Sulle tracce degli sciamani greci

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• 52 C hi è propria- mente lo scia- mano? Co- minciamo a definirne i tratti utiliz- zando la definizione che ne dà lo storico delle re- ligioni Gilberto Mazzo- leni: «Lo sciamano (dal- l’inglese shaman, adatta- mento del termine tun- guso šaman) è un opera- tore rituale che general- mente agisce in stato di trance […]. Attraverso una progressiva attenua- zione dello stato di ve- glia, lo sciamano perde il controllo del sé, con- sentendo alla propria “anima” di staccarsi dal corpo e intraprendere un viaggio verso quella entità extraumana che gli possa rivelare le ra- gioni e i rimedi di una crisi, di un malessere o di una minaccia che in- combono sulla comu- nità». Questa categoria inter- pretativa è stata ben defi- nita e contestualizzata nel tempo e nelle aree geografiche. Si tratta di un termine e di una realtà culturale inquadra- bile nelle civiltà subarti- che dell’Asia e dell’Ame- rica. In questa sede non entreremo nel dibattito degli specialisti sulla possibilità e sulla liceità di applicare invece l’eti- chetta di “sciamanismo” a una serie di fenomeni e di personaggi attestati anche nel mondo occi- TRADIZIONE E SCIAMANESIMO Storici, poeti e miti greci ci parlano di personaggi dotati di poteri straordinari, capaci di tramutarsi in animali, di uscire dal corpo e di compiere viaggi impossibili. Cosa c’è di vero in questi racconti? È esistito uno sciamanesimo nella Grecia antica? di Alessandro Coscia Sulle Tracce degli Sciamani Greci In apertura e nella pagi- na seguente in alto, im- magini di fantasia che rappresentano sciamani. Nella pagina seguente in basso, sciamano mongolo.

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A summary article about greek shamanism

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C hi è propria-mente lo scia-mano? Co-minciamo a

definirne i tratti utiliz-zando la definizione chene dà lo storico delle re-ligioni Gilberto Mazzo-leni: «Lo sciamano (dal-l’inglese shaman, adatta-mento del termine tun-guso šaman) è un opera-tore rituale che general-mente agisce in stato ditrance […]. Attraversouna progressiva attenua-

zione dello stato di ve-glia, lo sciamano perdeil controllo del sé, con-sentendo alla propria“anima” di staccarsi dalcorpo e intraprendereun viaggio verso quellaentità extraumana chegli possa rivelare le ra-gioni e i rimedi di unacrisi, di un malessere odi una minaccia che in-combono sulla comu-nità».Questa categoria inter-pretativa è stata ben defi-

nita e contestualizzatanel tempo e nelle areegeografiche. Si tratta diun termine e di unarealtà culturale inquadra-bile nelle civiltà subarti-che dell’Asia e dell’Ame-rica. In questa sede nonentreremo nel dibattitodegli specialisti sullapossibilità e sulla liceitàdi applicare invece l’eti-chetta di “sciamanismo”a una serie di fenomenie di personaggi attestatianche nel mondo occi-

TRADIZIONE E SCIAMANESIMO

Storici, poeti e miti greci ci parlano di personaggi dotati di poteri straordinari, capaci di tramutarsiin animali, di uscire dal corpo e di compiere viaggi impossibili. Cosa c’è di vero in questi racconti?È esistito uno sciamanesimo nella Grecia antica?

di Alessandro Coscia

Sulle Tracce degli Sciamani Greci

In apertura e nella pagi-na seguente in alto, im-magini di fantasia cherappresentano sciamani.Nella pagina seguente inbasso, sciamano mongolo.

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dentale, in particolar modo in quello greco antico, se-condo la linea di studi inaugurata dal Meuli e da E.R.Dodds. Alcuni studiosi hanno spiegato la presenzadi figure e riti con caratteristiche “sciamaniche” sup-ponendo un contatto, in epoca molto antica, tra lepopolazioni greche e quelle dell’Asia e del Nord Eu-ropa. La spiegazione può essere applicata - peraltro inmaniera molto circoscritta - e non è esaustiva. Al con-trario, un’analisi antropologica estesa dimostra che ilcomplesso di tradizioni che genericamente si indica-no come “sciamanesimo” è presente in vari contestistorici e geografici documentati. Perciò, come è statoscritto, sembra anche a me più appropriato ricercarel’origine profonda di queste tradizioni «nelle struttu-re psicologiche ed esperienziali dell’essere umano»:prima fra tutte, il confronto con la morte (resta fon-damentale il saggio di Carlo Ginzburg, Storia not-turna. Una decifrazione del sabba). Analizzeremo in-vece queste figure, liminari e apparentemente eccen-triche rispetto al quadro della religione greca generi-camente intesa, perché ci consentono di gettare unaluce su aspetti della civiltà arcaica e classica rimasti inombra.

Le due vieNel comune sentire della Grecia antica, lo stato ispi-rativo era proprio sia dei poeti che dei profeti/indovi-ni: spesso le due figure concidevano. Omero ed Esio-do si qualificano come cantori ispirati dalla divinità,le Muse e Mnemosyne: c’è una fonte superiore a cuisi abbeverano poeti e iniziati. La nascita della cosid-detta filosofia, nel VI secolo a.C., provoca uno slitta-mento: il maestro di verità, per dirla con Detienne,

non è più il poeta che, grazie alla fan-tasia, traduce nella realtà le immaginimitologiche, ma il filosofo stesso cheutilizza lo strumento del logos. Unlogos divino, che è unità oltre il mol-teplice: «Per chi ascolta non me, ma illogos, sapienza è riconoscere che tut-te le cose sono una sola realtà» (Era-clito, DK 22 B 50). Per Eraclito que-sta sapienza conserva comunque unostatus iniziatico: è una via alla qualepossono accedere solo gli “svegli”, con-trapposti alla massa dei “dormienti”.La filosofia è dunque un camminoesoterico che si distacca dalla reli-giosità popolare e dall’antropomorfi-smo degli dei. La filosofia dei primisapienti della Ionia e della MagnaGrecia oscilla tra i due poli di un sa-pere a cui si arriva per “identità” conil divino e un altro a cui si arriva pervia intellettiva. In quel momento siproduce la rottura, ma è una rotturanon così netta, né definita: la figuradel sophos, dell’aner theios (uomodivino) che vede la verità per osmosicon la divinità, che attinge a realtàsuperiori, percorre come un fiumecarsico tutta la civiltà greca.

Gli uomini divini: AbarisUn complesso di tradizioni greche racconta le im-prese di indovini, sapienti, guaritori, la cui terra diprovenienza spesso è collocata nelle remote regionidel Nord, dal mitico paese degli Iperborei, patria di

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In alto,musici greci.

Al centro,Eraclito.

In basso,danza delle

muse.

SULLE TRACCE DEGLI SCIAMANI GRECI

Apollo, la divinità dell’oracolo diDelfi, il dio per eccellenza dellepratiche mantiche. Dalla Sciziaproveniva, ad esempio, Abaris. Lefonti ne mettono in evidenza pro-prio il legame con Apollo, oltre al-le capacità iatromantiche. Le testi-monianze più antiche su Abaris -oltre ad una menzione da partedel poeta Pindaro (fr. 270) - sonocontenute nelle Storie di Erodotoe in un frammento dell’oratore ate-niese Licurgo. «Era scita, figlio diSeito… e dicono che quando scop-piò una pestilenza su tutta la ter-ra abitata, Apollo, ai Greci e aibarbari che consultavano l’oraco-lo, diede il responso che il popo-lo ateniese facesse un voto a nomedi tutti. E poiché molti popolimandarono ambasciatori agli Ate-niesi, dicono che dagli Iperboreigiungesse ambasciatore ancheAbaris, durante la cinquantreesi-ma olimpiade [568-565]» (Suda, s.v.). «Abaris, quando fu ispirato daldio (énthous ghen menos), andòin giro per la Grecia con una frec-cia e pronunciò responsi oracola-ri e divinazioni; il retore Licurgopoi dice, nell’orazione contro Me-nesecmo, che Abaris, quando sipresentò una carestia fra gli Iper-borei, partì e si pose al servizio diApollo. E dopo aver imparato dalui i responsi oracolari, tenendo la

freccia, simbolo di Apollo, andòin giro per la Grecia facendo pro-fezie» (Licurgo, fr. 5 a). Di AbarisErodoto ricorda che viaggiò su tut-ta la terra senza mai mangiare nul-la (4, 36) portando con sé unafreccia. Ma Porfirio, autore di unaVita Pitagorica, scrive di Abaris“l’eterobata”, così detto «perchè fa-cendosi trasportare da una frecciadonatagli da Apollo Iperboreo, su-perava fiumi, mari e passaggi inac-cessibili, viaggiando in qualche

modo nell’aria». Platone nominacon ironia Abaris, insieme a Zal-moxis, ricordandolo come un per-sonaggio che faceva incantesimi afini terapeutici. La combinazionedi volo, digiuno rituale e incante-simi contiene gli elementi caratte-ristici delle pratiche sciamaniche.E la stessa versione di Erodoto,che non parla di voli ma di unafreccia che il nostro portava con séovunque, al di là della patina “ra-zionalista”, potrebbe alludere a unuso iatrico della freccia, utilizzataper cacciare gli spiriti delle malat-tie, ma, nel tipico senso ambiva-lente che questi oggetti possiedo-no, anche per colpire i nemici.Mircea Eliade, nel suo Lo sciama-nismo e le tecniche dell’estasi, ciaveva già offerto una chiara sintesidelle complesse interrelazioni tra ivari oggetti, i symbola, che corre-dano l’azione sciamanica: gli Yu-raki chiamano il loro tamburo ar-co o arco cantante e presso i Tar-tari Lebed ed alcune popolazioni

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dell’Altai, l’arco viene usato come strumento musica-le magico a corda unica. Il tamburo, elemento cardi-ne dell’estasi sciamanica, viene cavalcato per solcare isette cieli e il percussore del tamburo è la frusta concui si colpisce la pelle degli animali che ne compon-

gono la superficie di risonanza. A sua volta la frustapuò diventare una canna, che lo sciamano inforca pervolare. Ecco dunque che i molteplici e, in apparenza,fantasmagorici usi della freccia di Abaris acquistanoun senso nel sistema di segni sciamanico. La tecnicadivinatoria con l’arco, in uso presso le popolazioni si-beriane e centroasiatiche, è stata studiata e descrittada Vilmos Diószegy: «Per i profeti tungusi, il sibilodella freccia scagliata rappresenta una risposta in lin-gua intellegibile a tutte le domande». Ma esistonomolte varianti, in cui la “lettura” avviene ascoltando ilsuono prodotto dalla corda tesa con maggiore o mi-nore intensità, o guardando nel fuoco attraverso lacorda, od osservando le oscillazioni dell’arco, sospe-so per la corda tra l’indice e il medio dello sciamano.

In ogni caso, il valore divinatorio di questo strumen-to è attestato presso varie culture centroasiatiche, convalenze pressoché identiche.L’altro polo dell’azione sciamanica è il viaggio (esta-tico) verso una dimensione “altra”. Per Abaris questaterra è, come abbiamo detto, Hyperborea. Pausaniaracconta che, di ritorno dal paese degli Iperborei,Abaris fondò un tempio alla “Kore salvatrice”, divi-nità assimilata a Persefone, signora dell’Ade, e dun-que legata a Demetra. Ancora una volta un filo sotti-le lega le misteriose esperienze rituali degli “uominidivini” a culti ctonii e di incubazione.

Sotto il segno di ApolloAbbiamo già cercato di dimostrare (vedi Fenix n. 47)come il grande filosofo Pitagora (l’uomo divino pereccellenza, secondo la tradizione tramandata da Por-firio e Giamblico) praticasse riti di tipo “misterico” incamere sotterranee e come la teoria a lui attribuita

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In alto a sini-stra, abitantidella leggenda-ria Hyperborea.In basso a sini-stra, Apollo Citaredo.A destra,Apollo secondoGiovanni Batti-sta Tiepolo.

TRADIZIONE E SCIAMANESIMO

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In alto a si-nistra e a

destra, Pitagora.In basso,

iniziazioneai Misteri

da parte di Demetra.

della metempsicosi possa trarre lasua origine da esperienze “estati-che” codificate e sistematizzate dal-la sua scuola. Alcune fonti antiche(Ermippo), con intento parodisti-co, parlano di un inganno pratica-to a Crotone da Pitagora, che sirinchiuse per un mese in una stan-za sotterranea, facendosi aggiorna-re dalla madre su quel che accade-va nel mondo esterno. In questo

racconto è plausibile rinvenire itratti originari di una pratica ritua-le che comprendeva il temporaneosoggiorno in camere sotterranee:un rito affine a quello dell’incuba-tio, che consisteva nel dormirepresso un luogo sacro, dopo avereseguito un’adeguata preparazione(tra cui il digiuno alimentare) conla speranza di ricevere in sogno lavisita di un dio e dei suoi suggeri-menti. Si trattava dunque di unculto che comprendeva l’alterazio-ne dello stato di coscienza e il rag-giungimento di una condizione“letargica”, preludio a un contattocol divino, tratto che - come ab-biamo visto - è comune alle figuresciamaniche. La “madre” di Pita-gora, complice dell’inganno, è pro-babilmente il travisamento di unafigura divina femminile, la Ma-dre/Meter (Demetra?): in ogni ca-so, una divinità che trasmetteva la

conoscenza al filosofo. È il caso diricordare che per molti specialisti(Eliade in testa, e chi scrive con-corda), che l’esperienza definibilecome “sciamanica” nella Greciaantica cade sotto il segno di Apol-lo: Abaris è posseduto dal dioApollo, ha attributi apollinei co-me la freccia, pronuncia oracoli, è“Iperboreo” come Apollo; lo stessoPitagora veniva chiamato “ApolloIperboreo”. Così gli altri uominidivini, di cui tratteremo, come Ari-stea di Proconneso che, “possedu-to dal dio” viaggiò nelle terre degliIperborei e seguì Apollo sotto for-ma di corvo (altro attributo apolli-neo). Di quale Apollo si tratti èun’altra questione, molto com-plessa: non ci sembra azzardatopensare a una divinità “preolimpi-ca”, l’Apollo estatico, di originenordica, su cui ha scritto paginememorabili Giorgio Colli (La sa-pienza greca, vol. I). E’ comunqueun rapporto non esclusivo, comeabbiamo visto sopra: un nucleodella tradizione conserva e riportain superficie un rapporto con pra-tiche cultuali legate a figure divinefemminili (per Abaris la Kore, perPitagora la “Madre”). Torniamo ai viaggi estatici, per evi-denziare altri elementi che colle-gano il semimitico Abaris a Pita-gora. Eraclide Pontico, discepolodi Aristotele, in uno smarrito dia-logo, il Peri ton en Aidou (Sullecose che stanno nell’Ade), facevaincontrare Pitagora e Abaris: vi siraccontava, evidentemente, di unacatabasi, un viaggio di discesa nel-l’oltretomba. Le biografie tarde diPitagora (Giamblico, Vita Pitago-

SULLE TRACCE DEGLI SCIAMANI GRECI

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In pagina,Empedocle, diLuca Signorelli(Cappella diSan Brizio).

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rica, 28, 140) menzionano un vero e proprio “pas-saggio di consegne” tra Abaris e il filosofo samio: Pi-tagora avrebbe sottratto ad Abaris la freccia d’oro«senza la quale non era in grado di orientarsi». Eccotornare, in altro contesto, il symbolon della freccia. Enon si dovrebbero liquidare troppo facilmente que-ste narrazioni, solo perché più recenti e solo perchéi loro autori avevano una propensione a infarcirle dieventi prodigiosi e ad accomunare sotto un’egida ma-gico-sciamanica i personaggi più disparati. Al nettodelle manipolazioni, un sostrato esiste, insieme a deitratti comuni che gli antichi commentatori riscon-travano in queste figure: e comunque, nel V secoloa.C. Erodoto attesta una tradizione relativa ad unAbaris guaritore e divinatore. A quell’altezza, dun-que, la tradizione si era già formata. Possiamo ipo-tizzare che, al di là della coloritura favolistica, il ri-correre della freccia o di espressioni analoghe possasottendere una pratica rituale (o qualcosa di più) an-che nella Grecia antica, oltre che nelle popolazionisiberiane?

La freccia magicaIl filosofo e iatromante agrigentino Empedocle (V se-colo a.C.), in un frammento (B 31 129 DK) dei suoiKatharmoi (Le Purificazioni) parla di un uomo dalsapere prodigioso: «V’era tra quelli un uomo distraordinaria conoscenza, il quale acquisì un’im-mensa ricchezza d’ingegno e in sommo grado pa-droneggiava ogni sorta di opere di sapienza. E quan-do tendeva tutte le forze della sua mente (prapides)agevolmente scorgeva ciascuna delle cose che sono,

in dieci ed in venti generazioni umane». Il contestodi questo brano è discusso, ma molti commentatoriantichi (Porfirio, che la cita) e moderni vi hanno vi-sto un riferimento a Pitagora. Come che sia, è sugge-stivo notare che Empedocle usi un verbo (in grecooreigo, tendere) che richiama l’immagine di un arco.Il termine prapides, come ha ricordato recentementeNuccio D’Anna, sulla scorta delle osservazioni diLouis Gernet e di Jean-Pierre Vernant, oltre al signi-ficato di “cuore”, “sede dell’anima” e “intelligenza”,ha un’accezione antica che si riferisce all’organo fisi-co del diaframma. L’anima è dunque anima/respiro.“Tendere le prapides” è dunque la capacità di con-trollare il ritmo della respirazione e, di conseguenza,la facoltà psichico/intellettiva di forzare la dimensio-ne temporale e vedere i molteplici aspetti della realtà,come gli dei che, in quanto non soggetti alla morte,sono sottratti al flusso del tempo. Nuccio D’Anna eEzio Albrile vedono nell’espressione di Empedoclel’allusione a «una tecnica di tipo logico, che per-mette di controllare la respirazione e di fare del dia-framma un arco in cui il soffio, concepito come undardo o una freccia, diventa veicolo di tutte le forzedi natura psichica racchiuse nel corpo». L’uso con-sapevole del diaframma permette di ricomporre leforze disperse dell’anima, fissandola quindi in unicopunto fisiologico, il diaframma, e di “scoccarla”, se-parandola dal corpo, attraverso una tecnica di “esta-si” che Abaris (e, con lui, Aristea, Epimenide, Fere-cide, Pitagora...) padroneggiava: in termini metafori-ci, la “freccia magica” di Abaris e degli altri “uominidivini” greci. Nessuno, invece, finora, mi pare abbiaricollegato le menzioni della freccia di Abaris a tut-ta la tradizione sciamanica non greca: e, dunque, for-se, la freccia, gli archi e i tamburi volanti che abbia-mo visto, anche nella tradizione siberiana erano nonsolo oggetti rituali, ma metafore di tecniche medita-tive che consentivano di raggiungere la condizionedi estasi e di “volare” attraverso il tempo e lo spazio. Se si accetta questa ipotesi, i collegamenti fra lo scia-manesimo propriamente detto (quello delle civiltàsubartiche asiatiche e americane) e quello occiden-tale, greco diventano più stretti. Abbiamo cercato diinserire in una “serie morfologica” coerente l’ele-mento “freccia” e abbiamo visto che ricorre in con-testi geograficamente e culturalmente disparati. Pos-siamo arrivare a un’interpretazione storica di questidati? Le analogie di forma rivelano influssi, contattirealmente avvenuti? O si tratta di archetipi comuni atutto l’uomo?Lasciamo l’interrogativo aperto. Ma il nostro viag-gio tra gli sciamani greci continua. Eraclide Ponti-co ci lascia altri nomi di divinatori del futuro, ol-tre a Pitagora e all’iperboreo Abari: tra questi, Ari-stea di Proconneso ed Epimenide di Creta. Ad es-si le fonti antiche riportano episodi soprannatura-li, cadute in trance, lunghi sonni, viaggi estatici indimensioni altre, reincarnazioni. Cercheremo discoprire chi siano stati davvero e di inserirli in unfenomeno storico e culturale più definito.

TRADIZIONE E SCIAMANESIMO