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Storia ed evoluzione dell’islamismo arabo I Fratelli musulmani e gli altri a cura di Laura Guazzone

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Storia ed evoluzione dell’islamismo araboI Fratelli musulmani e gli altri

a cura di Laura Guazzone

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1. L’islamismo arabo: un’introduzione criticadi Laura Guazzone

Questo capitolo vuole fornire gli strumenti necessari a inquadrare l’argomento centrale di questo libro – il fenomeno dell’islamismo – considerandolo nelle sue molteplici dimensioni e alla luce dei conte-nuti di tutto il volume. Il capitolo è perciò diviso in due parti: la pri-ma (par. 1-2) è dedicata a un’analisi della definizione dell’islamismo e dei principali elementi del dibattito in proposito; la seconda parte del capitolo (par. 3) spiega invece le ipotesi di ricerca all’origine di questo libro e ne introduce i risultati, fornendo una lettura trasversale dei successivi capitoli.

1. Cos’è l’islamismo

L’islamismo è un’ideologia islamica contemporanea, diffusa in tut-to il mondo musulmano, che propugna un’azione riformatrice per l’in-staurazione di un sistema islamico (nizam islami) per governare lo stato e la società; i movimenti islamisti sono invece le organizzazioni dell’at-tivismo sociale e politico che sostiene questa ideologia.

Esistono tuttavia numerosissime altre definizioni dell’islamismo, che talvolta differiscono dalla nostra solo per l’enfasi posta su un aspet-to o l’altro del fenomeno – per esempio sugli aspetti sociologici piutto-sto che politici – ma spesso se ne differenziano in modo più sostanziale. Quello che noi chiamiamo «islamismo» è spesso infatti ricompreso sot-to etichette diverse, quali per esempio «fondamentalismo islamico» o «radicalismo islamico». Soprattutto, esiste ormai una stratificazione di usi fuorvianti del termine islamismo, che includono nel fenomeno an-che quei movimenti – per esempio i movimenti jihadisti, quali al-Qaida o il sedicente Stato islamico – che a nostro avviso non ne fanno par-te, perché propugnano modalità d’azione violente per realizzare un si-stema islamico e norme intransigenti per applicarlo; modalità e norme ben diverse da quelle auspicate dagli islamisti, sulla base dell’ideologia

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dei Fratelli musulmani, la principale organizzazione islamista nel mon-do arabo. Le motivazioni della nostra definizione dell’islamismo so-no documentate diffusamente in questo e nei restanti capitoli del libro. Poiché tuttavia, come innumerevoli studiosi hanno sottolineato, una de-finizione scientifica del termine islamismo è problematica, per argo-mentarla occorre partire da una mappatura dei significati che il termine ha assunto e delle diverse dimensioni analitiche che questi implicano 1.

1.1 La definizione dell’islamismo

Se non esiste una definizione univoca e accettata del termine «isla-mismo», è tuttavia possibile individuare, tra le tante esistenti, alcune definizioni utili per delineare le caratteristiche generali del fenomeno e dire che l’islamismo è un’ideologia che propugna un’azione riformatri-ce per l’instaurazione di un sistema islamico (nizam islami) per gover-nare lo Stato e la società nei paesi musulmani, e che i movimenti islami-sti rappresentano l’attivismo sociale e politico collegato a quest’ideolo-gia. Per esempio, secondo lo studioso anglo-egiziano Ayubi, l’islami-smo è «la dottrina e/o i movimenti che sostengono che l’islam possiede una teoria della politica e dello Stato» (Ayubi 1991, p. VIII). Simil-mente per l’iraniano Asef Bayat: «L’islamismo... si riferisce a quelle ideologie e a quei movimenti che si sforzano di istituire un qualche tipo di “ordine islamico”» (Bayat 2013, p. 4). Lo studioso francese Lacroix aggiunge che:

Il termine islamismo è usato... per designare ogni agente, organiz zato formalmente o informalmente, che agisce o aspira ad agire nel suo am-biente sociale e/o politico allo scopo di renderlo conforme a un ideale basato su un’interpretazione particolare dei precetti dell’Islam (Lacroix 2011, p. 1, nota 1).

Queste definizioni sono corrette, ma non ci aiutano a capire molto del contenuto dell’ideologia islamista, né ci dicono che esistono diffe-renze tra le diverse tipologie di movimenti che si richiamano all’ideolo-

1 Abbiamo sviluppato in dettaglio questa mappatura in un nostro precedente articolo (Guazzone 2014a), di cui riprendiamo qui alcuni argomenti e a cui rimandiamo per una trattazione più sistematica del dibattito scientifico sull’islamismo.

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gia islamista 2. Nel 1988 François Burgat, politologo francese del mon-do arabo e uno dei primi studiosi dell’islamismo nel Maghreb, rilevava già una difficoltà di definizione del fenomeno, che chiamava appunto la «difficulté de nommer»:

È la matassa di queste multiple denominazioni (tutte, ma solo par-zialmente, sbagliate) che vorremmo cercare di sciogliere [...] Dietro il pretesto terminologico l’ambizione è un’altra... è quella di abbozzare, in un contesto che si presta poco, l’oggettivazione di un fenomeno in cui religione e politica... ma anche percezione dell’altro e sguardo su stessi sono strettamente intrecciati (Burgat 1988, p. 13) 3.

Dopo più di trent’anni di studi sull’islamismo la difficoltà è rima-sta irrisolta, tanto che nel 2009 si sottolineava ancora la «nebbia di po-lemica, timore e confusione che aleggia intorno al tema dell’islamismo all’inizio del XXI secolo» (Euben et al. 2009, p. 3), mentre Samer She-hata, politologo americano di origine egiziana, an cor più di recente ha affermato: «Ci sono tante definizioni di “Islam politico” [espressione spesso usata come sinonimo di «islamismo»] quanti sono gli autori che hanno scritto sull’argomento» (Shehata 2012, p. 6). Nel frattempo gli studi sull’islamismo e gli islamisti (comunque definiti) si sono moltipli-cati al punto che sarebbe oneroso tentarne una bibliografia esaustiva 4, mentre interi volumi sono stati dedicati alla discussione dei significati attribuiti al termine islamismo in un determi nato contesto o momento storico. Nella prefazione a un volume di questo tipo i curatori, Martin e Barzegar, affermano:

Questo libro tratta della lotta nella sfera pubblica americana [Usa], spe-cie dopo l’11 settembre 2001, per capire e definire l’ascesa e il ruolo della politica religiosa islamica sulla scena mondiale. Questa discus-

2 Per una tipologia dei movimenti islamisti e una sintesi dell’ideologia islamista cfr. il Capitolo 6 in questo volume.

3 In L’Islamisme au Maghreb Burgat dedica ben due capitoli all’analisi delle definizio-ni/interpretazioni del fenomeno offerte dagli specialisti e da una serie di intellettuali dei movimenti islamisti magrebini (Burgat 1988, pp. 11-55).

4 Per una bibliografia ragionata sull’argomento vedi comunque Voll et al. 2010 e la bibliografia finale di questo volume.

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sione è dominata in particolare da un termine e un concetto: l’islami-smo. [...] Tuttavia sembra esserci ben poca chiarezza, e ancor meno consenso, sul significato e l’accuratezza di questa etichetta... Questa evidente ambiguità ha motivato gli autori di questo volume a cerca-re di scoprire le implicazioni... del termine islamismo [...]. Tra i sedi-ci studiosi che hanno scritto in questo volume, non ce ne sono due che sostengono uno stesso significato del termine islami smo, tuttavia [gli autori] tendono a convergere su alcuni approcci ge nerali (Martin et al. 2010, pp. VII-VIII).

Questa citazione contiene diverse indicazioni importanti ai fini della nostra analisi, innanzitutto laddove sottolinea la fortissima influenza del discorso sull’islam come religione e civiltà nel dibattito sull’islamismo. «Islam» è un termine molto più ampio, che indica la religione islamica e le molteplici realtà storiche, sociali e culturali che ad essa hanno fatto rife-rimento del VII sec. ad oggi; l’islamismo è invece un fenomeno politico-culturale recente, le cui origini risalgono solo alla fine dell’Ottocento 5, e a cui aderisce solo una minoranza del circa un miliardo e mezzo di musul-mani che esiste oggi nel mondo. Tuttavia islam e islamismo sono spesso confusi, e non a caso. Dalla rivoluzione ira niana del 1979 in poi le grandi potenze, gli Usa in primis, ma anche l’Europa, la Russia, la Cina e i regi-mi autoritari arabi, hanno prevalentemente visto nell’islamismo e nei suoi militanti un pericoloso nemico per i loro interessi strategici. Sull’interpre-tazione dell’islamismo si è svolta (e si svolge) perciò anche una guerra di propaganda, strettamente collegata in Occidente all’emergere d’una vera e propria «islamofobia» 6, dagli inevitabili effetti distorsivi non solo sul di-scorso pubblico, bensì anche sul dibattito scientifico sull’islamismo 7.

L’altro elemento utile della citazione è l’osservazione che, pur diffe-rendo tra loro, le molteplici definizioni esistenti del fenomeno dell’isla-mismo possono essere ricondotte ad alcuni approcci prevalenti, che

5 La storia dell’islamismo è trattata nel Capitolo 6.6 Sui contenuti e lo sviluppo dell’islamofobia (la paura dell’islam), vedi Sayyid 2007,

Halliday 1999; Rana 2007 e le opere ivi citate.7 Gli intrecci tra interessi politici e dibattito sul rapporto tra islam, politico e non, e

Occidente sono molteplici e terribilmente concreti: per un inquadramento teorico vedi Eu-ben 1999; per un inquadramento storico-politologico rimandiamo, tra l’altro, a Guazzone 2004; per uno studio di caso vedi Baker 2012.

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possiamo ulteriormente ridurre a tre dimensioni principali: 1) la defini-zione dell’islamismo come «islam politico»; 2) la definizione dell’isla-mismo come «attivismo islamico»; 3) la definizione dell’islamismo co-me «politica dell’islam» 8. Come vedremo, a queste tre definizioni/di-mensioni prevalenti sono collegate anche le principali spiegazioni del fenomeno dell’islamismo, nonché i dibattiti sulle sue cause e i suoi ef-fetti nella cultura e la politica del mondo arabo contemporaneo.

1.2 La terminologia dell’islamismo

Prima di passare a considerare gli approcci prevalenti allo studio dell’islamismo, ci sembra utile accennare, almeno rapidamente, all’ori-gine e all’uso dei termini «islamismo» e «islamista» in arabo e nelle principali lingue occidentali. Per quanto riguarda l’uso del termine in arabo, notiamo in sintesi che mentre taluni attivisti e studiosi arabi, so-prattutto a partire dalla fine de gli anni Settanta, hanno usato talvolta il termine islamiyyun per «islamisti» (per es. al-Jurshi et al. 1989), il ter-mine astratto corrispondente a «islamismo» non sembra attestato in ara-bo. In sua vece è d’uso frequente, specie tra gli osservatori critici (ma non solo), l’espressione islam siyasi («islam politico») 9, mentre stu-diosi e attivisti sembrano preferire, per definire il concetto e l’insieme dei movimenti, termini come «haraka islamiyya» («movimento islami-sta») o, più raramente, «tayyar islami» («corrente islamista») 10, specie in Egitto e nella Penisola araba 11. In alternativa, alcuni intellettuali vici-

8 Nella definizione come «politica dell’islam» (Muslim politics), l’islamismo è consi-derato solo uno dei molteplici attori che «invocano a sostegno delle loro rivendicazioni e contro-rivendicazioni idee e simboli che i musulmani, in contesti diversi, identificano come “islamici”» (Eickelman et al. 1996, p. 4); per una trattazione più dettagliata vedi Guazzone 2014a, p. 194-198.

9 Cfr. per esempio al-Ashmawi 1992 e Mustafa 1992. 10 La scelta di tradurre con «islamista» l’aggettivo islami, che dal punto di vista stret-

tamente linguistico può essere semplicemente tradotto con «islamico», è dettata dal conte-sto e confermata dall’uso fatto dagli stessi militanti dell’aggettivo «islamista» quando si esprimono in lingue occidentali.

11 Vedi la voce «haraka islamiyya» di Wikipedia http://ar.wikipedia.org., ma vedi an-che al-Anani 2011 e al-Ghannushi 2013, dove il leader del partito islamista tunisino Ennah-da (in arabo al-Nahda) afferma la sua preferenza per la definizione di «movimento islami-sta» piuttosto che «islam politico».

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ni ai movimenti islamisti hanno utilizzato l’espressione «risveglio isla-mico» (sahwa islamiyya) in un’accezione simile, ma non equivalente, a islamismo 12. Per quanto riguarda l’origine dell’uso in arabo del termine «islamiyyun» (islamisti) da parte dei militanti stessi notiamo che Tariq Ramadan, il noto e di scusso intellettuale musulmano europeo, in una recente intervista ha risposto così alla domanda: «Come defini rebbe il termine islamismo?»:

Questo è stato un concetto che è venuto dall’interno del Fratelli mu-sulmani negli anni Cinquanta in carcere, dove un gruppo di perso-ne [...dicevano] gli unici veri musulmani siamo noi, e Nasser non è più musulmano. I principali rappresentanti del movimento dei Fratelli musulmani hanno detto di no, siamo «islamiyyun», e siamo tutti mu-sulmani: «muslimun». Il che significa che gli islamisti hanno un pro-getto sociale, un progetto politico diverso dai musulmani che sono mu sulmani praticanti e credenti. Quindi qui c’è qualcosa che ha a che fare con una visione politica dello stato, ma anche con una visione della società 13.

Nelle lingue occidentali il termine islamismo è stato diffuso dalla seconda metà degli anni Settanta dagli studiosi e dagli attivisti magre-bini francofoni 14, per essere poi adottato anche dagli stu diosi (e dai mi-litanti) anglofoni. Il termine appare infatti ben dif fuso negli studi fran-cofoni a partire dal 1980, ed è esplicitamente usato per distinguere il militante dal «musulmano classico» (Burgat 1988, pp. 14-15). I primi studi in inglese sull’islamismo e i movimenti islamisti, scritti subito do-po la rivoluzione iraniana (Ibrahim 1980; Dekmejian 1980), inquadra-no il fe nomeno islamista come «risveglio islamico» (Islamic revival); ma pochi anni dopo gli stessi autori iniziarono a usare il termine isla-

12 Cfr. per esempio al-Qaradawi 1988 (ringrazio Pietro Longo per avermi segnalato questo uso).

13 Vedi Tariq Ramadan – intervista all’emittente televisiva Al-Jazeera English del 3 aprile 2014, video e trascrizione all’indirizzo http://www.aljazeera.com/programmes/he-adtohead/2014/03/transcript-tariq-ramadan-201432820219269232.html (2 gennaio 2015).

14 Nel 1980 Souhayr Belhassen riportava che le militanti tunisine usavano il termine francese «islamiste» per indicare la scelta di un’ideologia, preferendolo a «musulmane» (Belhassen 1980, p. 77).

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mismo, anche se il concetto fu inizialmente reso col termine inglese «Islamicist» 15 e sempre usato in modo intercambiabile con termini co-me «fondamentalismo» e «revivalismo».

Come polemicamente argomentato da Martin Kramer, non c’è dubbio che la terminologia usata nelle lingue occidentali per defini-re il fenomeno delle ideologie e dei movimenti che propugnano l’in-staurazione di un sistema islamico (nizam islami) per governare lo Stato e la società nei paesi musulmani sia fortemente influenzata dal contesto storico (Kramer 2003). È per tale motivo che in questo libro utilizziamo il termine islamismo, che è al momento il più usato, as-sieme al suo supposto sinonimo «islam politico», per definire questo fenomeno in senso generale. Tuttavia ci sembra evidente che poiché, come si è detto, ormai esiste una stratificazione di usi contradditori di questo termine, e poiché per lo stesso fenomeno è parallelamente diffuso l’uso di etichette diverse, l’utilizzo del termine islamismo di per sé non è sufficiente a descrivere senza ambiguità tutti gli aspetti del fenomeno di cui ci occupiamo. Riteniamo che sia perciò necessa-rio specificare caso per caso la precisa accezione data al termine, per esempio in relazione allo studio di particolari questioni o tipologie dei movimenti islamisti 16.

2. Il dibattito sull’islamismo

Come già accennato, il dibattito sull’islamismo è vastissimo e ri-guarda tanto la sua definizione quanto l’interpretazione delle cause e delle conseguenze di questo fenomeno, centrale per la storia contempo-ranea del mondo musulmano in generale e dei paesi arabi in particolare. In questa sezione considereremo in parallelo entrambi gli aspetti, sin-tetizzando le principali definizioni e interpretazioni («le spiegazioni») del fenomeno islamista.

15 Vedi per esempio p. 5 della prima edizione (1985) di Dekmejian 1995; secondo il traduttore in inglese di Kepel, Le Prophète et Pharaon (Kepel 1984) il passaggio da Islami-cist a Islamist è consolidato nel 1985 (Kepel 1984, p. 22).

16 Vedi in proposito l’introduzione al nostro Capitolo 6 in questo volume, nonché Guazzone 2014a, pp. 200-202.

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2.1 L’islamismo come «islam politico»

La prima e più diffusa definizione dell’islamismo è quella che lo considera principalmente come un’ideologia politica, e concentra la sua attenzione sui movimenti islamisti, attori politici formalmente organiz-zati che agiscono sulla base di questa ideologia. All’origine di questa definizione c’è l’importanza attribuita dagli islamisti all’azione politica per la riforma dello stato e della società, sulla base della convinzione che l’instaurazione dello stato islamico, cioè regolato secondo la legge islamica (shari‘a), sia una condizione essenziale per il benessere del-la comunità musulmana (umma) 17. Chi adotta questo approccio ana-lizza l’ideologia e i movimenti islamisti principalmente con strumenti storico-politologici e spesso definisce il proprio oggetto di studio come «islam politico» (Political Islam/ islam siyasi ecc.) e/o come «politica islamista» (Islamist politics). Nel 2003 il politologo americano Fuller ribadiva l’intercambiabilità dei termini:

Uso i termini islamismo e islam politico come sinonimi... [e definisco] islamista chi pensa che l’islam sia una fede che ha qualcosa di impor-tante da dire su come la politica e la società devono essere ordinate nel mondo musulmano contemporaneo e cerca di realizzare quest’idea in qualche modo... Preferisco questa definizione perché è abbastanza am-pia da catturare l’intero spettro dell’espressione islamista che va dai ra-dicali ai moderati (Fuller 2003, pp. XI-XII).

Notiamo tuttavia che questa definizione dell’islamismo come islam politico non specifica i contenuti dell’ideologia in questione, ma sottolinea che esistono diverse «famiglie» di movimenti islami-sti, distinguendole in base alla modalità dell’azione politica, definita come radicale/violenta, insurrezionale/golpista oppure moderata/pa-cifica/riformista/elettoralista. In effetti uno dei principali limiti dello studio dell’islam politico è proprio quello di mantenere sotto lo stes-so «tetto» interpretativo movimenti ben diversi per storia e prassi po-litica come quelli appartenenti all’area dei Fratelli musulmani, quelli jihadisti e quelli salafiti.

17 Per un approfondimento di questo pilastro ideologico dell’islamismo rimandiamo ancora al Capitolo 6, par. 3.1.

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Come prevedibile, all’interno degli studi dell’islamismo come «islam politico» l’aspetto di gran lunga più indagato (almeno quantita-tivamente) è l’analisi delle implicazioni politiche dell’islamismo, cioè dell’impatto dei movimenti islamisti sull’evoluzione politica degli stati del mondo musulmano, dei lori rapporti regionali e di quelli con i paesi occidentali. Considerata l’enfasi su questo aspetto, non sorprende che questo filone di studi abbia importanti intrecci col discorso pubblico in-ternazionale (soprattutto mediatico) sull’islamismo, in cui il fenome-no è etichettato piuttosto come «fondamentalismo», «radicalismo» o «estremismo» isla mico. Queste etichette sono state continuamente con-testate dagli studiosi di area, i cui approcci, ritenuti troppo «buonisti», sono stati a loro volta contestati da quei politologi e opinionisti convin-ti, in buona o cattiva fede, che l’islamismo costituisca un «pericolo per la sicurezza» (cioè per la stabilità) dei paesi musulmani e per i loro rap-porti col resto del mondo. L’argomento più usato a questo fine è che, poiché lo stato islamico fondato sulla shari‘a propugnato dagli islami-sti non è mai storicamente esistito (se non nel breve periodo medinese, quando il governo della neonata comunità musulmana era guidato di-rettamente dal Profeta), l’islamismo equivale a un tentativo intrinseca-mente autoritario di imporre a tutti i musulmani un’interpretazione falsa dell’islam (Tibi 2012, p. 1) 18. Una falsa interpretazione legittimata in base a una tradizione proditoriamente inventata; secondo Bassam Tibi infatti «la shari‘a [legge islamica] degli islamisti è un’invenzione della tradizione» (Tibi 2013, p. 67) 19 e quindi:

La shari‘a è per gli islamisti la costituzione di uno stato islamico in cui i diritti sono obblighi [... perciò] uno stato della shari‘a assomiglia a una pri gione in cui ci si aspetta che la gente obbedisca ai suoi governanti in nome della sua sottomissione a Dio (Tibi 2013, p. 7).

Quella di Tibi è in sostanza una totale ricusazione dell’interpretazione dell’islam data dai fondamentalisti islamici, islamisti e salafiti compresi,

18 Per un’introduzione al dibattito sulla shari‘a e lo stato islamico vedi le analisi di Campanini, Bredi e Longo nei rispettivi Capitoli 2, 3 e 10 in questo volume e le fonti ivi citate.

19 Per una discussione di cos’è e di come è interpretata e applicata la shari‘a nella sua relazione con lo stato vedi i Capitoli 3 e 10 di Bredi e Longo in questo volume.

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su cui i musulmani non fondamentalisti (cioè l’assoluta maggioranza dei musulmani) possono concordare, seppur con varie sfumature 20. Gran par-te del dibattito occidentale sull’islam politico parte da questa stessa preoc-cupazione per la possibile natura autoritaria dello stato islamico propu-gnato dagli islamisti, ma si concentra su aspetti relativamente diversi e in particolare sulla questione della (in)compatibilità tra islamismo e demo-crazia. Questo dibattito scivola spesso in più generico dibattito sulla rela-zione tra islam e democrazia, profondamente sbagliato e fuorviante poiché si fonda aprioristicamente su categorie deterministiche non storicamente definite, dando ad intendere che esista «una» democrazia e «un» islam 21.

Il dibattito sulla possibile relazione tra islamismo e democrazia par-te invece dalla constatazione che l’ideologia islamista, così come è ela-borata dagli ideologi dei Fratelli musulmani, il principale movimento islamista, lascia indefiniti i modi in cui potrebbero essere concretamen-te applicati i principi politici enunciati 22, e constata poi che tale inde-terminatezza non è stata effettivamente chiarita dai programmi politici adottati dai singoli movimenti islamisti. L’«area grigia» di ambiguità che, secondo gli studiosi occidentali, dovrebbe essere chiarita per poter capire se l’islamismo è compatibile con la democrazia liberale rappre-sentativa, riguarda principalmente tre questioni: 1) la questione dell’ap-plicazione della shari‘a; 2) la questione della piena accettazione del pluralismo politico; 3) la questione dei diritti civili individuali, e par-ticolarmente di quelli delle donne e delle minoranze religiose (Brown et al. 2006a). Poiché tutte le questioni da chiarire sono in ultima anali-si collegate alla questione dell’applicazione e dell’interpretazione del-la legge islamica (shari‘a), va innanzitutto ricordato che, come ben spiegato dalla Bredi in questo volume, la legge islamica non è un codi-ce, un testo scritto che chiede solo di essere applicato ma, al contrario, è il complesso insieme dei precetti e dei principi derivati dal Corano e delle loro interpretazioni storiche. Mettere, come fanno gli islamisti, al

20 Per una definizione del fondamentalismo islamico vedi il nostro Capitolo 6 (par. 2.2.3) in questo volume e, anche sul salafismo, il contributo di Campanini.

21 Per un’analisi critica di questo approccio, definito «orientalista» con riferimento a Said 1978, vedi Sadowski 1993 e, tra gli altri, Guazzone 2004.

22 Per un’introduzione all’ideologia politica elaborata da Hasan al-Banna per l’orga-nizzazione dei Fratelli musulmani, vedi il nostro Capitolo 6 (par. 3.1) in questo volume e le fonti ivi citate.

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primo punto del proprio programma politico l’applicazione della sha-ri‘a da parte dello stato non crea a priori un problema di incompatibilità con la democrazia liberale. L’eventuale incompatibilità può nascere pe-rò in relazione a cosa si intende per applicazione della Legge islamica e in relazione a chi sia abilitato a decidere in materia di interpretazione della shari‘a. Per fare degli esempi concreti: in un paese il cui governo sia guidato dagli islamisti chi è abilitato a decidere in materia di compa-tibilità con la shari‘a delle leggi dello stato (il Parlamento, la corte co-stituzionale o un organo non elettivo a sé stante, per esempio composto solo da giuristi islamici?); è sufficiente o no che le vecchie e nuove leg-gi dello stato non siano incompatibili coi principi della shari‘a, comun-que definiti, e dunque può o no essere mantenuto il pluralismo giuridico oggi esistente in tutti i paesi musulmani 23?

Per quanto riguarda invece i diritti civili, e specialmente la libertà d’espressione e la parità di diritti per le donne e le minoranze, i dub-bi sulla compatibilità tra progetto islamista e democrazia liberale sono fondati essenzialmente su due elementi: da un lato la tendenza (filoso-fica, prima ancora che politica) degli islamisti (ma potremmo dire lo stesso di tutti i religiosi) a dare priorità all’interesse generale della co-munità (maslaha ‘amma) rispetto ai diritti individuali e, dall’altro, l’in-tolleranza storicamente dimostrata verso le manifestazioni d’opinione ritenute lesive dei dettati e della dignità della religione, dall’ateismo si-no a «violazioni» più specifiche, quali quelle del divieto coranico di be-re alcolici o del presunto divieto di rappresentare Dio e il Profeta. An-che qui l’eventuale incompatibilità coi principi e le pratiche della de-mocrazia liberale non è tanto specifica dell’islamismo, quanto, almeno potenzialmente, di qualunque interpretazione religiosamente dogmati-ca del vivere sociale. Tuttavia, poiché sono gli islamisti che nel mon-do musulmano propugnano la necessità di (re)islamizzare lo stato e la società per via democratica, è a loro che viene chiesto di chiarire le lo-ro posizioni rispetto ai diritti civili, in particolare sulla parità dei diritti delle minoranze e delle donne col resto dei cittadini, e sul trattamento loro riservato nelle materie attinenti allo statuto personale (il matrimo-nio, il divorzio, l’eredità, l’affidamento dei figli). Come mostrano an-

23 Questi temi sono analizzati in questo volume dai contributi di Bredi e Longo (Capi-toli 3 e 10).

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che le analisi svolte in questo volume 24, le posizioni sinora adottate dai movimenti islamisti in materia di diritti delle donne e delle minoranze non corrispondono allo stereotipo dell’inferiorità imposta da una reli-gione esclusivista e patriarcale; mostrano invece una varietà di opinioni all’interno dei movimenti islamisti e documentano una loro chiara evo-luzione storica verso posizioni più inclusive e democratiche. Gli studi sottolineano inoltre che i paesi in cui i movimenti islamisti mantengono posizioni più restrittive in materia di diritti delle donne o delle minoran-ze sono anche i paesi più socialmente conservatori, come la Giordania e il Kuwait, mentre laddove la società tutta è più progressista in materia, come in Marocco o Tunisia, anche le relative posizioni degli islamisti sono più evolute.

Tuttavia, per molti osservatori le posizioni degli islamisti in materia di diritti civili, e più genericamente di democrazia, non sono comunque pienamente rassicuranti secondo gli standard delle democrazie libera-li occidentali, almeno finché gli islamisti continueranno ad affermare il limite virtuoso dei principi islamici (che, come s’è detto, restano da in-terpretare) all’esercizio della democrazia. Per esempio, in un documen-to politico del 2004 i Fratelli musulmani egiziani affermavano: «La no-stra ferma adesione al sistema statale repubblicano, parlamentare, co-stituzionale, democratico, [si colloca] nel quadro dei principi dell’islam (marja‘iyya islamiyya)» 25. Per interpretare correttamente queste affer-mazioni va tenuta presente la distinzione tra il piano delle prassi politi-che e il piano filosofico-ideologico: in quest’ultimo, come spiega Cam-panini, «termini come “libertà” e “democrazia” non posso assumere in un orizzonte di riferimento islamico lo stesso senso che hanno nel no-stro» (Campanini 2015, p. 17). Sul piano invece delle prassi politiche il quadro dei principi dell’islam può essere utilizzato dagli islamisti – come avvenuto per esempio con Ennahda (in arabo al-Nahda) in Tuni-

24 Si vedano in particolare la nostra storia comparata dei movimenti islamisti arabi (Capitolo 6), il capitolo di Pepicelli specificamente dedicato al rapporto tra islamismo e questione di genere (Capitolo 5), e il Capitolo 10 di Longo che analizza, tra l’altro, il tratta-mento dei diritti civili nella costituzioni recentemente elaborate in Egitto e Tunisia, con la partecipazione determinante dei movimenti islamisti.

25 Dal documento «Iniziativa per la riforma» (Mubadara li al-islah) firmato nel 2004 dall’allora Guida dei Fm, Muhammad ‘Akef; per il testo e l’analisi del documento vedi Guazzone 2005.

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sia 26 – per legittimare scelte politiche, per esempio in materia di diritti delle donne, apparentemente in contrasto con altre interpretazioni pre-valenti dei principi islamici. Infine, va anche tenuto ben presente che tutto il dibattito sulla «compatibilità democratica» dell’islamismo de-ve essere situato nel contesto politico dei paesi musulmani e arabi in questione dove, per complessi motivi storici, il deficit delle ideologie e delle prassi rispetto agli standard ideali della democrazia liberale non riguarda solo, e neanche principalmente, i movimenti islamisti, bensì la maggioranza delle forze politiche e dei governi (Pioppi 2015). In altri termini la domanda da porsi non è se l’islamismo sia compatibile con la democrazia, bensì a che condizioni, interne ed esterne, possa esserlo.

Concludiamo questa rassegna dell’interpretazione dell’islamismo come «islam politico» sottolineando che gli islamisti, protagonisti del fenomeno, non sottoscrivono questa interpretazione, o perlomeno la ve-dono in modo critico. I leader e militanti islamisti ritengono infatti che la definizione dei loro movimenti e dei loro obiettivi in termini pura-mente politici sia troppo riduttiva, perché il sistema islamico (nizam islami) che aspirano a costituire è onnicomprensivo (shamil), e dunque è più ampio del sistema politico che pur intendono riformare.

Com’è noto Hasan al-Banna definiva l’Associazione dei Fratelli mu-sulmani da lui fondata in termini molto ampi e non solo politici:

Fratelli, voi non siete un ente di beneficienza, né un partito politico, né un’organizzazione locale dagli scopi limitati. Voi siete invece un nuovo spirito che scorre nel cuore di questa comunità [umma] e la ri-vivifica attraverso il Corano, siete una nuova luce che sorge a respin-gere le tenebre del materialismo con la conoscenza di Dio (Hasan al-Banna 1993, p. 62).

Diversi altri leader islamisti hanno fornito definizioni dell’islami-smo che rifiutano di confinarlo nella sfera politica. Per esempio il leader

26 Adottando un «processo di democratizzazione dell’interpretazione giuridica indi-pendente» (vedi Capitolo 10 di Longo in questo volume), Ennahda in Tunisia ha accettato di rispettare l’esistente legge sullo statuto personale che vieta la poligamia e di non intro-durre nella Costituzione il concetto di «complementarietà» (invece di «parità») tra uomo e donna; per un’analisi più approfondita vedi i contributi di Pietro Longo (Capitolo 10) e Renata Pepicelli (Capitolo 5) in questo volume.

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di Ennahda Ghannouchi ha descritto la haraka islamiyya come il movi-mento che comprende:

Tutte le attività che promuovono l’islam inteso come definitiva parola di Dio agli uomini, quadro di riferimento onnicomprensivo per la vita e messaggio per tutti gli uomini del mondo (al-Ghannouchi 2013).

Abdessalam Yassine, il fondatore del movimento marocchino al-‘Adl wa al-ihsan, ha criticato gli studiosi occidentali per la loro incapacità di considerare anche la dimensione non politica e spirituale dell’islamismo:

La denuncia della dominazione culturale dell’Occidente [...]. La denun-cia del malgoverno e dell’ingiustizia sociale [...]. Questo lo percepite [...], il resto, il non detto rappresentato dalla spiritualità, dal ritorno a Dio [...] esiste anch’esso (Burgat 1988, p. 71).

Infine Abdel Moneim Abu al-Futuh, all’epoca membro del maktab al-irshad (l’Ufficio Direttivo) dell’Associazione dei Fratelli Musulma-ni egiziani, ha così corretto la terminologia degli studiosi occidentali:

A mio avviso il termine «islam riformista» [islam islahi] rappresenta una descrizione più precisa dell’attività del movimento islamista [al-haraka al-islamiyya] che non il termine «islam politico». Quest’ultimo termine infatti limita l’attività del movimento esclusivamente alla par-tecipazione politica, escludendo l’attività sociale, educativa, culturale e per lo sviluppo (Abu al Futuh 2006, p. 1).

2.2 L’islamismo come «attivismo islamico»

Questo filone interpretativo, che si è sviluppato a partire dalla fine degli anni Novanta dalla confluenza tra gli studi sociologici sui movi-menti sociali e gli studi sull’islamismo, considera i movimenti islami-sti un tipo particolare di movimento sociale di ispirazione religiosa 27.

27 Per un’introduzione agli studi sui movimenti sociali e sui movimenti sociali religio-si veda rispettivamente Della Porta e Diani 2006; Burns et al. 2013. Per una dettagliata analisi della convergenza tra i due filoni di studi e la relativa bibliografia vedi Wictorowicz 2004, pp. 3-19.

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L’approccio derivato dallo studio dei movimenti sociali è sempre più applicato allo studio dell’islamismo 28 perché fornisce strumenti disci-plinari nuovi per rispondere ad alcune domande di fondo, che restano spesso implicite o irrisolte nelle altre definizioni. La teoria dei movi-menti sociali offre infatti una serie di importanti elementi di risposta al-le domande «Perché esiste l’islamismo? Da chi è rappresentato? Come si esprime e si realizza?», spostando la metodologia d’indagine e i ter-mini del dibattito dal campo politico al campo sociale.

Per esempio, nella sua prima fase «funzionalista», sviluppatasi negli anni Cinquanta, la teoria ha variamente sostenuto che tutti i movimen-ti sociali nascono in reazione agli «stress strutturali», socio-economici, culturali o politici, subiti dalle società in determinate congiunture sto-riche (Smelser 1962). L’idea degli «stress strutturali» è stata utilizzata da molti studiosi dell’islamismo per spiegarne la nascita e lo sviluppo; in effetti, benché lo «stress» dovuto alla modernizzazione socio-eco-nomica sia stato spesso invocato tra le cause strutturali dell’emergere dell’islamismo, per esempio nell’Egitto d’inizio Novecento o nell’Iran e l’Egitto degli anni Settanta (Dekmejian 1995, p. 23; Ibrahim 2002, p. VIII), è lo stress culturale, causato dal colonialismo prima e dall’impe-rialismo poi, ad essere stato invocato più spesso come causa dell’isla-mismo, anche e specialmente dai leader islamisti stessi 29. Particolar-mente rappresentativi di questa spiegazione dell’origine dell’islamismo sono gli scritti di studiosi come Burgat, che esplicitamente ha definito l’islamismo come «la voce del Sud» del mondo e ancora oggi ribadi-sce la validità di questo approccio (Burgat 1988, 2012). Possiamo di-re che in questa prospettiva quelli islamisti sono i movimenti sociali che rivendicano l’autenticità dell’identità islamica, proponendone la ri-costruzione tramite un progetto socio-politico alternativo e antagoni-sta, che reagisce allo «stress strutturale» rappresentato dalla perdita dei valori tradizionali, provocata dalle diverse ondate di modernizzazione, socio-economica e socio-culturale, e di penetrazione politico-culturale dei modelli occidentali che hanno caratterizzato la storia contempora-

28 Il sociologo egiziano Ibrahim Saad Eddin già nel 1980 parlava di attivismo islami-co e definiva movimenti sociali i gruppi come Takfir wal-hijra da lui studiati (Ibrahim 1980, p. 426).

29 Si veda per esempio Hasan al-Banna nella lettera a re Faruk del 1946 «Nahwa al-nur» («Verso la luce») (al-Banna 1993, p. 147) e al-Ghannouchi 1995.

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nea dei paesi arabi. La nostra analisi della storia dei movimenti isla-misti, svolta nel Capitolo 6, conferma questa spiegazione della nascita dell’islamismo laddove situa i momenti di nascita e sviluppo di questi movimenti in corrispondenza delle grandi fasi di crisi delle società ara-be (la nascita degli stati coloniali negli anni Venti-Trenta del Novecen-to e le successive crisi «di crescita» degli stati arabi indipendenti negli anni Settanta e Novanta). Lo stress socio-economico e socio-culturale è caratteristico anche dell’attuale fase di crisi e conflitto, successiva alle mobilitazioni della «Primavera araba», anche se oggi a esserne prota-gonisti sono i più estremi movimenti sociali salafiti, piuttosto che quelli islamisti, comunque sempre presenti.

La teoria dei movimenti sociali offre delle risposte interessanti sull’islamismo anche per quanto riguarda le domande: «Da chi è rap-presentato? Come si esprime e si realizza?». Sostiene infatti che i mo-vimenti nascono perché, in certe condizioni, le azioni di protesta e di lobbying che li contraddistinguono sono il modo più razionale di su-perare le diverse forme di oppressione, privazione o discriminazione di cui la società a loro avviso soffre. Applicata ai movimenti islami-sti questa prospettiva, nota come «teoria della mobilitazione delle ri-sorse», porta a concentrare l’attenzione su quelle che possono esse-re definite le risorse della mobilitazione islamista: le moschee, le ong islamiche, le associazioni professionali e studentesche, i movimenti e i partiti politici islamisti, ma anche i network e l’associazionismo informali (Clark 2004a; Wickham 2002). Inoltre la teoria dei movi-menti sociali si è concentrata anche sui cosiddetti processi di «for-mulazione» (framing) culturale utilizzati dai movimenti, portando l’attenzione sulle modalità di formulazione e diffusione del discor-so ideologico e identitario islamista come strumento di mobilitazione ( Wickham 2004a; Clark 2004b).

Anche in questa prospettiva «movimentista» un limite delle inter-pretazioni offerte è quello di non distinguere tra le diverse tipologie di movimenti sociali islamici, per cui il loro attivismo è definito indistin-tamente come:

La mobilitazione della contestazione [contention] a sostegno delle cause musulmane... che include i movimenti di predi cazione, i grup-pi terroristi, l’azione collettiva radicata in simboli e identità islamici, i movimenti esplicitamente politici che cercano di istituire uno stato isla-

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mico e movimenti introspettivi che promuovono la spiritualità islamica attraverso un impegno di gruppo (Wictorowicz 2004, p. 2).

L’indagine sociologica svolta dagli studi dei movimenti sociali isla-mici fa luce sulla composizione sociale e le modalità di mobilitazione e «socializzazione» dei movimenti islamisti, rivelandone alcuni aspetti interessanti, ma spesso non ci permette di attribuire chiaramente all’uno o all’altro movimento i risultati di queste indagini. Per esempio l’ot-timo studio di Wickham sull’attivismo islamico in Egitto (Wickham 2004a) si concentra sui motivi della mobilitazione islamica dei giova-ni con istruzione superiore nei quartieri popolari del Cairo, senza in-dagare specificamente la loro eventuale adesione alle diverse tipologie di movimento: movimenti di predicazione, movimenti islamisti o mo-vimenti salafiti 30. Un uso più specifico del termine islamista permette invece di differenziare le analisi anche in una prospettiva sociologica; ne dà un esempio lo studio di Pepicelli in questo volume che, focaliz-zandosi sui movimenti «freristi» (cioè derivati dall’Organizzazione dei Fratelli musulmani) 31 in Tunisia ed Egitto, permette di individuare le motivazioni dell’adesione a questi specifici movimenti di uno specifico segmento sociale, quello femminile. Per quanto riguarda la composi-zione sociale dei movimenti islamisti, gli studi sull’attivismo islamico individuano la presenza di un nucleo stabile, rappresentato dalla piccola borghesia urbana, in particolare diplomati e laureati con scarsa realizza-zione professionale, formati non nel sistema educativo religioso, bensì nelle moderne università statali. Nelle diverse fasi storiche e nei diver-si paesi questo «nucleo duro» sociale dell’islamismo è riuscito a con-nettersi sia verso l’alto che verso il basso della scala sociale, ovvero sia con il proletariato urbano e rurale che con i membri della grande bor-ghesia, formando alleanze di interessi con questi altri segmenti sociali e, più limitatamente, assorbendoli nei propri ranghi 32. Queste osserva-

30 Per una tipizzazione dei movimenti si veda in questo volume il nostro Capitolo 6 (par. 1).

31 Per maggiori dettagli sul significato del termine «frerista» vedi ibidem.32 Sulla base sociale dei movimenti sociali islamici in Egitto vedi, tra gli altri, Ibrahim

1996, pp. 37-39; sulle alleanze sociali dei Fm in Giordania vedi Atzori 2010, pp. 88-89; sulla rappresentanza sociale del movimento Ennahda e dei movimenti salafiti in Tunisia vedi Merone in questo volume.

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zioni sulle alleanze sociali dei movimenti islamisti sono alla base del dibattito sul ruolo «sistemico» o «anti-sistemico» dei movimenti isla-misti, ossia sul ruolo oggettivo che i movimenti islamisti hanno svol-to negli specifici contesti nazionali e storici a favore del cambiamento o della conservazione della struttura di potere esistente. Chi considera «l’islam politico» come un oppositore naturale dei regimi al potere nei paesi arabi può essere meravigliato dall’esistenza di questo dibattito e, d’altra parte, i movimenti sociali sono genericamente definiti come gruppi organizzati per generare un cambiamento sociale o per oppor-visi. L’idea che i movimenti islamisti possano contribuire al manteni-mento dello status quo nei loro contesti nazionali può dunque risulta-re disorientante. Tuttavia l’analisi del ruolo oggettivamente svolto dai movimenti in specifici contesti porta alcuni studiosi alla conclusione che i movimenti islamisti, e in particolarmente quelli «freristi» deriva-ti dall’Organizzazione dei Fratelli musulmani, possono svolgere con-temporaneamente ruoli di supporto e di sfida della struttura di potere esistente (Beinin 2005; al-Awadi 2004). L’ambivalenza di questo ruolo può essere colta con maggiore chiarezza in relazione alla questione sociale, rispetto alla quale, come dimostra Paciello in questo volume, i movimenti islamisti hanno una posizione ideologica anti-sistemica, ma a livello di prassi adottano programmi e sostengono politiche che sono di evidente sostegno al mantenimento dello status quo in materia di gerarchia sociale, distribuzione della ricchezza e modelli di sviluppo economico. Secondo Beinin:

L’islam politico non è soltanto una famiglia di «movimenti anti-siste-mici»... È una famiglia di movimenti sociali diversi, anche contraddit-toria al suo interno, che può essere sistemica o antisistemica... Nell’era della ristrutturazione economica neo-liberale è stata entrambe simulta-neamente... Questo è evidente in Egitto e in Turchia... i due paesi più popolosi ed economicamente sviluppati del Medio Oriente... La base sociale dell’islam politico si estende ben oltre la moderna intelligentia della classe media e perciò, in modi contraddittori, l’islamismo si rivol-ge sia ai vincenti che ai perdenti della ristrutturazione economica neo-liberale globale (Beinin 2005, p. 116).

Perciò i movimenti sociali islamisti sono dei movimenti di protesta e di opposizione politica, ma non sono movimenti rivoluzionari di di-

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seredati e sono conservatori dal punto di vista dell’ordine sociale 33; al-tre tipologie di movimenti islamici, e in particolare i movimenti salafi-ti jihadisti, sono invece movimenti anti-sistemici di protesta e rappre-sentano blocchi sociali diversi, come argomentato in questo volume da Merone nella sua analisi del caso tunisino. Più in generale, la diversa collocazione sociale dei diversi movimenti e nelle diverse fasi storiche spiega anche le differenze tra i movimenti sociali islamici in sede poli-tica. Infatti i movimenti puramente anti-sistemici sono in genere movi-menti rivoluzionari e spesso adottano, come nel caso dei movimenti sa-lafiti jihadisti, metodi di lotta armata e terrorismo. I movimenti islamisti (e specialmente quelli freristi) invece, essendo al contempo socialmente sistemici e anti-sistemici, cercano di partecipare al sistema politico per tentare di riformarlo dall’interno. La storia comparata dei movimenti freristi, analizzata nel Capitolo 6 di questo libro, documenta questa af-fermazione, sostenuta anche dall’osservazione delle posizioni teoriche e pratiche degli islamisti rispetto all’uso politico della violenza, che tutti questi movimenti hanno denunciato (Brown et al. 2006, p. 11). In effetti, i movimenti islamisti si sono storicamente trovati a essere uno dei bersagli principali della repressione violenta da parte dei regimi dei rispettivi paesi, ma anche nei momenti di maggiore repressione – per esempio negli anni Novanta in Egitto, Algeria e Tunisia – i movimen-ti freristi hanno complessivamente mantenuto fede al loro rifiuto della lotta armata come mezzo per cambiare il sistema, e a questo rifiuto sem-brano attenersi ancora oggi i Fratelli musulmani egiziani, nonostante la durissima repressione (circa 1.400 morti e 40.000 arresti tra il 2013 e il 2014 secondo Amnesty International 2015) a cui sono sottoposti 34. La convinzione che i movimenti islamisti freristi siano movimenti violenti per natura ideologica o per scelta strategica, nonostante le molte accuse dei loro oppositori, non è provata dai fatti storici. Questo non significa che i militanti dei movimenti freristi non siano mai stati responsabili di episodi di violenza politica, la storia mostra infatti che episodicamente

33 Vedi in proposito quanto argomentato da Paciello in questo volume sulle politiche degli islamisti egiziani e tunisini in campo socio-economico.

34 Nel momento in cui scriviamo sembra essere in corso un forte dibattito interno ai Fm egiziani (dagli esiti ancora incerti) tra i sostenitori della resistenza non violenta al regime e i fautori di una mobilitazione per il rovesciamento del regime: vedi Youssef 2015 e Pioppi in questo volume.

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lo sono stati, specie in periodi di forte repressione o di uso generaliz-zato della violenza politica; significa, invece, che la violenza non è mai stata la strategia perseguita dalla dirigenza dei movimenti freristi per la conquista del potere 35. Mentre è vero, come argomentato nel paragrafo precedente, che ci sono dei legittimi dubbi su alcuni aspetti della com-patibilità tra posizioni islamiste e democrazia liberale. L’inclusione de-gli islamisti tra i sostenitori della violenza politica è solo frutto del cat-tivo uso del termine islamismo, evidenziato sin qui, come etichetta che ricomprende tutti i movimenti politici islamici, accomunando ingiusta-mente i movimenti islamici riformisti ai movimenti violenti, gli islami-sti ai jihadisti. Come argomentato sopra, questa confusione, che è tanto frutto di ignoranza quanto di pregiudizio, non può essere supinamente avallata in sede scientifica.

3. Questo libro e lo studio dell’evoluzione dell’islamismo arabo

Gli studi presentati in questo volume sono il frutto di un progetto di ricerca che ha coinvolto per due anni un gruppo multidisciplinare di studiosi italiani dell’islam, operanti in Italia e nel mondo arabo, univer-sitari e non, che si è posto come obiettivo principale l’analisi dell’isla-mismo e dei suoi movimenti nel mondo arabo in una prospettiva sto-rica, ovvero l’analisi dell’evoluzione dell’islamismo nel mondo arabo richiamata nel titolo del libro.

3.1 La prospettiva storica

L’adozione dell’approccio storico come prospettiva prioritaria della ricerca è motivato dalla convinzione, condivisa dai membri del gruppo, che ogni approccio non storicizzato allo studio dell’islamismo (ma non

35 Sui motivi della partecipazione dei Fm alla violenza politica in Egitto nel periodo 1947-1949 v. Mitchell 1993, pp. 54-55 e 58-77. Per una documentata analisi dell’assenza degli islamisti freristi egiziani dalla violenza politica degli anni Novanta vedi Ibrahim 1996, pp. 29-30. Nel 2011 la dirigenza di Ennahda ha chiesto scusa per l’attacco ‘spontaneo’ di al-cuni suoi militanti a una sede del partito di governo nel 1991, che aveva provocato un morto (vedi «Tunisie: le mouvement Ennahda se veut rassurant et reconnaît son erreur de 1991», Espace Manager, 8 February 2011, http://www.espacemanager.com/politique/tunisie-lemou-vement-ennahda-se-veut-rassurant-et-reconnait-son-erreur-de-1991.html (5 gennaio 2012).

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solo) produce generalizzazioni distorsive della conoscenza. In aggiun-ta a questa scelta metodologica, l’approccio storico è stato privilegiato anche a partire dalla constatazione che la partecipazione dei movimen-ti e dei partiti islamisti ai processi di cambiamento (politico in primis, ma anche socio-culturale) avviati in molti paesi arabi dai fenomeni del-la cosiddetta Primavera araba 36 costituisce solo una fase di un’evolu-zione complessa che, per essere compresa, va indagata sia nella sua prospettiva storica sia nella specificità delle sue esperienze nazionali, anche in relazione alle posizioni e alle prassi degli islamisti verso alcu-ne questioni fondamentali, quali per esempio la questione della giusti-zia sociale, dei diritti delle donne e delle minoranze, dell’identità na-zionale e così via.

Non c’è dubbio infatti che, come sottolineato in molti capitoli di questo libro, uno dei cambiamenti politici più evidenti che ha riguarda-to tutto il mondo arabo dopo le mobilitazioni popolari della «Primavera araba» del 2010-2011 è la sorprendentemente rapida mutazione del ruolo dei movimenti islamisti negli stati e nelle società arabe. Nel 2011 il suc-cesso elettorale dei partiti islamisti in Egitto, Tunisia, Marocco ha fatto sperare a taluni che la Primavera araba avesse cancellato la convinzione che l’islamismo costituisse un pericolo per la democrazia, idea che per molti aveva sin lì giustificato l’autoritarismo dei regimi arabi. L’esisten-za di partiti islamisti democraticamente eletti e integrati, in posizione di maggioranza relativa, nei governi di alcuni grandi paesi arabi è sembrata così porre fine alla «eccezione islamista» che aveva sin lì ostacolato lo sviluppo politico nel mondo arabo, suggerendo al contempo l’esistenza di vere e proprie transizioni democratiche in questi paesi (Wright 2012; Roy 2012) 37. Altri invece hanno guardato con timore all’iniziale succes-so elettorale degli islamisti, temendo che la «primavera araba» avesse generato un «inverno islamista», incompatibile con una reale transizione

36 Per un’analisi critica del termine «Primavera araba» e dei suoi usi vedi Achar 2013b.37 L’analisi dei fattori che favoriscono o ostacolano la democrazia (comunque definita)

e dei processi di transizione dai regimi autoritari ai regimi democratici, ovvero le varie teo-rie della democratizzazione, sono materia di moltissimi studi e accesi dibattiti accademici; per un’introduzione generale rimandiamo a Morlino 2012; sull’evoluzione recente del di-battito vedi Diamond et al. 2014; per un’analisi critica della democratizzazione nel mondo arabo prima della «primavera» vedi Bicchi et al. 2004; per un’analisi successiva vedi Hin-nebush 2015.

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alla democrazia (Israeli 2013; Fradkin 2013). Tuttavia già a partire dal 2012 la situazione è cambiata: in Egitto, Tunisia, Marocco i partiti isla-misti hanno incontrato difficoltà nel gestire il governo e il loro consenso è declinato, anche se in misura diversa nei diversi paesi. Il 2013 ha poi visto il drammatico fallimento in Egitto dell’esperienza di governo del partito Libertà e Giustizia dei Fratelli musulmani, culminato il 3 luglio in un colpo di stato militare appoggiato da ampie manifestazioni popo-lari e sfociato ad agosto dello stesso anno nell’inizio d’una violentissi-ma repressione dei Fratelli musulmani, che si è poi estesa ad altri paesi arabi, in particolare quelli della Penisola araba (specie in Arabia Saudi-ta, Bahrein, Emirati arabi). Alla luce di questi sviluppi è emersa una nuova corrente d’opinione, secondo la quale il ruolo storico dei movi-menti islamisti arabi si sarebbe esaurito nelle esperienze di governo fal-lite del 2011-2013, ragion per cui l’attivismo politico islamista sarebbe ormai residuale o assorbito in nuovi movimenti e progetti politici, come testimoniato dall’indubbia crescita dell’influenza dei movimenti salafiti e delle organizzazioni jihadiste nei paesi arabi (Meijer 2014).

Alla luce questi sviluppi ancora in corso, gli studiosi del fenomeno islamista hanno evidenziato la necessità di aggiornare l’analisi dell’isla-mismo tenendo conto delle nuove realtà sul terreno, hanno rilevato la necessità di riconsiderare la definizione del concetto di «islamismo», e quello derivato di movimenti islamisti, ma hanno anche sottolineato i limiti delle interpretazioni che privilegiano l’attualità a scapito della storia (al-Arian 2013; Pomeps 2014).

3.2 Temi e metodo del libro

La ricerca presentata in questo libro si pone nel solco di questo dibat-tito internazionale ed è, dunque, anche un tentativo di risposta agli in-terrogativi posti dall’attualità; ma non è solo, o principalmente, questo. Come abbiamo argomentato nella prima parte di questo capitolo, dopo più di trent’anni di studi sull’islamismo, la ricerca su questo fenome-no resta ancora problematica e il dibattito in proposito permane con-flittuale. La ricerca presentata qui è dunque soprattutto una risposta al-la necessità scientifica di un’analisi storica dell’evoluzione dell’islami-smo arabo, mirata a fornirne una visione sistematica e multidisciplina-re, che aggiorni l’analisi agli sviluppi in corso sul terreno, senza tutta-via appiattirsi su di essi, riconnettendoli alla loro profondità storica e

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alla loro complessità culturale. A tal fine gli autori dei saggi presentati in questo volume hanno lavorato insieme alla discussione delle doman-de di fondo della ricerca che, semplificando molto, possono essere rias-sunte in tre gruppi:

1. Cos’è l’islamismo? Come si definisce e si distingue dagli altri feno-meni simili per alcuni aspetti, ma sostanzialmente diversi quali il sa-lafismo o il jihadismo?

2. Quali sono i principi ideologici e le pratiche politiche dei movimenti islamisti rispetto ad alcune questioni fondamentali per l’organizza-zione e la convivenza sociale, come la concezione dello Stato, del-l’economia e dei diritti delle donne? Come e perché queste posizioni si sono concretamente evolute nei diversi contesti nazionali?

3. Quali sono le differenze politiche e sociologiche tra i diversi mo-vimenti islamisti nelle diverse epoche storiche e nei diversi paesi arabi? Quali sono state le cause e gli effetti della partecipazione dei movimenti islamisti arabi alle mobilitazioni delle cosiddette Prima-vere arabe? Quali sono oggi le prospettive dell’islamismo nel mon-do arabo?

Ciascuno degli autori di questo libro ha cercato di rispondere a tali domande dalla sua specifica prospettiva tematica e disciplinare, anche alla luce del dibattito intellettuale (talvolta acceso!) e dello scambio sulle rispettive competenze che si è svolto durante la ricerca. Il risul-tato è, a nostro avviso, un percorso di lettura del fenomeno dell’isla-mismo che va dal generale delle questioni trasversali al particolare dei casi studio e viceversa, senza cercare di essere onnicomprensivo, ben-sì restando focalizzato su alcune domande fondamentali che permet-tono di orientarsi anche rispetto ai temi e ai casi non direttamente trat-tati. Soprattutto, i risultati della ricerca presentati in questo libro non cercano di imporre valutazioni e conclusioni univoche e standardizza-te sull’islamismo, ma cercano invece di far emergere gli elementi per una valutazione informata di un fenomeno plurale e sfaccettato che, nel suo sviluppo storico come nelle sue prospettive attuali, non può es-sere ridotto a un singolo giudizio.

Il gruppo di studiosi riunito dalla scrivente per questa ricerca ha scelto di operare su due livelli d’analisi, che corrispondono alle due parti in cui è organizzato questo libro. Il primo livello si concentra sui

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gruppi di domande 1-2 e perciò tratta la definizione dell’islamismo e analizza la distinzione ideologica e politica tra l’islamismo e gli altri fenomeni a esso accomunati nell’ambito del fondamentalismo islami-co, quali il salafismo nelle sue diverse correnti storiche e contempora-nee. La prima parte del libro comprende anche gli studi che esaminano l’evoluzione delle posizioni adottate dagli islamisti, in teoria e in pra-tica, su alcuni aspetti fondamentali della loro ideologia, e in particola-re sulla questione dello stato islamico, dell’applicazione della shari‘a, del ruolo della donna e sulla questione della giustizia sociale. Gli stu-di presentati nella seconda parte del libro affrontano invece le doman-de del gruppo 3 e offrono perciò l’analisi comparata delle esperienze storiche dei movimenti e dei partiti appartenenti a una specifica tipo-logia dell’islamismo, che noi definiamo frerista con riferimento ai Fra-telli musulmani, la principale delle sue organizzazioni nei paesi arabi. I movimenti islamisti freristi scelti come studio di caso sono quelli svi-luppatisi in Marocco, Tunisia ed Egitto, i paesi cioè in cui gli islamisti hanno giocato un ruolo politico preminente durante e dopo le mobilita-zioni della Primavera araba. In questi studi i punti di divergenza e con-vergenza tra i diversi movimenti islamisti freristi sono analizzati in re-lazione alle specifiche condizioni politiche, sociali e culturali di ciascun paese considerato, analisi che fa emergere la stretta correlazione e, in ultima istanza, la dipendenza dell’evoluzione dell’islamismo non tan-to dal cambiamento del suo credo ideologico, quanto dai condiziona-menti provenienti dal contesto socio-politico locale. Questo secondo livello d’analisi dialoga col primo, contestualizzandone gli argomenti e mettendo in evidenza la pluralità delle posizioni e la varietà delle espe-rienze esistenti tra i diversi movimenti islamisti e al loro interno: per esempio, l’ultimo studio presentato nella seconda parte, analizzando le costituzioni scritte da o con gli islamisti dopo la Primavera, riprende e attualizza il dibattito sulle posizioni degli islamisti rispetto all’applica-zione della shari’a, esaminato nel Capitolo 3 della prima parte.

Per quanto riguarda la metodologia della ricerca vogliamo sottoli-neare che, al di là della comune adozione del metodo storico, gli studi raccolti in questo volume differiscono, oltre che per l’argomento speci-fico, anche per l’uso di diverse prospettive e metodologie disciplinari: a partire dai loro rispettivi retroterra scientifici i diversi autori hanno ap-plicato allo studio dell’islamismo arabo strumenti di indagine derivati da economia, filosofia, diritto, sociologia, scienze politiche e relazioni

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internazionali. Questa pluralità disciplinare dei contributi si riflette an-che nell’utilizzo di tecniche diverse, che vanno dall’analisi dei testi me-dievali islamici, alla comparazione dell’islamismo arabo con quello di altre aree del mondo musulmano, quale quella indo-pachistana. Parti-colarmente importante è l’uso della ricerca «sul campo» svolta dagli autori, che ha permesso di sviluppare gli studi di questo volume non solo con l’ausilio di documenti originali e inediti dei movimenti islami-sti, spesso di non facile reperibilità, ma soprattutto con la produzione d’un ampio numero di interviste con leader e militanti islamisti, frutto di una paziente costruzione di delicate relazioni di fiducia con gli inter-vistati, spesso soggetti a repressione e discriminazione nei loro paesi e all’estero. Un altro tratto che distingue il lavoro presentato in questo li-bro è la presenza di analisi innovative su aspetti dell’islamismo sinora trattati poco o non sistematicamente: è questo il caso degli studi presen-tati qui sull’islamismo e la questione femminile, e sull’islamismo e la questione sociale.

3.3 I capitoli del libro

L’introduzione al fenomeno dell’islamismo arabo e al contenuto del volume è offerta in questo nostro primo capitolo, che presenta gli stru-menti necessari a inquadrare gli argomenti centrali del libro. Il secondo capitolo è il saggio di Massimo Campanini, «Salafismo e islamismo nel pensiero politico islamico contemporaneo», che fornisce un’altra pro-spettiva di risposta alle domande: «Cos’è l’islamismo? Come si defini-sce e si distingue dagli altri fenomeni simili per alcuni aspetti, ma so-stanzialmente diversi quali il salafismo o il jihadismo?». L’autore infat-ti ricostruisce la storia intellettuale del salafismo dal Medioevo ai gior-ni nostri, da Ibn Hanbal al jihadismo, definendo il salafismo come una «mentalità», piuttosto che come una coerente scuola di pensiero. Cam-panini sottolinea che il salafismo è in effetti identificato solo da pochi principi teologici e da alcuni atteggiamenti forti rispetto all’ortoprassi, come la priorità attribuita alla hisba, il dovere di «comandare il bene e proibire il male», che costituisce per i salafiti l’obbligo anche indivi-duale di controllare e correggere la moralità pubblica e privata 38. Se-

38 Quest’obbligo è all’origine delle pratiche coercitive dei salafiti jihadisti sia nei terri-tori da loro controllati (per esempio dal sedicente stato islamico in Siria e Iraq), che nelle

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condo l’autore perciò «il salafismo appare come un ombrello molto am-pio sotto il cui riparo possono trovar posto le dottrine più diverse e gli orientamenti politici e sociali più diversi». Per quanto riguarda il rap-porto tra salafismo e islamismo Campanini argomenta che, anche se le due correnti condividono «l’utopia retrospettiva», cioè l’invito a torna-re alla fonti e la progettualità dello stato islamico, esse sono fondamen-talmente diverse rispetto alla sfera politica, dove l’islamismo presenta un progetto generale omogeneo, mentre il salafismo «articola risposte specifiche nei vari contesti».

La questione dello stato islamico o, più precisamente, del rappor-to tra Legge islamica, governo e società nell’era degli stati nazionali è l’argomento del capitolo «Shari‘a e stato islamico: la lezione del Paki-stan» di Daniela Bredi. L’autrice parte dalla constatazione che la parte-cipazione degli islamisti nelle Primavere arabe ha riaperto nel mondo arabo la questione del rapporto tra moderno stato nazionale e shari‘a, questione che si è riproposta ad ogni grande svolta della storia contem-poranea del mondo musulmano, e rispetto alla quale sono state auspica-te e attuate soluzioni diverse (nessuna delle quali dirimente o soddisfa-cente per tutti), di cui la storia del Pakistan, nato come patria dei musul-mani del subcontinente indiano, presenta un repertorio quasi completo. L’autrice illustra con estrema chiarezza le quattro dimensioni in cui va inteso il concetto di shari‘a, e i quattro sistemi storicamente sperimen-tati di adattamento alla shari‘a delle leggi dello stato, per poi passare ad analizzare «la lezione del Pakistan» in materia, e concludere che, con buona pace degli islamisti, non esiste una modalità non contraddittoria di applicazione della shari‘a da parte di uno stato moderno che, laddove rivendica il principio di sovranità legislativa esclusiva, non potrà mai essere un «vero» stato islamico 39.

Nel suo capitolo «Gli islamisti arabi e la questione sociale», Ma-ria Cristina Paciello sottolinea che i movimenti islamisti arabi han-no sempre considerato la giustizia sociale (al-‘adala al-ijtima‘iyya) un principio islamico fondamentale, da realizzare attraverso la loro

società musulmane i cui governi non assicurano (secondo i salafiti) il rispetto della shari‘a: vedi in proposito Vidino 2013, pp. 19-20; più in generale sulla hisba vedi Cook 2000.

39 Questa affermazione, apparentemente paradossale, dell’impossibilità di realizzare lo stato islamico auspicato da islamisti e salafiti di tutte le correnti, è condivisa da molti stu-diosi: vedi anche Campanini in questo volume e Hallaq 2013.

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azione politico-sociale. L’analisi svolta dall’autrice mostra però che la visione islamista della politica economica auspicata per realizzare la giustizia sociale è cambiata, nelle diverse fasi storiche e nei diversi paesi, in relazione al mutare del contesto politico e socio-economico. In particolare, esaminando in dettaglio i casi di Ennahda in Tunisia e dei Fratelli musulmani in Egitto, Paciello rileva che, pur partendo da una matrice ideologica comune, le posizioni dei due movimenti si sono evolute in modi diversi. Per esempio, Ennahda ha praticato an-che in materia socio-economica una politica di apertura e concerta-zione con il sindacato e le forze di sinistra, mentre nella Fratellanza egiziana è prevalsa una visione corporativista e morale dei problemi sociali. Nonostante queste differenze, conclude l’autrice, quando so-no giunti al governo sull’onda della Primavera araba nessuno dei due movimenti è stato in grado di elaborare «un’alternativa islamica» alle politiche economiche neo-liberiste praticate dai regimi precedenti, né proposte originali per la soluzione delle crescenti disuguaglianze so-ciali all’origine delle rivolte popolari.

Anche nel capitolo «Islamismo arabo e partecipazione delle donne» di Renata Pepicelli i casi studio esaminati sono quelli dell’Egitto e della Tunisia (anche se frequenti sono i riferimenti ad altri casi, come quello giordano o marocchino). L’analisi storica e tematica svolta dalla Pepi-celli si concentra sull’evoluzione in questi movimenti della concezione del ruolo della donna – i suoi diritti e doveri, il suo posto nel nella fami-glia, nella società, nella politica – e mostra come quest’evoluzione sia stata fortemente influenzata dall’espansione della partecipazione del-le donne nei movimenti islamisti. Dopo gli esordi negli anni Trenta-Quaranta in Egitto, le tappe della partecipazione delle donne islami-ste sono individuate dall’autrice prima nell’ingresso dagli anni Settanta nello spazio pubblico, facilitato dalla riappropriazione, identitaria e vo-lontaria, del velo (hijab), e poi, tra la fine degli anni Novanta e il primo decennio del Duemila, nella crescente (ma ancora limitata) partecipa-zione politica delle donne islamiste nelle istituzioni pubbliche e ai ver-tici dei movimenti. L’autrice dimostra così che la presenza delle donne islamiste nelle Primavere arabe non è un exploit momentaneo, bensì il frutto d’una lunga storia evolutiva. Le numerose interviste originali uti-lizzate nel capitolo dimostrano anche la ricchezza di approfondimen-ti sulle dinamiche sociali e culturali interne ai movimenti islamisti che proviene dall’utilizzo della prospettiva di genere, sinora poco esplorata.

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La seconda parte del libro, dedicata agli studi di caso, è aperta dal nostro studio su «L’evoluzione dei movimenti islamisti arabi: una sto-ria comparata» che ripercorre le tappe dello sviluppo storico dei movi-menti «freristi» arabi, derivati dalla Fratellanza musulmana. Lo scopo del capitolo è quello di inserire la storia dell’evoluzione di questi mo-vimenti islamisti nel contesto degli sviluppi delle storia contemporanea del mondo arabo, per mostrare la stretta correlazione esistente tra la na-scita e lo sviluppo dei movimenti islamisti e le condizioni dei contesti nazionali e regionali arabi nelle diverse fasi storiche intercorse dalla fi-ne dell’Ottocento ad oggi. Allo stesso tempo il capitolo vuole eviden-ziare come l’esistenza d’una matrice ideologica e sociologica comu-ne a tutti i movimenti islamisti freristi conviva con una forte differen-ziazione delle esperienze politiche e sociali, derivata dall’interazione con i rispettivi contesti nazionali. La parte introduttiva del capitolo (par. 1-2) fornisce anche una definizione delle tipologie dei movimenti isla-misti, una contestualizzazione dell’islamismo nell’insieme della storia dei popoli musulmani dalla nascita dell’islam alla contemporaneità, e un’analisi sintetica del messaggio ideologico di Hasan al-Banna, il fon-datore dei Fratelli musulmani. La parte conclusiva del capitolo propone invece un’analisi della situazione attuale dell’islamismo arabo e alcune ipotesi sui suoi possibili sviluppi futuri come fenomeno politico carat-teristico della contemporaneità nel mondo arabo.

Anche Jacopo Granci, nel suo capitolo intitolato «Traiettorie dell’islam politico in Marocco. Dissidenza e riformismo al cospetto della monar-chia», argomenta che l’islamismo marocchino offre un panorama com-plesso e fortemente influenzato dalle specificità nazionali, in particola-re dalla costante tensione tra modernità e tradizione e dall’uso politico dell’islam fatto degli attori istituzionali, il regime monarchico in primis, sin dalla costituzione del Marocco indipendente. L’autore ripercorre per-ciò la storia dell’islamismo marocchino dall’indipendenza ad oggi, trac-ciando le linee intrecciate, ma divergenti, dello sviluppo dei suoi attuali due movimenti principali (il Partito della giustizia e dello sviluppo-Pjd e il Movimento giustizia e beneficienza) e della loro dialettica interna e con il regime. L’analisi di Granci fa emergere la diversità di questi movimen-ti tra loro e nel panorama dell’islamismo arabo: tanto il Pjd ha spinto la propria evoluzione sino quasi a perdere, nel bene e nel male, le caratteri-stiche fondanti d’un movimento islamista, tanto Giustizia e beneficienza mantiene, sinora, una combinazione unica di ideologia frerista e organiz-

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zazione sufi (mistica). In conclusione, anche sulla base di una serie di in-terviste originali l’autore, che vive in Marocco, argomenta che, a seguito dei cambiamenti generati dalla Primavera, entrambe le organizzazioni principali dell’islamismo marocchino sembrano avviarsi a un’ulteriore significativa evoluzione, spinte anche dalla «concorrenza» dei movimenti salafiti in crescita e probabilmente pronti a entrare in politica.

Nel suo studio su «Islamismo e processi sociali: la Tunisia post-ri-voluzionaria» Fabio Merone argomenta che l’ingresso al governo nel 2011 degli islamisti di Ennahda è il punto d’arrivo attuale d’un processo storico, iniziato già prima dell’indipendenza della Tunisia, di inclusione ed esclusione dei diversi attori sociali nel percorso di costruzione del-la nazione. In questo contesto l’islamismo-arabismo è stato il linguag-gio di contestazione usato dalla piccola borghesia delle province meri-dionali e dell’entroterra, esclusa dalla gestione del potere dopo l’indi-pendenza dalla borghesia della costa e delle grandi città, roccaforte del progetto nazional-modernista di Burghiba poi ereditato da Ben Ali. Me-rone, che da anni vive in Tunisia e ha seguito dal vivo gli sviluppi pre- e post-rivoluzionari, sottolinea tuttavia che l’islamismo tunisino non si esaurisce in Ennahda e, specie dopo la mobilitazione rivoluzionaria, si è espresso anche in un nuovo tipo di contestazione, articolata dai movi-menti salafiti sostenuti nelle periferie urbane dai nuovi esclusi, i giovani disoccupati che hanno fatto la rivoluzione. Così, mentre l’antico scon-tro tra le élite moderniste e islamiche si è temporaneamente ricompo-sto nella transizione patteggiata e nella rinnovata idea di nazione incar-nata nella Costituzione tunisina del 2014, resta aperto lo scontro anche ideologico con gli esclusi dalla ricostruzione post-rivoluzionaria, il cui discorso e le cui prassi si orientano verso la violenza jihadista anche per l’assenza d’un progetto, nazionale o islamista, capace di includerli in un nuovo percorso di costruzione nazionale.

Il saggio di Daniela Pioppi «Il raccolto amaro. I Fratelli musulmani in Egitto e il fallimento della via moderata al potere» riassume già nel titolo la sua tesi forte: la storia dagli anni Settanta ad oggi del più antico e il più influente movimento frerista, l’Organizzazione dei Fratelli mu-sulmani egiziani, è la storia di un indiscutibile fallimento. Alla luce di una documentata ricostruzione storica, basata anche su numerose inter-viste originali svolte prima e dopo la rivoluzione anti-Mubarak, l’autri-ce argomenta che l’attuale fallimento è frutto principalmente dei condi-zionamenti imposti al movimento dall’aver sempre operato nell’illegali-

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tà, tollerato o represso a fasi alterne, in un contesto autoritario. La semi-clandestinità ha privilegiato la promozione nel movimento d’una cultura dell’obbedienza che lo ha sclerotizzato, mentre le spinte evolutive delle correnti riformiste interne si sono potute esprimere solo nei momenti di allentamento della repressione di regime. Anche la moderazione delle ambizioni politiche, praticata al limite del collaborazionismo col regime e con i suoi successori per assicurare la sopravvivenza del movimento, secondo la Pioppi ha indebolito la credibilità della Fratellanza presso co-loro, salafiti, liberali o forze di sinistra, che avrebbero aderito a un pro-gramma di cambiamento più radicale. Così la Fratellanza egiziana, il più grande movimento islamista del più grande paese arabo, è stata incapace di rappresentare il cambiamento quando con la caduta di Mubarak se n’è aperta la possibilità e oggi si trova al bivio tra la marginalizzazione, la radicalizzazione violenta e un difficile processo di rifondazione.

L’ultimo degli studi di caso presentati nel libro è quello di Pietro Lon-go su «Il rinnovamento costituzionale in Nord Africa dopo la Primavera araba (Tunisia, Egitto e Marocco)». Il capitolo analizza le nuove costitu-zioni adottate in Marocco (2011), Egitto (2012) e Tunisia (2014) in rela-zione a due dimensioni principali: il modo in cui è stato esercitato il pote-re costituente e il rapporto tra islam, Stato e diritto positivo incarnato nei nuovi testi costituzionali; questa analisi è a sua volta contestualizzata nel-la prospettiva della storia del costituzionalismo nel mondo arabo dopo la fine dell’impero ottomano (1918). L’analisi svolta da Longo fa risaltare il dato comune rappresentato in tutti e tre i paesi considerati dalla democra-tizzazione del processo costituente, che ha visto protagonisti assemblee elette o comunque processi di ratifica per referendum popolare. Diversi invece sono stati gli esiti della presenza nelle assemblee costituenti degli islamisti (maggioritaria in Tunisia ed Egitto) sul rapporto tra islam, Sta-to e diritto positivo definito nelle nuove costituzioni. L’autore argomenta infatti che mentre la nuova costituzione marocchina emendata nel 2011 non menziona nemmeno la shari‘a come fonte della legislazione, la co-stituzione egiziana del 2012 («la costituzione di Morsi») aveva previsto la costituzione di un Consiglio degli ulamà per garantire la conformità della legge ordinaria ai principi della shari‘a, creando i presupposti per un scontro tra l’islam movimentista degli islamisti e dei salafiti e l’islam istituzionale dell’università al-Azhar, rientrato solo con la deposizione del presidente Morsi. Il caso tunisino infine è visto come la concretizza-zione esemplare d’un costituzionalismo pluralista, capace di bilanciare i

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principi di diverse tradizioni giuridiche; secondo l’autore si tratta tuttavia di un esempio che è destinato a rimanere isolato, ancorato com’è nelle specificità storico-culturali della Tunisia.

4. Conclusioni

Partendo dalla definizione dell’islamismo come l’ideologia che pro-pugna un’azione riformatrice per l’instaurazione di un sistema islamico (nizam islami) per governare lo Stato e la società nei paesi musulma-ni, e dei movimenti islamisti come l’attivismo sociale e politico orga-nizzato collegato a quest’ideologia, nella prima parte di questo capito-lo abbiamo commentato le principali definizioni e interpretazioni («le spiegazioni») esistenti del fenomeno islamista, ricollegandole ai princi-pali temi del dibattito attuale sull’islamismo, e in particolare al dibatti-to sulla compatibilità tra politiche islamiste e principi della democrazia rappresentativa. Nella seconda parte del capitolo abbiamo spiegato co-me il fenomeno dell’islamismo viene studiato in questo libro, presen-tando prima il metodo e le principali domande adottati nella ricerca che è all’origine di questo volume, e poi passando sinteticamente in rasse-gna il contenuto dei diversi capitoli del libro.

Entrambe le parti di questo nostro capitolo introduttivo sottolineano come l’islamismo sia un fenomeno plurale e sfaccettato che, nel suo svi-luppo storico come nelle sue prospettive attuali, non può essere ridotto in un singolo giudizio. In conclusione vogliamo perciò fornire qualche spunto per una lettura tematica delle risposte plurali che questo libro of-fre alle domande di partenza della ricerca (vedi par. 3.2). Un primo tema per una lettura trasversale è senz’altro quello legato ai paesi – Marocco, Tunisia ed Egitto – scelti come caso studio della storia e dell’evoluzione dell’islamismo arabo. Qui un punto di convergenza evidente dei risultati dei vari studi di caso è che, nell’influenzare le caratteristiche e l’evolu-zione dei vari movimenti islamisti considerati, le specificità storiche del contesto socio-politico nazionale di ciascun paese sono molto più im-portanti della comune matrice ideologico-organizzativa dei movimenti.

Un altro tema trasversale, adombrato già nel sottotitolo di questo li-bro, è quello del rapporto degli islamisti con gli altri attori politici del campo islamico. Molti degli autori del libro sottolineano che nella bre-ve fase successiva alla Primavera araba si è evidenziata ed evoluta la

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preesistente presenza di molteplici attori che propugnano un progetto politico islamico, spesso in competizione tra loro: dai partiti islamisti freristi, variamente derivati dai Fratelli musulmani, ai movimenti e par-titi salafiti, dalla cosiddetta salafiyya ‘ilmiyya (salafiti quietisti) ai «neo-wahhabiti», sino alla galassia delle reti jihadiste, che propugnano la lot-ta armata locale e globale contro gli eretici e gli infedeli. Anche questa differenziazione e frammentazione del campo dell’attivismo islamico si esprime in forme politiche e sociali diverse in ciascun paese arabo, a se-conda della specificità storica del paese e delle specifiche sollecitazioni e influenze a cui la società è stata esposta negli anni più recenti: conflit-ti esterni, alleanze internazionali, ma anche modi e tempi dell’esposi-zione alla globalizzazione. Mentre una lettura a breve termine dell’at-tualità sottolinea il declino dell’islamismo e l’ascesa del salafismo, gli studi presentati in questo volume evidenziano come esistano attualmen-te almeno due configurazioni principali dei rapporti tra i sostenitori dei diversi progetti islamici: da un lato la configurazione esemplificata dal caso egiziano (ma presente anche nei paesi della Penisola), dove i sala-fiti si sono alleati col campo anti-islamista e specificamente col nuovo regime, e godono d’una sorta di esclusiva sul progetto di re-islamizza-zione dal basso della società che si sta progressivamente radicalizzando sotto la spinta del declino islamista e del parallelo successo delle forme più violente del jihadismo (quali il sedicente Stato islamico).

D’altro lato esiste anche una configurazione alternativa, esemplifi-cata dal caso della Tunisia e del Marocco, dove le élite, islamiste e an-ti-islamiste, sono attualmente alleate in un nuovo patto nazionale, che esclude i settori sociali subalterni ed emarginati rappresentati dai salafi-ti, che anche a partire da questa esclusione si radicalizzano verso la lotta armata, il jihad condotto nel proprio paese o nei conflitti in corso nelle nuove frontiere del jihad (principalmente la Siria, l’Iraq, la Libia). Altri possibili temi di lettura trasversali dei contenuti di questo libro riguar-dano il mutamento della base sociale degli islamisti; il rapporto tra isla-mismo e identità nazionale locale; l’evoluzione del rapporto degli isla-misti con la democrazia, di fronte all’esperienza fallimentare dell’elet-toralismo degli anni Novanta, ma anche alle contrapposte esperienze egiziane e tunisine dopo il 2011. È necessario tuttavia concludere qui le nostre considerazioni introduttive, lasciando al lettore il piacere di sco-prire da solo la ricchezza delle risposte alle domande sull’islamismo of-ferte dai contributi a questo volume.

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