La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della...

22
Erickson Zygmunt Bauman La scienza della libertà A cosa serve la sociologia Conversazioni con Michael Hviid Jacobsen e Keith Tester Introduzione di Mauro Magatti Traduzione di Riccardo Mazzeo

Transcript of La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della...

Page 1: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Erickson

Zygmunt Bauman

La scienza della libertà A cosa serve la sociologia

Conversazioni con Michael Hviid Jacobsen e Keith Tester

Introduzione di Mauro Magatti Traduzione di Riccardo Mazzeo

Page 2: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Introduzione all’edizione italiana (di Mauro Magatti) 7Prefazione 17Introduzione 19

Capitolo primo Che cos’è la sociologia? 25

Capitolo secondo Perché «fare» sociologia? 53

Capitolo terzo Come fare sociologia? 83

Capitolo quarto Che cosa realizza la sociologia? 121Bibliografia 149Indice dei nomi 151

Indice

Page 3: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Introduzione all’edizione italianadi Mauro Magatti

La sociologia come scienza della libertà: la preziosa eredità di un grande sociologo

I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli incerti risultati della ricerca, la scarsa presenza nel dibattito pubblico, la diffidenza da parte dei settori più forti della comunità scientifica.

Da molti punti di vista, la sociologia attraversa un momento assai difficile. Eppure, nonostante i tanti segnali di difficoltà, non va così male.

Prima di tutto perché ci sono tantissimi pezzi di ottima ricerca e poi ancora perché non mancano gli autori capaci di interpretare con profondità il tempo che viviamo. Senza dimenticare che, pur con le sue debolezze, la sociologia si è ormai radicata nel sistema accademico internazionale.

In ogni caso, comunque la si voglia mettere, è chiaro che oggi non sarebbe nemmeno immaginabile un mondo senza il contributo della sociologia: ogni giorno e in ogni luogo, gli attori che operano all’interno delle società contemporanee svolgono quell’esercizio autoriflessivo che la sociologia ha insegnato a fare.

Page 4: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

8 La scienza della libertà

È questo lo strano destino della sociologia: tutti la usano — dalle imprese per studiare i mercati ai politici per analizzare l’opi-nione pubblica, dalle grandi chiese per conoscere le trasformazioni delle pratiche religiose alle associazioni umanitarie per definire i loro interventi — ma nessuno la riconosce. Un destino singolare, che forse va compreso di più, soprattutto da parte dei sociologi.

In realtà, ciò di cui si sente la mancanza è una comunità scien-tifica minimamente coesa, in grado di discutere al proprio interno, di fare avanzare la conoscenza, di limitare l’entropia.

In giro per il mondo, esistono innumerevoli centri di ricerca e percorsi di studio che tendono però ad autoconfinarsi nella propria piccola «provincia di significato», chiusa e impermeabile rispetto a tutto ciò che sta attorno. Così che, nonostante l’enorme quantità di ricerca prodotta, il sapere sociologico fatica ad avanzare.

Un problema che riguarda anche le discipline accademica-mente più blasonate e consolidate. Ma che diventa particolarmente acuto per la storia e le caratteristiche della ricerca sociologica.

Non è un problema di poco conto. In questa situazione, infatti, il rischio è che l’iperframmentazione produca una babele disciplinare, una forma di autismo scientifico che, alla lunga, può portare allo sfaldamento della sociologia in quanto disciplina au-tonoma di studio.

II. Ci sono ragioni profonde che spiegano questa situazione. Ragioni che prima di tutto derivano dal fatto che la sociolo-

gia non è mai riuscita a delimitare e definire il proprio oggetto di studio. Un fallimento grave e, soprattutto, gravido di conseguenze.

È proprio ritornando su questo punto che Zygmunt Bauman, probabilmente il più autorevole sociologo vivente, ha deciso di far cominciare la sua riflessione sullo stato della disciplina.

Per capire che cosa è la sociologia, che cosa fa e che cosa può dire è necessario, secondo Bauman, distinguere i due piani che

Page 5: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Introduzione all’edizione italiana 9

costituiscono la nostra esperienza in quanto esseri umani. Una distinzione che la lingua tedesca coglie efficacemente nel momento in cui parla di Erfahrung — ciò che accade nell’interazione con il mondo — e di Erlebnis — cioè quello che il soggetto vive nel corso dell’incontro con la realtà, prodotto della percezione soggettiva degli accadimenti e dello sforzo di assorbirli e renderli intelligibili. Così, mentre l’Erfahrung si riferisce alla parte oggettiva, e dunque universalizzabile e misurabile, dell’esperienza umana, l’Erlebnis considerando il vissuto, ciò che viene plasmato dalla nostra inte-riorità, si concentra sull’aspetto qualitativo, come tale più difficile da cogliere mediante il ricorso a strumenti di ricerca standardizzati.

Una volta ammessa, questa fondamentale distinzione — e pare incredibile quanto spesso venga dimenticata o addirittura esplici-tamente negata — si porta dietro tutta una serie di conseguenze. È chiaro, infatti, che ci possono e ci debbono essere diversi stili di fare sociologia a seconda che si privilegi l’Erfahrung — e dunque l’analisi causale e quantitativa — o l’Erlebnis — che è interessata a una analisi riflessiva e interpretativa.

Questi due modi di intendere la ricerca sociologica — che a loro volta sono declinati in una pluralità di scuole — sono tra loro irriducibili nella misura in cui derivano da una diversa interpreta-zione della natura umana e hanno implicazioni epistemologiche molto profonde. E tuttavia è bene che, sviluppando il proprio ap-proccio alla realtà sociale, queste due posizioni ammettano di essere dentro un percorso comune, che richiede il rispetto e la conoscenza reciproca. Tanto più che nessuna delle due prospettive può avere la pretesa di essere esauriente. Negando il contributo della controparte.

Ciò rende la sociologia un ambito di conoscenza particolare, dato che al suo interno permane una fondamentale indeterminatezza epistemologica. Per questo, essa richiede da parte dei suoi cultori uno straordinario sforzo di tolleranza: le due prospettive appena ri-cordate — che pure sono accomunate dalla centralità della relazione

Page 6: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

10 La scienza della libertà

tra l’accesso empirico alla realtà e l’elaborazione teorica — hanno infatti il dovere di riconoscere il valore del lavoro condotto dall’altra prospettiva. Un reciproco riconoscimento che può avvenire solo a condizione che ciascuno dichiari quello che si sta facendo, le sue pre-messe antropologiche ed epistemologiche, i suoi obiettivi di ricerca.

III. La scelta di Bauman è netta: richiamandosi a Simmel e Wright Mills, Bauman si fa portavoce di una sociologia dell’e-sperienza vissuta, che si pensa come sforzo intellettuale mirante a ricostruire il nesso tra micro e macro, tra storia ed esperienza personale, tra oggettività e senso.

In un’epoca di grandi trasformazioni, la presa di posizione teorica di Bauman è molto importante. La stagione che viviamo più o meno implicitamente preme per omologare le scienze sociali al modello dell’Erfahrung. La ragione è chiara. Aumentando la complessità socio-culturale, diventando le reti di ricerca globali, rafforzandosi le derive tecno-nichiliste, è di questo tipo di scienza sociale che c’è bisogno. Considerando come irrilevante e comun-que imperscrutabile la dimensione dell’Erlebnis e concentrandosi sull’Erfahrung, la sociologia risolverebbe molti dei suoi problemi, dandosi uno statuto scientifico vero e proprio. Verrebbe così final-mente superata l’ambiguità che deriva dal dualismo da cui Bauman prende le mosse, nella direzione di poter finalmente definire in termini oggettuali e oggettivi ciò che i sociologi studiano. Non l’ineffabile vissuto degli umani, ma il comportamento misurabile e quantificabile — secondo i dettami della «scienza».

Per quanto sia ragionevole, e per molti versi fruttuosa, questa soluzione non è certo priva di conseguenze sul progetto sociologico. Dietro la sua apparente neutralità, essa pregiudicherebbe le ragioni stesse che storicamente hanno portato alla nascita della sociologia, assimilandola di fatto allo spirito del tempo e dunque facendole perdere ogni suo mandato critico.

Page 7: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Introduzione all’edizione italiana 11

IV. Non che la tradizione di cui Bauman si fa paladino non esista più o sia minoranza. Anzi, essa rimane molto radicata ne-gli studi sociologici. È che, a differenza dell’altra radice, questa prospettiva soffre della difficoltà di stabilire criteri condivisi per valutare la qualità del proprio lavoro. Ragion per cui essa è esposta alla colonizzazione da parte di un sociologismo generico e inefficace che parla a sproposito della realtà.

Occorre ammettere che è da qui che deriva buona parte della cattiva reputazione di cui soffrono i sociologi contemporanei. Considerati, e purtroppo spesso a ragione, dei parolai, banali venditori di fumo.

Ciò deriva dal fatto che, concepito a partire dall’Erlebnis, più che a una scienza, questo modo di fare sociologia assomiglia a un lavoro artigianale. Un lavoro che richiede competenza e abilità e che si impara solo col tempo, attraverso un lungo tirocinio e una rigida disciplina. Per questo dipendente dalla «mano» dell’autore, dalla sua capacità di estrarre dai materiali raccolti e dall’uso degli strumenti della ricerca una interpretazione profonda di quanto studia.

Il problema è che, con l’ampliamento della comunità sociolo-gica, la qualità artigianale è stata messa a repentaglio, provocando una perdita della reputazione della sociologia stessa e una crescente confusione disciplinare. Se il modello dell’Erfahrung, nei suoi limiti, ha la capacità di «industrializzarsi» e di universalizzarsi, lo studio dell’Erlebnis vive della qualità del pezzo singolo e dell’autorevolezza di chi lo costruisce.

Tutto ciò pone un serio problema a questa tradizione di ricer-ca, tanto più che, in molti casi, come ad esempio in Italia, le lotte di potere accademico e i comportamenti spregiudicati dei baroni che riescono a mettere le mani sull’università hanno campo aperto nell’avvilire proprio questa tradizione di ricerca. Che rischia così di soccombere di fronte alle apparenti ma rassicuranti certezze della prospettiva positivistica.

Page 8: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

12 La scienza della libertà

V. Nel corso dell’intervista, Bauman spiega con semplicità e precisione come si fa a fare quella sociologia di cui è campione. Una sorta di manuale pratico che nasce dal bilancio di una vita da sociologo. E che arriva anche a domandarsi: a che cosa è servito o meglio a chi è servito fare sociologia?

L’interrogativo può suonare fuori luogo. Siamo abituati a pensare che la conoscenza scientifica non abbia un termine a cui riferirsi. Perché la conoscenza ha un valore in se stessa. In parte ciò è senz’altro vero, anche per la sociologia. Che mai potrebbe diventare una sociologia al servizio di qualcuno.

E tuttavia, nella misura in cui è inestricabilmente un’azione sociale, la conoscenza sociologica non può sfuggire alla domanda per chi e per che cosa si fa sociologia.

Bauman ci dà la sua riposta: la sociologia sta dalla parte della liberazione, degli oppressi, di chi subisce ingiustizie, dell’umanità negata. La sua sociologia, in questo senso, è sempre di parte. Ma di una parte che, proprio perché dichiarata, consente l’accesso alla realtà sociale. Senza avere la pretesa di arrivare a una qualche sistematicità chiusa e senza alcun senso di superiorità nei confronti di una diversa prospettiva, Bauman ci propone una conoscenza sociologica che è prima di tutto e fondamentalmente un processo, una forma attiva di azione sociale, che giocoforza si pone all’interno del processo storico — di cui è intimamente parte — e che si rivolge a un pubblico che non può mai ridursi al solo ambito accademico.

Per evitare l’autoreferenzialità — che chi pratica questa disciplina conosce bene — la sociologia, ci ammonisce Bauman, deve sempre stare in relazione a mondi sociali concreti, parlare, dialogare, soffrire con essi. Pensare una sociologia avulsa dalla storia e dal contesto umano circostante produce alla fin fine una conoscenza che tende all’assurdo.

VI. Se, come nel caso di chi scrive, quanto ci consegna Bauman con questa sua intervista viene condiviso, ne segue l’impegno a la-

Page 9: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Introduzione all’edizione italiana 13

vorare per non disperdere questa tradizione, che non solo è nobile — nella misura in cui fa riferimento a gran parte della sociologia classica — ma è anche promettente — perché rimane una via fon-damentale per interpretare il mutamento sociale. Non è un caso né un fatto banalmente mediatico che Bauman — lui più di qualsiasi altro collega sociologo — sia stato capace di diventare, negli ultimi vent’anni, una voce capace di parlare all’esperienza dell’uomo con-temporaneo, aiutandolo a capire quanto stava facendo e quanto gli stava accadendo attorno. Proprio le vicende che riguardano Bauman dimostrano due cose: la prima è che questo modo di fare sociologia è ancora oggi possibile e utile; la seconda è che rinunciare a questa tradizione significa perdere una parte della realtà.

Un prezzo troppo alto da pagare.

VII. Un’ultima ma importante implicazione della proposta teorica di Bauman è di aiutarci a concepire la sociologia come scienza della libertà. L’affermazione, che può essere fatta risalire a Simmel, suona oggi controintuitiva dato che sociologia è spesso accusata di «sociologismo», che può essere definito come quella deformazione della spiegazione sociologica che arriva a negare il contributo del fattore umano. È stata semmai l’economia a essere capace di arrogarsi il titolo di scienza sociale che studia la libertà. Una libertà concepita come scelta razionale in un paniere di beni.

Il punto è centrale. Il futuro della sociologia dipenderà, tanto più in una società avanzata, dalla sua consapevolezza di essere la scienza della libertà. Questa idea si fonda sul principio simmeliano, tante volte dimenticato ma su cui Bauman saldamente si attesta, della ineliminabile relazionalità della condizione umana. Una re-lazionalità che non deve essere confusa con l’idea superficiale — e tante volte retorica — di relazione né con quella di relativismo.

La forza ancora in larga parte inesplorata dell’analisi sociologica è quella di avere una concezione relazionale dell’essere umano. In

Page 10: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

14 La scienza della libertà

quella circolarità che lega insieme, ma non riduce mai, il soggetto e il suo contesto. Contrariamente ai tanti cattivi maestri — che contrappongono rigidamente l’una soluzione all’altra (l’individua-lismo vs. l’olismo) — separando così ciò che va tenuto in relazione — pensare la sociologia in una prospettiva relazionale significa creare le condizioni per renderla la scienza della libertà. Non di una libertà astratta, campata per aria, ma della libertà concreta, che si misura con la realtà e, in qualche modo, la costruisce, pur essendo da essa sempre costruita. Una libertà di cui la stessa sociologia è espressione, nella misura in cui essa è un esercizio, metodologica-mente qualificato, di riflessività, cioè di relazionalità.

VIII. Leggendo il testo, è molto chiara la volontà di Bauman di consegnare, con questa intervista, la sua eredità. Le sue parole vanno lette e meditate con cura. Lette e rilette, perché sono intense e profonde. Come un vino d’annata che non va solo bevuto ma va assaporato.

Bauman è infatti il sociologo che più e meglio di chiunque altro ha fornito le categorie per capire la transizione di fine secolo, diventando così capace di dare un contenuto di autocomprensione alla società nel suo insieme.

Toccherà adesso ai lettori — a cominciare da me che ho avuto la fortuna di conoscere bene Zygmunt e di cui mi sento orgoglio-samente allievo — cercare di essere giusti eredi.

Nella consapevolezza che l’eredità più che una acquisizione o, peggio, una clonazione, è un movimento di «riconquista», un fare originalmente nostro ciò che è stato fatto di noi dagli altri. Citando G. Mahler, e sicuro così di interpretare il desiderio di Bauman, «la tradizione è la custodia del fuoco, non l’adorazione della cenere».

Page 11: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Capitolo secondo

Perché «fare» sociologia?

• Michael Hviid Jacobsen e Keith Tester •

Perché hai iniziato a occuparti di sociologia e che cosa ti mantiene così motivato?

• Zygmunt Bauman •

Ho già cercato di spiegarlo a me stesso e a Keith nella nostra conversazione di undici o dodici anni fa.1 Di ritorno dalla guer-ra a un Paese prostrato e devastato, decisi di rinunciare alla mia fascinazione giovanile per i misteri dell’universo fino a quando le realtà della miseria umana sulla Terra non fossero state curate. Beh, settant’anni più tardi quella motivazione non ha perso un briciolo della sua attualità, mentre «fare sociologia» è diventata ormai da tempo un’abitudine.

1 Zygmunt Bauman e Keith Tester, Conversations with Zygmunt Bauman, Cambridge, Polity Press, 2001, trad. it. Società, etica, politica. Conversazioni con Zygmunt Bauman, Milano, Raffaello Cortina, 2002.

Page 12: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

54 La scienza della libertà

Ti sei sempre proclamato coerentemente e tenacemente un sociologo. Perché questa denominazione di te stesso e della tua opera è così importante per te?

Trovo questo tipo di domanda molto difficile, anzi addirittura perversa e infida. Vi fiuto le tentazioni e i tranelli delle chiose ideo-logiche, del sentirsi importanti, dell’autogiustificazione e molti altri errori ugualmente seduttivi e tuttavia analogamente poco dignitosi disseminati lungo la strada per una risposta appropriata (sia vera sia sincera). E, francamente, persino nelle conversazioni più private e intime — con me stesso — ho ripetutamente fallito nel rispon-dere alla vostra domanda sul «perché» in una maniera che potesse risultare soddisfacente per me ed essere resa nota pubblicamente. Probabilmente vi aspettate una risposta nobile, esaltante, edificante, ispirata e rassicurante; mi sento incapace di fornire una risposta del genere. La mia risposta è quindi destinata a risultare una delusione per voi. Tuttavia, poiché voi, miei cari e stimati amici, mi sollecitate a formulare una risposta, mi sento obbligato a cercare di darvela. Ma poi non ditemi che non vi avevo avvertiti!

Onestamente, amici miei, non riesco a spiegare in maniera convincente (non solo agli altri ma anche a me stesso) perché la sociologia sia così importante per me. Tutto quel che posso dire è che non ho mai appreso un modo alternativo di vivere e così forse gradualmente ho perso la curiosità, ma anche la capacità e invero la volontà, di cercare e assaporare altri modi di essere nel mondo. O forse tutto questo dipende dal fatto che, dopo tanti anni in cui l’ho pensata e praticata, la sociologia è diventata per me non più separabile dal resto della mia vita. Di soppiatto, ha acquisito per me lo status di «normalità» — uno status che notoriamente si irrita e forse è addirittura incapace di comprendere perché lo si possa mettere in discussione. Recentemente, mi sono imbattuto in una confessione di José Saramago in cui il tipo di imbarazzo simile a quello suscitato in me dalla vostra domanda era stato espresso nella

Page 13: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Perché «fare» sociologia? 55

migliore forma immaginabile — con un grado di chiarezza che personalmente non potrei affermare di saper raggiungere. Onorai subito il mio debito nei confronti del grande portoghese nel libro This Is Not a Diary, in data 11 settembre 2010. Credo che una citazione da quel mio non-diario sia l’unica risposta sensata alla vostra domanda che io possa offrire.

«Parliamo per la stessa ragione per cui sudiamo? Soltanto perché dobbiamo?», chiede Saramago. Il sudore, come sappiamo, rapidamente evapora o viene accuratamente lavato via, e «presto o tardi finisce nelle nuvole». Forse è questo il fato a cui, a modo loro, le parole sono destinate.

Poi Saramago richiama alla mente suo nonno Jeronimo che, «giunta la sua ultima ora andò a dire addio agli alberi che aveva piantato, abbraccian-doli e piangendo poiché sapeva che non li avrebbe più rivisti. È una lezione che merita di essere appresa. Così io abbraccio le parole che ho scritto, auguro loro lunga vita, e riprendo a scrivere da dove mi ero interrotto».

«Non può esserci», aggiunge, «altra risposta».2

E così sia.

Saramago trascrisse questi pensieri dopo aver compiuto gli ottantasei anni, era quindi un anno più vecchio di quanto lo fossi io quando li citai per la prima volta.

Nella tua lezione inaugurale tenuta a Leeds nel febbraio 1972, espri-mesti il seguente auspicio per la sociologia: «la nostra vocazione, dopo tutti questi anni prosaici, può diventare nuovamente un banco di prova di coraggio, coerenza e lealtà ai valori umani». Tutto ciò si applica ancora oggi alla sociologia — e questo «banco di prova», come l’hai denominato, è in vista da qualche parte?

Quanto all’auspicio, sì, trova applicazione — e pienamente; suona fresco, urgente e imperativo come quarant’anni fa. Quanto alla sua messa in pratica, tuttavia, non moltissimo; in ogni caso molto meno di quanto dovrebbe. Le probabilità sono al tempo

2 Zygmunt Bauman, This Is Not a Diary, Cambridge, Polity Press, 2012.

Page 14: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

56 La scienza della libertà

stesso in favore dell’auspicio e contro la sua messa in pratica. Il mondo stesso incita all’auspicio e accumula ostacoli contro la sua realizzazione.

Uno degli ostacoli più formidabili risiede nell’inerzia isti-tuzionale. Trovato un posto sicuro e confortevole all’interno del mondo accademico, la sociologia ha sviluppato una capacità di autoriproduzione che la rende immune al criterio della rilevanza (si è assicurata contro le conseguenze della sua irrilevanza sociale). Una volta che si siano appresi i metodi di ricerca, si può sempre conseguire la propria laurea a patto che ci si attenga ad essi e che non si osi deviare dalle strade scelte dagli esaminatori (come osservò causticamente Abraham Maslow, la scienza è uno strano congegno che permette a persone non creative di partecipare a un lavoro creativo). I dipartimenti di sociologia di tutto il mondo possono andare avanti indefinitamente assegnando lauree, insegnando lavori, autoriproducendosi e autoalimentandosi, semplicemente perpetuando le routine dell’autoreplicazione. L’opzione più difficile, ovvero il coraggio richiesto per porre la lealtà ai valori umani al di sopra di altre lealtà meno rischiose, può essere quindi scansata ed evitata almeno per l’immediato futuro. O può essere per lo meno marginalizzata.

Due dei grandi padri della sociologia, particolarmente capaci di ascoltare le istanze della loro missione che presupponevano un grande coraggio, Karl Marx e Georg Simmel, vissero le loro esi-stenze fuori dalle mura dell’università. Il terzo, Max Weber, passò la maggior parte della sua vita accademica prendendo continui permessi. Può trattarsi di mere coincidenze?

Per chi scrivi? Scrivi per un pubblico che sei fiducioso esista, o si tratta di un pubblico che deve essere ancora formato? Un pubblico auspicato? Se è vera la seconda ipotesi, come riesci a conciliarla con le pressioni degli editori che vogliono pubblici ben definiti?

Page 15: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Perché «fare» sociologia? 57

Mi scuso in anticipo per la lunga argomentazione che dovrà necessariamente seguire alla vostra domanda — ma questo vostro quesito apparentemente semplice non può essere affrontato senza guardare indietro, alla ricerca delle ragioni che l’hanno determinato e della risposta che deve essere trovata.

La mia generazione ha assistito a una lenta ma implacabile decomposizione dell’«agente storico» che gli intellettuali, memori dei criteri «organici» stabiliti per loro dal codice di comportamento di Antonio Gramsci, speravano avrebbe portato e/o sarebbe stato portato in una terra in cui la lunga marcia verso la libertà, l’ugua-glianza e la fraternità — fatta presagire dai pensatori dell’Illumini-smo ma in seguito dirottata nei vicoli ciechi del capitalismo e del comunismo — avrebbe finalmente raggiunto la sua destinazione socialista.

Per almeno un secolo, la principale scelta intellettuale per il ruolo dell’«agente storico» dell’emancipazione fu un collettivo composto dalla varietà di abilità e mestieri sommariamente catego-rizzata come la «classe operaia». Unita dal fatto di vendere il proprio lavoro a un prezzo fraudolento, e dalla negazione della dignità umana che si accompagnava a una simile vendita, la classe operaia era il soggetto che si sperava divenisse quella parte di umanità che, secondo l’indimenticabile frase di Karl Marx, non avrebbe potuto emancipare se stessa senza emancipare l’intera società umana e non avrebbe potuto porre fine alla propria miseria senza risolvere tutta la miseria umana. Allorché le venne ascritta una simile potenza, parve che la classe operaia offrisse un porto naturale e sicuro alla speranza; era un porto molto più sicuro delle città remote in cui gli scrittori delle prime utopie moderne erano soliti situare i despoti illuminati che legiferavano della felicità sulla testa dei loro sudditi inconsapevoli o riluttanti.

Che tale designazione fosse o no legittima, era una questione dubbia fin dal principio. Si potrebbe obiettare che, contrariamen-

Page 16: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

58 La scienza della libertà

te alla convinzione di Marx, le agitazioni nei reparti produzione dei primi stati capitalisti fossero suscitate più dalla perdita della sicurezza che dall’amore per la libertà, e che quando la sicurezza fosse stata riguadagnata, o ricostruita su altre basi, quei fermenti sarebbero inevitabilmente evaporati, esaurendosi ben prima del loro presunto potenziale rivoluzionario. In realtà, dopo un lungo periodo di iniziali agitazioni che trovavano il proprio brodo di coltura nelle strutture economiche e sociali premoderne, giunse un periodo di «relativa stabilità», puntellato dalle emergenti strutture della società industriale visibilmente solide. Gli stru-menti amministrati politicamente della «ricommercializzazione del capitale e del lavoro» divennero una caratteristica costante del mondo capitalista — in cui lo Stato rivestiva un ruolo attivo di sostegno mediante gli investimenti pubblici in nuovi progetti, la promozione e l’assicurazione dell’espansione sia intensiva sia estensiva dell’economia capitalista, da un lato, e la rimessa in efficienza e la riabilitazione del lavoro attraverso le molteplici provvigioni dello stato sociale, dall’altro. Per quanto dure le difficoltà sofferte dall’estremità più in basso dell’espansione capitalista, e per quanto sconcertante la paura dei periodici frangenti di depressione economica, queste strutture, idonee a fornire aspettative durevoli e dotate di strumenti riparativi testati e degni di fiducia, apparivano solide e consentivano la program-mazione a lungo termine delle vite individuali, una certa fiducia nel futuro e un senso crescente di sicurezza. Il capitale e il lavoro, connessi in una mutua dipendenza apparentemente inscalfibile, sempre più convinti della permanenza del loro legame e sicuri di incontrarsi continuamente nei tempi a venire, cercarono e trovarono modi di coabitazione reciprocamente benefici e pro-mettenti, o per lo meno tollerabili — punteggiati da ripetitivi bracci di ferro ma anche da cicli di rinegoziazione delle regole di cooperazione coronati da successo.

Page 17: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Perché «fare» sociologia? 59

Dici dunque che doveva essere creato un «agente storico» affinché capitale e lavoro fossero uniti e non si separassero?

Frustrato e impaziente a causa del modo in cui sembrava che andassero le cose, Lenin si lamentò che, se i lavoratori fos-sero stati lasciati soli con le loro ambizioni e impulsi, avrebbero sviluppato soltanto una «mentalità sindacale» e quindi sarebbero stati troppo gretti per realizzare la loro missione storica. Ciò che irritava Lenin, ideatore della strategia della «scorciatoia» e dei «rivoluzionari professionisti», fu individuato anche dal suo con-temporaneo Eduard Bernstein, ma la visione di quest’ultimo era caratterizzata da un’equanimità moderatamente ottimistica. Bern-stein fu (con un non trascurabile aiuto dei fabiani) il fondatore del programma «revisionista» di conciliazione, del perseguimento dei valori e delle intenzioni socialiste all’interno della struttura politica ed economica di una società essenzialmente capitalistica, e di un continuo ancorché graduale «miglioramento» invece che di un’unica ristrutturazione rivoluzionaria dello status quo. Mentre gli eventi continuavano a confermare le anticipazione fosche di Lenin e quelle ottimistiche di Bernstein, György Lukács spiegò l’evidente riluttanza della storia a seguire la prognosi originale di Marx con un’idea tagliata su misura (che, comunque, guardava indietro alle ombre platoniche sui muri della caverna) della «falsa coscienza», che l’ingannevole «totalità» del capitalismo insidio-samente promuove e continuerà a promuovere a meno che non venga contrastata dagli sforzi degli intellettuali che cercano di leggere, attraverso le false apparenze, l’inesorabile verità delle leggi della storia — e, sul modello dei saggi di Platone, condividono le loro scoperte con gli illusi abitanti della caverna.

Una volta combinata con il concetto gramsciano di «intellet-tuali organici», la reinterpretazione di Lukács delle bizzarrie della storia postmarxiana elevò il destino storico e quindi la responsa-bilità etica e politica degli intellettuali a nuove altezze. Ma, allo

Page 18: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

60 La scienza della libertà

stesso modo, si spalancò un vaso di Pandora di reciproche accuse, imputazioni di colpevolezza e sospetti di tradimento ed ebbe inizio l’era delle accuse di trahisons des clercs, guerre civili, mutue diffamazioni, cacce alle streghe e calunnie. Se il movimento dei lavoratori non riuscì a comportarsi in linea con la prognosi, e in particolare se indietreggiò davanti al rovesciamento rivoluzionario del potere capitalista, ciò dipendeva dagli intellettuali che avevano tradito il proprio compito o lo avevano eseguito male, ed erano loro quelli da biasimare. Paradossalmente, l’adozione da parte degli intellettuali di una simile immagine così poco lusinghiera di se stessi fu, per gli intellettuali riconosciuti, per gli aspiranti intellettuali o per gli intellettuali falliti, una tentazione difficile da resistere, poiché essa trasformava persino le più spettacolari esibizioni della loro debolezza teorica e della loro impotenza pratica in potenti argomentazioni per riaffermare il loro ruolo storico insostituibile. Ricordo di aver ascoltato, giunto da poco in Gran Bretagna, uno studente di dottorato che, dopo aver esaminato attentamente alcuni scritti di Sidney Webb, si affrettò a decretare, con l’approvazione incondizionata del vasto pubblico che stipava il suo seminario, che le cause dell’arrivo in ritardo della rivoluzione socialista in Gran Bretagna erano tutte presenti lì.

C’erano segni premonitori che, se letti attentamente, avreb-bero sollevato seri dubbi sulla supponenza intellettualista della «New Left» britannica; ma i pensieri recentemente riscoperti di Lukács o Gramsci non furono proprio d’aiuto per la decodifica dei messaggi che trasmettevano. Come legare le agitazioni degli studenti, diciamo, all’inverno dello scontento? Ciò cui si assisteva erano battaglie di retroguardia sferrate da truppe in ritirata, o unità di avanguardia di armate in avanzata? Erano echi distanti e prove tardive di antiche guerre, o segni e presagi di nuove guerre a venire? Sintomi di una fine, o di un inizio? E se si trattava di un inizio, che cosa annunciavano? Le notizie dall’estero non facevano

Page 19: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Perché «fare» sociologia? 61

che aggiungere disorientamento e confusione, come i proclami di «addio al proletariato» provenienti dall’altra parte della Manica insieme alle parole di Louis Althusser secondo cui i tempi sarebbero stati finalmente maturi per l’azione rivoluzionaria. L’incantevole visione dell’Immacolata Concezione o partenogenesi della classe operaia di E.P. Thompson subì un attacco frontale da parte degli editor della New Left Review per la sua povertà teorica (intendendo, probabilmente, la sostanziale assenza di intellettuali nell’edificante storia di Thompson).

Te ne eri accorto all’epoca?

Sarebbe una bella tentazione rispondere affermativamente, ma sarebbe altresì disonesto e fuorviante affermare retrospettiva-mente la propria saggezza preveggente, così come sarebbe ingiusto e niente affatto illuminante biasimare le persone intrappolate in quegli affari incalzanti a causa della loro confusione. L’imminente fine dei «gloriosi trenta» (i tre decenni successivi alla guerra furono così definiti solo quando cessarono le condizioni che essi rappre-sentavano, e solo allorché fu ovvio che si erano conclusi) mise il mondo così come lo conosciamo sottosopra e rese inservibili gli strumenti accreditati con cui quel mondo era stato analizzato e descritto. Era giunto il tempo dei sospetti e delle congetture; le ortodossie si rifugiavano in trincee ancora più profonde, mentre le eresie, che si ispessivano, aumentavano il loro coraggio e la loro impertinenza, benché non si avvicinassero minimamente al consenso.

Così la fonte esplicitamente indicata o dissimulata dello scompiglio intellettuale fu l’ovvia scomparsa dell’agente storico, che venne percepita inizialmente dalla sinistra intellettuale come una crescente separazione da, e un’interruzione della comunicazione con, «il movimento».

Page 20: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

62 La scienza della libertà

Si potrebbe dire che, in conseguenza del processo che hai deline-ato, l’accademia e gli intellettuali si siano ritirati ciascuno nel suo mondo dietro quel che potrebbe essere definito uno «sbarramento antincendio fatto di gergo e specialismi». Tale sbarramento antincen-dio assicurava che le teorie conservassero il proprio valore perfino quando avevano poco o nulla da dire all’esperienza vissuta. Che cosa pensi di questo?

Poiché i postulati e le prognosi teoricamente impeccabili veni-vano uno dopo l’altro sconfessati dagli eventi, i circoli intellettuali tornarono ancor più zelantemente e cospicuamente a interessi e obiettivi autoreferenziali, come obbedendo all’annuncio di Michel Foucault dell’avvento dell’era degli «intellettuali specifici». Se il concetto dell’intellettuale «specifico» o «specializzato» potesse essere qualcosa di diverso da un ossimoro era naturalmente, come lo è adesso, una questione di lana caprina. Ma che l’applicazione del termine «intellettuale» sia o no legittima nel caso di relatori uni-versitari che scendono nella pubblica arena soltanto in occasione di disaccordi concernenti i loro stipendi, o di artisti che protestano sui tagli riguardanti i teatri o la realizzazione di film, una cosa è certa: per questa nuova varietà istituzionalmente confinata di posizioni politiche e di lotte di potere, la figura dell’«agente storico» è del tutto irrilevante e può essere depennata dall’agenda senza cattiva coscienza e soprattutto senza l’amaro retrogusto di una perdita.

In ogni caso, la speranza e il lavoro dell’emancipazione devono seguire l’«agente storico» nell’abisso, come i marinai che seguivano il richiamo del capitano Achab? Vorrei far notare che l’opera di Theodor W. Adorno può essere riletta come un lungo e completo tentativo di confrontarsi con questa questione e di dare ragione di un empatico «no» come risposta. Dopotutto, molto prima che la passione degli intellettuali britannici per un agente storico iniziasse ad affievolirsi, Adorno mise in guardia il suo vecchio amico Walter Benjamin contro quelli che definì «motivi brechtiani»: la speranza

Page 21: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

Perché «fare» sociologia? 63

che i «veri lavoratori» avrebbero salvato l’arte dalla perdita della sua aura o che sarebbero stati salvati dalla prossimità dell’effetto estetico combinato dell’arte rivoluzionaria. I «veri lavoratori», insisté, «di fatto non godono di alcun vantaggio sulla loro controparte bor-ghese» in questo senso — essi «recano tutti i segni di mutilazione del tipico carattere borghese». E arrivò così alla stoccata finale: guardati bene dal «fare della nostra necessità» (ovvero la necessità degli intellettuali che «hanno bisogno del proletariato per la rivo-luzione») «una virtù del proletariato, come siamo costantemente tentati di fare».

Al tempo stesso, Adorno insisteva che, quantunque le prospet-tive dell’emancipazione umana focalizzate sull’idea di una società differente e migliore apparissero al suo sguardo meno incoraggianti di quelle che erano parse così evidenti a Marx, le accuse sollevate da Marx contro un mondo imperdonabilmente nemico dell’umanità non avevano perso nulla della loro attualità e, fino a quel momen-to, nessuna giuria competente aveva fornito prove decisive della fantasiosità delle ambizioni di emancipazione originarie; e quindi non vi era alcuna ragione sufficiente, e tantomeno necessaria, per espungere l’emancipazione dall’agenda. Al limite, era vero il con-trario: la persistenza nociva di mali sociali era una ragione di più, e molto potente, per provare con forza ancora maggiore.

Il memento di Adorno è attuale oggigiorno quanto lo era allorché venne scritto per la prima volta: «L’inalterata presenza della sofferenza, della paura e del senso di minaccia impone che il pensiero della realizzazione di un mondo migliore non venga ab-bandonato». Ora, come allora, «la filosofia deve riuscire a sapere, senza alcuna attenuante, perché il mondo — che potrebbe essere un paradiso qui e ora — può trasformarsi in un inferno domani». La differenza fra «ora» e «allora» dovrebbe essere cercata in un posto diverso dalla perdita dell’urgenza del compito dell’emancipazione o della conclusione che il sogno dell’emancipazione fosse ozioso.

Page 22: La scienzz della libertà - A cosa serve la sociologia · I. Chi può negare la crisi della sociologia? Il disorientamento teorico, la fatica nel reclutare studenti di qualità, gli

64 La scienza della libertà

Ciò che Adorno si affrettò comunque ad aggiungere fu che, se il mondo era parso a Marx pronto a trasformarsi in un paradiso «lì e allora» e sembrava prossimo a un’istantanea inversione a U, e se per ciò pareva che «la possibilità di cambiare il mondo da cima a fondo fosse immediatamente presente» — ciò non era più dato, se mai lo fosse stato («soltanto l’ostinazione può sostenere la tesi di Marx così come egli l’aveva formulata»). Ciò che oggi è sparita dalla nostra vista è la possibilità di una scorciatoia a un mondo più adatto all’umana coabitazione.

Non ci sono scorciatoie — ma vi sono altre strade rimaste per un mondo migliore?

Aggiungerei che non vi sono ponti visibili fra questo mondo, qui e ora, e quell’altro mondo «emancipato», ospitale per l’umanità e «facile». E neppure vi sono folle ansiose di percorrere precipito-samente la lunghezza di un simile ponte qualora fosse progettato, né veicoli che aspettino di portarle sane e salve a destinazione. Nessuno può essere sicuro di come un simile ponte potrebbe essere concepito e del punto in cui potrebbe trovarsi l’accesso al ponte lungo la sponda per facilitare un traffico agevole e appropriato. Le possibilità, si potrebbe concludere, non sono al momento presenti.

E allora che ne è degli intellettuali, le sentinelle delle speranze e delle promesse non mantenute del passato, i critici di coloro che oggi sono colpevoli di aver dimenticato tali speranze e tali promesse, e di non averle onorate?

Come Adorno ci continua ad ammonire, «nessun pensiero è immune alla comunicazione, e dirlo nel posto sbagliato e nell’ac-cordo sbagliato è sufficiente a minarne la verità». E così, quando si tratta di comunicare con gli attori, con gli aspiranti attori, con i mancati attori e con coloro che sono riluttanti a unirsi all’azione: «Per l’intellettuale, oggi, l’unico modo di manifestare un po’ di