Suore di Gesù Buon Pastore - Pastorelle · trovava nel più grande disorientamento e confusione,...

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Suore di Gesù Buon Pastore - Pastorelle RICONQUISTATE DA CRISTO PASTORE NARRIAMO IL SUO AMORE SALVIFICO “Dimmi, o amore dell’anima mia, dove vai a pascolare il gregge” (Ct 1,7a) Allegati ATTI 6° INTERCAPITOLO 2° fascicolo S. Miguel –- Buenos Aires 15-28 giugno 2009

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Suore di Gesù Buon Pastore - Pastorelle

RICONQUISTATE DA CRISTO PASTORE

NARRIAMO IL SUO AMORE SALVIFICO

“Dimmi, o amore dell’anima mia,

dove vai a pascolare il gregge” (Ct 1,7a)

Allegati ATTI 6° INTERCAPITOLO

2° fascicolo

S. Miguel –- Buenos Aires 15-28 giugno 2009

In copertina: Gesù Buon Pastore, Vetrata di Cornelia Rota

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Allegato 1

Introduzione della Superiora Generale alla Celebrazione Eucaristica di apertura

15 giugno 2009 Ci accingiamo a celebrare il nostro 6° Intercapitolo, un “tempo

favorevole” che il Signore sta offrendo alla Chiesa, alla nostra Congregazione, a ciascuna di noi: Desideriamo ringraziare il nostro Dio che ha scelto di scrivere la storia anche con noi. Da quando Egli ha fatto irruzione nel tempo, stringendo con l’umanità intera un rapporto di amicizia, ogni istante è il "momento favorevole", se sappiamo cogliere in esso la presenza del Signore.

Siamo chiamate a vivere questo momento nella comunione profonda con Gesù morto e risorto, invisibilmente presente nella nostra vita ed in quella di tutte le Pastorelle che ci stanno accompagnando, dalle diverse parti del mondo. Nell’Eucarestia viviamo la comunione piena.

La Chiesa, nella liturgia della Parola, oggi ci invita a considerare il paradosso della vita apostolica e spirituale: il Signore ci lascia poveri, ci lascia nelle difficoltà e proprio in esse la sua grazia si manifesta, il suo amore risplende. "Poveri, ma facciamo ricchi molti, gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!" (2Cor 6,10) dice l’Apostolo Paolo. Questo avviene però se nella nostra povertà lasciamo agire Dio. Ed è lo Spirito Santo che vogliamo lasciar agire in noi durante questi giorni di Intercapitolo.

Rimanendo poveri, poveri in tutti i sensi, accogliamo veramente in noi la ricchezza di Dio, per trasmetterla, attraverso la nostra vita. Attingiamo, allora, alla nostra povertà, abitata dalla ricchezza di Gesù buon Pastore, e per Sua grazia dedichiamoci senza riserve al ministero di “cura d’anime” che Egli continua ad affidare alla nostra Famiglia religiosa.

Per questo vogliamo chiedere al Padre il dono dello Spirito Santo, che ci accompagni con la Sua Sapienza in questi giorni di preghiera, studio, condivisione, discernimento pastorale.

Gesù Buon Pastore aumenti in noi la gioia del nostro essere povere, e ci aiuti ad esserlo ogni giorno di più, fiduciose che la nostra vera ricchezza è e rimane la Trinità Santa. E’ di questa ricchezza che ha bisogno il nostro mondo! Perché ci ricorda Gesù: ”Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).

Affidiamo in questa celebrazione anche il nostro delicato servizio alle sorelle così come il Beato G. Alberione, nostro Fondatore, ci ricordava: “Ogni superiora ha come primo suo dovere: curare lo spirito delle suore che sono con

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essa. Questo è il primo e importante ufficio, non quello che può riguardare tante cose che sono soltanto esteriorità. Formare lo spirito e nutrire lo spirito delle suore.” (Beato G. Alberione, AAP 1962, 469).

Stiamo per concludere l’anno paolino, in esso abbiamo potuto conoscere meglio l’Apostolo Paolo, il suo amore a Cristo e alla Chiesa, fonte dello zelo apostolico. E stiamo per aprire l’anno sacerdotale che, il 19 giugno prossimo, papa Benedetto XVI indirà ufficialmente. Anche questo anno ci coinvolgerà molto da vicino come Pastorelle, a causa della vocazione pastorale che abbiamo ricevuto, e che ci chiede la comunione e la collaborazione con i Pastori della Chiesa. Il 150° anniversario della morte del Curato d’Ars, un pastore di anime che il nostro Fondatore ci ha additato spesso come esempio di cura d’anime, ci sia di sprone e di intercessione.

Desidero ringraziare tutti voi qui presenti, che avete voluto condividere con noi questo “momento favorevole”: Mons. Sergio Fenoy, vescovo della Diocesi di S. Miguel che presiede questa nostra celebrazione, le Pastorelle di questa delegazione ARG-BO e le sorelle che ci ospitano in questa casa. Un grazie nel Signore anche a tutte le sorelle e altre persone che, da diverse parti del mondo, ci stanno accompagnando con la preghiera e con l’offerta di qualche sacrificio per il buon esito di questo evento ecclesiale. La grazia del Signore ci accompagni nei nostri lavori. Buona Celebrazione a tutti!

Sr Marta Finotelli Allegato 2

La conformazione a Cristo

Sr Julieta Stoffel, fsp 16 giugno 2009

“In continua conformazione a Cristo Pastore

approfondiamo e riesprimiamo il ministero di cura pastorale per condurre l’umanità oggi alle fonti della vita”.

Introduzione

Il Maestro Divino, Colui che siamo chiamate a vivere e comunicare, è un

Maestro con il cuore di Pastore, con atteggiamenti e gesti di Pastore. Questa è certamente la modalità che deve caratterizzare il nostro discepolato e il nostro magistero paolino: la bontà e la misericordia del Maestro, Pastore.

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Gesù Cristo è nato come Maestro a Betlemme, la sua prima scuola fu la grotta, la sua prima cattedra il presepio: “Venite a me a questa scuola, o cristiani: voi dite «sono cristiano», bene! Questa è la scuola dei cristiani: la grotta. Ma, chi è il Maestro? Gesù Cristo, la Sapienza eterna. E quale la sua cattedra? Il presepio. Apri la bocca, o Divino Maestro. Gesù parla e dice: «Beati i poveri in spirito»!” (Q1. 043 1910).

Cosa percepisce, sente, vive Alberione? Senza alcun dubbio, la totalità del mistero di Cristo. È Lui il Maestro che orienta veramente la vita; non soltanto insegna, ma precede con l’esempio. “A differenza dei maestri umani irresponsabili, Gesù è tanto buon Maestro che mentre insegna, dà l’esempio e comunica alla volontà debole la grazia medicinale” (Q. 08. 1908).

L’espressione “Maestro Buono” ha un grande spessore. Quando io affermo che una persona è stata buona con me, cosa voglio dire? Che ha avuto compassione di me… che mi ha accolta senza condizione alcuna… che ha capito i miei errori, i miei limiti… che è stata misericordiosa…

Non sarà che dietro l’espressione “Buon Maestro” Don Alberione ha in mente anche l’immagine di Gesù Buon Pastore? Se lui si è sentito accolto, amato, conquistato, scelto per una grande missione, precisamente quando si trovava nel più grande disorientamento e confusione, il Maestro che lo ha invitato alla sua scuola è realmente “buono”.

Sr Elena Bosetti afferma che il titolo cristologico “Pastore” nella Famiglia Paolina, più che aggiungere o sostituire, sembra specificare una caratteristica eminente del Maestro Divino, come lo dirà il Fondatore con queste parole rivolte alle Pastorelle: “La vostra famiglia, nata per ultima, ha la missione più bella, la più simile a quella del Divin Maestro, il quale volle soprattutto essere il Buon Pastore, il salvatore buono, il grande benefattore dell'umanità, colui che guariva ogni malore spirituale e temporale” (PrP III, 1938, p. 7; prima visita a Genzano).

La figura del Maestro e del Pastore sono complementari nella Bibbia, afferma sr Elena Bosetti, particolarmente il movimento sapienziale presenta la figura del Maestro molto vicina a quella del Pastore: “Le parole dei saggi sono come pungoli; e come chiodi piantati sono i detti delle collezioni: sono dati da un solo pastore” (Qo 12,11) . Anche la tradizione sinottica unisce le due figure: la compassione di Gesù verso le folle che sono come pecore senza pastore si esprime innanzitutto dando la Parola: “…e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6,34).

Io sono la porta – Io sono il pastore (Gv 10, 1-21)

1 Q è la sigla dei quaderni di Alberione, seguita dall’anno

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Gesù è la “porta delle pecore”: attraverso di Lui si arriva ai pascoli,

oppure, detto in un altro modo, ci fa uscire dalla schiavitù della legge alla libertà del Figlio (Gv 10,7-10), al comunicarci la sua stessa vita di Figlio, facendoci partecipi della sua relazione di conoscenza e di amore con il Padre.

Dopo aver affermato che Lui è la “porta” della salvezza, Gesù si identifica con il “buon pastore”. “Buono” significa vero, autentico, benevolo, che conosce e compie interamente la sua missione; ma la stessa parola suggerisce al tempo stesso qualcosa di piacevole e realmente bello.

“Venite a me voi tutti” è l’invito di Gesù a entrare nella sua scuola. “Andate, predicate, insegnate”, è il Pastore che vuole alleviare, liberare e dare riposo (Cf Mt 11,29).

Se per Alberione, Maestro equivale a tutto il Cristo, che attira e coinvolge nella sua missione, è fondamentale per noi vedere cosa significa per Gesù essere Maestro ed essere riconosciuto come tale. L’unica volta che Gesù accetta di essere chiamato Maestro è giustamente nel momento più decisivo della sua vita, nell’ultima Cena, dopo la lavanda dei piedi: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,13-14).

Gesù accetta e vive un magistero di umiltà, di servizio, di consegna… Si è maestri solo ai piedi dei fratelli. Nell’esperienza di D. Alberione c’è ancora un altro elemento che arricchisce di profondità evangelica la nostra visione del Cristo Maestro: il riferimento al Maestro Eucaristico. Nell’Eucaristia c’è il Maestro che consegna permanentemente la sua vita. Per Alberione l’Eucaristia è la cattedra del Maestro in mezzo a noi.

Saremo discepole di Gesù quando impareremo a consegnare la vita, quando uscendo da noi stesse ci doneremo senza riserve; quando sapremo morire per dare vita, come fa il Maestro Gesù nell’Eucaristia. Seguire Gesù come Maestro, il Buon Pastore, è tutta una sfida! Realmente abbiamo ricevuto il meglio: Non possiedo né argento né oro, il tesoro che ho vi lo do: Gesù Maestro Pastore, Via, Verità e Vita.

Cosa dice oggi a noi questa espressione? Se la lasciamo riecheggiare dentro il nostro cuore, cosa ci suggerisce? Non è per caso una chiamata a incentrare la nostra vita radicalmente e definitivamente in Lui? Potrà essere Cristo il nostro e unico e vero Maestro, intanto aderiamo ad altri maestri, mentre abbiamo altri idoli nel nostro cuore? Persone, criteri umani, idee, atteggiamenti, posizioni personali che non coincidono con il Vangelo?

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Don Alberione è profondamente convinto che le donne che si fanno discepole del Maestro Divino sono fortemente incisive nella trasformazione della società. Le pensa e le vede all’avanguardia della nuova evangelizzazione nella Chiesa.

La conformazione a Cristo è orientare decisamente il cuore a Dio, cercando sempre e in tutto la sua gloria (Cf Mt 6,33). È la constante ratifica della nostra opzione fondamentale, che, sebbene ha un punto concreto di partenza: il momento in cui noi ci decidiamo per Dio, orientando con coscienza e responsabilità tutto il nostro essere a Lui, si va facendo reale e profonda nelle scelte concrete di ogni momento. Se io, nelle piccole decisioni della mia giornata: andare là, venire qua, dire questo o tacere, evitare o propiziare questo incontro, ecc, non faccio riferimento a Dio, ma cerco la mia affermazione personale, l’approvazione degli altri, ecc., sto negando, contraddicendo la mia opzione fondamentale. Lo strumento per rimanere in continuo orientamento verso Dio è l’esame di coscienza, che Don Alberione chiama «segreto per camminare rettamente».

L’esame di coscienza suppone fondamentalmente due atteggiamenti: ascoltare e discernere.

Ascoltare: “porgere l’orecchio”, “accogliere”, “obbedire”. È così importante saper ascoltare, che da questo dipende, nella Bibbia, la pienezza della vita: “ascoltate e voi vivrete” (Cf Is 55,2b-3a). “Le pecore ascoltano la sua voce”. Il popolo oppresso riconosce chi gli propone una via di uscita. Colui che era stato cieco, che ha ascoltato il pastore, è stato espulso dal tempio ed è giunto alla luce. Anche Lazzaro ascolterà la sua voce e uscirà dalla tomba (Gv 11,43). Il popolo, che soffre il giogo dell’oppressione, è sensibile alla voce della libertà, quando essa si fa udire, l’ascolta con gioia.

“Io sono il Buon Pastore, conosco le mie pecore ed esse conoscono me” (Gv 10,14). Dopo essersi riferito al pastore in termini di coraggio, il che lo porta ad esporre la propria vita, Gesù aggiunge che “dispone” a favore delle sue pecore: mette a disposizione la sua propria vita, che è la conoscenza e l’amore del Padre. C’è una conoscenza, un’intimità, un amore reciproco tra pastore e pecore.

Ascolteranno la mia voce. La voce del Figlio, che chiama ciascuna per nome (Gv 10,3) e che ognuno riconosce come vera nel suo cuore; “Ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni… Sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo” (Is 43,1-4). Il Pastore non guarda le sue pecore come “gregge”, con ciascuna di esse stabilisce una relazione personale, di amicizia.

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Riconoscono la sua voce. Ogni persona che ascolta Gesù sa riconoscere la voce della verità, perché distingue anche la voce della menzogna. I falsi pastori opprimono con ingannevoli menzogne e, persino ricorrono alla violenza, al terrore, alla paura, mentre il vero Pastore ci fa liberi, capaci di amare e di servire, di attendere e di affrontare le sfide della vita. In fondo, ogni persona che si lascia guidare dallo Spirito è capace di percepire la differenza tra una voce e l’altra.

Non conoscono la voce degli estranei. Abbiamo sviluppato una capacità di ascolto delle voci più strane, ma forse siamo diventati incapaci di dare ascolto alla voce intima della coscienza: siamo sedotti da qualche mercante che vuole venderci qualsiasi cosa, ma non ci lasciamo sedurre da Colui che ci ama con amore eterno.

Paolo ricorda che la fede dipende dall’ascolto, e nei racconti della sua conversione risulta evidente il suo atteggiamento di ascolto: Che devo fare, Signore? (At 22,10)

Ascoltare le chiamate, i gemiti dello Spirito. San Paolo dice che lo Spirito Santo geme, invoca, dentro di noi (Cf Rm 8,29). È necessario ascoltare Lui per sapere qual è la volontà di Dio. Lui conosce i desideri di Dio. Ascoltare i propri sentimenti, le motivazioni, le intenzioni che ci sono dietro le nostre piccole e grandi opzioni, decisioni, è questo il discernimento spirituale. Ascoltare le chiamate che vengono da Dio, attraverso le persone, le loro parole, i loro atteggiamenti. È interessante ascoltare e discernere: il discernimento è in stretta relazione con l’ascolto. Discernere è saper distinguere «quello che è da Dio da quello che è nostro» (AD). Distinguere quello che viene dallo Spirito del Signore da quello che viene dal nostro egoismo.

Essere conformi all’immagine del Figlio Entrare è una parola chiave del cammino spirituale. Si tratta di una serie

di disposizioni e movimenti del cuore che ci mettono nella realtà di un incontro, una relazione vitale (Cf Mt 19,16-17). Nella relazione con Gesù Maestro Pastore, Via, Verità e Vita, si entra con tutto il nostro essere, mettendo in moto tutte le dimensioni della nostra persona: mente, volontà, cuore, energie. Entrare implica allora una relazione integrale, che ci fa passare progressivamente dai ragionamenti al cuore; dall’emotività superficiale all’affettività profonda, dal volontarismo a una risposta libera e amorevole. Una relazione che diventa progressivamente identificazione, conformazione.

Alberione insiste sulla conoscenza e l’amore, l’affermazione che Cristo è l’unico Maestro perché non soltanto insegna, ma forma, educa, e da la grazia per compiere quanto insegna.

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La verità, nell’ottica semitica, è fedeltà, coerenza, stabilità. La verità biblica non è solo dire, ma soprattutto agire, avvenimenti, cioè rivelazione che è arrivata alla sua pienezza in Gesù Cristo. La verità è Gesù stesso, la Parola, la rivelazione del Padre fatta carne. L’incontro con Gesù Cristo Verità, è l’incontro con il Padre: “Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” (Gv 14,7).

Cristo Verità ci chiede di riconoscerlo e ascoltarlo, e afferma: “Chiunque è dalla Verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,37). Anche il Padre ci chiede di ascoltare il suo Figlio: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Mt 17,5).

Come il Padre conosce me e io conosco il Padre (Gv 10,15) La relazione di conoscenza e amore che c’è tra Gesù e ciascuno di noi è identica a quella che esiste tra il Padre e Lui: “Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi” (Gv 15,9). L’amore reciproco tra il Padre e il Figlio, il mistero che definisce la sua vita, è uguale a quello che circola tra noi e Lui. L’espressione rimanda al “detto giovanneo” di Luca 10,22, in cui Gesù si inebria di gioia nel sentire che ama e conosce i suoi fratelli così come è reciproca la conoscenza tra Lui e il Padre.

Nell’esperienza di D. Alberione, e nei suoi stessi atteggiamenti esistenziali, è chiaro che la Verità non ci viene data tutta in una volta, ma deve essere cercata e approfondita permanentemente. È necessario, dunque, che la nostra intelligenza sia sempre sveglia e sappia ascoltare la storia, gli avvenimenti, le tendenze, i cambiamenti epocali, cercando di discernere i segni dei tempi.

Alimentarsi di ogni frase del Vangelo Il Beato Alberione ci invita a leggere, meditare, ruminare, assimilare la

Parola di Dio affinché diventi carne della nostra carne; è il segreto per acquistare la mentalità del Maestro: il suo modo di ragionare, i suoi criteri, il suo modo di vedere Dio, le persone, la storia, le cose… È una vera incarnazione di Gesù Verità in noi. La Parola è Verità soltanto quando si fa carne in noi.

“Fa’ che metta ogni momento il piede sulle tue orme” (DF 40). Questa espressione ci situa nella relazione personale profonda con Gesù Via, oltre le norme e i precetti. Gesù, che si presenta come Via, è il Figlio che ci conduce al Padre, trasformandoci in figli, come Lui, per opera dello Spirito Santo. Si tratta allora dell’adesione profonda alla sua Persona, che nel sentire di Paolo è: “camminare in Lui, radicate in Lui… Cercare di esprimere nella nostra vita gli

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atteggiamenti di Gesù. Il nostro impegno di conformazione al Maestro non è un volontarismo logorante, ma una risposta amorevole al Padre che ci ha predestinate ad essere conformi all’immagine del suo Figlio (Rm 8,29); è anche una risposta amorevole allo stesso Gesù, che ci ha raccomandato: imparate da me (Mt 11,29); e che ci ha indicato come fonte di felicità l’assumere i suoi stessi atteggiamenti: “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica” (Gv 13,17).

Non si tratta semplicemente di acquistare questa o quella virtù del Maestro, ma di assumere la sua forma (Cf Roatta), “con-formarsi”, “con-figurarsi”: volere e operare come Lui; assumere il suo stile di vita; affinché Lui possa esprimersi nei miei atteggiamenti e comportamenti. È una meta altissima, in un certo senso irraggiungibile con le nostre forze, ma immensamente vivificante perché ci mantiene sempre in cammino, di trasformazione in trasformazione… Collocando il nostro sguardo fisso nel Maestro, contemplando con il cuore i suoi atteggiamenti, gesti, comportamenti, si risveglierà in noi l’amore e il desiderio di assomigliare a Lui e di imparare progressivamente i suoi atteggiamenti, il suo modo di amare, di vivere.

Se siamo attente a conoscere quali sono le nostre intenzioni, ci sarà più facile cercare la volontà di Dio senza mescolanza di interessi personali. La nostra relazione vitale con il Maestro, il nostro discepolato e la nostra configurazione a Lui, si giocano su questo livello: nell’interiorità, nel cuore, centro delle nostre decisioni. Un segreto è mettere in quello che facciamo la nostra mente, la nostra volontà, il nostro cuore, la nostra energia; in questo modo non rimarrà spazio per la mediocrità o il conformismo spirituale o apostolico.

Nello spirito di San Paolo questo camminare in Cristo esige un continuo

passare dalla morte alla vita; una dinamica pasquale costante: morire alle cose che mi fanno danno, per entrare in una vita più piena, perdere quello che in realtà non mi costruisce, per guadagnare in profondità di vita.

Gli atteggiamenti di Gesù andranno sgorgando dalla nostra interiorità

nella misura in cui accettiamo di andare oltre il ristretto orizzonte dei nostri pareri personali. Si lascia l’io egocentrico = egoismo, e subentra l’io oblativo e amante di Cristo; non è una utopia, è il processo normale della nostra cristificazione. Mai potremo misurare la pienezza e la felicità che questo discepolato ci offre. Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza (Gv 10,10). Gesù è il pastore/agnello di Dio che toglie il peccato

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del mondo, che è venuto a liberare le pecore e a dare loro la vita, la sua vita di Figlio.

“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5) Incarnare Cristo nella nostra vita è accogliere e assecondare questa presenza del Risorto che abita in noi e vivere con Lui non una semplice relazione di vicinanza, ma una relazione di intimità, di conformazione. Si tratta di rimanere in Lui come Lui rimane in noi, perché Lui rimane in noi (Cf Gv 15). Rimanere in Gesù è una condizione di necessità assoluta se vogliamo ricevere la linfa vitale e la fecondità che ci viene da Lui. Gesù è la vite vera (fedele, coerente) che mai cesserà di darci vita; Colui che ha promesso di darci vita abbondante mai smetterà di comunicarci questa vita.

Ma è affidato al tralcio dare frutto; questo vuol dire che la Vita della vite

può esprimersi solo nel tralcio. La vita di Cristo si esprime soltanto attraverso di noi, siamo la visibilità di Cristo, il suo corpo, il suo cuore, le sue mani. È attraverso di noi che Lui si mostra vivo, cha dà la sua vita. I discepoli non possono essere fecondi se non rimangono profondamente uniti al loro Maestro. Non possiamo essere donne che comunicano vita, la Vita abbondante che viene dal Maestro, se non siamo spiritualmente e apostolicamente feconde, in un’intima comunione con il Signore.

“Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio” (Rm 8,26-27). Pregare è portare al Padre i suggerimenti che lo Spirito pone nel nostro cuore. Paolo dice che lo Spirito Santo sempre ci sta parlando, sta gemendo dentro di noi… ci sta chiamando continuamente.

Il protagonista della nostra conformazione è il Figlio, che attraverso lo

Spirito Santo, ci fa simili a Lui. Collaboriamo con la sua azione mediante: Un ascolto assiduo di Gesù Verità, che comporta la santificazione della

nostra mente, mediante lo studio, la studiosità, la meditazione assidua della Parola di Dio, che formerà progressivamente in noi la mente del Maestro, i suoi criteri, i suoi pensieri, i suoi giudizi.

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Uno sguardo contemplativo sul Maestro per lasciarci plasmare da Lui, che attraverso il suo Spirito vuole riprodurre in noi i suoi atteggiamenti, il suo stile di vita, Gesù modello di obbedienza al Padre, modello di questa intenzione.

L’accoglienza della sua Presenza viva in noi, rimanendo unite a Lui come il tralcio alla vite, unione abituale con il Cristo Maestro, nutrita dall’Eucaristia e dalla preghiera.

Per Don Alberione tutto parte, cresce e confluisce nell’amore. “Amare il Signore con tutta la mente, con tutta la volontà… unione abituale con tutto il cuore”. Alberione lo aveva anticipato nel dire: questa conformità sta precisamente nell’amore.

Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo (Gv 10,17). Gesù consegna la sua vita volontariamente. Il suo non è un morire, ma un realizzare la sua esistenza come un dono totale d’amore: l’amore è più forte della morte (Cf Ct 8,6). Consegnare la vita ha come fine il riceverla di nuovo. Gesù, consegnando la sua vita, la riceve di nuovo in pienezza: è uguale al Padre perché non solo si sa amato, ma ama i suoi fratelli con il suo stesso amore. In Lui la vita arriva ad essere quello che è: circolazione viva d’amore, dono ricevuto e donato. Per questo è il Figlio prediletto, compimento perfetto dell’amore del Padre.

Lo Spirito Santo è Colui che forma in noi l’immagine del Figlio e ci fa esclamare “Abbà, Padre”. Nell’esortarci a riconoscere la presenza e l’azione dello Spirito Santo, nel nostro itinerario spirituale, Don Alberione ci invita a creare le disposizioni ottimali perché lo Spirito Santo possa operare in noi con piena efficacia:

“Non rattristate, non spegnete, non soffocate lo Spirito Santo che abita in voi” (San Paolo);

La fede come fiducia assoluta e incondizionata in Lui, che è infinitamente più grande di tutto;

La speranza nella sua fedeltà, nella sua vittoria definitiva sul male, che ci mantiene salde e sicure in mezzo a qualsiasi difficoltà, oscurità, problema, sofferenza;

La carità che ci fa sperimentare l’amore tenero e misericordioso del Padre, che non dubitò nel consegnarci il suo Figlio, che risveglia in noi una continua risposta d’amore e ci spinge a comunicarlo ai fratelli.

Il Buon Pastore è venuto a guarirci della nostra cecità su Dio e su noi stessi; il “suo fango” vuole farci arrivare alla luce e farci nascere dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito, per condurre l’umanità di oggi alle fonti della Vita.

PS. A conclusione viene anche proposto un ppt sulla lavanda dei piedi

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Allegato 3 INFORMATIVO N. 1

16 giugno 2009

Diciamo: Sia santificato il tuo nome perché chiediamo che in noi sia santificato il Suo nome.

… Egli disse: Siate santi perché anch’io sono santo (Lv 11,45) Perciò noi chiediamo e imploriamo che,

santificati dal Battesimo perseveriamo in ciò che abbiamo incominciato ad essere

E questo lo chiediamo ogni giorno. (Dalla liturgia delle Ore: martedì 3^ sett. T.O.)

Carissime sorelle,

il giorno 15 giugno alle ore 16,00 (ora Argentina), si è aperto il 6° Intercapitolo della nostra Congregazione nell’unità della preghiera e degli intenti, intorno all’altare del Signore.

La solenne Celebrazione Eucaristica di apertura è stata presieduta da Sua Ecc. Mons. Sergio Fenoy, Vescovo di San Miguel, Buenos Aires.

Nel saluto iniziale sr Marta Finotelli, Superiora Generale, ci ha invitate a vivere questo momento come “tempo favorevole” nella comunione profonda con Gesù morto e risorto, presente nella nostra vita e in quella di tutte le Pastorelle che ci stanno accompagnando dalle diverse parti del mondo. Riferendosi, poi, alla liturgia della Parola ha posto l’accento sul paradosso della vita apostolica e spirituale; il Signore ci lascia poveri, ci lascia nelle difficoltà e proprio in esse la sua grazia si manifesta, il suo amore risplende: “Poveri, ma facciamo ricchi molti, gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!” (2Cor 6,10) dice l’apostolo Paolo. Questo però avviene se nella nostra povertà lasciamo agire Dio.

Anche il Vescovo nella sua omelia ci ha invitate a incontrare la ricchezza e la grazia del Signore nella nostra storia di debolezza perché proprio lì, Gesù buon Pastore fa grandi cose. La Chiesa e la Congregazione potrebbero correre il rischio di credere in ciò che appare, il Signore invece ci invita ad un ridimensionamento del nostro modo di essere, non confidando nell’esteriorità, nella forza, nelle sole capacità o nel metodo perché Lui ama manifestarsi intimamente, nella profondità del cuore e non in ciò che appare e impressiona.

Riunite in assemblea, dopo aver invocato il dono dello Spirito e fatta la preghiera dal sussidio che ci ha messo in comunione con tutte voi, sr Marta ha

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dichiarato aperta la sessione ufficiale del 6° Intercapitolo, chiamando per nome tutte le partecipanti.

Nella sua prolusione d’apertura ci ha invitate a vivere questi giorni, dal 15 al 28 giugno, come momento favorevole per rivitalizzare la nostra vita personale e congregazionale e aiutarci a “non accogliere invano la grazia di Dio” credendo che proprio ora, è il momento favorevole in cui il Buon Pastore ci esaudisce, ci soccorre, ci accompagna.

La sala preparata per l’assemblea ha posto al centro la Croce, la Parola di Dio, una piccola sorgente ad indicare la fonte della vita, la reliquia del Fondatore e tanti fiori che rappresentano ogni Pastorella del mondo. Sono stati allestiti tre tavoli rotondi per favorire la riflessione e il lavoro dei gruppi che sono stati chiamati simbolicamente col nome di Pietro, Paolo e Divina Pastora. Ad ognuna è stato consegnato il materiale per i lavori di questi giorni contenuto in una borsa donata dalla comunità della Bolivia, una cartella artigianale, confezionata dalla comunità di Salta e tanti altri doni, come un portapenne lavorato a mano e materiale didattico vario, offerti dalla comunità della Sede Principale della Delegazione Argentina.

Dopo esserci distribuite i compiti di organizzazione, ci siamo raccolte in preghiera ricordando tutte le sorelle di Congregazione che abbiamo chiamato per nome lodando il Signore per la vita di ognuna. Alla fine ci è stato consegnato un tassello di un’icona che completeremo alla fine dell’Intercapitolo. Sarà una sorpresa per tutte conoscerne il soggetto che molto probabilmente ci accompagnerà nel “dopo intercapitolo”.

Il 16 giugno, oggi, giornata dedicata alla spiritualità, nella quale siamo state invitate a verificare e a condividere il nostro servizio evangelico dell’autorità; è animata da sr Julieta Stoffel, Superiora Provinciale delle FSP su La conformazione a Cristo.

Ringraziamo di cuore tutte le sorelle e le comunità che si sono fatte presenti con la preghiera, l’offerta e gli auguri.

Immerse in questa speranza di rinnovamento e in comunione con tutte le Pastorelle del mondo abbiamo dato inizio a questo evento congregazionale mettendo al centro la Parola di Dio che ci illuminerà sempre e l’Eucaristia che ci darà la forza e ci sarà una guida nel nostro cammino. Fraternamente

Per le sorelle intercapitolari, Sr Ana Acero e sr Lucia Varo

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Allegato 4

RELAZIONE DEL GOVERNO GENERALE all’Assemblea Intercapitolare

“Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode”

(Sal 33,2)

Introduzione

Desidero iniziare questa verifica, di oltre tre anni di cammino dal 7CG, in attitudine di “Benedizione”. Sì, benedire il Signore della Vita e della Storia con voi, lodare la SS. Trinità, per tutto ciò che ha operato nella nostra Congregazione in questi anni e per l’Amore, assoluto e gratuito, dimostratoci in ogni circostanza. E’ la nostra storia di Salvezza che celebriamo in questa assemblea intercapitolare! Confidiamo e affidiamo a Gesù, nostro buon Pastore, il cammino percorso, nei suoi alti e bassi, nelle sue “cadute” e “risalite”, come è d’altronde la vita cristiana.

Mentre con voi, lodo e benedico il Signore, chiedo anche la sua misericordia su di me e su ogni Pastorella, per l’incorrispondenza a tanta amorevole cura riversata su di noi, e per tutte le omissioni che hanno ostacolato la sua opera di Salvezza verso le persone che ha affidato al nostro ministero pastorale nelle singole Circoscrizioni.

Viviamo nella stagione della post-modernità, stagione segnata da una vasta e profonda “crisi” che è molto più di quella economico-finanziaria, perché investe i più svariati e delicati campi della vita umana. Questo “passaggio difficile”, senza dubbio, sta interpellando in profondità anche la nostra Congregazione e ciascuna di noi. La grande crisi che sta toccando la vita cristiana e sta attraversando, ormai da tempo, anche la vita religiosa, va quindi posta nel contesto più ampio del mondo. E mentre ci fa sentire vulnerabili e impotenti, sta sollecitando anche la nostra responsabilità di credenti e di consacrate che hanno scelto di testimoniare il primato di Dio e la sua Carità in questa storia che è e rimane storia di Salvezza.

Siamo quindi chiamate a guardare con spirito di fede e con speranza questa realtà, perché in essa il Signore continua a parlare e a prendersi cura del suo popolo. La nostra vita e la vita delle sorelle, delle nostre comunità e Circoscrizioni è quindi interpellata direttamente a riscoprire e coltivare il dono della fede che sempre lascia il primato all’iniziativa di Dio, l’Unico che ci fa leggere la storia umana e le nostre personali storie con gli occhi del Risorto,

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occhi non imbrigliati nella logica mondana, ma coscienti che solo Dio scruta in profondità le realtà e l’intimo di ogni essere umano.

Siamo grate al Signore che ci permette di celebrare il nostro 6° Intercapitolo proprio nell’“Anno paolino” che sta per concludersi e nell’ ”Anno Sacerdotale” che sta per essere indetto da papa Benedetto XVI, il prossimo 19 giugno 2009, in occasione del 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. S. Paolo apostolo e S. Giovanni Maria Vianney sono stati due grandi pastori a servizio del gregge di Cristo, Pastori di cui studiarne la vita e imitarne lo stile di “cura d’anime”, come ci ha indicato più volte il nostro Fondatore, il Beato Giacomo Alberione.

Affidiamo alla loro intercessione lo svolgimento del nostro Intercapitolo, chiedendo la grazia di rimanere sotto l’influsso potente dello Spirito Santo che ci dona la vita nuova in Cristo e ci rende capaci di vita di comunione, per cercare insieme ciò che il Padre chiede alla nostra famiglia religiosa nel prossimo futuro.

Prima di addentrarci nelle aree della programmazione, desidero ricordare lo spirito con cui abbiamo operato, come governo generale, fin dall’inizio del nostro mandato 2005-2011. Consideriamo il nostro servizio un’ “espressione” del ministero di cura pastorale, che accomuna tutte le Pastorelle e ci sollecita a custodire e far maturare il dono della vocazione di ogni sorella, con la conseguente scelta di accompagnare le singole Circoscrizioni in modo personalizzato, a partire dalle indicazioni emerse dal 7CG2.

Con questo spirito consideriamo ora le aree programmatiche, alla luce dell’obiettivo capitolare3 e degli orientamenti comuni come sono stati vissuti nel primo triennio del presente mandato.

La vita in Cristo Pastore (Area stile di vita) Nell’impegno assunto, in sede capitolare, di rivisitare e ricomprendere le

radici della nostra fede, per vivere in continua conformazione a Cristo Pastore, abbiamo favorito una riflessione più approfondita sulla vita nuova, ricevuta nel battesimo. La riscoperta dell’incontro vitale con Cristo, motivo fondamentale della nostra scelta di vita e del nostro impegno apostolico, ha come scopo l’aiutarci a ritrovare l’identità di “persone risorte”, cercando di evitare il rischio di vivere la vita nuova con la mentalità e le abitudini dell’uomo vecchio4.

Consapevoli che la vita nuova ricevuta nel battesimo è un cammino dinamico pasquale, che coinvolge persone e comunità, ci ha guidato il desiderio di favorire, all’interno della nostra famiglia religiosa, una maggior 2 Cf. Orientamenti per la programmazione del sessennio 2005-2011, Roma – Casa generalizia, 26 novembre 2005, p. 1. 3 “In continua conformazione a Cristo Pastore approfondiamo e riesprimiamo il ministero di cura pastorale per condurre l’umanità oggi alle fonti della Vita”. 4 E’ in fondo tutto il percorso che il Fondatore propone con il Donec Formetur.

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sinergia5 , che rinforzasse il senso di appartenenza, la corresponsabilità, la comunione e la condivisione dei doni che Dio va facendo alla nostra Congregazione, per una missione pastorale realmente profetica.

A questo riguardo sono state proposte diverse iniziative: la memoria del battesimo, con il ricordo nella preghiera di ogni sorella, nella ricorrenza del proprio battesimo6; il rivisitare la vocazione cristiana come fondamento del cammino nella vita religiosa, per ri-centrare l’esistenza su Cristo e non più su un “io” autoreferenziale; la rilettura della cura pastorale alla luce dell’esperienza dei santi Pastori Pietro e Paolo, attraverso la lectio continua del libro degli Atti degli Apostoli 7 , con la proposta di schede di riflessione e preghiera, per avvento e quaresima. La proposta di ritiri, esercizi spirituali e incontri comunitari sullo stesso tema, che aiutassero affinché nulla in noi sia sottratto all’influenza di Cristo.

Abbiamo dedicato l’anno 70° di fondazione della Congregazione8 alla santità di vita ed elaborato una preghiera per chiedere il dono della santità. Alcune comunità hanno assunta questa preghiera da recitare anche nei prossimi anni e in alcune Circoscrizioni hanno aperto l’iniziativa di pregarla insieme ai Cooperatori laici.

Abbiamo notato quanto, il pregare insieme, crea legami di comunione e di solidarietà in tutta la Congregazione, sia attraverso la catena di preghiera con l’intenzione mensile per ogni Circoscrizione e per la Famiglia Paolina; sia mediante la memoria di compleanni e battesimi; sia attraverso il pensiero giornaliero del Fondatore tratto dall’agenda della Famiglia Paolina che inviamo ogni anno in tutte le comunità. Anche l’iniziativa dell’adorazione notturna, ogni sabato, per le necessità della Congregazione e dell’umanità del nostro tempo, ha ricevuto un’entusiasta adesione.

L’urgenza di essere noi rievangelizzate per prime ci ha spinto ad impostare anche le visite canoniche sul tema:“L’incontro con Cristo rinnova la nostra cura pastorale”. Le visite, aventi una tematica comune, che attinge alla Parola di Dio, al magistero della Chiesa e del Fondatore, si sono svolte con modalità diverse, concordate di volta in volta con i governi di Circoscrizione, per armonizzare il tema comune con il ritmo e il cammino di ogni realtà locale. Abbiamo potuto condividere con ogni sorella, nella semplicità dell’incontro fraterno, l’itinerario battesimale che ha portato ognuna a vivere la libera

5 Un’azione frutto delle energie congiunte di Dio e della persona umana in Cristo. 6 Accanto al libretto dei compleanni si è elaborato un libretto dei battesimi e consegnato annualmente in tutte le comunità della Congregazione. 7 E’ stato inviato in ogni comunità il fascicolo contenente il commento di p. Pino Stancari al libro degli Atti degli Apostoli durante il 7CG luglio 2005. 8 Il 7 ottobre è stato preceduto da un triduo di preghiera vissuto in tutta la Congregazione (cf. Fascicolo: Il triduo in preparazione al 70° di fondazione ottobre 2008).

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assimilazione del dono della fede per essere sempre più suora “di” Gesù buon Pastore secondo il cuore del Padre, nella vocazione pastorale.

Diverse Circoscrizioni, hanno chiesto di essere accompagnate anche attraverso corsi di esercizi spirituali guidati, che hanno preceduto o hanno animato la visita canonica stessa. Gli esercizi spirituali propongono un percorso che aiuta a vivere la vita nuova nella vita ordinaria, smascherando le falsità dell’uomo vecchio per vivere secondo la nostra vera identità. Sono stati un’occasione favorevole per un accompagnamento più personalizzato sia delle singole sorelle che delle comunità che vi hanno partecipato. Nel nostro servizio dell’autorità evangelica sperimentiamo la gioia e il gusto spirituale di visitare le diverse Circoscrizioni, partecipando alle fatiche, ai progetti, alle sfide e alle attese di ciascuna.

Attraverso le visite brevi, soprattutto nel 2006, si è cercato di promuovere la sana consuetudine di curare la comunicazione tra i governi di circoscrizione con il governo generale e la comunione di vita all’interno dei gruppi di governo, per vivere il servizio come un’opportunità di purificazione e di crescita nella coerenza della vita. E’ questo anche un modo di condividere con le sorelle delle comunità ciò che per prime abbiamo vissuto. Anche il 2° Consiglio generale allargato è stato vissuto con questo spirito. Per incrementare l’attitudine a condividere il vissuto, nel CTN viene riportata, sia l’esperienza delle sorelle del governo generale che quella di ogni singolo gruppo di governo a turno.

Anche con la consueta lettera: “Scrivo a voi sorelle”, frutto del dialogo con il Signore, davanti al vissuto della Congregazione, della Chiesa e del mondo, intendiamo offrire un incoraggiamento a porre maggior attenzione alla nostra conformazione a Cristo. Un processo che passa attraverso la disponibilità a dire con la vita, in modo sempre più evidente e più chiaro, il nucleo fondante della chiamata battesimale, che è per tutti i cristiani. Nello stesso tempo, vogliamo aiutarci ad entrare insieme e sempre di più, nella dinamica dello Spirito che, solo, può nutrire il nostro sguardo di fede e farci comprendere come e dove Dio ci parla oggi.

E’ lo sguardo pasquale sulla realtà che ci fa scorgere anche nei segni di morte presenti nella Congregazione, i germogli di vita che ci aprono alla speranza e ci stimolano a riflettere e a ricordare l’essenza della nostra vocazione. S. Eusebio di Cesarea disse che la vita religiosa è nata per eccesso di amore a Dio, ed è a questo “eccesso” che siamo chiamate a ritornare per trovare gesti che parlino di Dio e del suo Regno anche oggi.

Alle volte nel nostro stile di vita, sottolineiamo più la fatica del camminare, del cercare, del discernere insieme, che la bellezza della novità cristiana come

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espressione della dignità della persona e della comunione tra le persone. Sappiamo che le due realtà sono correlate, da sole sono monche, mentre insieme esprimono il Vangelo.

Purtroppo, si percepisce una forte resistenza a porre noi stesse nelle mani delle sorelle, come abbiamo promesso nella professione religiosa, rendendo così sempre più fragile la grazia dell’obbedienza e faticose le relazioni fraterne, dimenticando che siamo insieme a motivo di Cristo. Ciò va indebolendo il senso di appartenenza e la disponibilità ad assumere servizi comuni, sia nella formazione che nel governo della Congregazione. Serpeggia spesso un certo pessimismo, forse dovuto all’età che avanza, alla mancanza di vocazioni, alle malattie sempre più frequenti, che ci fa dimenticare che l’essere ridotte e potate, l’essere piccole e povere, può diventare un’opportunità per rendere più trasparente la vita religiosa, chiamata a incarnare una gioia e un’appartenenza diverse da quelle proposte dal mondo. Scoprire la gioia che il Padre prova per noi, nel Figlio, proprio perché bisognose di salvezza è un invito sempre attuale. La nostra fragilità e debolezza affidate a Lui, ci fanno toccare con mano il suo desiderio di porre anche noi in condizione di gustare la fraternità nelle nostre comunità e nella compagnia dei nostri contemporanei.

Abbiamo sperimentato, a volte, la difficoltà a far giungere alle sorelle il materiale che proponiamo per il cammino comune. Sottolineiamo l’esigenza che, chi svolge il servizio dell’autorità nelle singole Circoscrizioni, motivi maggiormente le sorelle ad assumere e a partecipare a quanto proposto all’intera Congregazione. Alcune sorelle da anni non partecipano alle iniziative congregazionali. Ciò può evidenziare un indebolimento del senso di famiglia, una sorta di stanchezza negli impegni assunti con la scelta di vita e un’accentuarsi dell’individualismo che ostacola e rende pesante il cammino comune oltre che a minare l’autenticità vocazionale.

Si stanno facendo più frequenti le richieste di permesso di assenza dalla comunità alle prime difficoltà dei familiari; inoltre si nota la facilità con cui ci si assenta dagli impegni pastorali assunti, per partecipare a ricorrenze di familiari o amici. Anche queste attitudini ci interpellano sulla necessità di richiamarci ad un maggior senso di responsabilità e di equilibrio, verificando nel dialogo con ogni sorella le reali o presunte esigenze che vengono addotte.

Con cuore grato al Signore costatiamo che diverse sorelle hanno imparato ad accogliere il mistero pasquale insito nella vocazione cristiana e stanno affrontando più serenamente l’anzianità, la malattia e le difficoltà, sia nell’apostolato che nella famiglia di origine. Alcune sorelle hanno sviluppato una bella vivacità pastorale che va sostenuta e incoraggiata fino alla fine accompagnandole più da vicino.

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Un buon numero di sorelle partecipano con gioia e responsabilità alle diverse iniziative congregazionali ed esprimono gratitudine verso la famiglia religiosa per quanto ricevono. Abbiamo apprezzato molto la partecipazione attiva di alcune sorelle, alla preparazione al Seminario sulla cura pastorale, proposto con l’itinerario di lectio divina attraverso le lettere paoline, con le schede inviate nel 2007-2008. Ci rendiamo sempre più conto che la sfida, per tutte noi, è ritrovare il coraggio di ricominciare ogni giorno, per dare un nuovo slancio alla nostra vita fraterna e apostolica, perché ciò che annunciamo sia prima di tutto vissuto da ciascuna di noi.

Dà speranza la responsabilità con cui alcune sorelle si impegnano nel proprio cammino spirituale e la loro attenzione alle relazioni fraterne, a volte anche remando contro corrente, pur di salvare spazi necessari per mantenersi spiritualmente vive e pastoralmente creative. Il desiderio di santità presente nel cuore di queste sorelle, esprime una bella pastoralità, viene infatti nutrito anche da una riflessione e un discernimento sul contesto ecclesiale e sociale contemporaneo.

La crisi economico-finanziaria mondiale interpella anche il nostro modo di vivere la povertà e ci chiede di rivedere alcune abitudini a procurarci sempre e subito ciò che manca, ad evitare ogni disagio e piccola privazione, dimenticando le difficoltà che vive la gente comune. La nostra solidarietà con i poveri comincia proprio dallo stile sobrio ed essenziale della nostra stessa vita.

Si avverte l’esigenza di incentivare, in tutte le sorelle, una mentalità interculturale, con un maggiore scambio di doni, di risorse, di persone disponibili alla missione, di iniziative comuni. Questo si accresce anche attraverso una comunicazione più frequente e una sensibilità più aperta a tener presenti la realtà, non solo della propria Circoscrizione, ma dell’intera Congregazione. A questo scopo si è favorita la costituzione di comunità internazionali e di esperienze apostoliche in paesi diversi dal proprio.

Ministero di cura pastorale (Area missione) Nelle diverse Circoscrizioni ci pare si stia tenendo sostanzialmente

presente l’obiettivo del 7CG con l’intento di approfondire e comprendere sempre meglio il ministero di “cura pastorale” e poterlo riesprimere alla luce degli orientamenti del Beato Alberione. Si nota l’impegno di riappropriarci responsabilmente della preziosa eredità carismatica, lasciataci dal Fondatore. Impegno però che va maggiormente accompagnato al tentativo di percorre “vie nuove” per esprimere la nostra “cura pastorale”, in un mondo in cui si tende a vivere come se Dio non esistesse. Nelle visite fraterne abbiamo considerato l’urgenza di interrogarci seriamente sulla nostra presenza nella Chiesa locale,

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anche alla luce della triplice opera, per un rilancio della missione pastorale a partire da una vita interiore più intensa che porti alla “cura d’anime”.

Di fronte ad un panorama mondiale in cui il cristianesimo non è più la religione dominante, in cui si evidenziano sfide di natura sociologica, psicologica e spirituale, in cui ogni paese sta sempre più diventando una miscela di identità e di diversità linguistiche, culturali, etniche, religiose, anche la nostra Congregazione è fortemente interpellata. Si rende perciò sempre più necessario, in ogni Circoscrizione, porre maggior attenzione a questa realtà e alle nuove istanze della Chiesa locale, attraverso una riflessione comune, più accurata e puntuale, per individuare modalità di presenza che siano incisive specie sul versante dell’evangelizzazione e dell’accompagnamento della fede.

Nella verifica delle “linee di azione” proposte dal 7CG e applicate nelle diverse Circoscrizioni, abbiamo constatato che in quasi tutte le sorelle rimane viva l’esperienza del carisma e il desiderio di viverlo in qualsiasi situazione ed età. Spesso nel dialogo, viene anche sottolineata la validità di esso e il desiderio di esservi fedeli. Ci sembra però che sia ancora piuttosto scarsa l’attitudine al discernimento in vista di un rinnovato modo di esprimere la nostra vocazione pastorale oggi. Spesso le urgenze non permettono di dare il tempo necessario ad una comune, attenta e creativa riflessione nello Spirito.

In occasione di chiusure o aperture di comunità, si è riscontrata, il più delle volte, una certa accuratezza nel seguire i criteri indicati nel documento Servizio Evangelico dell’Autorità9, altre volte invece ci è sembrato che nella Circoscrizione, non sia stato operato un sufficiente discernimento e siano mancate le condizioni per pervenire ad una scelta serena e ad una comunicazione adeguata e completa con il governo generale.

L’invito alla ricerca di “nuove vie” pastorali, in una visione ampia e aperta di collaborazione, ha trovato eco in alcune Circoscrizioni che stanno sperimentando forme più propositive e significative nel contesto ecclesiale e sociale in cui vivono. In alcune Circoscrizioni, è stato ritardato il processo di individuazione delle “nuove vie” e la loro sperimentazione, forse a causa dell’età avanzata nella maggior parte delle sorelle, della poca salute, della tendenza a ritirarsi dall’apostolato e a ripiegarsi sui propri mali. Spesso le energie sono assorbite più dalle urgenze che da una progettualità lungimirante.

Nell’accompagnare le fasi di chiusura e di apertura delle nostre presenze apostoliche abbiamo sollecitato a porre particolare attenzione alle aperture ad experimentum, come spazio per meglio verificare l’inserimento prima di assumerlo. Si è suggerito di favorire esperienze ecumeniche significative, presenze più qualificate nell’ambito dell’immigrazione, sviluppo e

9 SEA, Manuale per le superiore consegnato al 7CG 2005.

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sperimentazione di gruppi di nostri Cooperatori, in attesa di poter avere indicazioni chiare circa lo Statuto dell’Associazione Cooperatori nella Famiglia Paolina10.

Le nuove aperture ad experimentum nelle diverse Circoscrizioni 11 avrebbero come scopo proprio quello di sperimentare nuove espressioni pastorali sulle quali riflettere poi in sede capitolare. In alcune di esse si è già operata una verifica e ci si è orientate ad elaborare la convenzione con la diocesi; altre invece sono ancora in via di sperimentazione. Possibili riscontri si troveranno nelle relazioni preparate dai governi di Circoscrizione.

La sperimentazione auspicata dal 7CG 12 , con l’obiettivo di offrire un contributo alla riflessione-azione della “cura pastorale”, e stata considerata in ogni Circoscrizione in modi e misure diverse. Essa potrà essere materiale utile per il prossimo Seminario. In occasione della visita canonica abbiamo invitato a verificare in quale aspetto della “triplice opera”13 si sta ponendo l’accento nella Circoscrizione.

Lo spirito pastorale continua a favorire l’impegno anche delle sorelle più anziane o malate. Abbiamo visto sorelle con età avanzata continuare a donarsi con gioia e generosità. Si è favorito anche un maggior coinvolgimento di queste sorelle attraverso un impegno apostolico fatto di preghiera ed offerta, dando loro la gioia e la possibilità di accompagnare più da vicino il cammino dell’intera Congregazione.

Attraverso le visite fraterne brevi e finalizzate, la visita canonica, le risonanze alle lettere della superiora generale, l’informazione-formazione con il sito istituzionale e il CTN, i colloqui personali, abbiamo colto il desiderio di vivere una vera spiritualità di comunione, un ritorno sempre nuovo alle radici della nostra vita cristiana e della nostra vocazione pastorale.

Anche per mezzo di alcuni strumenti14 inviati in questi anni, si è voluto promuovere una più profonda interiorizzazione della Parola di Dio per favorire l’evangelizzazione in un linguaggio più adeguato ai destinatari della nostra missione.

Mentre cresce la consapevolezza di essere depositarie di un prezioso carisma di cura pastorale, caratterizzato da una forte spiritualità, ci è di aiuto il cammino che stiamo facendo verso la realizzazione del Seminario sul ministero di cura pastorale, in vista di un nuovo slancio apostolico che risponda alle sfide

10 Il nuovo Statuto dei Cooperatori Paolini è in fase di elaborazione attraverso una commissione intercongregazionale. 11 In questo triennio si sono aperte cinque nuove comunità: Perquenco (CI-PE), Campo Belo e Londrina (BR-CdS-Uruguay), Barletta (ICS-Albania), Modena (ICN-Mozambico). 12 Cf. Atti 7CG p. 274. 13 Istruzione, formazione e santificazione cristiana. 14 Schede sugli Atti degli Apostoli in avvento e quaresima; Lectio divina in preparazione al Seminario sulla “cura pastorale” (cinque schede); le novene in occasione delle ricorrenze congregazionali, ecc...

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dell’attuale società bisognosa di Dio. A partire dall’analisi della situazione, e lasciandoci illuminare dallo Spirito Santo, la nostra missione di madri e sorelle nella fede, potrebbe evolvere qualitativamente puntando su un ministero di accompagnamento personale che offra al popolo di Dio accoglienza, ascolto, guida, orientamento, aiuto nella ricerca del Signore e della verità di se stessi.

Inoltre la riscoperta della dimensione contemplativa del nostro carisma15 può sostenere nelle comunità cristiane una pastorale più incisiva, capace di assecondare l’opera di Dio, e non solo promuovere delle attività. Il nostro stile di presenza dovrebbe aiutare maggiormente gli operatori pastorali a privilegiare ciò che forma cristiani adulti nella fede, maturi nella carità e fermi nella speranza. A questo proposito alcune nostre comunità religiose potrebbero diventare luoghi in cui offrire, maggiormente, spazi di preghiera, di silenzio, di riflessione, di ascolto della Parola e di discernimento pastorale.

Per alcune Circoscrizioni sarà necessario pervenire alla costituzione di “comunità di testimonianza”, in cui le sorelle ormai anziane possano offrire prevalentemente una evangelizzazione che passa attraverso il segno della loro vita consumata per il Signore e per la salvezza delle persone.

Ciò richiederà maggior coraggio per rivedere gli inserimenti, ritirarci da alcuni luoghi e favorire inserimenti nuovi. Auspichiamo che il Seminario sulla cura pastorale possa dare un buon contributo per lo sviluppo del nostro ministero apostolico, sia con un ascolto più attento della realtà nella creatività dello Spirito, che nell’orientarci decisamente verso forme nuove di presenza che esprimano la nostra “cura d’anime”.

Vescovi, sacerdoti e laici, in molte occasioni hanno espresso la stima verso il nostro carisma che viene percepito molto attuale e necessario nella Chiesa. In ordine alla collaborazione pastorale però, abbiamo invitato le sorelle a porsi in modo evangelicamente sapiente nella relazione con i pastori della Chiesa, le persone, i movimenti ecclesiali e i vari gruppi, per favorire la comunione tra le differenti espressioni ecclesiali.

Riguardo alle aperture missionarie affidate alle diverse Circoscrizioni, si rende necessaria una più grande solidarietà per sostenere le attuali aperture e promuoverne eventualmente altre. Tra queste una particolare attenzione potrebbe essere rivolta al Vietnam16, all’Ecuador17 e alla Cina.

15 PrP III, 1948, p. 201: “La redenzione è il fine della vita pastorale di Gesù, è il fine costitutivo della missione della Pastorella. Gesù venne sulla terra ma rimase nel seno del Padre; la Pastorella deve essere sempre in Chiesa e sempre in mezzo alla gente. La vita più unita a Dio e la vita più attiva per le anime con libertà di spirito. La vita più contemplativa con la vita più attiva: questo è il punto più difficile ma costitutivo della missione della Pastorella”. 16 Nella visita breve all’Asia-Oceania si è affidato l’incarico di sondare la possibilità di una apertura comune alle PI e alla K. 17 Come possibile apertura in solido da parte delle Delegazioni di lingua spagnola.

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Mentre da un lato notiamo una maggior attenzione al cammino comune della Congregazione nella conformazione a Cristo e nel dare più qualità e efficacia alla nostra “cura d’anime”, ci sembra piuttosto faticosa una lettura sapienziale dei cambiamenti dell’umanità di oggi e piuttosto lenta l’elaborazione di una proposta evangelizzatrice più rispondente alla realtà odierna.

Accenniamo solo a due fatti importanti la cui osservazione richiederebbe il nostro attento e sapiente discernimento pastorale: La cultura della comunicazione mediale: i media rivestono un ruolo sempre maggiore. Notiamo che non solo possono enfatizzare e narrare, ma anche ignorare e rimuovere. Sono essi a costruire gli eventi facendo della comunicazione l’arma decisiva per produrre e non solo narrare un fatto. Inoltre si aggiunga una specifica difficoltà per la comunicazione su temi religiosi ed ecclesiali18. Sta emergendo una nuova consapevolezza della questione mediale in quanto apportatrice di nuova cultura19; si stanno modificando sempre più gli stessi concetti di spazio e di tempo20, ma più in radice si avverte il pericolo di separare l’informazione dalla coscienza, la notizia dal giudizio, la narrazione dall’ethos collettivo.

L’altro fatto è il Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio che ha richiamato la centralità della Scrittura per la vita cristiana. Ciò richiede un approccio che sia ad un tempo rigoroso e dall’altro spirituale ed esistenziale, la capacità di adattare vitalmente la tradizione biblica ai contesti storico-sociali: tutto questo sembra ritagliare un ruolo centrale e congeniale proprio alla vita consacrata. Quando nelle nostre comunità si procede alla lectio divina, alla serietà della lettura, allo sforzo di tradurre nella vita ciò che si legge, al di là dei nostri limiti, contraddizioni e peccati, la nostra vita consacrata viene avvertita dalla Chiesa come una interpretazione viva e una lettura spirituale delle parole evangeliche di Gesù. La sequela cristiana segnata dai voti religiosi costituisce infatti una sorta di ermeneutica ecclesiale di ciò che Cristo ha fatto e ha sofferto e della vita che Lui e Maria sua Madre hanno abbracciato. La forma di vita evangelica che testimoniamo come consacrate, non potrebbe significare quello che la Chiesa sta cercando per il suo futuro?

18 Il disagio verso i media è così sintetizzato dal cardinale e teologo A. Dulles: “Rispetto al messaggio di fede i media privilegiano lo spettacolo; rispetto alla tradizione privilegiano le novità; rispetto ai beni spirituali privilegiano i fenomeni tangibili; rispetto alla struttura ecclesiale privilegiano la democrazia liberale; rispetto al magistero privilegiano il dissidente; rispetto alla complessità teologica la banalità comunicativa”. 19 Direttorio sulle comunicazione sociali nella missione della Chiesa, 2004, n. 11: «Possiamo dire che i media sono portatori di una nuova cultura nella misura in cui le loro modalità di funzionamento […] portano a mutare il tradizionale rapporto con la realtà e con gli altri uomini e a far valere nuovi paradigmi e modelli di esistenza». 20 Direttorio sulle comunicazione sociali nella missione della Chiesa, 2004, n. 170: «Più che uno strumento, lo spazio virtuale è un nuovo contesto. Stanno cambiando i concetti di spazio e di tempo. È vero che la multimedialità esisteva prima dell’avvento delle nuove tecnologie, ma oggi è attuata in modo nuovo enfatizzandone il rilievo sociale».

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Pastorale vocazionale e formazione (Area formazione) Siamo grate a Gesù buon Pastore che continua a chiamare giovani alla

nostra Famiglia religiosa, tuttavia ci interpella fortemente la qualità della nostra proposta formativa, la sua solidità sul piano teologale, ascetico, spirituale e l’incisività educativa del nostro stile di vita personale e comunitario. I frequenti abbandoni nel periodo della formazione iniziale evidenziano, non solo le fragilità e inconsistenze delle nuove generazioni, ma anche le nostre povertà, incoerenze e inadeguatezze nella formazione continua.

Durante il 7CG è stato presentato e consegnato il nuovo Piano Generale di Formazione e Studi21. Tutte le Circoscrizioni hanno cominciato ad applicarlo e ad adattarlo alle loro realtà curandone la traduzione in lingua portoghese, spagnola, coreana. E’ ancora in elaborazione la traduzione in inglese. Negli orientamenti del sessennio22 si è invitato a studiare i contenuti fondamentali del PGF e a pianificare gli studi attraverso un progetto formativo che garantisca una profonda e solida preparazione dottrinale e teologica che attinga alla Parola di Dio, alla Tradizione della Chiesa23 e al patrimonio carismatico. A questo proposito ci stiamo interrogando sulla richiesta di coniugare meglio nella formazione una solida spiritualità ad una preparazione intellettuale più qualificata24.

In questi anni la comunità Studi/Carisma di Traversari ha accolto e accompagnato con cura le sorelle studenti del Corso sul Carisma della FP. La convivenza internazionale si sta rivelando una ricchezza sia per l’approfondimento del nostro carisma, attraverso l’elaborato finale di ogni studente, sia per l’esperienza di fraternità che alimenta il senso di appartenenza ad un’unica famiglia. Il Corso è attualmente oggetto di riflessione dei governi generali della FP in vista di migliorarne i contenuti e le modalità perché risponda sempre meglio alle esigenze dei partecipanti

A partire dall’obiettivo del 7CG e dalle linee di azione 25 abbiamo incoraggiato le Circoscrizioni a mantenere desta l’attenzione alla pastorale vocazionale. Come previsto negli Orientamenti per la programmazione, alcune Circoscrizioni hanno destinato sorelle a tempo pieno per l’accompagnamento vocazionale o sono state qualificate sorelle per la formazione iniziale.

Abbiamo notato che in tutte le Circoscrizioni continua l’impegno nella pastorale vocazionale anche attraverso progetti e iniziative atte a meglio accompagnare le giovani in ricerca. 21 PGF 2005. 22 Cf. Orientamenti per la programmazione del sessennio 2005-2011, p. 9. 23 In particolare una conoscenza maggiore dei Padri della Chiesa e per chi ne ha le condizioni anche con lo studio delle lingue bibliche. 24 Cf. Atti 7CG, p. 296. 25 Cf. Atti 7CG, p. 275.

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E’ cresciuta la collaborazione tra le diverse Circoscrizioni per una risposta più adeguata alle esigenze della formazione. Le due province italiane hanno lavorato insieme nella Pastorale Vocazionale e formazione iniziale; quelle brasiliane hanno elaborato un progetto formativo comune alle due province; le Delegazioni di lingua spagnola hanno costituito un noviziato unico a Bogotà. Anche per lo juniorato, specie nell’oriente, sono in atto iniziative formative tra Circoscrizioni. Alcune juniores coreane, infatti, durante il loro itinerario in preparazione alla professione perpetua, sono state inviate nelle Filippine per l’esperienza pastorale.

Inizialmente si sono riscontrate le inevitabili difficoltà dovute alle diversità culturali, ma anche queste si sono rivelate positive per il cammino formativo di ogni giovane.

La collaborazione tra le diverse Circoscrizioni promuove l’internazionalità, arricchisce le culture, allarga gli orizzonti pastorali e promuove un più forte senso di appartenenza all’intera Congregazione. È certamente una bella testimonianza che lascia ben sperare per il futuro.

E’ in cantiere la possibilità per alcune giovani juniores di fare esperienza apostolica in qualche comunità italiana, in attesa di partecipare al corso internazionale di preparazione immediata alla professione perpetua, che si svolgerà a Roma nell’aprile-giugno 2010.

È stata notata la necessità di dare più attenzione alla formazione nello juniorato, perché si tende a trascurare l’importanza decisiva di questa tappa, non tenendo conto del rischio dell’attivismo e della dispersione interiore26. Se vogliamo che la formazione sia solida è inoltre necessario che ciascuna si renda sempre più responsabile personalmente della continuità della propria formazione, tenendo conto che questa attitudine è anche uno dei criteri per ammettere alla professione perpetua. Può essere anche utile che nei primi anni di professione perpetua sia offerto un accompagnamento sistematico a livello spirituale e pastorale.

Anche nelle visite brevi e finalizzate si è riflettuto insieme sulla necessità che ogni gruppo di governo, come più volte è stato ribadito, provveda ad una formazione permanente che aiuti a maturare ed avanzare negli anni in modo sapiente e fecondo. In diverse occasioni abbiamo guidato incontri di formazione per le formatrici e per le superiore di comunità, per aiutarle a vivere il loro compito di animazione e accompagnamento sotto la guida dello Spirito. 26 “Il peccato più grave è quello di mandare le giovani immediatamente dopo la prima professione, nelle attività apostoliche senza continuare la formazione, sovraccaricandole di lavoro e di responsabilità per le quali non sono preparate sufficientemente, oppure impegnandole in uno studio assorbente e tale da non lasciare il tempo per coltivare con la dovuta intensità il rapporto con Dio e la vita di comunità. Capita di frequente allora che il giovane si lasci assorbire dallo studio o dall’attivismo, perdendo di livello in altri aspetti essenziali fino a cadere in una specie di anemia spirituale” Carlos Palmes, CLAR 3, 2007, p. 62.

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Anche le giovani in formazione sono state incontrate personalmente e, dove è stato possibile come gruppo, per conoscerle e valutare più direttamente la consistenza della loro chiamata alla nostra famiglia religiosa.

In ordine all’impegno formativo della nostra Congregazione sentiamo anche l’urgenza di abilitarci per accompagnare nella fede il cammino di tanti cristiani che sono in difficoltà e rischiano di abbandonare la Chiesa. Occorre, a questo proposito, preparare le nuove generazioni di Pastorelle perché sappiano dare risposte valide alle nuove sfide dell’evangelizzazione. E nello stesso tempo continuare ad offrire un più intenso accompagnamento alle sorelle impegnate nella formazione iniziale e permanente.

Uno dei compiti formativi affidati al Governo Generale dal 7CG era promuovere l’approfondimento del “ministero di cura pastorale” e organizzare un Seminario internazionale per mantenere vivo il carisma, poterlo riesprimere nel contesto attuale e trasmetterlo alle nuove generazioni. All’inizio abbiamo consultato Mons. Lorenzo Chiarinelli, vescovo di Viterbo e don Giacomo Morandi, biblista, che ci hanno orientato a un primo passo da farsi attraverso alcune lectio27. Le comunità sono state invitate a mandare il loro contributo alla segreteria della propria Circoscrizione, mentre alle sorelle è stato chiesto di inviare direttamente alla Superiora Generale quelle personali. Abbiamo fatto la raccolta di quanto pervenuto e fatta una sintesi per ogni scheda. Il materiale raccolto sarà studiato dalla Commissione e utilizzato nel Seminario.

Infatti, la preparazione immediata al Seminario sarà realizzata con l’aiuto di una piccola commissione di sorelle a cui sarà chiesta anche la preparazione dell’8CG. Ci sta aiutando in questa prima fase anche d. Giancarlo Rocca, ssp. Informazioni più dettagliate saranno date nel corso dell’Intercapitolo.

Abbiamo incoraggiato le Circoscrizioni ad inviare sorelle per il Corso di Formazione sul Carisma della Famiglia Paolina. I partecipanti a questo corso hanno la possibilità di andare alle fonti della propria identità carismatica e acquisire una visione globale dell’essere Famiglia Paolina nell’unità e complementarietà dei vari carismi. In questi tre anni, alcune Circoscrizioni hanno dato una risposta positiva a questo invito.

Negli ultimi incontri dei Governi generali di Famiglia Paolina, partendo dal tema “Giovani e carisma paolino” e guardando alla specificità della formazione paolina, si è pervenuti a uno studio comparato su quanto Don Giacomo Alberione ha detto ai singoli Istituti della Famiglia Paolina, dal quale sono stati poi enucleati valori e principi essenziali comuni. Nel XXVI Incontro dei Governi generali sono quindi emerse Linee formative comuni ed è stato

27 Per questo abbiamo chiesto a don Morandi di prepararci 5 schede per un itinerario sulle lettere paoline.

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elaborato un testo di sintesi: “La formazione paolina: per un punto di partenza comune”. Tale testo costituirà la premessa ai Progetti formativi delle singole Congregazioni paoline.

Servizio evangelico dell’autorità e amministrazione (Area governo) “Nel cuore di chi ascolta penetra più volentieri la parola accreditata dalla

vita di chi la proclama”28. Nel dare gli orientamenti, come gruppo di governo, ci siamo impegnate per prime noi a viverli, sebbene con i nostri limiti, per poter animare con amore e credibilità la Congregazione. L’iniziativa di ricordare davanti a Gesù Eucaristico ogni Pastorella, chiamandola per nome, durante le feste particolari della Congregazione e dell’anno liturgico, è un modo privilegiato che abbiamo assunto per accompagnare nel Signore il cammino di ciascuna e anche per chiedere l’intercessione delle nostre sorelle che già formano la comunità del Cielo.

Abbiamo scelto, fin dall’inizio del nostro mandato, il testo paolino Col 3,12-17, nel quale abbiamo tratto lo stile per vivere le relazioni all’interno della nostra comunità e nel servizio a noi affidato. Soprattutto attorno alla Parola e all’Eucaristia, abbiamo voluto creare l’unità e la comunione tra di noi e con tutte le sorelle della Congregazione.

Il metodo usato è stato quello di sperimentare nel nostro piccolo gruppo ciò che avremo poi proposto nelle visite fraterne, attingendo alla sapienza dei Padri che dicono: “Mai ho insegnato cosa alcuna prima di averla io stesso messa in pratica”29.

Non abbiamo nemmeno voluto programmare tutto dall’inizio del servizio, per poter rimanere più aperte allo Spirito e accompagnare più da vicino il cammino di ogni Circoscrizione, conoscendone la vita e rispettandone il processo in atto. Per questo sono state realizzate le visite brevi che ci hanno dato la possibilità, attraverso un primo contatto, di conoscere le sorelle, le comunità, le varie situazioni di ogni Circoscrizione. In seguito, nelle visite canoniche, pur adottando un percorso comune, abbiamo adattato la proposta alle esigenze del cammino delle singole Province e Delegazioni, arricchendolo in base alle necessità e alle richieste delle Circoscrizioni stesse. Ci ha sempre animato la ricerca di vivere relazioni vere, trasparenti, costruttive tra di noi e con tutte le sorelle, anche nelle situazioni in cui il dialogo si è presentato più faticoso.

Per meglio favorire la collaborazione, la partecipazione e la corresponsabilità tra governi, si sono realizzati alcuni incontri, sia intercircoscrizionali che circoscrizionali, trattando argomenti e analizzando 28 Regola Pastorale di S. Gregorio Magno, parte II, c. III. 29 Detti e fatti dei Padri del deserto, Rusconi, p. 44.

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situazioni in clima di riflessione e discernimento. Nelle visite canoniche effettuate, ormai, in quasi tutte le Circoscrizioni30, si sono realizzati incontri anche con le superiore di comunità per ravvivare il senso evangelico del servizio dell’autorità a cui sono chiamate. Anche il Consiglio Allargato, celebrato nell’ottobre 2007, si è rivelato un momento prezioso di condivisione e formazione per tutte le responsabili di governo. Sollecitate ad essere “sentinelle di speranza”31, a portare la nostra piccola pietruzza nel grande mosaico ecclesiale, guardiamo al nostro ministero di cura pastorale verso le sorelle, le comunità e l’umanità di oggi, in un sempre nuovo ritorno al Vangelo, incoraggiate a vivere dando la precedenza alla carità, alla benevolenza, al non sospetto, alla crescita di una coscienza di comunione nella novità dello Spirito.

È in atto, ad experimentum, il cammino di unificazione delle due Circoscrizioni Filippine-Saipan e Australia. E’ stato elaborato uno Statuto che si sta sperimentando. Nel 2010 si farà una valutazione globale della sperimentazione. Pur con qualche esitazione iniziale dovuta alla novità dell’esperienza e alle diversità culturali, sta crescendo la conoscenza reciproca che fa sperare in un futuro di sempre più profonda comunione e integrazione.

In diverse occasioni abbiamo anche incoraggiato e appoggiato le iniziative che favoriscono l’internazionalità e lo scambio di persone e risorse tra Circoscrizioni. In questa prospettiva siamo grate verso le sorelle che hanno chiesto od accolto il mandato missionario. Abbiamo costatato anche una crescita nella sensibilità riguardo al fondo di solidarietà. Circa le offerte dei benefattori e la condivisione con i poveri abbiamo suggerito alcuni criteri perché in ogni Circoscrizione fosse meglio distribuito l’aiuto alle famiglie e alle persone bisognose senza creare dipendenze o attese nei poveri.

Ogni governo di Circoscrizione è stato invitato a rivedere le convenzioni per adeguarle alle nuove esigenze della Congregazione, delle parrocchie e rispettive Diocesi.

Le settimane di studio che tutti gli anni abbiamo realizzato, come gruppo di governo, ci hanno dato la possibilità di approfondire vari temi32 concernenti la nostra missione di guida della Congregazione. Riteniamo infatti molto importante per il nostro servizio, dedicarci insieme allo studio di alcuni temi che riguardano la vita della Congregazione, della Chiesa, del mondo con uno sguardo specifico sul cammino della vita religiosa. 30 Mancano ancora le visite canoniche alle province BR-SP Gabon e ICN-Mozambico. Per via della sperimentazione si effettuerà la visita in AUS solo nel 2010. 31 Cf. Atti del 2° Consiglio generale Allargato, ottobre 2007. 32 Nel 2006: I fondamenti del servizio evangelico dell’autorità nella RdV; nel 2007: Preparazione del tema e modalità per effettuare le visite canoniche; 2008: Rapporto tra obbedienza e autorità; 2009: Preparazione del 6° Intercapitolo e Seminario sulla “cura d’anime”.

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In questo senso è stata pure arricchente l’esperienza degli incontri con i governi generali della Famiglia Paolina. Ci hanno permesso di affrontare temi comuni alla vita e alla missione apostolica paolina e di approfondire il senso di appartenenza alla Famiglia stessa. Nell’anno paolino sono state molte le opportunità per conoscere l’Apostolo delle genti e per apprezzare il dono di averlo come ispiratore e protettore. Una di noi ha partecipato al Seminario su Paolo Apostolo organizzato dai nostri fratelli paolini nel mese di aprile 2009. Sarà riferita brevemente, in questa sede, una sintesi di quanto ritenuto importante anche per la nostra spiritualità pastorale.

Come richiesto dal 7CG è stato elaborato il Logo ufficiale della Congregazione ormai utilizzato da tutte le Circoscrizioni a partire dal 2° Consiglio generale Allargato33.

In occasione del 70° di Fondazione abbiamo voluto fare memoria delle nostre sorelle defunte, dedicando loro il libro: “Cammini di santità di vita: le nostre sorelle viventi nella casa del Padre”.

Continua il cammino della Postulazione per il riconoscimento delle virtù di sr Elisabetta Franchi e nello stesso tempo si continuano le ricerche per far conoscere meglio anche altre sorelle che il Signore ha chiamato per prime al premio. Sul Sito e sul CTN si pubblicano regolarmente le loro presentazioni.

Per facilitare l’impegno sul versante economico-amministrativo, si è elaborato e consegnato, alle econome e alle responsabili di governo, il Regolamento Economico 34 . Pur avendo percepito lo sforzo, di tutte le Circoscrizioni, per attuare le direttive del sessennio in corso, non sempre si sono seguite le disposizioni della RdV e gli orientamenti dati dal governo generale in questo ambito. In alcune occasioni le difficoltà nel settore economico-amministrativo ci hanno portato ad intensificare la preghiera e la riflessione, a cercare il dialogo con le persone interessate e ad avvalerci della consulenza di esperti nel campo amministrativo e giuridico. I problemi incontrati hanno favorito in noi, un maggior affidamento al Signore nell’unione di intenti; ed hanno sollecitato a vivere in modo più evangelico le relazioni, cercando sempre di distinguere le persone dai loro atti, nella consapevolezza che le persone vanno sempre accolte, amate, rispettate, anche quando è necessario richiamarle. Anche le difficoltà affrontate ci hanno ammaestrato e ci hanno fatto sperimentare il sostegno della preghiera di diverse persone.

Ogni Circoscrizione, dopo aver sperimentato il PEG 35 , ha dato suggerimenti per la stesura definitiva. La raccolta delle osservazioni vi sarà presentata successivamente. L’elaborazione finale del documento che sarà 33 2CGA svolto a Tor S. Lorenzo (RM) dal 7 al 16 ottobre 2007. 34 Consegnato nel 2CGA 2007. 35 Progetto Economico Generale consegnato durante il 7CG.

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consegnato all’8CG, sarà a carico del governo generale coadiuvato dalla Commissione Economica generale36.

Dà speranza il constatare, nel cuore di tante Pastorelle, il desiderio di uno stile di vita religiosa veramente evangelica, più sobria, più radicata in Cristo e nella sua Parola. Questo sta portando alcune sorelle a rafforzare la loro relazione con il Signore, a vivere relazioni autenticamente fraterne e a donarsi al popolo di Dio rendendo visibile la vita del Risorto. Sono sorelle che potrebbero aprire cammini di futuro per la nostra Congregazione e per la vita religiosa apostolica, nella misura in cui si lasceranno trasformare sempre più dalla Parola ascoltata e accolta. E’ compito delle responsabili di Circoscrizione accompagnare con il dialogo queste sorelle perché possano portare frutti a beneficio della nostra Famiglia religiosa e nel servizio pastorale.

Siamo grate al Signore per essere giunte, dopo tanta ricerca, all’acquisto di una nuova casa generalizia e ora siamo in attesa della sua ristrutturazione. Ringraziamo le Circoscrizioni che hanno contribuito a questa opera che è a servizio di tutte. In questa sede saranno date informazioni più dettagliate al riguardo. Uno sguardo alla statistica della Congregazione al 31.05.2009

Circ Asp. Post. Nov. PT PP Totale prof Età med. com. Def37

ARG-BO - 2 1 5 16 21 49,00 5 2

BR-CdS 3 - - 2 66 68 62,15 19 4

BR-SP 2 - 3 3 57 60 59,90 16 5

CI-PE 1 1 - 4 14 18 48,60 4 -

COVEME 3 1 1 3 32 35 48,60 9 1

K 1 1 1 6 18 24 41,67 6 1

PI-AU-SA 1 - 5 9 57 66 52,48 15 -

ICN 4 - - - 132 132 69,29 27 20

ICS 2 1 - - 129 129 69,56 25 23

DGG - - - - 1 1 65,00 - -

GG - - - - 7 7 55,14 2 -

Totale 17 6 11 32 529 561 61,47 127 67

36 La CEG è la stessa che ha lavorato per la stesura del documento sperimentato. 37 Le professe decedute prima della suddivisione in province: Italia 6; Brasile 2; prima dell’Unificazione: Australia: 3.

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In conclusione

Il quadro essenziale che abbiamo delineato ci chiede, anzitutto, di vigilare sulla perdita di significato della nostra scelta di vita, perdita dalle conseguenze gravi sia per noi che per i destinatari della nostra missione. Un rischio tutt’altro che remoto, che sperimentiamo nella ricorrente tentazione di “attenuare” le esigenze della nostra appartenenza a Cristo. In questa situazione, purtroppo, il contesto culturale e la mentalità corrente, non ci aiutano.

La nostra scelta di vita è certamente più importante dei singoli ministeri nei quali siamo impegnate, per questo lo sforzo di perseverare nella cura della nostra vita religiosa è basilare. Ci chiediamo: Quale nuovo orizzonte e direzione precisa vuole dare Dio alla nostra vita di Pastorelle? Quali attenzioni e strategie per dare qualità e unità alla nostra vita? Quale sapienza ci è chiesta per vivere la missione pastorale nell'oggi, in questa storia, per poter dare ai nostri contemporanei motivi di vita piena e di cura della vita stessa?

Chiediamoci anche se siamo in grado di percepire e decifrare il significato di ciò che sta succedendo oggi. I gravi problemi emergenti: una progressiva scristianizzazione, l’emarginazione o la persecuzione sempre più evidente dei cristiani, i movimenti in atto di intere popolazioni, le leggi xenofobe sull'immigrazione, il cambiamento climatico con la conseguente distruzione del pianeta, la globalizzazione che cancella o esaspera le identità, la frammentazione culturale sempre più competitiva e conflittuale, e la stessa crisi economica (che ho citato all'inizio), come sollecitano la nostra responsabilità pastorale?

Nel nostro interrogarci insieme, spesso faticoso e sofferto, ci viene in aiuto e conforto la Parola di Dio, la certezza della sua cura per noi: “Diede ai santi la ricompensa delle loro fatiche li guidò per una strada meravigliosa, divenne per loro riparo di giorno e luce di stelle nella notte" (Sap 10,17). Per questo abbondiamo di gioia in mezzo alle tribolazioni e confidiamo che, nella sua misericordia, il Signore Gesù, nostro buon Pastore, voglia continuare a servirsi della nostra debolezza e del nostro affidamento per compiere la sua opera.

Perciò ci disponiamo con fiducia a valutare il percorso compiuto in questi tre anni, e a discernere insieme il cammino dei prossimi anni sino all’8CG, e invochiamo insistentemente il dono dello Spirito sulla nostra assemblea. Possiamo contare fiduciose sulla preghiera delle nostre sorelle e di tante altre persone che ci accompagneranno anche con l’offerta di qualche sacrificio per il buon esito dei nostri lavori.

31

Maria, Madre del Divin Pastore e i Santi Apostoli Pietro e Paolo ai quali è dedicato il mese di giugno, intercedano per noi l’abbondanza dei doni dello Spirito e ci sostengano con la loro testimonianza.

Sr Marta Finotelli superiora generale

S. Miguel – Buenos Aires 17 giugno 2009

Allegato 5

LA “COMUNICAZIONE” NELLA “CURA PASTORALE” ALLA LUCE DELL’APOSTOLO PAOLO

P. Valdir José De Castro, SSP 18 giugno 2009

L’Apostolo Paolo è sempre un punto di riferimento nella Chiesa quando il tema è la comunicazione. Egli cercò di arrivare con il Vangelo a tutti i popoli e con tutti i mezzi disponibili al suo tempo. Con la sua testimonianza mostra che senza comunicazione non c’è vita spirituale, non c’è rivelazione di Dio, non c’è apertura dell’uomo a Dio, non ci sono relazioni umane, non c’è “cura pastorale”. Infatti, la qualità della nostra vita spirituale, comunitaria, sociale e pastorale dipende, in gran parte, dalla qualità della nostra comunicazione. Senza la pretesa di esaurire la tematica, cercheremo di approfondire la comunicazione nella cura pastorale tenendo conto della forma di essere e di operare di san Paolo, a partire dai dati che troviamo nelle sue lettere. Sono alcuni tratti che ci aiutano a verificare la nostra comunicazione e, forse, ad aggiungere nuove iniziative al nostro lavoro pastorale.

1. Comunicazione: esperienza umana fondamentale

Il termine “comunicazione” ha un’ampia comprensione, che va da quanto viene detto rispetto dalle relazioni interpersonali dirette fino a ciò che si riferisce alla comunicazione mediata dagli strumenti tecnici. Tutte le forme di comunicazione convergono nella finalità di avvicinare le persone e ridurre distanze e tempo.

Il significato di “comunicazione” si trova nel termine stesso. Il primo senso, dal latino, risale al secolo XII (1160) e rimanda all’idea di comunione, di condivisione. Dal secolo XVI in poi, passò a comprendersi anche come

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“diffusione” di idee, sviluppata in forme varie e a diversi livelli, con l’aiuto dei mezzi tecnici della comunicazione 38 . È legata allo sviluppo della tecnica, iniziando con la prima di esse, la stampa. Comunicare è diffondere, mediante scritti, libri e periodici, poi mediante il telefono, la radio, il cinema e, infine, mediante la televisione e l’informatica. Senza dimenticare il treno, l’automobile e l’aereo, tecniche fisiche che hanno avuto un ruolo complementare fondamentale.

I mezzi di comunicazione non sono un fenomeno isolato nel contesto sociale. Formano parte della cultura in cui viviamo e generano l’esplosione di creatività che porta informazione a tutti gli angoli del pianeta. Tuttavia, non possiamo dimenticare che la comunicazione è, innanzitutto, una esperienza umana fondamentale, e nonostante lo straordinario sviluppo della tecnica, non si sono verificati grandi progressi nella qualità della comunicazione. In un’epoca segnata dalla strumentazione tecnica e digitale, il contatto diretto tra le persone, che si esprime particolarmente nel “dialogo”, continua ad essere una sfida. La “comunicazione” divenne un termine di moda, ma quasi nessuno sa di fatto cosa è comunicare. È una parola che in certa misura ha perso il senso di “comunione”. Non vogliamo dire che oggi non esista comunicazione di qualità, piuttosto che l’eccesso di comunicazione, in particolare quella prodotta dagli strumenti tecnici, molte volte genera “incomunicabilità”.

Dominique Wolton ci provoca con la domanda: “Come salvare l’unità della comunicazione quando domina la sua dimensione strumentale?”39. Non si tratta di vedere nella comunicazione strumentale un pericolo. L’autore desidera provocare un dibattito. Insiste che esprimersi, parlare a un altro e condividere con lui, è quello che definisce un essere umano. Naturalmente, questo si può fare anche attraverso gli apparati tecnici, come è il caso di una videoconferenza interattiva o di un cellulare. Ciò, nonostante il contatto personale diretto, continua ad essere una forma privilegiata di comunicazione.

Sia con gli strumenti tecnici, sia direttamente, la comunicazione è il mezzo per entrare in relazione con l’altro, che è l’orizzonte, quello che tutti desideriamo e temiamo allo stesso tempo, perché avvicinarsi all’altro non è mai facile. Solo la comunicazione permette di gestire questa relazione ambivalente tra se stessi e gli altri.

Nel contatto con il suo simile, l’essere umano può comunicare a vari livelli, per diversi motivi, con un grande numero di persone e in molteplici forme. 38 WOLTON, Dominique. Pensar la Comunicación, Buenos Aires: Prometeo, 2007, p. 42. 39 WOLTON, Dominique. Pensar la comunicación. Buenos Aires: Prometeo Libros, 2007, p. 23.

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Basta avere presente la nostra vita quotidiana, dal momento in cui ci svegliamo fino a quando andiamo a dormire alla notte. La comunicazione si realizza in diverse forme: con se stessi, con gesti, oralmente, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, ecc.

La comunicazione non è un atto magico, ma un processo. Innanzitutto ha una fonte, cioè una persona o gruppo di persone con un obiettivo e una ragione per mettersi in comunicazione con qualcuno che chiamiamo ricettore. Una volta che c’è la fonte, con le sue idee, bisogni, intenzioni, informazioni e un proposito per il quale comunicare, si rende necessario un altro componente, ossia il proposito della fonte deve essere espresso in forma di messaggio. Nella comunicazione umana un messaggio può essere considerato come condotta fisica: traduzione di idee, proposito e intenzioni in un codice, in un insieme sistematico di simboli. Un altro elemento è il canale, che è il mezzo portatore del messaggio40. L’efficienza della comunicazione dipenderà da molti fattori. Uno di essi è il “rumore”, ossia qualche segnale non desiderato che impedisce che il ricettore del messaggio lo interpreti come egli desidera.

Oltre al processo descritto in modo molto sintetico, possiamo anche parlare di comunicazione positiva e di comunicazione negativa41 , che è il risultato della qualità umana delle persone che entrano in relazione. Sono elementi fondamentali per una comunicazione positiva i seguenti dati: equilibrio e sicurezza emozionali, autocoscienza e autocritica, capacità di risolvere conflitti personali e libertà interiore, tipo di valori che motivano la propria esistenza e identificazione con gli ideali del gruppo di appartenenza.

È positiva la comunicazione quando l’interazione migliora la relazione e gli individui che si relazionano; quando essi si sentono minimamente gratificati e soddisfatti nelle loro necessità fondamentali di affetto, di comprensione, di accettazione; quando possono esprimere i loro sentimenti spontaneamente e in libertà; quando non risulta eccessivamente arduo integrare le differenze e superare gli inevitabili conflitti; quando il gruppo come tale raggiunge i suoi obiettivi e ideali; ecc.

In caso contrario, la comunicazione risulta negativa: si negano oppure si limitano gli affetti, prevale l’insensibilità e l’individualismo, i membri del gruppo non si dedicano del tempo, quando i membri non hanno dispositivi per

40 BERLO, David K. El proceso de la comunicación. Introducción a la teoría y a la práctica. Buenos Aires: Editorial El Ateneo, 2004, p. 27. 41 ROMERO, Pedro. Comunicación y vida comunitaria. Cuestiones psicosociales y posibilidades. Madrid: San Pablo. 1997, p. 25.

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superare i blocchi personali o di gruppo, o mancano le risorse per risolvere i loro conflitti, ecc.

La cura pastorale richiede lo sviluppo della comunicazione in tutti i sensi. L’Apostolo Paolo, nonostante i limiti personali e altre difficoltà esteriori, è stato un uomo di comunicazione marcatamente positiva. Le sue lettere rivelano un missionario che ha saputo valorizzare le relazioni umane e creare una rete di comunicazione come forma di portare il Vangelo a un maggior numero di persone. Allora, qual è il profilo di Paolo comunicatore? Cosa ha da proporci per una buona comunicazione nella cura pastorale? Quali erano il contenuto e il movente della sua comunicazione? Quali i mezzi e le strategie utilizzati per raggiungere le persone?

2. Lo stile di vita di Paolo di Tarso

Negli ultimi duemila anni di storia, molte persone, più che una pratica di pietà, hanno fatto della vita cristiana uno stile di vita. Tra queste, c’è l’Apostolo Paolo, che trovò la ragione della sua esistenza nella sequela di Gesù. Abbracciò liberamente il cristianesimo non come una forma di entrare nelle “realtà spirituali” per fuggire i problemi concreti della vita, ma per cercare delle risposte alle situazioni reali delle persone e delle comunità.

Una opportunità è apparsa nella sua vita e Paolo diede un nuovo senso alla sua storia. Abbracciò il cristianesimo come un “modo di essere”. Assunse una missione spinto da una passione indescrivibile per la persona e per il messaggio di Gesù. Visse una spiritualità profonda che diede senso al suo modo di essere e di operare.

L’Apostolo Paolo nacque l’anno 10 circa dell’era cristiana a Tarso, capitale della Cilicia, in Asia Minore, una grande città all’epoca, che contava approssimativamente trecentomila abitanti42. Ricevette l’influsso di due culture: giudaica ed ellenista. Di razza e religione era di origine giudaica, appartenente alla comunità della diaspora, in contatto con l’ambiente greco, dal quale assunse la lingua e molti elementi che segnarono la sua vita e il suo pensiero.

Prima di abbracciare il cristianesimo Paolo era un appassionato sostenitore delle tradizioni del popolo ebraico. Era irreprensibile nel compimento della Legge. Fu educato a Gerusalemme da Gamaliele, uno dei più grande rabbini del suo tempo. Dovuto alla sua solida formazione giudaica,

42 BARBARGLIO, Giuseppe. Pablo de Tarso y los orígenes cristianos. Sígueme: Salamanca, 1989, p. 33.

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era un grande avversario di Gesù Cristo e dei suoi discepoli. Fino a presenziare alla lapidazione di Stefano, il primo martire cristiano.

Attorno l’anno 36 dell’era cristiana, Paolo attraversò però una profonda trasformazione. Ebbe un incontro inaudito che cambiò la direzione della sua vita, che lo orientò a un nuovo progetto. Mentre andava verso la città di Damasco per far prigionieri i seguaci di Cristo, fece una esperienza straordinaria di incontro con Gesù che generò un cambio radicale nella sua storia43. Da persecutore diventò uno dei suoi più fedeli discepoli.

Il cambio che Paolo visse fu così radicale che lo portò a mettere in secondo piano tutto quando aveva imparato fino a quel momento44. Si sentì tanto “apostolo”, o “inviato”, come tutti gli altri apostoli che avevano conosciuto personalmente Gesù 45 . Paolo non cambiò religione. Anche se dovette ripensare molte cose. Ebbe da rivedere molte delle sue concezioni su Dio, sull’uomo e sul mondo. Oltre questo, non considerava il cristianesimo una nuova religione, diversa dal giudaismo, ma una sua continuazione, dove dovevano essere aggiunti nuovi elementi. Per questo, prima di considerarlo un episodio di conversione, è necessario comprendere questo cambio come un episodio di vocazione, alla quale rispose “sì”, e che lo orientò a dare risposta a una domanda fondamentale in relazione a Gesù, che egli stesso pronunciò: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”.

Col passare del tempo, Gesù andò “comunicando” a Paolo quello che doveva fare. E Paolo, “rispondendo” alla sua chiamata, divenne un instancabile annunciatore del Vangelo, non solo con le parole, ma con la testimonianza della propria vita. Diede priorità ai pagani46, proprio coloro che prima discriminava. Divenne un “costruttore” e “formatore” di comunità. Fece quattro viaggi pieni di pericoli, se consideriamo le condizioni di sicurezza della sua epoca. Visitò innumerevoli città. L’ultimo dei suoi viaggi fu da Gerusalemme a Roma, dove subì il martirio.

Il tema della comunicazione legata alla “cura pastorale”, trova nell’Apostolo Paolo un riferimento importante, poiché la “comunicazione” faceva parte del suo stile di vita. Egli non si risparmiò nell’interagire con le diverse comunità. Utilizzò i mezzi di comunicazione disponibili al suo tempo, senza disprezzare il contatto diretto con le persone. Lo sviluppo della sua comunicazione ebbe come motivazione l’esperienza di Gesù Cristo, la

43 At 9,1-25. 44 Fil 3,7. 45 1Cor 9,1-11. 46 Gal 2,7-8.

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passione per il Vangelo e l’amore al popolo al quale si sentiva chiamato ad annunciare. Con la sua testimonianza mostrò che la comunicazione è un’esperienza umana fondamentale, e anche cristiana. Di fatto, la sua antropologia non è una forma di individualismo. Le persone sono esseri sociali, definite persone per la loro capacità di relazionarsi.

Tanto nel passato come nel presente, la comunicazione continua ad essere una sfida. È uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano. Attraverso la comunicazione verbale e non verbale le persone interagiscono tra di loro e costruiscono la società e la Chiesa. Così come non ci sono uomini senza società, nemmeno c’è società o comunità ecclesiale senza comunicazione. È il filo conduttore che implica persone, gruppi sociali e istituzioni, e facilita la costruzione di quella che chiamiamo cultura. Essa si trova alla radice della cura pastorale.

3. Il profilo di Paolo “comunicatore”

Evangelizzare è “comunicare”. Paolo è il missionario che non si è stancato di “comunicare” la Buona Notizia di Gesù Cristo. Oltre a mantenersi in continua comunicazione con coloro che erano accanto a lui, cercò tutte le risorse tecniche possibili del suo tempo per interagire con le comunità lontane. Seppe trovare l’equilibrio tra la comunicazione epistolare e quella interpersonale con l’obiettivo di arrivare con la Parola di Dio al maggior numero di persone.

Quando risuona oggi al nostro udito la parola “comunicatore” può venire alla mente un’immagine stereotipata, inculcata dai mezzi della comunicazione sociale. In riferimento alla televisione, e specificamente al presentatore del telegiornale, viene l’idea dell’uomo o della donna elegante, ben truccata, di buona pronuncia e immagine cinematografica. Inoltre, ci sono notiziari televisivi i cui presentatori sono modelli, ossia persone che non hanno alcuna esperienza di giornalismo, ma la loro “immagine personale” concorda con il profilo tracciato dalla logica dello spettacolo. In genere, si considera “comunicatore” la persona che semplicemente dà informazioni.

Evidentemente, il contesto della comunicazione in cui è vissuto l’Apostolo Paolo, specialmente dal punto di vista tecnologico, era totalmente diverso. La preoccupazione per l’apparenza e l’uso del potere del linguaggio, anche se all’interno delle risorse dell’epoca, erano considerati importanti per i comunicatori che aspiravano al successo. Era quanto facevano alcuni evangelizzatori del suo tempo, i “falsi apostoli”, che, istruiti in alcune tecniche della comunicazione, si servivano del ministero per cercare prestigio e

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ricchezza. Erano i “professionisti della fede”, che annunciavano il messaggio di Cristo con l’obiettivo di ottenere vantaggi personali47.

Nella prospettiva del comunicatore, Paolo non aveva niente a che fare con il comunicatore spettacolare. Le sue lettere, specialmente quelle scritte ai Corinzi, svelano un uomo che non si inquadra con questo schema. Confrontando la sua predicazione con quella dei falsi apostoli, Paolo riconosceva che non sapeva parlare con lo stesso brio: “Io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza”48. Era cosciente di non avere una grande capacità di comunicazione orale: “Se sono un profano nell'arte del parlare, non lo sono però nella dottrina, come vi abbiamo dimostrato in tutto e per tutto davanti a tutti”49. Ammetteva che la sua presenza non era per niente seduttrice: “Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza”50.

Paolo non cercava di sedurre le persone con il linguaggio, né con la retorica, nemmeno con le apparenze. Alcuni membri delle comunità non accettavano questo suo modo di agire e lo criticavano. Arrivarono a dubitare che lui fosse un evangelizzatore autentico 51 . Se l’Apostolo Paolo non si inquadrava nel profilo del comunicatore “spettacolare”, dove risiedeva la forza della sua comunicazione?

3.1 Messaggio chiaro e apertura all’ascolto

Se guardiamo l’Apostolo Paolo dal punto di vista del comunicatore disinibito, il suo messaggio colpiva di più per i suoi scritti che per la sua presenza fisica. In effetti, alcuni della comunità di Corinto affermavano che le sue lettere erano dure e forti, nonostante fosse era di scarsa presenza fisica ed un povero oratore 52 . Come già detto, Paolo non possedeva gli attributi dell’oratoria né di altre tecniche di comunicazione che alcuni evangelizzatori del suo tempo sviluppavano per ottenere successo. Dove stava allora l’efficacia della sua missione?

Il Papa Benedetto XVI, nel suo libro El Año de San Pablo53, dopo aver costatato che Paolo non sapeva parlare tanto bene e che i risultati apostolici

47 Cf. 2Cor 10,12. 48 1Cor 2,1. 49 2Cor 11,6. 50 1Cor 2,3-4. 51 Cf. 2Cor 11,16-33. 52 Cf.: 2Cor 10,10. 53 BENEDICTO XVI, Año de San Pablo, Madrid: Editorial San Pablo, 2008.

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che raggiungeva non erano dovuti alla sua brillante retorica, conclude che il successo del suo apostolato risiedeva, soprattutto, nel suo impegno di annunciare il Vangelo in totale consegna a Cristo. Consegna che non temeva né i pericoli né le persecuzioni.

Paolo aveva chiaro il messaggio che desiderava annunciare54. Possedeva un contenuto che emergeva non solo dalla sua formazione intellettuale ma anche dalla sua esperienza di vita. Educato nella più perfetta tradizione giudaica, Paolo portava con sé un bagaglio culturale che includeva una profonda conoscenza delle tradizioni del giudaismo, e nozioni della filosofia e della religione greca del suo tempo. Era stato educato nella sua giovinezza, come già detto, da Gamaliele, rinomato rabbino della sua epoca.

Oltre alla sua formazione intellettuale, l’esperienza che ha fatto nel cammino di Damasco segnò profondamente la sua vita. La conoscenza di Gesù Cristo portò Paolo a un cambiamento radicale di vita. Da persecutore dei cristiani passò ad essere “strumento di comunicazione”55 della Buona Notizia, mostrando che la persona stessa è il primo veicolo di comunicazione di cui disponiamo. Dalla conversione è nata la missione, il cui fondamento poggiava su una convinzione: “So a chi ho creduto”56. Nonostante, il suo messaggio non si riduceva a una pura e semplice comunicazione verbale. Il Vangelo che proclamava non consisteva solo nell’informare sull’iniziativa della pura grazia di Dio e sull’avvenimento della morte e resurrezione di Gesù di Nazareth. Innanzitutto era Parola di Dio e di Cristo.

L’Apostolo si è giocato nella comunicazione. Affermò che la fede dipendeva dalla predicazione, e la predicazione era l’annuncio di Gesù Cristo 57 . Di fatto, evangelizzazione e comunicazione sono due realtà complementari, perché evangelizzare è comunicare la “Buona Notizia” con parole e con atteggiamenti. È sempre una “apertura” agli altri. Paolo portò a termine questa missione senza risparmiarsi: “Mi prodigherò volentieri, anzi consumerò me stesso per le vostre anime” 58, scrisse ai Corinzi.

Oltre a contenere un messaggio chiaro, la comunicazione, in Paolo, non è un artificio mosso da ambizioni personali. È una comunicazione “positiva”, cioè un processo che genera comunione, che include un emittente che ascolta con attenzione il destinatario e lo rispetta. A partire da un contenuto chiaro, Paolo non solo “annunciò” il Vangelo, seppe anche ascoltare. Innanzitutto 54 2Cor 11,6. 55 At 9,15. 56 2Tim 1,12. 57 Rom 10,17. 58 2Cor 12,15.

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rimase aperto all’ascolto di quello che Dio voleva comunicargli, nella sua vita interiore. Simultaneamente, cercò anche di ascoltare le persone e le realtà esterne. Soltanto dopo un attento ascolto cercava di dare risposte alle situazioni concrete, a partire dai valori cristiani.

Con la sua vita, Paolo mostrò che la comunicazione è così importante che da essa dipende la qualità della relazione con Dio, con se stesso e con gli altri. Approfondiamo adesso ancora di più il “contenuto” della comunicazione di Paolo. Ovviamente sappiamo che il centro del suo messaggio è Gesù Cristo. Ma, chi è Gesù per Paolo? Tenendo presenti le sfide della comunicazione nella cura pastorale oggi, possiamo anche chiederci: “Chi è Gesù per noi”?

3.1.1 Chi è Gesù per Paolo?

L’Apostolo Paolo era sicuro che la sua missione era “comunicare” il Vangelo di Gesù Cristo. Ma, chi era Gesù per Paolo? Questa è una domanda fondamentale. Gesù stesso fece tra i suoi discepoli questa indagine sulla sua identità: Chi è il Figlio dell’Uomo?”59 Sappiamo che Pietro diede la risposta giusta: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivo”, per cui Gesù lo lodò. Ma quando Gesù cominciò a dire che avrebbe sofferto, Pietro si oppose. Allora Gesù lo rimproverò dicendogli: “Lungi da me, satana!”.

Pietro riconosceva l’origine divina di Gesù, ma non accettava la croce. Certamente, dopo questo episodio, Pietro fece un lungo e doloroso cammino per capire, attraverso i fatti che successero, che anche la sofferenza e la morte facevano parte della missione di Gesù. E che questa tragica fine sarebbe la conseguenza della consegna di Gesù, per amore, al progetto di Dio Padre.

Tornando all’esperienza di Paolo, non ci occuperemo minuziosamente del concetto che lui aveva di Gesù. Questo perchè trattandosi di cose di Dio, è difficile spiegare esattamente tutti gli avvenimenti che hanno contribuito a costruire questa realtà. Le parole umane non sono sufficienti per esprimere la profondità, la grandezza e il significato dell’esperienza che Paolo fece di Dio. Ma la Buona Notizia che Paolo comunicava aveva come principio presentare anche l’immagine di Gesù che Pietro rifiutava di accettare: Gesù crocifisso.

Non possiamo dimenticare che il Cristo crocifisso che Paolo annunciava con tanto ardore, era scandalo per i giudei e follia per i pagani60. Per un giudeo, che attendeva un Messia trionfante, era impossibile concepirlo finendo la sua vita terrena su una croce. Un greco, come poteva concepire che Dio, la suprema sapienza, potesse fallire con una morte tragica? Tuttavia, Paolo 59 Cf. Mt 16,13-23. 60 1Cor 1,23.

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annuncia questo Gesù “che da ricco che era, si fece povero per voi, perché la sua povertà facesse ricchi tutti” 61 , che “spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo”62, ma che “Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome”63.

Paolo seguì il cammino di Gesù, che si fece servo64. È come servo che si presentò anche alle comunità, attraverso un ideale che diede senso alla sua vita65. Presentandosi come “servo” alle comunità, Paolo compiva un importante passo per entrare in dialogo e creare comunione. Infatti, una delle caratteristiche di chi si mette a servizio è l’“umiltà” (humus = terra). L’umiltà è la porta per avvicinarsi alle persone e iniziare un vero processo di comunicazione, se la pensiamo nella prospettiva della comunione.

Per Paolo, l’annuncio di Gesù crocifisso evidenziava una dimensione importante della sua fede, che è la fede nell’Incarnazione del Figlio di Dio (rivelazione = comunicazione)66. Accettando questo aspetto, egli considerava Gesù nella sua realtà integrale, diversamente dei così detti “spirituali”, quel gruppo di cristiani del suo tempo che separavano il Salvatore crocifisso dal Cristo della fede. Cioè, negavano il Gesù storico e, di conseguenza, la realtà della croce. Preferivano pensare a Gesù come il Signore della Gloria.

Paolo riconosceva Gesù come Signore della Gloria, ma difendeva anche la sua storicità umana. Per lui, Gesù salvò l’umanità in quanto faceva parte di essa, accettando le sue condizioni e trasformandola. Così, Egli soffrì e morì senza meritare assolutamente tale tribolazione. Paolo espresse il nucleo e l’essenza della sua fede con la affermazione: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”67.

Paolo è considerato il primo teologo cristiano e il creatore della teologia cristiana. Sappiamo che egli non costruì una somma teologica. I suoi scritti narrano le risposte che egli cercò di dare alle situazioni concrete delle comunità, a partire dal messaggio cristiano. Era un modo teologicamente fondato di risolvere i problemi particolari della fede e della vita cristiana che si imponevano progressivamente ai suoi interlocutori e a lui stesso. Paolo mostrò che il messaggio di Gesù non è soltanto per essere ascoltato, ma praticato, 61 2Cor 8,9. 62 Flp 2,7. 63 Flp 2,9. 64 2Cor 8,9. 65 2Cor 4,5. 66 Gal 4,4-5. 67 1Cor 15,3-5.

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come condizione per acquistare una sempre migliore qualità di vita. In tutto questo processo la “comunicazione” è stata fondamentale!

3.1.2 Sui passi del Buon Pastore

La domanda sull’identità di Gesù è importante per lo sviluppo della comunicazione nella cura pastorale. La risposta all’inizio può sembrare facile, ma non è così semplice, perché Gesù è un mistero. Mistero non nel senso di una realtà personale che non possiamo conoscere, bensì una persona che possiamo conoscere, tuttavia senza mai esaurire.

Lo stesso può dirsi di qualsiasi essere umano e di noi stessi. Ogni persona è un mistero per se stessa. Nessuno può dire che conosce se stesso totalmente. Ne è prova il fatto che tante volte ci sorprendiamo al punto di chiederci: “Sono stato io a fare questo?”; “Ho avuto il coraggio di dire quello?”. Gesù è mistero perché mai giungeremo a conoscerlo nella sua totalità. Progrediamo nella Sua conoscenza nella misura in cui ci apriamo all’azione della sua grazia, quando meditiamo e celebriamo la sua Parola, quando accogliamo le persone, in particolare le più bisognose. Quando diventiamo persone di comunicazione, disposte non solo a emettere messaggi, ma anche ad ascoltare, secondo quanto abbiamo già detto.

È impossibile esaurire la conoscenza di Gesù. Egli è il Figlio di Dio, il Messia, il Signore, il Salvatore. Egli definì se stesso come la Luce, come la Vite, come il Pane della Vita. Per Paolo, come abbiamo già detto, Gesù è il Crocifisso. Ma non intendeva la croce come segno di fallimento, bensì di vittoria sulla morte. Il “linguaggio” (la “comunicazione”) della croce, affermava Paolo, “è potenza di Dio”68. È per mezzo di Gesù, morto e risorto, e attraverso la fede, che abbiamo accesso alla grazia69.

Per rispondere alla domanda su chi è Gesù, nella prospettiva della cura pastorale, è opportuno cercare ispirazione nella similitudine del Buon Pastore. Gesù definì se stesso nel Vangelo di Giovanni come il pastore che si prende cura delle sue pecore con amore, le difende da tutti i pericoli e dà la vita per loro. Egli affermò: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore” 70 . Al pastore, Gesù contrappone il mercenario, spiegando: “Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore”. E aggiunse: “Io

68 1Cor 1,18. 69 Rom 5,2. 70 Gv 10,11.

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sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre”71.

All’affermare che è il “Buon Pastore”, in contrasto con il “salariato”, Gesù sta mostrando che in Lui si trova la vera vita. Egli conosce profondamente ogni persona, e anche si sacrifica per essa, perché la ama e la protegge da tutti i pericoli. Interpretando questa similitudine, possiamo dire che Gesù non cerca i propri interessi, ma dà vita a tutti quelli che lo cercano. Inoltre, nel vangelo del Pastore, appare alcune volte il verbo “ascoltare”. Le pecore ascoltano la voce del Pastore. Sono aperte, in continua “comunicazione”. Da questa comunicazione deriva la sequela72.

È molto interessante guardare l’Apostolo Paolo dal punto di vista del “buon pastore”. Ovviamente, prima di essere “pastore”, Paolo è la “pecora obbediente” che ascolta e segue da vicino Gesù, il grande Pastore. Si lascia amare, curare e guidare da Lui. Da Lui impara che la fonte della vita è l’amore. Infatti, l’Apostolo dirà: “Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” 73 . Soltanto chi fa esperienza profonda di essere discepolo, di ascoltare la voce del Pastore, può essere veramente evangelizzatore, ed è pronto per comunicare i valori del Regno.

Conviene nuovamente fare riferimento ai falsi apostoli che al tempo di Paolo cercavano di sfruttare il popolo a nome del Vangelo74 . Erano come mercenari che non pensavano alla vita delle pecore, bensì di approfittare di esse. Paolo non si lasciò guidare dalle apparenze o dai privilegi. Non cercò i beni delle persone, ma le persone stesse75. È il buon pastore che ha come unico interesse quello di annunciare e vivere il Vangelo, cammino di vera libertà e di vita piena.

3.2 Grazia comunica grazia

In quanto “strumento” di comunicazione del Vangelo, l’Apostolo Paolo era cosciente della sua fragilità umana. Tuttavia, sapeva che questo non era impedimento per portare avanti la cura pastorale. Scoprì che Dio lo amava così com’era, con le sue qualità e i suoi difetti, al punto di affermare: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”76. 71 Gv 10, 12-15. 72 Gv 10,27. 73 Gal 2,20. 74 2Cor 11,5.13-14.20. 75 2Cor 12,14. 76 2Cor 4,7.

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L’Apostolo Paolo era sicuro che era il Creatore, con il suo potere e la sua bontà, Colui che gli dava la forza necessaria per superare le difficoltà della vita e della missione77. In Gesù, scoprì che il cammino verso Dio stava nella valorizzazione dell’umanità nel senso più profondo, che si manifesta nella pratica dell’amore, del perdono, dell’accoglienza e del rispetto alle persone, della solidarietà e della giustizia.

Per Paolo, tutti queste realtà sono frutto della grazia (bontà!) di Dio78. In questo cammino spirituale scoprì che la grazia genera grazia. Comprese che i doni che Dio gli diede gratuitamente avevano come finalità l’essere “comunicati” anche agli altri, gratuitamente. Per questo giunse ad affermare che la grazia a lui concessa non è stata vana79. Infatti, la grazia rese la sua vita feconda in opere a favore degli altri. Oltre a dare un nuovo senso alla sua vita, la grazia ricevuta si trasformò in opere, a beneficio del bene comune che chiamiamo evangelizzazione.

Di tutte le grazie che Paolo ricevette, la più grande, senza dubbi, è l’incontro con Gesù Cristo. È stato Gesù a far cambiare a Paolo la direzione della sua storia. A partire dall’incontro con Lui comprese che il centro dell’annuncio era la persona di Gesù, morto sulla croce e risorto. Scrisse, convinto: “Noi non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore”80. Dichiarò anche: “Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo”81. A partire da questa fede, la sua opera missionaria si sviluppò nei grandi centri urbani del suo tempo, come le città di Corinto, Filippi, Tessalonica ed Efeso.

L’Apostolo Paolo annunciava che in Gesù si è stabilita una nuova alleanza tra Dio e l’umanità. Denunciava i falsi apostoli che predicavano un Gesù differente 82 . Accusava loro di essere operai fraudolenti, travestiti di apostoli di Cristo83 che vivevano di apparenze. Mostrava che il cammino verso Dio non era più la Legge, ma una persona, Gesù, il Messia. In altre parole, e scendendo alla realtà, affermava che ogni Legge trova la sua pienezza in un solo comandamento: l’amore al prossimo 84 ; e che l’amore è la Legge perfetta”85.

77 1Cor 12,11. 78 Ef 3,2. 79 1Cor 15,10. 80 2Cor 4,5. 81 1Cor 3,11. 82 2Cor 11,4. 83 2Cor 11,13. 84 Gal 5,14. 85 Rom 13,10.

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Quello che accadeva nelle comunità al tempo di Paolo è simile a ciò che succede oggi nella nostra società, quando molti predicatori che si dicono “evangelizzatori” 86 , fanno della fede un affare redditizio. Trasformano la Chiesa in un mercato. Inoltre, l’era dell’immagine in cui viviamo, è propensa a persuadere attraverso le apparenze. Tali mercenari della fede cercano, nelle apparenze e nelle tecniche di comunicazione, di fare della relazione con Dio un commercio. Al contrario, Paolo si presentava come l’apostolo autentico, chiamato ad essere un altro Cristo, non nelle apparenze, non superficialmente, ma nella trasparenza. Anzi, cercava di non essere economicamente di peso alle comunità, esercitando la professione di fabbricante di tende.

Viviano in una cultura dove l’importante non è “essere” ma “avere e apparire”. Purtroppo, il sistema capitalista ha bisogno del mondo delle apparenze. Il nostro tempo preferisce l’immagine all’oggetto, la brutta copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere. Sebbene all’epoca di Paolo non esistevano i mezzi moderni di comunicazione che riproducono l’immagine, essi erano una delle risorse da sfruttare e cercare successo. Paolo non si lasciò trascinare da questa onda. La sua vita e la sua testimonianza erano centrati sul Vangelo che illumina e trasforma le persone a partire dal cuore.

3.3 Farsi tutto a tutti

L’esperienza di Paolo nel cammino di Damasco generò in lui un forte impulso missionario. “Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!” 87 . La chiamata che sperimentava interiormente a comunicare la Buona Notizia era percepibile per mezzo degli innumerevoli contatti con persone e comunità.

Per l’Apostolo, il Vangelo di Cristo si costituiva in fattore decisivo di aggregazione di tutti i popoli, chiamati a costituire una nuova comunità umana universale, dove le differenze socioculturali cessavano di essere motivo di discriminazione88. Si sentiva al servizio di un Dio che non faceva differenze tra giudei e pagani. In Cristo cercava di unire tutti i popoli 89 con un unico messaggio: l’amore, che crea comunione e genera vita per tutti.

L’annuncio del Vangelo portò l’Apostolo a rompere con tutte le barriere del pregiudizio e della discriminazione e a cercare la “comunione”. Per lui, l’importante era arrivare al maggior numero di persone a partire dalla

86 Cf. 2Cor 11,20. 87 1Cor 9,16. 88 Gal 3,26-28. 89 Ef 2,14.

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situazione concreta di ognuna, unendole in un unico progetto. Per cui affermò: “Mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge… Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno”90.

Le lettere che Paolo scrisse a un pubblico diversificato non si riducevano alla trasmissione di dottrine, nemmeno sostituivano il contatto personale. Avevano l’intenzione di dare risposte cristiane ai problemi concreti delle persone e delle comunità. I suoi scritti manifestavano un grande affetto verso i destinatari, e il desiderio di stare con loro. Così si coglie nelle lettere ai Corinzi: “Verrò da voi dopo aver attraversato la Macedonia, poiché la Macedonia intendo solo attraversarla; ma forse mi fermerò da voi o anche passerò l'inverno… Non voglio vedervi solo di passaggio, ma spero di trascorrere un po' di tempo con voi, se il Signore lo permetterà”91. Ai Tessalonicesi ribadì gli stessi sentimenti: “Quanto a noi, fratelli, dopo poco tempo che eravamo separati da voi, di persona ma non col cuore, eravamo nell'impazienza di rivedere il vostro volto, tanto il nostro desiderio era vivo”92. Rivelò lo stesso desiderio a Timoteo: “Ti scrivo tutto questo, nella speranza di venire presto da te”93. Paolo esperimentava un “grande desiderio” di stare in contatto diretto con le persone. Le lettere non sostituivano gli incontri personali. Sia per mezzo delle lettere che direttamente, l’Apostolo sapeva che senza l’apertura del cuore non c’è comunicazione, meno ancora evangelizzazione. La parola “cuore” (kardia) compare 52 volte negli scritti di Paolo94. Cuore indicava la parte più intima della persona, la sede delle emozioni, e anche del pensiero e della volontà. Da qui la profondità di espressioni come: “La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi... rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!”95.

Anche quando si trovava in carcere, Paolo cercò in qualche modo di essere presente nelle comunità per mezzo delle lettere o di un collaboratore, che attuava il “contatto personale” al posto suo. Inviò, ad esempio, Timoteo96 ed Epafrodito97 a Filippi, Tìchico e Onèsimo a Colosse98. Il capitolo 16 della 90 1Cor 9,22. 91 1Cor 16,5.7. 92 1Tes 2,17. 93 1Tim 3,14. 94 DUNN, James D. G., A teologia do apóstolo Paulo, São Paulo: Paulus, 2003, p. 107. 95 2Cor 6,11-13. 96 Flp 2,19-20. 97 Flp 2,25-30.

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lettera ai Romani riporta una lista di persone, uomini e donne, che collaboravano alla sua missione.

Sia direttamente che attraverso una rete di persone, Paolo cercò di trasmettere messaggi e anche di “ascoltare”. Inviava la Buona Notizia, ma anche attendeva le “novità” che potevano arrivare dai suoi destinatari. È quanto esprime, ad esempio, nella prima lettera ai Tessalonicesi: “Ora che è tornato Timoteo, e ci ha portato il lieto annunzio della vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci come noi lo siamo di vedere voi”99. In questo modo rispondeva alle inquietudini delle comunità, con l’obiettivo di tessere relazioni solide che creavano “comunione”.

3.4 I mezzi di comunicazione e il linguaggio

Le risorse della comunicazione di cui Paolo disponeva al suo tempo, fra di esse le grandi vie romane e la navigazione, contribuirono alla diffusione del Vangelo a partire dalle grandi città. Soltanto nel viaggio missionario che lo vide partire da oriente e arrivare a Corinto attraverso Antiochia di Siria, passando per la Cilicia, la Galazia, Troade, Filippi, Tessalonica e Atene, la distanza percorsa fu di 3.500 chilometri, inclusi i 700 o più chilometri di mare100.

Oltre ai viaggi che intraprese personalmente, per terra e per mare, le lettere scritte indirizzate ad alcuni dei suoi collaboratori più vicini oppure alle comunità, contribuivano affinché la Buona Notizia arrivasse là dove lui, per qualche impedimento, non aveva potuto essere presente.

Paolo aveva consapevolezza della portata di una lettera. Sapeva che un medesimo messaggio scritto poteva raggiungere molte persone e comunità. L’efficienza di questa strategia si può percepire nella raccomandazione che fa ai Colossesi: “Quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi”101.

Un’altro elemento è quanto si riferisce all’adeguamento del linguaggio 102 del destinatario. Paolo cercò di esprimere il Vangelo nel linguaggio del contesto culturale urbano. Ricordiamoci che Gesù era un uomo di campo. Nelle 98 Col 4,7-9. 99 1Tes 3,6. 100 BARBARGIO, Giuseppe. Op. Cit., p. 94. 101 Col 4,16. 102 C’è una vastità di definizioni su cosa è il linguaggio umano. C’è il linguaggio orale o parlato, il linguaggio scritto, il linguaggio dei segni, il linguaggio iconografico… Qui accenniamo soltanto al linguaggio in quanto lingua parlata con i segni linguistici culturali comuni a una comunità.

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parabole usò termini quali seme, pecora, granellino di senapa, tralcio, pastore. Paolo, originario del medio urbano, si situò nella semantica del linguaggio proprio delle città, ad esempio: stadio, gare sportive, sfilate, armature.

Gesù annunciò la Buona Notizia per le strade della Palestina, sui monti, sulla riva dei laghi; Paolo predicò nelle piazze delle grandi città. Il libro degli Atti degli Apostoli, ad esempio, attesta che Paolo andò all’Areopago, dove annunciò il Vangelo utilizzando un linguaggio comprensibile ai destinatari103. L’Areopago rappresentava al suo tempo il centro della cultura del popolo ateniese.

Utilizzando il linguaggio corretto e i mezzi adeguati, Paolo cercò di rispondere alle esigenze del pubblico al quale si rivolgeva. Fu un grande comunicatore che non si inquadra, evidentemente, sotto il profilo “spettacolare”, come abbiamo già affermato. Il suo obiettivo era quello di creare “comunione”. Nell’interrelazione evangelizzava in tutti i modi possibili. Il suo modo proprio di comunicare era anche evangelizzazione. Seppe adoperare tutti i mezzi più celeri ed efficaci del suo tempo, con un linguaggio adeguato, senza perdere la dimensione umana, che include il contatto personale. Da lui impariamo che non c’è Chiesa senza comunicazione, e che la comunicazione è alla base della cura pastorale.

Negli ultimi decenni, la Chiesa è andata scoprendo il mondo della comunicazione come il primo areopago dei tempi moderni, che sta generando uno stile di vita che diventa sempre più globalizzato. Si è accorta che i mezzi di comunicazione sono diventati il principale mezzo informativo e formativo, che influisce in una certa misura, nei comportamenti sociali e individuali, e condizionano le nuove generazioni104.

Tuttavia, non basta avere nelle mani gli strumenti della comunicazione sociale. La Chiesa ultimamente ha riconosciuto che molte volte il linguaggio usato nell’evangelizzazione e nella catechesi non prende in considerazione il cambiamento dei codici esistenzialmente rilevanti nelle società influenzate dalla post-modernità e segnate da un ampio pluralismo sociale e culturale. La Chiesa ha ancora difficoltà di entrare nella cultura generata dai mezzi di comunicazione105. È urgente affrontare questa sfida se vuole essere ascoltata e compresa nella società oggi.

103 Cf. At 17,22-31. 104 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Missio, n. 37. 105 Documento di Aparecida, n. 56.

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4. La cultura come “dimora” dell’essere umano

Nell’enciclica Redemptoris Missio106, sulla vita missionaria della Chiesa, il Papa Giovanni Paolo II: a) Ricorda che l’Apostolo Paolo, dopo aver predicato in numerosi luoghi, arrivato ad Atene si diresse verso l’Areopago dove annunciò il Vangelo usando un linguaggio adeguato e comprensibile a quel ambiente107; b) Riconobbe che il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l’umanità e trasformandola — come si suol dire — in un villaggio globale; c) Lancia una sfida: il lavoro dei mezzi di comunicazione, tuttavia, non hanno soltanto l’obiettivo di moltiplicare l’annuncio. Si tratta di un fatto più profondo, perché l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal suo influsso. Il Papa ammette ancora che non basta usarli per diffondere il messaggio cristiano e il Magistero della Chiesa, ma conviene integrare il messaggio stesso in questa nuova cultura creata dalla comunicazione moderna.

La riflessione della comunicazione nella “cura pastorale” ci porta a considerare l’importante dimensione dell’esistenza umana che è la “cultura”, conforme all’esortazione del Papa. Cosa intendiamo per “cultura”? Sono molte le definizioni, e non è questo il caso di fare un lungo enunciato. Fondamentalmente, dal punto di vista del contesto sociale, tutto quanto è umano è culturale, in qualsiasi livello sia considerato il fenomeno umano. In questo senso possiamo intendere la cultura come “dimora” e, collegato alle consuetudini, significa anche il modo di vivere e convivere. La cultura è il “contesto vitale” generato dall’uomo e della donna che, allo stesso tempo influisce nel suo modo di essere e di operare108.

L’uomo e la donna vivono nella cultura come nella loro propria casa. In questa dimora si elaborano le relazioni interpersonali e sociali di fronte ai nodi esistenziali che strutturano la vita umana: la relazione con i beni di sussistenza, con se stesso, con gli altri, con la natura, con le tradizioni, con la trascendenza, con Dio.

Paolo era un giudeo di stretta osservanza, ma nato a Tarso, importante centro della cultura greca e porta aperta al mondo occidentale. Oltre alla sua formazione intellettuale, l’esperienza fatta sulla strada di Damasco segnò

106 GIOVANNI PAOLO II, Op. Cit., n. 37 (Cf. anche: Giovanni Paolo II, Il rapido sviluppo, n. 3). 107 Cf. At 17, 22-31. 108 SANTAELLA, Lucia. Culturas e artes do pós-humano. Da cultura das mídias à cibercultura. São Paulo : Paulus, 2003, p. 31.

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profondamente la sua vita. In Cristo ha cercato di unire tutti i popoli con un unico messaggio: l’amore, che genera relazioni di comunione.

Abbiamo già detto che Paolo era di ambiente urbano, e come uomo di una grande città seppe adattare il Vangelo al linguaggio comprensibile nel contesto culturale in cui viveva. Oggi, lo sviluppo della cura pastorale suppone anche considerare e valorizzare gli elementi positivi della cultura e trasformare gli aspetti che non aiutano l’essere umano a vivere con dignità.

I mezzi della comunicazione sociale fanno parte della nostra cultura. Non sono semplici appendici. Hanno penetrato definitivamente nelle abitudini individuali e sociali, e di conseguenza, nella forma di vivere e di convivere. In quanto “mezzi”, non possono essere classificati come buoni o cattivi. Tutti i mezzi di comunicazione sono positivi. Il Concilio Vaticano II aveva già riconosciuto questo chiamandoli “meravigliose invenzioni della tecnica”109. Il problema può sorgere dall’uso dato a questi strumenti.

Che genere di uomo e di donna stanno “generando” oggi i mezzi di comunicazione? Ad esempio, un giovane che passa 5-8 ore al giorno (alle volte di più!) di fronte a un computer navigando in Internet, “cosa cerca?”, “con quale identità si avvicina ad altre persone?”, “chi desidera incontrare?”, “quale contenuto apporta alle sue conversazioni?” Ci sembra che sono domande, fra tante altre, che possiamo fare con l’obiettivo di comprendere la nuova cultura che i mezzi stanno generando.

La cultura in cui viviamo è complessa, e i mezzi fanno parte intrinseca di un modus vivendi. Torniamo dunque alla domanda iniziale: Come salvare la dimensione umanista della comunicazione quando prevale la sua dimensione “strumentale?” Ancora una volta, non si tratta di mettere una forma di comunicazione contro l’altra. Il problema da risolvere è come “umanizzare” la comunicazione, tenendo presente che “tutto quello che è veramente umano è cristiano”110. Ci sembra che questa è una sfida che la “cura pastorale” deve assumere e rispondere.

Conclusione

È impossibile pensare alla “cura pastorale” senza prendere in considerazione la realtà della comunicazione. Nell’approfondire il tema ci siamo resi conto che la comunicazione fece parte del modo di essere di Paolo.

109 Decreto Inter Mirifica, n. 1. 110 “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.” (Gaudium et Spes, n. 1).

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È stato un aspetto della realtà umana che l’Apostolo incorporò alla sua vita e la sviluppò a favore della missione evangelizzatrice.

Come abbiamo visto, Paolo è stato un comunicatore con uno stile proprio, diverso di quello dei missionari del suo tempo, che usando le tecniche di comunicazione erano portati da interessi personali. Egli ci insegna che per un buon sviluppo della comunicazione, dalla prospettiva dell’evangelizzatore, occorre una profonda esperienza di Dio, un contenuto consistente, aprirsi alla cultura del destinatario, usare i linguaggi e i canali adeguati e, infine, scegliere una comunicazione “positiva”. Facendo convergere tutto nello sforzo constante di creare “comunione”, sia nel contatto diretto con le persone, sia attraverso i mezzi della comunicazione.

L’accoglienza e il rispetto dell’altro sono fondamentali per Paolo. Egli aveva coscienza della forza della “parola” che può edificare o guarire, ferire o uccidere. Da questa coscienza nasce l’avvertenza ai membri della comunità di Efeso: “Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano”111.

Molti uomini e donne della Chiesa hanno cercato in Paolo ispirazione per la cura pastorale, tra essi il Fondatore della Famiglia Paolina, il Beato Giacomo Alberione. Egli aveva intuito all’inizio del XX secolo che uno dei bisogni del suo tempo era proprio lo sviluppo della comunicazione. Urgeva cercare mezzi per portare la “Buona Notizia” alle persone che si allontanavano dalla Chiesa. Iniziò con la stampa, e dopo assunse i mezzi tecnici più celeri ed efficaci.

Nel 1960, ancora prima del Concilio Vaticano II, Alberione scriveva: “Se san Paolo vivesse oggi continuerebbe ad ardere di quella duplice fiamma, di un medesimo incendio, lo zelo per Dio ed il suo Cristo, e per gli uomini di ogni paese. E per farsi sentire salirebbe sui pulpiti più elevati e moltiplicherebbe la sua parola con i mezzi del progresso attuale: stampa, cine, radio, televisione”112.

Paolo continua ad essere ispirazione per tutti coloro che credono nell’evangelizzazione con le nuove tecnologie della comunicazione. Seppe usare i mezzi più celeri ed efficaci del suo tempo, con un linguaggio adeguato, senza perdere la dimensione umana. Da lui impariamo che non c’è Chiesa senza comunicazione.

111 Ef 4,29. 112 ALBERIONE, Giacomo. CISP 1152.

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Alla luce della vita di Paolo, ci poniamo alcune domande: immersi nella cultura della comunicazione, dominata da interessi di mercato, qual è la vera motivazione quando il tema è l’evangelizzazione? In un mondo segnato dalla comunicazione strumentale, quale spazio occupa la comunicazione interpersonale? Come ricuperare la dimensione umana e cristiana della comunicazione? Occorre avere chiaro e insistere che “consumatore di nuove tecnologie” tanto diffuso oggi non è sinonimo di “buon comunicatore”.

La Chiesa riconosce che le nuove tecnologie della comunicazione, particolarmente i siti Internet, possono rafforzare e stimolare l’interscambio di esperienze e di informazioni che aiutano a intensificare la pratica religiosa; ciò nonostante, i mezzi di comunicazione in genere non sostituiscono le relazioni interpersonali né la vita comunitaria113.

Viviano in un periodo storico caratterizzato non soltanto da una epoca di cambio, ma da un cambio di epoca114, nella quale la comunicazione è uno dei fattori che sta rivoluzionando la storia dell’umanità. In questa cultura, in cui predomina la comunicazione strumentale, urge ricuperare la dimensione umana, e non perdere di vista i contatti diretti, occhi negli occhi.

Abbiamo presentato in questa riflessione l’Apostolo Paolo come un importante riferimento di comunicatore nella cura pastorale. Egli è il santo che cercò di conoscere il Divino Maestro nella sua pienezza115. Egli fu il seguace di Gesù, il Comunicatore Perfetto che, saggiamente “assumeva la forma di parabola e di storie vivaci che esprimevano verità profonde con termini semplici e quotidiani. Non solo le sue parole, ma anche le sue azioni, in particolare i miracoli, erano atti di comunicazione, puntavano sulla sua identità e manifestavano la forza di Dio. Nel comunicare mostrava rispetto per i suoi ascoltatori, simpatia per le loro situazioni e necessità, compassione per le loro sofferenze e una determinazione risoluta a dire loro ciò che avevano bisogno di udire, in modo da catturare la loro attenzione e aiutarli a ricevere il messaggio, senza coercizioni e compromessi, inganni e manipolazioni. Invitava gli altri ad aprirgli la loro mente e il loro cuore, sapendo che così sarebbero stati condotti a lui e al Padre”116.

Nella seconda parte della nostra riflessione, in pomeriggio, cercheremo di approfondire ancora di più la società in cui viviamo, guardandola dal punto di vista dello “spettacolo”. Torneremo sul tema della comunicazione, 113 Documento di Aparecida, n. 489. 114 Documento di Aparecida, n. 44. 115 AD 159. 116 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI. Etica nelle comunicazioni sociali, 04/06/2000, n. 32.

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integrandola ad altri aspetti correlati, tali come le nuove tecnologie, il consumismo, la pubblicità, il protagonismo della merce, in modo da approfondire ancora di più la cultura in cui siamo chiamati a svolgere oggi la cura pastorale.

Allegato 6

LE SFIDE PASTORALI NEL COSTESTO ECCLESIALE DEL NOSTRO TEMPO

P. Julio Raúl Méndez 20 giugno 2009

1.- Il compito pastorale è inteso come la partecipazione all’opera redentrice di Gesù, come continuità della Sua opera nella diversità delle circostanze di tempo e luogo. Notiamo che:

1.a.- si tratta dell’azione personale di Gesù, il Verbo fatto uomo, iniziata nella terra e continuata fino alla sua Gloria insieme al Padre. 1.b.- è l’opera redentrice degli uomini, i suoi destinatari sono tutti gli uomini. 1.c.- che si continua in modo incarnato, attraverso i fedeli consacrati come presenze sacramentali suoi (i pastori, per il sacramento dell’ordine) e tutti i battezzati in diversi modi (specialmente i religiosi/e consacrati/e a partecipare in un modo speciale a questa opera pastorale). 1.d.- che la moltitudine degli uomini, destinatari della pastorale, esprime sempre una grande pluralità secondo i tempi e i luoghi. 1.e.- che bisogna dare attenzione a questa pluralità, che è in cambiamento.

2.- Prenderemo in considerazione la situazione attuale dell’umanità negli aspetti che costituiscono una sfida per l’azione pastorale. Sfida significa una realtà che presenta difficoltà e provoca a dare una risposta. Faremo attenzione a quello che non risulta facile né gradevole in prima istanza per la Chiesa, ma del quale non possiamo prescindere perché costituisce il nucleo della missione. Osserviamo che si tratta del nostro tempo, pertanto di un contesto ecclesiale che ci appartiene. Allo stesso tempo osserviamo che la Chiesa, nella sua tappa pellegrina, è sempre situata, collocata nel contesto, nei modi reali in cui vivono gli uomini che sono i suoi destinatari e i suoi membri.

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Il nostro sguardo parte dalla fede di sempre, verso la complessa realtà del nostro mondo per discernere i segni dei tempi. Gli aspetti di cui ci occuperemo rispondono a tre requisiti: 2.a.- sono generali (anche se ci sono luoghi e aspetti diversi nei casi particolari). 2.b.- sono diffusi in diverse nazioni e globalizzati. 2.c.- sono rilevanti per l’impegno pastorale.

3.- La prima sfida la troviamo nella situazione che tocca il nucleo stesso della nostra identità ecclesiale e fondamentalmente pastorale. E’ la secolarizzazione antropocentrica.

Facciamo memoria di una scena. Mt 9,35-36 Gesù percorreva per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del Regno e curando ogni malattia e infermità. Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore.

Mc 6,34 Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Qui gli evangelisti ci disegnano il sentimento di Gesù che dà origine alla sua iniziativa pastorale: la compassione. Gesù scopre la sofferenza degli uomini e la fa propria, patisce insieme a loro. La sua risposta è l’insegnamento. Offrire la Verità, offrire Se stesso perché gli uomini non si smarriscano. Per questo si autodefinisce il Buon Pastore, la cui Parola gli uomini possono ascoltare, e la cui voce seguire.

L’essere il Logo, l’essere la Verità danno origine al suo essere Pastore in quanto è una Verità che si dona, mossa per Amore della compassione. Gv 10, 11 Io sono il buon pastore.

Il buon pastore offre la vita per le pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo Pastore.

Questo inno giovanneo accende i nostri animi perchè segna la nostra identità con Gesù e il senso della nostra vita.

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Ma qui appare la prima grande difficoltà contemporanea. 3. a.- Gli uomini del XXI sec. privilegiano l’autonomía.

L’antropocentrismo esclude il riconoscimento della necessità di una guida. La parabola che include di riconoscere se stessi come una pecora, risuona come un’offesa per il progetto dell’Illuminismo, della Liberazione da ogni maestro e tutore (Kant, Niestzche). Questa è la chiave della modernità secolarizzata. Il secolarismo nuoce alla fede e alla religione. Lascia da parte Dio come Colui che dà senso alla vita, nella sua origine, nel suo sviluppo storico e nella sua realizzazione finale. Questo antropocentrismo non segna soltanto le classi sociali superiori, ma penetra anche nei settori meno abbietti. La cultura si globalizza, nonostante i beni offerti non arrivino a tutti. Se ci sono popoli poveri e settori sottosviluppati che ancora non partecipano a questa attitudine sarebbe questione di tempo, molto breve.

3. b.- Nemmeno la compassione è un sentimento che si vuole provocare o ricevere. E’ più forte il vissuto del rivendicare i propri diritti e della propria lotta senza paternalismi.

Ci sono due modi di sentirsi soddisfatti (senza suscitare compassione) per i beni terreni di tipo economico, biologico, affettivo e sociale.

3.b.1. per ottenere il successo in qualche modo 3.b.2. per essere impegnato nella lotta per conseguirli

In entrambi i casi non si include il desiderio del soprannaturale, della comunione con Dio, della salvezza, pertanto non c’è un desiderio incompiuto o incompibile. Ancora di più, la sua inclusione sarebbe un ostacolo: la religione come oppio dei popoli (Feuerbach, Marx), la consolazione dei falliti (Comte), di quelli che non si animano ad essere quelli che sono (uomini). La religione è qualcosa di irreale perchè Dio è morto, dobbiamo assumere il vivere all’intemperie, al freddo dell’assenza di Dio (Nietzsche). Non c’è frustrazione che meriti una compassione né che giustifichi la menomazione di accettare un pastore che mi consideri come una pecora. 4.- Il centro dell’opera di Gesù Cristo non è solamente l’insegnamento della Verità. Non si tratta soltanto di un Maestro alla cui dottrina si aderisce. Egli provoca una vera trasformazione nella riconciliazione degli uomini con Dio, attraverso il sacrificio del suo sangue per il perdono dei nostri peccati. La chiave del ministero pastorale sta qui.

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2Cor 5,16-20 Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne;….

Il bisogno della riconciliazione ha origine nella necessità di essere perdonati, per aver peccato. Mt 9,1-9 … Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». … (paralleli Mc. 2, 1-14; Lc. 5, 17-28).

Alla comprensibile critica del perchè pretendere di avere autorità per perdonare i peccati, Gesù rispose con il segno della guarigione del paralitico. Ma la risposta definitiva sta nella consegna del suo proprio sangue come sacrificio per il perdono dei peccati.

Mt 26,26-28 Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, … (paralleli Mc. 14,22-25; Lc. 22,19-20; I Cor. 11,23-25).

Perchè questo ministero del perdono possa continuare, Gesù chiama Matteo e gli altri discepoli. Non soltanto per insegnare, ma anche per mettere in pratica. Il mandato evangelizzatore include, come momento centrale, il mandato santificatore attraverso i sacramenti.

Mt 28,19-20 Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,…

Lc 22,19-20 Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: ….

San Paolo si preoccupa di spiegare che questo è il centro del suo ministero, tale e quale lo aveva ricevuto (I Cor. 11,23-25). Ma questo ministero di riconciliazione ha due problemi:

4.a.- L’obiezione classica dell’accettazione della mediazione umana nel perdono divino (perché devo dire i miei peccati al sacerdote?). Già espressa a Gesù Cristo. E’ il problema della fede nell’Incarnazione.

4.b.- Ma più grave è la mancanza della coscienza di peccato, pertanto la mancanza di consapevolezza della necessità del perdono. Il primo si può risolvere nell’approfondimento della fede nell’Incarnazione. Il secondo proviene dall’immanentismo: tutto rimane nell’orizzonte umano. Nonostante si riconosca Dio, si pensa che i nostri atti non possano offenderlo. E in più se Dio è così buono, come può sentirsi offeso! D’altra parte, per l’ideale illuminista della liberazione dell’uomo che afferma se stesso soltanto in se stesso, è fondamentale lo sradicamento del senso di colpa (S. Freud).

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5.- Quando si supera l’antropocentrismo secolarizzato e l’uomo attuale si apre alla religione, appare una terza sfida per il cristianesimo che proclama Gesù come l’unico mediatore tra Dio e gli uomini, come l’unico Salvatore. Gv. 15,5 Io sono la vite, voi i tralci….

Gv 6,48-53 Io sono il pane della vita

Gv 14,6 Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Con grande coraggio Pietro proclama davanti al Sinedrio:

At 4,11-12 Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori,…

Questa proclamazione genera difficoltà in un contesto di relativismo. Viviano in un clima dove l’assoluto, quello che si vuole tenere come la verità oggettiva, il bene in sé, non trova posto. E’ radicato il pluralismo in tutti i campi, tutto può essere accettato nella stessa maniera. Alla fine, tutto dipende dal fatto che ci siano alcuni che l’accettino, ma non si può pretendere che altri l’accettino. Questo pluralismo relativista è lo scenario nell’ambito dei valori (l’assiologia), delle culture e delle religioni.

Quando la fame di Dio riesce a frammentare il secolarismo appare una molteplice offerta di religioni come articoli di consumo. Si tratta di esperienze che cercano il benessere, le emozioni, la prosperità e la salute. Dio in questo caso non è il centro. Poiché il centro si è spostato dall’oggettivo al soggettivo, non c’è posto per una discussione né per un proselitismo. Tutto si può centrare nel proprio io, nelle sensazioni che mi produce. Se mi piace una religione posso aderire ad essa, quando mi piace un’altra posso trasferirmi nell’altra (come chi fa lo zapping con i programmi della tv)

Quando la pietà popolare (a tutti i livelli sociali) non è ben radicata può scivolare verso queste offerte o anche verso le forme di auto-aiuto che combinano una psicologia leggera e una religiosità gregaria o di imitazione (anche con riferimenti cattolici).

6.- Nel ministero della rivelazione di Dio e della riconciliazione con Lui, Gesù a partire dalla sua mediazione unica e definitiva ce lo ha mostrato come nostro Padre.

Gv 1,18 Dio nessuno l’ha mai visto:proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

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Gv 14,1-11 Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me….

Quando ci insegna a pregare ci dice: Mt 6,9 Voi dunque pregate così: Il Padre nostro Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; (…), (paralleli Lc. 11,1-4; Mc. 11,25).

Ma diversamente dalla richiesta di Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta», per gli uomini di oggi, molte volte, la figura del padre non dice loro qualcosa di attraente: perché non hanno avuto famiglia, perché hanno avuto un padre assente, perché il desiderio di liberazione attacca la figura del padre qualunque essa sia: si definisce come una figura castrante (Freud). Viviamo in una cultura della morte del padre e della sfiducia nei legami familiari. Questi sono percepiti come lacci.

7.- Che ci sia una sola Verità, un solo Dio e Padre, un solo Mediatore Gesù Cristo, un unico sangue che salva, un unico Buon Pastore non significa che la molteplicità degli uomini di tutti i tempi e luoghi rimangano abbandonati, perchè il Gesù terreno pose dei limiti alla sua attività e perchè adesso Gesù Cristo glorioso non è visibile.

Per assicurare che ogni uomo possa essere raggiunto da Lui e dalla sua opera, istituì il ministero pastorale e tutte le forme di apostolato. Tutti gli agenti di pastorale operano nel Suo Nome. La dichiarazione di Pietro mette in risalto che l’apostolato non si fa con le forze umane ma soltanto con la forza del Nome di Gesù. At 3,6 Ma Pietro gli disse: "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!".

At 10,39-43 E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme…

Si tratta del compimento dell’opera affidata da Gesù: Mt 16,18-19 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa … (paralleli Mc 8,27; Lc 9,18-21).

Mt 18,15-18 Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo;… (paralleli Lc 17,3).

Quello che è affidato da Gesù come un servizio agli uomini, quello che è offerto dagli agenti di pastorale come doppio servizio a Gesù e agli uomini, è percepito come un atto di potere.

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Certamente è un esercizio di potere, ma del potere di redimere. Purtroppo tutto quanto è autorità e potere è sospettato di essere una negazione della dignità umana (Foucault). I compiti di discernere e di decidere con autorità, cioè con valore obbligatorio per altri è fortemente questionato. Chi si presenta come chi serve è sospettato di voler manipolare abusivamente la vita degli altri.

8.- Dal panorama descritto, con tanti ostacoli, sembra sorgere uno scenario scoraggiante che induce a darsi per vinti. Questo può accadere quando vediamo calare la partecipazione dei fedeli, come si frantumano le istituzioni, la mancanza di vocazioni, la fragilità delle nuove vocazioni, gli abbandoni nella vita consacrata, gli attacchi nei mezzi di diffusione alla Chiesa, le scandalose non autenticità tra di noi, l’indifferenza religiosa, la mescolanza di fede e superstizione, ecc. Ma il discepolo non è da più del Maestro (Mt 10,24).

Gesù è stato tradito direttamente da un discepolo, rinnegato dal primo, i parenti lo hanno preso per matto, quello che insegnava sembrava molto duro alla gente. La sua risposta è stata:

Gv 14,11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.

Quali sono state le sue opere? At 10,37-42 Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni;…

At 10,30-34 Dopo esser passato sopra ai tempi dell’ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, …

Qui ci sono due elementi: 8. a.- da parte di Gesù: fare il bene, esercitare un amore effettivo, inarrestabile. Gv 15,13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.

E lui l’ha fatto.

Gv 13,1 Li amò sino alla fine; Gal 2,20 mi ha amato e ha dato se stesso per me;

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Ef 5, 2 Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.

8. b.- da parte di Dio Padre: dargli credito con la risurrezione. La consegna di Gesù non rimane nella frustrazione, non rimane nella morte.

Gv. 10,17-18 Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. … Il grande paradosso cristiano si trova nella sequenza indissolubile di morte e risurrezione. E’ il circolo dell’amore: donandosi giunge alla pienezza.

La preghiera chiamata di San Francesco d’Assisi lo riassume molto bene: donando si riceve. Nella morte la risurrezione. Ma come discepoli di Gesù ci tocca dare, il ricevere è nelle mani dell’Amore di Dio. Per questo il mandato è: Gv 15,12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Essere come il samaritano di Lc 10,33: che si ferma e si fa carico di fronte al bisogno manifesto: Mt 14,16 date loro voi stessi da mangiare.

Consegnare quanto siamo e abbiamo in talenti, doni, beni, tempo, con tutto ciò che possiamo (non intendere la frase “faccio quello che posso” come “faccio poco e pressa poco”, ma come “non trattengo nulla” “mi dono integralmente”). Come il bambino dei cinque pani e i due pesci (Gv 6, 9). Non come chi vuole custodire la sua vita per se stesso e finisce per svuotarla (Gv 12, 25): l’egoismo è infecondo, l’amore genera vita e gioia.

9.- Nei discepoli di Gesù non c’era una capacità speciale per capire ciò che predicava, né per loro era più facile che per gli altri. Di fatto anche loro lo lasciarono solo nel momento della crocifissione.

Ma l’esperienza dell’amore, che non risiede nel fatto che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ci ha amati per primo (I Gv 4, 10.19), generava nei discepoli un vincolo di fiducia che li apriva all’accettazione della Parola quando molti si ritiravano.

Gv 6,66-67 Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui…

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Senz’altro l’accettazione della fede è opera congiunta della libertà umana e della grazia di Dio che prende l’iniziativa (Mt 16,17 né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli). Il dono della Grazia è l’amore di Dio in noi. Per questo soltanto l’amore apre all’accettazione della fede; solo nel grembo dell’Amore si genera la fede.

L’amore sempre parla e apre alla relazione. Scoprirsi amato fa prendere coscienza della propria dignità. Scoprirsi amato da Dio attraverso la sua Chiesa svela l’identità di figlio di Dio. Il legame tra l’Amore e la Verità è ciò che Gesù indicava dicendo di credere per lo meno per le sue opere, nell’insistere che è il Buon Pastore che dona la vita per le sue pecore, nel realizzare miracoli come segni.

Quando la gente si fermava solo ai pani moltiplicati, rimaneva a metà strada (Gv 6,26). Essere amici di Gesù, destinatari del suo Amore, è ricevere la Verità quando ci fa conoscere tutto ciò che ho udito dal Padre (Gv 15,15).

Il nostro apostolato non può essere concepito senza la priorità dell’Amore. Se manca l’Amore tutto è inutile (1 Cor 13,2). La nostra iniziativa deve essere sempre quella di mostrare questo Primo Amore che scende incondizionatamente da Dio.

L’amore è: 9.a.- il criterio con il quale si verifica e discerne ogni progetto e ogni azione, in tutti i suoi passi; 9.b.- sempre il primo passo, che bussa alla porta del cuore e all’udito per offrire la Parola.

Saremmo giudicati per le opere (Mt 25,35-36: ho avuto fame e mi avete dato da mangiare...). Questo significa che l’amore è l’ortodossia fondamentale.

A partire dalle opere dell’amore ha luogo la presentazione della Parola, come chi dà ragione della speranza (1Pt 3,15) che lo sostiene in questa azione. La Verità dell’annunzio è ineludibile perchè l’amore cristiano manifesta la sua identità, è continuità dell’Amore del Padre; non è iniziativa filantropica nostra.

Il contenuto basilare e centrale dell’annuncio evangelico è che Gesù Risorto ci dà lo Spirito Santo riconciliandoci con Dio Padre, dal quale proveniamo, restituendoci così la nostra massima dignità nella comunione con Dio e con tutti gli uomini. Che in questa vita, progressivamente sviluppata, si trova la nostra felicità.

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Così vediamo che il nostro servizio pastorale ha anche la figura del seminatore. Chi semina è sempre Dio, noi collaboriamo con Lui. Dice San Paolo ai Corinzi 1 Cor 9 11 noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali. Collaboriamo nel seminare, nel piantare, ma la crescita e il frutto vengono dalla Grazia di Dio che agisce misteriosamente nel cuore libero dell’uomo. Dice Paolo 1 Cor 3,5-6 Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? …

“A noi appartiene il mettere amore e simpatia accogliente per offrire in diversi modi un accesso alla Parola di Verità e di Vita:

nel dialogo personale; condividendo nella preghiera e iniziando ad essa; nella catechesi; nelle riflessioni con i gruppi; nella lectio divina; nei ritiri spirituali; nei mezzi di comunicazione e internet; nell’insegnamento di religione a scuola; offrendo liturgie con unzione, preparate con pietà e bellezza (messa,

liturgia delle ore). sottolineando la Domenica come il giorno del Signore.

Aprire ad ogni un uomo le porte all’esperienza di Dio nella fede è il suo radicarsi nel massimo livello, è la più grande elevazione umana. E’ allo stesso tempo il suo radicarsi nella gioia. Siamo seminatori della gioia serena, quella che hanno cantato gli angeli ai pastori: pace in terra agli uomini amati dal Signore (…)”.

10.- Sebbene l’opera della conversione alla fede si realizza nel misterioso segreto dell’anima di ogni persona, per l’azione della Grazia e della libertà, la nostra cooperazione esteriore è attiva. Non è possibile rimanere indifferenti.

Per questo, oltre essere pastori e seminatori, siamo pescatori di uomini (Mt 4,19; Mc 1,17; Lc 5,10).

Questa figura indica la nostra delicata attenzione ai processi personali. Quello che avviene nella vita delle persone nella sua relazione con Dio non è qualcosa di straneo a noi. Tutto il servizio dell’amore in opere di misericordia e di accoglienza, rimarrebbe incompleto senza la semina della testimonianza del Messaggio della salvezza e dell’accompagnamento spirituale per far fruttificare la Parola nell’interiorità delle persone. L’apostolato coniuga l’impulso missionario per servire alla reale ed effettiva riconciliazione con Dio e l’accurato rispetto della libertà e dei processi interiori delle persone. Facendoci tutto a tutti, gioendo con coloro che gioiscono,

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piangendo con coloro che piangono (Rom 12, 15) senza diluire né tacere dell’amore e dell’annuncio della Verità. Non è una reciproca esclusione: ricerca attiva delle persone o rispetto per la loro libertà religiosa; ma al contrario: servizio per l’incontro libero di ogni persona con la fonte dell’Amore e della Verità. San Paolo ci dice come sia proprio dell’apostolo lo zelo pastorale, non in funzione di legare le persone a se stessi o di fare di loro il nostro rifugio affettivo. Non si tratta di uno zelo tra gli agenti di pastorale, che divide e rende sterili perché nasconde Cristo (Gal 4,17). Si tratta di una cura molto attenta nell’aiutare ognuno nel suo incontro e vita di comunione con Gesù; si tratta della cura delle persone da parte di Dio stesso, come strumenti suoi: 2Cor 11,2 Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, …

Questo artigianato paziente della nostra pastorale è quello che genera vita, per questo possiamo anche considerarci participi della paternità e maternità di Dio (1 Cor 4,15). Con grande gaudio partecipiamo come strumenti ai processi di gestazione, nascita e sviluppo delle vite in Cristo.

11.- Sebbene l’atto di conversione alla fede è sempre personalissimo, anche la fede, come ogni cosa che fa parte della persona, cerca di farsi cultura. Una fede che non si fa cultura è una fede non pienamente assunta e molto chiusa.

E’ una grande illusione antropologica volere una vita di fede senza espressione, senza continuità in sostegni strutturali, senza frutti storici. La rottura tra fede e cultura è un dramma del nostro tempo, in doppio senso:

- è un segnale e fattore di perdita di credibilità - è una tentazione pastorale incorporata come progetto di una fede

esclusivamente interiore. Di per se la fede genera uno stile di vita cristiano e modi cristiani di convivenza, che plasmano in strutture sociali cristianizzate. Che queste manchino è un difetto. Non è un obiettivo da cercare, come se fosse più autentica la fede impossibilitata ad esprimersi o ad avere continuità e sorreggersi in strutture di relazioni umane. Per questo Gesù stesso si dichiara costruttore di una struttura che è la Chiesa.

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Lo stesso Pietro che Gesù ha nominato pastore con l’incarico di pascere le sue pecore (Gv 21,15-19), che chiamò pescatore di uomini (Lc 5,1-11), lo chiama anche pietra per costruire la sua comunità, la Chiesa: Mt 16,18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa. Le strutture comportano tempo, possono crescere e decrescere. Pietro e noi siamo pietra dell’edificazione della Chiesa per la partecipazione alla vita di Gesù che è la pietra principale (Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17; Act 4,11; Ef 2,20; 1 Pt 2,7). A noi appartiene il ruolo di pietre vive (1 Pt 2,5), così vive che partecipiamo anche del mestiere del costruttore Gesù. Mai siamo pietre morte, passive nelle sue mani. La docilità e l’impegno apostolico ci fanno attivi nel pensare e nell’agire nella costruzione della Chiesa durante la vita terrena, in ogni ambito umano. I pastori, i seminatori, i pescatori, i padri e le madri, siamo anche pietre vive e costruttori di strutture ecclesiali in ogni ambito umano. Il libro degli Atti degli Apostoli ci mostra come avviene questo processo. Nel racconto dell’attività di Paolo, di Pietro e degli altri ci dice: At 9,31 La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo. Lo stesso Paolo:

- capisce il suo ministero come quello di un costruttore (Rom 15,20); - per questo prende come criterio di vita non solo l’evitare ciò che è

peccaminoso ma anche ciò che non sia di edificazione per la comunità (1 Cor 10,23-24 Tutto è lecito!". ..).

- discerne tra i carismi quelli che servono per edificare la comunità (1Cor 14,2-4 Chi infatti parla con il dono delle lingue non parla agli uomini, ma a Dio,…).

- Capisce anche che bisogna modificare le strutture di peccato e non tornare a istallarli sopprimendo la novità trasformante del Vangelo (Gal 2,18 Infatti se io riedifico quello che ho demolito, mi denuncio come trasgressore.).

Nei secoli di cristianesimo il seme del Vangelo fruttificò in molte strutture, fece la Chiesa e la cultura cristiana. Generò istituzioni come gli ospedali, le scuole, gli asili, le opere di assistenza, di pensiero, di progresso scientifico e tecnologico, di riconoscimento dei diritti, ecc.

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Ci sono nomi molto conosciuti e altri anonimi per noi, ma presenti nella memoria di Dio. I processi umani non sono mai statici né definitivi, il dinamismo creativo dei cristiani è sempre stimolato a discernere e dare le risposte necessarie. Anche nel nostro caso nei luoghi di missione dove c’è da piantare la Chiesa sin dalle sue radici, dove la Chiesa è viva e dove la Chiesa fu fiorente e generò strutture, ma che oggi sono deboli, in crisi o stanno perdendo la loro natura.

12.- Come esercitare la nostra identità di pastori, seminatori, pescatori, padri e madri, pietre vive e costruttori di comunità e di strutture veramente umane e cristiane? Facciamo memoria che il cuore dell’uomo è fatto per Dio, che cerca Dio anche senza saperlo, senza esserne consapevole. Il cuore umano ha bisogno di percepire Dio, in qualsiasi modo per rendersi conto che soltanto Lui soddisfa i desideri umani. L’inizio della risposta al secolarismo sta nel desiderio di Dio, innato nell’uomo, posto da Dio stesso. E’ necessario trovare segni di Dio. A noi tocca offrire uno stile religioso di vita, una personalità impregnata di fede, gesti e segni eloquenti del cristianesimo. L’amore vissuto fa sperimentare l’attrattiva per la bellezza della bontà in legami sani, di servizio disinteressato. L’amore parla e attira. Mostrare con i fatti il riconoscimento della dignità umana, scoprire nell’uomo il suo vero volto molte volte oltraggiato. Questa è la risposta alla cultura della morte del Padre e al sospetto del Potere. I gesti chiari di un amore che fa trasparire la sua origine in Gesù risveglia il bisogno radicale di figliolanza che c’è nell’uomo; superando il timore ad una paternità che frustri. Questi stessi atti d’amore, togliendo le pregiudizi e i sospetti di un Potere che voglia sottomettere, sono quelli che possono guarire la durezza del cuore e aprirlo ai legami della comunione. Quando l’amore e la religiosità aprono il cuore e si mostra che la sua origine è Cristo crocifisso appare il senso del peccato e il senso della redenzione. Così si scopre l’orizzonte del male e dell’ingiustizia nel mondo.

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La scoperta di Cristo risorto apre alla comprensione che siamo chiamati ad una vita più degna, più piena, al di là del dominio del male e della morte. In comunione con la Vergine Maria, i santi e i martiri. Questa conversione nella misura che genera l’identità del cattolico risveglia l’identità del membro attivo della Chiesa. La vita dei membri della Chiesa non ci isola dal mondo. Non si tratta di coltivare uno stile ecclesiocentrico che allontani dalla realtà quotidiana. Ma al contrario, si tratta di cristianizzare la vita. Che la Chiesa sia, in se stessa e nella sua missione nel mondo, casa e scuola di comunione con Dio e fra gli uomini. 13.“Quali sfide speciali abbiamo oggi nel clima del secolarismo, del relativismo, del rifiuto della paternità, dei legami e del servizio dell’autorità? Guardiamo alcune strutture e criteri che rispondono alle sfide attuali:

Coltivare legami da persona a persona. Aiutare a maturare la vita di fede con pazienza. Aiutare a scoprire la presenza di Dio e iniziare alla vita di preghiera e alla liturgia.

Sviluppare simpatia per i giovani, cercare di capire i loro ambiti e linguaggi. Con grande autenticità, senza mimetizzarsi con loro. Ascoltare le loro inquietudini (dei giovani), i richiami, le aspettative e i progetti per discernere quello che chiede Dio come modo nuovo di legarli a Lui.

Scoprire i nuovi poveri (anziani, persone sole, migranti, ecc) Dedicare speciale attenzione al discernimento vocazionale. Fortificare il

tempo del noviziato e sviluppare una formazione all’altezza della cultura contemporanea.

Prendere in considerazione la diversità uomo e donna. Incorporare nelle strutture ambedue i generi con il loro (proprio) profilo e promuovendo una uguale dignità e partecipazione (protagonismo).

Nel relazionarsi con uomini e donne apportare con spontaneità il carisma della castità consacrata; come segno di appartenenza totale al Signore e come un ministero di testimonianza della sessualità assunta.

Coltivare l’apprezzamento per le famiglie; avvicinarsi ad esse per offrire loro un contatto arricchente con la vita consacrata.

Apportare nella Parrocchia un criterio di unità e diversità. Offrire nella convivenza parrocchiale la presenza del carisma della vita consacrata.

Integrarsi nelle scuole, liceo e università. Distinguersi per la preparazione specifica, lo spirito di servizio e di comunione.

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Integrarsi nelle Comunità Ecclesiali di Base apportando un criterio di ecclesiologia di comunione, nell’unità e nella diversità. Rendendo presente il carisma della vita consacrata.

Partecipare dei mezzi di comunicazione e internet con idoneità e identità. Essere attenti ai nuovi cammini che le circostanze ci presentano.

Ricordare che l’uomo è la via della Chiesa: sempre ci sono nuovi cammini umani dove rendersi presenti, come ha fatto Gesù nel cammino di Emmaus.

Far presente nelle attività i criteri di pace, di ecologia, di inclusione sociale e di trascendenza.

La comunità religiosa sia una casa fraterna, unificata nell’Amore a Dio e nella missione. Ci sia un clima di famiglia, così i suoi membri potranno farla trasparire fuori.

Integrarsi in azioni comuni di tipo ecumenico e interreligioso. Mettere in relazione la fede con la vita dei fedeli, ma sapendo che non

tutto si può risolvere a questo livello. Facciamo storia ma con senso trascendente, escatologico.

Captare le modalità e culture locali, ma facendo rimanere il senso ecclesiale e l’identità del carisma. Quando il carisma della Congregazione è stato assimilato dalle fonti del Fondatore, lo si può adattare alle diversità senza tradirlo.

Coltivare uno sguardo di futuro, di speranza. Non fermarsi in quello che si è raggiunto, la gente cambia, le circostanza si modificano. Sono il rinnovamento delle sfide.

14.- Lo svolgimento della vita cristiana lo facciamo tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio per lo Spirito Santo (Gv 15,18 – 16,15). Le sfide e le ostilità non significano che il Signore abbia abbandonato la barca. Lui è con noi; non ci abbandona nella tormenta. Lo stesso Gesù visse nel Getsemani (Mt 26,38-39; Lc 22,44) e nella croce l’esperienza di sentirsi affettivamente abbandonato dal Padre (Mt 27,46-50; Mc 15,33-37), nonostante fosse consapevole che era sempre unito a Lui (Gv 14,10, e che Lui sempre l’ascolta (Gv 11,41-42). Per questo ha potuto abbandonarsi nelle mani del Padre (Lc 23,46; Gv 19,30). E’ andato avanti con la sua opera senza lasciarsi cadere nella tristezza e nello scoraggiamento; consegnando tutta la sua vita al Padre. Ciò che dal di fuori sembrava la rottura, l’abbandono di Dio era in realtà il suo ritorno al Padre, che era sempre con Lui e non lo lasciava mai da solo (Gv 16,16-33).

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Per questo il Padre lo ha risuscitato e vive glorioso inviandoci il suo Spirito d’Amore, di Luce, di Verità, di Consolazione, di Pace (At 2,32-33; 3,15; 4,10-11).

Per vivere la nostra partecipazione all’opera di Gesù, che include croce e risurrezione, è necessario coltivare una preghiera contemplativa. Il soffermarsi nella contemplazione del volto di Gesù ci porta ad imparare a guardare le realtà con i suoi stessi occhi. Così appare il vero volto dell’uomo. Non quello che possiamo progettare noi. Sappiamo che Gesù è sempre con noi sino alla fine dei tempi (Mt 28,20). In modo da vivere straordinariamente l’ordinario; vivere soprannaturalmente il quotidiano: come nell’intimità della Sposa (2 Cor 11,2). Da una Sposa limpida e senza macchia che guarda in uno specchio la sua fedeltà nel volto dello Sposo (Ap 19-22). Questo volto che non si delinea sufficientemente nei Dieci Comandamenti ma completa il suo profilo nelle Beatitudini (Mt 5,2-20; Lc 6,20-23).

Non ci appartengono la ricerca né l’accettazione del male minore. Ci appartiene fare sempre il maggiore bene possibile come pastori, seminatori, pescatori, padri e madri, pietre vive e costruttori in una missione che ci ha affascinato e non possiamo abbandonare senza trascurare di essere noi stessi. (1 Cor 9, 16).

Nella nostra missione ci manca ancora un profilo, che si unisce alle immagini precedenti. Siamo anche Coltivatori . La chiamata vocazionale di Mc 4,26-29 è a partecipare alla raccolta. Perché la semina principale e la crescita redditizia la fa proprio il Signore con il suo Spirito. Non siamo noi i principali attori, però siamo convocati come operai in un’attività che è in piena marcia. In questa misura della chiamata possiamo dire: Signore, nulla senza di Te; nulla senza di noi. Allegato 7

INFORMATIVO N. 2

20 giugno 2009

“Maria meditava nel suo cuore tutto cìò che assimilava con la lettura, la vista,l’udito;

e che crescita grande realizzava nella fede,

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che acquisto faceva in meriti, di quanta saggezza veniva illuminata

e di quale incendio di carità andava sempre più avvampando”.

Dai sermoni di San Lorenzo Giustiniani, vescovo.

Carissime sorelle,

eccoci a voi per la seconda comunicazione sul lavoro intercapitolare che ci ha impegnate nei giorni 17-19 giugno: ascolto della relazione del Governo Generale e delle nove Circoscrizioni. La conoscenza della realtà che vive la nostra Congregazione ci ha portato a esprime gratitudine al Signore per quello che, con l’impegno di tutte le sorelle, si è operato per il bene delle Chiese nelle diverse parti del mondo dove viviamo la nostra cura pastorale.

In risposta all’obiettivo del 7^ Capitolo Generale, in ogni relazione, è stato sottolineato, particolarmente, il cammino comune della riscoperta del nostro battesimo che ci porta a vivere la nostra consacrazione in continua conformazione a Cristo Pastore.

Nella preghiera abbiamo presentato al Signore, in spirito di umiltà, sia l’esperienza condivisa del nostro servizio dell’autorità, sia la vita delle Circoscrizioni con le difficoltà, le attese e le speranze di ciascuna.

Il giorno 18 giugno, P. Valdir de Castro, Superiore Provinciale della SSP della Provincia Argentina-Cile-Perù, ci ha accompagnato col tema La comunicazione nella “cura pastorale” alla luce dell’apostolo Paolo. Viviamo in un contesto di ‘molta comunicazione’ grazie ai mezzi mediali, ma è venuta meno quella vera, quella della relazione tra persone che solo può creare comunione. L’Apostolo Paolo era un grande comunicatore. Nell’evangelizzazione privilegiava il contatto personale, le visite alle comunità e quando scriveva lo faceva per rispondere alle necessità dei fratelli. Le lettere non erano fine a se stesse ma “portavano dentro la sua presenza”. Paolo era un grande comunicatore perché aveva chiaro il messaggio di Gesù, ma soprattutto perchè ha fatto l’esperienza personale di Gesù.

Sabato, 20 giugno, siamo state arricchite dalla relazione di P. Julio Raul Mendez, sacerdote diocesano dell’arcidiocesi di Salta, su Le sfide nel ministero pastorale. Il messaggio cristiano da portare non cambia, ma occorre calarlo nelle mutate e difficili situazioni di vita. Far accettare la Parola non è stato facile per Gesù e nemmeno per gli Apostoli. Qual è la strada per far accettare l’opera di Gesù? Non è un fatto di sola intelligenza ma è l’esperienza dell’amore. Le opere dell’amore sono il criterio dell’identità cristiana: in questo vi riconosceranno. P. Julio ha poi ampliato con significative metafore la figura

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evangelica del pastore: quella del seminatore, del pescatore, del padre e della madre, delle pietre vive/costruttore, del coltivatore e del servo/amico.

Dall’esposizione abbiamo potuto vedere come tutto l’ambiente umano può essere occasione per esprimere il nostro carisma. Ha posto l’accento sulla realtà giovanile e sul discernimento vocazionale, ma anche sulla formazione liturgico-sacramentale che accompagna l’uomo lungo tutta la vita e lo introduce gradualmente nel mistero pasquale di Cristo.

Dopo ogni relazione abbiamo lavorato singolarmente e in gruppo per raccogliere le interpellanze e gli elementi utili nella dinamica della cura pastorale.

Nella serata abbiamo appreso la notizia della morte improvvisa del fratello di sr Luz Mary Oliveros. Accompagniamo con la preghiera lei e la sua famiglia in questo momento di dolore in cui il Signore chiama a partecipare del suo mistero pasquale.

Accogliendo l’invito del Governo Generale all’adorazione notturna che si concluderà con la preghiera delle Lodi, domani, giorno del Signore, abbiamo scelto di stare davanti a Gesù Eucaristia per ricordare tutte voi e le necessità della nostra Congregazione. Fraternamente,

Per le sorelle Intercapitolari sr Ana Acero e sr Lucia Varo

Allegato 8

INFORMATIVO N. 3 25 giugno 2009

Gesù disse ai suoi discepoli: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica

è simile ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.

Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa

ed essa non cadde perché era fondata sopra la roccia. …”. Dalla Liturgia del giorno.

Carissime sorelle,

non chiunque dice “Signore, Signore” entrerà nel regno dei cieli, ma colui che si mette umilmente davanti al Signore per ricercare la sua volontà e per compierla. Per noi Pastorelle, questo significa guardare sempre Gesù buon Pastore e in Lui, roccia di salvezza, rendere salda nella fede la nostra vita e quella della nostra Famiglia Religiosa.

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La Parola del Signore ci inserisce sempre nel clima di discernimento, che stiamo vivendo in questa fase di Intercapitolo e che ci chiede di riflettere su alcuni argomenti di interesse comune. Domenica, 21 giugno, primo giorno della settimana, abbiamo fatto il pellegrinaggio al santuario dedicato alla Madonna di Lujan, patrona dell’Argentina. Insieme a un popolo numeroso, venuto a venerare la Vergine Maria, abbiamo celebrato l’Eucaristia. Al Signore per le mani di Maria abbiamo presentato ogni sorella della Congregazione e pregato per le vocazioni. Al ritorno, la condivisione del pranzo con le sorelle delle due comunità di san Miguel, è stato un momento di gioiosa fraternità. Nel pomeriggio abbiano ripreso i lavori intercapitolari. Siamo state invitate al clima di discernimento per lasciarci illuminare dallo Spirito sul primo argomento di interesse comune: il senso dell’appartenenza alla nostra famiglia religiosa oggi e a condividere nel gruppo gli elementi importanti necessari per rafforzarlo e trasmetterlo. Abbiamo continuato a considerare il tema dell’appartenenza anche nella giornata di lunedì 22 giugno, attraverso altri argomenti di interesse comune.

Martedì 23, abbiamo riflettuto con la stessa metodologia sul tema: Acquisire nel nostro cuore e nei pensieri la povertà evangelica e le sue vie. Hanno favorito la riflessione le schede preparate dal Governo Generale e il Progetto Economico Generale. Mercoledì 24, si è dedicata la mattinata alla visita culturale di Buenos Aires per conoscere la città. Nel pomeriggio abbiamo visitato la comunità provinciale e l’editoria della Società San Paolo nel centro cittadino di Buenos Aires. I nostri fratelli paolini ci hanno accolto con disponibilità e mostrato il loro ambiente di lavoro. È stata interessante la presentazione della nuova impostazione organizzativa che stanno sperimentando da qualche anno e che ha centralizzato il movimento editoriale ed economico di più librerie tra cui anche una libreria on-line. Oggi, giovedì 25, abbiamo continuato la riflessione su: I cooperatori paolini della suore pastorelle, alcune urgenze pastorali (vie nuove): migrazione, ecumenismo, le nuove aperture missionarie. L’esito della riflessione e della ricerca sarà sottoposto ad ulteriore discernimento per arrivare a delle scelte concrete. Abbiamo concluso la giornata con la preghiera dei Vespri. Dalle comunità continuano ad arrivare auguri e il sostegno della preghiera: ringraziamo tutte di cuore. Fraternamente A nome delle intercapitolari sr Ana Acero e sr Lucia Varo

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Allegato 9

INFORMATIVO N. 4

28 giungo 2009

“E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate… né vi turbate,

ma adorate il Signore, Cristo nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione

della speranza che è in voi.” 1 Pt 3, 14-15 Carissime sorelle, i lavori intercapitolari sono giunti ormai al termine. Possiamo veramente lodare e ringraziare Gesù buon Pastore che è stato con noi con la sua Luce e la sua Grazia. Ci ha accomunato la reciproca vicinanza della preghiera di cui abbiamo sentito la forza e la ricchezza dei frutti. Nei giorni, 26 e 27 giugno, abbiamo fatto sintesi di quanto è emerso nella riflessione della sessione intercapitolare arrivando a delineare un cammino comune di Congregazione per i prossimi anni: 2009-2011. A partire dall’obiettivo del 7^ Capitolo Generale - che ci ha maggiormente inserite nel cammino di conformazione a Cristo Pastore e ci sta sollecitando a qualificare il ministero di cura pastorale - in questi anni abbiamo particolarmente curato la vita spirituale ponendo al centro la Parola di Dio, l’Eucaristia, la preghiera di discernimento per una rinnovata missione pastorale. Ora, continuando in questo cammino di conformazione, siamo invitate a manifestare con più convinzione, nella vita di ogni giorno, la ragione della speranza che è in noi: rivitalizzando la nostra Professione Religiosa, manifestando maggior senso di appartenenza alla Congregazione, esprimendo con zelo la cura pastorale nella triplice opera, riletta nell’oggi. Accogliamo l’apertura dell’Anno Sacerdotale come tempo di grazia e ulteriore occasione per approfondire la realtà carismatica di Pastorelle in mezzo al popolo di Dio. Un’altra opportunità privilegiata per la nostra Congregazione sarà il Seminario di cura pastorale (giugno 2010), durante il quale si rifletterà e approfondirà il tema della missione pastorale che ci condurrà verso l’8°CG. Oggi, 28 giugno, abbiamo approvato la sintesi con gli orientamenti comuni per tutta la Congregazione e accolto la riflessione conclusiva della superiora generale, sr Marta Finotelli. Nella preghiera finale abbiamo vissuto

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un momento molto significativo, nel quale si è ripetuto il segno fatto in apertura, nominando ad una ad una le sorelle della terra e del Cielo. Poi con il tassello di puzzle consegnatoci all’inizio dell’assemblea intercapitolare, abbiamo composto l’icona di Gesù Pantocrator che portava stampato sul retro il capitolo 12 della lettera di San Paolo alla comunità di Roma, espressione visiva del cammino di comunione tra noi. A tutte un grazie per la vicinanza con la preghiera e i messaggi augurali. In questo giorno, la festa si fa più densa di gratitudine e di lode per la Professione religiosa della novizia Romina Paola Jalil della delegazione ARG-BO. A lei auguriamo di vivere con vera gioia e fedeltà la vocazione di Pastorella che il Signore le ha donato. Questo augurio va anche ad Analiesis Leslie della delegazione CO-VE-ME che farà la sua prima Professione domani 29 giugno, in Bogotà (Colombia). Invochiamo con fiducia Maria, Madre del buon Pastore: con il suo aiuto e seguendo le orme dei santi apostoli Pietro e Paolo, la nostra Congregazione possa offrire al mondo testimonianza di unità e di coraggiosa dedizione al Vangelo di Cristo. Fraternamente

A nome delle intercapitolari sr Ana Acero e sr Lucia Varo

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Casa generalizia Roma settembre 2009