il Reich nazista;

Hitler aveva promesso loro, popolo senza terra, un insediamento stabile in Carnia

(ribattezzata "Kosakenland in Nord Italien" all'interno del Adriatisches Küstenland),

in cambio della repressione delle brigate partigiane ._____________________________________________1 DORIGO E., Prefazione, in R. Marchetti, L'Ors di Pani, Genova, La Lontra, 1993.2 Cfr. CARNIER P.A., L'armata cosacca in Carnia 1944-1945, Milano, Mursia, 1990; CARNIER P.A., 18.000 cosacchi in Carnia, in "Vento di Carnia", Udine, tipografia G.B. Doretti 1957, pp. 41-67; VENIR G., I cosacchi in Carnia, 1944-1945, Comune di Pasian di Prato, 1999; IVANOV A., Cosacchi perduti: dal Friuli all'Urss 1944-45, Tricesimo, Aviani, 1989, SIBILLE SIZIA B.., La terra impossibile, Udine, Doretti, 1991; GORTANI M., Il martirio della Carnia dal 14 marzo 1944 al 6 maggio 1945: una pagina di storia della resistenza, Pasian di Prato, Leonardo editrice, 2000; VUGA F., La zona libera di Carnia e l'occupazione cosacca, luglio-ottobre 1944, Udine, Del Bianco, 1961; VERARDO F., I cosacchi di Krasnov in Carnia, Udine, Aviani & Aviani, 2010; DE CANEVA T., La battaglia di Pani: 17-18-19 novembre 1944. Testimonianze, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1971.

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Si erano alleati con i nazifascisti poiché, convinti della vittoria, speravano di ottenere

la caduta di Stalin ed il ripristino della sovranità dei Romanov.

Si impegnarono quindi nella repressione dei movimenti antifascisti, sia italiani che

jugoslavi (capitanati dal comandante Josip Broz, più conosciuto con il suo nome di

battaglia, ossia Tito), ma anche nella difesa delle vie di comunicazione con il Reich.

Identificarono così la causa tedesca come la propria causa; ciò fu anche alimentato

dal Proclama Rosenberg del 10 novembre 1943, con cui la Germania si impegnò a

restituire ai cosacchi le terre, i diritti ed i privilegi che avevano perduto nella loro

terra d'origine; nel caso in cui ciò non fosse stato possibile, promisero loro la nascita

di uno stato indipendente in altre zone occupate dal Reich.

Giunsero così, nella tarda estate del 1944, circa una cinquantina di treni dalla Polonia

che contenevano quasi sessantamila tra cosacchi e caucasici, pervenuti con le

famiglie, i cavalli, i cammelli e molti dei loro oggetti di uso quotidiano. Oltre ai

soldati, approdò in Friuli anche una notevole massa di profughi civili.

Si trattava di invasori un po' atipici; in realtà Hitler ed i tedeschi li disprezzavano

trattandoli come inferiori e li sfruttavano solo in funzione antipartigiana; ma anche la

popolazione invasa provava odio nei loro confronti poiché si resero protagonisti di

brutali violenze, saccheggi, fucilazioni, stupri e profanazioni di chiese.3

Le strade ed i valichi erano presidiati dalle sentinelle cosacche, le case private

vennero occupate e spesso saccheggiate dai soldati, nelle piazze si trovavano cumuli

di letame e fieno per i loro cavalli (erano qualche migliaio) e cammelli (circa una

ventina), nei cortili cuocevano in grandi pentole pecore e montoni precedentemente

rubati agli allevatori, nei loro rastrellamenti sottrassero molti oggetti di valore e

gioielli alla popolazione locale; inoltre in alcuni casi trucidarono freddamente gli

uomini che destavano in loro qualche sospetto (accadde per esempio a Muina, a

Cella, ad Ovasta) .4

Anche la casa della mia famiglia, situata a Cedarchis (una piccola frazione di Arta

Terme) fu occupata da loro, che oltre a saccheggiare i beni di famiglia, trasformarono

____________________________________3 VENIR G., I cosacchi in Carnia, 1944-1945, Comune di Pasian di Prato, 1999. 4 CARNIER P.A., 18.000 cosacchi in Carnia, in "Vento di Carnia", Udine, tipografia G.B. Doretti 1957, pp. 41-67.

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la nostra abitazione in una stalla per i loro cavalli.

L'inizio della coabitazione fu quindi molto violento; nel corso dei mesi invece

divenne più tranquilla, anche per il consolidarsi della convinzione che la permanenza

dei cosacchi in Friuli potesse durare a lungo. Inizialmente i cosacchi cercavano di

occupare le abitazioni dei residenti, ma lentamente riuscirono ad avere delle strutture

proprie concesse dal regime nazista (conferimenti elargiti solo per stimolarli a

continuare l'impegno contro le brigate partigiane) come scuole, ospedali, tribunali,

banche, luoghi di culto, compagnie teatrali ed addirittura due giornali (uno dei quali

si intitolava "la terra dei cosacchi").

In Val Pesarina, Aulo Magrini (Arturo) e Italo Cristofoli (Aso) creano il primo nucleo

di quella che diventerà la Brigata Garibaldi, inizialmente accogliendo chiunque

avesse l'intenzione di combattere le truppe tedesche; successivamente si crearono

divisioni a seconda dell'orientamento politico: comunisti e socialisti formeranno la

Brigata Garibaldi (identificabili con il fazzoletto rosso), mentre nella Osoppo

(fazzoletto verde) confluiranno i sostenitori della Democrazia Cristiana, del Partito

d'Azione, del Partito Liberale, ma anche chi non aveva o non sapeva darsi una

precisa connotazione politica.

Il 26 settembre 1944 si costituì la Repubblica Libera della Carnia la cui capitale fu

fissata ad Ampezzo, su un territorio appartenente al Terzo Reich; ma ebbe vita breve,

infatti venne sciolta il 10 ottobre dello stesso anno quando l'Alto Comando

germanico, irritato dalla nascita di un contropotere, scatenò una sanguinosa

offensiva.5

Nell'ottobre del 1944, la Brigata Garibaldi Friuli, operante da circa un anno sulle

Prealpi Giulie e Carniche, durante l'occupazione cosacca aveva trovato uno dei suoi

_________________5 RIGAMONTI C. - ROS M., La Resistenza in Carnia e le vicissitudini della gente di Raveo, in “Carnia, incontro e scoperta”, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio, 1978, pp. 52-59; Cfr. anche BUVOLI A.- DOMENICALI I., 1940-1945: la seconda guerra mondiale e la resistenza in Friuli, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 1995; AA.VV., Movimento di liberazione in Friuli, 1900-1950, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 1973; BUVOLI A.-DOMENICALI I.., La zona libera della Carnia e del Friuli, Comunità Montana della Carnia, s.d.; BUVOLI A.- NIGRIS C.., Percorsi della memoria civile. La Carnia. La Resistenza, Ist. Friulano Storia del Movimento di Liberazione - Comunità Montana della Carnia, 2004.

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rifugi nella valle di Pani, in quanto rappresentava una postazione strategica sia in

caso di difesa che di offesa, tanto che le malghe diventarono un vero e proprio

quartier generale.

Spesso L'Ors di Pani dava ospitalità ai partigiani (particolarmente durante la notte)

ed accadeva sovente che si trovassero ad ideare piani ed imboscate attorno al suo

fogolâr. Romano Marchetti (Cino da Monte) ha raccontato che lui e Tredici (Angelo

Cucito, il primo comandante della Brigata Garibaldi Carnia) dormivano addirittura

nel suo letto, che Zanella cedeva loro altruisticamente.6 La generosità dell'Ors non si

limitava all'ospitalità (che lo metteva ovviamente in pericolo, rischiando l'accusa di

collaborazionismo e quindi la fucilazione) ma provvide anche a sostentarli dal punto

di vista alimentare, fornendo loro latticini e carne.7

A metà novembre, presso l'Ors di Pani si svolse un'importante assemblea dei capi

partigiani per discutere il futuro del movimento antifascista in seguito alla diffusione

del proclama Alexander, avvenuta il 13 novembre 1944.

Il proclama era stato lanciato via radio da Harold Alexander, generale britannico che

ebbe il comando di tutte le forze alleate presenti in Italia, e consisteva nell'ordine alle

formazioni partigiane di cessare le operazioni organizzate su vasta scala,

specificando che era necessario conservare le munizioni ed i materiali approfittando

delle occasioni favorevoli per attaccare i tedeschi ed i fascisti.

Da una parte si trovava la brigata "Osoppo", fondamentalmente in accordo con il

proclama, e dall'altra la "Garibaldi" che invece voleva continuare ugualmente la lotta

sui monti.8

Successivamente a questa riunione, l'Ors di Pani si trovò spettatore della battaglia di

Pani. L'azione militare si svolse nei giorni 17,18, 19 e 20 novembre 1944. Il comando

della Brigata e del Battaglione Friuli risiedevano vicino al Casolare Fabris, di

proprietà appunto dell’Ors di Pani.

____________________________________________________6 "Libertà vo cercando..." Intervista di Alberto Burgos a Romano Marchetti (18 marzo 2005) in http//:www.carnialibera1944.it.7 CARNIER P.A., L'Ors di Pani in "Vento di Carnia", Udine, tipografia G.B. Doretti 1957, pp. 77-1388 CARNIER P.A. , L'armata cosacca in Carnia 1944-1945, Milano, Mursia, 1990, pp. 80-85.

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L’obiettivo generale dei nazifascisti e cosacchi era quello di eliminare il “centro di

resistenza Carnia-Cadore”, mentre più nello specifico il fine era la frantumazione di

sacche di resistenza che si erano formate dopo la prima fase della controffensiva

autunnale (8-17 ottobre 1944). A Pani si trovava una di queste sacche per un totale di

circa 150 partigiani. La zona era particolarmente adatta, in quanto le forze partigiane

potevano controllare l’accesso al Cadore e il Passo di Monte Croce di Comelico

(territorio metropolitano del Terzo Reich); inoltre si potevano fermare gli eventuali

attacchi dal Passo del Monte Rest e controllare la statale 355 della Val Degano. La

battaglia non fu combattuta per iniziativa partigiana, ma fu organizzata dal Comando

tedesco e cosacco.

Riporto la ricostruzione della battaglia descritta da Tranquillo De Caneva (Ape).9

Trascorso il primo mese d'occupazione, alle ore 14 del 17 novembre 1944 una

pattuglia nemica prese contatto con una compagnia partigiana schierata a difendere la

zona di Pani. La pattuglia, con brevi scariche, venne costretta alla fuga.

I cosacchi stavano preparando un'azione a vasto raggio per eliminare la sacca di

resistenza. A confermare questa previsione giunse un messaggio che avvertiva

dell'attacco a Pani; messaggio che però non precisava quanti uomini sarebbero stati

impegnati.

Solo dopo la battaglia fu possibile stabilire che non meno di 700 armati entrarono in

conflitto diretto contro i 150 partigiani nel rastrellamento dei giorni 19 e 20, e che

complessivamente ben 4000 uomini (dotati di artiglieria leggera e di mortai da 81)

furono utilizzati in quella battaglia.

Il comando della Brigata Garibaldi decise che bisognava rompere l'accerchiamento

nemico, e attaccare il presidio di Raveo la sera stessa. Fu scelto Raveo perché quel

presidio costituiva per i partigiani la minaccia più immediata e pericolosa, e anche

perché il terreno era particolarmente favorevole per un attacco a sorpresa. I cosacchi,

sentendosi accerchiati, fuggirono nella direzione di Villa Santina dove vennero

falciati dai partigiani appostati.

I partigiani, aiutati dagli abitanti, portano armi, munizioni e vettovaglie a Valdie

___________________________________9 DE CANEVA T., La battaglia di Pani: 17-18-19 novembre 1944. Testimonianze, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1971.

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(località limitrofa a Pani) appostandosi in seguito in posizioni strategiche. Il 18 i

cosacchi desistettero dall'attacco per rioccupare del presidio di Raveo.

A Raveo, intanto, nella tarda mattinata, consapevoli che i cosacchi guidati dai

tedeschi erano in marcia per rioccupare il paese, il sindaco e un grosso numero di

uomini e donne (settantadue), preceduti da una grande bandiera bianca, andarono

loro incontro lungo la strada per Villa Santina. I partigiani stessi suggerirono agli

abitanti e allo stesso Ors di Pani, che incontrarono ad Esemon di Sopra, di issare

bandiera bianca e al cospetto dei cosacchi imprecare contro i partigiani che non

avevano rispetto per la loro proprietà.

Le spiegazioni del sindaco furono considerate, specie dai cosacchi, esaurienti.

Tuttavia, per misura precauzionale, chiesero che cinque uomini formassero

l'avanguardia della colonna in marcia per Raveo.

Dieci uomini (sindaco, giunta comunale e altre persone) vennero accompagnati al

comando di Villa Santina per essere interrogati. Le rimanenti cinquantasette persone

furono trattenute come ostaggi a Esemon di Sopra per il resto della giornata.

Il giorno seguente trecento uomini attaccarono da Raveo lo schieramento partigiano e

contemporaneamente una colonna cosacca si mosse da Muina congiungendosi con

quelle provenienti da Raveo, ma i partigiani riuscirono a contenere l'assalto.

Nel frattempo un reparto cosacco di cinquanta uomini, proveniente da Fresis, giunto

in località Astona, venne attaccato da una compagnia partigiana che lo costrinse ad

arrestarsi per tutta la giornata. Verso mezzogiorno tutto il battaglione era impegnato

nella lotta, non potendo ritirarsi (la neve abbondante limitava i movimenti e l'unica

via di fuga non era sicura) i partigiani decisero di passare al contrattacco.

Combatterono fino a sera, quando la battaglia cessò.

La notte trascorse tranquilla ma all'alba del giorno 20 due compagnie partigiane si

trovarono a dover immobilizzare una colonna proveniente da Raveo.

A metà mattina una colonna proveniente da Ampezzo attaccò la sella di Pani,

esattamente dalla parte opposta del punto in cui si era verificata la prima battaglia;

i cosacchi cercavano di prendere im partigiani alle spalle, ma non riuscirono ad

avanzare.

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Così decisero di procede ad un violento bombardamento, con pezzi di artiglieria

leggera e di mortai, preoccupandosi di non colpire i casolari di Pani.

Evidentemente i cosacchi volevano conquistare intatti gli stavoli ed i casolari abitati,

poiché sapevano che ci avrebbero trovato foraggio per i cavalli e grosse quantità di

cibo per i soldati.

Alle spalle dei partigiani si muoveva un grosso esercito tedesco in direzione malga

Avedrugno; tentavano di raggiungerla per scendere da questa verso Pani. Ma la

manovra fallì, non grazie ad una controffensiva partigiana ma a causa

dell'abbondante nevicata. Furono quindi costretti a fare marcia indietro. Anche i

cosacchi cercarono di scappare, ma i partigiani erano in posizione favorevole; inoltre

da Astona salì un'altra cinquantina di partigiani armati a fiancheggiarli. In questo

modo riuscirono ad allontanarli e a liberare la conca di Pani.

Le brigate partigiane si muovevano di baita in baita e spesso si riparavano nelle

malghe, compresa la malga Avedrugno, che come abbiamo visto in precedenza era

stata data in affitto all'Ors di Pani dal Comune di Raveo e successivamente dalla

famiglia De Antoni che aveva comprato la malga all'asta. Le malghe diventarono le

fortezze invernali della Resistenza, sepolte dalle nevi e spesso dislocate in posizioni

dominanti e strategicamente importanti. Nella conca di Pani si erano rifugiati circa

una ventina di garibaldini (il battaglione "Leone M.Nassivera" capitanato da Elio

Martinis di Ampezzo, ribattezzato Furore ).

I cosacchi seguivano una tattica precisa quando si apprestavano ad assaltare le

compagini partigiane, attaccando prima dell'alba; per questo motivo, in modo da non

farsi sorprendere alla malga Avedrugno, i partigiani passavano spesso le notti sugli

alberi che circondavano la valle.10

L’Ors di Pani durante questi eventi si prodigò con generosità; destinò gran parte del

suo gregge per sfamare la popolazione e i combattenti partigiani, che nascose e

ospitò nella sua valle.

__________________________________________10 CARNIER P.A , L'armata cosacca in Carnia 1944-1945, Milano, Mursia, 1990, pp. 83-88.

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Alla fine della guerra i suoi animali risultarono pesantemente decimati.

I cosacchi vennero a conoscenza del suo collaborazionismo e salirono fino ai suoi

casolari per arrestarlo, ma di fronte al suo implacabile silenzio decisero di metterlo al

muro. L'Ors di Pani, generosamente e coraggiosamente corse il rischio della

fucilazione. Intervenne Maria, la figlia, supplicando i cosacchi di non giustiziarlo,

cercando di giustificare le accuse rivolte al padre, ma le sue preghiere rimasero

inascoltate. Gli fu intimato di alzare le braccia e gli furono puntate addosso le

carabine cosacche. Alla fine fu liberato presumibilmente in forza del suo aspetto.11

Sembra infatti che di fronte alla sua corporatura imponente, al suo sguardo ed ai suoi

occhi chiari ed alla barba rossiccia ed arruffata i cosacchi videro in lui il prototipo dei

Kulaki, ovvero quei milioni di contadini benestanti che vennero sterminati e

deportati nei campi di lavoro da Stalin poiché si opponevano alla collettivizzazione

delle terre. Probabilmente, essendo essi stessi fuggiti dalla Russia bolscevica di

Stalin, in quanto filozaristi, provarono empatia per quest'uomo che ricordava loro i

connazionali ingiustamente decimati.12 Non riuscirono ad eseguire l’ordine, posarono

le armi e la fucilazione fu sospesa. Sfidando la minaccia di un agguato partigiano, i

cosacchi qualche giorno dopo ritornarono nelle proprietà dell’Ors di Pani per

donargli un colbacco bianco di pelle d’agnello. Questo particolare colbacco nella

tradizione cosacca era un segno di distinzione e per questo indossato dai dignitari.

Lui ringraziò con la consueta rudezza.13

Romano Marchetti, nell'intervista già citata rilasciata a Burgos, ha un'opinione un po'

meno mistica e forse più materialistica dell'accaduto. Sostiene infatti che Zanella fu

risparmiato dai cosacchi perchè comunque rappresentava uno dei produttori più

forniti dell'intera Carnia; ucciderlo avrebbe significato perdere molti

approvvigionamenti di cibo (carne e latticini) ma soprattutto di fieno (era abitudine

dei cosacchi foraggiarsi dall'Ors di Pani, che vista la situazione era costretto a

consegnare loro) interpretando l'episodio del colbacco bianco più come uno scambio

____________________________________________________11 CARNIER P.A., "L'Ors di Pani" in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti 1957, pp. 77-138.12 Ibidem.13 Ibidem.

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che come un dono simbolico.14

L'Ors di Pani fu nuovamente chiamato in causa nelle lotte tra partigiani e cosacchi, il

3 marzo 1945. All'alba, iniziò l'offensiva primaverile cosacca. Quando una colonna

di quest'ultimi, proveniente dal presidio di Ovaro (località carnica a poca distanza da

Pani) salì fino ai suoi casolari, ordinandogli di accompagnarli alla malga Avedrugno,

dove sapevano che si stavano nascondendo i garibaldini capitanati da Furore.

Seguendo la loro tattica collaudata, ovvero sorprendere i nemici alle prime ore del

giorno, obbligarono Zanella a far loro strada in direzione della malga. Fu costretto ad

ubbidire ed ad avviarsi alla testa della colonna cosacca, che in seguito si nascose con

le mitragliatrici.

Vennero lanciate delle bombe incendiarie, che mandarono a fuoco la malga. Attesero

che il fuoco distruggesse completamente la malga prima di andarsene. Ma in realtà

all'interno della malga non vi era nessuno, come riferì successivamente Zanella

"C'era un gran silenzio e la malga era già stata evacuata".15

Un'interpretazione diversa, rispetto alle dichiarazioni degli informatori, del rapporto

tra Zanella ed i partigiani mi è stata fornita da Pier Arrigo Carnier16. Ripercorrendo i

suoi ricordi e le sue chiacchierate con l'Ors, afferma che egli si trovò a sostenere

(anche e soprattutto a livello alimentare, come abbiamo visto) la Resistenza più

obbligato dagli eventi e dalla situazione che per un effettivo desiderio di appoggio.

Secondo Carnier quindi non ci fu un'autentica partecipazione dell'Ors, quanto un

atteggiamento di necessaria diplomazia, anche se in realtà era contrariato dalla

decimazione dei suoi armenti per il sostentamento delle brigate. Carnier asserisce che

in realtà l'Ors - grosso proprietario terriero - non apprezzasse il movimento

partigiano, soprattutto l'ala di ispirazione comunista, nel senso che era preoccupato

dalla possibilità che i partigiani imponessero il principio della collettivizzazione

___________________________________________

14 "Libertà vo cercando..." Intervista di Alberto Burgos a Romano Marchetti (18 marzo 2005) in http//:www.carnialibera1944.it. 15 CARNIER P.A., L'armata cosacca in Carnia 1944-1945, Milano, Mursia, 1990, pp. 96-98.16 Pier Arrigo Carnier, informatore.

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delle terre.

L'interpretazione è in linea con la personale opinione del Carnier sul movimento

partigiano in Friuli, che egli identifica come un unico fenomeno di stampo marxista,

interessata non alla liberazione dell'Italia dall'oppressore (l'ex alleato tedesco), ma

all'introduzione del modello comunista.

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7. Racconti e ricordi

In questo capitolo raccolgo racconti, testimonianze dirette e alcune storie riportate in

alcuni testi che ho consultato. Per questo materiale non ho trovato nessun riscontro

documentario, ma è utile per comprendere come la figura dell'Ors di Pani fosse

entrata e resti nell'immaginario del popolo carnico.

L'Ors di Pani, come abbiamo visto1, era conosciuto non solo dagli adulti ma anche

dai bambini. Spesso evocato dai genitori per tenere a bada i propri figli, a volte

veniva identificato da questi ultimi come un vero e proprio orso in carne ed ossa con

atteggiamenti antropomorfi: come nelle favole.

"Un giorno Luigino Concina, assieme alla mamma. Passò davanti alla casa di Antonio Zanella e la donna gli disse: "Eco, frut, cheste a è la cjase da L'Ors". E Luigino: "Joi, a l'era buin ancja di fa las cjasas!". Perchè come tanti bambini,pensava fosse un vero orso"2.

Sempre in Carnia, incontro e scoperta viene riportato un altro racconto che invece

sottolinea e ricorda quel lato del carattere di Antonio Zanella che si esprimeva con

una grande generosità e solidarietà verso gli estranei al suo nucleo familiare.

____________________________________________

1 Cfr. Cap.2, p.21.2 RIGAMONTI C. - Ros M., Nella conca incantata di Pani, in Carnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio,1978, pp. 74-79. Traduzione mia: "Ecco, piccolo, questa è la casa dell'Ors". E Luigino: "Oh, era capace anche di fare le case!".

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"Un giorno il cane di due cacciatori che stavano attraversando una sua proprietà, uccise una delle sue pecore. Dopo un attimo di esitazione i due decisero, molto saggiamente, di portare l'animale al legittimo proprietario. Appena giunti in prossimità della casa , videro il "Patriarca" sulla porta con in mano il binocolo: sorrideva. Quando furono vicini, li accolse dicendo "Avete fatto bene a portarmi la pecora, altrimente non sareste più passati per i miei prati". Li invitò ad entrare ed offrì loro del formaggio, carne, burro ed un buon bicchiere di vino"3.

In questo racconto, accanto alla generosità con cui l'Ors di Pani cerca di rimediare

all'offesa recata al capitano di guardia, si riscontrano anche altre caratteristiche

tipiche dell'Ors di Pani, che sicuramente hanno alimentato l'alone di leggenda intorno

a lui, quali l'irruenza, l'immediatezza, la difficoltà di seguire le regole sociali e la sua

indole scontrosa.

"Alla fine dell'ultima guerra mondiale, in Pani, erano rimaste inesplose delle bombe. Fu predisposto, per rendere inoffensivi gli ordigni bellici, un campo nei pressi del Colador e fu proibito a tutti di avvicinarsi a quel luogo. Un giorno l'Ors giunse nella zona e quando il capitano di guardia gli intimò l'alt, infuriato egli lo prese per il bavero, lo pestò e poi proseguì per la sua strada. Il capitano scese a Raveo per denunciarlo, ma ne fu diassuaso. Pur non essendo a conoscenza di talefatto, lo Zanella capì di avere esagerato; allora il giorno seguente prese una forma di formaggio e un bel agnello e glieli portò in dono"4.

Romano Marchetti mi ha raccontato una vicenda simile. Accade che un giorno, finita

____________________________________

3 RIGAMONTI C. - Ros M., Nella conca incantata di Pani, in Carnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio,1978, p. 77.4 Ibidem.

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la seconda guerra, Marchetti, rincasando, trovò un bigliettino sotto lo zerbino. Sul

biglietto c'era scritto solo "Ven su" ("Vieni su").

Capì immediatamente che doveva trattarsi dell'Ors di Pani; era l'unico tra le persone

che conosceva che avrebbe potuto lasciare un testo così scarno e diretto senza

firmarsi. Marchetti salì fino a Pani.

Zanella lo accolse spiegandogli che aveva bisogno del suo aiuto. Gli ufficiali

dell'artiglieria avevano iniziato a cannoneggiare verso malga Avedrugno, per

esercitazioni, provocando dei grossi buchi nel terreno, rovinando così i suoi pascoli.

L'Ors voleva che smettessero di sparare e aveva chiamato Marchetti proprio perché

pensava che lui avrebbe potuto far cessare la situazione. Quando Marchetti gli spiegò

che non poteva fare nulla, perché ormai non aveva più nessuna autorità istituzionale,

lui gli rispose: “No tu eris ufficiâl ancje tu?"5.

In seguito derise Marchetti, perché non era riuscito ad aiutarlo con gli altri ufficiali,

ovvero quelli che secondo lui avrebbero dovuto essere i suoi "simili", aggiungendo:

“Bon cumò o vin cjacarat, va cumò”6, e chiuse la discussione porgendogli un pezzo

di formaggio.7

Romano Marchetti mi ha raccontato un altro aneddoto collegato alla seconda guerra

mondiale. Lo ritengo molto importante sia per comprendere l'umanità dell'Ors di

Pani, sia per capire quali fossero effettivamente le sue perplessità di fronte alla lotta

_________________________________________

5 Traduzione mia : "Non eri anche tu ufficiale?".6 Traduzione mia: "Va bene, ora abbiamo parlato, ora vai".7 Romano Marchetti, informatore.

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partigiana, o più compiutamente, di fronte alla violenza e alla ferocia delle situazioni

che venivano a crearsi durante i periodi di guerra in genere.

Si erano trovati insieme a Pani Marchetti, Zanella e tre partigiani (Prospero, Fermo

Cacitti; Bruno, Terenzio Zoffi e Tredici, Angelo Cucito) per discutere di come

contenere le colonne casacche che intendevano salire da Raveo fino ai casolari

dell'Ors. Insieme a loro c'era un giovane di Arta di Terme, partigiano della Osoppo.

Prospero si mise di fronte a lui e lo accusò di tradimento. Non si limitò a questo, ma

estrasse la pistola e la puntò verso il giovane.

Tentò di sparargli, ma la pistola si inceppò, così Prospero cominciò a colpirlo in testa

con il calcio dell'arma. Marchetti intervenne per fermarlo, ma dalla testa del giovane

iniziava a zampillare sangue.

L'Ors di Pani non diceva nulla, ma gli si leggeva in volto che fosse rimasto

scandalizzato da questa violenza gratuita e assistette alla scena scuotendo

continuamente il capo. Era chiaramente indignato dal fatto che un uomo potesse

essere ucciso con tanta semplicità e superficialità. Il ragazzo infatti si salvò solo

grazie al malfunzionamento della pistola e all'intervento di Marchetti. Per questo

ritengo che l'Ors mantenesse una certa distanza dalla Resistenza non tanto per il

timore della collettivizzazione delle terre8, quanto perché si sentiva molto distante dal

clima che si era creato nella lotta tra i partigiani e l'esercito cosacco, che si esprimeva

a volte in assassinii attuati con cruda leggerezza.

L'Ors di Pani viveva immerso nella natura, di cui aveva un grandissimo rispetto, e

_________________________________________________________________________________

8 Cfr. Cap.6. pp. 68-69.9 Romano Marchetti, informatore.

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nello stesso modo rispettava anche la natura umana e quindi, durante quel periodo, si

trovò spesso di fronte a comportamenti che non approvava, poiché molto lontani dai

suoi principi e dalla sua morale.9

Romano Marchetti ed altri informatori10 mi hanno riferito che Zanella non amasse

sentirsi chiamare "Ors di Pani", preferiva essere soprannominato con il suo

diminuitivo, Toni.

Contraria è la testimonianza di Pier Arrigo Carnier 11: Egli mi ha infatti ha riferito che

Zanella non fosse infastidito dal soprannome con cui era conosciuto in tutta la

Carnia, anzi, era per lui motivo di orgoglio. Gli piaceva l'idea di avere un nomignolo

che lo rendeva famoso.

A supporto dell'opinione più comune, ho rintracciato un breve racconto che esplica il

fastidio che provava lo Zanella ad essere definito "l'Ors di Pani", specialmente da

parte delle istituzioni:

"Un'altra volta un ufficiale della forestale chiamò l'Ors per discutere delle sue proprietà terriere e questi, giunto a Tolmezzo, bussò alla porta della sua casa. Si sentì dire: "Avanti! Tu ti chiami l'Ors di Pani?" e lui, sdegnato,rispose: "Maleducato, io sono Antonio Zanella". Uscì quindi sbattendo la porta e tornò a casa senza ascoltare niente di quanto doveva dirgli l'ispettore.12

Un altro racconto, che in parte testimonia la generosità dell'Ors di Pani ma che va a

sottolineare principalmente la sua indole di uomo libero anche di fronte alle autorità

ecclesiastiche, è riportato da Augusto Ariis. Ariis colloca l'accaduto nel maggio del ___________________________________________10 Romano Marchetti ed informatori anonimi.11 Pier Arrigo Carnier, informatore.12 RIGAMONTI C. - Ros M., Nella conca incantata di Pani, in Carnia, incontro e scoperta, Udine, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Grafiche Fulvio,1978, p. 78.

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1934 nella sala del teatro parrochiale di Raveo.

Gli abitanti stavano festeggiando insieme al parrocco l'arrivo delle nuove campane.

L'acquisto era stato dispendioso e comportò dei sacrifici per l'intera comunità.

Nonostante l'Ors di Pani avesse dei rapporti difficili con il clero a causa della sua

condotta, partecipò alla spesa delle campane con una generosa donazione, si diceva

superiore a ciò che era stato elargito dalla metà dei compaesani messi assieme.

In occasione dei festeggiamenti, ossia la benedizione solenne delle campane ed il

successivo rinfresco, fu invitato anch'egli. Giunse in paese con uno dei suoi muli (i

cui finimenti erano stati tirati a lucido per la celebrazione) accompagnato da uno dei

suoi famigli, che reggeva le briglie.

Era un evento che il paese attendeva da tempo, la festa era stata preparata con cura.

Il parroco, don Giuseppe, intratteneva le autorità, senza dimenticarsi di dare la giusta

attenzione anche a Zanella. Forse caricato dal clima festoso, decise di chiedere

all'Ors di Pani se non volesse approffittare dell'occasione per sposare finalmente

Meneute mettendo così fine alla loro relazione extraconiugale, dato che la prima

moglie era morta da pochi mesi. Zanella si fece ripetere nuovamente la proposta dal

parrocco, per essere certo di non aver mal interpretato le sue parole; quando ne fu

certo, si adirò con lui e gli rispose seccamente: "Senta reverendo, io non mi sono mai

immischiato tra lei e le sue donne e sia ben chiaro che io non permetto a nessuno,

compreso lei, di immischiarsi nelle mie"13. Detto ciò, incollerito, chiamò il suo

famiglio perché gli portasse il mulo, ed abbandonò la sala.

Una precisazione sulle date: è impossibile che ciò sia accaduto veramente nel 1934

poichè a fine gennaio del 1932 il matrimonio tra Zanella e la Zanier (Meneute) era

già stato celebrato.14

Per concludere, riporto un ultimo racconto, citatomi da Romano Marchetti, in merito

al loro primo incontro. Marchetti e Zanella si conobbero durante la Seconda Guerra

_________________________

13 ARIIS A., Antonio Zanella.L’ors di Pani tra leggenda e realtà, s.d., in http://digilander.libero.it/raveo/ORS_DI_PANI.PDF.14 Archivio comunale di Raveo, Ufficio Anagrafe.

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Mondiale, quando Marchetti era un partigiano della Osoppo e Zanella, come

abbiamo visto, fu importantissimo per il sostentamento delle brigate. Il primo

approccio non fu decisamente amichevole.

Tra settembre e ottobre Marchetti insieme al fratello si recò in Pani con l'intento di

scavare delle buche in cui nasconderci armi, munizioni e cibo che sarebbero stati utili

in caso di un inseguimento nemico. L'Ors era piuttosto adirato, era in cerca di una

delle sue pecore che era scappata dal pascolo. Quando li vide, senza neppure

guardarli, disse loro di salire fino ad uno stavolo più in alto.

Dopo qualche giorno, finito di riempire le buche con il materiale che ritenevano

necessario, Marchetti ed il fratello decisero di scendere a valle. Marchetti non

trovava più il suo binocolo; era un oggetto a cui era molto legato perché gli era stato

portato in dono dal padre dall'America Latina.

Pensò subito che fosse stato Zanella a sottrarglielo, così scese velocemente verso i

casolari dove lo incrociò. I due iniziarono a litigare animatamente, Marchetti lo

accusò di avergli sottratto il binocolo, finchè l'Ors imbracciò il fucile con aria

minacciosa, scuotendolo in aria, ed allora il fratello di Marchetti, intimorito, gli

consigliò di desistere e di lasciare stare la faccenda.

Così se ne andarono.

Qualche tempo dopo, Marchetti tornò a Pani ed incrociò l'Ors; nessuno dei due

provava rancore o desiderio di vendetta per l'appassionato screzio avvenuto in

precedenza, anzi, si salutarono con trasporto fino ad abbracciarsi come se non fosse

accaduto nulla. Quel giorno nacque la loro amicizia, che si protrarrà fino alla morte

dello Zanella.15

___________________________________15 Romano Marchetti, informatore.

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8. L'assassinio ed il processo

Martedì otto marzo 1955, il Messaggero Veneto pubblicò un lungo articolo intitolato “Il

“patriarca della Carnia” e la figlia uccisi nella notte a colpi di fucile” riportando i fatti

che erano accaduti tre giorni prima, nella notte tra sabato e domenica, a Pani di Raveo.

La mattina del 6 marzo fu trovato il corpo di Maria Zanella riverso a terra all'interno

della sua abitazione, in cucina, con il torace squarciato da un colpo di fucile da caccia,

esploso a distanza ravvicinata. Si riscontrarono anche i segni di un secondo colpo sul

muro della stanza. Il cadavere di Antonio Zanella invece fu rinvenuto solo lunedì

mattina, ai piedi di una scala a pioli di uno stavolo vicino, sempre di sua proprietà.

Due compaesani, Primo e Giacomo Facchin, avevano notato un braccio sporgere dalla

neve; scavando trovarono il corpo, mutilato in volto da una scarica di pallettoni sparata

a breve distanza, che reggeva ancora rigidamente due coperte sotto un braccio, mentre la

mano destra stringeva una lampada ad acetilene.

Il rinvenimento del cadavere di Maria coincise con la scomparsa dell'Ors di Pani; nei

paesi limitrofi si comiciarono ad azzardare una serie di ipotesi sull'omicidio. La più

comune vedeva nelle vesti dell'assassino lo stesso Ors di Pani. Essendo risaputa la

natura ambigua del rapporto tra padre e figlia, circolarono voci di un presunto animato

litigio tra i due, e che l'uomo, in un impeto d'ira, l'avesse freddata fuggendo poi sui

monti.1

____________________________________

¹ Il “patriarca della Carnia” e la figlia uccisi nella notte a colpi di fucile, in “Messaggero Veneto”, 8 marzo 1955, pp. 4-7.

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Fortunatamente, sabato erano saliti fino a Pani due sciatori, Pier Arrigo Carnier² di

Comeglians e Lodovico Gressani di Luint di Ovaro, per passare la serata e la domenica

seguente con l'Ors e Maria. Furono testimoni di determinati eventi che riuscirono

successivamente ad indirizzare le indagini della polizia verso un ristretto numero di

presunti colpevoli.

Ricostruendo i fatti, Carnier e Gressani raccontarono che quando salirono incontrarono

l'Ors (la figlia Maria era scesa a Tolmezzo per una visita medica e non era ancora

rincasata) il quale li accolse calorosamente e li invitò a cena ed a pernottare da lui.

Durante quella serata la neve cadeva in maniera particolarmente copiosa, alcuni

informatori ricordano ancora benissimo l'abbondanza delle precipitazioni, definendola

una tormenta.³

Mentre Zanella si organizzava per accogliere i suoi ospiti, premurandosi di prendere

delle coperte in uno stavolo vicino, Carnier e Gressani, nonostante l'abbondante

nevicata, decisero di andare a salutare l'amico Giovanni, che viveva in un casolare poco

distante. Durante il cammino incontrarono Maria che stava rincasando; si accordarono

per vedersi per cena e raggiunsero lo stavolo.

Dopo aver chiaccherato con l'amico decisero di raggiungere Antonio e Maria, ma

mentre con difficoltà avanzavano verso l'abitazione dei Zanella (era caduto più di un

metro di neve), intravvidero una figura maschile accanto alla casa, che teneva tra le

mani, con la canna rivolta a terra, un fucile; inoltre portava uno zaino sulle spalle.

Convinti che fosse l'Ors, lo chiamarono (“Toni, setu tu?”4) ma una voce diversa, dal

tono minaccioso, rispose: “No! No l'è Toni! No si sa cu' che je”5. Rimasero tutti e tre

immobili per un attimo, finché l'uomo si voltò di scatto, forse notando il bastone che

_________________________________² Pier Arrigo Carnier, informatore.³ Pier Arrigo Carnier ed informatori anonimi.4 Traduzione mia: “Toni, sei tu?”.5 Traduzione mia: “No! Non è Toni!Non si sa chi è”.

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Carnier aveva utilizzato per agevolarsi il cammino nella neve, e con un salto superò la

staccionata di filo spinato e scomparve nella notte.6

Carnier e Gressani non erano riusciti a distinguere il volto dell'uomo in mezzo alla

bufera, chiamarono ancora l'Ors, senza ricevere risposta, quindi spaventati dall'incontro

decisero di tornare allo stavolo dell'amico, per dare l'allarme, ma nessuno ebbe il

coraggio di scendere a controllare l'accaduto. Si ripromisero che il giorno dopo

sarebbero andati dall'Ors e Maria.

L'indomani all'alba scesero subito al casolare dell'Ors e quando tentarono di aprire

l'uscio a fatica, videro immediatamente che questo era bloccato dal cadavere di Maria,

riverso sul pavimento, con una larga ferita al petto. Collegarono subito l'accaduto con la

presenza dello sconosciuto con il fucile. Dell'Ors di Pani non vi era alcuna traccia.

Iniziarono ad urlare richiamando l'attenzione degli altri abitanti, sopraggiunsero

Giovanni e la sorella di Zanella, Margherita. Constatato l'accaduto, Giovanni si prese

l'incarico di scendere a valle per dare la notizia ed informare le forze dell'ordine.

Nel frattempo Carnier e Gressani si spostarono nello stavolo di Margherita, attendendo i

soccorsi.7 Durante le lunghe ore di attesa cominciarono a fare delle ipotesi sull'accaduto,

cercando di capire anche dove potesse essere l'Ors. Inizialmente Margherita, zia di

Maria, nutriva qualche sospetto nei confronti di Carnier e Gressani, essendo stati gli

ultimi a verderla viva ed i primi a trovarla morta; inoltre su di loro gravava una certa

diffidenza per la loro condizione di forestieri.8

Anche per questo motivo, quando decisero di andare a prendere gli zaini e gli sci lasciati

nel casolare dell'Ors, chiesero che qualcuno li accompagnasse, per non destare ulteriori

sospetti, ma nessuno accolse l'invito, quindi si trovarono a rientrare da soli

nell'abitazione dove Maria era stata lasciata ancora nella stessa posizione.

_______________________________________

6 CARNIER P.A., Notte di neve e di sangue in “Messaggero Veneto”, 5 marzo 1993, p.14.7 CARNIER P.A., L'Ors di Pani, in Vento di Carnia, Udine, tipografia G.B. Doretti, 1957, pp. 116-138.8 Pier Arrigo Carnier, informatore.

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Lunedì mattina, Primo e Giacomo Facchin, due abitanti di Raveo, decisero di salire a

Pani per governare le greggi dei Zanella, visto che Maria era deceduta e che l'Ors era

sparito da ormai due giorni. Giunti al casolare, si accorsero che dalla spessa coltre di

neve sporgeva un braccio; iniziarono a scavare e scoprirono il corpo dell'Ors, in

posizione rigida e con la testa spappolata.

Accorsero anche i familiari. Uno dei miei informatori mi ha raccontato (secondo una

descrizione fattagli da una pronipote dello Zanella) che la sorella Margherita, quando

vide il corpo del fratello, con la scatola cranica aperta e le cervella che ne fuoriuscivano,

avesse raccolto la materia grigia in una scodella, quasi a volerla preservare; in seguito

furono mangiate da un gatto.9

Nel frattempo erano salite anche le autorità: il dott. Marasco, procuratore della

Repubblica di Tolmezzo; il tenente colonnello Saitto, comandante del Gruppo Esterno

dei Carabinieri; il capitano Favalli, comandante della Compagnia di Tolmezzo; il

maresciallo Lo Curcio della Squadra Investigativa di Tolmezzo; il dottor Giannino

Pascoli ed il sindaco di Raveo, Antonino Ariis. Nel pomeriggio, le due salme avvolte in

una coperta militare e legate ad una slitta, furono portate a Raveo per essere poste nella

cella mortuaria.

Carnier e Gressani, scendendo a valle, incrociarono le autorità ed alcuni paesani che

stavano salendo per recuperare i corpi. Furono in particolare colpiti da un giovane di

Raveo, Romano Lorenzini, che si avvicinò loro chiedendo ragguagli sull'uomo armato

che avevano incrociato nella notte di sabato. Con insistenza cercava di capire se i due

avessero riconosciuto l'uomo.10

Inizialmente gli inquirenti non seppero rendere noto se l'omicida avesse ucciso prima il

padre o la figlia, in seguito, ricostruendo l'accaduto, giunsero alla conclusione che l'Ors ___________________________________________________

9 Informatore anonimo.10 Pier Arrigo Carnier, informatore.

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fu colpito per primo, mentre scendeva dalla scala a pioli dello stavolo accanto e in un

secondo momento l'omicida si recò alla loro abitazione ed assassinò anche Maria.

Questo duplice omicidio scosse molto la popolazione, diventò il principale argomento di

conversazione nelle osterie e nei bar e nei locali; ebbe un'ampia risonanza anche sui

giornali locali. Varie furono le ipotesi al vaglio degli inquirenti.

Inizialmente si pensò ad un rapinatore che sorpreso, preso dal panico, uccise Maria ed in

seguito l'Ors per essere sicuro di non essere stato visto, ma ciò venne escluso per

l'incuria dimostrata nella ricerca della refurtiva; vi erano infatti trentamila lire bene in

vista e anche molti dei gioielli che Maria amava comprare. Nella perquisizione furono

infatti trovati preziosi pari a circa un chilo d'oro.

Successivamente si pensò ad un movente passionale; si cercò un ipotetico pretendente

che, respinto da Maria e cacciato malamente dall'Ors, si sarebbe ribellato all'idea di

dover rinunciare alla donna.11 Nei giorni successivi il Messaggero Veneto specificò che

in paese girava una voce di un imminente matrimonio di Maria con un anziano della

vallata. Il quotidiano scrisse che aveva già preparato il corredo nonostante il parere

contrario del padre, il quale non avrebbe mai tollerato la presenza di un altro uomo nella

vita della figlia e che quindi si premurò di scacciare il pretendente. Quest'ultimo avrebbe

quindi potuto vendicarsi dell'affronto uccidendo padre e figlia. 12

Un'altra ipotesi fu la vendetta personale dovuta o a degli screzi con l'Ors o ad un debito

non onorabile contratto dall'omicida con lo Zanella (che era solito fare molti prestiti); si

suppose che dopo aver freddato lo Zanella, temendo che la figlia lo avesse sentito e

riconosciuto, ci fu uno scontro degenerato poi in un secondo omicidio.

________________________________________________________________

11 Nelle progettate nozze di Maria Zanella la chiave del dramma nella baita solitaria?, in “Messaggero Veneto”, 9 marzo 1955, p.4.12 Amori e stranezze dell' “ors di Pani”, in “Messaggero Veneto”, 9 marzo 1955, p. 5.

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Un'ultima ipotesi riguardava la cospicua ricchezza di Zanella e la sua eredità: in caso di

decesso sia di Maria (l'unica figlia riconosciuta) che di Antonio il patrimonio sarebbe

stato suddiviso in due terzi a Domenica Zanier (la seconda moglie da cui viveva

separato) ed un terzo ai tre fratelli dello Zanella. Ma quest'ipotesi fu subito scartata.

Si pensò che Maria conoscesse il suo assassino, con cui probabilmente ebbe una

colluttazione in quanto venne trovata con il pullover stracciato ed un graffio,

probabilmete un'unghiata, sul petto; inoltre le fu trovato addosso un capello biondo (lei

invece era mora).

Grazie alle testimonianze di Carnier e Gressani, gli inquirenti riuscirono a delimitare gli

interrogatori ad un ristretto nucleo di persone. Carnier fornì una sommaria descrizione al

colonnello Saitto; gli parlò di un ragazzo intorno ai venticinque-trentanni, alto all'incirca

un metro e settanta, con la cadenza tipica del dialetto di Raveo, che impugnava un fucile

da caccia calibro 12.13

Lodovico Gressani nutriva qualche sospetto verso un compaesano in particolare; la notte

in cui ci fu quel breve scambio di battutte gli sembrò di riconoscere la voce di Romano

Lorenzini, un abitante di Raveo che prestava servizio come lavorante nell'azienda dello

Zanella e che aveva avuto qualche screzio con quest'ultimo. Gressani non ne aveva la

sicurezza, confidò il dubbio al padre che gli consigliò di parlarne ai carabinieri.14

Lorenzini fu così interrogato insieme ad altri uomini che rispondevano alla descrizione

sommaria fatta dai due testimoni, finchè il nove marzo crollò all'interrogatorio dei

carabinieri di Tolmezzo e confessò: “Sì. Ho ucciso io. Lasciatemi un momento respirare

e poi vi racconterò tutto”15.

______________________________________________________

13 Pier Arrigo Carnier, informatore.14 Informatore anonimo.15 L'”Ors di Pani” e sua figlia uccisi per vendetta da un giovane di ventiquattro anni amico di casa, in “Messaggero Veneto”, 10 marzo 1955, pp. 4-5.

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Confessò di aver ucciso per vendetta. All'inizio dell'interrogatorio sostenne

ripetutamente e con atteggiamento impassibile l'alibi che si era creato, ovvero di avere

passato la serata al Cral (Circolo Ricreativo Aziendale dei Lavoratori) e all'osteria del

paese, di essere rincasato per cena ed essere successivamente uscito per raggiungere

nuovamente il Cral dove lo attendevano degli amici.16

Ma gli amici lo smentirono, dichiarando di essere stati in sua compagnia fino alle

diciannove e di non sapere dove avesse in seguito passato la serata. Un altro fattore che

lo spinse a confessare fu il ritrovamento del suo fucile da caccia, un calibro 12, appeso

ad un chiodo presso la sua abitazione.

Dichiarò di non utilizzarlo da quasi sei mesi, ma i carabinieri, analizzando l'arma,

ebbero la prova che aveva sparato di recente. Inoltre i bossoli trovati vicino all'Ors

avevano lo stesso calibro e le stesse caratteristiche di fabbrica delle cartucce trovate a

casa di Lorenzini durante la perquisizione.

Di fronte a queste contraddizioni, alla fine Lorenzini confessò. Rivelò di essere salito a

Pani, armato di fucile ed una quindicina di cartucce, con il preciso intento di uccidere

l'Ors di Pani. Voleva vendicarsi di un affronto arrecatogli dallo Zanella; raccontò infatti

che giorni prima l'Ors l'aveva aspramente e pesantemente rimproverato davanti alla

figlia Maria, che lo spalleggiava nella strigliata, incolpandolo della rottura del

sottopancia di un mulo. Disse che lo minacciò con una scure. A ciò aggiunse che il

giorno prima dell'omicidio, venerdì, recapitò una lettera del Comune a Zanella ed anche

in questo caso ricevette un rimbrotto. Secondo Lorenzini queste furono le motivazioni

che lo condussero a salire a Pani sabato sera, intorno alle ventuno, per vendicare le

offese subite.

Raccontò che una volta salito a Pani, vide l'Ors mentre scendeva la scala a pioli con le

coperte per i suoi ospiti sottobraccio e una lampada ad acetilene in mano, che lo

illuminava.

_____________________________16 L'”Ors di Pani” e sua figlia uccisi per vendetta da un giovane di ventiquattro anni amico di casa in “Messaggero Veneto”, 10 marzo 1955, pp. 4-5.

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Si avvicinò e gli sparò all'altezza della regione parietale; la morte fu immediata.

Si allontanò subito dal casolare per raggiungere lo stavolo dove Maria viveva con il

padre, lo trovò seduta su una sedia che si riscaldava davanti al fuoco. Probabilmente a

causa della bufera di neve non aveva sentito il colpo di fucile. Sparò due volte, il

secondo colpo al petto fu mortale.

Completò il racconto spiegando di aver avuto un momento di esitazione tra il primo ed

il secondo colpo, ma comprendendo che ormai era stato riconosciuto, per non rischiare

il carcere, sparò di nuovo per eliminare la testimone. Quando incontrò Carnier e

Gressani decise di ritornare all'abitazione dei Zanella per inscenare un furto; rovistò nei

cassetti e prese uno zaino che riempì, tra le altre cose, con tre orologi, un braccialetto,

un pacco di tessuti comprati da Maria a Tolmezzo e due forme di formaggio. Tornando

verso Raveo, il cammino in mezzo alla neve si dimostrò troppo faticoso con tutto quel

peso così si sbarazzò di alcune cose, che in seguito vennero ritrovate dai carabinieri.

Quando la mattina dopo a Raveo si sparse la voce dell'omicidio di Maria, Lorenzini salì

a Pani con gli altri per prestare soccorso. Cercò di non tradirsi, neppure quando i

soccorritori dibattevano sul motivo del duplice omicidio.

Riuscì a rimanere indifferente anche quando salì con gli altri soccorritori, e trovandosi

davanti al corpo esanime dell'Ors, per non tradire alcuna emozione, chiese al

maresciallo Saitto di tenersi il coltello dell'Ors di Pani che trovò frugandogli nelle

tasche. 17

Mentre Lorenzini veniva interrogato a Tolmezzo, a Raveo si svolgevano i funerali di

Maria ed Antonio Zanella, in maniera solenne. Se ne occupò l'amministrazione

comunale, che aveva fatto affigere un manifesto a lutto:

____________________17 Pier Arrigo Carnier, informatore.18 L'”Ors di Pani” e sua figlia uccisi per vendetta da un giovane di ventiquattro anni amico di casa, in “Messaggero Veneto”, 10 marzo 1955, pp. 4-5.

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“Durante la notte di sabato 5 corrente, venivano barbaramente trucidati in località Pani di Raveo il cavaliere Stella del Lavoro Antonio Zanella e la figlia sua Maria. Lo annunciano costernati la moglie ed i parenti tutti. Si associa la cittadinanza ricordando la generosità dello scomparso particolarmente in tempi calamitosi e la sua solidarietà alle istituzioni sociali. I funerali avranno luogo alle ore 10.30” 18

Dalla cella mortuaria del cimitero le due bare, precedute dai bambini dell'asilo, vennero

trasportate a spalla alla chiesa parrocchiale. Precedeva quella di Maria, sorretta da sei

amiche, seguiva quella dell'Ors portata tra gli altri dal commendatore De Antoni.

Intervennero anche vari sacerdoti delle pievi limitrofe. Alle esequie partecipò anche

Tranquillo De Caneva, insieme ad una larga rappresentanza di ex partigiani, che usò

commosse parole per ricordare l'uomo che molto aveva aiutato la Resistenza durante la

Seconda Guerra Mondiale.

Al funerale giunse anche una misteriosa donna molto elegante, alta e bionda, che scesa

da un'auto di lusso pose un grosso mazzo di rose sulla tomba di Maria. Nessuno seppe

mai chi fosse, ma si ipotizzò che si trattasse di un'amica del periodo trascorso a

Milano.19

Nel frattempo Lorenzini fu tradotto in carcere dove continuarono ad interrogarlo per

comprendere meglio il movente del duplice omicidio. Gli inquirenti, vista la debolezza

della testimonianza, pensarono che fosse stato ingaggiato da qualcuno, presumendo un

mandante che avrebbe potuto trarre profitto dalla morte di Zanella, come ad esempio un

debitore di qualche consistente somma20.

____________________________19 Pier Arrigo Carnier, informatore.20 Freddo e cinico l'assassino di Raveo afferma di aver ucciso per vendetta, in “Messaggero Veneto”, 11 marzo 1955, p. 4. Ipotizza un mandante anche un informatore anonimo.

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Ma Lorenzini smentì questa ipotesi, continuando a ripetere che aveva ucciso per pura

vendetta, come negò di avere qualche interesse di tipo sentimentale verso Maria, ipotesi

che nasceva da una serie di voci che correvano per il paese.

L'undici marzo, in uno stavolo di Valdie, fu ritrovato lo zaino che Lorenzini aveva

sottratto all'Ors; all'interno furono ritrovati ventidue metri di stoffa, due camicie, un

binocolo militare, due scatole di sardine, un pacco di sigari toscani, quattordici pacchetti

di trinciato, uno scalpello ed alcune chiavi.21

L'otto giugno iniziò il processo in Corte d'Assise per il duplice omicidio, con l'accusa di

omicidio aggravato a scopo di rapina; Lorenzini rischiava quindi l'ergastolo.22 Il

processo fece molto clamore, l'aula era gremita di amici o semplici curiosi e la stampa

locale anche in questo caso si occupò largamente della vicenda.

La prima udienza si chiuse, dopo un'animata giornata dibattimentale, con la decisione di

sottoporre Lorenzini a perizia psichiatrica. Durante il dibattimento, Lorenzini continuò a

sostenere di aver ucciso padre e figlia a causa dei rimproveri (“ladro, assassino,

vigliacco”) ricevuti dai due. Aggiuse un altro particolare che aveva alimentato il suo

desiderio di vendetta: raccontò di essere fidanzato con una ragazza di Raveo, Romana

Romano, che lo rifiutò poiché l'Ors l'aveva accusato di avergli ucciso una pecora e dopo

questo evento tutti inziarono a deriderlo e a dileggiarlo, finchè la ragazza decise di non

sposarlo. Dichiarò di essere rientrato nel casolare, dopo gli omicidi, per derubarli in

modo che la sua vendetta risultasse maggiore. Nel pomeriggio furono ascoltati gli altri

testimoni, tra cui anche Pier Arrigo Carnier e Domenica Zanier, la seconda moglie

__________________________________

21 Ritrovato lo zainetto dell'”Ors”, con tessuti, un binocolo e sigari, in “Messaggero Veneto”, 12 marzo 1955, p.5.22 Oggi in Assise il processo per il duplice omicidio di Pani, in “Messaggero Veneto”, 8 giugno 1955, p. 4. L'intero corpo delle carte processuali del Tribunale Penale di Udine, dal 1955 al 1961, sono state trasferite al Tribunale Penale di Venezia e non ho avuto l'opportunità di poterle consultare.

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dell'Ors, che descrisse quest'ultimo con parole molto aspre23.

Fu sentita anche Margherita Zanella, sorella dell'Ors la quale dichiarò che Lorenzini e la

figlia Grazia ebbero una relazione, poi conclusasi per incompatibilità caratteriale.

Gli avvocati difensori, Sartoretti e Zanier, sulla scorta di una dichiarazione del medico

del carcere, il dott. Bruno Pittoni24, ne chiesero l'internamento in manicomio affinché

fosse osservato da psichiatri, in quanto il dott. Pittoni era un medico internista, quindi

senza una specifica preparazione in materia.

Il Pubblico Ministero, dott. Franz, sostenne l'inesistenza di elementi gravi e seri da

giustificare il sospetto che fosse un minorato psichico. La Corte decise però di

accogliere la richiesta della difesa e sottoporre l'imputato a perizia psichiatrica.

Lorenzini fu quindi tradotto al manicomio criminale di Reggio Emilia, dove fu posto

sotto osservazione dal dott. Pietro Benassi per lungo tempo. Dalla perizia psichiatrica

risultò che al momento del delitto Lorenzini si trovava in stato di infermità mentale tale

da compromettere le sue facoltà di intendere e di volere; inoltre venne giudicato

seminfermo di mente e socialmente pericoloso.

Di opinione opposta il consulente della Parte Civile, il dott. Cesare Bellavitis, il quale

dichiarò che “l'omicida agì per motivi strettamente egoistici e che egli, ora ed allora, era

ed è perfettamente sano di mente”25.

__________________________________________________

23 “Non mi ha mai trattato bene. Egli pretendeva che gli altri lavorassero per arricchire se stesso.. Era un brontolone.” in L'assassino dell'”Ors di Pani” sarà sottoposto a perizia psichiatrica, in “Messaggero Veneto”, 9 giugno 1955, p.4-5.24 Il dott. Pittoni dichiarò che Lorenzini fosse affetto da ipertrofia alla tiroide (che avrebbe potuto nascondere una grave deficienza mentale) e che le sue “stranezze” (insensibilità, indifferenza, ritardo mentale, familiarità con la malattia mentale) fossero riferibili ad un'eventuale psicosi generica del carattere che andava esaminata più dettagliatamente: “Non posso dire se egli sia un esaltato o uno psicopatico grave, ma è certo un individuo che non ha la possibilità di fare un bilancio delle proprie facoltà mentali. Non è un deficiente, ma ha sentito il dovere di uccidere per vendicarsi; l'abnormità fra causa ed effetto mi ha indotto perciò a segnalare questo squilibrio.” in L'assassino dell'”Ors di Pani” sarà sottoposto a perizia psichiatrica, in “Messaggero Veneto”, 9 giugno 1955, p.4-5.25 Sfuggirà all'ergastolo l'omicida dell'”Ors di Pani”?, in “Messaggero Veneto”, 9 aprile 1956, p.3.

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Il 9 aprile 1956, Lorenzini comparì nuovamente in tribunale di fronte alla Corte

d'Assise. Anche in questo caso l'aula era gremita di pubblico, a testimonianza del vivo

interesse per l'esito del processo.

Le questioni dibattute erano duplici: comprendere se fosse o meno affetto da infermità

mentale e se il movente del duplice omicidio fosse ascrivibile ad un desiderio di

vendetta (come aveva inizialmente dichiarato l'imputato) oppure a scopo di rapina (vista

la cospicua e rinomata ricchezza dello Zanella), come sosteneva il Pubblico Ministero.

Lorenzini dichiarò di nuovo che il suo primo intento era stato la vendetta e che solo

successivamente approfittò della circostanza per compiere il furto.26

Margherita Zanella e Tommaso Gridel smentirono l'imputato, dichiarando che il giorno

prima dell'omicidio, durante il loro litigio, Zanella non aveva assolutamente minacciato

Lorenzini con una scure.27

L'undici aprile 1956, alle ore 20.20, venne pronunciata la sentenza.

La Corte d'Assise riconobbe Lorenzini colpevole dei delitti ascrittigli, venne esclusa

l'aggravante della premeditazione ed inserita la diminuente di vizio parziale di mente in

merito ad entrambi delitti. Fu così condannato a trentanni di reclusione e a novantamila

lire di multa, oltre alle spese processuali ed alle spese di costituzione di parte civile.28

Vennero così accettate le tesi della difesa, ovvero la seminfermità mentale e la vendetta

come movente.

Effettivamente in pochi condivisero l'ipotesi dell' omicidio a scopo di rapina.

Lorenzini, detto Romanin, viene descritto come un primitivo, poco scolarizzato, non

particolarmente brillante, violento anche con gli animali che picchiava abitualmente. ___________________________________________________

26 L'assassino dell'”Ors di Pani” dice di aver ucciso per vendetta, in “Messaggero Veneto”, 10 aprile 1956, p. 4-5.27 Stasera molto probabilmente Romano Lorenzini conoscerà la sua sorte, in “Messaggero Veneto”, 11 aprile 1956, p. 4.28 A trent'anni di reclusione condannato l'omicida di Raveo, in “Messaggero Veneto”, 12 aprile 1956, p. 4-5.

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Con il suo modo semplice ed arcaico di ragionare plausibilmente poteva aver ucciso i

Zanella per futili motivi, ed essersi convinto di poter farla franca, avendo compiuto il

delitto di notte, in quella conca desolata per di più con quella abbondante nevicata che

attutiva i rumori.

Era ossessionato dal pensiero che l'Ors di Pani parlasse male di lui con gli altri lavoranti

o compaesani, ed effettivamente i due non andavano d'accordo.

Inoltre essendo un loro lavorante, conosceva benissimo le dinamiche della vita a Pani e

quindi sapeva che Antonio e Maria vivevano da soli ad una sufficiente distanza dagli

altri abitanti perchè non si avvertisse l'accaduto.29

Secondo altri invece il movente fu di tipo passionale30, avvalorando le dicerie che

circolavano in paese, ovvero che Lorenzini fosse innamorato di Maria. In questo caso

l'Ors di Pani, sarebbe stato un ostacolo alle sue mire sentimentali. Oltre al rancore

rinomato che provava nei suoi confronti, egli impersonava anche l'uomo che aveva un

rapporto incestuoso con la donna desiderata e forse, caricato dalle chiacchere

sull'amoralità del loro rapporto, potrebbe aver pensato che l'assassinio fosse in questo

caso giustificabile. In corso d'opera aveva ucciso anche Maria poiché testimone dei fatti

e quindi scomoda e pericolosa. Inoltre, vista la scelta del momento, si può pensare ad

una premeditazione più che ad un'improvvisazione, dato che la notte era scura e

nevicava molto fitto; sarebbe stato facile fuggire senza farsi notare, visto che la neve

avrebbe cancellato tutte le tracce.

Il nipote di Zanella, Giuseppe Adami, invece pone l'accento sui problemi economici di

Lorenzini. Aveva un tenore di vita non in linea con le possibilità economiche derivanti

dai suoi guadagni.

_______________________________________

29 Informatore anonimo.30 Romano marchetti ed informatori anonimi.

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L’acquisto di una motocicletta Parilla e il vizio del fumo lo indussero a indebitarsi e

probabilmente l’Ors, non faceva mistero di disapprovarne lo stile di vita. Un giorno

proprio Lorenzini portò all’Ors una lettera con la quale l’ospedale di Tolmezzo

convocava Maria per una visita medica e che l’Ors, parlando con la figlia, si accordò

perché, vista la lunga strada da fare a piedi, rimanesse a dormire fuori. Probabilmente

Lorenzini pensò che quella sarebbe stata l’occasione buona per mettere a tacere le

critiche dell’Ors e rubargli le fortune che era convinto tenesse nascoste in casa.31

Carnier32 abbraccia ambedue le motivazioni, la vendetta e la rapina, scaturite da un forte

sentimento d'invidia.

L'invidia è un sentimento molto diffuso nella comunità carnica, si esprime nel desiderio

di godere di ciò di cui dispongono gli altri (donne, denaro, affermazione, possesso) fino

a volerne rovinare il successo o la felicità al fine di migliorare la propria posizione

relativa. Nasce da un senso di competizione generalizzata per la fortuna, così la buona

fortuna di uno viene considerata come una sventura per un altro. Ciò deriva

dall'importanza che in Carnia riveste lo status: l'invidia può essere vista appunto come

una lotta per lo status, così che il miglioramento della posizione relativa di un soggetto,

svilisce necessariamente la condizione di un altro.33 Entro questo scenario è plausibile

pensare che Lorenzini nutrisse forti sentimenti d'invidia verso Zanella, che era più ricco

di lui, più amato di lui, più celebre di lui ed inoltre intesseva una relazione con la donna

che tanti hanno descritto come oggetto del suo amore. Probabilmente Lorenzini era

convinto che Zanella non meritasse di condurre una vita migliore della sua, sotto vari

punti di vista; spinto dall'invidia, dal rancore e dal desiderio di affrancarsi dalle offese

subite avesse deciso riscattarsi eliminandolo.

________________________________________31 Intervista a Giuseppe Adami in Fuocolento in http://www.fuocolento.it/giornaledelmese.32 Pier Arrigo Carnier, informatore.33 HEADY P., “Il popolo duro. Rivalità, empatia e struttura sociale in una valle alpina”,Udine, Forum, Editrice Universitaria Udinese, 2001, pp. 65 – 68.

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Qualsiasi fossero le motivazioni di Lorenzini, rimane un fatto: ancora oggi a quasi

sessantanni dall'accaduto, il dibattito risulta ancora animato, come ho potuto constatare

dalle parole e dall'interesse degli intervistati.

Lorenzini non scontò tutta la pena; venne rilasciato in libertà vigilata il 5 maggio 1976

per buona condotta. La notizia non fece molto clamore, perché il giorno dopo il Friuli

venne devastato dal terremoto.34

Lorenzini concluse la sua vita lavorando a Malga Losa. Non parlava mai della vicenda o

dell'Ors di Pani; solo ogni tanto, soprattutto se qualcuno gli domandava informazioni

dell'accaduto diceva semplicemente: “l'Ors di Pani al ere un bastard ma mi ha insegnât

a fâ il formadi”35.

________________________________34 DORIGO E., Il finimento del paese, Udine, Kappa Vu Edizioni, 2006., p. 196.35 Alessandro Moroldo, informatore.Traduzione mia: “l'Ors di Pani era un bastardo, ma mi ha insegnato a fare il formaggio”.

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Conclusioni

Giunta al termine dell'indagine, intendo ricapitolare brevemente il percorso

compiuto, raccogliendo sinteticamente i risultati a cui sono pervenuta attraverso la

ricostruzione biografica di Antonio Zanella mediante tre principali tipologie di fonti:

bibliografica, archivistica, orale.

Il titolo della tesi si prefiggeva di comprendere la commistione, nella figura dell'Ors

di Pani, di tratti reali e tratti leggendari.

Spesso degli episodi realmente avvenuti, specialmente quelli più carichi di originalità

ed eccentricità, finirono col diventare delle leggende, vive fino ai nostri giorni. L'Ors

di Pani era un uomo che non passava inosservato sia per il suo aspetto che per la sua

condotta di vita. Generalmente amato per la generosità che sempre dimostrò; fu però

anche odiato, forse a causa dell'invidia che scaturiva dalla sua cospicua ricchezza, ma

anche per la semplice libertà con cui visse, creando tutta una serie di regole morali

adatte alla sua personalità, che rispettava e faceva rispettare nel suo piccolo "regno"

di Pani.

Un dato molto interessante di quest'indagine è stato scoprire che la figura dell'Ors di

Pani sia ancora viva nei racconti e nei ricordi anche dei giovani, non

necessariamente originari di Raveo; ma allo stesso tempo, parlando con gli anziani è

emerso che l'Ors di Pani fosse un personaggio leggendario già in vita.

Dopotutto Antonio Zanella era un montanaro che semplicemente visse secondo la sua

natura, trovandosi a volte immerso inconsciamente negli eventi storici che

attraversarono il primo cinquantennio del Novecento, a cui si adeguò

intelligentemente senza tradire però mai la sua essenza; situandosi in questo modo in

un punto di passaggio dalla natura alla cultura.

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Nonostante alcuni atteggiamenti considerati amorali (penso al libertinaggio,

all'incesto con la figlia-sorellastra, o ancora ai maltrattamenti fisici e morali inflitti al

suo nucleo familiare) il ricordo non è per nulla severo; anzi è una figura che ispira

simpatia ed autorevolezza. E' infatti emerso che la sua personalità sia considerata

affascinante da tutti gli informatori, senza distinzione di età, provenienza,

scolarizzazione o rapporto con lo Zanella. Il suo carisma e la sua originalità hanno

sicuramente facilitato la trasformazione di eventi reali in eventi leggendari, spesso

caricati da eccessive sfumature stravaganti, dovute allo scarto della trasmissione

orale, ponendo così il problema del rapporto fra autenticità storica ed autenticità

immaginativa.

Anche le circostanze della sua morte ne alimentano il mito; il truce duplice omicidio

per futili motivi interessò i contemporanei, che gremivano le aule di tribunale e

seguivano con interesse l'ampia risonanza che l'evento ebbe sulla stampa locale; e

continua a far dibattere ancora oggi; molti informatori hanno una personale opinione

sulle motivazioni dell'accaduto.

Il mito dell'Ors di Pani affascina i giovani che tendono ad inserirlo in un "tempo

mitico", identificato come un tempo in cui potevano svilupparsi episodi che nel

tempo attuale sarebbero difficilmente replicabili, mi riferisco agli accadimenti più

stravaganti, in particolare tutte le vicende che lo vedono vivere secondo le proprie

regole sfidando le autorità e le convenzioni sociali. Immerso nella storia e nella

cronaca diventa anche protagonista di racconti della tradizione orale; le sue

stravaganti vicende nascondono valori culturali e sociali della comunità in cui visse.

La miticità dell'Ors di Pani inserisce quindi nel contesto delle tipicità del popolo

carnico, essendo Zanella manifesto portatore di tratti come la chiusura, l'asocialità ed

il primato del lavoro duro che procura ricchezza, successo e riscatto sociale; tutte

caratteristiche anelate nei valori dei carnici. Miticità che deriva anche dall'alone di

mistero che avvolge questa figura, specificatamente in merito ai suoi molteplici

rapporti amorosi che si consumavano all'interno del suo piccolo regno privato; ma

anche più semplicemente la sua ricercata solitudine suscitava e suscita tutt'oggi una

grande curiosità.

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Generalmente i racconti sull'Ors di Pani scaturiscono da fatti reali che poi

tramandandosi vengono caricati di pathos ed originalità, fino a portare a varianti

molto diverse tra loro, trasformando così il racconto reale in leggenda.

Non è stato semplice nè a volte possibile riuscire a discernere tra la realtà ed il mito,

spesso anche i testimoni diretti hanno versioni e ricordi discordanti in merito alle

stesse questioni. Per esempio, il celebre avvenimento del tavolo ricoperto di

banconote è un episodio conosciuto, con sfumature diverse, da tutti gli informatori;

ma per tre dei quattro testimoni diretti probabilmente non è mai accaduto in realtà,

mentre uno solo conferma con certezza che sia avvenuto a Cortina (secondo una

confidenza dello stesso Zanella).

Il lavoro d'indagine avrebbe bisogno di ulteriori sostegni documentari. La

ricostruzione dei suoi possedimenti potrebbe essere approfondita in estimo agrario

per verificare quali fossero effettivamente le rendite e la produzione lattiero casearia;

uno studio più approfondito delle carte processuali potrebbe dare una spiegazione più

convincente sulle motivazioni dell'assassinio, visto che il dibattito è ancora aperto ed

acceso. Le cartelle cliniche della prima moglie, potrebbero essere un'opportunità per

studiare la condizione dei manicomi negli anni '30; il rapporto incestuoso con la

figlia-sorellastra potrebbe essere uno stimolo per indagare l'incidenza dell'incesto

nelle valli chiuse o comunque nelle piccole comunità isolate. La stessa miticità

dell'Ors di Pani può aprire un orizzonte di ricerca per comprendere per quale motivo

atteggiamenti considerati spregiudicati entrino nella leggenda con valenza positiva.

In questi mesi dedicati alla ricerca, all'ascolto delle testimonianze orali, a riflessioni

personali sui fatti, ho cercato lungamente un aggettivo per descrivere Antonio

Zanella senza però giungere ad un termine calzante.

La personalità sfaccettata e la vita costellata da episodi non comuni non può essere

quindi riassunta in un unico termine. Ho preferito quindi affidarmi alle testimonianze

orali, chiedendo a tutti gli informatori una caratteristica per definirlo.

L'esito non è stato ovviamente univoco, quindi vado ad elencare tutte le definizioni

che mi sono state riferite: propulsore dell'economia carnica, parsimonioso,

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imprenditore brillante, lavoratore indefesso, diffidente, despota, libertino, eremita,

asociale, generoso, incestuoso, furbo, collaborazionista, spregiudicato, razionale,

uomo antico, amico fedele, burbero, buono, carismatico, facoltoso, malato di

possesso, stravagante, libero. Sono tutte definizioni appropriate; essere tutto ciò

significa ancora oggi, in Carnia, iessi come l'Ors di Pani.

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Informatori

Informatore anonimo, Raveo, 1926. Testimone diretto.

Informatore anonimo, Rigolato, 1947, appassionato di leggende carniche e storia contemporanea della Carnia.

Informatore anonimo, Raveo, 1921. Testimone diretto.

Informatore anonimo, Imponzo, 1950.

Informatore anonimo, Cedarchis, 1947.

Informatore anonimo, Cadunea, 1975, laureato in Filosofia ed appassionato di leggende

carniche.

Alessandro Moroldo, Rigolato, 1962, laureato in Scienze Forestali con una tesi sulla Carnia. Esperto di economia montana.

Andreina d'Ambrosi, Paluzza, 1971, laureata in Lettere Moderne con una tesi sulla Carnia, ed in particolare sul nucleo abitativo di Paluzza.

Elia Polonia, Villa Santina, 1926.

Ernestina Englaro, Paluzza, 1945.

Giuseppe Bulfone, Udine, 1939, appassionato di storie friulane.

Mario Sigalotti, Verzegnis, 1975, laureato in Matematica ed appassionato di storia carnica.

Matteo Petris, Sauris, 1980.

Miriam Vergendo, Cedarchis, 1946.

Pier Arrigo Carnier, Comeglians, 1926, storico e giornalista, con pubblicazioni inerenti la presenza cosacca in Carnia ed amico dell'Ors di Pani, nonchè testimone diretto nelle giornate dell'assassinio.

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Romano Marchetti, Maiaso, 1913, laureato in Agraria, specializzato in Agronomia tropicale, ex Partigiano, Presidente Onorario della Sezione ANPI di Tolmezzo ed amico dell'Ors di Pani. Testimone diretto.

Sergio Triolo, Melito di Porto Salvo (RC), 1969, laureato in Lettere Moderne ed appassionato di storia politica contemporanea.

William Toscano, Udine, 1981, laureato in Medicina e Chirurgia e curioso lettore di leggende carniche.

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VUGA F., La zona libera di Carnia e l'occupazione cosacca, luglio-ottobre 1944, Udine, Del Bianco, 1961.

Periodici

Il “patriarca della Carnia” e la figlia uccisi nella notte a colpi di fucile, in “Messaggero Veneto”, 8 marzo 1955, pp. 4-7.

Nelle progettate nozze di Maria Zanella la chiave del dramma nella baita solitaria?, in “Messaggero Veneto”, 9 marzo 1955, p. 4.

Amori e stranezze dell' “ors di Pani”, in “Messaggero Veneto”, 9 marzo 1955, p. 5.

L'”Ors di Pani” e sua figlia uccisi per vendetta da un giovane di ventiquattro anni amico di casa, in “Messaggero Veneto”, 10 marzo 1955, pp. 4-5.

Freddo e cinico l'assassino di Raveo afferma di aver ucciso per vendetta, in “Messaggero Veneto”, 11 marzo 1955, p. 4.

Ritrovato lo zainetto dell'”Ors”, con tessuti, un binocolo e sigari, in “Messaggero Veneto”, 12 marzo 1955, p.5.

L'assassino di Pani nella prossima Assise, in “Messaggero Veneto”, 16 aprile 1955, p. 4.

Apre i battenti la Corte d'Assise, in “Messaggero Veneto”, 29 maggio 1955, p.4.

Oggi in Assise il processo per il duplice omicidio di Pani, in “Messaggero Veneto”, 8 giugno 1955, p. 4.

L'assassino dell'”Ors di Pani” sarà sottoposto a perizia psichiatrica, in “Messaggero Veneto”, 9 giugno 1955, p.4-5.

Affidata ad uno psichiatra udinese la perizia dell'omicida di Raveo, in “Messaggero Veneto”, 24 giugno 1955, p.4.

Lunedì Romano Lorenzini aprirà la serie dei processi sensazionali, in “Messaggero Veneto”, 6 aprile 1956, p.4.

Sfuggirà all'ergastolo l'omicida dell'”Ors di Pani”?, in “Messaggero Veneto”, 9 aprile 1956, p.3.

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L'assassino dell'”Ors di Pani” dice di aver ucciso per vendetta, in “Messaggero Veneto”, 10 aprile 1956, p. 4-5.

Stasera molto probabilmente Romano Lorenzini conoscerà la sua sorte, in “Messaggero Veneto”, 11 aprile 1956, p. 4.

A trent'anni di reclusione condannato l'omicida di Raveo, in “Messaggero Veneto”, 12 aprile 1956, p. 4-5.

CARNIER P.A., Notte di neve e di sangue, in “Messaggero Veneto”, 5 marzo 1993, p.11.

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Libertà vo cercando..., intervista di Alberto Burgos a Romano Marchetti (18 marzo 2005) in www.carnialibera1944.it.

L'Ors di Pani in http://www.donneincarnia.it/pianetauomo/ors-di-pani.htm.

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