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TAR LAZIO ROMA - SEZIONE I - Sentenza 3/4/2018 n. 3675 Pres. Volpe, est. Correale Decisum: sulla legittimità del provvedimento di scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose. 1. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose – Natura preventiva e non sanzionatoria – Conseguenze – Può basarsi su elementi “indizianti”. 2. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose – Ampia discrezionalità dell’Amministrazione in sede di valutazione dei fenomeni indizianti – Conseguenza – Carattere estrinseco del controllo di legittimità dei provvedimenti. 3. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose – Deve basarsi su elementi concreti, univoci e rilevanti – Ipotesi. 4. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose – Valutazione degli elementi a base del provvedimento di scioglimento – Valutazione globale e non “atomistica” - 5. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose – Presupposta istruttoria prefettizia – Ipotesi. 6. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose – Valutazione delle eventuali azioni di contrasto alla comunità organizzata – Non rileva ai fini dell’adozione del provvedimento di scioglimento. 7. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose – Valutazione dei rapporti di parentela tra componenti dell’Amministrazione e esponenti della criminalità organizzata – Incidenza – Ipotesi. 8. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose – Può riguardare anche la sola attività degli apparati burocratici – Ipotesi. 9. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose – Può essere adottato anche nel caso di inadeguatezza dei controlli del vertice politico nei confronti della burocrazia e dei gestori dei pubblici servizi del Comune. 1. Lo scioglimento del Consiglio comunale come disciplinato dall’art. 143 del D.lgs. 267/2000 per infiltrazioni mafiose non ha natura di provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo, per la cui legittimazione è sufficiente la presenza di elementi “indizianti”, che consentano d'individuare la sussistenza di un rapporto inquinante tra l'organizzazione mafiosa e gli amministratori dell'ente considerato infiltrato. (1) 2. In ordine ai provvedimento di scioglimento di un Consiglio Comunale, stante l’ampia sfera di discrezionalità di cui l'Amministrazione dispone in sede di valutazione dei fenomeni connessi all'ordine pubblico, ed in particolare alla minaccia rappresentata dal radicamento sul territorio delle organizzazioni mafiose, il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come “estrinseco”, nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, alla ragionevolezza del momento valutativo, nonché alla congruità e proporzionalità rispetto al fine perseguito.

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TAR LAZIO ROMA - SEZIONE I - Sentenza 3/4/2018 n. 3675

Pres. Volpe, est. Correale

Decisum: sulla legittimità del provvedimento di scioglimento di un Comune per

infiltrazioni mafiose.

1. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose

– Natura preventiva e non sanzionatoria – Conseguenze – Può basarsi su elementi

“indizianti”.

2. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose

– Ampia discrezionalità dell’Amministrazione in sede di valutazione dei fenomeni

indizianti – Conseguenza – Carattere estrinseco del controllo di legittimità dei

provvedimenti.

3. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose

– Deve basarsi su elementi concreti, univoci e rilevanti – Ipotesi.

4. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose

– Valutazione degli elementi a base del provvedimento di scioglimento – Valutazione

globale e non “atomistica” -

5. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose

– Presupposta istruttoria prefettizia – Ipotesi.

6. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose

– Valutazione delle eventuali azioni di contrasto alla comunità organizzata – Non rileva

ai fini dell’adozione del provvedimento di scioglimento.

7. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose

– Valutazione dei rapporti di parentela tra componenti dell’Amministrazione e esponenti

della criminalità organizzata – Incidenza – Ipotesi.

8. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose

– Può riguardare anche la sola attività degli apparati burocratici – Ipotesi.

9. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose

– Può essere adottato anche nel caso di inadeguatezza dei controlli del vertice politico

nei confronti della burocrazia e dei gestori dei pubblici servizi del Comune.

1. Lo scioglimento del Consiglio comunale come disciplinato dall’art. 143 del D.lgs. 267/2000 per

infiltrazioni mafiose non ha natura di provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo, per la cui

legittimazione è sufficiente la presenza di elementi “indizianti”, che consentano d'individuare la

sussistenza di un rapporto inquinante tra l'organizzazione mafiosa e gli amministratori dell'ente

considerato infiltrato. (1)

2. In ordine ai provvedimento di scioglimento di un Consiglio Comunale, stante l’ampia sfera di

discrezionalità di cui l'Amministrazione dispone in sede di valutazione dei fenomeni connessi

all'ordine pubblico, ed in particolare alla minaccia rappresentata dal radicamento sul territorio delle

organizzazioni mafiose, il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come

“estrinseco”, nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, alla

ragionevolezza del momento valutativo, nonché alla congruità e proporzionalità rispetto al fine

perseguito.

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3. Ai fini dell’adozione del provvedimento di scioglimento di un consiglio Comunale l’art. 143 del

d.lgs. n. 267/2000, al comma 1 richiede che la situazione di condizionamento dell’ente locale da

parte della criminalità sia resa evidente da elementi “concreti, univoci e rilevanti”, che assumano

valenza tale da determinare “un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli

organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle

amministrazioni comunali e provinciali”. Ne discende che gli elementi sintomatici del

condizionamento criminale devono caratterizzarsi per “concretezza”, in quanto assistiti da un

obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per “univocità”, intesa quale loro

chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per “rilevanza”, che si

caratterizza per l'idoneità all'effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell'ente

locale.

4. Le vicende che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un consiglio

comunale devono essere considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a

delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso:

ne consegue che possono assumere rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali

ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati

dell'esperienza, l'ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata

(vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il

valore indiziario degli elementi raccolti non è sufficiente per l'avvio dell'azione penale o per l'adozione

di misure individuali di prevenzione.

5. Deve ritenersi legittimo il provvedimento di scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose

ex art. 143 D.lgs. 267/2000 laddove la presupposta relazione del Ministero dell’Interno al Presidente

della Repubblica abbia posto in evidenza la continuità sostanziale nella gestione dell’Ente, il ruolo

attivo delle organizzazioni criminali sia in fase di composizione delle liste elettorali sia in fase di

festeggiamento per l’elezione del sindaco, la situazione di “stallo” nell’evoluzione urbanistica,

contraddistinta dall’attuale vigenza ancora del P.R.G. adottato nel 1978, che lasciava ampio margine

di discrezionalità all’amministrazione nel rilasciare titoli edilizi, le procedure di affidamento

concernenti il P.I.P., non trasparenti, irregolari e con beneficiari soggetti collusi, l’affidamento della

gestione in via diretta e gratuita del campo sportivo a società il cui rappresentante legale è fratello

di un esponente del “clan” egemone sul territorio, le modalità di gestione del servizio di tesoreria

comunale, l’ingerenza della compagine politica, con ingiustificati avvicendamenti, sulla struttura

burocratica, a sua volta spesso permeabile alle infiltrazioni clientelari, la carenza di strumenti

regolamentari in diversi settori, anche strategici, con conseguente alta discrezionalità dell’apparato

burocratico e incremento delle interferenze esterne, la constatazione di un alto ammanco di cassa,

per il quale non risultavano alcuna denuncia all’A.G. o iniziative di recupero e l’omissione di controlli

e verifiche, che procuravano gravi danni al bilancio.

6. Ai fini della legittimità del provvedimento di scioglimento di un Consiglio Comunale per infiltrazioni

mafiose, l’omessa valutazione delle azioni di contrasto alla criminalità organizzata e delle altre azioni

messe in atto dall’Amministrazione per risollevare la gestione del Comune non assume rilevanza,

atteso che oggetto dell’istruttoria dell’organo ispettivo è la dimostrazione del rischio di

condizionamento dell’Amministrazione da parte della criminalità organizzata senza che a tale

dimostrazione si accompagni un bilanciamento tra le circostanze favorevoli e quelle non favorevoli,

alla stregua di quanto avviene nel procedimento penale: ciò in ragione del fatto che l'azione

amministrativa deve sempre essere ispirata ai principi di legalità e di buon andamento ed è, in quanto

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tale, attività doverosa che in nessun caso può essere invocata come esimente di condotte parallele

che a tali principi non sono conformi. (2)

7. Deve ritenersi legittimo il provvedimento di scioglimento di un Consiglio Comunale per infiltrazioni

mafiose laddove l’istruttoria alla base del provvedimento abbia tenuto conto dei rapporti di parentela

tra componenti dell’Amministrazione ed esponenti di un clan locale, evidenziando tali rapporti non

“in quanto tali” ma in un quadro di insieme sufficiente ad individuare una continuità sostanziale delle

Amministrazioni succedutesi nel tempo, non essendo dirimente la circostanza che la compagine

eletta nel 2010 si sia divisa e si sia presentata su fronti contrapposti alle elezioni del 2015 dato che

è la “sostanza” della presenza costante degli amministratori, quali soggetti che hanno esposto il

Comune a permeabilità alla criminalità organizzata, a sostenere il “quadro” di influenza individuato

e non la “veste politica” con cui gli stessi si sono presentati nelle diverse tornate elettorali.

8. Fermo restando che ai sensi dell’art. 143 TUEL lo scioglimento di un Consiglio Comunale per

infiltrazioni mafiose può essere disposto anche laddove la permeabilità e il condizionamento

riguardino i soli apparati burocratici dell’Ente, è stato ritenuto in giurisprudenza che sebbene l’assetto

organizzativo dell’ente locale assegni ai dirigenti compiti di amministrazione attiva, decisionali e di

responsabilità, da esercitarsi in autonomia rispetto agli organi elettivi, nondimeno non rende tali

ultimi organi estranei al ripetersi di irregolarità ed illeciti di gestione, restando fermi in capo a

quest’ultimi i compiti di indirizzo e, segnatamente, di controllo “politico-amministrativo”, che se non

va esercitato partitamente per ogni singola determinazione provvedimentale, deve investire

trasversalmente l’operato dei funzionari con qualifiche dirigenziali. (3)

9. Lo scioglimento di un Consiglio Comunale ex art. 143 del D.lgs. 267/2000, in virtù della natura

“non sanzionatoria” che lo contraddistingue, è legittimo sia qualora sia riscontrato il coinvolgimento

diretto degli organi di vertice politico-amministrativo sia anche, più semplicemente, per

l’inadeguatezza dello stesso vertice politico-amministrativo a svolgere i propri compiti di vigilanza e

di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi del Comune, che impongono

l'esigenza di intervenire ed apprestare tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e

sostanziale cura e difesa dell'interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze

estranee riconducibili all'influenza ed all'ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata.

(4)

(1) cfr. Cons. Stato, Sez. III, 10/1/2018 n. 96; Cons. Stato, Sez. III, 2/10/2017 n. 4578; Cons. Stato,

Sez. III, 25/1/2016 n. 256; Cons. Stato, Sez. III, 26/9/2014 n. 4845; Cons. Stato, Sez. III, 28/5/2013

n. 2895; TAR Lazio, Sez. I, 22/1/2018, n. 816; Cons. Stato, Sez. III, 15/3/2016 n. 1038.

(2) cfr. TAR Lazio, Sez. I, 16/10/17, n. 10361.

(3) cfr. Cons. Stato, Sez. III, 25/1/16, n. 256.

(4) cfr. TAR Lazio, Sez. I, 28/8/15, n. 10899; Cons. Stato, Sez. III, 6/3/12, n. 1266.

Pubblicato il 03/04/2018

N. 03675/2018 REG.PROV.COLL.

N. 03559/2017 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3559 del 2017, proposto da:

-OMISSIS-to, rappresentati e difesi dall'avvocato Giuseppe Romano, con domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Angelo Caliendo in Roma, via Cagliari,14;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, Prefettura - Ufficio

Territoriale del Governo di Napoli, in persona dei legali rappresentanti p.t.,

rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui

domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

-OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensiva dell’esecuzione,

a) del decreto del Presidente della Repubblica 24.1.2017, pubblicato sulla Gazzetta

Ufficiale n. 37 del 14.02.2017, notificato il 17/02/2017, registrato alla Corte dei

Conti il 31/01/2017 relativo allo scioglimento del -OMISSIS-, per la durata di 18

mesi, ai sensi dell’art. 143 del D.lgs. 267/00 ed alla nomina della Commissione

Straordinaria per la gestione dell’ente, nonché di ogni altro atto presupposto,

collegato e connesso;

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b) della deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata in data 20/01/2017,

richiamata nel provvedimento impugnato;

c) della relazione del Ministro dell’Interno del 19/01/17 contenente la proposta di

scioglimento del Consiglio Comunale del -OMISSIS-;

d) della relazione dell’U.T.G. Prefettura di Napoli richiamata;

e) della relazione conclusiva della Commissione di Accesso, nominata con Decreto

del Prefetto di Napoli del 29/3/2016, di data e numero che si ignorano;

f) del Decreto del Prefetto di Napoli del 29/3/2016 con il quale è stata nominata la

Commissione di Accesso presso il -OMISSIS-;

g) di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguenziale, ivi compresi i verbali e

le eventuali ulteriori relazioni della Commissione di accesso, comunque lesivi degli

interessi dei ricorrenti, non conosciuti perché mai comunicati;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del

Ministero dell'Interno e della Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Napoli,

con la relativa documentazione;

Vista l’ordinanza di questa Sezione n. 6214/2017 del 25.5.2017;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 28 febbraio 2018 il dott. Ivo Correale e uditi per

le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con rituale ricorso a questo Tribunale, i signori in epigrafe, quali sindaco e consiglieri

comunali “di maggioranza” del -OMISSIS-, eletti in seguito alla tornata elettorale

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del 31 maggio 2015, chiedevano l’annullamento, previa sospensione, dei

provvedimenti, pure in epigrafe indicati, concernenti il disposto scioglimento del

consiglio comunale ai sensi dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000 (TUEL).

I ricorrenti, facendo riferimento alla relazione prefettizia e a quella della

Commissione d’accesso – di cui era chiesto comunque il deposito in forma integrale

– fornivano la propria ricostruzione sui profili principali esaminati in detti atti,

riguardanti il quadro politico, la distinzione tra le coalizioni elettorali del 2015, le

procedure selettive di tecnici esterni, gli amministratori, l’attività professionale del

ricorrente-OMISSIS-e le pratiche edilizie richiamate, le parentele e affinità con

esponenti della malavita locale, l’apparato burocratico, le parentele dei dipendenti,

le attività dell’ente, l’impianto sportivo, le manifestazioni relative alla “-OMISSIS-”,

il servizio di tesoreria comunale, il PIP e la pianificazione urbanistica.

Premesso quanto sopra, quindi, i ricorrenti lamentavano, in sintesi, quanto segue.

“I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000; eccesso di potere in tutte le

sue figure sintomatiche ed in particolare sviamento, irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria,

travisamento dei fatti”.

Non sussistevano i presupposti di cui all’art. 143 TUEL per disporre lo scioglimento

in questione, dato che gli atti impugnati non erano dotati di sufficiente apporto

istruttorio né erano sostenuti dalla veridicità dei fatti posti a fondamento della

decisione o da una giustificazione motivazionale logica, coerente e ragionevole,

fondata su elementi concreti, univoci e rilevanti, come individuati dalla

giurisprudenza che era richiamata.

“II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000; eccesso di potere in tutte le

sue figure sintomatiche ed in particolare sviamento, irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria,

travisamento dei fatti”.

La compagine amministrativa eletta aveva alacremente lavorato per risollevare il

Comune dalla grave situazione in cui versava al momento delle elezioni, anche sotto

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il profilo amministrativo-contabile, gestionale, urbanistico e della sicurezza, così che

il disposto scioglimento appariva una misura illogica, assolutamente punitiva.

“III. Difetto di istruttoria; Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000;

eccesso di potere – Sviamento, irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria, travisamento dei

fatti”.

La ricostruzione delle relazioni contestate era parziale, distorta e priva di assoluta

certezza, senza indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra

amministratori e la malavita organizzata, che presentassero un serio grado di

significatività, e senza considerare i fatti in un prospetto ampio e logico-giuridico,

come previsto dalla giurisprudenza richiamata.

“IV. Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000; eccesso di potere per

inadeguatezza della motivazione, per sua perplessità costitutiva, per travisamento dei fatti, per

errata presupposizione”.

Risultava ultroneo l’assunto per il quale l’amministrazione comunale disciolta si

sarebbe segnalata per l’uso distorto della “cosa pubblica” a favore di esponenti della

criminalità organizzata locale, non potendo rilevare allo scopo meri rapporti di

parentela con alcuni di loro, come individuati.

“V. Inesistenza di irregolarità nell’esercizio dell’attività amministrativa – Difetto dei requisiti

della univocità e rilevanza ed assenza del nesso di causalità tra le asserite ingerenze ed il regolare

funzionamento dell’Ente. Violazione e falsa applicazione di legge e dell’art. 143 TUEL.

Manifesta illogicità e difetto di istruttoria dei provvedimenti gravati. Violazione dell’art. 3 della l.

241/90 e s.m.i.; difetto di istruttoria e carenza di motivazione”.

La relazione prefettizia faceva riferimento a presunte irregolarità di vario genere ma

risultava contraddistinta da numerosi “omissis” che non facevano comprendere il

quadro fattuale di riferimento, con conseguente carenza di motivazione.

“VI. Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000 – Violazione del principio

di proporzionalità”.

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Mancavano riscontri logici e giuridici a sostegno dei singoli addebiti mossi nei

confronti dei ricorrenti.

Si costituivano in giudizio le amministrazioni in epigrafe, chiedendo la reiezione del

ricorso.

Con l’ordinanza collegiale adottata all’esito della camera di consiglio, era intimato

all’Amministrazione il deposito della documentazione ivi indicata, in forma integrale

e senza “omissis”, ed era fissata l’udienza di trattazione del merito, ex art. 55, comma

10, c.p.a.

Ottemperata tale ordinanza e in prossimità della udienza pubblica fissata per la

discussione del ricorso, le parti depositavano memorie e ulteriore documentazione

a sostegno delle rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 28 febbraio 2018 la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio ritiene opportuno precisare, “in limine”, lo stato della giurisprudenza in

ordine ai presupposti legittimanti l’adozione di un provvedimento di scioglimento

ex art. 143 TUEL.

Può a tale proposito farsi riferimento, tra le più recenti, alla sentenza del Consiglio

di Stato, Sez. III, 10.1.2018 n. 96 (ma anche: Sez. III, 2.10.2017 n. 4578; 25.1.2016

n. 256; 26.9.2014 n. 4845; 28.5.2013, n. 2895), che ha ribadito, in sintesi, i seguenti

profili:

a) lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non ha natura di

provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo, per la cui legittimazione è

sufficiente la presenza di elementi “indizianti”, che consentano d'individuare la

sussistenza di un rapporto inquinante tra l'organizzazione mafiosa e gli

amministratori dell'ente considerato infiltrato;

b) esso è uno strumento di tutela della collettività, in particolari situazioni ambientali,

nei confronti dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa

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degli enti locali, quale “misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una

emergenza straordinaria” (già Corte Cost. 19.3.93 n. 103, sul previgente art. 15-bis

della legge 19 marzo 1990, n. 55);

c) il quadro fattuale posto a sostegno del provvedimento di scioglimento ex art. 143

cit. deve essere valutato non atomisticamente ma nella sua complessiva valenza

dimostrativa, dovendosi tradurre in un prudente apprezzamento in grado di

lumeggiare, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di

ingerenza nella gestione dell’ente che la norma intende prevenire;

d) stante l’ampia sfera di discrezionalità di cui l'Amministrazione dispone in sede di

valutazione dei fenomeni connessi all'ordine pubblico, ed in particolare alla minaccia

rappresentata dal radicamento sul territorio delle organizzazioni mafiose, il controllo

sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come “estrinseco”, nei

limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, alla

ragionevolezza del momento valutativo, nonché alla congruità e proporzionalità

rispetto al fine perseguito.

Tali principi, d’altronde, sono stati illustrati anche da questa Sezione in più di una

occasione (da ult.: TAR Lazio, Sez. I, 22.1.18, n. 816), ove è stato precisato, al

riguardo, come l'art. 143 del d.lgs. n. 267/2000, al comma 1 (nel testo novellato

dall'art. 2, comma 30, della legge 94/2009), richieda che la situazione di

condizionamento dell’ente locale da parte della criminalità sia resa evidente da

elementi “concreti, univoci e rilevanti”, che assumano valenza tale da determinare

“un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed

amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle

amministrazioni comunali e provinciali”. Gli elementi sintomatici del

condizionamento criminale devono, quindi, caratterizzarsi per “concretezza”, in

quanto assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica;

per “univocità”, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore

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è intesa a prevenire; per “rilevanza”, che si caratterizza per l'idoneità all'effetto di

compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell'ente locale (Cons. Stato,

Sez. III, 15.3.16, n. 1038).

Il provvedimento di scioglimento, in tal senso, non ha natura sanzionatoria, ma

preventiva, a tutela della collettività e non avverso i singoli amministratori dell’ente

“disciolto”, per i quali le ulteriori conseguenze (incandidabilità) sono valutate in

distinto e autonomo procedimento i cui esiti sono impugnabili avanti altra autorità

giudiziaria.

Per tale ragione le vicende che costituiscono il presupposto del provvedimento di

scioglimento di un consiglio comunale devono essere considerate nel loro insieme,

e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole

ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso, per cui ben

possono assumere rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali

ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in

base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla

criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari,

frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non è

sufficiente per l'avvio dell'azione penale o per l'adozione di misure individuali di

prevenzione (v. anche: Cons. Stato, Sez. III, n. 4529/2015, n. 3340/2015 e n.

2054/2015).

La norma di cui all'art. 143 cit., infatti, consente l'adozione del provvedimento di

scioglimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra

gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di

carattere penale, ma sulla scorta di circostanze che presentino un grado di

significatività e di concludenza serio, anche se - come detto - di livello inferiore

rispetto a quello che legittima l'azione penale o l'adozione di misure di sicurezza

(Cons. Stato, Sez. III, 6.3.12, n. 1266).

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E tale valutazione deve, sì, essere propria del controllo “postumo” in sede

giurisdizionale ma lo deve essere anche al momento in cui sono adottati tutti i

provvedimenti che dispongono lo scioglimento, a partire dalla relazione della

Commissione d’indagine, fino a quella prefettizia e alla proposta del Ministero

dell’Interno, recepita dal d.p.r. finale che lo pronuncia.

Fatta questa necessaria premessa, il Collegio anticipa che, facendo applicazione di

tali principi, il ricorso proposto si palesa infondato, sulla base delle seguenti

osservazioni, che non possono non prendere come base di riferimento, per quanto

detto, i provvedimenti impugnati e il loro contenuto.

Prendendo in esame la relazione del Ministro dell’Interno al Presidente della

Repubblica, già depositata in giudizio con l’atto introduttivo, si rileva che sono stati

posti in evidenza i seguenti profili:

a) la continuità sostanziale nella gestione dell’ente, dato che un attuale consigliere di

minoranza era stato sindaco dal 1998 al 2005 (fino a un primo scioglimento ex art.

143 cit.) e l’attuale sindaco aveva diretto l’amministrazione comunale nel biennio

2009-10 (quale vicesindaco subentrato al sindaco deceduto) ed era stato nominato

assessore all’Ecologia e Ambiente nella giunta costituita in seguito alle elezioni del

2010;

b) il ruolo attivo svolto dalle organizzazioni criminali in relazione alle elezioni del

2015, sia in fase di composizione delle liste elettorali sia in fase di festeggiamento

per l’elezione del sindaco, appartenente a lista civica sottoscritta anche da soggetti

gravati da precedenti penali, di cui ventuno parenti o affiliati alla locale consorteria

malavitosa, nonché la presenza di atti di intimidazione verso altri candidati poi

ritiratisi dalla competizione;

c) la situazione di “stallo” nell’evoluzione urbanistica, contraddistinta dall’attuale

vigenza ancora del P.R.G. adottato nel 1978, che lasciava ampio margine di

discrezionalità all’amministrazione nel rilasciare titoli edilizi; i ritardi riscontrati nello

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svolgere comunque attività di controllo, come attestato dal rilascio di alcune pratiche

edilizie illegittime a favore di soggetti riconducibili alla criminalità organizzata; la

mancata dichiarazione di decadenza di concessioni edilizie rilasciate nell’ambito di

interventi straordinari del “piano casa” a soggetti collusi; il rilascio di numerosi titoli

edilizi in sanatoria su progetti anomali, carenti di documentazione o sottoscritti da

tecnici dipendenti dello studio professionale del sindaco e così pure per ulteriori

pratiche edilizie;

d) le procedure di affidamento concernenti il P.I.P., non trasparenti, irregolari e con

beneficiari soggetti collusi;

e) la gestione in via diretta e gratuita del campo sportivo a società il cui

rappresentante legale è fratello di un esponente del “clan” camorrista egemone,

secondo una prassi già alla base, tra altre evidenze, dello scioglimento disposto nel

2005;

f) le modalità di gestione del servizio di tesoreria comunale;

g) lo svolgimento della fase preelettorale e i festeggiamenti di esponenti della

malavita locale per l’elezione del sindaco;

h) l’ingerenza della compagine politica, con ingiustificati avvicendamenti, sulla

struttura burocratica, a sua volta spesso permeabile alle infiltrazioni clientelari;

i) la carenza di strumenti regolamentari in diversi settori, anche strategici, con

conseguente alta discrezionalità dell’apparato burocratico e incremento delle

interferenze esterne;

l) la constatazione di un alto ammanco di cassa, per il quale non risultavano alcuna

denuncia all’A.G. o iniziative di recupero e l’omissione di controlli e verifiche, che

procuravano gravi danni al bilancio;

m) il comportamento dell’amministrazione di favore verso il “clan” locale in

occasione della tradizionale “-OMISSIS-” del 2016.

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Tutte tali osservazioni trovavano, poi, conferma nelle relazioni prefettizia e della

commissione d’accesso, come acquisite in seguito alla ricordata ordinanza collegiale.

In particolare, la relazione prefettizia ha posto in evidenza una precisa linea di

continuità tra le amministrazioni che hanno retto le sorti del -OMISSIS- dal 2002 -

con la sola interruzione del periodo di gestione commissariale - caratterizzata

dall'uso distorto dei pubblici poteri per favorire soggetti collegati direttamente o

indirettamente con gli ambienti malavitosi.

In primo luogo, risultava la costante presenza nell'amministrazione di soggetti

collegati alla criminalità organizzata, con ruoli diversi sia in giunta che in consiglio,

sia nella componente di maggioranza che in quella di minoranza alternate nel tempo,

che avevano determinato le scelte e gli indirizzi dell’ente locale.

In secondo luogo, era evidenziato come l'attuale compagine amministrativa, guidata

dal sindaco -OMISSIS-, faceva registrare al proprio interno componenti o loro

parenti, presenti nell'amministrazione del 2005 pure destinataria del provvedimento

ex art. 143 cit., ponendo anche l'accento sulla continuità di azione di “carismatiche

figure politiche”, quali, da un lato, l'ex sindaco -OMISSIS-, politico di estrazione,

ma incapace di evitare la compromissione con la criminalità organizzata nel 2005,

dall'altro, l’attuale sindaco -OMISSIS-, legato ad ambienti della consorteria criminale

e i cui comportamenti si erano caratterizzati per le gravi illegittimità finalizzate al

soddisfacimento di interessi, diversi da quelli pubblici, di natura personale o a favore

di appartenenti al “clan” locale.

La stessa struttura organizzativa dell'Ente risultava inadeguata ad assicurare

l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa, peraltro in assenza di indirizzi

politici improntati a principi di legalità e di regolamenti disciplinanti le procedure dei

settori più sensibili, così da apparire strumentale alle ingerenze della criminalità

organizzata, come confermato dalla circostanza per la quale il collegio ispettivo, al

fine di acquisire le informazioni d’interesse, aveva dovuto ricorrere a frequenti

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audizioni dei responsabili dei servizi, non potendo desumerle dagli atti d'ufficio,

stante il generale stato di disordine nella conservazione degli stessi, peraltro, “…già

di difficile comprensione anche per la carenza di motivazione e la superficialità delle

valutazioni”.

La criminalità organizzata era fortemente radicata nel contesto territoriale di

riferimento ed era dotata di grande capacità di infiltrazione all'interno delle

pubbliche amministrazioni, come significativamente attestato dal fatto che diversi

civici consessi di comuni limitrofi a -OMISSIS- erano stati sciolti, anche

reiteratamente, per forme di condizionamento di tipo “mafioso”.

Erano quindi richiamate specifiche forme di intimidazione effettuate dal “clan”

locale nel periodo elettorale ed era evidenziato che la lista del sindaco eletto era stata

sottoscritta da soggetti con precedenti penali, di cui ventuno, su poco più di cento,

parenti (di) o affini al “clan” locale. A ciò doveva aggiungersi che risultava la

partecipazione di esponenti di spicco delle famiglie “camorristiche” locali al corteo

di festeggiamento per la vittoria del sindaco-OMISSIS-e la pubblicazione, sul

“profilo facebook” di sostenitori del sindaco, di una fotografia ritraente un gruppo

di affiliati al “clan” egemone, tra i quali anche il figlio del “capo clan” e attuale

“reggente”, che mostravano il “logo” del neo eletto.

Risultava anche che l’attuale sindaco, sin dall'anno 1991, appena diplomato, aveva

iniziato a svolgere attività professionale quale collaboratore e praticante dello studio

di un geometra “contiguo” all’omonimo “clan” locale, gravitando sempre intorno

all'ente che poi sarebbe andato a guidare e collaborando “di fatto” con gli uffici di

urbanistica ed edilizia che gli avevano riservato, nel tempo, un costante “trattamento

di favore”. Inoltre, era accertato anche che egli aveva firmato e presentato, quale

tecnico istruttore, numerosissime pratiche di edilizia privata, anche in periodi in cui

lo stesso ricopriva cariche di governo dell'Ente in qualità di vice-sindaco, sindaco

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reggente, assessore e consigliere comunale, molte delle quali per conto di soggetti

legati alla criminalità organizzata.

In più, emergeva dalla relazione prefettizia che la riferibilità della nuova compagine

elettiva alla criminalità organizzata non si era limitata solo al coinvolgimento del

sindaco ma anche di altri consiglieri in rapporti di parentela con il clan “egemone”,

che, tra l'altro, risultavano eletti con un ragguardevole numero di preferenze, quali

l’attuale assessore all’Ecologia e Ambiente e un consigliere di maggioranza, a cui si

affiancava anche un consigliere di minoranza, fermo restando che “…diversi

componenti dell'attuale consiliatura, anche in differenti posizioni, erano presenti direttamente o per

il tramite di parenti nell'amministrazione del 2005 sciolta per infiltrazioni camorristiche”.

Il Prefetto aggiungeva che l’organo politico aveva potuto contare su un apparato

permeabile a logiche clientelari ed accondiscendente all'uso distorto delle pubbliche

funzioni, come dimostrato dall’avvicendamento, nel tempo, di dirigenti degli uffici

tecnici ogni qualvolta gli stessi non si erano mostrati adeguatamente inclini a

condividere metodi e finalità di gestione.

Risultava che, in occasione di una manifestazione pubblica, abusivamente allestita,

contraddistinta dalla presenza di esponenti della malavita locale che se ne

mostravano protagonisti, alle osservazioni sulla regolarità da parte dell’allora

Comandante della Polizia locale, alcuni esponenti invocavano la conoscenza del

sindaco “…rammaricandosi per l'assenza dello stesso che durante la campagna elettorale si era

presentato presso l'abitazione di ciascuno di loro per chiedere il voto”, sindaco che, pur negando

la circostanza, il giorno successivo, con provvedimento d'urgenza, revocava

l'incarico al Comandante in questione, per affidarlo, poi, a un dipendente in rapporto

di parentela con esponenti del “clan” locale.

Denominatore comune dell'attività gestionale era - per il Prefetto - l'assenza di regole

e controlli, aggravata “…dalla carenza di strumenti regolamentari di rilievo in tutti i settori di

attività, dando vita a un sistema che ha lasciato spazio ad alterate interpretazioni delle norme per

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piegarle agli specifici interessi privati degli amici” - “in un contesto in cui anche l'utenza sembra

avvezza al ricorso all'amico piuttosto che a pretendere il rispetto dei propri diritti” - “mantenendo

invece, per il resto della collettività, la più rigida applicazione. La situazione assumeva

“…connotazioni preoccupanti anche laddove si considerava la presenza tra i dipendenti di persone

con precedenti penali ovvero a vario titolo contigue con soggetti gravitanti in ambienti mafiosi”.

Era quindi stigmatizzato l'atteggiamento di inerzia che, ponendosi in piena sintonia

con le passate criticità, ne amplificava gli effetti estendendone le responsabilità,

come rilevato nel settore degli appalti pubblici, ove la rilevata mancanza di atti

regolamentari a portata generale e preordinati ad una corretta e uniforme gestione

delle procedure, aveva ampliato gli spazi di discrezionalità dell'apparato burocratico;

inoltre, la ingiustificata, protratta, mancata adesione del Comune alla Stazione Unica

Appaltante, in dissonanza peraltro con la sottoscrizione del protocollo di legalità con

la Prefettura, aveva alimentato il livello delle interferenze esterne.

Era evidenziato, poi, che l'inerzia nell'ambito della programmazione territoriale

aveva precostituito una voluta condizione favorevole alle speculazioni edilizie,

attraverso il rilascio di illegittimi titoli concessori, in un settore di primario interesse

per le organizzazioni criminali e favorendo nel contempo “indiscriminati aumenti

dei volumi edificabili sui territorio”.

Alcune “pratiche edilizie” risultavano viziate da illegittimità di cui avevano

beneficiato soggetti legati alla criminalità organizzata e familiari del sindaco e che

non risultavano revocate.

Per quanto riguardava i lotti P.I.P., le relative assegnazioni, avvenute a far data

dall'ottobre 2014 ed i cui contratti erano in corso di sottoscrizione, “…erano state

disposte solo sulla base di semplici richieste, in palese violazione del Regolamento che prevede, invece,

il sorteggio fra le ditte assegnatarie”, favorendo così interessi privati e della camorra.

II Responsabile “pro tempore” del settore “Politiche Sociali Sport e Cultura (il

nominato Comandante della Polizia municipale di cui erano stati già evidenziati i

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vincoli di parentela con il “clan” egemone), a fine 2014, aveva affidato la gestione

dell'impianto sportivo polifunzionale comunale, in via diretta e gratuita, a una società

il cui legale rappresentante era fratello di un esponente apicale del “clan” e

l’affidamento era avvenuto con atto qualificato come “concessione” senza però

esserlo nella sostanza, data la carenza di previsione del necessario corrispettivo e

concretizzando, in tal modo, “…un vero e proprio comodato d'uso gratuito, illegittimo in

relazione alla tipologia del bene”.

Peraltro la suddetta società utilizzava ancora la struttura a titolo gratuito, con il pieno

benestare dell'Amministrazione e del suddetto Comandante, “…in danno delle casse

comunali per il mancato introito del canone previsto dalla legge”.

Sino al 2014 il servizio di tesoreria comunale era stato affidato a una società coinvolta

in un'attività d'indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Benevento,

sfociata nell'emissione di provvedimenti cautelari, personali e reali, per tutta una

serie di ammanchi di somme di denaro dalle casse di numerosi enti pubblici, per i

quali l'impresa esperiva il servizio di tesoreria. La Commissione di accesso,

verificando la documentazione agli atti dell'Ente, aveva “…riscontrato anche presso il -

OMISSIS-, un ingente ammanco di cassa dalla gestione del tesoriere, attestato in circa 624 mila

euro, per il quale l'amministrazione non aveva sporto alcuna denuncia all'Autorità Giudiziaria

né aveva adottato alcuna iniziativa tesa al recupero delle somme”. Solo nel marzo 2016 l'ente

aveva presentato istanza di insinuazione al passivo nel fallimento di detta società

intervenuto nelle more, richiesta, secondo il Prefetto, “…che, per il ritardo con cui è stata

inoltrata, comunque appare di difficile soddisfacimento”.

L'Organo ispettivo sottolineava come l'ente comunale, anche sotto la guida

dell'amministrazione di cui alle elezioni del 2015, omettendo controlli e verifiche di

cassa, aveva prodotto un gravissimo danno a carico di un bilancio, come quello del

-OMISSIS-, dai flussi finanziari di ridotta portata, evidenziando, anche, che i locali

nei quali la suddetta società aveva gli uffici (attualmente condotti in locazione dalla

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subentrata), erano di proprietà della sorella del Responsabile degli uffici finanziari,

“…rilevando quale costante elemento di connotazione della gestione politica di -OMISSIS-una

insana commistione tra procedimenti amministrativi ed interessi privati tale da legittimare dubbi

sullo scrupoloso e tempestivo svolgimento delle obbligatorie verifiche di cassa da parte della

burocrazia comunale”.

Infine, era posto l’accento sulla manifestazione del 2016 della c.d. “-OMISSIS-”,

avvenuta in costanza di accesso della Commissione ispettiva, ove il Comune, in

aperta violazione delle disposizioni regolamentari, non aveva effettuato alcun

controllo, neppure a campione, sulla documentazione a corredo delle istanze di

partecipazione e sulle autocertificazioni rese dai presidenti e dai collaboratori dei due

comitati partecipanti, attestanti l'insussistenza di procedimenti penali pendenti o

sentenze di condanna.

Anche nella manifestazione in questione, cosi come già nel 2004, si erano verificati

episodi che palesavano “…la tracotante prepotenza della “-OMISSIS-”, espressione del

Clan…e la loro vicinanza al Sindaco”.

Nell'occasione, risultava che il figlio del “boss”, attuale referente del “clan”,

“…infastidito dalla bravura della rivale paranza, ha pubblicamente invitato i componenti della

stessa a lasciare la manifestazione. L'ordine è stato immediatamente rispettato, generando grande

confusione tra il pubblico presente, e la paranza dei «-OMISSIS- ha potuto proseguire il

percorso…” mentre il suddetto figlio del “boss”, attraverso il microfono, “…ha rivolto

parole di ringraziamento al -OMISSIS--.”

Singolare era quindi giudicato l'atteggiamento del sindaco che, “…lungi dal condannare

il comportamento dei "-OMISSIS-", nel tentativo di prendere apparente distanza dalla locale

criminalità organizzata, ha riunito il Comitato di Vigilanza della -OMISSIS- che, con una

lungimirante posizione, ha stabilito di sospendere l'intera manifestazione per l'anno 2017, con

l'evidente intento di prendere tempo.”

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Quale segno di protesta avverso tale decisione, però, risultavano affissi nelle strade

cittadine, nei giorni successivi, manifesti dal titolo "LA -OMISSIS- NON DEVE

MORIRE", a firma del Comitato “-OMISSIS- e della “-OMISSIS-”, nei quali,

facendo riferimento all'appoggio dato nell'ultima campagna elettorale al Sindaco -

OMISSIS-, veniva stigmatizzata la decisione dell'amministrazione comunale.

Quest’ultima, pur nel breve periodo di governo - sosteneva il Prefetto - si era posta

in logica continuità, nonostante si fosse presentata agli elettori quale “forza

alternativa”, con le modalità gestionali che avevano contrassegnato la compagine

elettiva destinataria del precedente provvedimento di scioglimento e l'accertata

protratta inerzia dell'amministrazione, non ostacolata in sede consiliare neanche

dalla minoranza - quasi ad avallare di fatto le scelte di fondo, aldilà di sterili

schermaglie politiche - da un lato aveva leso i diritti fondamentali dei cittadini e le

loro legittime aspettative di buon governo e, dall'altro, aveva posto l'ente pubblico

al servizio della criminalità organizzata, che ne aveva già ipotecato l'asservimento

con l'aperta discesa in campo del “clan” egemone nella campagna elettorale a favore

del sindaco -OMISSIS-.

Il Prefetto concludeva richiamando quanto dichiarato dal Procuratore della

Repubblica e della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e dal Procuratore

della Repubblica del Tribunale di Napoli Nord, su “…come il non fare, che ha

caratterizzato l'amministrazione -OMISSIS-, oltre alla generale inosservanza della legge, in specie

nel settore urbanistico, costituisca la modalità più tipica ed efficace per favorire gli interessi della

criminalità organizzata, che si appropria in tal modo dell'ente locale condizionandone le scelte.”.

Svolte queste premesse, il Collegio rileva che i presupposti sui quali si fonda il

provvedimento dissolutorio, con riferimento all’analisi di contesto, alle circostanze

ambientali, alla continuità tra le amministrazioni, alla attendibilità della ricostruzione

degli episodi richiamati, come disgiunti dalle funzioni pubbliche svolte, ai rapporti

parentali e alle frequentazioni, all’impropria commistione tra interessi privati e

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funzioni amministrative, confermano la implausibilità di una lettura complessiva

alternativa, come invece proposta dai ricorrenti.

Più in dettaglio, passando a esaminare i singoli motivi di ricorso, si rileva

l’infondatezza del primo, peraltro genericamente dedotto, in ordine alla sostanziale

carenza degli elementi (sopra ricordati) di cui all’art. 143 cit. per disporre lo

scioglimento del consiglio comunale, in quanto la motivazione sugli stessi e la loro

specifica individuazione deve ricondursi all’insieme documentale dato dalla relazione

della Commissione d’accesso, dalla relazione prefettizia e dalla proposta del Ministro

dell’Interno, tutte corredate da un corredo motivazionale approfondito e dettagliato,

per quanto sopra in sintesi riportato, come sarà successivamente posto in evidenza.

Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, nel quale si mette in risalto la omessa

valutazione delle azioni di contrasto alla criminalità organizzata e di attenzione per

risollevare il Comune dalla grave situazione in cui versava al momento delle elezioni,

anche sotto il profilo amministrativo-contabile, gestionale, urbanistico e della

sicurezza.

Il Collegio osserva in merito che tali interventi non possono sminuire la

significatività degli elementi indicativi del condizionamento subito

dall’amministrazione comunale e dall’apparato burocratico, per cui il loro mancato

richiamo non costituisce elemento idoneo a smentire l’attendibilità delle valutazioni

rese nelle relazioni.

Compito dell’organo ispettivo, infatti, era quello di delineare eventuali fatti ritenuti

rilevanti per la dimostrazione del rischio di condizionamento da parte della

criminalità organizzata dell’amministrazione, per cui, una volta acquisiti gli elementi

fattuali necessari per sostenere la richiesta di scioglimento, correttamente nelle

relazioni non si è fatto cenno agli elementi “contrari”, quali - ad esempio - gli atti

amministrativi “regolari”, le delibere conformi a legge, e le altre iniziative richiamate

dai ricorrenti, in quanto ritenuti insufficienti – in comparazione con la complessità

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degli elementi negativi emersi in sede istruttoria - a far cadere l’impianto

“accusatorio” (in tal senso: Cons. Stato, Sez. III, 2.10.17, n. 4578, secondo cui:

“…Del resto – se bastasse qualche operazione “di facciata” per lenire il rischio di dissoluzione –

sarebbe ben agevole farvi ricorso, eludendo in questo semplice modo la finalità perseguita della norma

di cui all’art. 143 del D.Lgs. 267/2000.”).

Basti richiamare la circostanza per la quale ben più specifiche avrebbero dovuto

essere le determinazioni assunte per evitare il rischio di contaminazione con la

consorteria locale, riferendosi il Collegio, in particolare, all’adesione alla

convenzione relativa al conferimento delle funzioni di Stazione Unica Appaltante

intervenuta con la Prefettura e altri comuni della zona, che però, il -OMISSIS- non

ha ritenuto di concretamente applicare, essendo notorio che il ricorso alla S.U.A.

costituisce un presidio fondamentale per rendere gli apparati burocratici operanti in

zone afflitte dalla presenza della criminalità organizzata, non permeabili al suo

condizionamento.

A ciò si aggiunga che questa Sezione ha già avuto modo di precisare che il

provvedimento di scioglimento ex art. 143 cit. non richiede alcun giudizio di

bilanciamento di circostanze favorevoli e non favorevoli, alla stregua di quanto

avviene nel procedimento penale, dato che l'azione amministrativa deve sempre

essere ispirata ai principi di legalità e di buon andamento ed è, in quanto tale, attività

doverosa che in nessun caso può essere invocata come esimente di condotte

parallele che a tali principi non sono conformi (TAR Lazio, Sez. I, 16.10.17, n.

10361).

Parimenti non condivisibile è la censura di cui al terzo motivo di ricorso, in quanto

proprio la considerazione “d’insieme” e non “atomistica” delle singole vicende poste

in risalto ha consentito di legittimare la conclusione orientata a verificare

l‘intervenuta permeabilità alla malavita organizzata dell’attività amministrativa

comunale.

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Anzi, è proprio l’esposizione dei ricorrenti che si sofferma “atomisticamente” sui

singoli episodi, come nelle premesse in fatto del ricorso, richiamando una

giustificazione parcellare che non tiene conto dell’impostazione come misura di

sostanziale “prevenzione” che la giurisprudenza ha individuato per l’applicazione

dell’art. 143 cit.

Sul punto, per economicità dell’esposizione, il Collegio rimanda a quanto sarà

illustrato in relazione al quinto e sesto motivo di ricorso.

Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, in quanto i rapporti di parentela non

sono stati evidenziati nelle relazioni “in quanto tali” ma nel quadro “d’insieme” che

ha permesso di ricostruire la concreta ingerenza del “clan” locale.

Nella relazione della commissione d’accesso, infatti, sono stati indicati i rapporti di

parentela tra esponenti malavitosi e alcuni eletti già nella tornata elettorale del 2010

e la sussistenza di parenti o affilati al “clan” tra i sottoscrittori (in numero di 21) della

lista civica poi risultata vincitrice non per stigmatizzare la loro presenza, o per

ritenere che il sindaco eletto dovesse fare un controllo preventivo sulla posizione

penale di ogni sottoscrittore, come sostenuto negli scritti difensivi dei ricorrenti, ma

per evidenziare lo sfondo e il quadro d’insieme entro cui collocare le vicende

specifiche prese in considerazione.

Sempre in tale “quadro”, era evidenziato che un assessore frequentava affiliati al

“clan” e un altro era stato più volte “segnalato” e “indagato”. Un consigliere di

maggioranza, con precedenti penali, era cugino del “capoclan”, un consigliere di

minoranza era l’ex sindaco, condannato per reato di corruzione, e un altro era nipote

di un affiliato al “clan”.

La Commissione, quindi, individuava con idonea motivazione una “continuità”

sostanziale nel “continuo rigenerarsi” delle amministrazioni succedutesi nel

decennio 2005-15 (tranne nella parentesi “commissariale” del 2005-08), dato che

nella compagine del 2015 risultavano soggetti (indicati tutti nominativamente) che

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già al momento dello scioglimento disposto nel 2005 ricoprivano incarichi di

amministratori ed erano collegati con legami di parentela con esponenti del “clan”.

Inoltre due consiglieri, di cui un assessore, avevano acquisito il maggior numero di

voti in circoscrizioni in cui risiedevano famiglie legate al “clan” in questione.

A conferma di ciò, la commissione d’indagine evidenziava una serie di episodi –

sempre da valutare nel ricordato “quadro d’insieme” – relativi al periodo pre-

elettorale, alle elezioni del 2015 e ai relativi “festeggiamenti”, che autorizzavano a

ritenere che esponenti del “clan” avessero appoggiato e comunque avessero

“gradito” l’elezione della compagine vincitrice. Tale ricostruzione si fondava su fatti

oggettivi (referti di pronto soccorso, denunce-querele, commenti su profili

“Facebook” di esponenti malavitosi) e si legava a quanto poi riscontrato nei singoli

episodi.

Che, quindi, la compagine eletta nel 2010 si sia divisa e si sia presentata su fronti

contrapposti alle elezioni del 2015 non è elemento dirimente, come invece sostenuto

dai ricorrenti, per dimostrare la discontinuità invece invocata, dato che è la

“sostanza” della presenza costante degli amministratori, quali soggetti che hanno

esposto il Comune a permeabilità alla criminalità organizzata, a sostenere il “quadro”

di influenza individuato e non la “veste politica” con cui gli stessi si sono presentati

nelle diverse tornate elettorali.

Passando all’esame del quinto e del sesto motivo di ricorso, il Collegio rileva che essi

possono essere valutabili contestualmente per il loro contenuto, dato che il quinto

– in cui si lamenta la presenza di “omissis” e l’impossibilità di desumere una adeguata

ricostruzione dei presupposti valutati dalle Autorità – ben può saldarsi con il sesto

in cui, nella sostanza, si contestano i singoli episodi unitamente a quanto esposto

nelle premesse in fatto del ricorso e nella memoria di replica per la pubblica udienza.

In merito, il Collegio però, senza necessità di riportarli singolarmente perché già

richiamati nell’esposizione precedente in ordine al contenuto della relazione

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prefettizia, non individua alcuna erroneità di valutazione da parte

dell’Amministrazione.

Riprendendo anche quanto esposto dai ricorrenti nel terzo motivo, il Collegio

osserva, in sintesi, quanto segue.

Sulla figura del sindaco, la circostanza per la quale egli sia stato presente nell’ambito

comunale a vario titolo, oltre che essere confermata “per tabulas” almeno dal 2010,

è stata ribadita da un’audizione di uno dei tecnici apicali dell’Ente, come riportato

nella relazione della commissione d’accesso, e così “per tabulas” risulta che una

consistente percentuale di “dia” e “scia” edilizie negli anni 2010-15, ove ricopriva

cariche politiche comunali, sia a lui o (a soggetti contigui) riconducibile, con dubbia

assenza di conflitto di interessi e, nuovamente, non per condannare “in sé” tale

circostanza ma per porre in evidenza la sua significativa ingerenza sull’attività di

amministrazione edilizia comunale, come confermato anche da audizione del

Responsabile del Settore Urbanistica all’epoca in cui il sindaco aveva sostituito

quello precedente deceduto, il quale evidenziava l’insistenza di costui per modificare

il Regolamento Edilizio “contra legem”, le conseguenti dimissioni e la sua

sostituzione con altro soggetto che provvedeva a redigere il Regolamento secondo

le indicazioni del sindaco.

Il Collegio osserva che il fatto per cui tale nuovo Responsabile fu assunto per

“selezione pubblica” non incrina il fondamento delle argomentazioni della

commissione, in quanto non era in contestazione in questo caso la modalità di

nomina del nuovo soggetto ma la capacità del sindaco di influire sull’attività

amministrativa “liberamente”. Ciò, se – come effettuato – collegato a circostanze

favorevoli al “clan” locale, rafforzava, quindi, la sussistenza delle “permeabilità” più

volte richiamata.

Tanto che la relazione della commissione riporta ulteriori dichiarazioni di un

funzionario tecnico in cui si rappresentava che nella consiliatura 2010-15 il vero

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“pianificatore” dell’attività edilizia comunale era il sindaco poi eletto nel 2015, anche

attraverso influenze per spostare responsabili non in accordo con le indicazioni da

lui fornite.

Che risultino assunzioni di nuovi funzionari per “avviso pubblico”, come dedotto

dai ricorrenti, non può rilevare, in quanto non è l’assunzione in sé considerata a

essere criticata dalla Commissione ma, semmai, lo spostamento dei funzionari

interessati.

Tale presupposto si manifesta nella sua significatività – ai fini che qui rilevano –

nell’episodio relativo alla serata dell’ottobre 2015, ove risultavano una

manifestazione canora non autorizzata nella sua strutturazione specifica, la

comunicazione ai locali Carabinieri intervenuti sul posto in cui il Comandante della

Polizia municipale dichiarava di avere autorizzato solo in parte la manifestazione,

senza costruzione di palco invece presente, la telefonata al sindaco che chiedeva di

interrompere la manifestazione, gli epiteti e le minacce rivolti al suddetto

Comandante da parecchi soggetti presenti, tra i quali spiccavano esponenti del locale

“clan” (legati alla c.d. “-OMISSIS-”, le cui intemperanze nel 2004 erano state già alla

base del precedente scioglimento), la rimozione del Comandante da parte del

sindaco dopo pochi giorni, a beneficio di soggetto collegato al “clan” per rapporti

di parentela.

Sostengono i ricorrenti che la rimozione era avvenuta proprio per la mancata

autorizzazione della manifestazione ma può osservarsi che lo stesso ex Comandante

aveva affermato di non aver comunque autorizzato la costruzione del palco e non

appare approfondita dal sindaco la questione relativa, ponendosi invece l’immediata

rimozione come potenzialmente collegata alle minacce e offese degli esponenti del

“clan”, che ritenevano al momento della chiusura imposta della manifestazione la

responsabilità dell’ex Comandante.

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In questo sfondo ben delineato, la commissione d’accesso collocava gli ulteriori

elementi, per i quali le difese dei ricorrenti non forniscono spiegazioni alternative

convincenti.

Ciò valga per l’assenza di normativa regolamentare in settori strategici (si pensi

all’Organismo Interno di Valutazione- OIV, alla contabilità armonizzata, alla Polizia

Urbana, alla Polizia Mortuaria, all’Edilizia privata, al Servizio economato, agli

acquisiti in economia, ai contributi - e agli affidamenti di impianti - sportivi e molti

altri richiamati nella relazione della commissione d’accesso). Risulta anche non

portata a termine la redazione del nuovo strumento urbanistico, avviata nel 2012,

con conseguenti criticità nel rapporto Amministrazione-Dirigenza, puntualmente

evidenziata nella suddetta relazione, con pressanti ingerenze del sindaco, già quando

era nella precedente amministrazione, e ripetuti avvicendamenti di dirigenti, con una

“precisa strategia di permeazione dell’Ente volta all’alterazione della legittima azione

della pubblica amministrazione”, con conseguente carenza di controlli.

In materia edilizia spicca l’anomalia della procedura di rilascio di un permesso

edilizio in sanatoria, su progetto del sindaco nelle vesti professionali sopra ricordate,

a favore della cognata del “capoclan”, l’applicazione del “Piano Casa” per un

permesso per immobile da costruire su terreno di proprietà della moglie del sindaco

e di un esponente riconducibile al “clan”, rilasciato con procedura illegittima sotto

vari profili, su cui pende procedimento penale, e così pure per altri titoli rilasciato a

favore di soggetti collusi (PdC in sanatoria n. 11 del 15.4.13 e PdC n. 4467/14).

Analoghe considerazioni per una “scia” in materia di somministrazione, con

procedura favorevole a società il cui rappresentante legale era figlio di soggetto

coinvolto con il “clan” in procedimento penale.

Nella gestione dell’area P.I.P., sia pur risalente al 2007, è risultata nel 2014 la

violazione del relativo regolamento di assegnazione, con speculazione economica

riconducibile a soggetti vicini al sindaco e a soggetti pluripregiudicati e società legate

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al “clan”, come dettagliatamente indicato nella relazione della commissione

d’accesso.

Sugli affidamenti pubblici si è già detto della mancata osservanza e sottoscrizione

del Protocollo sulla S.U.A.

La gestione dell’impianto sportivo è stata affidata, con procedura anomala, come

illustrato nella relazione, a società il cui rappresentante legale era fratello di un

esponente di spicco del “clan”, la cui famiglia aveva sottoscritto la lista del sindaco,

e con mancanza dei requisiti di regolarità finanziaria.

Risultavano omissioni nella richiesta della documentazione “antimafia”, pur

sussistendone l’obbligo. Anche la gestione della Villa comunale non si sottraeva a

osservazioni, per l’incongruità dell’unica offerta pervenuta, con realizzazione di un

chiosco bar con “scia” senza certificazione di agibilità.

La gestione del sistema integrato dei rifiuti vedeva procedure anomale, con proroga

illegittima, a beneficio di società la cui rappresentante legale aveva precedenti penali,

così come il padre.

Evidente era la distorsione nella gestione del servizio di tesoreria comunale,

contraddistinta da anomalie e ammanchi di cassa di cui non era denunciata la

presenza, a favore di società riconducibile a parenti di amministratori, come

anticipato sopra nel richiamo alla relazione prefettizia.

Inoltre, occorre rilevare che, nel caso di specie, le irregolarità amministrative non

sono riconducibili ai soli appartenenti alla struttura burocratica dell’Ente, ma vi è

stata diretta ingerenza degli organi di vertice dell’apparato politico nelle decisioni

assunte, verificandosi quella commistione tra ruoli alla quale si è fatto più volte

cenno nelle relazioni.

In ogni caso, l’art. 143 TUEL consente l’adozione della misura dissolutoria anche in

presenza della permeabilità e del condizionamento dei soli apparati burocratici

dell’Ente.

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Peraltro, è stato ritenuto in giurisprudenza che sebbene l’assetto organizzativo

dell’ente locale assegni ai dirigenti compiti di amministrazione attiva, decisionali e di

responsabilità, da esercitarsi in autonomia rispetto agli organi elettivi, nondimeno

non rende tali ultimi organi estranei al ripetersi di irregolarità ed illeciti di gestione.

Restano, invero, fermi, ai sensi dell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, i compiti di

indirizzo e, segnatamente, di controllo “politico-amministrativo”, che se non va

esercitato partitamente per ogni singola determinazione provvedimentale, deve

investire trasversalmente l’operato dei funzionari con qualifiche dirigenziali (cfr.

Cons. Stato, Sez. III, 25.1.16, n. 256).

Si tenga presente che l’esatta distinzione tra attività di gestione ed attività di indirizzo

e di controllo politico-amministrativo non esclude che il non corretto

funzionamento degli apparati dell’amministrazione sia addebitabile all’organo

politico quando non risultano le attività di indirizzo e di controllo dirette a

contrastare tale cattivo funzionamento (Cons. Stato, Sez. III, n. 4578/17 cit.).

In sostanza, la relazione in questione evidenziava che le irregolarità e le varie forme

di deviazione riscontrate in sede di accesso riguardavano proprio settori

imprenditoriali su cui si appuntavano i sostanziali interessi della malavita locale e

che, in merito, o non vi era stato un esercizio di efficace vigilanza e controllo da

parte del vertice politico amministrativo sull’apparato burocratico o vi erano state

forme di ingerenza nell’adozione di provvedimenti. Era abbondantemente illustrato,

quindi, che era stato preso in considerazione un quadro indiziario generale idoneo a

configurare i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale, senza necessità

di immediati e definitivi riscontri in sede penale per quel che riguardava specifici

comportamenti, fermo restando che il su richiamato sfondo aveva evidenziato il

mantenimento di interessi e assetti preesistenti e funzionali ad un vantaggioso

“status quo” per la malavita organizzata locale, dovuto alla generale connivenza da

parte dell’amministrazione pubblica che, invece, si sarebbe dovuta subito e

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costantemente attivare per rimuovere le deviazioni evidenti riscontrate nel corso

dell’accesso.

Ad essere stata correttamente stigmatizzata, quindi, era la tendenza dell’attività degli

organi politici a non porre in essere ciò che era loro compito nel dare luogo ad

un’opera di vigilanza e controllo dell’apparato burocratico, al fine di evitare

ingerenze da parte della criminalità organizzata, i cui esponenti “di spicco”

comunque avevano (anche solo autonomamente) ritenuto comunque di trarre

vantaggi dall’elezione del sindaco, come acclarato dalle manifestazioni pubbliche di

soddisfazione dopo la sua elezione nel 2015.

Proprio la mancanza di un efficace controllo o vigilanza costituisce un elemento di

forte rilevanza al fine di individuare una riconducibilità all’organo politico dei

vantaggi acquisiti a causa di tali omissioni da parte di soggetti “vicini” o direttamente

appartenenti alla malavita organizzata, dato che - come detto - la funzione dei

provvedimenti impugnati non è “sanzionatoria” verso i singoli ma rivolta ad evitare

il perdurare dell’infiltrazione “mafiosa”, oggettivamente considerata.

Si rammenta che è conclusione giurisprudenziale diffusa – a tale proposito – quella

per la quale lo scioglimento ex art. 143 cit., in virtù della natura “non sanzionatoria”

che lo contraddistingue, è legittimo sia qualora sia riscontrato il coinvolgimento

diretto degli organi di vertice politico-amministrativo sia anche, più semplicemente,

per l’inadeguatezza dello stesso vertice politico-amministrativo a svolgere i propri

compiti di vigilanza e di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di

pubblici servizi del Comune, che impongono l'esigenza di intervenire ed apprestare

tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e sostanziale cura e difesa

dell'interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze estranee

riconducibili all'influenza ed all'ascendente esercitati da gruppi di criminalità

organizzata (in tal senso: TAR Lazio, Sez. I, 28.8.15, n. 10899 e Cons. Stato, Sez. III,

6.3.12, n. 1266).

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Il quadro indiziario complessivamente emerso dagli accertamenti istruttori, e

valutato come significativo di una gestione amministrativa poco lineare, rende quindi

ragionevolmente plausibile la conclusione per la quale l'attività dell'ente era, sia

concretamente che potenzialmente anche per il futuro, permeata e permeabile a

possibili ingerenze e pressioni da parte della criminalità organizzata specificamente

individuata.

Tutti questi elementi, perciò, considerati nel loro insieme e inseriti nello sfondo di

riferimento possono essere ritenuti idonei a configurare i presupposti di concretezza,

univocità e rilevanza richiesti dall’art. 143 TUEL ai fini dello scioglimento del

Consiglio comunale, con il fine di prevenzione teso ad evitare anche solo il rischio

di infiltrazione da parte della malavita organizzata già presente sul territorio.

Tenuto conto dei principi giurisprudenziali espressi in precedenza e della

ricostruzione dei fatti di cui alle relazioni richiamate, quindi, per il particolare tipo di

sindacato di legittimità “estrinseco” di cui dispone il giudice amministrativo nella

materia in questione, il provvedimento dissolutivo impugnato risulta immune dai

vizi dedotti.

Il ricorso, quindi, non può trovare accoglimento.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente

pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna in solido i ricorrenti a corrispondere al Ministero dell’Interno le spese di

lite, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno

2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla

Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dei ricorrenti, di altri (anche

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ex) amministratori citati nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il

Comune oggetto del provvedimento impugnato.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 febbraio 2018 con l'intervento

dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Ivo Correale, Consigliere, Estensore

Roberta Cicchese, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Ivo Correale Carmine Volpe

IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei

termini indicati.