SUORE DI GES Ù BUON PASTORE - PASTORELLE - CASA … · 2012. 10. 22. · SUORE DI GES Ù BUON...

384

Transcript of SUORE DI GES Ù BUON PASTORE - PASTORELLE - CASA … · 2012. 10. 22. · SUORE DI GES Ù BUON...

  • SUORE DI GESÙ BUON PASTORE - PASTORELLE- CASA GENERALIZIA -Via L. Umile, 13 - 00144 Romatel. 06.5262099 - [email protected]

    7 ottobre 2010Uso manoscritto

  • SUORE DI GESÙ BUON PASTORE - PASTORELLE

    ATTI DEL SEMINARIO

    “LA VITA IN CRISTO PASTORE:LA CURA D’ANIME

    MINISTERO DELLE SJBP”ROMA, 10-20 GIUGNO 2010

  • 5

    PRESENTAZIONE

    La gioia e la gratitudine con cui vi consegniamo gli Atti del Semi-nario Internazionale sulla “cura pastorale” sono l’eco di quanto vissutodal 10 al 20 giugno 2010 a Roma – Montecucco.

    Il lavoro compiuto per raccogliere i contenuti e ordinarli ha loscopo di far giungere a tutte le Pastorelle, alla Famiglia Paolina e aquanti fossero interessati, la ricchezza e la profondità della riflessionesu un tema che ci sta molto a cuore: “La vita in Cristo Pastore: La curad’anime, ministero delle SJBP”.

    In questo tempo di preparazione all’8° Capitolo generale, eventodi grazia per la nostra Congregazione e per la Chiesa, i contenuti degliAtti risulteranno particolarmente preziosi in vista di una conversionepastorale che ci renda sempre più creative nella fedeltà e aperte al-l’azione dello Spirito, che vuole anzitutto rinnovare il nostro cuore.

    Infatti il vero problema della pastorale non sono i progetti, le stra-tegie, le metodologie, ma è il cuore dei Pastori e delle Pastorelle che ne-cessita di una forte determinazione a riconoscere Gesù Cristo, unicoSignore della propria vita, Colui a cui aderire sempre più liberamente eal quale portare il gregge che appartiene esclusivamente a Lui.

    La struttura del presente libro è stata studiata in modo da facilitarela lettura dei testi all’interno della cronistoria e della narrazione del-l’esperienza vissuta. Ci auguriamo che possiate gustare i contenuti inun clima di preghiera, di riflessione personale e comunitaria che rendapatrimonio comune quanto vissuto direttamente dalle partecipanti.

    Nella celebrazione dei seminari locali, previsti prima dell’8CG, cia-scuna sorella ha la possibilità di dare il suo contributo di riflessione edi preghiera affinché il tema possa essere arricchito e completato conla partecipazione di tutte.

    A tale scopo è stato inviato alle Circoscrizioni e a ciascuna Pasto-rella e comunità, un itinerario di preparazione al Capitolo generale daltema: “AVER CURA DELLA VITA IN CRISTO: un cammino di compas-sione e di conversione pastorale in comunione”.

    La preghiera, apertura quotidiana al desiderio di Gesù buon Pa-store di stare con noi, prepari il nostro cuore all’evento capitolare e ar-ricchisca la comunione con la Trinità santa, tra di noi e con il popolo diDio, così da rendere feconda la nostra abituale cura pastorale.

  • 6

    Nella speranza che quanto contenuto in questo libro accresca l’en-tusiasmo per la missione affidata alla nostra Congregazione nella Chiesae nel mondo vi salutiamo cordialmente

    Sr Marta Finotelli e sorelle del governo generale

    Roma, 7 ottobre 201072° anniversario di Fondazione

  • 7

    PARTECIPANTI AL SEMINARIO INTERNAZIONALE

    Governo Generale

    sr Marta Finotelli sr Albina Bosio sr Arsenia Estrada sr Luz Mary Oliverossr Cesarina Pisanellisr Aminta Sarmiento sr Purisima Tañedo

    Partecipanti provenienti dalle Circoscrizioni

    sr Jessica Aglavia (junior) PI-AU-SAsr Giuseppina Alberghina dip. GGsr Gerlandia Amaro BR-SP-Gabonsr Teresa An Ksr Doris Arcon (junior) PI-AU-SAsr Clara Ariza CO-VE-MEsr Brenda Balingasa PI-AU-SAsr Suzimara Barbosa BR-CdS-Uruguaysr Maria Rosa Barison ICN-Mozambicosr Mariana Basualdo (junior) ARG-BOsr Sonia Batagin BR-SP-Gabonsr Salette Besen BR-CdS-Uruguaysr Erika Cabrera CI-PEsr Annarita Cipollone ICN-Mozambicosr Roselle Dela Cruz (junior) PI-AU-SAsr Carmen Dominguez (junior) CI-PEsr Alicia Fogliatti com. Generaliziasr Adriana Galay ARG-BOsr Eunice Grespan BR-CdS-Uruguaysr Mirina Ibarra CI-PEsr Benedetta Kim (junior) Ksr Cristina Lee (junior) Ksr Rosaria Longobardi ICS-Albaniasr Magally Marin CO-VE-MEsr Angela Napoli ICS-Albaniasr Rita Ndoci ICS-Albaniasr Lupita Ortega ARG-BO

  • sr Ales Paz Pamplona PI-AU-SAsr Marites Perez (junior) PI-AU-SAsr Lucia Piai ICN-Mozambicosr Maria de Fatima Piai BR-SP-Gabonsr Dina Ranzato ICN-Mozambicosr Monica Reda ICS-Albaniasr Cristiane Ribeiro (junior) BR-SP-Gabonsr Uezineire Ribeiro da Silva (junior) BR-CdS-Uruguaysr Angiolina Rossini ICN-Mozambicosr Carmen Cecilia Rozo CO-VE-MEsr Rita Ruzzene PI-AU-SAsr Lina Santantonio ICS-Albaniasr Cecilia Son K

    Partecipanti al Seminario solo per alcuni momenti

    sr Piera Cori ICS-Albaniasr Annalisa Gasbarro ICS-Albaniasr Maria Moretto ICS-Albania

    8

  • Partecipanti al Sem

    inario Internazionale

  • La Celebrazione Eucaristica presieduta da

    don Giancarlo Rocca è introdotta da un cor-diale saluto di accoglienza alle sorelle da partedi sr Marta Finotelli, superiora generale.

    Nell’omelia don Giancarlo, attraverso un’im-

    magine, descrive il senso del nostro essere riu-

    nite, come un ritorno a casa dove si arriva e si

    trovano cose belle e cose da risistemare.Dopo la Celebrazione Eucaristica siamo in-

    vitate a considerare personalmente le attese e il

    significato dell’espressione “cura d’anime”, ri-flessione che ciascuna, poi, condivide con la so-

    rella meno conosciuta.Nel pomeriggio si dà inizio ai lavori con il

    canto del Veni Creator Spiritus e con l’ascoltodella parola del Beato Alberione. Segue l’intro-duzione al Seminario presentata da sr Marta. Aconclusione della relazione ci lascia un interro-

    gativo da custodire, quotidianamente, nel cuore: “Cosa hai voluto dirmi, Signore, attra-

    verso tutto ciò che ho ascoltato?”Segue la costituzione di sei gruppi di lavoro

    con i seguenti nomi: Accoglienza, Accompagna-mento, Ascolto, Compassione, Misericordia, Di-scernimento. Le sorelle sono invitate ad unmomento di presentazione nel gruppo e ad una

    condivisione sul significato del nome del proprio

    gruppo.Nel pomeriggio segue la relazione di don

    Giancarlo Rocca: Storia di alcune parole.

  • 13

    SALUTO DELLA SUPERIORA GENERALEIN APERTURA DEL SEMINARIO

    Carissime, benvenute!

    Con questa celebrazioneEucaristica diamo inizio al no-stro Seminario internazionalesul ministero di cura pastorale.Il vento dello Spirito ci ha con-vocate dai cinque continenti, ciha radunate in comunione nelNome del Signore Gesù, il buonPastore che dona la vita, percantare tutte insieme l’amoredel Padre, la sua gloria che ciriveste di luce.

    In questa celebrazioneportiamo tutte le nostre sorellee comunità sparse nel mondoche si uniranno a noi con lapreghiera quotidiana in questigiorni. Portiamo anche tutti i popoli e le nazioni, moltitudine immensadi persone in attesa della salvezza, chiamate a divenire un solo popolodi Dio, nella gioia, nella giustizia e nella pace.

    Lo Spirito ci conceda nei prossimi giorni di rimanere aperte allesue ispirazioni e faccia di noi un segno eloquente della Chiesa, di quellaumanità nuova che nella diversità delle lingue, delle culture, delle espe-rienze di fede, annuncia l’unico Vangelo di Cristo.

    Ringrazio in modo particolare don Giancarlo Rocca, che presiedequesta Eucaristia, per averci accompagnato con paterna pazienza e convero amore fraterno, nel cammino di preparazione del Seminario e con-tinuerà ad accompagnarci lungo buona parte di questi giorni.

    A ciascuna di voi auguro un fecondo studio e una buona celebra-zione!

    Sr Marta Finotelli sjbp

  • PRESENTAZIONE DEL SEMINARIO

    “Sentire dentro che siamo di Dioe manifestarci all’esterno come persone di Dio.E sentire che dovete portare Gesù alle anime,

    che il vostro petto sia il Tabernacolo della Trinità;e le parole che si pronunziano,

    le attività che si svolgono,gli apostolati che si compiono siano ispirati da quella Trinità

    che è nel vostro cuore”

    (Alberione, AAP 1959, 108.109)

    Carissime,

    è con profonda gratitudine al Signore per quanto ha già operatonei nostri cuori, che diamo inizio al Seminario internazionale dal tema:“La vita in Cristo Pastore: la cura d’anime, ministero delle Suoredi Gesù buon Pastore”.

    Rivolgo a ciascuna di voi un cordiale benvenuto nella certezza che,in questi giorni, ci sarà donato di mettere insieme l’esperienza e i donidi ciascuna, allo scopo di vivere questo evento nella grazia e nella lucedello Spirito Santo. Siamo convocate, oggi, non in qualità di studioseed esperte, ma come persone consacrate a Dio e al suo Vangelo, nellaricerca della sua volontà in ordine al ministero pastorale che la Chiesaha riconosciuto ed affidato alla nostra Congregazione.

    Siamo consapevoli che il Signore ci chiama ad incarnare connuovo slancio il carisma pastorale, segreto vitale depositato nel grandecuore apostolico del nostro Fondatore, il Beato Giacomo Alberione. Edono per noi sempre aperto a nuove prospettive. Siamo qui con la cer-tezza che Dio ci precede e ci chiama ad andare là dove ci conduce il Pa-store Gesù e ci chiede di saperlo indicare ai nostri contemporanei,prima di tutto con la nostra stessa vita.

    La preparazione e l’organizzazione di questo Seminario, come bensapete, risponde a un mandato del 7CG1, che nel corso dei suoi lavori

    1 Cf Atti 7CG, 2005, p. 284.

    14

  • aveva manifestato l’esigenza di ricomprendere e ri-esprimere il nostroministero pastorale nell’ottica della “cura d’anime”2, della “cura pasto-rale”, espressioni spesse volte usate dal Fondatore, per esprimerel’azione pastorale.

    Con il contributo delle sorelle

    Rispondere al mandato del 7CG ha richiesto un notevole impegnodi energie e di tempo per coinvolgere tutte le sorelle della Congrega-zione. La partecipazione, essendo libera, ha visto particolarmente inte-ressate le sorelle e le comunità che hanno scelto di fare il percorsoofferto e di condividere la loro riflessione, maturata nell’ascolto dellaParola, attraverso le cinque schede di lectio divina inviate dall’ottobre2007 a dicembre 2008. Colgo l’occasione per ringraziare in modo parti-colare queste sorelle che hanno donato il loro prezioso contributo consemplicità e umiltà3.

    All’inizio del nostro percorso, nel considerare la sintesi delle schedepervenute abbiamo rilevato quanto il tema stia a cuore alle sorelle. Lacura amorevole di Cristo Pastore, abita veramente il nostro cuore e cirende partecipi della sua compassione per le moltitudini stanche e di-sorientate del nostro tempo, le pecorelle disperse, le radici della società, icuori e le anime assetate di verità, di bene e di pace4.

    Da parte delle partecipanti, si è sottolineato più volte che la condi-zione fondamentale e decisiva, necessaria al “prendersi cura” efficace-mente degli altri, è l’aver sperimentato la cura del Signore su di sé,fondata su un rapporto personale con Gesù buon Pastore. Questa con-sapevolezza della cura di Dio per noi, è anche un criterio fondamentaledi discernimento vocazionale per ogni Pastorella, fin dagli anni dellaformazione iniziale.

    Il nostro “prenderci cura” attinge vita dall’essere guidate e nutritedalla presenza costante di Dio e dal coltivare il nostro giardino inte-

    2 Termine maggiormente usato dall’Alberione, cf. “La cura d’anime come espressionespecifica della missione delle SGBP nel pensiero di Giacomo Alberione”. Studio pre-sentato da sr Suzimara Barbosa de Almeida a conclusione del corso di formazionesul carisma della FP, a Roma, con la guida del professore Giancarlo Rocca, Caxiasdo Sul 2004, p. 48; p. 58 ss.3 Il contributo delle sorelle e comunità partecipanti sarà condiviso negli ultimi tregiorni del Seminario.4 Cf Regola di Vita 14.

    15

    Presentazione del Seminario

  • riore, sapendo che Dio ci chiama, anche oggi, a vigilare con Lui sulsuo popolo. Aggrappate a Lui, crediamo possa sbocciare una nuovastagione della speranza a cui intendiamo collaborare, ricordando cheun albero da solo non fa molta ombra, ma insieme, unite a Lui, pos-siamo diventare un luogo di ristoro che l’umanità va cercando. Rite-niamo sia necessario maturare la convinzione che Dio vuole prendersicura dei suoi figli, anche attraverso quell’operosità comunitaria, cherichiede capacità di comunicazione profonda, stile di vita che testi-moni l’Amore di Dio, impegno a custodire la vita fraterna in comu-nione perché tutti abbiano vita vera e abbondante5. La bellezza di unafraternità che faccia trasparire il volto del Risorto è già un prendercicura del popolo di Dio.

    Per questo si sono evidenziate, nelle riflessioni pervenute, la ne-cessità di stabilire relazioni sane, costruttive, capaci di perdono e di ri-conciliazione, di bontà nell’accogliere gli aspetti meno gradevoli delcarattere di ciascuna ed anche l’esigenza di portare i pesi le une dellealtre, di caricarsi delle deficienze e dei peccati di ognuna. Fare in modoche i problemi interni alle nostre comunità, non assorbano al punto dadimenticare che la nostra presenza nel mondo dovrebbe essere testimo-nianza profetica dell’Amore.

    Molte sorelle sottolineano che non è possibile prendersi cura deglialtri senza un cammino ascetico di continua conversione, senza un com-battimento spirituale quotidiano che favorisca uno stile di discerni-mento e una disciplina interiore continua; senza un serio confronto conuna guida spirituale e un amore allo studio che sfocia nella studiositàalberioniana, capace di sviluppare un modo di vivere sapienziale. IlPrimo Maestro definisce questa esperienza spirituale con la stupendaespressione: “Cor poenitens tenete”6.

    La nostra cura pastorale si esprime nella missione di far giungereil Vangelo, cioè Gesù vivo, al cuore delle persone, con quella creativitàche nasce da un animo e da una mente purificati, mosse da una caritàpastorale che ha il coraggio di lavorare con le nuove e vecchie povertà,guardate con occhi misericordiosi; di portare le culture a confrontarsicon il Vangelo, di accompagnare ogni persona all’incontro vitale conDio, attraverso un ascolto della Parola che genera vita. Siamo sempreinvitate a tenere un orecchio sul cuore di Dio e uno sul cuore delle per-sone.

    5 Cf Gv 10,10 e l’obiettivo del 7CG: “… per condurre alle fonti della Vita”6 AD 152 insieme al “nolite timere, Ego vobiscum sum, ab hinc illuminare volo”.

    16

    Marta Finotelli

  • Dalla riflessione inviatami da alcune sorelle, ho raccolto alcuniinterrogativi che ripropongo a voi e che possono accompagnarci lungoquesti giorni di studio: Cosa significa “cura d’anime” e come ri-espri-merlo oggi con lo spirito con cui il Fondatore ce l’ha indicato? Qualirumori nei nostri cuori e quali distrazioni nelle nostre comunità ci di-stolgono dall’attenzione a Dio e al suo Vangelo? Quali interferenze ciimpediscono di rinnovare ogni giorno l’impegno battesimale e di con-sacrazione religiosa, affinché il nostro “prenderci cura” sia realmenteefficace e non ci lasciamo imprigionare da scoraggiamento e delu-sione?

    Quali situazioni ed eventi, nelle nostre Circoscrizioni e nei Paesidi provenienza, stanno risvegliando e richiamando in noi l’urgenza diuna preghiera più profonda e di un discernimento più accurato cherenda la nostra presenza realmente profetica, capace di prendersicura delle miserie umane in noi e nei nostri contemporanei? In defi-nitiva: Come essere comunità di fede in “cura d’anime” nel nostrotempo?

    Tra i diversi frutti della lectio divina, pervenuti dalle sorelle chepersonalmente hanno voluto condividere con me la loro esperienza divita, riporto questa riflessione:

    “La cura pastorale nasce dall’amore: l’amore agapico di Gesù buonPastore che dà la vita per ognuna di noi, insegnandoci ad amare. Eglici chiede, come ha chiesto a Pietro: “Tu mi ami?” Tante volte siamo ca-paci solo di dire: “Sì, Signore, io ti voglio bene”. Il suo mandato, peròsempre ci stupisce: “Pasci le mie pecore”. Come mai, davanti a una ri-chiesta così profonda e una risposta così debole, scaturisce questo man-dato tanto impegnativo? Certo, il “pascere” affidato, non dipende dallenostre belle capacità, dai nostri meriti, ma dalla nostra umiltà e since-rità nel riconoscere quello che davvero siamo, la nostra verità più pro-fonda, che già è totalmente conosciuta da Lui, la nostra disponibilità didare tutto quello che possiamo, ma che sia tutto! E solamente con que-sto atteggiamento umile e mite, di chi è sempre bisognoso d’Amore, chepossiamo lasciarci veramente amare, per crescere nell’amore e passaredalla philia all’agape, sino alla configurazione a Gesù buon Pastore, sinoa dare la vita, liberamente, come ha fatto Lui, come hanno fatto Pietroe Paolo e tanti altri dopo di loro”7.

    7 Dalla testimonianza personale di una suora Pastorella inviata alla superiora gene-rale.

    17

    Presentazione del Seminario

  • Viviamo un tempo storico segnato da incertezze e precarietà cheriguarda tutti i continenti, l’intera umanità, per questo sembra difficileprogettare il futuro e aprirsi alla speranza, ma proprio per questo è piùurgente l’annuncio del Vangelo che dona la grazia e la prospettiva giustaper ritrovare il senso della vita e suscitare nuove energie di solidarietàe di comunione.

    Siamo convinte che si può condurre questa umanità alle fonti dellavita, se noi per prime ci lasciamo condurre dallo Spirito alla fonte dellaVita che è il Padre. Solo se la vita di Gesù scorre in noi, può diventareesperienza di salvezza da condividere con altri; esperienza capace di faremergere dal cuore delle persone lo stesso bisogno fondamentale di sal-vezza.

    Si fa urgente, allora, educare la domanda che tutti portiamo nelcuore: chi si prende cura della mia vita? La nostra vita, vissuta in Cristo,diventa una risposta concreta, trasparente che Gesù, il Risorto, è il veroPastore che si prende cura! È Lui, il buon Samaritano che si china sulleferite umane! È Lui la risposta che ogni essere umano cerca, anchesenza saperlo. Ecco la Fonte viva che siamo chiamate a rendere visibileattraverso il nostro “prenderci cura”.

    Come ci ha ricordato recentemente, papa Benedetto XVI, il pren-dersi cura, specie delle nuove generazioni, passa per la gioia e la faticadi un ascolto attento della loro sete di senso: “I giovani portano una setenel loro cuore, e questa sete è una domanda di significato e di rapportiumani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide dellavita. (...) La nostra risposta è l’annuncio del Dio amico dell’uomo, che inGesù si è fatto prossimo a ciascuno. La trasmissione della fede è parte ir-rinunciabile della formazione integrale della persona (...). L’incontro per-sonale con Gesù è la chiave per intuire la rilevanza di Dio nell’esistenzaquotidiana“8.

    Anche le parole di un Vescovo, che mi hanno molto colpito, pos-sono aiutarci a mettere a fuoco che cosa comporta oggi il ministero dicura pastorale: “Credo che la grande sfida che il Signore ci propone siaquella di condurre, guidare, accompagnare le persone all’incontro con ilSignore Gesù e alla donazione a Lui, raggiungendo con la luce dello SpiritoSanto la vita accanto al Padre. Così si dà dignità alla persona e alla con-vivenza tra le persone in un Paese ricco ma sempre bisognoso di conver-

    8 Benedetto XVI, ai Membri dell’Assemblea Generale della Conferenza EpiscopaleItaliana (CEI), riuniti dal 24 al 28 maggio 2010 per esaminare l’approvazione degliOrientamenti pastorali nel decennio 2010-2020.

    Marta Finotelli

    18

  • sione. In questo cammino, con la luce del Signore, bisogna conoscere eguidare tutti alla santità”9.

    Perché proprio un Seminario?

    L’etimologia della parola seminario, che viene dal latino, ci diceche la parola è composta da semen = seme e arium = luogo dove si ri-pone il seme fuori dal terreno. Quindi per noi questo seminario si po-trebbe considerare un tempo e uno spazio privilegiato per studiare inprofondità il nostro tema e per conoscere in modo sapienziale il carismapastorale che ci è stato donato.

    Il Seminario quindi è tempo di studio, serio e assiduo, illuminatodalla fede e da tanta preghiera, così come lo raccomandava don Albe-rione: “Lo studio è una comunione, una comunione con Gesù Verità. Astudio dovremmo stare con le mani giunte. Studiare e studiare con fede,arrivare a sostituire nella nostra mente i pensieri e i ragionamenti di GesùVerità”10.

    Il Seminario perciò è anche tempo di discernimento spirituale perriconoscere gli appelli dello Spirito e considerare il tema della curad’anime non come un campo di azione o di apostolato, quanto piuttostocome stile o forma di vita, come atteggiamento fondamentale necessarioper formare una mentalità nuova che permei tutta la nostra attività apo-stolica.

    Il Seminario si distingue da un semplice Convegno proprio perchérichiede il lavoro di tutte e funziona nella misura in cui ciascuna vi par-tecipa attivamente. Anche le persone che interverranno in questi giorni,non sono da considerarsi dei semplici relatori, ma persone che ci offri-ranno le loro esperienze spirituali e pastorali, per favorire la nostra ri-cerca e il nostro approfondimento.

    Perché un Seminario con il tema della “cura d’anime”?

    Per continuare il cammino iniziato con il 7CG che aveva comeobiettivo del sessennio 2005-2011: “In continua conformazione a Cristo

    9 In Zenit del 27/04/2010 “L’esperienza di essere nominato Vescovo nell’Anno Sacerdo-tale” di Mons. Marcelo Cuenca, vescovo di Alto Valle del Río Negro, Argentina, do-cumento in cui descrive le sfide pastorali oggi. 10 Prediche in America, 1952, 280, stampate dalle FSP.

    Presentazione del Seminario

    19

  • Pastore approfondiamo e riesprimiamo il ministero di cura pastorale percondurre l’umanità oggi alle fonti della vita”.

    Il tema del presente Seminario intende quindi continuare questopercorso che in vari modi stiamo realizzando nella nostra Congrega-zione. Riteniamo che il termine “cura d’anime” che può apparire fuorimoda, ormai “datato”, in realtà dice molto bene il cuore del nostro ca-risma, che è quello di prenderci cura della fede dei battezzati, che in que-sta stagione della storia soffre di una grave debolezza e fragilità; e dicondurre anche i non credenti o i lontani a gustare e a desiderare la vitain Cristo.

    Riteniamo che la Pastorale come cura delle persone sia proprio lamissione di guidare alla salvezza, di guarire il cuore dalle ferite del pec-cato, di curare le malattie spirituali di cui l’uomo è portatore da sempree che oggi emergono in forme nuove. Prendersi cura vuol dire conosceree amare la condizione umana, che si svelerà a noi nelle dimensioni pro-fonde del cuore, là dove avviene l’incontro con Cristo, il Figlio di Dio,fattosi per noi medico, maestro e pastore.

    Lungo il seminario avremo modo di esaminare le nuove domandeche emergono da questa umanità, che richiedono nuovi modi di pren-dersi cura e avremo modo di esaminarle, ma sarà necessario tenerepresente l’antropologia teologica paolina, che considera l’uomo inte-gralmente creato a immagine e somiglianza di Dio, corpo, anima e spi-rito; segnato dal peccato e rendento da Cristo con la sua Pasqua. Al difuori di questa prospettiva potremo rischiare di curare le persone conle illusioni e quindi di non svolgere la nostra missione per aiutarle agiungere alla salvezza, in una parola, alla santità cristiana.

    Le nuove esigenze pastorali che interpellano la nostra missionenella Chiesa e nel mondo, sono segni dei tempi e dei luoghi che Dio cidà per indirizzare la nostra cura proprio verso le persone più bisognosedi salvezza. E questo ci è chiesto di farlo in comunione con i pastoridella Chiesa, che per il sacramento dell’Ordine, sono chiamati espres-samente al ministero di cura d’anime.

    La nostra Regola di Vita descrive la comunione con i pastori comeuna caratteristica fondamentale del nostro carisma, che proviene dallapartecipazione al ministero pastorale di Cristo: “Caratteristica fonda-mentale del nostro carisma è la partecipazione alla missione pastorale diCristo nell’edificare le comunità cristiane in comunione con i pastori dellaChiesa”11.

    11 RdV 5.

    Marta Finotelli

    20

  • Alberione più volte ha ricordato, ponendolo in chiave cristologico-mariana, lo spirito del nostro Istituto come un modo di essere più chedi fare, essere accanto ai pastori come Maria accanto a Gesù: “Tra le gra-zie da chiedersi sono specialmente da ricordare queste: lo spirito dell’isti-tuto, che non è un semplice fare degli asili, o qualche opera buona nelleparrocchie; ma questo: di essere quello che fu la SS. Vergine Maria Madredel Divin Pastore, rispetto a Gesù buon Pastore, secondo la vostra condi-zione. Pregando, sarete sempre più illuminate. (…) Preparazione religiosa,intellettuale e pastorale. L’intima intelligenza di Gesù buon Pastore nellavita pubblica; e della missione di Maria come Madre del Divin Pastore, vifaranno vere Pastorine. Vivrete, opererete, vi santificherete nella bellissimamissione che il Signore vi assegna”12. “Oh! la bellezza del vostro stato, dellavostra missione! (…). Voi avete la cura delle anime nelle opere parroc-chiali. Per le anime! L’opera è diretta alle anime quando fare un’opera vuoldire cooperare ai ministri di Dio, ai Pastori di anime.”13.

    Per comprendere il nostro ministero nella Chiesa ci è chiesta l’in-tima intelligenza di Gesù buon Pastore, quella sapienza dello Spiritoche penetra i misteri di Dio, li vive e li trasmette. Ed anche la capacitàdi comprendere e di guidare “le anime”, cioè il cuore umano. Così siesprimeva ancora il nostro Fondatore: “Vi sono delle suore le quali sannocosì entrare nelle intimità spirituali delle anime! E come le portano avantinella via della santità! Non so quanto già si conosca della bellezza, dellasantità e della sublimità della vostra vocazione. Ma non potrete mai ca-pirla del tutto la vostra vocazione. La capirete solo in cielo. Capirete soloin cielo”14.

    Presentazione del programma di lavoro

    Il nostro seminario si svolgerà in 10 giorni suddivisi in questomodo:

    I primi due giorni saranno dedicati ai fondamenti biblici e teologicidell’azione pastorale. Seguirà una giornata dedicata alla storia dellacura d’anime. Il 14 giugno, dopo un’ulteriore riflessione biblica sul mi-

    12 Doc. 62, Lettera alle Suore Pastorelle, manoscritto, in Archivio Storico GeneraleSJBP; citato anche in So, p. 50. Alla fine della lettera Alberione chiede a sr GemmaNazzari, SJBP, di farne copia per tutte le case dell’Istituto, perché egli possa firmarlee siano spedite il più presto possibile.13 PrP II, 1957, p. 125.14 AAP 1965, 41.

    Presentazione del Seminario

    21

  • nistero pastorale degli apostoli Pietro e Paolo, vedremo alcune figureemblematiche nella storia del ministero pastorale: Gregorio Magno,Giovanni Crisostomo, san Paolo della Croce e il Santo Curato d’Ars.Usando un’immagine suggestiva, potremmo salire sulle spalle di questi“giganti” per poter guardare lontano, in avanti, e prepararci ad acco-gliere le sfide del prossimo futuro.

    Il 15 giugno ascolteremo una breve storia della parrocchia. Segui-ranno alcune testimonianze sulle diverse forme di cura pastorale tra cuiquella di un parroco di Roma che sta realizzando una cura pastoraleinnovativa rispetto allo stile tradizionale. Nei giorni che seguiranno an-dremo sempre più addentro alla nostra esperienza: il 16 ascolteremodue interventi di Famiglia Paolina e nel pomeriggio la presentazionedei Piani pastorali delle nazioni in cui siamo presenti come Congrega-zione. Il 17 prenderemo in considerazione la Triplice opera e alcune no-stre particolari iniziative pastorali. In serata ascolteremo alcunePastorelle che con i loro canti esprimono un modo originale di pren-dersi cura delle persone oggi.

    I giorni 18-20 ci permetteranno di guardare insieme al futuro inascolto di Alberione per coglierne lo spirito, impegnandoci in una rie-laborazione sapienziale dei contenuti e delle esperienze, in vista dinuove prospettive pastorali.

    Invito finale

    Il nostro più grande desiderio è vivere il Seminario come tempo incui Dio si prende cura di noi, desiderando comprendere sempre megliocome mantenere acceso il fuoco del suo Amore in ciascuna di noi, nellaCongregazione, nella Chiesa. E, attraverso di Lui, abbracciare il mondoin maniera più profonda e nuova.

    Tocca ad ognuna, in una rete di comunione e di lavoro insieme, re-stare in attento ascolto dello Spirito, il Solo che può dare all’impulsodinamico delle origini una vitalità che orienta, risveglia nuove risorse epermette nuove incarnazioni del “prendersi cura”.

    Ecco perché vi suggerisco di porvi alla fine di ogni giornata di que-sto Seminario la seguente domanda: “Cosa hai voluto dirmi, Signore, at-traverso tutto ciò che ho ascoltato?”. Così rimarremo sintonizzate con lavoce dello Spirito, sempre più attratte dalla sua musica che unifica ilnostro cuore sull’essenziale della nostra vita, centrate su ciò che è im-portante e non su questioni secondarie. Chiediamo con fiducia il dono

    Marta Finotelli

    22

  • Presentazione del Seminario

    23

    di ri-esprimere il nostro peculiare prenderci cura nella Chiesa e nelmondo in questo momento storico.

    È questo un tempo privilegiato per condividere la vita in Cristo cu-stodita nel cuore di ciascuna, in modo da guardare al futuro con mag-giore consapevolezza e speranza, nella certezza che lo Spirito ciindicherà le vie da seguire anche nell’oscurità della notte.

    Infine, mi sembra importante ricordare che, tutto quello cheavremo vissuto, condiviso ed elaborato in questa sede, costituirà unafonte di ispirazione anche per celebrare nelle diverse Circoscrizioni unSeminario locale, che arricchisca ancora di più i contenuti qui offerti,permetta a tutte le sorelle di vivere la nostra stessa esperienza e di con-tribuire alla riflessione Congregazionale che ci porterà sino a celebrarel’8CG.

    Nella nostra piccolezza e povertà, ci è affidato un bel compito euna grande responsabilità. Iniziamo dunque invocando il dono di unosguardo sapiente, perché possiamo riconoscere dove và lo Spirito, rin-novare la relazione con Cristo Pastore e condurre con Lui al Padre il suopopolo.

    Buon lavoro a tutte!

    Sr Marta Finotellisuperiora generale

  • 24

    GRUPPI DI LAVORO

    Gruppo Accoglienza

    sr Albina Bosio sr Rita Ruzzenesr Angiolina Rossinisr Mariana Basualdo sr Cecilia Sonsr Maria de Fatima Piaisr Uezineire Ribeiro da Silva sr Magally Marin

    Gruppo Accompagnamento

    sr Arsenia Estrada sr Maria Rosa Barisonsr Rosaria Longobardisr Benedetta Kimsr Doris Arconsr Eunice Grespansr Carmen Cecilia Rozosr Lupita Ortega

    Gruppo Ascolto

    sr Aminta Sarmiento sr Annarita Cipollonesr Marites Perezsr Ales Paz Pamplonasr Sonia Bataginsr Salette Besensr Mirina Ibarrasr Alicia Fogliatti

  • 25

    Gruppo Compassione

    sr Luz Mary Oliverossr Lina Santantoniosr Dina Ranzatosr Rita Ndocisr Jessica Aglaviasr Gerlandia Amarosr Carmen Dominguezsr Teresa An

    Gruppo Discernimento

    sr Giuseppina Alberghinasr Monica Redasr Lucia Piaisr Cristina Leesr Roselle Dela Cruzsr Cristiane Ribeirosr Erika Cabrerasr Adriana Galay

    Gruppo Misericordia

    sr Marta Finotelli sr Cesarina Pisanellisr Clara Arizasr Brenda Balingasasr Suzimara Barbosasr Angela Napolisr Purisima Tañedo

  • 27

    STORIA DI ALCUNE PAROLE15

    Teoricamente dovremmo raccontare più o meno come siamo arri-vati a queste parole: cura d’anime, cura dell’anima, pastorale, cura pa-storale, vescovo, parrocchia;chiarire, cioè, tutto questogrande complesso di paroleche indicano attenzioneverso gli altri. Naturalmente,all’interno di questo quadro,dovremmo precisare se c’èuna cura d’anime e chi la fa:se un uomo, se una donna,se un prete, se una personaqualsiasi. Bisognerebbe an-che precisare che cosa vienedetto in questo rapporto,quali gesti concreti vengonocompiuti e in quale modo ciòavviene. Conviene infine pre-cisare dove e da chi partequesto quadro di “curad’anime”, e naturalmentepartiamo dal primissimoquadro: Gesù.

    Gesù

    Quando parliamo di Gesù Pastore, dobbiamo chiederci anzituttoche cosa Egli propone. E lo sappiamo con esattezza perché Gesù ripe-teva spesso le stesse cose, girando il punto di vista, come dicono i nostriesegeti, e fondamentalmente diceva: “Tu non puoi essere di qua e di là,o servi Dio o servi Mammona”. Questo concetto viene ripetuto in tantimodi: la perla preziosa, per la quale tu vendi tutto per acquistarla; lavera acqua o seconda acqua, il vero pane, la vera vita. È sempre la stessaidea: “Tu non puoi mantenerti doppio nella tua vita. Tu devi in qualche

    15 Questa relazione conserva il tono discorsivo, familiare e non ha carattere scienti-fico.

  • modo cercare di unificare le due strade, le due vie e arrivare a una unitàdel tuo essere”.

    Ora, questo discorso di Gesù verso l’unificazione, che cosa suppone?Suppone che in noi ci sia una certa ambiguità. Suppone che tutti noi, chipiù chi meno, ma tutti siamo un po’ ambigui, un po’ doppi. Ora sulla basedella nostra ambiguità, della nostra doppiezza, del nostro essere, Gesùcostruisce e dice: “Cerca di stringere, cerca di camminare verso l’unifica-zione”. Il punto interessante è che a un certo punto, dicendo queste cose,Gesù dice: “Se tu servi Mammona, tu sei schiavo, mentre se tu servi Diotu liberi te stesso”. Su questo punto Gesù fa forza: si cerca il meglio dellapersona, proprio attraverso l’osservanza dei comandamenti; su questo faforza tutta la predicazione di Gesù, tutto il suo girare per la Palestina. Po-tremmo dire che, sostanzialmente, l’idea di Gesù, la predicazione di Gesùcome Pastore ruota attorno a questo punto: tu non devi essere doppionella tua vita, ma devi cercare in qualche modo di servire Dio fino infondo, in tutte le circostanze, se sei un esattore di tasse, se sei un soldato,se sei quello che vuoi, ma fai questo, unificati.

    Il secondo punto che a noi interessa chiarire è vedere come Gesùagisce, quale modalità concreta utilizza per richiamare all’unificazione.Cioè, il modo con cui Gesù interviene sulle persone è dire: “Forse haisbagliato, forse sarebbe bene che tu ti correggessi”. Allora la domandache dobbiamo porci è questa: come si corregge un uomo? Come si cor-regge una donna? Come la si corregge? Uccidendola? In questo modoelimini il problema, ma non la correggi. Tu correggi un uomo, unadonna uccidendoli? Tu correggi una prostituta oppure un’adultera,come si legge nel vangelo, lapidandola? Uccidendola, come si fa ancoraadesso? Correggi così una persona? O tagliandole la mano, perché harubato? O le tagli un piede? Così si corregge una persona? Gesù dice dino! Il modo con cui Egli corregge un uomo è un altro: presentandogli ilbene, presentandogli quello che corrisponde alla sua natura di uomo.Tu gli devi presentare un ideale, gli devi presentare la giustizia. In questomodo correggi un uomo. All’adultera Gesù che cosa dice? “Hai sba-gliato, allora va’, non peccare più”. E su questo discorso cammina tuttala predicazione di Gesù. Hai sbagliato? Riprenditi. E questo ciò su cuiinsiste Gesù: una grande forma di autostima. Non ti devi scoraggiareperché hai sbagliato. No. Non ti devi scoraggiare, qualunque cosa ti siasuccesso, tu ti puoi riprendere, puoi cominciare di nuovo. Va’ e non pec-care più. Questo discorso è fondamentale per tutti noi che siamo nelministero pastorale. Hai sbagliato, ti riprendi. Ti presento il bene, nonti taglio le mani, non ti boccio, non ha nessun senso. Ti presento l’idealedi giustizia e di bontà.

    28

    Giancarlo Rocca

  • E naturalmente la terza caratteristica che dobbiamo osservare èche Gesù rivolge questo discorso a tutti. Non fa la distinzione fra uomo,donna, povero, ricco, tutt’altro. Il discorso è unico per tutti ed è: cercail meglio di te stesso, salva la tua anima, cerca il bene, cerca la perlapreziosa, cerca di non essere ambiguo, nè doppio nella tua vita. Gesùpresenta questo discorso a tutti con le stesse esigenze. Non fa distin-zioni: “Tu sei sposato, quindi sei meno obbligato; tu invece non sei spo-sato, tu sei più obbligato”. No! Tu sei obbligato a tutto in qualsiasi statosociale ti trovi.

    Paolo (lettera ai Corinzi)

    Di fronte a queste caratteristiche dell’insegnamento di Gesù dob-biamo chiederci che cosa avveniva - ed è la seconda tappa del nostro di-scorso -, nelle prime riunioni dei cristiani. Che cosa facevano percercare di ricordare gli insegnamenti di Gesù? Al riguardo siamo avvan-taggiati dal fatto che abbiamo alcune testimonianze, soprattutto inPaolo, e negli Atti degli Apostoli e nella Didachè; cioè, abbiamo alcunielementi per poter dire come avveniva questa prima pastorale, la pri-missima pastorale della Chiesa.

    Con Paolo, cioè con la lettera ai Corinzi, sappiamo che le riunioniavvenivano la domenica sera. Era una grande festa, divisa praticamentein due momenti: 1) un banchetto, cioè, una vera cena, nel corso dellaquale i cristiani mangiavano insieme; 2) e un simposio, un seguito dipreghiere eucaristiche. Allora Paolo interviene e dice: come mai alcunidi voi mangiano troppo e altri non mangiano niente? Come mai alcunidi voi mangiano fino a sazietà e altri non hanno niente? Perché noncondividete la vostra cena? E allora questa prima parte della cena vienesoppressa e si parla solo del “simposio” o celebrazione Eucaristica, chenaturalmente aveva diversi elementi: c’era lo spezzare il pane come sidiceva allora, quindi la condivisione Eucaristica, poi la predicazione, einsieme, sempre secondo Paolo, altri eventi collaterali: glossolalia, gua-rigione, dono di interpretazione, aspetti tutti che facevano parte del-l’unica riunione.

    Cosa interessante per noi, non abbiamo testimonianza di paroleche venissero dette prima di cominciare “la cena”, cioè che ci fosseuna manifestazione pubblica di confessione, di pentimento. I testi nonne parlano. Al contrario, questa precisazione è chiarissima nella Di-dachè. A un certo punto si costruisce un tessuto molto più vasto di ce-lebrazione Eucaristica e cominciamo ad avere quegli elementi che

    29

    Storia di alcune parole

  • configurano abbastanza da vicino il modo con cui noi celebriamo oggil’Eucaristia, quindi: all’inizio il pentimento (la confessione), poi la let-tura di testi biblici, la predica, la cena Eucaristica. Notate, però, chenel primissimo periodo non si parla di incarico affidato a qualcuno;ciò avviene dopo.

    E cosi possiamo arrivare a una terza tappa, su cui siamo moltopiù informati, cioè al III-IV secolo. Abbiamo tesi di laurea e pubblica-zioni che ci informano chiaramente su come avveniva la pastorale ingrandi città come Roma, Milano, Cartagine, Antiochia, Costantinopoli.Allora troviamo una grande manifestazione di pastorale, diciamo così,anche se il termine ancora non c’era, che aveva tanti elementi: c’eraanzitutto la celebrazione Eucaristica, e attorno a essa altri elementicon quella grande distinzione che troviamo dapprima a Roma. ARoma, per la prima volta, vengono create, non diciamo parrocchie,perché questo termine non era ancora usato, diciamo delle suddivi-sioni. Prima, al tempo di Paolo, la celebrazione era unica, una voltasola la settimana e per tutta la città, per tutti i cristiani della città chesi riunivano nella casa di un cristiano e lì celebravano l’Eucaristia. ARoma, invece, diciamo verso la fine del secolo III inizio del secolo IV,quando ormai i cristiani erano molto numerosi, si crea una suddivi-sione, i cosiddetti Titoli, per permettere ai cristiani che stavano lontanidalla basilica di san Giovanni di poter celebrare la loro Eucaristia. Eallora il vescovo che celebrava a san Giovanni mandava l’Eucaristia atutti questi Titoli, oppure incaricava un prete di celebrare in questezone e ugualmente mandava l’Eucaristia per loro. Quindi abbiamouna suddivisione resa necessaria dal numero dei cristiani. E vediamoche le opere condotte da questi vescovi, come pastorale, erano vastis-sime. C’era ovviamente il catecumenato con tutto ciò che esso richie-deva: l’insegnamento, la preparazione, il battesimo che avveniva unavolta all’anno, a Pasqua. C’era anche un grande servizio di carità ecollette per aiutare i poveri. Questo già risaliva a san Paolo che avevafatto una raccolta per la Chiesa di Gerusalemme. Alcuni vescovi si in-teressano della liberazione degli schiavi, che allora erano numerosi, ese ne preoccupano. Oppure, nel IV secolo, si occupavano di risolvereeventuali contestazioni tra cristiani, come nel caso di Ambrogio a Mi-lano, che era a capo di un tribunale. Vediamo, quindi, che il campodella pastorale di un vescovo si estende a tanti aspetti, che per noinon ci sono più, ma dove l’azione pastorale aveva ripercussioni vaste.Naturalmente c’era, poi, quella che a Roma veniva chiamata la peni-tenza pubblica; a Cartagine, a Milano, a Roma con tutto ciò che essacomportava: rinuncia del peccato, tempo particolare della remissione,il ricorso al vescovo.

    30

    Giancarlo Rocca

  • Come si vede, gli ambiti in cui si esplica la pastorale sono vasti e nu-merosi. Riflettendo su questi aspetti, gli studiosi si sono detti: “Come pos-siamo giudicare questo grande sforzo dei vescovi verso la pastorale?”.Esaminandolo, alcuni studiosi hanno notato in alcune zone una fortis-sima accentuazione liturgica e hanno portato la pastorale verso il con-cetto di liturgia. Altri autori hanno esaminato il comportamento di Basiliodi Cappadocia, vescovo, e hanno visto che Basilio puntava moltissimo suquella che noi potremmo chiamare direzione spirituale, consigli dati asingole persone, e risposte a questioni singole, spostando l’accentuazioneverso la guida spirituale delle persone e delle comunità. Oppure riflet-tendo ancora sulla grande importanza che aveva l’aiuto ai poveri, o la li-berazione degli schiavi, o l’aiuto ai prigionieri, alcuni hanno visto lapastorale come un grande servizio sociale della Chiesa.

    Terza tappa

    Di fronte alle diverse manifestazioni di pastorale dei primi secolidobbiamo chiederci quali parole usavano i nostri cristiani, i nostri teo-logi, i nostri scrittori per esprimere questi concetti. Da tutta questa sto-ria è chiarissimo che la distinzione territoriale che noi conosciamo didiocesi e di parrocchia non è del tempo di Gesù, né di Paolo. Anzi, ab-biamo un grande cambiamento nel significato di parrocchia. Noi sap-piamo che la parola parrocchia è originata dal greco - paroikoi -, che hail significato di ospiti, di persone che si trovano in una situazione prov-visoria, transeunte. I cristiani si trovano in una situazione transeunte,in attesa del Regno, e quindi la parola assume un significato spirituale,che si ritrova nei primi testi degli Atti degli Apostoli, come camminoverso un’altra meta. Dobbiamo quindi chiederci quando la parrocchiaassume il significato territoriale, di uno spazio ben delimitato, e ciò av-viene molto tardi. Passano diversi secoli prima di arrivare al significatodi parrocchia territoriale, e ciò avviene in connessione con il concettodi vescovo e con il concetto di diocesi.

    Alle origini anche la parola “vescovo” non aveva il nostro signifi-cato; abbiamo, infatti, un testo di Paolo che usa la parola al plurale: “Inuna comunità vi sono diversi vescovi”. Il vescovo è al plurale, quindi nonaveva lo stesso significato nostro, di oggi, quindi i vescovi erano intesicome guida, come ispettori, come sovrintendenti, e se dobbiamo speci-ficare, dobbiamo dire: la parrocchia territoriale arriva tardi, ma ab-biamo molte prove per dire che anche il significato di diocesi è tardivo.Sappiamo che la parola diocesi veniva usata per indicare territori va-stissimi, che potevano comprendere diverse provincie civili, e nel campo

    31

    Storia di alcune parole

  • ecclesiastico troviamo l’uso della parola parrocchia al posto di diocesi,e l’uso della parola diocesi al posto di parrocchia, quindi i due terminisi sono intercambiati e sovrapposti per molto tempo. Allora il significatopreciso, attuale, di parrocchia e di parroco a cosa è dovuto? È dovutoal fatto che, a un certo punto, si è moltiplicato il numero dei cristiani eil vescovo non poteva più andare nelle campagne per l’Eucarestia, do-veva per forza delegare un prete per andare sul posto, alle sue dipen-denze, e poco per volta si è creata una struttura che rassomiglia allanostra parrocchia. Prima di arrivare alla parrocchia vera e propria c’è,però, il passaggio intermedio della plebs, quella che noi chiamiamopieve, nella quale i preti vivevano insieme e dalla quale uscivano per an-dare nelle campagne a celebrare la messa. La pieve fungeva da centroreligioso ed era l’unica chiesa autorizzata al battesimo, le altre chiese ocappelle non potevano amministrarlo. Quindi dalla pieve poco per voltasi è costituita quella che noi chiamiamo la parrocchia e il parroco, maciò è avvenuto molto lentamente.

    Nella questione del vocabolario, perciò, si deve tener fisso che la di-stinzione territoriale (parrocchia) non risale al tempo di Gesù né ai tempidi Paolo, si crea molto lentamente. Prima del V secolo non c’è la distin-zione territoriale di parrocchia, e anche se c’è il termine, non ha il signi-ficato di distinzione territoriale così come noi la usiamo. La conclusione:si arriva alla plebs e poi alla parrocchia – suddivisione di quello che alleorigini era un unico centro – per servire meglio il popolo cristiano.

    Dobbiamo anche chiederci: chi fa la pastorale? In primo piano è ilvescovo, che si fa aiutare dai preti o dai diaconi suoi collaboratori, enaturalmente in funzione dipendente. Dove il vescovo non arriva, mandail prete o il diacono. Ciò che potrebbe essere interessante per noi, neiprimi tempi, è che, quando il vescovo non c’è, a celebrare viene incari-cato il prete; quindi c’è una certa interscambiabilità di ruoli già all’inizio.Possiamo chiederci se le donne, in qualche modo, non contribuisseroalla celebrazione Eucaristica. Dai testi di Paolo non sembra che si possaescludere una partecipazione femminile alla celebrazione Eucaristica,certamente non nel modo in cui la intendiamo noi oggi; però è innega-bile che qualcosa c’era, anche perché nei primi tempi la celebrazioneavveniva nelle case di cristiani ricchi in grado di ospitare molte persone,e qualche volta avveniva che qualche donna ricca accettava nella suacasa la celebrazione, e quindi, essendo la persona che ospitava, avevaun ruolo nella celebrazione.

    Come veniva celebrata questa pastorale, che cosa era? Sappiamoche veniva messa, in primo piano, la predicazione. Per s. Paolo, s. Ba-

    32

    Giancarlo Rocca

  • silio, s. Agostino, s. Ambrogio e tanti altri al primo posto veniva l’inse-gnamento. Questa predicazione era indirizzata verso la gente, verso unpubblico vasto. Quando invece era indirizzata verso il singolo, automa-ticamente essa portava verso quelle forme che oggi chiamiamo dire-zione spirituale, e quindi: contatti diretti, consigli, discorsi, colloqui,esame di coscienza. Ciò avviene lentamente ed è un solo aspetto dellapastorale. Naturalmente questo tipo di pastorale deve essere distinta daquel che avviene all’interno dei monasteri. In questo periodo, dai secoliIV-V in poi, v’erano tante comunità monastiche che non erano rette dapreti, ma da laici, i quali all’interno del monastero svolgevano un servi-zio pastorale come abati o abbadesse. Sappiamo che il sabato sera lacomunità monastica andava alla chiesa del villaggio per ascoltare lamessa, ma il resto: ammonimenti, guida spirituale, confessione, tuttoavveniva all’interno del monastero attraverso queste persone.

    A questo punto è facile fare una distinzione: c’è una pastorale diufficio legata a delle persone, in questo caso il vescovo; e una pastorale,che potremmo chiamare, più carismatica, legata al monastero, ai mo-naci, all’abbadessa, agli eremiti, all’abate all’interno della comunità mo-nastica, che vive in maniera più autonoma.

    Possiamo chiederci, restando nella questione del vocabolario,quale parola poteva designare tutto questo immenso campo di opere,di atteggiamenti, comprendendo: penitenza, direzione spirituale sin-gola, collettiva, liberazione degli schiavi, carità. Sappiamo che Basilio,morto nel 379, usa due parole con significato abbastanza diverso: curadelle anime e cura dell’anima. Cura delle anime porta verso il popolo,verso l’esterno, e quindi riflette la sua posizione di vescovo che ha curadella sua comunità e si preoccupa di visitarla, di ammonirla, di guidarla,di risolvere i suoi dubbi. Basilio, però, usa anche l’espressione al singo-lare: cura dell’anima, e in questo caso abbiamo l’indicazione precisa chein primo piano è la cura di tutta la propria persona e di tutti quegli at-teggiamenti che riguardano la vita: la doppiezza, di cui parlava Gesù,per cercare di arrivare a una unificazione del proprio essere interiore.Nel caso di Basilio i due aspetti sono molto chiari: cura di stessi e curadell’altro. Non si possono scindere i due elementi, tu non puoi raccon-tare delle cose a un altro che prima non racconti a te stesso, non ha nes-sun significato; quello che devi raccontare a un altro nell’azionepastorale, prima lo racconti a te stesso e poi lo racconti a un altro.

    Abbiamo un’altra espressione classica, quella di Gregorio, cheparla di regimen animarum, al plurale: regime/guida delle anime. Un ve-scovo, un pastore, un papa che guida le anime, quindi si pone nella pro-

    33

    Storia di alcune parole

  • spettiva di arrivare ad altre persone. Gregorio usa un’espressione pienadi autorità, non usa la parola cura, non usa la parola preoccupazione,ma usa regime, quindi ha in mente il suo compito di guidare le anime.Occorre però tener presente che Gregorio, autore della Regola Pastorale,chiarisce bene anche quelle che devono essere le caratteristiche di coluiche deve svolgere la funzione di pastore: puro di mente, generoso, etante altre caratteristiche ancora. Se usiamo determinate parole, dob-biamo stare attenti a quello che vogliono dire: se usiamo cura delleanime ci rivolgiamo verso gli altri, se usiamo regime delle anime ci por-tiamo ancora verso gli altri. Ma queste due espressioni non devono fardimenticare la dimensione personale che si trova in questi pastori. Nonsi possono curare gli altri dimenticando se stessi.

    Siamo arrivati ora a un punto in cui possiamo discutere delleespressioni usate per indicare il compito pastorale, alla ricerca di unaespressione più adatta. “Cura d’anime” è stata molto criticata, perchésuppone un dualismo. Questo è vero, suppone il dualismo platonico traanima e corpo; dualismo tra natura e soprannatura, per alcuni autoritra fede e scienze. Ma ci sono anche delle obiezioni da fare, e possiamochiederci: veramente Platone intendeva queste cose proponendo animae corpo, realmente Socrate con la sua teoria: cura te stesso, intendevamettere in contrapposizione corpo e anima? Socrate diceva: tu ti staipreoccupando di tante cose che non sono importanti: dei tuoi cavalli,dei tuoi soldi, dei tuoi terreni, ma non della tua unificazione; cura testesso. Possiamo dire che questo dualismo non falsa la prospettiva diSocrate e di Platone, perché essi cercavano una unificazione dell’uomo,di superare la nostra ambiguità: non sopravvalutare, ma metti in primopiano l’educazione di te stesso, la cura di te stesso, unificati perché sesegui i tuoi istinti è finita. Si preoccupavano di unire l’uomo, per ren-derlo più coerente. Se guardiamo la prospettiva del dualismo sotto que-sto aspetto della unificazione, quello di Socrate e di Platone non è undualismo esacerbato.

    Altri autori obiettano: cura dell’anima significa solo cura di sestesso; se uno cura se stesso, pensa a se stesso. Ma possiamo anche dirci:chi cura se stesso non cura gli altri? Se tu impari a prendere la posi-zione giusta nel tuo modo di vivere, di considerare i tuoi rapporti congli altri, del modo con cui devi discutere con una sorella, non ti com-porti automaticamente bene anche con gli altri?

    Altri autori dicono ancora: è solo spiritualismo, se pensi alla curaspirituale di te stesso, sei distaccato da tutti i problemi concreti. È vero?Socrate diceva che solo colui che regge se stesso è in grado di guidare

    34

    Giancarlo Rocca

  • la città, di fare della politica; ha imparato a guidare le proprie passioniè quindi in grado di intervenire anche sulla città. Pensando a se stessi,come diceva Socrate, correggendo continuamente se stessi da diversipunti di vista, non è che si arriva automaticamente all’equilibro, ma ab-biamo un punto che ci può istruire.

    Oppure accettiamo la posizione di coloro che dicono: critichiamola parola cura d’anime, la sostituiamo. Con quale parola la sostituiamo?Possiamo mettere pastorale? Certo, ma il rischio di questa parola è chespinge automaticamente verso l’altro, cioè: c’è qualcuno che ha un com-pito pastorale nei confronti di altri. La pastorale è solo questo? È im-portante conoscere che cosa devi fare, ma non devi dimenticare il primoaspetto della pastorale, cioè te stesso, la cura di te stesso. Il rischio didire: fare “pastorale”, è di metter su un negozio con un’insegna: qui sivendono cose pastorali. Va bene, ma tu chi sei? Vendi cose pastorali,vendi processioni, eucarestie, carità? Ma tu chi sei? Vendi solo dellecose. Così non possiamo accettare la parola pastorale intesa unicamentenel senso di rivolgersi ad altri.

    Altri dicono: mettiamo evangelizzazione. Va bene, ma questa pa-rola copre tutto? Oppure altri dicono: come parola unificante dobbiamomettere: il percorso che la Chiesa ha instaurato nel corso della sua storiaa vantaggio delle anime. Questa descrizione è alquanto complessa elunga. E ancora altri dicono: sostituiamo “pastorale” con “prendersicura”. Sì, ma di che cosa ti prendi cura? Ti prendi cura di te, ti prendicura degli altri, della carità?

    Noi abbiamo, oggi, la possibilità di considerare il modo con cuinell’antichità è stata espressa una pastorale, che non ha mai utilizzatoquesto termine, ma ha concretamente fatto una pastorale. In questigiorni avremo davanti tante possibilità, potremo riflettere su: curad’anima, cura delle anime, pastorale, visione storica della chiesa nelcorso dei secoli, e vedere quale vantaggio e quale svantaggio haun’espressione e quale vantaggio e svantaggio ha un’altra. Il convegnoci permetterà di riflettere su tante sfaccettature. E vedere quali legamistorici concreti la pastorale ha con i tempi, con i luoghi, come abbiamovisto da questa breve indagine storica, sottolineando come in certi mo-menti la pastorale si è legata molto di più ad alcune forme, che oggi nonci sono più: non c’è più la liberazione degli schiavi di cui si occupavanoi nostri vescovi, o non c’è più quella accentuata riflessione liturgica cheveniva sottolineata da qualche autore per la pastorale nella Gallia. Pos-siamo riflettere su tanti piccoli aspetti e vedere quale di essi meglio siadatta a qualche problema, alle nostre circostanze. Però mi sembra im-

    35

    Storia di alcune parole

  • * Don Giancar lo Rocca, ssp

    Don Giancarlo fa parte della Società San Paolo dal 1956 ed è stato ordi-nato sacerdote nel 1961. Docente, storico appassionato della Vita Con-sacrata è direttore del Dizionario degli Istituti di Perfezione, un’operaenciclopedica (dieci volumi, Edizioni San Paolo). Dotato di mente anali-tica e precisa, esprime la sua passione per i testi alberioniani e per la storiadella Famiglia Paolina. Ha collaborato con noi in diverse occasioni e, in-sieme a sr Dina Ranzato, sjbp, ha realizzato il volume “50 anni di una pre-senza pastorale, le Suore di Gesù Buon Pastore, 1938-1988”.

    36

    portante ricordare la partenza, cioè: fondamentalmente c’è l’unità difondo nel nostro essere? Noi dobbiamo camminare verso l’unificazione.E non dobbiamo raccontare agli altri cose che non abbiamo raccontatoa noi stesse. Noi non vogliamo vendere cose pastorali, non mettiamo suun negozio, perché ciò non corrisponderebbe a quello che chiamiamocura dell’anima.

    Giancarlo Rocca

  • Si parte sempre dall’ascolto della Parola,

    per questo all’inizio del nostro Seminario ci

    siamo poste alla riscoperta dei fondamenti bi-blici del nostro ministero, aiutate da don Gia-como Morandi.

    In seguito abbiamo ascoltato la relazione

    di don Giovanni Villata sulla pastorale come“cura del gregge” .

  • I FONDAMENTI BIBLICI DELLA CURA D’ANIME

    Il punto di partenzadella nostra riflessione suifondamenti biblici della curad’anime non può che essereil modo con il quale Dio si èrivelato e manifestato a noi.L’agire di Dio che progressi-vamente ha mostrato la suapredilezione e condiscen-denza nei confronti dellacreatura umana, rimane il pa-radigma di riferimento perogni battezzato, il quale persua intima vocazione è apo-stolo dell’amore del Padre.Nel nostro intervento cerche-remo di far emergere questacostante dell’agire divino, perpoi indicare le conseguenzeper la vita del discepolo im-pegnato nell’evangelizzazionee nella cura d’anime.

    Dio si prende cura dell’uomo peccatore

    1. Dio fece tuniche di pelli e li vestì (Gen 3,21)

    Il primo testo da cui partiamo è quello che vede coinvolti i nostriprogenitori nell’istante in cui hanno scelto una via alternativa a quelladi Dio (Gen 3). Il testo di Genesi mentre evidenzia le conseguenze de-vastanti di questa opzione, rileva che Dio reagisce immediatamente conl’annuncio di un progetto che ha di mira il recuperare l’uomo al suo di-segno creatore, nella piena libertà e fiducia reciproca. C’è un dettagliosignificativo che non deve sfuggire, dopo le dure parole che seguono ilpeccato dei nostri progenitori: “Il Signore Dio fece all’uomo e a sua mo-glie tuniche di pelli e li vestì” (Gen 3,21). È un dettaglio, ma importante.Dio provvede – come sarto – a fornire all’uomo ciò che è necessario perla nuova condizione inaugurata dal peccato. È il segno inequivocabile

    39

  • che – malgrado la trasgressione – Dio continua a prendersi cura del-l’uomo con una sollecitudine e tenerezza rinnovata: il confezionare abitiè tipico della madre nei confronti dei figli. Si veda l’elogio della donnaforte (Pro 31,19.21).

    2. Ho osservato, ho udito…(Es 3,7-12)

    Nel racconto dell’Esodo, ci imbattiamo nel famoso brano della ri-velazione di Dio nel roveto ardente (Es 3,1-6). È un momento centrale.Dio si manifesta dopo che Mosè si era preso cura della sorte del suo po-polo, con l’uccisione del sovraintendente egiziano. La rivelazione pressoil roveto dischiude la possibilità di un cammino autentico di rivelazione,fondato su ciò che Dio è nella sua essenza più intima. I verbi che se-guono (Es 3,7-12), mostrano in modo lampante e concreto come Dio ri-sponde al dramma del suo popolo: “Ho osservato, ho udito, conosco,sono sceso per liberarlo, per farlo uscire, ho visto”. Dio non è spettatoresilente e neutrale della tragedia d’Israele, al contrario si china, vede, os-serva, ascolta, agisce. Non sarà certo facile liberare il suo popolo, masarà ancora più difficile togliere dal cuore d’Israele la nostalgia e il rim-pianto dell’Egitto.

    3. Io non ti dimenticherò mai (Is 49,15)

    La testimonianza e il ministero dei profeti sono al servizio della me-moria di questa sollecitudine e amorevolezza di Dio. Sono molteplici itesti che vanno in questa direzione. Ne citiamo alcuni tra i più suggestivi.

    Il profeta Osea (cap. 11) utilizza il simbolo materno per imprimerenel cuore del suo popolo la certezza che nessun peccato può impedirea Dio di amarlo come una madre che tenacemente e fedelmente ama lesue creature. Anche quando il figlio ribelle e riottoso dovesse allonta-narsi, Dio non può cedere, perché è Dio e non uomo (11,9).

    La celebre pagina del deutero-Isaia celebra questa fedeltà supe-rando la stessa immagine materna: “Si dimentica una madre del propriofiglio? Se anche questo dovesse accadere io non ti dimenticherò mai”. (Is.49,15)

    Il racconto simbolico della relazione tra Dio e il suo popolo trovanel capitolo sedici del libro di Ezechiele, una pagina drammatica e com-movente. È lo stesso profeta che nel cap. 34 annuncia la definitiva de-stituzione di quei pastori che ripetutamente non si sono presi cura dellepecore loro affidate, per trarne un profitto personale. Il profeta annuncia

    40

    Giacomo Morandi

  • che sarà Dio stesso a mettersi alla testa del suo popolo per provvederealle sue necessità.

    Cristo il buon pastore (Gv 10)

    Il compimento di questa profezia di Ezechiele è Gesù stesso. NelVangelo di Marco, dopo il ritorno dalla missione dei dodici, Gesù pro-spetta loro un tempo di riposo legittimo, che però viene dilazionato, unavolta sbarcati e avendo visto che la folla che li aveva preceduti era comepecore senza pastore (Mc 6,34).Gesù, pertanto si mise ad insegnare loro.Gesù, il pastore a lungo atteso, è colui che si fa carico delle sofferenzee delle necessità del suo popolo.

    Il discorso sul buon pastore (Gv 10) rappresenta l’acme di questacura pastorale. Il discorso pronunciato durante una festa solenne (Ca-panne) e nel recinto sacro del tempio sviluppa in modo ampio e anchenuovo questa immagine. Se è vero che il pastore conosce e conduce lepecore e se ne prende cura, secondo quanto Ezechiele aveva preannun-ciato, è altrettanto sconcertante che la sua bontà (lett. bellezza) consistanell’offrire (lett. deporre) la sua vita per le pecore (10,11). Nessun pastoreassennato rischierebbe la sua vita semplicemente perché vuole bene allepecore, al massimo potrebbe correre il pericolo per non perdere la lanae il latte delle pecore.

    La cura pastorale di Gesù non è il dono di una parte di sé – tempoed energie – ma offerta di se stesso, è deporre incondizionatamente lapropria vita. Il bene delle pecore è il fine di tutta la sua attività.

    Il discepolo immagine del buon pastore (Mt 10)

    Nel Vangelo di Matteo, dopo un’intensa attività taumaturgica, Gesùconstata che la messe è abbondante ma gli operai sono pochi (Mt 9,36).Sembra non essere sufficiente l’attività di Gesù. I discepoli sono coin-volti nella medesima compassione. A loro viene conferita la stessa auto-rità del Maestro perché possano continuare efficacemente la curapastorale. Le direttive impartite non lasciano spazio ad equivoci: il po-tere è per il bene e solo il bene delle persone a cui si è inviati. La curache devono realizzare non coinvolge un aspetto della vita dei destinatarima l’insieme della persona: “Guarite gli infermi, resuscitate i morti, scac-ciate i demoni” (10,8). La gratuità della loro attività è il segno che quantooffrono è stato loro donato per pura grazia. Nessun interesse personalepuò offuscare la limpidezza di questa testimonianza.

    41

    I fondamenti biblici

  • Il discepolo non è chiamato a compiere dei gesti simili a quelli diGesù, ma in ragione della sua assimilazione al maestro, in lui opera lastessa potenza. È la comunione di vita maturata con il maestro ad abi-litare alla missione.

    Siamo i collaboratori della vostra gioia (2Cor 1,24)

    L’apostolo Paolo è la piena realizzazione di questo modello di cura.L’esperienza maturata improvvisamente sulla via di Damasco coincidecon la sua missione. È significativo che sia necessario un congruo lassodi tempo (14 anni?) prima che l’apostolo intraprenda quella missioneche lo consumerà.

    Questo tempo di silenzio sembra richiamare la necessità di un lentoma proficuo metabolismo spirituale. A più riprese nelle sue lettere, Paoloricorda quell’evento che ha cambiato radicalmente il corso della sua vita.Il cap. 3 della lettera indirizzata alla comunità di Filippi, è un resocontosuccinto ma significativo della sua “conversione” religiosa. L’essere statoconquistato da Cristo e avendo sperimentato la sublimità della conoscenzadi Cristo, gli fa giudicare il suo passato religioso come spazzatura.

    La sua dedizione all’apostolato è vissuta come atto di riconoscenzanei confronti di Colui che lo ha tratto fuori dall’abisso dell’autogiustifi-cazione. Nelle lettere ai Corinzi (1Cor 9; 2Cor 10-13), l’apostolo delineai contorni e i contenuti della sua attività missionaria, affermando chela cura pastorale esige una conformazione al Cristo pasquale: è un mo-rire che genera alla vita.

    Nella prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo tratteggia in modo com-pleto l’identikit dell’annunciatore del Vangelo: “Come una madre nutre,come un padre che incoraggia” (1Ts 2,1-12).

    Alcune linee riassuntive: Conca e non canale

    La cura d’anime è innanzitutto l’opera di Dio. È Dio che si prendecura dei suoi figli, anche quando e soprattutto quando essi si allontanano.La prima alleanza è testimonianza di questa compassione materna diDio. Il ministero profetico è continua memoria di questa fedeltà incon-dizionata di Dio a ciò che Egli è: amore fedele e inesauribile. La storiariparte sempre con un atto di grazia che non solo restaura la condizioneprecedente ma apre ad orizzonti sempre più grandi di speranza.

    La compassione di Dio è Gesù Cristo! I discepoli vivendo con luiimparano che cosa comporti prendersi cura: deporre la propria vitasenza condizioni. Chi accetta di spendersi non pone riserve e non im-

    42

    Giacomo Morandi

  • pone vincoli. La cura pastorale non è, infatti, il luogo della propria rea-lizzazione, ma diaconia pasquale. L’essere coinvolti nella stessa compas-sione di Cristo, esige che il discepolo mantenga viva la grazia della suachiamata e quell’esperienza di salvezza che per primo ha sperimentato.

    Se questo è lo zoccolo duro che in nessun caso va ridimensionato,le modalità di questo servizio rimangono necessariamente aperte, pernon cadere vittime dei propri progetti e delle proprie competenze. Il ma-gistero di Paolo e dei grandi santi evangelizzatori conferma in modoinequivocabile che sulle modalità è necessario lasciare a Dio la prima eanche l’ultima parola.

    La cura d’anime è cura di tutta la persona e non di una parte diessa. Deve esserci la consapevolezza che la proposta cristiana è una viaintegrale di crescita: è la trasfigurazione dell’umano.

    La cura pastorale esige che l’evangelizzatore abbia cura di sé e inparticolare della sua relazione con Cristo, per non correre il rischio chea forza di predicare agli altri, sia lui stesso squalificato (1Cor 9,27). Leparole, in questo caso salaci, di san Bernardo rappresentano un monitopermanente:

    “Per questo, se sei saggio, ti dimostrerai conca e non canale. Il ca-nale, quasi istantaneamente riceve e riversa, la conca, invece, attendefino a quando è ricolmata e così condivide, senza proprio danno, ciòche è sovrabbondante […]. In verità, oggi ci sono nella Chiesa molti ca-nali e ben poche conche. Coloro che riversano su di noi i ruscelli celestihanno una carità così grande, che vogliono effondere prima di aver ri-cevuto l’infusione, più disposti a parlare che ad ascoltare, pronti ad in-segnare quello che non hanno imparato, impazienti di dirigere gli altri,essi che non sanno governare se stessi”16.

    16 San Bernardo, Sermoni sul Cantico dei Cantici, XVIII,3, in Opere di san Bernardo(V/I), Scriptorum Claravallense. Fondazione di Studi Cistercensi, Milano, 2006, p.237.

    * Don Giacomo Morandi

    Don Giacomo, nato nel 1965 e ordinato sacerdote nel 1990, è scrittore, bi-blista e teologo della diocesi di Modena. È direttore dell’Ufficio Biblicodella Arcidiocesi di Modena-Nonantola. Ci ha aiutato nell’itinerario versoil Seminario attraverso la stesura delle schede della Lectio sulle lettere pao-line, che sono state mandate a tutte le nostre comunità dal 2007 al 2008.

    43

    I fondamenti biblici

  • LA PASTORALE COME CURA DEL GREGGE

    Riferimenti teologico pastorali

    La prospettiva

    Il tema della pastorale come cura del gregge pur sempre nella vi-suale teologico pastorale, può essere affrontato da prospettive diverse.La prospettiva da cui mipongo si innesta sulla pa-rola di Dio e precisamentesull’agire del buon Pastore(il Pastore “bello” delle pe-core, Gv 10,27-30), il qualeconosce ad una ad una lepecore che gli sono stateaffidate, le ama fino a do-nare la vita al loro servizioper metterle nelle condi-zioni di poter incontrareDio - Via, Verità e Vita - efarle divenire sue disce-pole. Non solo: ma poi,come ha fatto Lui – la-sciare le pecore al sicuronell’ovile per andare alla ri-cerca di quelle che non cisono ancora.

    La Chiesa ha infatti ildovere prioritario dell’evangelizzazione, ossia, dell’andare e raccontarea tutti la storia di Gesù di Nazareth – il Crocefisso Risorto – insieme allapropria storia. Alla Chiesa Gesù ha affidato il comando dell’amore,l’agape. “Amatevi come io vi ho amati” (Gv 15,12). Questo amore ha ra-dici nella persona di Gesù di Nazareth; una persona vissuta in un luogoe in un «istante» preciso del tempo; un uomo concreto, dunque, che,in forza della sua singolare umanità di Figlio di Dio, si è proposto comeunico Salvatore, centro del cosmo e della storia e nella sua Chiesa – lacomunità dei credenti e dei discepoli riunita dall’incontro con Lui e at-torno a Lui, dopo la sua Risurrezione.

    44

  • Dunque qui si prospetta una pastorale, ossia un’azione di Chiesaper attualizzare nell’oggi la salvezza di Dio in Cristo Gesù, la cui “cifra”identificativa consiste nel “narrare” l’amore di Dio per l’uomo e dei di-scepoli fra di loro.

    Perché identificare la pastorale nel narrare?

    Almeno tre sono i motivi per sostenere questa scelta.

    Il primo è colto se si osserva la persona: essere persona è avere unastoria da raccontare; incontrarsi fra persone significa far interagire leproprie storie e dare vita, insieme ad altri credenti, ad una storia nuova,diversa da tutte. L’evangelizzazione provoca l’incontro fra persone equindi fra storie diverse; la pastorale che si pone al suo servizio ha ilcompito di favorire tale incontro.

    Il secondo motivo riguarda l’efficacia (la natura performativa) vi-tale del racconto.

    “Raccontare è imitare e induce imitazione. La narrazione coinvolgeil narratore e gli ascoltatori: suscita risonanze vitali. Per questo un rac-conto è sempre in un certo senso anche un’offerta vitale, ma nelle sueforme più efficaci è, soprattutto, testimonianza: espressione di esperienze,di sintonie spirituali. Non sa narrare di amori chi non ha amato, di soffe-renze chi non ha conosciuto dolore: ogni narratore autentico ridà vita al-l’esperienza raccontata, rifà la storia, ricrea l’evento, le sue parole nonriguardano solo le persone di cui parla, ma anche se stesso. Per questoprovoca un incontro e offre agli ascoltatori un’occasione di rinnova-mento.”17

    L’incontro con Gesù che la pastorale è chiamata a propiziare hacome finalità il cambio di vita, la conversione.

    Il terzo motivo richiama lo stile di comunicazione che sta alla fontedell’annuncio. Il linguaggio con cui la Bibbia trasmette la storia dellasalvezza è decisamente quello del raccontare.

    “La Bibbia – afferma Marie-Dominique Chenu – è una letteratura.Dio non si rivela attraverso un sistema di idee o per mezzo di una specu-lazione sulle cose fisiche, metafisiche o morali. Ma per mezzo di una storiae di storie, per mezzo di uomini dalla figura e dal destino diversi.”

    Gesù stesso è il narratore che, a sua volta, viene narrato. Il di-scepolo è colui che assume in sé la forma e la figura di Cristo. Dun-

    17 C. MOLARI, Natura e ragioni di una teologia narrativa, in B. WACHER, Teologianarrativa, Brescia, Queriniana, 1981.

    45

    Pastorale come cura del gregge

  • que, una pastorale che si ponga da questa prospettiva, è una pastoraleattenta all’ascolto e alla valorizzazione di ogni persona; una pastoraleche dialoga con l’uomo e con il mondo perché li riconosce come par-tner e che assume come stile per evangelizzare il discernimento dia-logante.

    In termini più “tecnici”si tratta di una pastorale che crea per tuttiopportunità di incontro con il Signore, ossia crea mediazioni umane, at-traverso le quali sia possibile poter ascoltare la storia del Nazareno, in-contrare il Signore e scegliere - processo di salvezza - dall’interno delproprio cuore di seguirlo e quindi di andare e raccontate a tutti la “vitanuova” scaturita da quell’incontro che racconterà tra gli uomini dellapresenza vivente ed operante del Risorto:

    “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amoregli uni per gli altri.” (Gv 13,35)

    I riferimenti teologici, ecclesiologici e antropologici

    Normalmente, negli incontri fra persone impegnate, la prima do-manda è: che cosa dobbiamo fare? Domanda comprensibile anche per-ché le idee che si propongono vanno realizzate. Ci si muove così inmodo efficiente, ma quanto coinvolgente? Ossia, quanto si riesce così amotivare le persone, facendole convergere su un obiettivo deciso in-sieme e, di conseguenza, a cooperare? Quanto cresce il senso di appar-tenenza alla Chiesa? E cioè l’adesione al “noi” ecclesiale?

    Invece la nostra scelta non è interrogarsi subito su “che cosa fare”ma individuare le direzioni di cammino teologiche ecclesiali e antropo-logiche sulle quali ritagliare programmi, itinerari pastorali in fedeltà aicontenuti della fede da annunciare e alle persone “con” e “per” le qualisi continua anche oggi a raccontare la storia performante di Gesù diNazareth. Non siamo dunque preoccupati, in prima battuta, delle coseda fare, ma del “come”: individuata la rotta dopo si sceglieranno attivitàe strumenti adeguati per dare vita a nuovi racconti. Ricordando che lapriorità è l’evangelizzazione, cioè il raccontare a tutti la storia del Si-gnore Crocefisso e Risorto. Se la Chiesa viene meno a questo suo com-pito di annunciare, celebrare e testimoniare il Signore, non avrebbemotivo per esistere.

    “Per il Nuovo Testamento e la Chiesa nascente - scrive Enzo Bianchi- la verità è la persona di Cristo, mentre nella tradizione successiva essadiviene sempre più un complesso dottrinale: la verità prodotta e definita

    46

    Giovanni Villata

  • dalla Chiesa stessa. Così la definizione della verità rischia di sostituirsialla verità vivente, Gesù Cristo risorto.”18

    Il principio cristologico

    Al centro, dunque, c’è la persona di Gesù e la sua storia. C’è il“Verbo fatto carne” che parla le parole di Dio attraverso il linguaggiodegli uomini. L’azione pastorale consiste nel raccontare questa storiacosì come ci è stata tramandata e raccontarla in modo che sia signifi-cativa per le donne e gli uomini d’oggi. Raccontare quindi del misterodell’Incarnazione non disgiunto da quello della morte e Risurrezionedel Signore, dalla parusia e dalla Chiesa che nel tempo cammina, tra ilgià e il non ancora della salvezza, in attesa della Sua venuta finale. Que-sto racconto ispira anche un modo di pensare e di attuare l’azione pa-storale del quale si propongono qui tre tratti, tra i più significativi, chesono i seguenti:

    - la prospettiva sacramentale. Gesù rivela con gesti e parole umaneil volto del Padre misericordioso. Rivela anche l’uomo all’uomo, avva-lendosi della stessa semantica umana incentrata sul segno: una seman-tica sacramentale.

    Si tratta di mettere in atto gesti e parole, cioè qualcosa di visibileche mi rimanda ad un invisibile; un contenente che richiama un conte-nuto che c’è già nel segno, ma poiché il segno è umano, c’è in modo li-mitato, relativo. Come Gesù allora, così il pastore oggi, il cristianoracconta la storia del suo Signore ponendo dei segni. Segni di due tipo-logie:

    i signa ecclesiae, e cioè Parola, preghiera, sacramenti...

    i signa regni, ossia attenzione ai poveri, ai sofferenti, alla costru-zione di condizioni di vita più umane, impegno sociale e politico...

    I primi non sono in contrapposizione con i secondi e viceversa,perché il principio che li regola è l’Incarnazione, dove l’umanità di Gesùnon è la sua divinità e viceversa, ma entrambe complementari19.

    18 E. BIANCHI, La differenza cristiana, Torino, Einaudi, 2004, 91-92. 19 Il riferimento al principio cristologico dell’Incarnazione come fondamento dellapastorale è sostenuto da una riflessione teologico pastorale precedente il Conciliodella quale i principali autori sono Rahner, Schurr, Arnold, … Cfr G. VILLATA, L’agiredella Chiesa. Indicazioni di teologia pastorale, Bologna, Dehoniane, 2009. È stato fattoproprio dal Concilio Vaticano II e assunto dal documento sul Rinnovamento dellaCatechesi riproposto dai Vescovi nel 1990 come regolativo della pastorale. Anche laTertio millenio adveniente di Giovanni Paolo II lo indica come fondamentale.

    47

    Pastorale come cura del gregge

  • Giovanni Villata

    - la prospettiva dell’integrazione. La pastorale ispirata dal principiodell’Incarnazione si descrive come una pastorale che esprime l’unitànella diversità, di conseguenza si propone come dialogica, aperta, co-raggiosa, mai altera e sempre umile.

    Evita accuratamente contrapposizioni Dio-uomo, vita ad intra evita ad extra, preghiera-azione, … polarizzazioni, confusioni di identità.Persegue l’idea che una realtà umana realizza pienamente se stessa sepermette ad altre di essere se stesse. La preghiera, ad esempio, è piena-mente tale se permette all’amore concreto del prossimo di svilupparsipienamente. Così è anche per i fondamenti della pastorale: l’annuncioè pienamente tale se integrato con la celebrazione e la testimonianza.

    Allo stesso modo va ricompreso il rapporto tra parrocchia e dio-cesi, tra parrocchia e unità pastorali, tra consiglio pastorale parroc-chiale e gruppi che operano in parrocchia e sul territorio, tra gruppi eassociazioni e movimenti, tra vocazioni, tra ministeri ordinati e carismi,ecc. Dunque occorre dare vita a una pastorale che unisce o una “pasto-rale integrata”, come si usa dire oggi, valorizzando ogni apporto senzaconfusioni, o peggio, contrapposizioni.

    - la prospettiva del limite “operoso”. Nel tempo del pellegrinaggionulla è definitivo e pienamente vincente. Tutto è misurato sulla pienezzafinale, quella escatologica. Anche questa consapevolezza deve guidareil narratore della storia di Gesù oggi.

    Nessuno tra i segni umani messi in atto si può considerare vincentee assoluto interprete del mistero che annuncia. Connotati dunque dallimite, parziali e relativi. Occorre dunque continuare a proporli con laconsapevolezza del loro non essere decisivi. La loro efficacia dipendeesclusivamente dalla grazia dello Spirito, che opera nel cuore dell’uomo.Ciò è importante perché rende sereno l’animo del pastore, il quale, con-sapevole di non avere a disposizione la verità pastorale, continua a se-minare e cerca di farlo nel miglior modo possibile in questo momento,compatibilmente, con il proprio carattere, la salute, l’età…

    A lui/lei non è chiesto di convertire ma di seminare, preparando ilterreno del proprio cuore e là dove e quando lo Spirito lo permetterà, ilcuore delle persone che gli sono state affidate. Il che significa impe-gnarsi ad educarle, a renderle abili a trafficare i talenti ricevuti, a nonseppellirli con indifferenza. È quando la storia di Gesù non smuovedall’indifferenza, che il pastore si deve preoccupare e cercarne le cause.La storia di Gesù non può lasciare indifferenti. In questo modo la con-sapevolezza del limite non induce a rinunciare, ad accontentarsi di ciò

    48

  • Pastorale come cura del gregge

    che si fa, a vivere di nostalgie del passato… ma ad essere sempre in ri-cerca per raccontare di Lui in modo più adeguato.

    Il principio ecclesiologico

    La pastorale è azione di Chiesa20, non di singola persona o di sin-golo gruppo È la Chiesa che in quella persona, in quel gruppo… rac-conta ancora oggi la storia del suo Signore e la racconta così come le èstata tramandata. Non in modo settario o per accaparrarsi i favori diuna cultura o di un certo ambito politico.

    Proprio perché azione di Chiesa, la pastorale è chiamata a renderevisibile il “modello” di Chiesa che anima tale azione. La Christifideleslaici dice :

    “L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale dei do-cumenti del Concilio. La koinonìa, comunione fondata sulla Scrittura, ètenuta in gran onore nella Chiesa antica e nelle Chiese orientali, fino aigiorni nostri.” (n. 19)

    L’ecclesiologia di comunione comporta precise scelte operative,quali:

    la consapevolezza da maturare che la comunione è dono e quindiva invocato perché possa essere trasformato in obiettivo da raggiungere.In qualsiasi azione pastorale, la differenza non sta nel “carisma” dellapersona o del gruppo, ma nella capacità di “legare” le risorse in campoe di operare in comunione, di attuare il principio di sussidiarietà comeconcreta accoglienza del dono;

    la valorizzazione di tutte le ministerialità presenti nella Chiesa fa-vorendo l’interagire fra le persone singole o in gruppo. La relazione fraministerialità diverse è la base per costituirsi come comunità che rac-conta. Si tratta di dare vita a ministerialità il più possibile stabili, nonfunzionali solo ai bisogni; donne e uomini consapevoli, che essendo “ri-nati dal battesimo” sono corresponsabili nella vita della Chiesa; nonsono mossi solo da una generica buona volontà ma accettano di farepercorsi formativi;

    20 La dimensione della comunione e la soggettività pastorale di tutta la comunità,poi assunta dal Concilio Vaticano II nella Lumen gentium e nella Gaudium et spes,viene precedentemente sviluppata in prospettiva teologico pastorale da vari autori.Si tratta di una tematica teologico pastorale che ha radici nella ricerca teologico pa-storale.

    49

  • lo “stile” pastorale informato dalla missionarietà.

    “Ora, afferma al n.32 la Cristifideles laici, la comunione genera co-munione e si configura, essenzialmente, come comunione missionaria […]. La comunione e la missione sono profondamente congiunte e si impli-cano mutuamente al punto che la comunione rappresenta la sorgente einsieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missioneè per la comunione.”

    In proposito il teologo Gianni Colzani, scrive:

    “Mi sembra che, per lo più, l’impianto pastorale delle Diocesi sistia muovendo verso un richiamo linguistico di formule missionariee un’accentuazione di buona volontà. Dico francamente che per questavia – non si può non concordare – la continua ripetizione di formulemissionarie non è produttiva; non si vede perché il semplice ribadireformule apostoliche e il richiedere maggior coerenza e maggior impe-gno debba produrre oggi ciò che non ha ottenuto ieri. Con durezza,Barth scriveva che questa insistenza linguistica, sotto il profilo dell’ef-ficacia, ha la stessa incidenza di un rituale indiano di danza dellapioggia.”21

    Che cosa s’intende per missione oggi?

    Un recente volume22 nel quale si sottopone a una fortissima revi-sione i modelli finora praticati, si giunge a descrivere la missione comedialogo profetico.

    Dialogo, in quanto, la missione attinge alla natura dialogica dellavita missionaria trinitaria di Dio e ad una valutazione positiva del con-testo dell’esistenza umana in quanto buono, degno di fede, santo.

    21 G. COLZANI, Svolta missionaria della pastorale?, in “La Rivista del Clero Italiano”,LXXXV (2004) 5, 328. 22 S. B. BEVANS – R.P. SCHROEDER, Teologia per la missione oggi. Costanti nelcontesto. Brescia, Queriniana, 2010. “Occorre una presenza missionaria a livello so-ciale, e anche politico, che consista nella coraggiosa e illuminata presentazione delmessaggio sociale della Chiesa, delle sue proposte, delle sue visioni e dei suoi ideali.Questa dimensione pubblica della testimonianza cristiana, che accetta con sinceritàcordiale le strutture democratiche e gli strumenti di comunicazione e di dibattito dellaciviltà contemporanea, deve costituire la dimensione nuova della missione dellaChiesa là dove più è necessario che si operi per la giustizia e per lo sviluppo vero e in-tegrale dell’umanità” (F. Sottocornola, La missione guarda al futuro, Quaderni diMissione Oggi, 55).

    50

    Giovanni Villata

  • E profetico, almeno in un duplice senso. Da un lato, la Chiesa inmissione deve parlare chiaramente in favore degli esclusi del mondo,contro la violenza umana ed ecologica, e in nome del Regno di Dio digiustizia e di pace; dall’altro, anche di fronte “ai raggi di verità divina”che si trovano all’interno delle religioni del mondo, deve annunciaresenza esitazioni, fedelmente – e però rispettosamente – il nome, la vi-sione e la Signoria di Gesù Cristo.

    Tale descrizione impone tre lezioni da apprendere e che se prati-cate sembrano collocare meglio la “missio Dei” nell’attuale contesto disocietà liquido-moderna, nella quale la vita è precaria, vissuta in condi-zioni di continua incertezza, con la paura di essere colti alla sprovvistadi rimanere indietro.23

    La prima è che, quando si attraversa il confine di un altro contesto– culturale, razziale, religioso o di gender – inevitabilmente si imparanon soltanto qualche cosa sull’altro, ma, ed è questa la cosa più impor-tante, su sé stessi.

    In secondo luogo, una parte preziosa di ciò che impariamo su noistessi è che la storia, le lotte e la gioia dell’altro sono realmente in ultimaanalisi, parte delle stesse nostre storie, lotte e gioie.

    In terza battuta, in tutto questo processo ci rendiamo conto anchedi quanto non sappiamo, né potremo mai sapere dell’altro. Quando sipartecipa davvero alla missione divina del dialogo profetico sono questele lezioni che si apprendono.

    La missione come “una realtà unitaria, ma complessa” (Redempto-ris missio, 41) chiama subito in causa un modello di Chiesa che esprimatutt’altro che l’implosione intra ecclesiale della pastorale o una sua vi-sione limitata a coloro che frequentano la messa domenicale o doman-dano i sacramenti. Proietta la comunità “fuori” sul territorio, la colloca“nel” mondo e “per” il mondo all’interno di un progetto, quel Regno diDio, che supera il mondo stesso. La Chiesa, infatti, non esiste per sestessa; ciò vale anche e soprattutto per la sua azione pastorale, la qualenon è in funzione della sua sopravvivenza.

    Quale Chiesa?

    Il “sogno” di Chiesa così come descritto negli Atti degli Apostoli(cfr. At 2,42-47) o la visione di Chiesa delle lettere paoline che indica co-munità che evangelizzano attraverso l’accoglienza dialettica delle diffe-

    23 Cfr. S. BAUMAN, Vita liquida, Bari, Laterza, 2006, 69-85.

    51

    Pastorale come cura del gregge

  • renze messe al servizio dell’unità della missione. La scelta dell’una odell’altra visione di Chiesa non è indifferente.

    Il Regno di Dio va evangelizzato “con” e “per”, l’uomo concretod’oggi. La vostra esperienza in vari continenti può raccontare storie divita certamente più realistiche delle mie. Valorizzate tale esperienza perrafforzare o criticare quanto vi andrò dicendo.

    Non viviamo più in una società cristianizzata. Quantunque questaaffermazione si trovi in tutti i documenti, si ripeta in incontri e conve-gni… la pastorale sembra, di fatto, non tenerne conto: si perseguonoancora modelli pastorali che stentano a staccarsi da quelli attuati in“tempo di cristianità”. Globalizzazione, secolarizzazione, indifferenza,caduta delle ideologie, relativismo segnano la trama della vita delmondo postmoderno come un sistema, e cioè una serie di regole fonda-mentali e universali che si alimentano e traggono forza dal loro interno(Cacciari). Oggi non c’�