Storia Delle Codificazioni PARTE II

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SommarioLunificazione del diritto penale in Italia ........................................................................................ 2 I codici penali preunitari .................................................................................................................. 2 I lavori preparatori ........................................................................................................................... 6 Il codice Zanardelli e il contributo della scienza giuridica: scuola classica e scuola positiva ..... 9 Il fascismo e la prima fase dei lavori di codificazione ................................................................... 13 I codici del 1930 ................................................................................................................................ 14 Il codice penale .............................................................................................................................. 14 Il codice di procedura penale ......................................................................................................... 17 I lavori preparatori del codice civile. Primi progetti .................................................................... 19 Lultima fase dei lavori (anni 1940-1942) ...................................................................................... 21 Il codice civile del 1942. Strutture e contenuti............................................................................... 23 Persone e famiglia ...................................................................................................................... 24 Successioni ................................................................................................................................. 26 Propriet ..................................................................................................................................... 26 Obbligazioni ............................................................................................................................... 27 Impresa e lavoro ......................................................................................................................... 27 Tutela dei diritti .......................................................................................................................... 27 Le modifiche di et repubblicana: il diritto di famiglia ................................................................. 28 La codificazione in et repubblicana: quali prospettive per il futuro ? ...................................... 30

Lunificazione del diritto penale in Italia Si possono individuare, anche nellunificazione del diritto penale come per il civile, alcune tappe essenziali. Un momento significativo e un punto di osservazione importante, a partire dal quale possiamo cogliere levoluzione che, anche in materia penale come sul piano civile, ebbe la legislazione italiana nel corso del XIX secolo e limpatto che questo diritto ebbe anche sulla societ, pu essere individuato proprio nellunit politica faticosamente raggiunta dal Paese, con la conseguente questione dellunificazione legislativa. Partendo da quel momento storicamente cos importante potremo dare uno sguardo indietro, alle esperienze degli Stati preunitari e ai vari testi e codici che in essi erano stati elaborati. Potremo poi vedere i lavori, lunghi e complessi, per la redazione di un codice penale unitario, evidenziando quali problemi si ponevano e come vennero risolti. Infine daremo qualche indicazione sul codice penale del 1889, sulla sua struttura ed impostazione, ed un breve cenno segnaler da ultimo i problemi sopraggiunti in fase di applicazione, i dibattiti e gli scontri rimasti aperti nella dottrina penalistica.

I codici penali preunitari Come abbiamo visto, la tesi accolta dalla maggioranza degli storici quella della sostanziale omogeneit del sistema normativo in Italia al momento dellunit; elemento unificante di eccezionale portata era stata infatti, allinizio del XIX secolo, la codificazione napoleonica che aveva rappresentato un modello anche per la legislazione della Restaurazione. Questo aspetto si riscontra non soltanto nella materia civile ma, in buona sostanza, anche in quella penale e processuale poich i principi fondamentali fissati nei testi francesi erano stati recepiti integralmente o in parte e, quandanche le norme avevano soluzioni diverse, la dottrina, con il suo tecnicismo esegetico, e la giurisprudenza, con lo stile delle sue sentenze, avevano operato pi o meno consciamente nel dare un senso di affinit ai diritti interpretati, contribuendo allunificazione della vita giudiziaria nazionale anche nel pi delicato settore penalistico. Nonostante queste premesse, tuttavia, un fatto che lunificazione legislativa penale si presenta impresa tuttaltro che lineare ed agevole. Per comprendere queste difficolt occorre allora uno sguardo pi attento alla situazione preesistente, nella quale vi sono infatti anche esperienze diverse e molto significative. Al momento dellunificazione politica sono vigenti in Italia ben 7 codici penali: il codice per lo Regno delle Due Sicilie del 1819

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il codice parmense del 1820 il codice albertino del 1839 in Piemonte il codice austriaco in Lombardia e nel Veneto: questo testo era stato emanato nel

1852, sostituendo il precedente codice penale austriaco, il primo applicato anche nei territori italiani, che risaliva al 1803 e che era stato applicato, dopo quello napoleonico del 1810, tra il 1816 e appunto il 1852 il codice toscano del 1853 nel Granducato il codice estense del 1855 nel Ducato di Modena infine vi era il Regolamento dei delitti e delle pene, del 1831, nello Stato Pontificio:

bench non ne avesse il nome, era in concreto un vero e proprio codice. Nel loro complesso, questi testi, come gi era avvenuto per la materia civile, si ispirano ampiamente a quello napoleonico del 1810, anche se i giuristi pi liberali lavevano criticato per la severit delle pene, il carattere intimidatorio, la scarsa sensibilit agli elementi soggettivi. Pur con questi limiti, legati certamente alle caratteristiche e alle esigenze del potere statale forte voluto da Napoleone, il suo testo era spesso reputato anche dai giuristi, almeno in alcuni ambienti, superiore a quello austriaco del 1803. In realt la convinzione che il testo francese fosse migliore stata da tempo rimessa in discussione da alcuni studi storici che hanno anche mostrato come gli stessi avvocati e giuristi lombardi e veneti, che applicavano il codice austriaco, lo avessero salutato con grande favore e, al momento dellunificazione, spesso ne difendano le soluzioni originali e tecnicamente riuscite. Resta vero per che il modello francese continua ad esercitare, in Italia, maggiore influenza, per cui neppure in ambito penale il codice austriaco viene preso a modello dagli altri testi preunitari degli anni 20 e 30 dell 800, forse anche perch esso si fondava ancora sulla tradizione assolutistica di Giuseppe II del 1787 ed era quindi giudicato troppo repressivo, bench rispettoso, sul piano formale, del principio di legalit. In realt molti di questi aspetti avevano poi subito radicali modifiche nel 1852, ma rimaneva una differente impostazione: abbondavano le definizioni e distinzioni teoriche e dottrinali e vi era un maggior numero di articoli rispetto al testo francese (532 contro 483), articoli che spesso erano lunghi e prolissi. Il codice austriaco era, insomma, anche in ambito penale, un codice profondamente diverso e rappresentava, rispetto a quello francese, un modello contrapposto. I vari codici penali preunitari seguono quindi la linea francese, anche se alcuni di essi apportano dei cambiamenti di struttura: il codice penale del 1810 aveva un titolo preliminare e 4 libri, 2 di parte generale, 1 sui reati e 1 sulle contravvenzioni. A Parma e in Piemonte si sceglie invece di concentrare la parte generale

in un solo libro, dando cos una migliore visione sintetica. Il codice albertino inoltre riduce molto anche il libro sulle contravvenzioni. Al di l dei contenuti specifici, che potevano avere qualche variazione in relazione alle situazioni particolari, in sintesi estrema si pu osservare che: a) b) i difetti che comunemente si imputano a questi codici sono: il carattere ancora affittivo e infamante delle pene, spesso molto dure il limite eccessivo dato al potere discrezionale del giudice

c) la forte tutela soprattutto per lassetto sociale e di potere, a danno delle categorie pi deboli gli aspetti positivi, comunque prevalenti, sono invece soprattutto: a) laver bloccato con la loro stessa esistenza ogni ritorno allancien rgime b) laver obbligato la scienza giuridica a un maggior realismo e ad una maggiore aderenza alle problematiche normative, ancorandola ad un testo (esegesi) ed evitando cos eccessi di astrazione c) laver mantenuto saldo il legame tra diritto privato e legislazione penale, considerato

essenziale per la tutela di propriet, obbligazioni e altri diritti soggettivi e quindi per far sviluppare leconomia di mercato. Su uno di questi codici redatti e vigenti nei vari Stati italiani del XIX secolo dobbiamo per fermarci un po con una maggiore attenzione, perch si tratta di un testo originale rispetto agli altri, da molti punti di vista, ed anche molto progredito e innovativo. Si tratta del codice emanato nel Granducato di Toscana nel 1853. Questo codice spicca realmente rispetto agli altri per la novit di molte delle scelte normative adottate, che mostrano una pi approfondita visione del reato e della pena e una repressione assai pi mite ed equilibrata. Dal punto di vista strutturale, in esso scompare, per esempio la distinzione tradizionale dei comportamenti illeciti in crimini, delitti e contravvenzioni, ma si parla semplicemente di delitti. C grande attenzione soprattutto a curare le nozioni della parte generale, in particolare lelemento soggettivo del reato e le circostanze di esclusione del reato. Vi per un altro aspetto che rende questo testo pi progredito degli altri e lo pone, anche al momento dellunit, come un modello alternativo: la concezione delle pene. Fin dalla sua impostazione, esso prevede pene molto pi lievi, proprio perch concepisce la pena anche come mezzo di emenda del reo.

Inoltre, se per i primi anni vi era contemplata ancora la pena di morte, peraltro mai applicata e inserita a puro scopo intimidatorio, per alcuni gravissimi delitti, nel momento dellannessione allItalia, subito dopo la cacciata dei Lorena nel 1860, la si ABOLISCE totalmente. Lunico punto su cui questo codice pi arretrato rispetto agli altri testi preunitari quindi la disciplina dei delitti politici e religiosi, che risente ancora del clima assolutistico e che appare piuttosto severa. Nel complesso comunque questo testo spicca, rispetto agli altri, per la sua grande modernit e comunque per la sua diversit. Il quadro dellItalia di met Ottocento che abbiamo cos delineato si arricchisce ulteriormente se si tiene conto del fatto che, nei primi 50 anni del secolo, lattivit codificatoria in Italia era stata ancor pi vivace poich vi si erano elaborati molti altri testi o progetti, entrati in vigore in qualche caso per un certo tempo, o anche mai promulgati ma comunque non privi di qualche influenza. Solo per fare qualche esempio significativo si possono ricordare (oltre ovviamente allo stesso codice penale francese, napoleonico, che come ben sappiamo era stato in vigore anche in Italia insieme agli altri, negli anni della dominazione) altri 5 esempi del lavoro in atto (e molti potranno ancora essere scoperti perch la ricerca in questo senso ancora in corso). 1. In Lombardia, vanno ricordati i progetti ripetutamente elaborati dal gruppo dei giuristi e dirigenti locali, prima che Napoleone imponesse lapplicazione del testo francese; allinizio del XIX secolo vi erano stati infatti ben 3 testi elaborati e discussi, nel 1801 (ancora con levidente influsso dellIlluminismo di Beccaria e Filangieri), nel 1806 (testo molto importante anche perch pubblicato insieme a una cospicua serie di travagli dottrinali e che a sua volta sar il modello per un codice che fu realmente approvato ed entr in vigore, quasi identico a questo progetto, nel Canton Ticino nel 1817) e ancora uno nel 1809. Tutti caratterizzati da aspetti di originalit e nazionalit rispetto al modello francese poi forzatamente imposto. 2. 3. 4. 5. Nellarea toscana un codice per lEtruria era stato vigente per pochi mesi nel 1807. Nello stesso 1807 si era avuto un progetto di Codice Penale nel Ducato di Lucca e nel 1808 uno a Piombino dello stesso 1808 il codice napoletano, che adotta soluzioni anche molto diverse

dalle francesi. Tutte queste esperienze, cui si aggiungono altri progetti ufficiali o redatti privatamente da giuristi e magistrati, possono apparire marginali perch non giunsero in porto o vi giunsero per breve tempo, o riguardano realt locali piccole e periferiche, sono per molto significative perch, al di l delle differenze di quantit e di qualit, vedono impegnata direttamente la dottrina

giuridica italiana che ha avuto il ruolo, non secondario, consistito talvolta nella vera e propria elaborazione dei testi normativi, talaltra soltanto (ma neppure questa una funzione trascurabile) per la loro lettura, assimilazione e valutazione in rapporto alla realt italiana. quello che avvenne, per esempio, in Lombardia, in rapporto ai 3 codici stranieri che vi si applicarono, il Napoleonico nel 1811 e i due austriaci, quello del 1803 (dal 1816) e poi quello del 1852. In effetti non soltanto in Lombardia, ma in tuttItalia fu importante latteggiamento tenuto complessivamente dalla dottrina, in senso favorevole alla codificazione come tale; lo abbiamo visto molto bene per la materia civile, ma il discorso vale allo stesso modo anche per quel che concerne il codice penale. In particolare, infatti, fiorente e autorevole in Italia proprio la scienza del diritto penale. Forti di una tradizione secolare, risalente ai grandi nomi di Tiberio Deciani, Giulio Claro, Prospero Farinacci e, nellimmediato passato, del contributo di Beccaria, Verri e degli altri illuministi; una tradizione dunque che li rende autonomi rispetto agli altri indirizzi europei. Consapevoli della grande rilevanza delle questioni affrontate, i criminalisti italiani sono un punto di riferimento essenziale per tutto il movimento di riforma e modernizzazione della societ; sono autorevoli esponenti della cultura italiana nel senso pi alto e ampio del termine. Negli anni che precedono lUnit i problemi maggiori vengono ai giuristi dal carattere autoritario degli Stati e i temi al centro della loro attenzione sono perci legati allidea di libert in rapporto alla conservazione dellordine sociale; alla riflessione sui limiti del potere di punire; al problema serio dellinquadramento dei delitti politici etc. Proprio per queste ragioni, non sempre si era avuto uno sviluppo scientifico armonico: solo in Toscana vi sono maggiori aperture, altrove vi sono invece ostacoli e censure. Nonostante questo, tuttavia, lo studio del diritto penale rimane spesso la sede privilegiata per un impegno culturale anche sul piano della societ civile, specialmente su alcuni temi decisivi quali appunto labolizione della pena di morte, la proporzionalit della pena, il sistema delle prove etc. Erano problemi gi presenti da tempo ma che continuano ad essere attuali, in correlazione anche con altri, come quelli attinenti alla forma del processo (al funzionamento della giuria), alla questione carceraria, alla magistratura, alla polizia. un impegno che i penalisti italiani manterranno anche negli anni successivi e che ha condotto a definire gli esponenti di questa generazione di giuristi con il termine di penalistica civile.

I lavori preparatori

Questo quindi il ricco e complesso insieme di esperienze legislative e dottrinali cui guardano giuristi e parlamentari italiani allatto di decidere se e per quale via giungere allunificazione legislativa. Ancor pi che in materia civile (dove, come abbiamo visto le tesi pluralistiche, anche se presto accantonate, avevano trovato qualche sostenitore) appare subito enorme la difficolt e al contempo la necessit di unificazione, bench la si fosse subito avviata fin dal 1859/61 con lentrata in vigore, in Lombardia e nelle altre province man mano annesse, del codice penale sardo appunto del 1859. Lapplicazione di quel testo, peraltro, viene immediatamente esclusa per la Toscana, perch balza allocchio, ed convinzione comune tanto dei giuristi quanto degli stessi esponenti del Governo, che il codice toscano troppo diverso e migliore, tanto che non si pu sostituirlo, per chi lo sta gi applicando, con il pi arretrato e pasticciato testo carloalbertino, sia pure aggiustato e in parte migliorato. Proprio la difficolt creata e le contrariet che si erano avute per limposizione del codice sardo desta molte perplessit allidea di proseguire nella sua estensione a tutta lItalia. Il testo piemontese infatti non piace quasi a nessuno, bench come detto sia certamente migliorato rispetto a quello del 1839. In generale il nuovo testo rielaborato nel 1859 prevede pene pi miti. In particolare poi la pena di morte vi prevista in soli 13 casi (i pi gravi omicidi, attentato al re e ai suoi familiari, corruzione di giudici, calunnia o falsa testimonianza con conseguente condanna capitale, incendio doloso o altro, con morte di una o pi persone se si poteva facilmente prevedere). Le attenuanti e la prescrizione sono ammesse per tutti i reati; la disciplina dei reati politici e contro la religione armonizzata con il nuovo clima di libert introdotto dalla carta costituzionale del 1848 e dalle cosiddette Leggi di libert che aprivano a Valdesi, Ebrei e Luterani la strada della pienezza dei diritti etc. Viste le forti obiezioni contro la piemontesizzazione, dunque, gi dal 1860 la Camera avvia la preparazione di un nuovo codice penale pi conforme alle diverse tradizioni. Il problema toscano si rivela per un ostacolo insormontabile, non solo perch quel testo giudicato molto migliore, ma soprattutto perch, come abbiamo visto, non prevede pi la pena di morte. Il problema subito colto dai pensatori pi attenti e cauti; ad esempio lo sottolinea Carlo Cattaneo in un intervento pubblicato nel 1860 sulla celebre rivista Il Politecnico. Il punto-chiave proprio la decisione sulla via da intraprendere: estendere i codici sardi alla Toscana reintroducendo anche qui la pena di morte ma appare un regresso scandaloso e inaccettabile oppure abolirla in tutta Italia, ma vi sono resistenze, timori, la preoccupazione che

sia una scelta troppo avanzata per la situazione sociale complessiva del Paese (preoccupa soprattutto il BRIGANTAGGIO nelle regioni del Sud). Inizialmente si tenta una soluzione di compromesso proponendo, come fa per esempio il ministro Minghetti nel 1862, di estendere il Codice Penale del 1859 anche alla Toscana, ma con delle diminuzioni di pena e riducendo i casi di pena di morte ai delitti definiti atrocissimi non ottiene per alcun seguito. Le discussioni continuano per alcuni anni proprio perch difficile individuare la giusta soluzione di equilibrio. Proprio questa difficolt fa dire perfino a un autorevole giurista come Francesco Carrara che lunificazione impossibile perch vi sono province che esigono una maggiore energia di castighi, la cui sicurezza sarebbe compromessa senza pene severe, e altre pi tranquille dove inasprire le leggi vorrebbe dire far venir meno la giustizia Rimane tuttavia, la sua, comunque una voce isolata. La convinzione comune che, per il bene della Nazione, sia pi che mai necessaria lunit giuridica proprio in materia penale. Il problema appunto come raggiungerla. Per esempio, nel 1864, nellambito della legge delega di cui abbiamo gi parlato per i codici civili e che vale anche per quelli penali, viene approvato un codice di procedura, che crea minori problemi. Qualcuno, in quella sede, propone anche di estendere alla Toscana il codice penale del 59 abolendo in tutto il paese la pena di morte. Su questo punto per lo stesso Governo frena perch una decisione troppo importante per sottrarla alla sua sede naturale. Deve decidere il Parlamento! Stranamente, invece, la commissione della Camera incaricata di esaminare la legge-delega aveva approvato il testo, su questo punto, allunanimit. La questione dellunificazione penale viene portata in assemblea il 24 febbraio 1865: la discussione memorabile! La battaglia si incentra ovviamente soprattutto sulla pena di morte; tra le varie voci prevalgono infine quelle favorevoli alla soppressione. Ben diverso il clima al Senato, dove hanno la meglio i conservatori, per cui liter del progetto viene interrotto. In effetti va detto che i problemi incontrati dal Codice Penale in Parlamento sono il riflesso di gravi questioni sociali: gi nel 1861 linsurrezione meridionale aveva posto il problema di come conciliare le esigenze della sicurezza con le garanzie dello Stato liberale; vi poi una crescente criminalit, soprattutto urbana, di nuovo tipo, che pone problemi di repressione e di polizia e sullefficienza del sistema giudiziario.

Per far fronte a questi gravi problemi di ordine pubblico si era cos dovuta introdurre una legislazione eccezionale di tipo repressivo, che rimane a lungo in vigore, tra le polemiche dei difensori delle garanzie liberali che vi vedono una vera e propria perdita di legalit. Proprio in questi anni difficili ha un ruolo importante un gruppo di grandi intellettuali e giuristi come Carrara, Pessina, Ellero, Buccellati, che si impegnano in vere e proprie battaglie, in Parlamento e fuori, a favore della legalit. In particolare la campagna contro la pena di morte, che negli anni 60 non aveva avuto successo proprio perch la situazione sociale rendeva i tempi non ancora maturi, viene ripresa con nuovo vigore dal grande giurista Luigi Lucchini attraverso le pagine della sua prestigiosissima Rivista penale, fin dalla sua fondazione a met degli anni Settanta. Questa volta i risultati su questo punto sono ben pi concreti; bench infatti non riesca ancora ad andare in porto il progetto di codice penale allesame del Parlamento, il problema della pena di morte viene risolto dallo stesso Governo sul piano dei fatti. Con il favore della grande maggioranza dei deputati, il ministro un altro grandissimo personaggio, Pasquale Stanislao Mancini ordina la sospensione di tutte le esecuzioni a partire dal 1876. Per il codice rimangono tuttavia molte difficolt tecniche e dissensi dividono ancora i giuristi soprattutto in merito al problema delle pene e della loro severit; per arrivare alla fase finale dei lavori preparatori si deve attendere perci il 1883, con un primo progetto proposto dal nuovo ministro, Giuseppe Zanardelli, e poi soprattutto con il secondo dei suoi progetti, presentato nel 1887 e destinato, finalmente, al successo. Il 30 giugno del 1889 approvato il primo codice penale italiano.

Il codice Zanardelli e il contributo della scienza giuridica: scuola classica e scuola positiva

Osservando, rapidamente i suoi tratti distintivi possiamo vedere pienamente rispecchiata, in questo codice, la posizione liberale sostenuta da Zanardelli sul piano politico e, sul piano giuridicoscientifico, le tesi della scuola che in quegli anni venne definita scuola classica del diritto penale. Non si tratta, in realt, propriamente di una scuola, ma di un gruppo di giuristi che, pur avendo orientamenti e sensibilit anche molto diverse, sono per accomunati da alcuni valori di fondo, appunto di tipo liberale. Il codice coglie tutte queste istanze e risulta in effetti assai moderno, dato che prevede: - soppressione della pena di morte - classificazione dei reati solo in due figure: delitti e contravvenzioni

- esclusione dalla categoria dei reati a mezzo stampa, quelli di opinione - limiti minimi e massimi delle pene, ormai chiaramente vista in funzione rieducativa. Conseguentemente il codice contempla: - liberazione condizionale - diminuzione delle pene carcerarie - disciplina equilibrata del tentativo, della recidiva, del cumulo dei reati, tutta improntata a grande mitezza. In tutto, dunque, il codice accoglie le tesi sostenute dalla penalistica classica; esso rappresenta perci, per converso, una decisa sconfitta per la nuova scuola che negli anni 80 si era affacciata tra i giuristi e i criminalisti italiani, la cosiddetta Scuola positiva, che faceva capo alle idee di Cesare Lombroso e di Enrico Ferri. Lombroso, infatti, allindomani dellemanazione del codice, scriver un articolo molto polemico, significativamente intitolato troppo presto! in cui sostiene che lemanazione, appunto troppo precipitosa, del Codice penale ha impedito alla sua scuola di diffondere e far prevalere le sue convinzioni. Lombroso critica labolizione della pena di morte, leccessiva mitezza delle pene, contesta perfino la stessa unicit del codice (per lui ne occorrono almeno 4: Nord, Centro, Sud e isole!). In realt, rispetto alle scelte codicistiche, sono radicalmente diversi i fondamenti stessi su cui la nuova scuola poggia le proprie tesi, che comunque meritano una certa attenzione perch, al di l di alcuni eccessi e persino aberrazioni scientifiche, hanno certamente arricchito e fatto evolvere la scienza penale. In estrema sintesi, i punti cardine del pensiero della Scuola positiva sono incentrati su: 1. 2. 3. 4. 5. il diritto di punire fondato sulla necessit della conservazione sociale il delitto considerato come fenomeno naturale (umano, individuale e sociale) la negazione del libero arbitrio e, conseguentemente la negazione dellimputabilit morale il delinquente protagonista di un complesso di scienze penali (diritto, ma anche

antropologia, sociologia, medicina etc.) 6. 7. 8. 9. pena misurata non sulla responsabilit ma sulla temibilit e conseguente classificazione dei delinquenti secondo una tipologia antropologica ruolo primario della prevenzione rispetto alla repressione richiesta di opportune riforme della procedura penale e dellordinamento giudiziario.

Emblematico del lavorio che porta alla formulazione finale del testo il diverso modo con cui i vari codici preunitari impostavano il problema dellimputabilit e della responsabilit penale e il lungo percorso di elaborazione che porta alle scelte finali fatte su questo punto delicato della parte generale dal legislatore unitario: il codice penale francese napoleonico unisce le 2 ipotesi di pazzia e forza irresistibile come a Parma si aggiunge alla forza esterna laggettivo esterna per escludere gli impulsi che

fattori di esclusione del crimine; vengono dallinterno, dalle passioni della persona; a Modena e negli altri Stati si aggiungono poche varianti; in Toscana invece si distingue il caso della mancanza di intelligenza o ragione da quello in

cui lindividuo agisce in un modo in cui non agirebbe se fosse pienamente libero. una formulazione teoricamente ben pi perfetta, ma che presenta gravi problemi applicativi in connessione con listituto della giuria popolare, come si coglie dai tentativi di aggiustamento dei molti progetti (con aperture e poi ritorni al modello francese). Anche in dottrina vi acceso dibattito, nel tentativo di trovare una norma chiara, comprensibile e al contempo tecnicamente ineccepibile. Zanardalli, infine, a compiere un deciso passo avanti nel suo ultimo progetto, del 1887: al termine imputabile sostituisce punibile, per evitare un concetto troppo filosofico come quello dellimputabilit e, spostando dal piano soggettivo a quello oggettivo, toglie il richiamo alla forza irresistibile, limitando la norma ai soli casi di infermit mentale. Nonostante laspra discussione, con lo scontro tra esponenti della scuola classica e positiva, il testo viene cos approvato.C.P. napoleonico del 1810 (traduzione ufficiale per l'Italia), art. 64: " Non vi ha n crimine n delitto, allorch l'imputato trovavasi in istato di pazzia quando commise l'azione, ovvero se vi fu tratto da una forza alla quale non pot resistere" C. P. per lo Regno delle Due Sicilie del 1819, art. 61: "Non esiste reato, quando colui che lo ha commesso era nello stato di demenza o di furore nel tempo in cui l'azione fu eseguita" art. 62: " Non esiste reato, quando colui che lo ha commesso, vi stato costretto da una forza cui non ha potuto resistere" C.P. per il Ducato di Parma e Piacenza del 1820, art. 62: "Non vanno soggette a pena le trasgressioni della legge, se l'imputato trovavasi, quando commise l'azione, in istato di assoluta imbecillit, di pazzia, o di morboso furore, ovvero se una forza esterna e irresistibile lo spinse all'atto nonostante il dissenso della sua volont" Regolamento su i delitti e sulle pene dello Stato Pontificio del 1832, art. 26: "Non sono da imputarsi a delitto le commissioni ed omissioni contrarie alla legge se seguirono nello stato di pazzia saltuaria nel tempo dell'alienazione di mente, e nel tempo di pazzia continua" C.P. per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, del 1839, art. 99 = C. P. del 1859, art. 94: "Non vi ha reato se l'imputato trovavasi in istato di assoluta imbecillit, di pazzia, o di morboso furore quando commise l'azione, ovvero se vi fu tratto da una forza alla quale non pot resistere"

C.P. austriaco del 1852, (traduzione ufficiale per l'Italia), 2: "Non da imputarsi a crimine l'azione o l'omissione quando l'autore sia totalmente privo dell'uso della ragione, ovvero quando egli sia soggetto a ricorrenti alienazioni mentali, ed abbia commesso il fatto nel tempo in cui durava l'alienazione, o quando il fatto avvenne per forza irresistibile" C.P. per il Ducato di Modena del 1854, art. 55: "Non vi ha delitto, 1. se l'imputato trovavasi in istato di assoluta imbecillit, di pazzia o di morboso furore quando commise l'azione; 2. se vi fu spinto da una forza esterna alla quale non pot resistere" C.P. pel Granducato di Toscana del 1853, art. 34: "Le violazioni della legge penale non sono imputabili, quando chi le commise non ebbe coscienza dei suoi atti e libert d'elezione" progetto del Ministro di Grazia e Giustizia De Falco, del 1873, art. 55: "Non vi reato se l'imputato nel momento in cui commise il fatto, era in istato di infermit di mente che gli tolse la coscienza de' suoi atti o il libero uso della sua volont; ovvero se vi fu costretto da una forza alla quale non pot resistere" progetto presentato alla Camera il 16 febbraio 1877, art. 52: "Non imputabile colui che al momento di commettere l'azione era in istato di follia, o in qualsivoglia stato di mente, che tolga la coscienza di commettere un reato, ovvero vi fu costretto da una forza alla quale non pot resistere" progetto del Ministro Zanardelli, presentato alla Camera il 22 novembre 1887, art. 47: " Non punibile colui che nel momento in cui ha commesso il fatto era in tale stato di deficienza o di morbosa alterazione di mente, da togliergli la coscienza dei propri atti o la possibilit di agire altrimenti. Il giudice pu tuttavia ordinare che sia ricoverato in un manicomio criminale o comune, per rimanervi sino a che l'Autorit competente lo giudichi necessario" C.P. italiano del 1889, art. 46: " Non punibile colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di infermit di mente da togliergli la coscienza o la libert dei proprii atti. Il giudice, nondimeno, ove stimi pericolosa la liberazione dell'imputato prosciolto, ne ordina la consegna all'Autorit competente per i provvedimenti di legge."

Su tutti questi temi il confronto e lo scontro continua tuttavia anche dopo lemanazione del codice, anche perch la sua stessa impostazione liberale viene messa a dura prova da interventi duramente repressivi che seguono ai disordini sociali verificatisi nel 1894 e nuovamente nel 1899 (sono le vicende tristemente note che condurranno al drammatico caso dellordine impartito allesercito di sparare sui manifestanti e che saranno in parte considerati allorigine dello stesso regicidio del 29 luglio 1900). Ad alimentare il dibattito sono comunque soprattutto le contestazioni della scuola positiva che giudica le pene previste dal codice eccessivamente miti, specialmente per i recidivi; contesta la scelta di affidare i soggetti prosciolti per infermit di mente ai manicomi comuni invocando invece listituzione di manicomi criminali appositi etc. A difendere le libert civili e le scelte liberali del codice ancora la dottrina penalistica, che per tutto il XIX secolo conserva le caratteristiche di impegno civile che si sono notate nella fase dei lavori preparatori con il dibattito sulla pena di morte e sulla codificazione.

Con la fine del secolo, tuttavia, questo impegno sembra scemare; i giuristi scelgono un tipo di studio semplicemente tecnico, estraneo ai temi dellattualit e che allontana la dottrina da un approccio critico al diritto vigente, affidandole compiti di mera interpretazione ed elaborazione tecnica, meno rilevante certamente sul piano civile anche se si tratta di aspetti tuttaltro che secondari dal punto di vista dellevoluzione del diritto penale.

Il fascismo e la prima fase dei lavori di codificazione

Sotto la spinta del doppio problema della smobilitazione-unificazione, seguito alla prima guerra mondiale, e mentre la situazione del Paese sta evolvendo molto rapidamente anche sul piano politico, il Governo chiede e riceve dal Parlamento una delega per gli opportuni emendamenti al codice civile, specie nei settori pi toccati dai problemi di cui s detto. Siamo nel 1923, appena dopo lavvento del Fascismo al potere: con la legge-delega si autorizza in particolare la modifica di norme sullassenza, la condizione dei figli illegittimi, i casi di nullit del matrimonio, ladozione, la patria potest, la tutela, trascrizione e prescrizione etc. Viene quindi costituita, nel 1924, una apposita Commissione, con 4 sottocommissioni, per i vari settori. Il punto di riferimento per le materie civilistiche il grande giurista Vittorio Scialoja, della apposita sottocommissione fanno parte per magistrati, professori e di diritto civile e professionisti, ed anche studiosi di estrazione nettamente romanistica, come il Segr e il Bonfante, professori universitari di diritto romano, a conferma dei legami ancora strettissimi esistenti tra civilisti e romanisti, non solo a livello accademico (nelluniversit di allora, spesso agli insegnamenti civilistici approdano ex romanisti), ma proprio di metodo e di mentalit. I lavori iniziano gi nello stesso 1924 ma, dallanno successivo, con lassunzione del Ministero della Giustizia da parte di Alfredo Rocco, lattenzione si sposta nettamente sulla riforma del codice penale e di procedura penale. Nel 1925 viene dunque chiesta ed ottenuta dal Governo una nuova delega appunto relativa alla riformulazione del diritto penale, nella quale peraltro prevista anche la facolt di apportare nuove modificazioni e aggiunte al codice civile; anche i contenuti di questa riforma si fanno dunque assai pi ampi.

I codici del 1930

Il codice penale Abbiamo visto, delineando le caratteristiche salienti del codice Zanardelli, come esso rappresenti quasi per intero la realizzazione di un modello di diritto penale quale quello teorizzato dalla cosiddetta Scuola classica, senza recepire quasi per nulla le idee nuove propugnate invece dalla cosiddetta Scuola Positiva. Non sorprende allora che esso sia subito oggetto di attacchi, talora violenti, da parte dei positivisti, che subito ripropongono la richiesta di una nuova codificazione. Allindomani dellentrata in vigore del codice, infatti, come si ricordato, lo stesso Lombroso scritto il suo vibrato Troppo presto!, in cui sosteneva che lemanazione, appunto troppo precipitosa, del codice, aveva impedito alla sua Scuola di diffondere e far prevalere le sue convinzioni. Dopo lemanazione del codice, dunque, il dibattito si rianima ed arricchisce. Anche il rallentamento dellimpegno civile profuso nel secondo Ottocento dalla dottrina, non elimina, naturalmente, le istanze di riforma del codice vigente, anche perch alcuni istituti originariamente teorizzati solo dai movimenti pi innovatori della politica criminale, sono nel frattempo penetrati anche in molti altri ordinamenti europei ed hanno consolidato i loro elementi fondanti. Un ruolo sempre crescente stanno assumendo anche scienze in qualche misura connesse al diritto penale, come la medicina legale e la criminologia, le scienze sociali e cos via. Un ulteriore fattore di crisi per le codificazioni ottocentesche si verifica nel periodo compreso tra le due Guerre mondiali, in correlazione con i mutamenti politico-istituzionali: la mutata concezione dello Stato e dei suoi rapporti con il cittadino, che accompagna lavvento, non solo in Italia, di regimi di stampo totalitario, esige un diverso diritto penale. Nelle direttive inserite nella legge-delega del 1925 riguardanti il diritto penale emergono chiaramente infatti le nuove idee formulate da Alfredo Rocco, con la collaborazione del fratello Arturo, circa i beni giuridici giudicati meritevoli della tutela penale, ora incentrati sullo Stato e sul suo diritto: la Personalit dello Stato, la pubblica amministrazione, lordine pubblico, leconomia pubblica, lintegrit e la sanit della stirpe etc. Significativamente, tra laltro si realizza di fatto una convergenza su molti punti tra le istanze repressive degli Stati autoritari e alcune idee della Scuola positiva e questo permette talvolta che quelli che erano sostanziali regressi in termini di civilt giuridica potessero essere invece presentati da parte degli interpreti e degli stessi legislatori come scelte innovative e sperimentazioni di pi moderne linee di politica criminale.

In Italia una commissione in verit si era insediata gi prima dellavvento del fascismo, nel 1919, per studiare le modifiche al codice giudicate necessarie: essa era presieduta da un autorevole esponente della Scuola positiva, Enrico Ferri, e non a caso aveva dunque elaborato un progetto di nuova parte generale del codice tutto incentrato sulle idee di questa corrente: il reato concepito come sintomo della pericolosit dellindividuo, lidea di imputabilit sostituita da quella di responsabilit legale, le sanzioni finalizzate alla pi efficace difesa sociale verso i delinquenti pericolosi etc. Il progetto, presentato nel 1921, viene travolto dalle vicende politiche italiane, ma ha ugualmente qualche influsso sulla formulazione successiva. I lavori di codificazione riprendono perci nel 1925 con lavvio della riforma Rocco. La legge-delega, emanata il 25 dicembre (sic!) di quellanno, autorizza il Governo a modificare nel codice penale le disposizioni concernenti il sistema delle pene, gli effetti e lesecuzione delle condanne penali, le cause che escludono e diminuiscono limputabilit, la recidiva, lestinzione dellazione e delle condanne penali e le disposizioni concernenti i singoli reati e le pene ad essi relative, per adeguarle alle nuove esigenze della vita economica e sociale, nonch ad emendare gli articoli del codice stesso che danno luogo a questioni tradizionali o che comunque siano riconosciuti formalmente imperfetti (art. 1). Mentre unapposita commissione ministeriale al lavoro, circa un anno dopo, nel novembre 1926, gli esiti della riforma vengono anticipati in un certo senso da un intervento che ben mostra quale sia la politica penale del regime: con una legge apposita viene istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato e viene reintrodotta la pena di morte per una vasta gamma di reati politici. In questo nuovo clima, il progetto di un nuovo codice penale pronto nel 1927; viene sottoposto allesame delle Facolt di giurisprudenza, ai Tribunali, agli ordini forensi e successivamente discusso dalla commissione ministeriale. Il progetto finale pronto nel 1929; viene vagliato da una commissione parlamentare mista ed infine sottoposto ad una ulteriore revisione da Alfredo Rocco personalmente. Il testo definitivo, accompagnato da una relazione al re da parte del ministro, pubblicato il 19 ottobre 1930 ed entra in vigore il 1 luglio 1931. Gi ad un primo sguardo le novit rispetto al testo del 1889 sono notevoli: La mole del codice ben diversa da 498 articoli si passati a 734: sia la parte

generale sia quella speciale sono infatti state alquanto ampliate, passando rispettivamente da 103 a 240 articoli e da 395 a 494 articoli. Nella parte generale soprattutto sono state introdotte molte definizioni (dolo, colpa, preterintenzione, causalit, imputabilit etc.) che se da una parte sembrano assicurare una maggiore certezza del diritto, talvolta, essendo abbastanza infelici nella formulazione, sembrano causare maggiori incertezze e confusioni.

Se rimasta invariata la divisione in 3 libri (parte generale, delitti, contravvenzioni),

nella parte generale del codice, vi sono per molti titoli nuovi, tra i quali spiccano quelli relativi alle sanzioni civili e alle misure amministrative di sicurezza che il legislatore del 1930 considera importanti strumenti di una nuova strategia di lotta alla criminalit. Alcune di queste novit sistematiche comunque hanno consentito una impostazione pi razionale e sono state, anche fino ad oggi, elogiate dalla dottrina. Nel complesso della parte generale, vi sono anzi diversi aspetti che hanno suffragato in parte della storiografia la convinzione che vi fosse comunque una continuit sostanziale tra i due codici. Grazie anche alla presenza di un grande giurista come Vincenzo Manzini, che d ai lavori di codificazione un indirizzo fondamentalmente tecnico-giuridico, si evita che nel codice entrino le tesi pi propriamente totalitarie, sostenute da altri esponenti del regime come Giuseppe Maggiore. In particolare, anche il testo di Rocco si basa sul principio di stretta legalit e di materialit del reato. Il primo principio, un caposaldo del diritto penale liberale, viene qui solennemente riaffermato (mentre altri Stati, come la Germania nazista e la Russia sovietica, lo eliminano considerandolo incompatibile con la visione autoritaria dello Stato!); il secondo aspetto evita la cosiddetta deriva soggettivistica, cio quella che porter ad esempio in Germania a penalizzare, anzich le azioni oggettive in s, i tipi soggettivi di autori, stabiliti in base alla loro intima fedelt al regime (Rocco respinge cio la concezione del reato come ogni generica violazione del dovere di fedelt allo Stato); viene salvaguardato poi anche il principio di colpevolezza, che pone come normali criteri di imputazione il dolo e la colpa. Il criterio infatti accolto da Rocco, che accetta di escludere la pena per chi fosse incapace di intendere e volere al momento della commissione del fatto e d rilevanza anche ai fattori che incidono su questa sfera. Certamente in concreto queste solenni enunciazioni vengono anche in parte limitate sia nella parte generale sia nella disciplina di molti singoli reati, sia nel sistema sanzionatorio. Sotto il primo profilo incidono molto alcuni concetti inseriti nel testo, come la nozione di pericolosit sociale (che contrasta con lesigenza di determinatezza insita nel principio di legalit); le scelte operate circa la figura della ubriachezza volontaria, alla quale si nega il valore di escludente o attenuante della responsabilit e cos via. Non c dubbio quindi che il codice del 1930 segni una svolta in senso repressivo nella legislazione penale italiana. Se lo si vede nella parte generale, come detto, questo carattere ancora pi evidente

nella parte speciale. Qui per esempio si introducono molti reati di opinione e si pone il reato politico come quello di maggiore gravit e immoralit, punendolo con particolare severit: ai delitti contro la sicurezza dello Stato si sostituiscono i delitti contro la personalit dello Stato, che

comprendono ad esempio il disfattismo politico, il disfattismo economico, l attivit antinazionale del cittadino allestero, la propaganda ed apologia sovversiva, il vilipendio della nazione italiana etc., tutti puniti con estrema durezza. Scompaiono poi i delitti contro la libert e vengono invece inseriti i delitti contro leconomia pubblica, i delitti contro la moralit pubblica, i delitti contro la sanit e lintegrit della stirpe etc., ben indicativi della politica seguita dal regime fascista. Pi in generale, si moltiplicano le fattispecie criminali e si inaspriscono le sanzioni. A dispetto di tutte queste caratteristiche, il codice Rocco da oltre 80 anni il codice penale italiano e da 60 lo della Repubblica. Nonostante il susseguirsi di vari progetti, non ancora stato sostituito anche se ovviamente ci non significa che sia rimasto immutato. Gi nel 1944 sono immediatamente eliminate le norme pi dure, come quelle sulla pena di morte e sono reintrodotte le attenuanti generiche e altre garanzie essenziali e riscritte le norme su reati di stampa, diffamazione, sciopero etc. ed altre ne sono seguite negli anni soprattutto alla luce della Costituzione repubblicana del 1948. successivi,

Il codice di procedura penale Per quanto concerne la procedura penale, le vicende legislative precedenti erano state piuttosto diverse; un primo codice unitario in materia di processo penale, si era infatti gi avuto nel 1865, e, anche se non si trattava di un testo molto soddisfacente, non si era arrivati a riscriverlo in concomitanza con lapprovazione del testo di diritto sostanziale del 1889. Era perci rimasto in vigore anche dopo lemanazione del codice Zanardelli. Proprio in quellanno tuttavia si era istituita una commissione con lo scopo della riformulazione della procedura penale, i cui lavori peraltro si erano protratti per un ventennio. Dopo un lungo iter, con un susseguirsi di bozze e progetti, un codice di procedura pi moderno del precedente era stato emanato nel 1913, portando a compimento solo a quel punto la riforma in senso liberale del processo penale. Questo codice infatti mostrava una notevole sensibilit per i valori dei diritti e della libert della persona, regolava con maggior cautela il funzionamento della giuria popolare che in precedenza aveva provocato anche clamorosi errori giudiziari etc. Tuttavia ben noto che questo testo ebbe vita assai breve; se in ambiente accademico era stato elogiato, esso aveva incontrato vivaci opposizioni tra gli operatori, per le non poche ambiguit ed incertezze causate dallo spirito di compromesso. Anche stavolta perci ci sono immediate spinte per una revisione (una commissione in tal senso era gi insediata nel 1915!). A decretarne la fine prematura sar poi ovviamente lavvio della riforma di Alfredo Rocco, che non poteva non riguardare anche la procedura penale.

Nel codice del 1930, composto di 675 articoli, la materia distribuita in 5 libri, il primo dedicato a disposizioni generali, mentre i successivi si occupano dellistruzione, del giudizio, dellesecuzione e infine dei rapporti giurisdizionali con autorit straniere. Dal punto di vista tecnico si tratta di un lavoro di grande finezza e perfezione, anche se questo attenua solo in parte i contenuti di una disciplina che deve ovviamente essere in linea con lo spirito autoritario del regime. Il codice Rocco sceglie un sistema processuale che viene definito misto, nel quale cio la prima parte delliter, quella dellistruttoria, ha caratteristiche inquisitorie, con una scarsa partecipazione della difesa, chiamata solo nei momenti salienti, e la riduzione del contraddittorio, ed una seconda fase caratterizzata da un dibattimento pubblico. Anche questo codice comunque rimasto in vigore ben oltre la caduta del fascismo e fino alla fine degli anni 80, pur con i necessari correttivi.

I lavori preparatori del codice civile. Primi progetti

Il progetto del I libro, del nuovo codice civile, dedicato al diritto Delle persone, viene presentato da Vittorio Scialoja, che presiede la sottocommissione, al ministro Rocco, nel settembre 1930. Esso si presenta in quasi perfetta continuit con le impostazioni tipiche del mondo liberale, sia perch questa la forma mentis dei redattori, sia perch lo stesso regime fascista, in questi settori, non vuole assolutamente intaccare le preesistenti strutture sociali. Il regime fascista attua infatti, ad esempio, una politica legislativa intesa ad una restaurazione della famiglia nelle sue strutture tradizionali. significativo, tra laltro, che questa non fosse propriamente una caratteristica originaria dellideologia fascista. Nelle sue prime fasi, essa, al contrario, legata a simpatie socialiste ed al movimento futurista aveva propugnato riforme in senso femminista e libertario sostenendo il suffragio universale, il servizio militare per le donne, divorzio facile etc. Nel momento in cui giunge al governo, tuttavia, la visione statalista porta i legislatori ad accettare lidea della famiglia come istituzione. Decisiva per spiegare il risultato finale del lavoro della commissione Scialoja poi peraltro la scelta di affidare la redazione ai giuristi di formazione tradizionale, scelti dunque solo per le loro capacit tecniche e non per la loro adesione al regime. Sono questi i presupposti logici anche per lelaborazione del concordato con la Chiesa cattolica (29.2.1929) che contiene la fondamentale nozione di matrimonio concordatario: si riconosce il rito canonico della celebrazione, secondo una consuetudine inveterata, ponendo per alcune norme e prescrizioni statali perch esso possa conseguire effetti civili (sono questi i punti sottolineati dal Guardasigilli Alfredo Rocco nella relazione alla Camera per la ratifica dei Patti Lateranensi). Quando viene presentato il progetto dei vari titoli del I libro del codice, appare subito, in ciascuno, la mano dei diversi relatori; cos, ad esempio, il De Ruggiero, autore dei titoli su parentela, filiazione legittima e alimenti, li imposta da romanista-civilista quale egli ; il titolo sul matrimonio del Vassalli, che era stato appunto uno dei fautori del Concordato. Una scelta legata al nuovo regime quella di eliminare dal testo codicistico le norme sulla cittadinanza, che doveva essere oggetto di un disegno di legge speciale. Nuova anche la parte sempre pi ampia (un intero titolo) dedicata alle persone giuridiche. Un aspetto interessante il diverso comportamento dei due pi illustri romanisti puri presenti: a Pietro Bonfante affidata la stesura delle norme sulla patria potest. Egli ne d una visione veramente antica, con un ritorno addirittura a modelli precedenti il 1865, con una grande ampiezza di poteri riservata al padre, scelte che comunque provocano forti polemiche e che la

commissione rifiuta nettamente, adottando una soluzione di compromesso che, faticosamente, conduce a una disciplina allineata a quanto gi prevedeva il codice previdente. Ben diverso lo stile di Gino Segr nel redigere i titoli sulla filiazione: in particolare nel disciplinare la filiazione illegittima e la legittimazione, egli mostra grande apertura ed aggiornamento e sceglie di impostare questi temi con notevole modernit. Le sue proposte sono anzi pi avanzate di quelle che saranno poi accolte nella definitiva stesura. Morto Scialoja nel 1933, viene sostituito a presiedere la commissione da un altro grande nome, Mariano DAmelio; i lavori tuttavia procedono molto a rilento, tanto che lo stesso DAmelio ammette che si opera in un clima da dopolavoro dei giuristi. Pur cos lentamente e quasi stancamente i lavori comunque procedono. Sentiti i pareri degli organi giudiziari, delle facolt giuridiche, del Consiglio Superiore forense, nonch degli ordini di Avvocati e Procuratori, il I libro infine approvato nel 1937 e pubblicato lanno successivo. Sarebbe entrato in vigore gi nel 1939 per poi unirsi, man mano ai successivi. Nel frattempo infatti vengono redatti il libro II (1937) ed il III (1936) che, come il primo, sono sottoposti al parere degli organi giudiziari, delle facolt etc. (quello delle successioni, ad esempio, ebbe esecuzione dallaprile 1940). In questa fase dei lavori tuttavia, la cosa pi significativa da registrare il mutamento di atmosfera e di clima politico rispetto ai primi anni; ne un segnale eloquente, ad esempio, la lettera con cui DAmelio trasmette il progetto del III libro al Ministro: vi si sottolinea, retoricamente, come siano state introdotte nel testo numerose modifiche, rispetto al codice del 1865, improntate agli orientamenti del nuovo diritto del Regime. la prima volta che in una sede cos importante e qualificata, anche tecnicamente, si parla di questi orientamenti giuridici del Fascismo. Teniamo per subito presente che come si vedr guardando al testo finale approvato molte di queste affermazioni politiche, al di l dellenfasi retorica, sembrano pi che altro affermazioni dovute, ma da ridimensionare nettamente nei loro contenuti. Le modifiche apportate in questi progetti, rispetto alla tradizione giuridica precedente, anche se a volte significative e importanti sul piano tecnico, non mostrano grandi segni di una penetrazione delle idee programmatiche del fascismo nella legislazione civile. Tenendo conto anche delle osservazioni pervenute da magistrati, professori, avvocati, vengono finalmente predisposti i progetti definitivi, da sottoporre a loro volta alla Commissione parlamentare. Questa per ne termina lesame solo nel 1939. A questo punto si chiude la prima fase dei lavori preparatori; questo, tuttavia, non significa ancora approvazione del testo del codice; bisogner attendere, per il risultato finale, ancora tre anni.

In questo momento, infatti, emergono dubbi sempre pi seri e consistenti, non solo sui singoli aspetti della disciplina, ma sullo stesso disegno complessivo della nuova codificazione. Lultima fase dei lavori (anni 1940-1942)

Si apre cos una nuova fase di lavori, non solo, ma, mentre la prima, pur lenta, era stata tutto sommato abbastanza lineare, questultima risulta estremamente convulsa e confusa, tanto che alcuni passaggi e decisioni sono tuttora in parte non chiariti ed accertati. Un punto fermo lentrata in vigore separata, tra il 1939 ed il 1940, dei primi due libri del codice. Il libro I, ora intitolato Delle persone e della famiglia, e quello sulle Successioni, che finora era sempre stato collocato come terzo, ma che, proprio perch gi pronto ed entrato in vigore nel 1940, rimarr anche nellimpianto definitivo come libro II. Per gli altri due libri gi previsti, che dovevano essere dedicati alla propriet e alle

obbligazioni, gli sviluppi sono invece notevolmente diversi. Lassetto complessivo del codice sar infatti strutturato, come ben sappiamo, su un totale di ben 6 libri; ai due gi previsti se ne aggiungono quindi, proprio nellultima fase, altri due molto importanti. Ebbene, di chi sia stata questa decisione e quando esattamente sia stata presa tuttora poco chiaro! I protagonisti dellopera danno infatti versioni discordi della vicenda. Secondo la versione ufficiale del Ministro guardasigilli Grandi, la nuova sistemazione sarebbe stata da lui decisa tra la fine di luglio e linizio di agosto del 1940, con appunto la decisione di aggiungere un libro su impresa e lavoro ed uno sulla tutela dei diritti, con la conseguente soppressione dellautonomia del codice di commercio. Vi per una versione diversa, data da uno dei pi illustri giuristi che parteciparono a lungo e intensamente ai lavori preparatori, il Vassalli. Secondo questultimo la decisione sarebbe stata presa in una sede pi tecnica e cio in una seduta di Commissione tenutasi a Montecitorio sotto la presidenza del Ministro sul finire del 1940 e su proposta dello stesso Vassalli di unificare il diritto delle obbligazioni, togliendo la separazione tra codice civile e codice di commercio. Come ben si comprende, non semplicemente una diversit di tempi, anche se la divergenza emerge sotto questo aspetto (e vi sono pure testimonianze ulteriori che parlano di novembre 1940, come Asquini), ma vi sono sottesi aspetti ben pi importanti: il problema principale da risolvere infatti quello della prevalenza dei motivi tecnici o piuttosto delle ispirazioni politiche nellassetto finale.

La paternit dei nuovi e finali orientamenti infatti contesa tra politici e tecnici e questo si collega allannosa questione riguardante la maggiore o minore fascistizzazione del codice civile. A tuttoggi non stato ancora ben chiarito che cosa esattamente avvenne (forse a tale scopo andrebbero consultati molti altri archivi, pubblici e privati, non tutti ancora accessibili) anche se si sa che il Ministro tendeva a retrodatare spesso le sue decisioni Dai testi ufficiali dei lavori preparatori si possono cogliere alcune indicazioni: a partire soprattutto dal 1937 alcuni giuristi e soprattutto alcuni politici, appartenenti alle ali pi intransigenti del fascismo, sollevano forti polemiche contro quella che essi giudicano la troppo scarsa penetrazione delle idee del regime nel corpo della nuova codificazione. La grande maggioranza della dottrina civilistica rimane estranea a queste critiche, ma esse sono animate da uomini di punta del regime, che le mescolano anche alle idee antiebraiche e antiromanistiche: si infatti negli anni bui della legislazione razziale (1938) e dell intesa italo-tedesca. probabilmente anche questa volont di avvicinarsi al sistema e agli orientamenti tedeschi, discostandosi nettamente da quelli francesi, che ancora alla fine degli anni Venti sembravano pi affini ai nostri, che pu far comprendere la scelta di dedicare attenzione specifica a impresa e lavoro in seno al codice civile, cancellando quello di commercio. Per comprendere il cambiamento di clima repentino, basti pensare al fatto che solo pochissimo tempo prima era stato predisposto sotto legida congiunta della Commissione reale per la riforma dei codici e della corrispondente commissione francese un progetto, pubblicato nel 1928, di Codice delle obbligazioni e dei contratti, comune allItalia e alla Francia, che era ancora allesame del Parlamento e che il Ministro Grandi ritira subito dopo la sua nomina nel 1939. Il campo del diritto dellimpresa e del lavoro, legato com ai tempi delleconomia, chiaramente uno di quelli in cui pi si era sviluppata una concezione originale peculiare del regime fascista, quella cio dell ordinamento corporativo. I punti salienti di questa concezione sono quello della tutela delliniziativa privata, vista come il mezzo migliore per lincremento, a vantaggio di tutti, della produzione nazionale, e conseguentemente lavversione per lo Stato economico, cio per la gestione diretta pubblica delleconomia. Vi cio lidea di uno Stato soltanto politico, che deve garantire, attraverso la gerarchia, lordine, la convivenza e, anzi, la collaborazione tra le classi sociali. I meccanismi con cui comporre i conflitti sociali ed economici sono individuati appunto nelle c.d. corporazioni, che devono essere inquadrate e inserite nello Stato. In questa materia cos importante vi era quindi gi stata una specifica attivit legislativa nel corso degli anni 20; la nuova disciplina giuridica dei rapporti di lavoro, promulgata nel 1926,

prevedeva appunto le strutture dei sindacati (regolati e controllati dallo Stato), la magistratura del lavoro, i contratti collettivi e vietava al contempo sciopero e serrata, puniti penalmente. Lidea era infatti quella di eliminare la conflittualit sociale con meccanismi di prevenzione e di composizione (e se necessario di repressione). In seguito le corporazioni vengono formalmente istituite e viene creato anche un apposito Ministero, ma praticamente tali istituzioni corporative non hanno mai realmente funzionato. Nel 1927 era stata poi redatta la Carta del lavoro, uno dei pi solenni documenti del Fascismo, scritto personalmente da Alfredo Rocco. Si tratta di una serie di dichiarazioni programmatiche, di per s abbastanza generiche e perfino in un certo senso moralistiche, che per non hanno un preciso valore giuridico (si definisce la nazione, il lavoro come dovere sociale, la produzione etc.) se non quello di enunciare il credo del regime in materia sociale ed economica. In questo quadro complessivo va allora inserita e compresa la decisione che, nel quadro dei lavori preparatori del codice civile, induce il Consiglio dei Ministri il 30 novembre 1940 a conferire alle Dichiarazioni della Carta del lavoro autorit di principi generali dellordinamento giuridico e di premessa al codice civile. Dopo lelaborazione del libro 5 e 6 del nuovo assetto, dunque, si dichiarano poi decisamente superate, proprio dalla nascita dellordinamento corporativo, le ragioni storiche che hanno giustificato fino ad oggi lautonomia del codice di commercio. Il codice civile viene cos approntato ed approvato, con la nuova struttura in 6 libri, nella primavera del 1942.

Il codice civile del 1942. Strutture e contenuti Si molto discusso, in passato, della cosiddetta fascistizzazione del codice civile. Al di l di alcuni giudizi espressi a caldo, cio subito dopo lapprovazione, che enfatizzavano retoricamente il peso dellideologia, cos come superati i pareri pronunciati subito dopo la caduta del regime e la fine della guerra, e che, per opposte ragioni vedevano in quel testo limpronta del regime, si valutato che, complessivamente, il codice non abbia subito una grande penetrazione delle idee fasciste. Il freno si individuato in primo luogo nel tecnicismo intrinseco alla materia privatistica (che peraltro i giuristi pi attenti e consapevoli usarono abilmente proprio come dispositivo frenante) e che escluse quindi dal codice almeno le idee pi avanzate, del resto non sempre chiare e compiute. Sul piano delle norme pi strettamente economiche influ anche il sistema stesso che manteneva meccanismi prefascisti, nonostante il tentativo di sovrapporvi il cosiddetto sistema corporativo.

Bench la retorica del regime presentasse il legislatore fascista come superatore dellordine liberale e dei suoi egoismi individualistici, quanto avvenne in questa direzione fu pi che altro il frutto dellevoluzione dei tempi. Rimane comunque centrale nel codice liniziativa privata. vero poi che il codice entra in vigore accompagnato e preceduto dalle Dichiarazioni della Carta del lavoro, ma, nonostante il tentativo di farla diventare linsieme dei principi generali dellordinamento giuridico dello Stato e criterio direttivo per linterpretazione e lapplicazione della legge, essa era un corpo estraneo, destinato a restare solo una solenne enunciazione, tanto vero che essa pu essere semplicemente cancellata con un tratto di penna con il D.l.lt. del 14 settembre 1944, senza che ci influisca minimamente sullimpianto del codice. Molto significativa risulta anche la scelta di mantenere le cosiddette Preleggi in apertura al codice civile bench, come sappiamo, tali disposizioni non riguardino solo il codice civile e il diritto privato, confermando cos il primato ancora riconosciuto al codice civile su tutti gli altri, nonostante il mutamento intervenuto. Guardando al contenuto specifico dei vari libri, va detto che sia la famiglia che le successioni sono regolate ancora in modo tradizionale, mentre le maggiori novit si colgono ovviamente nei libri inseriti come nuovi.

Persone e famiglia

Nel libro I le maggiori novit sono di tipo sistematico, in particolare con i titoli dedicati alle persone giuridiche private, con la figura dellassociazione riconosciuta e non e della fondazione, una assoluta novit rispetto al c.c. del 1865. La normativa, in questo campo, mostra da una parte la volont di realizzare un controllo capillare dellautorit statale su tutta la vita delle persone giuridiche, ma lascia ampio spazio anche per lorganizzazione di queste attivit da parte dei privati, in particolare appunto tramite le fondazioni. Lassetto dato dal codice civile del 1942 alla famiglia , come si accennato, assai vicino alla tradizione precedente. Una delle innovazioni pi rilevanti riguarda la disciplina del matrimonio. La questione del matrimonio, peraltro, era in sostanza gi stata risolta al momento del concordato del 29 con labbandono della posizione rigidamente separatista scelta dal codice del 1865 e la previsione della figura del matrimonio concordatario. Nel codice rimane perci ovviamente il solo matrimonio civile, allepoca poco utilizzato per la prevalenza del matrimonio concordatario trascritto; di fatto, tra laltro, il legislatore adegua la normativa civilistica alla canonistica. Tra i doveri derivanti dal matrimonio si inserisce per il richiamo al sentimento nazionale fascista (art. 147), una delle pi

scoperte intrusioni del regime allinterno del nucleo familiare, bench il carattere sovrapposto di questa previsione balzi allocchio e abbia consentito la sua rapida cancellazione senza alterare il testo normativo. Con riguardo alla disciplina complessiva della famiglia, spicca naturalmente lesplicita volont del legislatore di tutelare al massimo lunit appunto della famiglia stessa, nella linea gi seguita dalla normativa ottocentesca. Rispetto al codice precedente, tuttavia, si notata nel testo del 1942 una minore coerenza complessiva, legata alla circostanza che, anche per gli evidenti mutamenti sociali avvenuti nel Novecento, non appare pi del tutto chiaro quale sia lidea, limmagine di famiglia che viene tenuta presente; allinterno del codice, infatti, con il termine appunto famiglia sembrano essere designate talvolta realt diverse: sopravvive ancora, da una parte, la vecchia figura della famiglia allargata, patriarcale, che comprende pi nuclei composti da figli e nipoti (art. sui diritti di successione etc.), in molte altre norme ormai per si affaccia la pi moderna figura della famiglia intesa semplicemente come nucleo composto dalla coppia dei genitori e dagli eventuali figli conviventi. Per esempio scompare il consiglio di famiglia e si crea per i minori il ruolo del giudice tutelare (artt.342 ss.). Inoltre, lintento di tutela dellunit familiare perseguito con strumenti ancora assolutamente tradizionali, per esempio con una disciplina delladulterio differenziata tra uomo e donna, sia nella previsione della fattispecie penale (art. 559 c.p.) sia nelle norme relative alle cause di separazione (art. 151); con la previsione della supremazia del marito e padre (cfr. ad esempio gli art. 144 potest maritale o 146 abbandono del domicilio) etc. Nellambito dei rapporti patrimoniali tra coniugi e del regime economico della famiglia si nota la scelta, destinata poi a mutare, della separazione come regime legale, mentre la comunione solo uno tra quelli convenzionali (che sono solo tre, patrimonio familiare, dote e comunione degli Acquisti). Tra questi poi inserito un istituto del tutto estraneo alla tradizione italiana come il patrimonio familiare, che probabilmente anche per questo non ha alcun successo pratico, seguito da uno spazio ancora molto ampio per un istituto tradizionale ma ormai in decadenza quale la dote. Qualche progresso si realizza nella disciplina della filiazione. Viene infatti apportato un miglioramento alla situazione dei figli naturali anche se, nellesigenza di tutelare al massimo la famiglia legittima (cfr. anche la norma penale sul delitto donore - non causa donore), vi sono anche passi indietro, rispetto agli stessi lavori preparatori: si prevede con una certa ampiezza la possibilit di spontaneo riconoscimento dei figli naturali, salvo per ci che pu compromettere lunit familiare; dunque escluso totalmente per gli incestuosi, cos come per il genitore coniugato negli adulterini. Viceversa limitato il disconoscimento di coloro che risultano legittimi (vige

ancora lantica presunzione di paternit del marito). Limitata anche lazione per il riconoscimento giudiziale, anche se la casistica si amplia rispetto ai codici ottocenteschi. Praticamente immutate rimangono le norme sulla patria potest che si aprono ancora, come nel 1865, con un richiamo ai doveri dei figli verso i genitori e che ribadiscono la differenza tra titolarit ed esercizio tra padre e madre. Accanto alladozione che manteneva limpostazione tradizionale di tipo ereditario, veniva posto un nuovo istituto, quello dellaffiliazione (artt. 404-413) che, sulla scia di molte norme emanate sullassistenza ai minori (chi aveva avuto un minore affidatogli dai servizi sociali, dopo tre anni poteva chiedere che gli fosse affiliato; laffiliazione attribuisce i poteri della patria potest, consente di dare il proprio cognome, crea obblighi di educazione ed istruzione etc.). Lassetto dato alla famiglia dal codice fu nel complesso valutato favorevolmente dalla dottrina dellepoca. Rimaneva salda nel legislatore la convinzione che il diritto di famiglia fosse regolato da principi trascendenti linteresse dei singoli.

Successioni Pochissime sono le novit anche nel libro II; tra le norme nuove vanno segnalate soprattutto quelle che, completando un percorso di modernizzazione ormai da tempo in atto, vietano la stipulazione di patti successori e ampliano la possibilit di ricevere eredit per testamento da parte dei figli naturali. Nel libro II si colloca inoltre un titolo, il IV, dedicato alla disciplina delle Donazioni; pur riconoscendone la natura contrattuale, infatti, si vede questo istituto collegato soprattutto alla trasmissione del patrimonio in ambito familiare e in stretta unione logica con le successioni.

Propriet Diverso appare invece il giudizio a proposito del libro III, non tanto e non solo per le nuove norme in esso contenute ma per il rapporto che esso ha ora con gli altri. Nel codice del 1865, sul dominio e sui modi dacquisto e di trasmissione erano incentrati ben 2 libri su 3, mentre ora la propriet occupa un libro su 6. Anche nella formulazione usata nellart.832, poi, si coglie subito una grande differenza dal corrispondente art. 436 del vecchio codice: non si usa pi il termine assolutezza e si insiste con ben maggiore decisione sui limiti e obblighi gravanti sul proprietario; questa propriet inoltre strettamente collegata con lidea dellutilit ed efficacia delliniziativa privata come strumento produttivo nellinteresse della Nazione. Quindi la propriet che si riconosce e si tutela non pi quella passiva, ma quella attiva, che moltiplica i frutti della ricchezza. Il codice dunque richiama anche una serie di limitazioni pubblicistiche della propriet (artt. 834-839) che

emergono anche negli articoli sul riordino della propriet rurale, sulla bonifica, sul regime delle acque etc. Coerentemente con questa perdita di centralit della propriet, ampi settori vengono staccati dalla prospettiva dei modi di acquisto e di trasmissione della propriet, anche e soprattutto in materia contrattuale.

Obbligazioni Il contratto ormai visto essenzialmente come fonte di obbligazioni (quelli con effetti reali sono semplicemente un tipo). Queste ultime, poi, come abbiamo visto, sono state unificate eliminando la distinzione tra civili e commerciali e questo ha portato a una prevalenza della normativa commerciale, pi moderna, ma al contempo a una pi energica tutela del creditore non commerciante che pu ricorrere a tutti gli strumenti del diritto commerciale. In questa parte sono certamente rilevanti gli influssi delle dottrine pandettistiche sviluppatesi specialmente in Germania nel secondo Ottocento, anche se il legislatore italiano, dopo molte discussioni, rinuncia ad inserire nel codice una definizione generale di negozio giuridico, che costituiva uno dei contributi pi rilevanti dati alla civilistica proprio dai pandettisti.

Impresa e lavoro Altrettanto interessante e innovativo poi il libro V che tutto nuovo, almeno nella sua concezione complessiva: Il titolo fondamentale del libro il II, dedicato allimpresa. Con questo concetto si indica ogni forma di attivit produttiva organizzata (agricola e commerciale, individuale e societaria, piccola, media e grande etc.) e lattenzione del legislatore puntata soprattutto sui soggetti che in essa operano: limprenditore e i suoi collaboratori. Di qui il collegamento con il rapporto di lavoro subordinato etc.

Tutela dei diritti Infine il VI libro venne inserito molto rapidamente negli ultimi mesi per ragioni tecniche, cio per raccogliere in un complesso organico materie non nuove ma spesso collocate in modo irrazionale e frammentario (come la trascrizione, le prove, le cause di prelazione etc.)

Le modifiche di et repubblicana: il diritto di famiglia Dopo i primi tagli, avvenuti con il RDL del 20.1.1944, con la scomparse delle norme riguardanti la razza, maggiori modifiche si ebbero gi nel 1948 per lentrata in vigore della Costituzione, molti principi della quale erano destinati a influire anche sul diritto di famiglia. La formulazione soft di molti articoli, frutto del difficile compromesso operato dai costituenti tra posizioni anche assai estreme e distanti, non comport tuttavia una immediata e automatica modifica del codice civile. Ad essa si giunse in molti casi solo con il reale cambiamento della visuale e quindi delle linee interpretative: si pensi ad esempio alla norma (art. 29 cost.) che, pur indicando come base dellunione matrimoniale luguaglianza morale e giuridica dei coniugi, faceva salvi i limiti stabiliti a garanzia dellunit familiare, cos che per lungo tempo non furono affatto giudicate incostituzionali le norme sul ruolo preminente del marito; analogamente, lart. 30 comma 3 cost. enuncia la necessit di tutelare i figli nati fuori del matrimonio, purch tale tutela fosse compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. Fu dunque soprattutto a partire dagli anni 50 e soprattutto 60 che le critiche al codice civile cominciarono a divenire vere e proprie proposte di riforma e negli ultimi anni 60 anche la Corte costituzionale sembra cominciare a mutare orientamento, accogliendo le eccezioni gi talvolta respinte in precedenza, come quelle relative allart. 559 c.p. e 151 c.c., dichiarati contrastanti con lart. 3 e con lart. 29 cost. (sentenze del 1968) e quelle sui limiti alla capacit di succedere per testamento imposti ai figli naturali riconosciuti (sentenza 205 del 1970). Una prima importante novit che, se non mutava propriamente lassetto della famiglia, segnalava un evidente mutamento nel modo di concepire i rapporti familiari si ha nel 1967 con la legge sulla c.d. Adozione speciale, emanata con il dichiarato scopo di dare una famiglia ai minori in stato di abbandono. Il nuovo istituto sar poi rivisto e ampliato nel 1983 con lintroduzione delladozione internazionale e nuovamente riformato nel 1998 dopo la ratifica della convenzione dellAia del 1993 sulla tutela dei minori. Con il 1970 si ha poi il primo radicale mutamento legislativo: la legge 1.12.1970 n. 898 introduce il divorzio, scegliendo per volutamente di NON utilizzare questo termine, ma parlando piuttosto di scioglimento del vincolo civile o di cessazione degli effetti civili di quello concordatario. Questa legge che, come noto, nel 1974 diede occasione di sperimentare per la prima volta nella storia repubblicana listituto del referendum abrogativo, sceglieva, tra le diverse concezioni, quella del divorzio-rimedio, possibile cio soltanto in presenza di determinate cause, il cui controllo affidato allautorit giudiziaria. Era la linea seguita anche da molti altri Stati (dalla Spagna alla

Svezia alla Germania, Olanda, Inghilterra, Austria etc.) perch ritenuta coerente con la tutela comunque della stabilit e unit della famiglia. A differenza di quanto previsto per la separazione, non dunque contemplata la figura del divorzio consensuale. Tale linea, formalmente a tuttoggi mai abbandonata, appare tuttavia ormai fortemente incrinata dalle successive modifiche intervenute specialmente nel 1987 e ancor pi dalle proposte legislative attualmente in discussione. La svolta pi ampia per lintera materia del diritto di famiglia si avuta, come ben noto, nel 1975 allorch il testo codicistico stato profondamente modificato a partire dalla concezione che il principio regolatore alla base dei rapporti familiari sia la parit. Ecco allora il nuovo testo dellart. 143 che pone per i coniugi gli stessi diritti e i medesimi doveri con carattere di reciprocit; dellart. 144 che prevede la scelta della residenza e dellindirizzo della vita familiare di comune accordo etc. A entrambi i coniugi data potest sui figli minori (lunico limite rimasto contenuto nellart. 316 laddove si prevede per il padre la possibilit di adottare provvedimenti urgenti e indifferibili, se vi disaccordo e il figlio in pericolo). E previsto un potere dintervento del giudice, circondato per da molti limiti. Viene profondamente innovata anche la disciplina patrimoniale della famiglia: eliminata definitivamente la dote, che ora vietata, si pone come regime legale la comunione degli acquisti, ma si ammettono ampie deroghe attraverso convenzioni diverse e si aggiungono le due modalit del fondo patrimoniale e della separazione dei beni. Incisiva infine la modifica per quanto riguarda la filiazione: ormai quasi totalmente raggiunta la parit di trattamento tra figli legittimi e naturali riconosciuti, quanto meno nei rapporti tra figli e genitori e nei diritti successori. Gli unici temperamenti, peraltro minimi, riguardano leventuale inserimento nel nucleo familiare. Rimane una diversit nei meccanismi di accertamento della paternit, che sono automatici per quella legittima mentre prevedono il riconoscimento o laccertamento giudiziale per quella naturale, anche se per questi atti si sono ormai rimossi tutti i limiti anche di prova.

La codificazione in et repubblicana: quali prospettive per il futuro ?

Si detto che il giudizio complessivamente dato alla disciplina civilistica del codice fu sostanzialmente positivo; la convinzione che si trattasse di una normativa, pi o meno moderna ed efficiente, ma comunque in linea con la tradizione giuridica italiana, venne confermata dopo lentrata in vigore della Costituzione repubblicana nel 1948. Pur totalmente innovativa, come logico, rispetto allo statuto albertino di cento anni prima, essa infatti non sembr in contrasto con le norme e gli istituti qualificanti del diritto civile codificato. Anzi, laffermazione del principio di iniziativa economica libera dei singoli trovava pieno riscontro nellautonomia negoziale dei privati definita nel codice; la tutela della comunit familiare sembrava completare e dare un senso compiuto alla normativa del codice in materia e anche la visione della funzione sociale della propriet appariva quasi il perfezionamento e il supporto a quanto previsto dalle norme del 1942. Nel suo complesso dunque, pur con qualche necessario correttivo, il codice resse anche alla verifica costituzionale. Bench negli anni Sessanta si sia cominciato a pensare a un rifacimento, lidea non pare avere incontrato finora reale e significativa attuazione, anche per una certa sfiducia, spesso mostrata dalla dottrina civilistica e giuridica in generale, nella capacit della nostra democrazia di elaborare codici nuovi e ben fatti (si pensi alla riforma della procedura penale, che a poco pi di dieci anni dalla sua realizzazione, suscita fortissime perplessit, e al tentativo che da decenni si protrae di riformare il diritto penale) tanto da far sorgere in taluni il dubbio che la stesura di un codice, per le peculiarit di questa normativa, possa avvenire solo in periodi di grande stabilit politica, se non addirittura solo in vero e proprio regime dittatoriale. Si tratta naturalmente di posizioni estreme, legate alla effettiva difficolt che la stesura di un codice comporta e ha comportato in particolare in Italia. Per il diritto civile, inoltre, perfino sorto il quesito se il codice conservi ancora la sua capacit, lattitudine a disciplinare il settore privatistico o se sia proprio la forma-codice a rivelarsi obsoleta. Secondo una celebre definizione coniata da Natalino Irti, si ormai entrati nella cosiddetta decodificazione. Il termine pone in rilievo appunto che settori fondamentali per la vita sociale sono ormai regolati da leggi speciali che non entrano nel dettato codicistico e che dunque il codice ha perso la propria centralit oltre che la propria originaria completezza. Questo fenomeno di perdita di centralit del codice viene letto da molti studiosi proprio in relazione con gli obiettivi che la codificazione mirava a raggiungere fin dalla sua creazione: il codice (si detto anche in occasione di recenti convegni come quello svoltosi a Firenze nellottobre

del 200 proprio per una riflessione di fine millennio) non era solo un progetto o unutopia ma una grande strategia che voleva legare al potere politico anche il diritto civile. Anche per questo tendeva allunit, alla completezza e allesclusivit, perch appunto, come pi volte sottolineato, si inserisce in una concezione che vede la legge al vertice della gerarchia delle fonti e ben al di sopra delle altre. Dunque il codice operava si detto (Grossi) una riduzione della complessit necessaria per creare una sorta di geometria del diritto civile. Da questo punto di vista allora evidente che, se nel 1804 o ancora allinizio del XX secolo era ben possibile pensare di ridurre la complessit, oggi questo appare impossibile di fronte al nuovo panorama apertosi con luniversalizzazione e la cosiddetta globalizzazione. Il panorama non pi quello statuale n di unione di Stati. Si parlato proprio (Grossi) di eclissi dello Stato e della sovranit, rispetto al prevalere del fenomeno economico e sociale i cui attori sono le multinazionali che tendono a ordinarsi in una rete che al di l e forse persino contro gli Stati. Se il paesaggio che ha aperto la modernit era incentrato sullo Stato come produttore di diritto e sulla legge come fonte del diritto che si proiettava su un certo territorio, ora legge e Stato non bastano pi. Ecco allora la riscoperta della complessit anche in campo giuridico. cambiato alla radice, in primis, proprio il sistema delle fonti del diritto. Il codice si trova ormai stretto tra la Costituzione da un lato e il diritto comunitario dallaltro. Inoltre molte parti della disciplina in esso contenuta sono ormai divenute residuali e marginali rispetto agli istituti ivi previsti, la cui regolamentazione avviene ormai per la gran parte al di fuori del codice stesso attraverso leggi speciali, formulate nella forma di testi organici ma talvolta anche con numerosi provvedimenti diversi. Ci vale in molti settori, dalla famiglia, come abbiamo visto (con la legge sul divorzio o sulladozione, rimaste sempre fuori dal testo codicistico), alla disciplina della concorrenza e del mercato, a quella dei rapporti bancari, assicurativi e di intermediazione finanziaria, ad alcuni contratti (per esempio la locazione) alle societ commerciali e ad altri essenziali settori dellimpresa, al rapporto di lavoro (regolato principalmente dallo statuto dei lavoratori) etc. Il diritto giurisprudenziale poi intervenuto a delineare una disciplina talvolta pi articolata e completa, talvolta palesemente diversa per gli stessi istituti previsti dal codice e ne ha inventati di nuovi, tanto che molti autori oggi pongono tra le fonti del diritto anche le fonti non scritte. Sul piano delle prassi si registrata lespansione enorme dei contratti atipici, sono diversi i rapporti di lavoro e professionale etc.

Oggi dunque moltissimi sono gli strumenti giuridici extralegislativi ed extratestuali (si pensi agli arbitrati privati in sostituzione del processo civile etc. ) e questo ha cambiato anche il modo di concepire il diritto che non pi pensato (o non solo) come un sistema di comandi. In questo nuovo contesto si riscopre il ruolo del giurista come creatore di diritto. Per chi segue questo orientamento, rimangono forti dubbi che per il futuro il codice possa ancora riuscire a regolare questo insieme di istituti continuamente in evoluzione: una codificazione rigida sarebbe infatti smentita e superata in pochi giorni. Al codice, in questa prospettiva, resta la possibilit di essere una grande cornice entro cui per si realizza una sostanziale delegificazione delle norme giuridiche. Vi tuttavia, nel dibattito ancora molto aperto, chi (come Pietro Rescigno o Guido Alpa) invita a rileggere il codice civile per trovarvi quei valori di fondo che restano validi al di l di questi fenomeni che determinano la perdita di centralit del codice; rimane infatti importante la necessit di un corpo di norme che sia ancora il diritto privato comune a tutti i cittadini, proprio secondo lidea originaria che ha dato vita ai codici , quella appunto di realizzare un diritto privato uguale per tutti i cittadini. In questo senso il codice resta un vero e proprio baluardo per la libert dei cittadini. Questa riscoperta del codice con nuove e diverse ragioni e funzioni, si coglie ad esempio nei tentativi e studi, in atto da pi parti, di realizzare un codice europeo comune, sottraendo cos questa forma legislativa alla stretta coincidenza e quasi identificazione con gli Stati nazionali, ed al contempo rilanciandone il valore unificante anche a livello europeo. Il Parlamento Europeo ha infatti votato ad esempio gi il 6 maggio 1994 una risoluzione sullarmonizzazione di taluni settori del diritto privato degli Stati membri, che parla proprio di un codice comune europeo di diritto privato e su questa linea ha operato la commissione sul diritto contrattuale europeo (c.d. commissione Lando). In tale progetto si vuole proprio sottolineare nuovamente il valore quasi costituzionale che, per quanto riguarda i diritti e i rapporti tra privati il codice civile ebbe al suo sorgere e che ha per ormai in gran parte perso a livello di legislazione nazionale. Le motivazioni cui esplicitamente si rifanno le risoluzioni del parlamento europeo, infatti, non sottolineano soltanto un bisogno di chiarezza e di certezza, ma fanno del codice una condizione per il raggiungimento di un obiettivo essenziale dellUnione, la costruzione piena del mercato interno e affermano che un moderno diritto privato comune pu rinsaldare direttamente o indirettamente i legami che la comunit ha con paesi terzi e in particolare con i paesi dellAmerica Latina (risoluzione 6.5.1994). Il codice recupererebbe cos anche il suo ruolo politico; vi infine un valore di garanzia e di trasparenza rispetto alla creazione privata di norme giuridiche.