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Supply chain e sostenibilità: il caso del pomodoro San Marzano dop Maria Teresa Gorgitano, Pasquale Lombardi, Fabio Verneau, Francesco Caracciolo* Introduzione La recessione economica mina progressivamente la capacità di spesa delle famiglie e, se causa una preoccupante caduta dei consumi alimentari, non sembra modificare la struttura degli acquisti, così gli alimenti che incorpora- no una pluralità di servizi, quelli di qualità nutrizionale elevata o connotati da tipicità e da attributi di naturalità caratterizzano ancora il modello di consu- mo delle famiglie (Esposti, 2005). Parallelamente, tra le imprese dell’agro- alimentare è ampiamente diffusa la consapevolezza che gli attributi di qualità siano importanti fattori di successo commerciale. Il frequente ricorso a politi- che di marketing orientate al branding e al grading sono, infatti, rivolte a catturare l’interesse delle diverse frazioni in cui si articola la domanda in mercati sempre più segmentati. Allo stesso modo le politiche per il settore primario sono orientate con decisione a favorire la differenziazione fondata sulla qualità, nel difficile tentativo di rallentare la riduzione dei margini di profitto per le imprese agricole. In questo quadro di diversificazione crescente della domanda e dell’offer- ta, i prodotti ottenuti da supply chain agro-alimentari più sostenibili possono vantare una qualità più elevata e una maggiore ricchezza di attributi (Solér, 2012), ma nonostante ciò stentano ad affermarsi e incontrano difficoltà del tutto particolari. Dal lato della domanda, i consumatori sembrano rispondere a un sistema di preferenze che differenzia tra gli attributi, cosicché quelli le- 55 * Dipartimento di Economia e Politica Agraria, Università degli Studi di Napoli Federico II. Maria Teresa Gorgitano è Professore Associato, Pasquale Lombardi è Professore Ordinario, Fabio Verneau è Professore Associato, Francesco Caracciolo è Assegnista di ricerca. Economia agro-alimentare, n. 3-2012

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Supply chain e sostenibilità:il caso del pomodoro San Marzano dop

Maria Teresa Gorgitano, Pasquale Lombardi, Fabio Verneau,Francesco Caracciolo*

Introduzione

La recessione economica mina progressivamente la capacità di spesa dellefamiglie e, se causa una preoccupante caduta dei consumi alimentari, nonsembra modificare la struttura degli acquisti, così gli alimenti che incorpora-no una pluralità di servizi, quelli di qualità nutrizionale elevata o connotati datipicità e da attributi di naturalità caratterizzano ancora il modello di consu-mo delle famiglie (Esposti, 2005). Parallelamente, tra le imprese dell’agro-alimentare è ampiamente diffusa la consapevolezza che gli attributi di qualitàsiano importanti fattori di successo commerciale. Il frequente ricorso a politi-che di marketing orientate al branding e al grading sono, infatti, rivolte acatturare l’interesse delle diverse frazioni in cui si articola la domanda inmercati sempre più segmentati. Allo stesso modo le politiche per il settoreprimario sono orientate con decisione a favorire la differenziazione fondatasulla qualità, nel difficile tentativo di rallentare la riduzione dei margini diprofitto per le imprese agricole.

In questo quadro di diversificazione crescente della domanda e dell’offer-ta, i prodotti ottenuti da supply chain agro-alimentari più sostenibili possonovantare una qualità più elevata e una maggiore ricchezza di attributi (Solér,2012), ma nonostante ciò stentano ad affermarsi e incontrano difficoltà deltutto particolari. Dal lato della domanda, i consumatori sembrano risponderea un sistema di preferenze che differenzia tra gli attributi, cosicché quelli le-

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* Dipartimento di Economia e Politica Agraria, Università degli Studi di Napoli FedericoII. Maria Teresa Gorgitano è Professore Associato, Pasquale Lombardi è Professore Ordinario,Fabio Verneau è Professore Associato, Francesco Caracciolo è Assegnista di ricerca.

Economia agro-alimentare, n. 3-2012

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gati alla qualità intrinseca e funzionale del prodotto sono più facilmente rico-nosciuti e apprezzati rispetto a quelli legati alla qualità sociale e ambientale(Clay, 2004; Besnard et al., 2006; De Devitiis et al., 2008). Dal lato dell’of-ferta, i produttori, oltre alla difficoltà di ricevere un premiun price da partedei consumatori e alla necessità di sostenere dei costi di produzione più alti,devono essere anche capaci di assicurare uno stretto coordinamento tra le fasiproduttive. Il debole coordinamento e l’insufficiente comunicazione sono, in-vece, criticità molto diffuse tra le food supply chain, costituendo vere e pro-prie barriere alla formulazione di appropriate strategie di greening (Fisch etal., 2003; Seuring et al., 2008). Strategie che richiedono regole di gestionepiù complesse, ispirate a più obiettivi – economici, ambientali e sociali – tra iquali quelli misurabili in modo solo incompleto diventano sempre più impor-tanti (Linton et al., 2007). Non sorprende, dunque, che in molti casi le strate-gie siano dettate dalle focal firm in risposta a una varietà di sollecitazioniesercitate da pressioni e da incentivi esterni e interni così come nel corso del-la loro attuazione tali imprese coinvolgano direttamente i loro fornitori pertrasferire su quelli con minore potere di mercato la responsabilità e i costi de-gli adeguamenti (Fox e Worley, 2004; Seuring et al., 2008; Smith, 2008).

Le difficoltà incontrate dalla diffusione della gestione sostenibile tra lesupply chain agro-alimentari sono da ricercare nella natura complessa del set-tore. Le diversità delle catene produttive e dei prodotti così come la varietàdel comportamento dei consumatori richiedono soluzioni differenziate, benfinalizzate agli obiettivi raggiungibili nel breve e nel lungo periodo. Obiettivicondivisi, soluzioni operative coerenti e la loro attuazione coordinata lungotutta la catena produttiva sono, dunque, elementi indispensabili di questo per-corso (Bell e Morse, 2003; Seuring et al., 2008; Fischer et al., 2010). La vo-lontà di promuovere networks collaborativi per raggiungere tali risultati haispirato l’esperienza di programmi di collaborazione per la sostenibilità; il lo-ro fine è quello di favorire una visione pragmatica, socialmente condivisa epartecipata degli obiettivi e degli indicatori per verificarne i risultati, in modoche responsabilità, costi e vantaggi siano ben equilibrati lungo tutta la catenaproduttiva.

È alla luce di questo contesto che si è inteso affrontare il tema della soste-nibilità per una specifica catena produttiva agro-alimentare: il Pomodoro SanMarzano dell’Agro Sarnese-Nocerino dop (in seguito smz dop). L’interesseper questo prodotto ha diverse ragioni: è uno dei prodotti a marchio di origi-ne bandiera dell’agro-alimentare italiano; in passato è stato beneficiario di in-terventi pubblici per promuoverne e valorizzarne la qualità in quanto logo ditradizionalità e tipicità e, per finire, è coltivato in un comprensorio in cui lapressione urbana e la competizione esercitata dalle altre attività produttiveper la risorsa suolo sono elevate, più che in ogni altra parte della Campania.L’analisi è condotta nell’ipotesi che si voglia costituire una piattaforma di la-

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voro per migliorare la sostenibilità della catena produttiva che si desidera ri-solvere come problema di natura collettiva. I comportamenti, le responsabi-lità e le priorità degli attori nei confronti dei diversi obiettivi di sostenibilitàsono organizzate in modo da simulare il possibile esito dell’approccio colla-borativo. L’applicazione operativa si configura come un’analisi pilota cui ilsmz dop ben si adatta sia per i volumi di produzione contenuti, sia per la sualimitata estensione territoriale.

L’analisi del caso studio è preceduta dalla definizione del quadro concet-tuale di riferimento articolato in modo da precisare il tema di indagine (para-grafo 1), le scelte metodologiche e quelle operative adottate per l’analisi del-la supply chain del SMZ DOP (paragrafo 2). I dati sono ottenuti combinandoinformazioni secondarie e primarie, queste ultime ottenute da interviste, siastrutturate, sia semi-strutturate. I risultati sono discussi con riferimento a duetemi: il primo consiste nella caratterizzazione della catena produttiva analiz-zata evidenziando le sue particolarità con riferimento alla sostenibilità (para-grafo 3.1); il secondo si identifica da una parte con la verifica dell’importan-za accordata a un gruppo di obiettivi (priorità) attraverso i quali è possibileidentificare la sostenibilità e, dall’altra con l’analisi della responsabilità as-sunta da ciascuna delle categorie che partecipa alla catena produttiva (para-grafo 3.2). Le priorità e le responsabilità assunte dai diversi stakeholders in-terni ed esterni sono sintetizzati in una matrice (paragrafo 3.3) cui fanno se-guito alcune riflessioni sul ruolo dei soggetti coinvolti e sul metodo adottatoa conclusione dell’analisi.

1. La sostenibilità di una food supply chain

La necessità di migliorare le prestazioni di una supply chain in termini disostenibilità ha spinto a riconsiderare profondamente le finalità e le modalitàadottate in precedenza nella sua gestione.

La realizzazione di beni dal valore più alto possibile ottenuti al minor co-sto è la finalità tradizionalmente perseguita nella gestione di una supplychain, costituita dall’insieme degli attori coinvolti in tutte le fasi della produ-zione (dalle materie prime al consumo finale) durante le quali si attivanoflussi reali, finanziari e informativi (Handfield e Nichols, 1999; Linton et al.,2007; Seuring e Muller, 2008). L’obiettivo di ottimo, sebbene raggiunto com-plessivamente, non implica tuttavia che ciascun attore sia stato indotto o ab-bia operato in modo parimenti ottimale; al contrario, “il più alto valore creatolungo la supply chain richiede che alcune categorie di imprese operino sceltesub-ottimali rispetto ai costi” (Leenders e Blenkhorn, 1988 in Linton et al.,2007, p. 1078).

Com’è noto, il rapporto Our Common Future del wced pubblicato nel1987 ha proposto una definizione di sostenibilità che ha modificato comple-

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tamente il concetto di sviluppo e l’orientamento della gestione delle cateneproduttive. La priorità accordata in precedenza alla crescita fisica ed econo-mica è attribuita ora al miglioramento della condizione umana da raggiunge-re, per di più, senza peggioramenti per l’ambiente (sociale, economico, biolo-gico) e per le risorse naturali, in particolare quelle non rinnovabili (Bell eMorse, 2003). Ciascuna supply chain è chiamata a contribuire al migliora-mento generale della condizione umana, ricercando prestazioni più elevate intermini di sostenibilità. Affinché tale risultato sia raggiunto, non è sufficienteche ciascuna sua impresa adotti soluzioni genericamente più sostenibili, ma ènecessario che tali soluzioni siano quelle più adeguate rispetto allo specificoobiettivo di sostenibilità (natura e livello da raggiungere) concretamente indi-viduato per la supply chain (Pagell e Wu, 2009). Una delle pre-condizioni af-finché una supply chain possa migliorare la sua sostenibilità è, dunque, chegli obiettivi siano condivisi, che le soluzioni operative siano pertinenti conessi, coerenti tra loro e che la loro attuazione, infine, sia realizzata in modoperfettamente coordinato lungo tutta la catena produttiva (Seuring et al.,2008).

1.1. La gestione di una supply chain sostenibile

Con riferimento al flusso delle operazioni e dei materiali, la sostenibilitàapplicata alle supply chains ha indotto a riconsiderare le modalità produttiveper limitare gli effetti indesiderati in termini ambientali e migliorare le condi-zioni sociali. L’attenta riconsiderazione delle tecnologie, delle scelte organiz-zative di ciascuna fase della catena produttiva, degli interventi di riprogetta-zione dei prodotti e dell’impiego di input dalle diverse caratteristiche, ha sor-tito più risultati: limitare gli scarti di produzione, favorire la loro riutilizza-zione, allungare la vita dei prodotti, ridurre l’inquinamento e i rifiuti sia du-rante la produzione che dopo il consumo. Le condizioni di lavoro nella pro-duzione delle materie prime, oltre che in quelle dei prodotti, ricevono unaparticolare attenzione. In non pochi casi la ricerca di migliori risultati in ter-mini di sostenibilità concorre ad accelerare un fenomeno di ristrutturazionedelle supply chain. Fasi produttive in precedenza ritenute esterne alla catenae fasi nuove entrano a pieno titolo in quelle più sostenibili subendo rimodula-zioni anche profonde diventando sempre più lunghe, articolate e complesse(Linton et al., 2007). Parallelamente la numerosità dei loro stakeholders au-menta mentre il network che li lega si infittisce.

Allo stesso modo la consapevolezza sempre più diffusa che alcune modalitàproduttive possono avere minori effetti negativi sull’ambiente e/o migliorarequelli positivi in termini sociali sollecita la nascita di gruppi (associazioni am-bientaliste, unioni di consumatori o gruppi di opinione), che rinfoltiscono la

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schiera degli stakeholders esterni e si rivelano capaci di esercitare pressioniparticolarmente efficaci su quelli interni alle catene produttive. Il coordina-mento e le modalità di interazione tra le diverse categorie di stakeholders,spesso espressione di interessi conflittuali, accrescono la complessità della ge-stione sostenibile di una supply chain (Matos e Hall, 2007) già di per sé moltoalta per la necessità operativa di controllare gli effetti associati alla produzionee di monitorare un flusso maggiore di dati per produrre un set di informazionipiù ampio. Parallelamente la complessità coinvolge sia la formulazione di in-dicatori pertinenti per misurare le performance, sia la proposta di metodologiemulti-dimensionali e di criteri multi-obiettivo capaci di guidare nella sceltadelle soluzioni operative più adeguate (Morse et al., 2000; Quak e de Koster,2007, Tsoulfas e Pappis, 2008; Hutchins e Surtherland, 2008). Anche i costi, ilpiù tradizionale degli indicatori economici, sono formulati in modo diverso:oltre a quelli diretti dovuti alla realizzazione di ciascuna fase di produzione,sono contabilizzati quelli per il consumo delle risorse naturali, per l’inquina-mento e per lo smaltimento dei rifiuti successivi al consumo (Seuring et al.,2008). I criteri di scelta dell’assetto sostenibile della catena diventano, dun-que, più numerosi ed eterogenei, quelli quantificabili assumono un ruolo diminore importanza a favore degli elementi qualitativi, cosicché le scelte sonosempre più condizionate dai giudizi di valore degli stakeholders.

L’identificazione degli obiettivi operativi coerenti con la sostenibilità dellasupply chain, l’individuazione del loro livello atteso e la priorità accordata aciascun criterio di scelta sono affidate alla responsabilità degli stessistakeholders (interni ed esterni), così come il successo dell’indirizzo imparti-to in concreto alla governance di ciascuna catena produttiva dipende dalcoordinamento tra le scelte di ciascuno e dalla corretta realizzazione pratica(Bell e Morse, 2010). Il ruolo attivo degli stakeholders fa sì che la direzioneimpartita alla gestione delle supply chain sostenibili risenta della contestua-lizzazione spazio-temporale della produzione oltre che degli aspetti tecnici eorganizzativi dei processi produttivi con l’importante conseguenza che nessu-na soluzione può essere ipotizzata come standard, replicabile in tutte le cate-ne produttive e in qualunque contesto territoriale (unep, 2000; Morse et al.,2000; Seuring et al., 2008; Bell e Morse, 2010).

1.2. Le strategie per una supply chain sostenibile

La necessità che ciascuna catena produttiva contribuisca allo sviluppo so-stenibile ha sollecitato le discipline coinvolte nella sua gestione (tecniche diproduzione, ingegneria gestionale, logistica, organizzazione, gestionedell’impresa) a elaborare in concreto soluzioni coerenti con questa finalità.Le analisi proposte differiscono per l’enfasi accordata a ciascuna delle tre di-

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mensioni della sostenibilità e per la prospettiva temporale di riferimento. Diconseguenza è possibile rinvenire in letteratura diverse definizioni che ini-zialmente hanno evidenziato un’apparente inconciliabilità di interpretazioni,che col tempo è stata quasi completamente superata (Carter e Rogers, 2008;Casini et al., 2011; Valera, 2012). Al contrario l’aspetto che ancora oggi ca-ratterizza le diverse analisi è l’attenzione solo a una dimensione – nella gene-ralità dei casi quella ambientale – sottolineando come esista ancora una diffi-coltà a formulare una visione olistica della sostenibilità che contempli con-temporaneamente la dimensione sociale, la dimensione ambientale e quellaeconomica (Seuring e Müller, 2008). La gestione delle supply chain è piùspesso indirizzata a ottenere miglioramenti parziali in ambiti circoscritti che,quindi, non aiutano le imprese nella formulazione di una visione strategicadella sostenibilità (Carter e Easton, 2011).

La capacità di elaborare soluzioni contesto-specifiche originali in grado diraggiungere la convenienza economica già nel breve periodo costruendo van-taggi competitivi stabili nel tempo richiedono la formulazione di obiettivi edi soluzioni il più possibile condivisi, frutto di un processo coordinato tra glioperatori della food supply chain che consolidi i network collaborativi (Frizte Schiefer, 2008).

Per le supply chain agro-alimentari, le esperienze acquisite consentono diprecisare come gli aspetti tecnico-produttivi, organizzativi e di mercato pos-sano influenzare molto la velocità e l’indirizzo del percorso che conduce allaloro sostenibilità. Lo schema proposto da Smith (2008) dà ragione di questadiversità e riconosce quattro tipologie di catene produttive agro-alimentari,presentate secondo la difficoltà crescente di una gestione sostenibile: i pro-dotti locali, i prodotti conservati, i prodotti trasformati e le commodities (Tab.1). In particolare, gli elementi che le contraddistinguono sono riconducibili atre categorie: le caratteristiche della catena produttiva (la sua complessità, ladistanza fisica tra la produzione delle materie prime, del prodotto finito e delconsumo), la trasformazione fisica subita dal prodotto (l’intensità del proces-so di trasformazione e il grado di conservabilità), le caratteristiche del consu-mo e del suo mercato (l’ampiezza del mercato, la stagionalità e la volatilitàdei prezzi) (Baldwin, 2009).

La velocità e l’indirizzo strategico sono dettati in primo luogo dalle pres-sioni e dagli incentivi esterni. In una recente rassegna della letteratura Segu-rin e Muller (2008) hanno individuato nel sistema pubblico di regolamenta-zione e di controllo e nella vigilanza svolta dagli stakeholders esterni, lepressioni più efficaci nel promuove la sostenibilità della supply chain. Perciascun prodotto il sistema delle pressioni e degli incentivi può essere diver-so, così come la strategia (fattori interni alla catena) in relazione alle caratte-ristiche della catena produttiva. Nel corpus della disciplina delle gestionedelle supply chain le molteplici risoluzioni strategiche adottate sono ricondu-cibili a due indirizzi, l’uno identificato come supplier management for risk

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and performance, l’altro come supply chain management for sustainable pro-ducts, indicati rispettivamente come strategia di greening del processo pro-duttivo e strategia di greening del prodotto.

Per la prima strategia, gli strumenti di supporto sono la comunicazione,l’adozione di standard minimi, l’elaborazione di regole di monitoraggio e divalutazione e l’applicazione di sanzioni al fornitore, mentre nella seconda ilruolo centrale è assunto dalla cooperazione con i fornitori fino a coinvolgeretutti gli operatori della catena produttiva. Nel primo caso, dunque, gli ade-guamenti richiesti per attuare queste strategie possono condurre a escludere ifornitori che non si adeguano. Nel secondo, invece, l’istaurarsi di una strettacollaborazione tra tutti gli operatori della catena produttiva è un elemento im-prescindibile che facilita il coinvolgimento nel percorso verso la sostenibilitàdel prodotto. Entrambe le strategie sono indirizzate dalle imprese più espostealla pressione dei fattori esterni (regolamentazione, controlli, gruppi di con-sumatori o di opinione) e rispondono alla loro esigenza di trasferire su altriattori, con minore potere di mercato come i produttori agricoli, i costi deicambiamenti che si rendano necessari. In queste circostanze, le strategie ispi-rate al greening del prodotto promettono una trasparenza e un equilibriomaggiore nella ripartizione degli oneri a carico della produzione, trasforma-zione e distribuzione, ma senza dubbio sono più complesse da governare.

Tab. 1 - Tipologie di catene produttive agro-alimentari in relazione alla complessitàdella gestione sostenibile

Catene agro-alimentari Natura del prodotto

Aspetto caratterizzanteLocale Conser- Trasfor- Com-

vato mato modity

Complessità della supply chain + ++ +++ +/++Distanza tra i luoghi di produzione + ++ ++/+++ +++

e consumo trasportoTrasformazione subita + ++ +++ +

dalle materie primeConservabilità del prodotto +/++ +++ ++/+++ +++Ampiezza del mercato al consumo + ++ ++ +++Stagionalità del consumo +++ + + ++Volatilità dei prezzi +/++ + + +++Trasformazione successiva ++ +/++ + ++/+++

all’acquisto

Legenda: +++ molto importante; ++ mediamente Importante; + poco importante

Fonte: Smith (2008)

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2. Il caso studio

Il pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino dop rappresentauno dei prodotti di più antica tradizione dell’agro-alimentare italiano e costi-tuisce tuttora l’espressione di massima fama dell’intero comparto del pomo-doro da industria, contribuendo all’immagine dell’intero agro-alimentare ma-de in Italy sui mercati internazionali.

Negli anni più recenti, le rese produttive medie ottenute dalle imprese agri-cole si sono mantenute molto al disotto della resa massima prevista dal disci-plinare (800 quintali/ettaro); la fertilità dei suoli e la qualità delle acque d’ir-rigazione hanno subito un progressivo peggioramento sotto la spinta di prati-che agronomiche molto più intensive, della competizione con le altre attivitàproduttive e dell’espansione delle aree residenziali. La stanchezza del terrenoe le manifestazioni violente e regolari di fitopatologie biotiche e abiotiche te-stimoniano quanto oggi l’ecosistema produttivo sia fragile e compromesso. Afronte di questi fenomeni la reputazione del prodotto è ancora molto alta inparticolare sui mercati esteri come quello statunitense, il che consente risulta-ti economici incoraggianti. Gli operatori della catena produttiva dichiaranoun grande interesse per la produzione, ma numerosi sono i punti di contrasto,inoltre, la posizione geografica dell’areale di produzione al confine dellagrande area metropolitana di Napoli, caratterizzata da una densità abitativafra le più alte d’Europa, rende la concorrenza per l’uso del suolo molto alta.

Alla luce di queste considerazioni, migliorare la sostenibilità della catenaproduttiva del smz dop appare una necessità per assicurare la sua stessa con-tinuità nel tempo oltre che l’opportunità per ampliare la qualità del suo pro-dotto già riconosciuta dal marchio di origine. La complessità dei problemi e icontrasti ricorrenti ostacolano la formulazione di un piano di azione condivi-so e coordinato, ben equilibrato nel rapporto tra gli oneri e i vantaggi tra isoggetti.

2.1. Le scelte metodologiche

La difficoltà di formulare un piano di azione coerente trova nel debolecoordinamento e nell’insufficiente comunicazione delle vere barriere alla for-mulazione di appropriate strategie di greening. È, questa, una situazione mol-to diffusa tra le catene agro-alimentari per le quali gli assetti più sostenibilistentato a essere raggiunti. La volontà di promuovere networks collaborativiper raggiungere tali risultati e la volontà di promuovere la diffusione di stra-tegie del tipo greening di prodotto hanno ispirato l’esperienza di programmidi collaborazione per la sostenibilità (defra, 2002; nzbcsd, 2003; iied eProforest, 2005; sai). A tal fine è fondamentale il ruolo che può svolgere il

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decisore pubblico, regolando e garantendo la formulazione di obiettivi inter-medi precisamente identificati, misurabili, pienamente condivisi accompa-gnati dalla precisa identificazione della responsabilità diretta di ciascun ope-ratore della catena produttiva.

L’analisi proposta per il smz dop intende simulare la costituzione di unapiattaforma di lavoro per migliorare la sostenibilità della catena produttiva.Sono definite le priorità attribuite dagli attori e le responsabilità di cui si fan-no carico nei confronti dei diversi obiettivi di sostenibilità. I risultati ottenutidevono essere considerati equivalenti a quelli ottenuti da uno studio di fatti-bilità preliminare alla definizione di soluzioni concordate così come previstoda un approccio collaborativo.

Sotto il profilo metodologico l’analisi si ispira all’esperienza promossadalla Sustainable Development Commission del Regno Unito prescelta perdue ordini di motivi. Il primo è l’importante ruolo di indirizzo e di garanziache è riconosciuto all’operatore pubblico, il secondo motivo è da ricercarenella definizione della sostenibilità come problema di natura collettiva, coe-rente con l’approccio della stakeholder analysis, che muove da due premes-se: la definizione a priori di set di obiettivi prioritari (macro-priorità) e la re-sponsabilità di ciascuna categoria di stakeholder. Le macro-priorità sono in-dicazioni normative degli obiettivi rispetto ai quali il contributo allo svilupposostenibile da parte della supply chain agro-alimentare deve essere identifica-to in concreto (defra, 2002; Smith, 2008). In particolare, una supply chainagro-alimentare sostenibile dovrebbe ottenere più risultati contemporanea-mente:• produrre cibo sano e sicuro rispondendo alla domanda di mercato, garan-

tendo la disponibilità (varietà e quantità) di alimenti secondo le esigenze ditutti i consumatori e migliorando l’informazione sui prodotti;

• operare nel rispetto dei limiti biologici delle risorse naturali;• raggiungere standard più elevati del benessere degli animali;• ridurre gli impieghi degli input e il consumo energetico utilizzando risorse

rinnovabili;• assicurare ai lavoratori una remunerazione equa, un ambiente di lavoro si-

curo e un’adeguata formazione;• garantire una gestione sostenibile del territorio;• assicurare la continuità e lo sviluppo economico delle comunità rurali e ur-

bane;• salvaguardare la disponibilità delle risorse per la produzione di cibo e altre

finalità fondamentali, senza precludere agli altri usi di utilità collettiva. In fase operativa a tutti gli stakeholders interni ed esterni spetta il compito

di indicare in cosa deve concretizzarsi ogni macro-priorità e qual è il livellopre-fissato per ciascuna di esse; tra le supply chain le macro-priorità possono

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dunque avere un’importanza diversa1. Gli stakeholders in tal caso sono inve-stiti di una duplice responsabilità, la prima delle quali è indicata con il termi-ne di responsabilità diretta ed è esercitata attraverso la scelta delle modalitàdi trasformazione attuata nella specifica fase produttiva; la seconda compo-nente è identificata come il potere d’influenza associato al ruolo assunto daciascuna categoria rispetto agli altri stakeholders posti sia a monte che a val-le. Il peso della responsabilità diretta e l’ampiezza del potere di influenza diciascun attore dipendono dalla struttura di ciascuna supply chain e dal parti-colare assetto di mercato in cui essa opera. Il potere di influenza è molto di-verso tra gli attori, pertanto l’onere e il peso della responsabilità nel raggiun-gere l’obiettivo prefissato in termini di sostenibilità deve essere direttamenteproporzionale al potere di ciascuno. La volontà di tutti gli attori della catenaad assumere atteggiamenti responsabili e intervenire secondo le priorità indi-viduate è fondamentale per il conseguimento della soluzione del problemacollettivo (Sodano, 2007; Leat et al., 2011).

2.2. Le scelte operative

La sostenibilità si coniuga in ambiti e in azioni differenziati secondo gli at-tori coinvolti e richiede, per un’analisi articolata, informazioni su tutti glioperatori della supply chain che presentano caratteristiche, ruoli e responsa-bilità differenti (Tav. A1 in appendice). A tal fine dati secondari e primari, siaqualitativi che quantitativi, sono stati rilevati e organizzati seguendo la proce-dura della triangolazione2 (Bryman, 1988; Olsen, 2004). Nel corso dello stu-dio l’attenzione è rivolta ai principali operatori della supply chain: agricolto-ri, cooperative agricole, trasformatori, Consorzio di tutela, Ente di certifica-zione, ricercatori e rappresentanti delle Istituzioni pubbliche responsabili del-le attività di sperimentazione e di valorizzazione della dop.

Le fasi operative dell’indagine di campo sono state organizzate per ottene-re due finalità: la prima consente la caratterizzazione della supply chain delsmz dop e dei suoi elementi distintivi con riferimento all’obiettivo dello svi-luppo sostenibile; la seconda consiste nella verifica della priorità e dell’im-portanza accordate dalle categorie degli operatori a ciascuna macro-priorità ela responsabilità riconosciuta.

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1. In alcuni casi qualche macro-priorità può essere irrilevante come avviene per il migliora-mento del benessere animale nelle supply chain dei prodotti vegetali destinati all’alimentazio-ne umana.

2. La triangolazione è una tecnica adottata nelle scienze sociali per combinare dati e metodid’analisi diversi con l’obiettivo di sfruttare e armonizzare la prospettive d’indagine fornita daciascuna fonte dati per giungere alla convalida degli obiettivi intermedi e finali dell’indagine(Olsen, 2004).

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Per raggiungere la prima finalità, la ricerca sul campo ha previsto la rac-colta di dati primari di tipo qualitativo ottenuti intervistando un gruppo di in-terlecutori privilegiati esponenti delle diverse categorie coinvolte nella produ-zione del smz dop3. Le informazioni così ottenute hanno natura “fenomeno-logica” perché legate alle percezioni e alle esperienze di ogni singolo attore(Bamberger et al., 2006), di conseguenza attraverso la triangolazione sonostate sottoposte a un successivo processo di validazione con documenti uffi-ciali della Pubblica amministrazione, con articoli pubblicati in riviste di set-tore e con i dati forniti dal Consorzio e dall’Ente di certificazione (dati storiciper precisare la struttura dell’offerta).

Nella seconda fase sono state realizzate interviste strutturate con l’ausiliodi un questionario, a domande chiuse e aperte, specifico per ciascuna catego-ria coinvolta nell’indagine e identificate nei produttori agricoli (34 imprese),nei presidenti delle cooperative di commercializzazione (6) e nei trasformato-ri (4). L’intervista è stata eseguita per saggiare la sensibilità degli attori versoazioni concrete che interessano gli obiettivi specifici della sostenibilità dellasupply chain, per verificare sia le priorità degli attori relativamente ai singoliobiettivi, che la presenza di ostacoli al percorso partecipato lungo la catenaproduttiva. In particolare il questionario proposto ai produttori agricoli è statoarticolato in maniera tale da verificare la loro opinione sui tre aspetti dellosviluppo sostenibile, con riferimento a obiettivi di breve e di lungo termine,riconducibili sia alle scelte operate dagli altri attori della catena produttiva,che agli indirizzi di politica regionale e comunitaria (Rigby et al., 2001). Laridotta numerosità della popolazione di riferimento, sia delle aziende agricoleche delle imprese conserviere unitamente alla necessità di rilevare informa-zioni specifiche per le quali la collaborazione dell’intervistato è indispensabi-le hanno fatto preferire una modalità di campionamento del tipo snowball4 ri-spetto a quella probabilistica per estrazione casuale (Goodman, 1961).

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3. Gli interlocutori privilegiati intervistati sono 12 rappresentanti delle diverse categoriecoinvolte nella produzione del smz dop: il presidente dell’anicav, del Consorzio di Tutela,dell’Ente di certificazione della dop, i presidenti delle cooperative degli agricoltori che aderi-scono al Consorzio, il responsabile regionale del Servizio pubblico di sperimentazione e valo-rizzazione per le colture industriali, i ricercatori responsabili del progetto Germoplasma delsmz presso la ex-Cirio Ricerche e presso l’Università.

4. In particolare la tecnica di campionamento è stata articolata in stadi successivi; una voltaelaborata la lista delle imprese agricole aderenti alla Dop, attraverso le interviste ai responsabi-li delle cooperative agricole di commercializzazione (interlocutori privilegiati) è stato identifi-cato un primo nucleo di imprese agricole intervistate (stadio 0) alle quali è stato tra l’altrochiesto di indicare k altri componenti della popolazione (produttori agricoli) fra quelli più di-sponibili all’intervista (stadio 1) e così di seguito per n stadi successivi.

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3. I risultati

L’analisi applicata al nostro caso studio (Pomodoro San Marzano del-l’Agro Sarnese-Nocerino dop) consente due risultati principali. Il primo con-siste nella caratterizzazione della supply chain del smz dop e nell’identifica-zione degli elementi distintivi con riferimento all’obiettivo dello sviluppo so-stenibile ed il secondo si concretizza nella verifica dell’importanza accordataa ogni macro-priorità nonché nella definizione della responsabilità assunta daciascuna dalle singole categorie di attori. Nei paragrafi successivi saranno il-lustrati nel dettaglio i due risultati che condurranno a una sintetica rappresen-tazione tabulare che fornisce un quadro sinottico degli elementi utili a valuta-re l’equilibrio tra le priorità della sostenibilità, gli sforzi messi in campo da-gli attori nei confronti degli obiettivi specifici e l’equità nella distribuzionedelle responsabilità.

3.1. Caratterizzazione della supply chain del San Marzano DOP

Il Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino dop, il primo pro-dotto vegetale trasformato a vantare l’appellazione di origine, riceve il rico-noscimento comunitario nel 19965. La produzione agricola è attualmente rea-lizzata regolarmente da aziende che operano in un limitato numero di comunicampani (10) del Sarnese-nocerino e del Nolano nonostante l’area di produ-zione sia molto più estesa6. La produzione certificata raggiunge in media 3milioni di confezioni di cui la metà nel formato di 400 grammi in banda sta-gnata, il più tradizionale di quelli destinati al consumatore finale. La compo-nente agricola della catena produttiva del smz dop (Fig. 1) è costituita da 161aziende agricole organizzate in 9 cooperative di commercializzazione cheproducono annualmente circa 3.500 tonnellate di pomodori freschi (campa-gna 2009-2010). La dimensione media delle aziende agricole supera di poco i2 ettari di cui solo 0,5 ettari sono destinati alla produzione del pomodoro San

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5. La denominazione è stata riconosciuta, ai sensi del Reg. ce n. 2081/92, con Regolamenton. 1236/96 (guce del 02-07-1996). La Commissione ue con il Regolamento n. 1164/2010(guce del 10-12-2010) ha approvato su richiesta del Consorzio di Tutela alcune modifiche eintegrazioni al disciplinare in ordine alla disciplina produttiva, all’ampliamento della zona diproduzione e al logotipo. Il Consorzio di Tutela è stato riconosciuto dal mipaf con dm 4 di-cembre 2003.

6. Le aree di produzione riconosciute per il Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-No-cerino DOP ricadono in tre province: l’Agro Sarnese-nocerino, in provincia di Salerno,l’Acerrano-nolano e nell’area Pompeiana-stabiese, in provincia di Napoli, il Montorese, inprovincia di Avellino. L’area coinvolge 41 comuni (alcuni solo parzialmente) e quella di colti-vazione potenziale supera i 16.000 ettari.

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Marzano che entra nel sistema di certificazione. Le superfici messe a colturasono contenute anche per la disponibilità sempre più limitata di lavoro ma-nuale e di lavoro con buone abilità professionali. La tecnica di coltivazione,infatti, deve essere realizzata eseguendo operazioni produttive molto intensi-ve di lavoro necessarie sia perché la pianta è a sviluppo indeterminato, dun-que a maturazione scalare nel tempo, sia perché codificate nella tecnica tradi-zionale del disciplinare.

L’attività di coordinamento tra la fase agricola e quella di trasformazione èassicurata dalle cooperative di queste le prime quattro per volume di pomodoroSan Marzano conferito dai soci commercializzano il 50% della produzione. Piùin particolare, due cooperative commercializzano il prodotto trasformato, men-tre le più si limitano unicamente a svolgere un’attività di organizzazione dellaproduzione e di trasferimento alle industrie di trasformazione.

Il prodotto fresco è trasformato da 12 imprese conserviere, di queste le pri-me 4 per volume di prodotto trasformano lavorano il 63% della produzione.Una piccola quota della produzione (10%) è commercializzata direttamentedalle cooperative di agricoltori in filiera corta con il loro marchio, spessonell’ambito del circuito dei Presidi di Slow Food, mentre la parte restante se-gue canali più lunghi che prevedono l’esportazione verso i mercati dell’ue edegli Stati Uniti (75%) o la vendita sui mercati nazionali nei circuiti dellaGdo (15%). In questi ultimi casi, il prodotto è in prevalenza venduto con ilmarchio del distributore nazionale e dell’esportatore.

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Fig. 1 - Struttura della supply chain del SMZ DOP

Fonte: nostre elaborazione su dati del Consorzio di tutela (campagna 2009-2010)

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La caratterizzazione della supply chain del smz dop, secondo la complessitàdella gestione sostenibile discussa nei paragrafi precedenti, mostra più elemen-to di specificità alcuni tipici di un prodotto conservato, altri caratteristici deiprodotti locali e di quelli trasformati, caratterizzandosi così per una sua origina-le complessità. In particolare, la catena possiede molti dei caratteri di un pro-dotto conservato: l’intensità medio-bassa della trasformazione subita dalle ma-terie prime, la conservabilità molto lunga del prodotto, la semplicità delle ope-razioni necessarie prima di consumare il prodotto, l’assenza di stagionalità e ladebole volatilità dei suoi prezzi. Al contrario, le caratteristiche del consumo ela particolare complessità della catena produttiva, dovuta alle piccole quantitàdi pomodoro prodotto in ciascun’azienda agricola, sono caratteri più simili aquelli di un prodotto trasformato. Inoltre, la reputazione di cui gode il prodottoin Campania e negli Stati Uniti fa coesistere due caratteristiche diverse relativeal consumo. La prima è che il luogo di produzione e consumo sono posti sia abreve distanza, come tipicamente avviene per un prodotto locale, sia a lungadistanza, come avviene per i prodotti trasformati. La seconda riguarda ancorauna volta la componente della domanda estera che è potenzialmente molto am-pia, come per i prodotti trasformati, mentre la domanda nazionale è contenuta,così come avviene per i prodotti con catena produttiva locale.

Una volta ricevuta la certificazione, il prodotto trasformato smz dop seguecanali di commercializzazione molto diversi sia per la loro lunghezza che pergli operatori coinvolti, pertanto i consumatori finali identificano come lorointerlocutori diretti (o focal firm secondo l’accezione proposta da Seguring etal. nel 2008) categorie diverse di attori. La diversità delle focal firm aggiungeun altro elemento di specificità che concorre a rendere più difficile l’elabora-zione di una visione condivisa delle azioni da intraprendere per ottenere mi-gliori risultati in termini di sostenibilità. In particolare, per le produzioni ven-dute in filiera corta, i consumatori identificano quali interlocutori le impreseagricole che commercializzano il prodotto. La maggior parte della produzio-ne venduta sul mercato nazionale è commercializzata con una private labeldella Gdo, pertanto le imprese della distribuzione organizzata diventano le di-rette interlocutrici dei consumatori. La produzione venduta all’estero, infine,è in prevalenza commercializzata con il marchio dell’importatore, pertantosono queste le imprese cui i consumatori fanno riferimento.

3.2. Macro-priorità e la responsabilità degli stakeholders

Il secondo risultato consiste nella verifica dell’importanza accordate a cia-scuna macro-priorità e della responsabilità assunta dagli stakeholders. In talmodo si tiene conto della dualità spazio-tempo e di come essa influenzi l’as-setto della catena produttiva; i risultati sono stati ottenuti combinando dati

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primari acquisiti attraverso interviste strutturate e semi-strutturate. Nei para-grafi che seguono sono illustrati nel dettaglio i singoli elementi per poi con-cludere, anche in tal caso, con una sintetica rappresentazione tabulare a dop-pia entrata denominata matrice delle priorità-responsabilità.

Sicurezza alimentare, nutrizione e trasparenza

La sicurezza del prodotto alimentare è una priorità cui è accordata grandeimportanza. In particolare per il smz dop gli aspetti della sicurezza sonoidentificati da tutti gli attori nelle caratteristiche igienico-sanitarie, in quellenutrizionali e nella tracciabilità della produzione. Identica valutazione riceveil miglioramento delle informazioni per i consumatori.

Per le caratteristiche igienico-sanitarie del prodotto, il smz dop, come tuttii pomodori pelati, è un prodotto conservato ottenuto da una sola materia pri-ma secondo un processo produttivo semplice, i cui punti critici sono tenutisotto controllo grazie a una buona organizzazione del processo e un regolarecontrollo sulla sua esecuzione7. Per la qualità nutrizionale il pomodoro smzdop può vantare la presenza di anti-ossidanti in quantità molto elevata8 (Shi eMaguer, 2000). Come prodotto a marchio di origine, il smz dop è assoggetta-to a un sistema di tracciabilità lungo tutto il ciclo produttivo, dal campo allafase di commercializzazione, e il numero limitato di produttori facilita talepercorso9. La maggiore comunicazione delle caratteristiche del prodotto ver-so i consumatori finali è giudicata una priorità per la quale raggiungere un li-vello alto.

L’analisi dei questionari rileva che i trasformatori accordano grande impor-tanza solo a due componenti: la comunicazione degli aspetti nutrizionali delprodotto e la sicurezza del processo industriale. Le caratteristiche nutrizionalidel prodotto, in particolare, sono abilmente comunicate ai consumatoridall’industria di trasformazione puntando sulle caratteristiche di prodotto adenominazione di origine, ma ancor più sulle riconosciute proprietà salutisti-che10. Tuttavia la responsabilità assunta dagli industriali conservieri verso la

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7. La sicurezza del prodotto conservato è assicurata dalla stessa acidità del pomodoro chelo rende poco suscettibile alle infezioni batteriche o allo sviluppo di muffe in confronto con al-tri prodotti dell’ortofrutta trasformata.

8. Numerosi lavori testimoniano come gli antiossidanti e il licopene abbiano una positivaazione nell’attività di prevenzione di molti fenomeni degenerativi e in patologie quali il can-cro, inoltre nel prodotto conservato il licopene è in una forma biodisponibile superiore a quelladei pomodori freschi.

9. La tracciabilità del prodotto e l’azione di controllo svolta direttamente dall’Ente certifi-catore garantiscono elevati standard sia in termini di sicurezza che di qualità.

10. Un trasformatore è arrivato a consigliare l’utilizzo dei pomodori SMZ per la prepara-zione di “maschere di bellezze”. Le parole “prevenzione e salute” con un elenco completo dei“principi della sana alimentazione” sono in quest’ultimo caso ben evidenti sulla confezione.

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priorità della qualità nutrizionale è di un grado medio-basso; nessuna impresarichiede materia prima ottenuta secondo modalità produttive con impiego ri-dotto di antiparassitari e concimi di sintesi11.

I dati del questionario hanno messo in luce come il pomodoro fresco siaprodotto con un uso intensivo di mezzi tecnici, in particolare di prodotti chi-mici di sintesi, in risposta a ricorrenti attacchi di patogeni. La produzioneagricola, inoltre, si svolge in aree altamente urbanizzate che espongono ilprodotto al rischio di contaminazione da inquinamento. Anche per le coope-rative la responsabilità assunta rispetto a questa priorità è mediamente bassa,solo due cooperative si sono avvalse di tecnici per monitorare l’evoluzionedella coltivazione12. La responsabilità assunta dal Consorzio al fine di assicu-rare la trasparenza è alta ed è esercitata attivamente come testimoniano gli in-terventi che portano al ritiro dal mercato italiano ed estero di smz non rego-larmente certificato. Non altrettanto si può dire in riferimento l’impegno pro-fuso per elevare la qualità nutrizionale oltre i limiti di legge.

Gli operatori pubblici, in particolare quelli regionali, hanno svolto in pas-sato un importante ruolo di indirizzo che ha condotto alla istituzione del mar-chio di origine. Negli anni più recenti, la loro presenza si è ridotta senza chequelli locali si sostituissero a essi, pertanto l’incisività dell’intervento pubbli-co nei confronti del smz dop si è ridotta. La ricerca, al contrario, continua apartecipare in modo attivo al perseguimento degli obiettivi di questa priorità.

Economia e comunità rurale ed urbana

Il riconoscimento del marchio di origine impone la produzione e la trasfor-mazione nello stesso territorio offrendo così l’importante opportunità di assi-curare buoni risultati economici sia alla comunità rurale che a quella urbana.L’elevata reputazione di cui gode il prodotto su tutti i mercati nazionali e in-ternazionali consentirebbe uno sviluppo sostenibile trasversale tra le due co-munità dell’economia locale con ricadute positive complessive. Il forte ri-chiamo alla storicità della produzione ha, inoltre, una valenza identitaria neiconfronti sia della economia agricola che di quella industriale che, proprio inquesto territorio, si è caratterizzata per le prime produzioni di conserve di po-modoro pelato identificato sui mercati come il derivato di qualità elevatanell’ambito dei trasformati di pomodoro. La responsabilità assunta rispetto a

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11. Nessuna impresa di trasformazione dispone di impianti separati in modo da poter pro-durre pomodori smz biologici.

12. Negli anni passati una sola cooperativa ha sperimentato la produzione biologica delsmz dop venduto con marchio proprio; il successo commerciale è stato basso perché il costodi produzione del prodotto finito era risultato di molto superiore alla media, sia per i più eleva-ti costi di produzione in campo, ma ancor più, per i costi sostenuti nel corso della trasforma-zione.

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questa priorità è medio-bassa sia per i produttori agricoli che per i conservierimentre è più alta per le autorità pubbliche, almeno quelle di livello regionale.

L’analisi ha evidenziato due aspetti di forte contrasto. Su di un piano stret-tamente di principio, tutti gli operatori concordano nell’assegnare grande im-portanza al smz dop che costituisce le radici di un modello di sviluppo basa-to sulla complementarità e la prossimità tra economia rurale ed economia in-dustriale, tra comunità agricola e comunità urbana. Tale legame, tuttavia, ne-gli ultimi decenni si è fortemente indebolito; l’evoluzione tecnologica e pro-duttiva dell’industria conserviera rende il smz, per le sue particolari caratteri-stiche, un prodotto che mal si adatta ai nuovi impianti produttivi. Inoltre, ilterritorio dell’Agro Sarnese-nocerino appare inesorabilmente condizionatodall’elevata domanda di suoli per usi residenziali, infrastrutturali e per tuttele altre attività produttive diverse da quelle agricole riducendo e polverizzan-do in tal modo gli spazi destinati alle attività primarie; d’altronde gli ambitistessi riservati alla comunità rurale appaiono sempre più marginali e residualirispetto al contesto evolutivo. L’assegnazione della dop da questo punto divista ha rappresentato un freno, ancorché parziale, alla ulteriore sottrazione diterreno all’uso agricolo.

Quasi tutti gli operatori manifestano un ruolo del tutto marginale nel per-seguire gli obiettivi di questa priorità con la sola eccezione del settore dellatrasformazione che potrebbe svolgere potenzialmente un ruolo chiavenell’economia locale sia in termini reddituali che occupazionali, preservandol’equilibrio tra usi agricoli ed extra agricoli. L’impegno a favore delle azionidi valorizzazione e il sostegno al riconoscimento della smz sono indicatoridella responsabilità diretta che le autorità pubbliche regionali hanno avuto neiconfronti di questa priorità; purtroppo negli anni più recenti tale impegno si èsensibilmente affievolito.

Gestione sostenibile del territorio e delle risorse naturali ed equilibrio tra gliimpieghi delle risorse tra produzioni di cibo ed altri usi

La priorità è legata alla volontà condivisa degli agenti della supply chaindi utilizzare la terra e le risorse naturali in modo sostenibile. Anche in questocaso la responsabilità diretta pesa principalmente sulla fase agricola. Unafunzione di supporto nell’assunzione di tale responsabilità dovrebbe esseresvolta dalle cooperative e dal Consorzio di tutela con la loro azione di consu-lenza, indirizzo e programmazione. I produttori agricoli condividono questaresponsabilità anche con altri attori come le industrie alimentari, ma comeevidenziano i dati e le interviste strutturate le industrie alimentari non prati-cano prezzi differenziati sul conferito che leghino la valutazione del prodottoalle tecniche di produzioni, premiando quelle più sostenibili (biologico, lottaintegrata). Una responsabilità bassa è assunta dall’operatore pubblico che po-

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trebbe incentivare la produzione delle esternalità positive da parte dei produt-tori agricoli. Su questo tema anche il grado di responsabilità della ricerca èdebole, mentre il contributo potrebbe essere quello di favorire più efficaci so-luzioni agronomiche e di coltivazione a minor impatto ambientale.

Il Disciplinare di produzione non contiene specifiche indicazione ricono-sciute come “buone pratiche” per un utilizzo sostenibile delle risorse naturali.Inoltre, i ridotti volumi di produzione rappresentano una severa limitazioneperché il problema si possa risolvere facendo coesistere due prodotti di qua-lità differenziata rispetto alle tecniche di produzione. attraverso il mercato.Tale differenziazione richiederebbe un preciso accordo di programma.

Va infine ricordato che tra gli obiettivi coerenti con questa priorità rientrail corretto smaltimento dei residui della produzione industriale. Nel corsodelle interviste ai trasformatori è emersa la generalizzata assenza di attenzio-ne verso questo aspetto. Anzi, la gestione dei residui è vissuta quasi esclusi-vamente come una rilevante voce di costo che, se sostenuta, erode sensibil-mente i margini di profitto dell’impresa.

L’analisi ha quindi evidenziato l’assenza di qualsiasi tentativo coordinato aindirizzare la produzione verso un uso più sostenibile delle risorse naturali.Del resto, questo obiettivo non è identificato come prioritario dagli attoristessi della supply chain.

Rispetto dei limiti biologici delle risorse naturali

La priorità è identificata con la coltivazione di un ecotipo locale, di un suomigliorato e con il rispetto delle pratiche di coltivazione tradizionali previstedal disciplinare. Tutti gli attori che hanno partecipato alle interviste rimanda-no, infatti, al Disciplinare di produzione indicato come lo strumento operati-vo che impone un uso sostenibile delle risorse naturali. In realtà il Disciplina-re non precisa il livello di impiego dei mezzi tecnici, ma pone un limite mas-simo per le rese produttive e vieta la pratica di forzature produttive.

La responsabilità diretta nel rispetto del disciplinare è verificata dall’entedi certificazione. Molto alta è stata in passato la responsabilità avuta daglistakholders esterni quali l’operatore pubblico e la ricerca. Infatti, proprio gliattori esterni con un lungo lavoro di censimento e raccolta del materiale ge-netico hanno collezionato, selezionato e conservato in purezza il complessodi linee che possono essere direttamente ricondotte all’originale pomodoroSan Marzano. Tale lavoro, cominciato negli anni ’90, ha previsto l’istituzionedi una banca del germoplasma ed ha consentito la ricostituzione di una cate-na produttiva sostanzialmente esaurita e il salvataggio di una specifica deno-minazione caratterizzata da un’elevata capacità di creazione di valore, con lasuccessiva creazione nel 2003 del suo Consorzio di tutela.

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Riduzione del consumo di energia, dei fattori di produzione e utilizzo di ener-gia da fonti rinnovabili

A differenza delle altre priorità, tutti gli agenti coinvolti sono concordi nelriconoscere quale priorità la riduzione del consumo energetico, considerataessenzialmente un’opportunità da cogliere per risparmiare sui costi di produ-zione. La responsabilità diretta è sentita particolarmente dagli industriali equesta è una degli stati di produzione a maggior dispendio di energia. I tra-sformatori non sono, tuttavia, operativamente pronti a raggiungere l’obiettivodella loro riduzione, almeno nel breve periodo. Le interviste hanno inoltreevidenziato come l’attuale crisi economica, e l’incertezza sulle politiche diagevolazione alle risorse energetiche alternative non consenta alle aziende diprogrammare investimenti futuri che vadano in questa direzione.

Nell’ambito di quest’obiettivo, un peso rilevante è da attribuire alla logisti-ca della supply chain. La distribuzione del fresco appare piuttosto virtuosaanalizzandone le sue peculiarità. Le fasi di produzione e trasformazione av-vengono infatti in un areale che non supera i 50 chilometri quadrati. La di-stribuzione e la vendita al dettaglio richiedono, invece, che siano compiutipercorsi molto lunghi. Solo una piccola frazione del prodotto (10%) seguecanali di vendita diretta dalle cooperative agricole e si associa a valori moltobassi in termini di food miles. Il restante 90% raggiunge i mercati sia nazio-nali che internazionali attraverso i mezzi di trasporto su gomma (Italia e Eu-ropa) e via mare per i prodotti venduti oltreoceano. La produzione del smzdop è in buona parte destinato all’export, pertanto la componente dei consu-mi di energia dovuti al trasporto può avere solo piccoli margini di migliora-mento adottando soluzioni più virtuose per le vendite in Italia e in Europa.

Sicurezza sul lavoro, igiene e formazione del lavoratore

Migliorare le condizioni di vita e il benessere dei cittadini sono prioritàfondamentali della dimensione sociale della sostenibilità. Nello specifico diuna supply chain agro-alimentare, la sua realizzazione riguarda in particolarel’ambiente e le condizioni di lavoro. La responsabilità su questo punto è daattribuire principalmente alle fasi che richiedono un maggiore impiego di ma-nodopera. La stagionalità della produzione agricola ha anche effetti indirettisulla trasformazione. Il venire meno di esigenze di lavoro specializzato com-porta, infatti, l’assenza di formazione e di aggiornamento professionale per idipendenti soprattutto nelle piccolissime aziende a carattere familiare ampia-mente rappresentate nella zona.

Secondo i risultati dell’indagine, a eccezione della raccolta, la domanda dilavoro nella produzione agricola è soddisfatta principalmente dall’agricoltoree dalla sua famiglia. Per le modalità di coltivazione la raccolta deve essere

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esclusivamente eseguita a mano e richiede un gran numero di operai per etta-ro13. Il fabbisogno di lavoro è spesso soddisfatto da lavoratori avventizi sfug-gendo alla regolarizzazione della prestazione e applicando salari più bassi ri-spetto a quanto previsto dal contratto collettivo provinciale di lavoro. Tuttociò rappresenta un ostacolo alla sostenibilità della supply chain perché glioperatori agricoli, di fatto, non riconoscono la propria responsabilità in rela-zione a questa priorità, anche in considerazione dell’elevatissimo tasso di di-soccupazione che colpisce la zona.

Cooperative e Consorzio hanno maggiori responsabilità in merito alla prio-rità della sicurezza sul lavoro e la formazione. Le prime in virtù della lorofunzione d’indirizzo e coordinamento della fase agricola, e il secondo in quan-to organo di programmazione e raccordo tra i due principali attori interni.

3.3. La matrice delle priorità-responsabilità

L’elaborazione della matrice priorità-responsabilità assume il duplice sco-po di sintetizzare il grado di responsabilità (livello di giudizio qualitativo) diciascuna categoria di attori nei confronti degli obiettivi concreti della sosteni-bilità (le priorità). Tale quadro sinottico evidenzia i punti più critici e di di-saccordo.

Le intestazione di colonna della matrice identificano le macro-priorità, leintestazioni di riga le categorie di stakeholders distinti in interni ed esterni(Tab. 2). In corrispondenza di ciascun incrocio è indicato il grado di respon-sabilità rilevato con riferimento alle priorità, confrontato con il grado di re-sponsabilità tipicamente assegnato dagl altri attori e che costituisce la respon-sabilità attesa. In particolare, se la responsabilità rilevata è diversa da quellaattesa, la notazione delle parentesi tonde consente di precisare l’entità di taledifferenza, allo stesso modo, dunque, nessuna parentesi è utilizzata quando illivello rilevato è esattamente uguale a quello atteso14.

La matrice delle priorità-reponsabilità permette di formulare alcune consi-derazioni con riferimento a tre aspetti: i) la differenza tra responsabilità attesae quella assunta in concreto; ii) l’equilibrio tra le priorità e le finalità condivi-se tra gli stakeholders; iii) il grado di condivisione delle priorità.

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13. Il pomodoro smz è ad accrescimento indeterminato legato a fili di sostegno tesi su palidi legno e h ina maturazione scalare.

14. Per gli attori contrassegnati in grigio non abbiamo rilevato direttamente la responsabi-lità ma sono stati riportati solo i valori attesi così come suggeriti dalla letteratura e pertantonon saranno commentati.

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i) Differenza tra responsabilità attesa e quella assunta in concreto. Rap-presenta la verifica di quanto la responsabilità assunta dagli attori sia diversada quella che tipicamente ci si attenderebbe da ciascuno. Il confronto consen-te di apprezzare l’importanza accordata in concreto a ogni priorità. Le prio-rità della sicurezza alimentare e della trasparenza sono associate a una pienaresponsabilità, indicando quanto sia alta la consapevolezza dell’importanzache deve essere accordata al controllo del rischio e alla rintracciabilità. Alcontrario, i produttori agricoli, i conservieri e i decisori pubblici mostrano diassumere una responsabilità minore rispetto a quella attesa con riferimento alsottoinsieme delle priorità che hanno implicazioni dirette di natura ambienta-le (rispetto del limite biologico delle risorse naturali, minor impiego di input)e sociale (condizione di lavoro e qualità nutrizionale del cibo).

ii) Equilibrio tra le priorità e le finalità condivise tra gli stakeholders. Perquanto riguarda l’equilibrio tra le priorità, non è possibile esprimere un giu-dizio compiuto sul gruppo riconducibile alla dimensione ambientali e socialedella sostenibilità perché l’attenzione accordata a tali priorità è bassa da partedi tutti gli attori. Fa eccezione solo la priorità dell’offerta di cibo. Per questamacro-priorità è necessario operare una distinzione tra le diverse priorità ele-mentari che la costituiscono (sicurezza, qualità nutrizionale e trasparenza);infatti, se l’impegno sui temi della sicurezza e della trasparenza è elevato, perla qualità nutrizionale la responsabilità effettiva di tutti gli stakeholders è in-feriore rispetto al livello atteso. Queste considerazioni si estendono anche al-la categoria dei conservieri sebbene abbiamo documentato come alcuni ab-biano mostrato di costruire abili campagne di comunicazione sul più altocontenuto di antiossidanti in forma biodisponibile presente nel pomodoroconservato di smz dop. Il contenuto di anti-ossidanti ha una determinantenella matrice genetica del pomodoro smz, che il riconoscimento del marchiointende preservare, mentre nessun particolare impegno è posto affinché sianomigliorati altri aspetti della qualità nutrizionale come, ad esempio, il contenu-to di residui chimici nel prodotto finito. Un tale risultato richiederebbe, infat-ti, un più attento coordinamento tra gli attori della catena produttiva e unacomunicazione più chiara e continua lungo tutto il suo percorso oltre a unadeguato sistema di premialità.

iii) Grado di condivisione delle priorità. Con riferimento a quest’ultimoaspetto si può verificare che le priorità che richiedono azioni condivise (eco-nomia e comunità rurale e urbana, gestione del territorio e delle risorse, ri-spetto dei limiti biologici e delle risorse naturali) la responsabilità assunta daalcuni attori è inferiore rispetto alle attese. Tale circostanza indica che nontutti gli attori sono disposti a farsi carico della responsabilità che ci si atten-derebbe. Si creano così delle discontinuità nel coordinamento delle azioniche impediscono di ottenere i risultati attesi per il singolo obiettivo. Questo èquanto si verifica ad esempio per la priorità indicata come “economia e co-

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munità rurali e urbane” e per i conservieri, il decisore pubblico e la ricerca.Tale situazione indica che le categorie non concordano sul peso delle respon-sabilità, mentre le priorità richiederebbero un coordinamento chiaro, guidatoda regole e da obiettivi definiti in modo pragmatico.

In sintesi, la matrice delle priorità-responsabilità ha evidenziato che i puntideboli della catena produttiva rispetto alla sostenibilità ruotano intorno a treelementi principali; in primo luogo gli incentivi interni alla supply chain sonotroppo deboli per favorire azioni coordinate, indirizzate a un uso più sostenibilesia delle risorse naturali che del lavoro, il secondo elemento di debolezza risie-de nell’assenza di una visione condivisa in merito alle priorità e agli specificiobiettivi della sostenibilità tali da consentire il coordinamento tra gli attori, e,infine, la comunicazione tra gli attori appare ancora troppo debole e incerta.

Conclusioni

In letteratura le proposte di metodi e la discussione di casi studio indirizza-ti alla valutazione della sostenibilità per i prodotti agro-alimentari sono nu-merose. Molto frequentemente le analisi focalizzano l’attenzione sugli aspettiambientali (life cycle analysis, material flow analysis, food miles, impronta dicarbonio), sui rischi a essi collegati o sulle scelte dei consumatori verso iprodotti ottenuti da catene produttive più sostenibili. Il nostro studio si preoc-cupa di un problema diverso da questi e adotta un approccio differente.

Il tema affrontato è quello della costruzione della sostenibilità per le foodsupply chain per le quali tale processo pone difficoltà diverse rispetto alle al-tre categorie di prodotti. Le pratiche di produzione e di consumo dei beniagro-alimentari evolvono, come è noto, con un ritmo molto lento verso que-sta direzione. Le stesse politiche per incoraggiarne il consumo, in particolarequelle relative all’etichettatura, non sembrano capaci di ottenere risultati sod-disfacenti al di fuori del segmento dei consumatori già sensibili alle modalitàdi produzione sostenibili.

L’approccio proposto ricade nella categoria delle stakeholder analysis e af-fronta la sostenibilità come problema di natura collettiva. Affinché da essa siottengano risultati migliori dal punto di vista ambientale, sociale ed economi-co è fondamentale che la sua costruzione sia pragmatica e condivisa. La con-sapevolezza della necessità di un simile approccio sposta l’onere della re-sponsabilità su tutti gli attori che operano lungo la catena produttiva uniti daun complesso gioco di conflittualità e di cooperazione. È questa, a nostro av-viso, la procedura più coerente e adeguata a rendere lo sviluppo sostenibileendogeno alle catene produttive.

Sono sostanzialmente due i principali risultati ottenuti nel corso dell’anali-si. Il primo è legato al caso studio. Nonostante la supply chain del smz dop

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abbia una struttura consolidata e sia costituita da un numero limitato di ope-ratori che operano in un territorio ben circoscritto, non è in grado di esprime-re una strategia condivisa capace di perseguire obiettivi di sostenibilità chepotrebbero ulteriormente elevare la qualità già riconosciuta con il marchio diorigine. Così come altri studi in contesti completamente diversi confermano,il ruolo di indirizzo e di garante può essere assunto dall’operatore pubblico.Solo un quadro di indirizzo chiaro potrebbe catalizzare le azioni degli attoridella supply chain, sostenendo le relazioni sociali e instaurando un reciprococlima di fiducia, premessa irrinunciabile per lo svolgimento di azioni coordi-nate, indirizzate a migliorare sia i risultati economici (attraverso la qualità delprodotto) che quelli di natura più strettamente sociale o ambientale. Nel cor-so di tale processo esistono diversi fattori positivi e negativi specifici dellacatena produttiva del smz dop di cui tener conto. Alcune delle caratteristicheintrinseche della produzione del smz dop sono ideali per uno sviluppo soste-nibile della catena produttiva, in particolare la spiccata tipicità del prodotto,l’elevato apprezzamento da parte dei consumatori e la presenza di una do-manda estera ben consolidata. Accanto a questi elementi esistono, però, altrifattori esterni e interni che ostacolano tale percorso virtuoso. Tra i primi me-ritano una particolare attenzione la complessità del contesto sociale in cui siopera, la concorrenza tra l’uso agricolo ed extra-agricolo del suolo e il mer-cato del lavoro locale caratterizzato da una importante difficoltà di reperiremano d’opera avventizia per la fase di raccolta e di disporre di lavoro conabilità professionali adeguate per eseguire le operazioni produttive previsteda una tecnica produttiva molto tradizionale. Tra i fattori interni alla catenaproduttiva devono essere citate alcune specificità del pomodoro smz comel’accrescimento indeterminato che non consente una semplificazione dellatecnica di produzione, una sensibilità ad alcuni patogeni e la particolare fra-gilità dei frutti che li rende poco adatti ai sistemi di pelatura attualmente se-guiti dalle industrie di trasformazione.

Il secondo risultato è di natura metodologica, pertanto ha un interesse piùgenerale, ed è sintetizzabile in due osservazioni principali. La prima è chel’analisi ha permesso di verificare come la matrice delle priorità-responsabi-lità sia uno strumento operativo utile per valutare l’equilibrio tra le prioritàriconducibili alle tre dimensioni della sostenibilità, il bilanciamento tra glisforzi richiesti agli attori nei confronti degli obiettivi specifici e i vantaggi at-tesi, infine, l’equità nella distribuzione delle responsabilità. La seconda osser-vazione, non meno importante, è aver verificato la capacità della stessa ma-trice di cogliere tutti gli elementi di contestualizzazione spazio-temporale in-dispensabili perché si possa pervenire a una visione pragmatica, socialmentecondivisa e partecipata degli obiettivi. Se con la dimensione spaziale si tieneconto delle interrelazioni esistenti tra cultura, aspetti socio-economici e poli-tici, con la quella temporale le priorità si caratterizzano per il loro preciso si-

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gnificato operativo degli obiettivi da raggiungere. È proprio questa duplicecontestualizzazione, inoltre, che si rivela utile per monitorare l’evoluzionedella sostenibilità nel tempo. Una volta ripetuta l’analisi in due momenti suc-cessivi, infatti, il confronto tra le due matrici permette di apprezzare le diffe-renze e di indicare quali attori ne sono stati responsabili, fornendo in tal mo-do indicazioni utili per meglio orientare la governance della gestione dellasupply chain sostenibile.

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Appendice

Tav. A1 - Origine dei dati e metodi di analisi

Attori Origine dei dati Metodo di analisi

Tutti Riviste peer reviewed Revisione dei modellidi analisi della sostenibilitàdella supply chain

Dati secondari Analisi qualitative e quantitative

Agricoltori Documenti ufficiali Revisione della documentazione

Riviste peer-reviewed Analisi di indicatori ambientalie socio-economici di sostenibilità

Questionario strutturato Analisi quantitative

Cooperative Intervista semi-strutturata Analisi qualitative

Consorzio di Tutela Interviste semi-strutturate Analisi qualitativa

Ente di certificazione Interviste semi-strutturate Analisi qualitativa

Documenti ufficiali Analisi quantitativa

anicav Interviste semi-strutturate Analisi qualitativa

Trasformatori Riviste peer-reviewed Revisione delle letteraturascientifica sul temadella sostenibilità

Questionario semi-strutturato Analisi qualitativa

Istituzione regionale Intervista semi-strutturata Analisi qualitativa

Documenti ufficiali Revisione della documentazione

Ricerca Interviste semi-strutturate Analisi qualitativa

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Fig. A1 - Aziende agricole che aderiscono alla DOP e quantità di prodotto conferitoalla trasformazione

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Fonte: nostre elaborazione sui dati del Consorzio di tutela (campagna 2009-2010)

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Summary

Supply chain and sustainability: the case of San Marzano tomato PDO

Food chain sustainability is a very important issues for the scientific debate ofagricultural economists. Using a procedure of assessments known as triangulation,the present study is an attempt to evaluate the problem of governance looking atsustainability in a specific case study about San Marzano Tomato pdo.

The theoretical basis of our work is the priority and responsibility matrix (Smith,2008) ant it shows the results of the empirical research conducted to assess thesustainability of a typical food supply chain, suggesting feasible solutions in order tosatisfy inter-dimensional requisites of durable development. The analysis isconducted with reference to the tomato “San Marzano” (smz), a typical local foodsupply chain. The product is endowed with an origin certification label (pdo),meeting demand within high-value market niches. The smz is a product symbol ofCampania region (Italy), benefiting of several interventions of the public regionaloperator (genetic resources research, support for the establishment of origin certifi-cation, etc.).

JEL Codes: Q10, Q20, Q56

Key words: quality, food value chain management, sustainability assessment

Corresponding Author: Pasquale Lombardi - professore Ordinario, Dipartimento diEconomia e Politica Agraria - Università degli Studi di Napoli Federico II - Via Uni-versità, 96 - 80055 Portici (Na) - tel. 081 2539056 - fax 0817755143 - e-mail: [email protected]

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