STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE Prof. Scuccimarra delle... · Dichiarazione dei diritti dell’uomo...

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Lezione n. 26 II SEMESTRE A.A. 2017-2018 STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE Docente Prof. Scuccimarra

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Lezione n. 26

II SEMESTRE

A.A. 2017-2018

STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHEDocente Prof. Scuccimarra

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del

cittadino (1789)

Art. 1:

Gli uomini nascono e restano liberi ed

eguali nei diritti. Le distinzioni sociali non

possono essere fondate che sull’utilità

comune.

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del

cittadino (1789)

Art. 2:

Il fine di ogni associazione politica è la

conservazione dei diritti naturali ed

imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti

sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la

resistenza all’oppressione.

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del

cittadino (1789)

Art. 3:

Il principio di ogni sovranità risiede

essenzialmente nella nazione. Nessun corpo,

nessun individuo può esercitare un’autorità

che non emani espressamente da essa.

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del

cittadino (1789)

Art. 4:

La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non

nuoce ad altri; così l’esercizio dei diritti naturali

di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che

assicurano agli altri membri della società il

godimento di quegli stessi diritti. Questi limiti

possono essere determinati soltanto dalla legge.

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del

cittadino (1789)

Art. 5:

La legge ha il diritto di vietare solo le azioni

nocive alla società. Tutto ciò che non è

vietato dalla legge non può essere impedito,

e nessuno può essere costretto a fare ciò che

essa non ordina.

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del

cittadino (1789)

Art. 6:

La legge è l’espressione della volontà

generale. Tutti i cittadini hanno il diritto

di concorrere personalmente o

attraverso i loro rappresentanti alla sua

formazione.

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del

cittadino (1789)

Art. 16:

Qualsiasi società nella quale la garanzia dei

diritti non sia assicurata, e la separazione dei

poteri non sia determinata, non possiede una

costituzione.

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E.-J. Sieyès, Che cos’è il Terzo

stato

Nella prima epoca «vi è un numero più o meno

considerevole di individui isolati che vogliono unirsi tra

loro. Per questo solo fatto, essi già formano una nazione:

ne hanno già tutti i diritti; non resta che esercitarli.

Questa prima epoca è caratterizzata dal gioco delle

volontà individuali. L’associazione è opera loro. Esse

sono all’origine di ogni potere».

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E.-J. Sieyès, Che cos’è il Terzo

statoLa seconda epoca è caratterizzata dall’azione della volontà

comune. Gli associati vogliono dare consistenza alla loro unione;

vogliono adempierne lo scopo. Per questo si riuniscono, e si

accordano fra loro sui bisogni pubblici e sui mezzi per

provvedervi. Il potere qui appartiene alla comunità. Le volontà

individuali ne sono sempre la fonte, e ne costituiscono gli elementi

essenziali; ma considerate separatamente non avrebbero alcun

potere. Il potere risiede esclusivamente nell’insieme. La comunità

ha bisogno di una volontà comune; senza una unità di volontà essa

non arriverà mai a costituire un tutto che vuole ed agisce. E’ anche

certo che questo tutto non ha nessun diritto che non appartenga alla

volontà comune.

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E.-J. Sieyès, Che cos’è il Terzo

stato

La terza epoca si distingue dalla seconda in quanto non è più

la reale volontà comune ad agire, ma una volontà comune

rappresentativa. Sono due (…) i caratteri indelebili che le

sono propri: 1° Nel corpo rappresentativo tale volontà non è

piena ed illimitata; essa rappresenta solo una parte della

grande volontà comune nazionale. 2° I delegati non la

esercitano affatto come se si trattasse di un diritto proprio, si

tratta di un diritto che appartiene ad altri; la volontà comune è

presente in loro solo a titolo di procura.

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E.-J. Sieyès, Che cos’è il Terzo

stato

La Nazione esiste prima di ogni cosa, essa è

l’origine di tutto. La sua volontà è sempre

conforme alla legge, essa è la legge stessa. Prima

di essa e al di sopra di essa non c’è che il diritto

naturale.

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E.-J. Sieyès, Discorso sul veto

regioLa Francia non è, e non può essere una democrazia; non deve

assolutamente divenire uno Stato federale, composto da una

moltitudine di repubbliche, unite da un qualunque legame

politico. La Francia è e deve essere un tutt’uno, sottomesso in

ogni sua parte ad una legislazione e ad una amministrazione

comuni. Poiché è evidente che cinque o sei milioni di

cittadini attivi, ripartiti in più di venticinquemila leghe

quadrate non possono assolutamente riunirsi, è certo che essi

possono aspirare solo ad un sistema legislativo per

rappresentanza.

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E.-J. Sieyès, Discorso sul veto

regio…Dunque i cittadini che nominano dei rappresentanti

rinunciano e devono rinunciare a fare essi stessi

direttamente la legge: non hanno quindi nessuna volontà

personale da imporre. Ogni influenza, ogni potere

appartengono loro esclusivamente nella persona dei

mandatari. Se imponessero delle volontà questo Stato

non sarebbe rappresentativo; sarebbe uno Stato

democratico

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E.-J. Sieyès

Un deputato è deputato della Nazione tutta, tutti i cittadini sono i

suoi committenti. (…) Dunque non esiste, non può esistere per un

deputato altro mandato imperativo o voto positivo, che quello

della Nazione; egli non è tenuto a tener conto dei consigli dei suoi

diretti committenti, se non nella misura in cui questi consigli

saranno conformi al voto nazionale. Questo voto dove può essere,

dove può esprimersi se non nell’ambito della stessa Assemblea

nazionale? (…) In questo caso non si tratta di compilare uno

scrutinio democratico, ma di proporre, ascoltare, accordarsi,

modificare il proprio personale parere, fino a formare una volontà

comune…

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E.-J. Sieyès

Il popolo può parlare, può agire

solo attraverso i suoi

rappresentanti

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E.-J. Sieyès, Osservazioni sul rapporto del

Comitato di costituzione…Le classi infime, gli uomini più poveri, sono ben più lontani, per

intelligenza e sensibilità, dagli interessi dell’associazione, di quanto non

potessero esserlo i cittadini meno stimati degli antichi Stati liberi. Esiste

dunque fra noi una classe di uomini, cittadini di diritto, che non lo sono

di fatto. Spetta senza dubbio alla Costituzione e alle buone leggi di

ridurre il più possibile il numero degli appartenenti a questa classe. Ma è

comunque vero che vi sono uomini per altro fisicamente validi, che,

estranei a qualunque idea sociale, non sono in grado di assumere un

ruolo attivo nell’ambito della cosa pubblica. Non ci si deve permettere

di discriminarli in quanto persone, ma chi oserà trovare ingiusto che

vengano in qualche modo esclusi, non, lo ripeto, dalla protezione della

legge e dall’assistenza pubblica, ma dall’esercizio dei diritti politici?

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E.-J. Sieyès, Preliminari alla costituzione

Tutti gli abitanti di un paese debbono godervi dei diritti di cittadino

passivo: tutti hanno diritto alla protezione della propria persona, della

proprietà, libertà, ecc., mentre non tutti hanno diritto di esercitare un

ruolo attivo sulla formazione dei pubblici poteri, non tutti sono

cittadini attivi. Le donne, per lo meno nella condizione attuale, i

bambini, gli stranieri, coloro che non contribuiscono minimamente a

sostenere il sistema delle pubbliche istituzioni, non devono avere

un’influenza attiva sulla cosa pubblica. Tutti possono godere dei

vantaggi della società, ma solo coloro che fanno parte del sistema

delle pubbliche istituzioni rappresentano i veri azionari della grande

impresa sociale, solo loro sono i veri cittadini attivi, i veri membri

dell’associazione

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E.-J. Sieyès

Farsi/lasciarsi rappresentare è l’unica fonte della

prosperità civile… Moltiplicare gli strumenti/poteri per

soddisfare i nostri bisogni; godere di più, lavorare di

meno, questo è il naturale accrescimento della libertà

nello stato sociale. Ora, questo progresso della libertà

segue naturalmente l’istituzione del lavoro

rappresentativo

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E.-J. Sieyès

Tutto è rappresentanza in uno stato sociale. Essa

è presente ovunque, nell’ordinamento privato

come nell’ordinamento pubblico; essa è la madre

dell’industria, della produzione e del commercio,

come pure di ogni progresso liberale e politico.

(…) Essa si confonde con l’essenza stessa della

vita sociale.

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Necker

Questi eletti sono il vostro equivalente, con perfetta

esattezza. Il loro interesse, la loro volontà sono le vostre,

e nessun abuso di autorità, da parte di questi nuovi

menecmi vi sembrerà possibile. Che credulità. Che fede

per degli uomini in grado di pensare e di riflettere! Ed è

sempre la parola rappresentante che provoca una simile

cieca fiducia! Questo termine dà l’idea di un altro se

stesso.

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Robespierre

Ovunque il popolo non eserciti la sua autorità e

non manifesti la sua volontà in prima persona, ma

tramite dei rappresentanti, se il corpo

rappresentativo non è puro e non s’identifica

completamente con il popolo, la libertà è

annientata.

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Robespierre

La fonte di tutti i nostri mali è costituita dallo stato di

assoluta indipendenza in cui i rappresentanti si sono

posti da se stessi nei confronti della nazione senza averla

consultata. Non erano, per loro stessa ammissione, che

mandatari del popolo e si sono fatti sovrani,ovverosia

despoti. Il dispotismo non è altro che l’usurpazione del

potere sovrano.

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Robespierre, Sui principi del governo

rappresentativo (1793)Per fare una costituzione occorre in primo luogo stabilire questa

massima incontestabile:

“che il popolo è buono e che i suoi delegati sono corruttibili; che è

nella virtù e nella sovranità del popolo che bisogna cercare una

difesa contro i vizi e i dispotismi del governo. (…) Un popolo i

cui mandatari non devono dar conto a nessuno della loro gestione,

non ha una costituzione; poiché infatti dipenderà soltanto da

costoro tradirlo impunemente o lasciarlo tradire da altri. E se

questo è il senso che si attribuisce al governo rappresentativo,

confesso che impigherò tutti gli anatemi pronunciati contro di esso

da Jean-Jacques Rousseau”.

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Robespierre, Sui principi di

morale politica (1794)Qual è lo scopo cui tendiamo? Il pacifico godimento della libertà e

dell’uguaglianza; il regno di quella giustizia eterna le cui leggi

sono state incise non già sul marmo o sulla pietra, ma nel cuore di

tutti gli uomini, anche in quello dello schiavo che le dimentica e

del tiranno che le nega. Vogliamo un ordine di cose nel quale ogni

passione bassa e crudele si incatenata, nel quale ogni passione

benefica e generosa sia ridestata dalle leggi; nel quale l’ambizione

sia il desiderio di meritare la gloria e di servire la patria; ove le

distinzioni non nascano altro che dalla stessa uguaglianza; nel

quale il cittadino sia sottomesso al magistrato, e il magistrato al

popolo, e il popolo alla giustizia; .

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Robespierre, Sui principi di

morale politica (1794)

Un ordine di cose nel quale la patria assicuri il

benessere a ogni individuo, e nel quale ogni individuo

goda con orgoglio della prosperità e della gloria della

patria; nel quale tutti gli animi si ingrandiscano con la

continua comunione dei sentimenti repubblicani, e con

l’esigenza di meritare la stima di un grande popolo; nel

quale le arti siano gli ornamenti della libertà che le

nobilita, il commercio sia la fonte della ricchezza

pubblica e non soltanto quella dell’opulenza mostruosa

di alcune case. .

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Robespierre, Sui principi di

morale politica (1794)Noi vogliamo sostituire, nel nostro paese, la morale all’egoismo,

l’onestà all’onore, i principi alle usanze, i doveri alle

convenienze, il dominio della ragione alla tirannia della moda, il

disprezzo per il vizio al disprezzo per la sfortuna, la fierezza

all’insolenza, la grandezza d’animo alla vanità, l’amore della

gloria all’amre del denaro, le persone buone alle buone

compagnie, il merito all’intrigo, l’ingegno al bel esprit, la verità

all’esteriorità, il fascino della felicità al tedio del piacere

voluttuoso, la grandezza dell’uomo alla piccolezza dei “grandi”; e

un popolo magnanimo, potente, felice a un popolo “amabile”,

frivolo e miserabile; cioè tutte le virtù e tutti i miracoli della

repubblica a tutti i vizi e a tutte le ridicolaggini della monarchia. .

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Robespierre, Sui principi di

morale politica (1794)

Noi vogliamo, in una parola, adempiere

ai voti della natura, compiere i destini

dell’umanità, mantenere le promesse

della filosofia, assolvere la provvidenza

dal lungo regno del crimine e della

tirannia.

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Robespierre, Sui principi di

morale politica (1794)La democrazia non è uno Stato in cui il popolo –

costantemente riunito – regola da se stesso tutti gli affari

pubblici; e ancor meno è quello in cui centomila frazioni del

popolo, con misure isolate, precipitoso e contraddittorie,

decidono la sorte dell’intera società. Un simile governo non è

mai esistito, né potrebbe esistere se non per ricondurre il

popolo verso il dispotismo. La democrazia è uno Stato in cui

il popolo sovrano, guidato da leggi che sono il frutto della sua

opera, fa da se stesso tutto ciò che può far bene, e per mezzo

dei suoi delegati tutto ciò che non può fare da se stesso.

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Robespierre, Sui principi di

morale politica (1794)

Se la forza del governo popolare in tempo di

pace è la virtù, la forza del governo popolare in

tempo di rivoluzione è ad un tempo la virtù e il

terrore. La virtù, senza la quale il terrore è cosa

funesta; il terrore, senza il quale la virtù è

impotente. (…) Il governo della rivoluzione è il

dispotismo della libertà contro la tirannia.

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Sieyès, Opinione sul progetto di costituzione

(2 termidoro anno III)

I poteri illimitati sono un mostro in politica e un grave errore del

popolo francese. In avvenire esso non lo commetterà più. Voi gli

svelerete ancora una volta una grande verità troppo misconosciuta

fra noi, e cioè che esso non detiene tutti questi poteri, tutti questi

diritti illimitati che i suoi adulatori gli hanno attribuito. Quando

un’associazione politica si costituisce, non si mettono mai in

comune tutti i diritti che ogni individuo apporta alla società, tutta

la potenza della massa intera degli individui. Si mette in comune il

meno possibile sotto il nome di potere pubblico o politico e

unicamente quanto è necessario a mantenere ogni individuo

nell’ambito dei propri diritti e dei propri doveri…

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Sieyès, Opinione sul progetto di costituzione

(2 termidoro anno III)

Una simile parte di potere è ben lungi dal rassomigliare alle idee

esagerate di cui si è amato abbigliare ciò che si chiama la

sovranità; e notate bene che è precisamente della sovranità del

popolo che parlo, giacché, se ve ne è una, è proprio quella. Se

questo termine ha assunto una dimensione così colossale

nell’immaginazione della gente, è solo perché lo spirito dei

Francesi, ancora colmo di superstizioni monarchiche, si è sentito

in dovere di dotarlo dell’eredità intera dei pomposi attributi e dei

poteri assoluti, che hanno fatto lo splendore delle sovranità

usurpate…

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Sieyès, Opinione sul progetto di costituzione

(2 termidoro anno III)

E io dico che quando luce sarà fatta, ci saremo lasciati dietro i

tempi in cui si è creduto di sapere, in cui non si faceva che volere,

la nozione di sovranità rientrerà nei suoi giusti limiti; poiché,

ripeto ancora una volta, la sovranità del popolo non è affatto

illimitata, e molti di quei sistemi vantati e onorati, compreso

quello verso il quale si è persuasi ancora di avere le più grandi

obbligazioni, altro non parranno che concezioni monacali, dei

mediocri progetti di re-totale piuttosto che di re-pubblica,

ugualmente funesti per la libertà e rovinosi per la cosa pubblica

come per la cosa privata.

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I. Kant, Metafisica dei costumi (1797)

Lo stato di natura:

Lo stato di pace, fra uomini che vivano l’uno accanto

all’altro, non è uno stato di natura; questo è invece uno stato

di guerra, anche se non sempre comporta lo scoppio delle

ostilità ma piuttosto la minaccia di esse. Lo stato di pace deve

dunque essere istituito, infatti l’astenersi dalle ostilità non è

ancora sicurezza, e se tale sicurezza non viene garantita a un

vicino dall’altro (ciò che può accadere solo in uno stato in cui

vi siano leggi), quello può trattare questo, al quale ha

richiesto tale garanzia, come un nemico.

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I. Kant, Metafisica dei costumi (1797)

Lo stato di natura:

Se prima dell’entrata nello stato civile nessun acquisto si volesse

riconoscere anche solo provvisoriamente come legittimo, allora quello stato

stesso sarebbe impossibile. Perché, secondo la forma, le leggi nello stato di

natura contengono intorno al ‘mio’ e al ‘tuo’ le stesse condizioni prescritte

dalle leggi nello stato civile, in quanto esso sia pensato unicamente secondo

concetti puramente razionali; tutta la differenza è che nello stato civile sono

indicate le condizioni che assicurano l’esecuzione (conformemente alla

giustizia distributiva) delle leggi dello stato di natura. Se dunque non ci

fosse nemmeno provvisoriamente un ‘mio’ e un ‘tuo’ esterni nello stato di

natura, non ci sarebbero neppure doveri giuridici riguardo ad esso, né quindi

ci sarebbe alcun comando che imponesse di uscire da quello stato.

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I. Kant, Metafisica dei costumi (1797)

Il postulato del diritto pubblico:

E’ dunque proprio dal diritto privato nello stato

naturale che scaturisce il postulato del diritto

pubblico: tu devi, in base al rapporto di

coesistenza che si instaura tra te e gli altri uomini,

uscire dallo stato di natura per entrare in uno stato

giuridico, vale a dire in uno stato di giustizia

distributiva.

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3I. Kant, Sul detto comune (1797)

Lo stato civile:

Lo stato civile, considerato solo in quanto stato

giuridico, è fondato sui seguenti principi a priori:

1. La libertà di ogni membro della società, come

uomo;

2. L’eguaglianza di ogni membro con ogni altro,

come suddito;

3. L’indipendenza di ogni membro di un corpo

comune, come cittadino.

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Martin Wight, International Theory. The Three Traditions

1) La tradizione realista: Hobbes

2) La tradizione razionalista: Grozio

3) La tradizione rivoluzionaria: Kant

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Alle origini del modello «cosmopolitico»

I progetti di pace perpetua:

1) Il Grand Dessein di Enrico IV (1598);

2) William Penn, An Essay Towards the Present

and Future Peace of Europe (1693);

3) Abbè de Saint-Pierre, Projet pour rendre la

paix perpétuelle en Europe (1713);

4) Immanuel Kant, Zum ewigen Frieden (1795)

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Saint-Pierre, Projet pour rendre la paix perpétuelle

en Europe (1713)

1) I sovrani che aderiscono si garantiscono

reciprocamente una sicurezza totale contro i

grandi mali delle guerre esterne e delle guerre

civili;

2) Ogni alleato contribuirà alle spese comuni

della grande alleana in proporzione alle

entrate attuali e delle spese del suo Stato;

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Saint-Pierre, Projet pour rendre la paix perpétuelle

en Europe (1713)

3) Gli alleati rinunciano alla voce delle armi e

convengono di prendere la strada della conciliazione

attraverso la mediazione di un’assemblea generale

perpetua, la Dieta generale d’Europa;

4) Se la potenza condannata non ottempererà,

l’alleana si armerà e agirà contro di essa in modo

offensivo per contrastarla;

5) Queste disposizioni non possono essere modificate

se non con il consenso unanime di tutti;

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Articoli preliminari:

1. Nessun trattato di pace deve considerasi tale,

se è stato fatto con la tacita riserva di pretesti

per una guerra futura;

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Articoli preliminari:

2. Nessuno Stato indipendente (non importa se

piccolo o grande) può venire acquistato da un

altro per successione ereditaria, per via di

scambio, compera o donazione;

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Articoli preliminari:

3. Gli eserciti permanenti (miles perpetuus)

devono col tempo scomparire interamente;

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Articoli preliminari:

4. Non si devono contrarre debiti pubblici in

vista di controversie fra Stati da svolgere

all’estero;

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Articoli preliminari:

5. Nessuno Stato deve intromettersi con la

forza nella costituzione e nel governo di un

altro Stato;

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Articoli preliminari:

6. Nessuno Stato in guerra con un altro deve

permettersi atti di ostilità che renderebbero

impossibile la reciproca fiducia nella pace futura:

come, ad esempio, l’assoldare sicari ed avvelenatori,

la rottura della capitolazione, l’istigazione al

tradimento nello Stato al quale si fa la guerra, ecc…

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I. Kant, Per la pace perpetua:

La guerra è (…) solo il triste mezzo necessario allo stato

di natura (dove non esiste tribunale che possa giudicare

secondo il diritto) per affermare con la forza il proprio

diritto, non potendo in tale stato esser considerata

nemico ingiusto nessuna delle due parti (perché ciò

presuppone già una sentenza giudiziaria) e decidendo

solo l’esito del combattimento (come nel cosiddetto

giudizio di Dio) da quale parte stia il diritto:

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I. Kant, Per la pace perpetua:

ma tra due Stati non è concepibile una guerra punitiva

(bellum punitivum) poiché tra essi non sussiste un rapporto di

superiore ad inferiore. Ne segue che una guerra di sterminio

in cui la distruzione può colpire contemporaneamente

entrambe le parti ed ogni diritto venire soppresso, darebbe

luogo alla pace perpetua unicamente sul grande cimitero del

genere umano. Una simile guerra, e con essa l’uso dei mezzi

che vi conducono, dev’essere pertanto assolutamente vietata.

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Primo articolo definitivo:

“La costituzione civile di ogni Stato

dev’essere repubblicana”

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I. Kant, Per la pace perpetua:

La costituzione fondata in primo luogo secondo i

principi della libertà dei membri di una società

(in quanto uomini), della dipendenza di tutti da

un’unica legislazione (in quanto sudditi), in terzo

luogo dell’uguaglianza di tutti (in quanto

cittadini) è quella repubblicana

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Secondo articolo definitivo:

“Il diritto internazionale deve

fondarsi su un federalismo di liberi

Stati”

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I. Kant, Per la pace perpetua:

I modelli di unione internazionale:

Lo «Stato di popoli (Völkerstaat)» o

«Civitas gentium»

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I. Kant, Per la pace perpetua:

«Per gli Stati, nel rapporto tra loro, è impossibile

pensare di uscire dalla condizione di della mancanza di

legge, che non contiene altro che la guerra, se non

rinunciando, esattamente come fanno i singoli individui,

alla loro libertà selvaggia (senza legge), sottomettendosi

a pubbliche leggi costrittive e formando uno Stato dei

popoli (civitas gentium), che dovrà sempre crescere, per

arrivare a comprendere finalmente tutti i popoli della

terra»

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I. Kant, Per la pace perpetua:

I modelli di unione internazionale:

La «federazione di pace» o

«federazione di popoli (Völkerbund)»

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I. Kant, Per la pace perpetua:

«Questa federazione non si propone la costruzione di

una potenza politica, ma semplicemente la

conservazione e la garanzia della libertà di uno Stato

preso a sé e contemporaneamente degli altri Stati

federati, senza che questi si sottomettano (come gli

individui nello stato di natura) a leggi pubbliche e alla

costrizione da esse esercitate »

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Per gli Stati che stanno tra loro in rapporto reciproco

non può esservi altra maniera razionale per uscire dallo

stato naturale senza leggi, che è soltanto stato di guerra,

se non rinunciare, come i singoli individui, alla loro

libertà selvaggia (senza leggi), consentire a leggi

pubbliche coattive e formare così uno Stato di popoli

(civitas gentium) che si estenderebbe sempre più ed

abbraccerebbe infine tutti i popoli della terra.

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Ma poiché essi, secondo la loro idea del diritto

internazionale, non vogliono ciò affatto e rigettano quindi in

ipotesi ciò che in tesi è giusto, così, in luogo dell’idea

positiva di una repubblica universale (e perché non tutto

debba andare perduto) rimane soltanto il surrogato negativo

di una lega permanente e sempre più estesa, come unico

strumento possibile che ponga al riparo dalla guerra e arresti

il torrente delle tendenze contrarie al diritto, sempre però con

il continuo pericolo che queste erompano nuovamente

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I. Kant, Per la pace perpetua:

Terzo articolo definitivo:

“Il diritto cosmopolitico dev’essere

limitato alle condizioni dell’universale

ospitalità”

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I. Kant, Per la pace perpetua:

…Ospitalità significa che il diritto che uno straniero ha

di non essere trattato come un nemico a causa del suo

arrivo sulla terra di un altro. Questi può mandarlo via, s

ciò non mette a repentaglio la sua vita, ma fino a quando

sta al suo posto non si deve agire verso di lui in modo

ostile. Non è un diritto di accoglienza a cui lo straniero

possa appellarsi (…) ma un diritto di visita, che spetta a

tutti gli uomini…

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Lezione n. 29

II SEMESTRE

A.A. 2017-2018

STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHEDocente Prof. Scuccimarra

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B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi

paragonata a quella dei moderni (1819)

Chiedetevi innanzi tutto, Signori, che cosa intendano oggi con la

parola libertà un inglese, un francese, un abitante degli Stati Uniti

d’America. Il diritto di ciascuno di non essere sottoposto che alle

leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né messo a

morte, né maltrattato in alcun modo a causa dell’arbitrio di uno o

più individui. Il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di

scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua

proprietà e anche di abusarne; di andare, di venire senza doverne

ottenere il permesso e senza render conto delle proprie intenzioni

e della propria condotta…

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B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi

paragonata a quella dei moderni (1819)

Il diritto di ciascuno di riunirsi con altri individui sia per

conferire sui propri interessi, sia per professare il culto che

egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per

occupare le sue giornate o le sue ore nel modo più conforme

alle sue inclinazioni, alle sue fantasie. Il diritto, infine, di

ciascuno di influire sulla amministrazione del governo sia

nominando tutti o alcuni dei funzionari, sia mediante

rimostranze, petizioni, richieste che l’autorità sia più o meno

obbligata a prendere in considerazione…

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B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi

paragonata a quella dei moderni (1819)

Paragonate ora a questa libertà quella degli antichi.

Essa consisteva nell’esercitare collettivamente ma direttamente

molte funzioni dell’intera sovranità, nel deliberare sulla piazza

pubblica sulla guerra e sulla pace, nel concludere con gli stranieri i

trattati di alleanza, nel votare le leggi, nel pronunciare i giudizi;

nell’esaminare i conti, la gestione dei magistrati, nel farli

comparire dinanzi a tutto il popolo, nel metterli sotto accusa, nel

condannarli o assolverli. Ma se questo era ciò che gli antichi

chiamavano libertà, essi ritenevano compatibile con questa libertà

collettiva l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità

dell’insieme…

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B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi

paragonata a quella dei moderni (1819)

Non trovate presso di loro alcuno dei godimenti che abbiamo visto

far parte della libertà dei moderni. Tutte le azioni private sono

sottoposte a una sorveglianza severa. Nulla è accordato

all’indipendenza individuale né sotto il profilo delle opinioni, né

sotto quello dell’industria, né soprattutto sotto il profilo della

religione. (…) Nelle cose che a noi sembrano più utili l’autorità

del corpo sociale si interpone e impaccia la volontà degli

individui. (…) L’autorità si intromette anche nelle relazioni più

intime. (…) Le leggi regolano i costumi e poiché i costumi

concernono tutto non v’è nulla che le leggi non regolino.

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B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi

paragonata a quella dei moderni (1819)Così presso gli antichi l’individuo, sovrano quasi abitualmente negli

affari pubblici, è schiavo in tutti i suoi rapporti privati. Come cittadino

egli decide della pace e della guerra; come privato è limitato, osservato,

represso in tutti i suoi movimenti; come parte del corpo collettivo

interroga, destituisce, condanna, spoglia, esilia, manda a morte i suoi

magistrati o i suoi superiori; come sottoposto al corpo collettivo può a

sua volta essere privato della sua condizione, spogliato delle sue

dignità, bandito, messo a morte dalla volontà discrezionale dell’insieme

di cui fa parte. Presso i moderni, al contrario, l’individuo, indipendente

nella sua vita privata, persino negli Stati più liberi non è sovrano che in

apparenza. La sua sovranità è limitata, quasi sempre sospesa; e se, a

epoche fisse ma rare nelle quali è pur sempre circondato da precauzioni

e ostacoli, esercita questa sovranità, non lo fa che per abdicarvi.

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B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi

paragonata a quella dei moderni (1819)(…) Noi non possiamo più godere della libertà degli antichi che si

fondava sulla partecipazione attiva e costante al potere collettivo. La

nostra libertà deve fondarsi sul pacifico godimento

dell’indipendenza privata. La parte che nell’antichità ciascuno aveva

nella sovranità nazionale non era affatto, come lo è oggi, una astratta

supposizione. La volontà di ciascuno aveva un’influenza reale:

l’esercizio di questa volontà era un piacere vivo e ripetuto. Di

conseguenza gli antichi erano disposti a fare molti sacrifici per

conservare i loro diritti politici e la loro partecipazione

all’amministrazione dello Stato. Ciascuno sentiva con orgoglio tutto

quello che valeva il suo suffragio e trovava, in questa coscienza

della sua personale importanza, un ampio consenso.

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B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi

paragonata a quella dei moderni (1819)Questo compenso non esiste più oggi per noi. Perduto nella

moltitudine, l’individuo non avverte quasi mai l’influenza che esercita.

Mai la sua volontà si imprime sull’insieme, niente prova, ai suoi occhi,

la sua cooperazione. L’esercizio dei diritti politici ci offre dunque ormai

soltanto una parte dei godimenti che vi trovavano gli antichi e in pari

tempo i progressi della civiltà, la tendenza commerciale dell’epoca, la

comunicazione dei popoli fra loro hanno moltiplicato e variato

all’infinito i mezzi della felicità privata.

Ne segue che dobbiamo essere attaccati assai più degli antichi alla

nostra indipendenza individuale; perché gli antichi, quando

sacrificavano questa indipendenza ai diritti politici, sacrificavano il

meno per ottenere il più; mentre facendo lo stesso noi daremmo il più

per ottenere il meno.

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B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi

paragonata a quella dei moderni (1819)

Il fine degli antichi era la divisione del potere

sociale fra tutti i cittadini di una stessa patria: era

questa che essi chiamavano libertà. Il fine dei

moderni è la sicurezza dei godimenti privati; ed

essi chiamano libertà le garanzie accordate dalle

istituzioni questi godimenti…

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Lezione n. 30

II SEMESTRE

A.A. 2017-2018

STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHEDocente Prof. Scuccimarra

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G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito

(1806-7), Prefazione:

…Secondo il mio modo di vedere che dovrà giustificarsi soltanto

mercé l’esposizione del sistema stesso, tutto dipende

dall’intendere e dall’esprimere il vero non come sostanza, ma

altrettanto decisamente come soggetto (…), ciò che è poi lo stesso,

è l’essere che in verità è effettuale, ma soltanto in quanto la

sostanza è il movimento del porre se stesso, o in quanto essa è la

mediazione del divenir-altro-da-sé con se stesso (…). Il vero è il

divenire di se stesso, il circolo che presuppone e ha all’inizio la

propria fine come proprio fine, e che solo mediante l’attuazione e

la propria fine è effettuale.

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G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito

(1806-7), Prefazione:

(…) Il vero è l’intero. Ma l’intero è soltanto

l’essenza che si completa mediante il suo

sviluppo. Dell’Assoluto si deve dire che esso è

essenzialmente risultato, che solo alla fine è ciò

che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua

natura, nell’essere effettualità, soggetto o divenir-

se-stesso.

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G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito

(1806-7), Prefazione:

(…) Che il vero sia effettuale solo come sistema,

o che la sostanza sia essenzialmente Soggetto, ciò

è espresso in quella rappresentazione che enuncia

l’Assoluto come Spirito – elevatissimo concetto

appartenente all’Età moderna e alla sua religione.

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G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche

in compendio (1817):

Aufheben ha nella lingua un doppio senso: quello di conservare e

quello di far cessare, di porre un termine. Conservare ha

d’altronde un significato negativo, cioè per conservare qualcosa

bisogna che gli si tolga la sua immediatezza, che gli si sopprima la

sua esistenza, così che essa è sottomessa alle condizioni esterne.

In questo modo ciò che viene soppresso è nello stesso tempo

conservato, avendo perso solo la sua esistenza immediata, senza

essere per questo annientato. Sul piano semantico, le due

determinazioni di aufheben possono essere considerate significati

della stessa parola. E’ sorprendente che una lingua sia giunta a

usare una sola parola per due significati opposti.

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G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche

in compendio (1817):

(…) Una cosa è soppressa (superata) nella

misura in cui essa è realizzata in unità con il

suo opposto: in questa determinazione, la

Cosa superata appare come riflessa e può

essere designata come «momento»…

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G.W.F. Hegel, Scienza della logica (1812-16):

(…) La contraddizione (…) è la radice di ogni movimento e

vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un’attività, solo in

quanto ha in se stesso una contraddizione. (…) La comune

esperienza riconosce che si dà una quantità di cose

contraddittorie, di contraddittorie disposizioni, ecc., la cui

contraddizione non sta semplicemente in una riflessione esteriore,

ma in loro stesse. E la contraddizione non è poi da prendere

semplicemente come un’anomalia che si mostri solo qua e là, ma è

il negativo nella sua determinazione essenziale, il principio di ogni

muoversi, muoversi che non consiste se non in un esplicarsi e

mostrarsi della contraddizione…

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Il sistema filosofico di Hegel:

Logica Idea in sé e per sé=

Puro pensiero (tesi)

Filosofia della natura Idea fuori di sé=

Natura (antitesi)

Filosofia dello spirito Idea che ritorna in sé=

Spirito (sintesi)

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Il sistema filosofico di Hegel:

Logica Dottrina dell’essere

Dottrina dell’essenza

Dottrina del concetto

Filosofia della natura Meccanica

Fisica

Organica

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Il sistema filosofico di Hegel:

Filosofia dello Spirito

Spirito soggettivo Antropologia

Fenomenologia

Psicologia

Spirito oggettivo Diritto

Moralità

Eticità

Spirito assoluto Arte

Religione

Filosofia

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Il sistema filosofico di Hegel:

Famiglia

Eticità Società civile

Stato

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G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto (1821):

Lo Stato non esiste per i cittadini: si potrebbe dire

che esso è il fine, e quelli sono i suoi strumenti.

Peraltro tale rapporto generale di fine a mezzo

non è in questo caso adeguato. Lo Stato non è

infatti una realtà astratta che si contrapponga ai

cittadini; bensì essi sono momento come nella

vita organica, in cui nessun membro è fine e

nessuno è mezzo, (§ 258 A)

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G.W.F. Hegel, Epistolario:

Gli avvenimenti più universali (…) mi suscitano le più universali

considerazioni, che mi riportano nella sfera del pensiero i particolari singoli

e prossimi, per quanto questi possano interessare il sentimento. Io considero

che lo Spirito del mondo ha dato al tempo la parola d’ordine di avanzare;

un tale comando è obbedito; questo essere si avanza irresistibile come una

falange corazzata, in ordine chiuso, e con il movimento impercettibile del

sole, attraverso ogni ostacolo; innumerevoli truppe leggere si muovono

nell’uno e nell’altro senso, e la maggior parte di esse non sa neppure di che

si tratta e non fa che incassare colpi che provengono come da una mano

invisibile. Tutte le millanterie temporeggiatrici (…) a nulla servono; (…) Il

partito più sicuro (interiormente ed esteriormente) è quello di osservare

questo gigante che si avanza

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G.W.F. Hegel, Lezioni di filosofia della storia:

La bandiera dello spirito libero (…) è la bandiera sotto cui

serviamo e che teniamo alta. Il tempo, da allora fino a noi,

non ha avuto e non ha altra opera da compiere all’infuori di

quella di incorporare questo principio nel mondo (IV, 151)

…Sembra che allo spirito del mondo sia ora riuscito di

sbarazzarsi da ogni essenza estranea e oggettiva, e di

cogliersi infine come Spirito assoluto, di generare da sé ciò

che gli diviene oggettivo e, comportandosi con calma, di

tenerlo in suo potere.

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G.W.F. Hegel, Lezioni di filosofia della storia:

…Sin qui è giunto lo spirito del mondo. L’ultima

filosofia è il risultato di tutte le precedenti; nulla

è perduto, tutti i principi sono conservati. Questa

idea concreta è il risultato degli sforzi dello

spirito attraverso quasi 2500 anni (…) del suo più

serio lavoro per diventare oggettivo a se stesso e

per conoscersi: Tantae molis erat se ipsam

cognoscere mentem (parafrasi virgiliana).

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G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione:

La filosofia, poiché è lo scandaglio del razionale,

appunto per ciò è l’apprendimento di ciò ch’è presente e

reale, non la costruzione di un al di là, che sa Dio dove

dovrebbe essere, - o del quale di fatto si sa ben dire

dov’è, cioè nell’errore di un vuoto, unilaterale

raziocinare…

Ciò che è razionale è reale:

e ciò che è reale è razionale.

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G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione:

Quel che importa allora è conoscere, nella parvenza di ciò

ch’è temporale e transeunte, la sostanza che è immanente

e l’eterno che è presente. Poiché il razionale, che è

sinonimo dell’idea, allorché esso nella sua realtà entra in pari

tempo nell’esistenza esterna, vien fuori in un’infinita

ricchezza di forme, fenomeni e configurazioni, e circonda il

suo nucleo con la scorza variopinta nella quale la coscienza

dapprima dimora, che soltanto il concetto trapassa, per

trovare il polso interno e pur nelle configurazioni esterne

sentirlo ancora battere…

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G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione:

…Così, dunque, questo trattato, in quanto contiene la

scienza dello Stato, dev’essere null’altro, se non il

tentativo d’intendere e presentare lo Stato come cosa

razionale in sé. In quanto scritto filosofico, esso deve

restare molto lontano dal dover costruire uno Stato come

dev’essere; l’ammaestramento che può trovarsi in esso

non può giungere a insegnare allo Stato come deve

essere, ma, piuttosto, in quale modo esso deve esser

riconosciuto come universo etico.

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G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione:

…Intendere ciò che è, è il compito della filosofia,

poiché ciò che è, è la ragione. Del resto, per quel che

si riferisce all’individuo, ciascuno è, senz’altro,

figlio del suo tempo; e anche la filosofia è il proprio

tempo appreso col pensiero. E’ altrettanto folle

pensare che una qualche filosofia precorra il suo

mondo attuale, quanto che ogni individuo si lasci

indietro il suo tempo, e salti oltre…

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G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione:

Ciò che sta tra la ragione come spirito autocosciente, e la ragione come

realtà presente, ciò che differenzia quella ragione da questa ed in essa

non lascia trovare l’appagamento, è l’impaccio di qualche astrazione,

che non si è liberata, e non si è fatta concetto. Riconoscere la ragione

come la rosa, nella croce del presente, e quindi godere di questa – tale

riconoscimento razionale è la riconciliazione con la realtà, che la

filosofia consente a quelli, i quali hanno avvertito, una volta, l’interna

esigenza di comprendere e di mantenere, appunto, la libertà soggettiva

in ciò che è sostanziale, e al modo stesso, di stare nella libertà

soggettiva, non come in qualcosa di individuale e di accidentale, ma in

qualcosa che è in sé e per sé

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G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione:

(…) Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev’essere

il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del

mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha

compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta. Questo, che il

concetto insegna, la storia mostra, appunto, necessario: che, cioè, prima

l’ideale appare di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso

costruisce questo mondo medesimo, colto nella sostanza di esso, in

forma di regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro,

allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro, esso non si

lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia

il suo volo sul far del crepuscolo.

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Lezione n. 31

II SEMESTRE

A.A. 2017-2018

STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHEDocente Prof. Scuccimarra

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K. Marx, Tesi su Feuerbach:

Undicesima tesi

I filosofi hanno solo interpretato il

mondo in modi diversi; si tratta però

di mutarlo.

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K. Marx, L’ideologia tedesca

I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non

sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può

astrarre solo nell’immaginazione. Essi sono gli individui

reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di

vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti

quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Questi

presupposti sono dunque constatabili per via puramente

empirica.

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K. Marx, L’ideologia tedesca

Il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l’esistenza di individui

umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque l’organizzazione fisica

di questi individui e il loro rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura.

Qui naturalmente non possiamo addentrarci nell’esame né della costituzione fisica

dell’uomo stesso, né delle condizioni naturali trovate dagli uomini, come le

condizioni geologiche, oro-idrografiche, climatiche, e così via. Ogni storiografia

deve prendere le mosse da queste basi naturali e dalle modifiche da esse subite nel

corso della storia per l’azione degli uomini.

Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione,

per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché

cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è

condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di

sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale.

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K. Marx, L’ideologia tedesca

Il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di sussistenza dipende

prima di tutto dalla natura dei mezzi di sussistenza che essi trovano e

che debbono riprodurre. Questo modo di produzione non si deve

giudicare solo in quanto è la riproduzione dell’esistenza fisica degli

individui; anzi, esso è già un modo determinata dell’attività di questi

individui, un modo determinato di estrinsecare la loro vita, un modo di

vita determinato. Come gli individui esternano la loro vita, così essi

sono. Ciò che essi sono coincide dunque con la loro produzione,

tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. Ciò

che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali

della loro produzione.

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K. Marx

Il compito della storia, una volta scomparso l’al di là della

verità, consiste quindi nello stabilire la verità dell’al di

qua. Compito della filosofia, che è al servizio della storia, è

lo smascheramento, dopo che la figura sacra

dell’estraneazione dell’uomo è già stata smascherata,

dell’autoestraneazione dell’uomo nelle figure non-sacre.

La critica del cielo si trasforma quindi nella critica della

terra, la critica della religione nella critica del diritto, la

critica della teologia nella critica della politica.

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K. Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843)

Il lato più profondo di Hegel sta nel fatto di

aver sentito come un contrasto la

separazione della società civile da quella

politica. Negativo è peraltro il fatto che egli

si accontenti di avere apparentemente

dissolto questo contrasto.

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K. Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843)

Per comportarsi quindi come un vero cittadino dello Stato, per

acquistare importanza ed efficacia politiche, egli deve uscire dalla sua

realtà civile, deve astrarsene e rientrare nella propria individualità,

abbandonando tutta questa organizzazione; l’unica esistenza infatti che

egli trova, per essere cittadino dello Stato, è la sua individualità nuda e

cruda, poiché l’esistenza dello Stato in quanto governo può fare a meno

dell’individuo, e la sua esistenza nella società civile prescinde da quella

dello Stato. Egli può essere cittadino dello Stato solo come individuo, e

in contrasto con queste uniche comunità sussistenti. La sua esistenza

come cittadino dello Stato è un’esistenza estranea alla sua esistenza

come uomo sociale, è cioè un’esistenza puramente individuale.

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K. Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843)

I droits de l’homme, cioè i diritti dell’uomo, sono come tali

distinti dai droits du citoyen, cioè dai diritti del cittadino. Ma

chi è l’homme distinto dal citoyen? Nessun altro fuorché il

membro della società borghese. Perché dunque il membro

della società borghese diventa un uomo, l’uomo

semplicemente, è perché i suoi diritti sono chiamati diritti

dell’uomo? Come ci spieghiamo questo fatto? Certo in base

al rapporto tra Stato politico e società borghese, cioè in base

alla natura dell’emancipazione (soltanto) politica.

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K. Marx, La questione ebraica (1844)

Lo Stato politico perfetto è per sua essenza la vita generica dell’uomo in

quanto specie, in opposizione alla sua vita materiale. Tutti i presupposti

di questa vita egoistica continuano a sussistere al di fuori della sfera

dello Stato, nella società borghese, ma come caratteristiche della società

civile. Là dove lo Stato politico ha raggiunto il suo vero sviluppo,

l’uomo conduce non soltanto nel pensiero, nella coscienza, ma nella

realtà, una doppia vita, una celeste e una terrena, la vita nella comunità

politica nella quale egli si considera come ente comunitario, e la vita

nella società borghese nella quale agisce come uomo privato, che

considera gli altri uomini come mezzi, degrada se stesso a mezzo e

diviene trastullo di forze estranee…

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K. Marx, La questione ebraica (1844)

Lo Stato politico si rapporta alla società civile nel modo

spiritualistico con cui il cielo si rapporta alla terra. Rispetto ad essa si

trova nel medesimo contrasto, e la sovrasta nel medesimo modo in

cui la religione sovrasta la limitatezza del mondo profano, cioè

dovendo insieme riconoscerla restaurarla e lasciarsi da essa

dominare. Nella sua realtà più immediata, nella società civile, l’uomo

è un essere profano. Qui, dove per sé e per gli altri vale come

individuo reale, egli è un fenomeno non vero. Viceversa, nello Stato,

dove l’uomo vale come ente generico, egli è il membro immaginario

di una sovranità immaginaria, è spogliato della sua reale vita

individuale e riempito di una universalità irreale…

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Per la critica dell’economia politica (1859):

Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in

rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in

rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di

sviluppo delle loro forze produttive materiali. (…) A un dato punto

del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano

in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i

rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica)

dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti,

da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro

catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il

cambiamento della base economica si sconvolge più o meno

rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.

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Per la critica dell’economia politica (1859):

(…) Una formazione sociale non perisce finché non si siano

sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e

superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che

siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali

della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non

quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose

dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le

condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno

sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico,

antico, feudale e borghese moderno possono essere designati

come epoche che marcano il progresso della formazione

economica della società.

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Il Capitale:

Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano

e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la

massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione,

dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che

sempre più s’ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso

meccanismo del processo di produzione capitalistico. Il monopolio del capitale

diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato insieme ad esso e

sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione

del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro

involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della

proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati. (…) La

produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttibilità di un processo

naturale, la propria negazione. E’ la negazione della negazione.

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K. Marx, L’ideologia tedesca:

Il comunismo per noi non è uno stato di

cose che debba essere instaurato, un ideale

al quale la realtà dovrà conformarsi.

Chiamiamo comunismo il movimento reale

che abolisce lo stato di cose presente. Le

condizioni di questo movimento risultano

dal presupposto ora esistente.

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Lezione n. 32

II SEMESTRE

A.A. 2017-2018

STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHEDocente Prof. Scuccimarra

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A. De Tocqueville, La democrazia in America

Il graduale sviluppo dell’uguaglianza delle condizioni è (…) un

fatto provvidenziale; e ne ha i caratteri essenziali: è universale,

duraturo, si sottrae ogni giorno alla potenza dell’uomo; tutti gli

avvenimenti, come anche tutti gli uomini, ne favoriscono lo

sviluppo. Sarebbe quindi saggio credere che un movimento

sociale, che ha così lontane origini, potrà essere arrestato dagli

sforzi di una generazione? C’è forse qualcuno che può pensare

che la democrazia, dopo aver distrutto il feudalesimo e aver vinto

i Re, indietreggerà poi davanti ai borghesi e ai ricchi? E’ possibile

che si arresti proprio ora che è divenuta tanto forte e i suoi

avversari tanto deboli?

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A. De Tocqueville, La democrazia in America

(…) Ecco che i ranghi si confondono, che le

barriere innalzate tra gli uomini si abbassano; si

dividono le proprietà, si divide il potere, la civiltà

si diffonde, le intelligenze si uguagliano;

l’assetto sociale diviene democratico e l’impero

della democrazia si stabilisce infine facilmente

nelle istituzioni e nei costumi.

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A. De Tocqueville, La democrazia in America

E’ nell’essenza stessa dei governi

democratici che il dominio della

maggioranza sia assoluto; poiché, fuori

della maggioranza, nelle democrazie, non

vi è nulla che resista…

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A. De Tocqueville, La democrazia in America

I principi avevano, per così dire, materializzato la

violenza; le repubbliche democratiche dei nostri giorni

l’hanno resa del tutto spirituale, come la volontà umana

che essa vuole costringere. Sotto il governo assoluto di

uno solo, il dispotismo, per arrivare all’anima, colpiva

grossolanamente il corpo; e l’anima, sfuggendo a quei

colpi, s’elevava gloriosa al di sopra di esso; ma nelle

repubbliche democratiche, la tirannide non procede

affatto in questo modo: essa trascura il corpo e va diritta

all’anima.

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A. De Tocqueville, La democrazia in America

Individualismo è un termine recente, originato da un’idea

nuova. I nostri padri non conoscevano che l’egoismo.

L’egoismo è un amore spassionato e sfrenato di se stessi,

che porta l’uomo a riferire tutto soltanto a se stesso, e a

preferire sé a tutto. L’individualismo è un sentimento

ponderato e tranquillo, che spinge ogni singolo ad

appartarsi dalla massa dei suoi simili e a tenersi in disparte

con la sua famiglia e i suoi amici; cosicché, dopo essersi

creato una piccola società per conto proprio, abbandona

volentieri la grande società a se stessa.

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A. De Tocqueville, La democrazia in America

Immagino sotto quali nuovi aspetti il dispotismo potrebbe

prodursi nel mondo: vedo una folla innumerevole di uomini

simili ed uguali che non fanno che ruotare su se stessi, per

procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro

animo. Ciascuno di questi uomini vive per conto suo ed è

come estraneo al destino di tutti gli altri: i figli e gli amici

costituiscono per lui tutta la razza umana; quanto al resto dei

concittadini, egli vive al loro fianco ma non li vede; li tocca

ma non li sente; non esiste che in se stesso e per se stesso, e

se ancora possiede una famiglia, si può dire per lo meno che

non ha più patria.

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A. De Tocqueville, La democrazia in America

Al di sopra di costoro si erge un potere immenso e tutelare, che si

incarica di assicurare loro il godimento dei beni e di vegliare sulla loro

sorte. E’ assoluto, minuzioso, sistematico, previdente e mite.

Assomiglierebbe all’autorità paterna se, come questa, avesse lo scopo di

preparare l’uomo all’età virile, mentre non cerca che di arrestarlo

irrevocabilmente all’infanzia; è contento che i cittadini si svaghino,

purché non pensino che a svagarsi. Lavora volentieri alla loro felicità,

ma vuole esserne il solo agente ed il solo arbitro; provvede alla loro

sicurezza, prevede e garantisce i loro bisogni, facilita i loro piaceri,

guida i loro affari principali, dirige la loro industria, regola le loro

successioni, spartisce le loro eredità; perché non dovrebbe levare loro

totalmente il fastidio di pensare e la fatica di vivere?

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A. De Tocqueville, La democrazia in America

E’ così che giorno dopo giorno esso rende sempre

meno utile e sempre più raro l’impiego del libero

arbitrio, restringe in uno spazio sempre più

angusto l’azione della volontà e toglie poco alla

volta a ogni cittadino addirittura la disponibilità

di se stesso. L’uguaglianza ha preparato gli

uomini a tutto questo: li ha disposti a sopportarlo

e spesso anche a considerarlo come un vantaggio

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A. De Tocqueville, La democrazia in America

Le nazioni moderne non possono evitare che le

condizioni diventino uguali; ma dipende da loro

che l’uguaglianza le porti alla schiavitù o alla

libertà, alla civiltà o alla barbarie, alla prosperità

o alla miseria.

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J. Stuart Mill, On Liberty

Il solo scopo per il quale si può legittimamente

esercitare un potere su un qualunque membro di

una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è

quello di impedirgli di nuocere agli altri. Il bene,

fisico o morale, di questo individuo non è una

giustificazione sufficiente.

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J. Stuart Mill, On Liberty

…Vi è una sfera d'azione in cui la società, in quanto distinta

dall'individuo, ha, tutt’al più, soltanto un interesse indiretto: essa

comprende tutta quella parte della vita e del comportamento di un

uomo che riguarda soltanto lui , o se riguarda anche altri, solo con

il loro libero consenso e partecipazione, volontariamente espressi

e non ottenuti con l’inganno. (…) Questa, quindi, è la regione

propria della libertà umana. Comprende, innanzitutto, la sfera

della coscienza interiore, ed esige libertà di coscienza nel suo

senso piu ampio, libertà di pensiero e sentimento, assoIuta libertà

di opinione in tutti i campi, pratico o speculativo, scientifico,

morale, o teologico…

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J. Stuart Mill, On Liberty

…In secondo luogo, questo principio richiede la libertà di gusti e

occupazioni, di modellare il piano della nostra vita secondo il

nostro carattere, di agire come vogliamo, con tutte le possibili

conseguenze, senza essere ostacolati dai nostri simili, purché le

nostre azioni non li danneggino, anche se considerano il nostro

comportamento stupido, nervoso, o sbagliato. In terzo luogo, da

questa libertà di ciascuno discende, entro gli stessi limiti , quella

di associazione tra individui: la libertà di unirsi per qualunque

scopo che non implichi altrui danno, a condizione che si tratti di

adulti, non costretti con la forza o l 'inganno…

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J. Stuart Mill, On Liberty

…Nessuna società in cui queste libertà non siano rispettate nel

loro complesso è libera, indipendentemente dalla sua forma di

governo; e nessuna in cui non siano assolute e incondizionate è

completamente libera. La sola libertà che meriti questo nome è

quella di perseguire il nostro bene a nostro modo, purché non

cerchiamo di privare gli altri del loro o li ostacoliamo nella loro

ricerca. Ciascuno è l'unico autentico guardiano della propria

salute, sia fisica sia mentale e spirituale. Gli uomini traggono

maggior vantaggio dal permettere a ciascuno di vivere come gli

sembra meglio che dal costringerlo a vivere come sembra meglio

agli altri.

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J. Stuart Mill, On Liberty

Il male più temibile non è il violento conflitto tra parti diverse della

verità , ma la silenziosa soppressione di una sua metà; finché la gente

è costretta ad ascoltare le due opinioni opposte c'è sempre speranza ;

è quando ne ascolta una sola che gli errori si cristallizzano in

pregiudizi, e la verità stessa cessa di avere effetto perché l’

esagerazione la rende falsa. E poiché poche qualità mentali sono più

rare della facoltà che permette di giudicare intelligentemente tra due

visioni contrapposte di una questione, di cui una sola ha un

difensore, le probabilità di vittoria della verità sono proporzionali

alla misura in cui ciascun suo aspetto, ciascuna opinione che ne

esprima una pur minima parte, non solo trova chi la difende, ma

viene attivamente difesa e ascoltata.

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J. Stuart Mill, Considerations on

Representative Government (1861)

Una democrazia rappresentativa può andare incontro a due pericoli. Il primo

deriva da un mediocre livello intellettuale del corpo rappresentativo e

dell’opinione pubblica che dovrebbe controllarlo. Il secondo pericolo

scaturisce da una legislazione di classe imposta da una maggioranza

numerica che appartiene a una sola classe sociale. Senza intaccare i benefici

concesso a un governo democratico, bisogna appurare fino a che punto è

possibile organizzare la democrazia cercando di estirpare i due grandi mali

che la affliggono, o almeno preoccupandosi di diminuirli per quel che è

possibile.

Di solito l’obiettivo viene perseguito ricorrendo a un suffragio più o meno

ristretto che attenua il carattere democratico della rappresentanza. Però

questa restrizione si rivela tutt’altro che efficace. Quando la maggioranza

appartiene a una sola classe, la democrazia presenta i suoi tipici risvolti

negativi…

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J. Stuart Mill, Considerations on

Representative Government (1861)

In una democrazia in cui i cittadini sono eguali ogni parte dovrebbe

raccogliere una rappresentanza proporzionale alla sua reale forza. La

maggioranza degli elettori dovrebbe accaparrarsi sempre la

maggioranza di deputati. La minoranza di elettori dovrebbe esprimere

sempre la minoranza di parlamentari. Uomo per uomo, la minoranza

deve essere rappresentata per intero così come accade per la

maggioranza. Se questo manca il governo non postula l’eguaglianza

ma il privilegio e l’ineguaglianza. Una parte della società domina sul

resto. Alla minoranza è negata l’influenza cui avrebbe diritto nella

rappresentanza. Questo avviene in contrasto con ogni idea di giustizia

e soprattutto violando il principio democratico che reclama

l’eguaglianza quale radice e fondamento della politica.

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J. Stuart Mill, Considerations on

Representative Government (1861)

La civiltà moderna e il governo rappresentativo tendono naturalmente

a scivolare nel piano inclinato della mediocrità. Le esclusioni legate al

diritto elettorale accrescono questa tendenza Il loro effetto è infatti

quello di attribuire il potere a persone incapaci e inferiori a quelle

provviste di cultura. Cert gli ingegni superiori sono quantitativamente

pochi. E’ comunque importante che anche la loro voce venga

ascoltata. E’ falsa una democrazia che non dà rappresentanza a tutti

ma solo alle maggioranze locali e cancella dal parlamento ogni spazio

riservato alla minoranza colta del paese. (…) Le attuali democrazie

andranno incontro alla sicura rovina se non si mostrano in grado di

attivare quella funzione sociale che potremmo chiamare

dell’antagonismo e che spetta alle minoranz colte…