Storia Dell'Architettura Contemporanea I

38
1 Capitolo primo La crisi dell’ordine dell’architettura (1750-1800) Nel 1753 l’abate Marc-Antoine Laugier dà alle stampe il suo Essai sur l’ Architecture . L’illustrazione mostra la “capanna primitiva” come un’idea di architettura; tale immagine infatti contiene tutti gli elementi essenziali di una costruzione: nella sua perfezione nulla si può aggiungere o togliere. La modernita si inaugura su queste basi, ossia un aut aut tra utile e ornamentale. La definizione di queste due dimensioni non avviene con Laugier: tutta la storia dell’architettura occidentale si basa di fatto su una tale distinzione. C Con la capanna rustica di Laugier, questo equilibrio già così precario si rivela ormai completamente spezzato; essa mette in mostra una crisi i cui effetti non sono più rimandabili. La crisi produce così un “nuovo” ordine, che per molto tempo apparirà per lo più come un disordine . Un’irrefrenabile malinconia avvolge tutti i fenomeni legati alla storia, conferendo loro, in quanto tali, un valore. La medesima malinconia attanaglia l’architetto che è costretto a esprimere il suo pensiero solamente sulla carta . Il disegno diviene così l’ultima barriera su cui si attesta l’onnipotenza dell’architetto; e non è un caso che su tale strumento prendano vita numerosi spazi utopici . Di questa costruzione cartacea Giovan Battista Piranesi è uno dei massimi esponenti. Le Vedute di Roma, Le Magnificenze di Roma, Le Antichità romane sono alcune delle straordinarie raccolte d’incisioni dedicate ai monumenti antichi. La precisione minuta delle forme e dei dettagli resi in modo quasi maniacale da Piranesi, mostra come la realtà stessa si trasformi nel regno della rovina. La stessa carica evocativa la rintracciamo nei suoi progetti “d’invenzione”: le Carceri d’invenzione risultano una vera e propria esplosione del concetto stesso di spazio; quest’ultimo, insieme al tempo vengono “torturati”, disarticolati in un’estasi del terrore. Piranesi in tutto ciò opera una messa in crisi totale dell’Ordine e della Forma intesi in modo classico. Il Campo Marzio dell’Antica Roma segna una nuova puntata nella sua opera di “smontaggio”; una città dove impera la serializzazione dei tipi, la ripetizione degli elementi e la giustapposizione di forme classiche: il tutto ha però come unico risultato una gigantesca macchina inutile . L’atteggiamento antistorico del Piranesi diventerà il fondamento di quella lunga fase di revival che attraverserà tutto l’Ottocento.

description

Storia Dell'Architettura Contemporanea I

Transcript of Storia Dell'Architettura Contemporanea I

1

Capitolo primo

La crisi dell’ordine dell’architettura (1750-1800)

Nel 1753 l’abate Marc-Antoine Laugier dà alle stampe il suo

Essai sur l’ Architecture . L’illustrazione mostra la “capanna primitiva”

come un’idea di architettura; tale immagine infatti contiene tutti gli elementi essenziali di

una costruzione: nella sua perfezione nulla si può aggiungere o togliere.

La modernita si inaugura su queste basi, ossia un aut aut tra utile e ornamentale.

La definizione di queste due dimensioni non avviene con Laugier: tutta la storia

dell’architettura occidentale si basa di fatto su una tale distinzione. C

Con la capanna rustica di Laugier, questo equilibrio già così precario si rivela ormai

completamente spezzato; essa mette in mostra una crisi i cui effetti non sono più

rimandabili. La crisi produce così un “nuovo” ordine, che per molto tempo apparirà per lo

più come un disordine . Un’irrefrenabile malinconia avvolge tutti i fenomeni legati

alla storia, conferendo loro, in quanto tali, un valore. La medesima malinconia attanaglia

l’architetto che è costretto a esprimere il suo pensiero solamente sulla carta .

Il disegno diviene così l’ultima barriera su cui si attesta l’onnipotenza dell’architetto; e non

è un caso che su tale strumento prendano vita numerosi spazi utopici .

Di questa costruzione cartacea Giovan Battista Piranesi è uno dei massimi

esponenti.

Le Vedute di Roma, Le Magnificenze di Roma, Le Antichità romane sono alcune

delle straordinarie raccolte d’incisioni dedicate ai monumenti antichi.

La precisione minuta delle forme e dei dettagli resi in modo quasi maniacale da

Piranesi, mostra come la realtà stessa si trasformi nel regno della rovina.

La stessa carica evocativa la rintracciamo nei suoi progetti “d’invenzione”: le Carceri

d’invenzione risultano una vera e propria esplosione del concetto stesso di spazio;

quest’ultimo, insieme al tempo vengono “torturati”, disarticolati in un’estasi del terrore.

Piranesi in tutto ciò opera una messa in crisi totale dell’Ordine e della

Forma intesi in modo classico.

Il Campo Marzio dell’Antica Roma segna una nuova puntata nella sua opera di

“smontaggio”; una città dove impera la serializzazione dei tipi, la ripetizione degli elementi

e la giustapposizione di forme classiche: il tutto ha però come unico risultato una

gigantesca macchina inutile . L’atteggiamento antistorico del Piranesi diventerà il

fondamento di quella lunga fase di revival che attraverserà tutto l’Ottocento.

2

Tra i numerosi fenomeni, diversi tra loro ma legati dalla comune rottura di un ordine del

discorso appiano in particolare in nomi di Etienne-Louis Boullée e

Claude-Nicolas Ledoux ; entrambi faranno della ragione il proprio

strumento e oggetto di lavoro.

Boullée arrivato a un certo punto della sua carriera decide di intraprendere una via

progettuale più radicale, caratterizzata dall’estrema semplificazione delle forme impiegate:

volumi puri dalle dimensioni gigantesche . Ancora una volta , è

dall’espressività del disegno che si affidano tali progetti, che non trovano posto nella

realtà. Secondo Boullée, le immagini che tali edifici offrono ai nostri sensi dovrebbero

suscitare in noi sentimenti corrispondenti all’uso al quale essi sono consacrati.

Con il Cenotafio di Newton l’architetto celebra, mediante la forma stessa della

Terra, la scoperta della gravitazione universale e l’epopea del genio capace di condurla

all’evidenza razionale.

Nello specifico, la distanza abissale di Boullée da qualsiasi atteggiamento moderno (che

potrebbe risultare verosimile dai suoi disegni) si manifesta nelle su stesse intenzioni: nei

progetti egli costruisce unicamente per uomini fuori dal tempo , per abitanti

mitologici.

La scoperta di una dimensione soggettiva, in alternativa a quella consueta oggettiva nel

campo dell’architettura, produce numerosi mutamenti che vanno ben oltre al semplice

stile. L’opera di Boullèe in questo senso sancisce la riduzione all’inessenzialità

dell’ordine architettonico .

La vicenda di Ledoux ricalca per certi versi quella di Boullée.

Nel 1771 viene incaricato di redigere il piano per una nuova manifattura del sale

presso la foresta di Chaux (Francia). L’intervento si articola secondo una pianta

emiciclica, al centro del cui diametro è posta la casa del direttore : una scelta

simbolica a sancire la centralità del lavoro. Ai suoi fianchi la fabbrica per la produzione

sale; lungo il perimetro del semicerchio, gli alloggi degli impiegati e degli operai e – in asse

con la casa del direttore – la porta d’ingresso al complesso . È qui che

Ledoux si manifesta attraverso un’architettura parlante : al di là di un severo

pronao di colonne doriche, si apre infatti una sorta di grotta artificiale. La volontà di

evocare le tenebrose cavità della terra dove avviene l’estrazione del sale. A supporto di

tale immagine Ledoux piazza “brocche di pietra” cui sgorga un getto di acqua anch’esso

pietrificato. Figura parlante della trasformazione della natura in prodotto ,

annuncio dell’ormai prossimo avvento dell ’ industrial izzazione .

Nei suoi successivi progetti risultano gli edifici residenziali a riservare le sorprese

maggiori.

La questione non è riducibile all’utilizzo degli ordini che possono anche essere presenti,

ma ciò che risulta essere totalmente cambiata è la logica compositiva . Ledoux

3

instituisce una particolarissima relazione tra tipo edilizio e mestiere di colui cui è destinata

la casa.

Il medesimo sistema di combinazioni e variazioni era già stato utilizzato nella

progettazione delle 40 barrières per Parigi . Il tema del casello daziario dà luogo a

una sperimentazione linguistica il cui oggetto continuano a essere la “parole” del classico,

connesse però tra loro mediante una sintassi liberissima .

La crisi dell’ordine dell’architettura appare così momentaneamente oltrepassata nel

passaggio dalla raison al razionalismo . Nella tavola finale di L’architecture

considérée di Ledoux forse un’ultima volta viene fissato lo stato di crisi: l’abri de

pauvre (il tetto del povero), un albero su un lembo di terra, in alto sopra le nuvole un

pantheon di déi che non lo degnano di uno sguardo e un raggio di sole che scalda appena

il corpo dell’uomo.

Tutto ciò per mostrare come quell’ordine cosmico cui anela l’ uomo non è altro che frutto di

sue proiezioni mentali, che risultano infine totalmente inutili.

Capitolo secondo

La messa in scena del passato e l’urgenza del nuovo (1800-1914)

Tensioni sempre più forti e sempre più contrastanti iniziano ad agire via via che ci si

addentra nel XIX secolo. Due grandi filoni architettonici attraversarono l’intero

Ottocento: quello prodotto o derivazione della rivoluzione industriale e

quello che invece persegue le vie della ricerca stilistica legata alla cultura del

passato . In altre parole si parlerà di architettura utilitaria e architettura neoclassica

entrambe radicate in quei “turbamenti dell’anima” che caratterizzano la stagione

romantica.

Nei progetti e nei disegni di Friedrich Gilly la rievocazione del mondo classico

ellenico si mescola con il pittoresco e l’idillico; ma la Grecia per lui vuol dire ben più che

uno stile: non tanto un ritorno a un linguaggio codificato, quanto piuttosto il tentativo di

liberarne le potenzialità espressive. Il momento di sintesi avviene con il progetto di

concorso per un monumento a Federico il Grande ; un complesso di elementi

tipici dell’architettura classica che aprirà la strada al Neoclassicismo tedesco

(Schinkel).

4

Lo stesso Medioevo è ripensato da i romantici in termini fortemente idealizzati, divenendo

un modello ideale. Nei quadri di Fredrich il tema della cattedrale assume un

significato che si rivela pura immagine, priva di reale “spessore”.

Delle continue oscillazioni e scambi di ruolo tra neogotico e neogreco , Karl

Friedrich Schinkel (1781-1841), allievo di Gilly, costituisce un caso del tutto

eccezionale.

Tra i suoi primi progetti di notevole importanza risulta essere il mausoleo per la

regina Luisa a Charlottenburg, realizzato in forma di tempietto dorico, ma

disegnato anche in una versione alternativa goticheggiante, a dimostrare la sostanziale

equivalenza dei due stili. “Il gotico ha in comune con il greco tutto, fuorchè lo stile”.

Ma è con il grandioso progetto di una Cattedrale per la Prussia che Schinkel

mostra di considerare il gotico lo “stile tedesco” , ma anche una materia progettuale

disponibile a interventi ulteriori.

Ma è un fatto degno di nota che gli edifici costruiti da Schinkel a Berlino presentino tutti

soluzioni riconducibili al classico, in un atto di trasformazione della capitale prussiana in

una nuova Atene. Neue Wache, Schauspielhaus, e Altes Museum

costruiti sullo stile classico variamente modulato nelle sue mani. Di quest’ultimo

lo spazio di mediazione fra esterno e interno, punto di scambio tra architettura e città,

rivela in pieno un intento pittoresco moderno.

Il viaggio in Inghilterra nel 1826 fornisce a Schinkel il materiale per raccordare

l’esperienza neoclassica con l’edilizia industriale: l ’utilizzo della ghisa per la

realizzazione di elementi architettonici o la razionalizzazione delle facciate con

il progetto per un Grande Magazzino o la Bauakademie. In ultimo esempio lo

Schloss Orianda in Crimea dove tradizione e innovazione vi si saldano come

colonne ioniche e lastre di vetro in una perfetta unità.

A Monaco di Baviera è invece l’architetto Leo von Klenze (1784-1864) a

interpretare le istanze di espansione e trasformazione della città. Accanto al parallelo che

esso costruisce tra Munchen e Firenze , egli sviluppa, come già accaduto a Berlino,

la relazione con Atene. È su tali presupposti che si radica l’evoluzione del Walhalla

presso Rogensburg, su un’altura boscosa in riva al Danubio: un’esatta immagine del

Partenone, che diventa il luogo di celebrazione degli “eroi” della storia e della cultura

tedesca.

Il fenomeno inglese del Gothic Revival si radica nel rapporto che si instaura

tra gotico e cristiano, dimostrato dal quasi esclusivo rivolgersi di esso verso l’architettura

ecclesiastica.

La posizione di Welby Pugin denuncia come la decadenza dell’arte e

dell’architettura dipende dalla decadenza della società, in gran parte determinata dalla

civiltà della macchina. Ma la società può essere riscatta attraverso il recupero degli

ideali e della vita medievale. In tale affermazione possiamo trovare per la prima

5

volta la stretta corrispondenza tra etica ed estetica. In questo senso, proprio la

presenza della mano di Pugin all’interno del Crystal Palace costituisce una sorta di

ultima prova: l’estremo tentativo di opporsi a ciò che lo stesso edificio rappresenta.

Non soltanto prodotto della civiltà delle macchine, ma macchina a sua volta, il Crystal

Palace riassume in sé e incarna in modo emblematico le esplosive tensioni che scuotono

l’architettura dell’Ottocento, raccolte nella Great Exhibition di Londra del 1851.

L’insoddisfazione per i progetti ricevuti spinge i committenti ad accettare la versione

elaborata da Joseph Paxton, un costruttore di serre. La forma dell’edificio trae

origine dalle grandi basiliche romane, mantenendo però la tipologia della serra.

L’aspetto fondamentale però è la standardizzazione di tutti gli elementi,

costruiti in fabbrica e assemblati sul posto, permettono di conseguenza il proprio completo

smontaggio e rimontaggio in altri siti.

In maniera ancora più eclatante ma comunque connessa a un discorso generale risulta ciò

che dentro al contenitore di Paxton si celebra: un rito collettivo che prende il nome di

“consumazione” estetica dei prodotti d’uso . Al Crystal Palace gli oggetti

esposti non si lasciano apprezzare sulla base del loro valore di scambio quanto piuttosto

attraverso la loro spettacolarizzazione.

Sullo sfondo dei disparati tentativi compiuti dalla cultura ottocentesca di trovare un proprio

stile si stagliano però anche figure di grandi architetti che affondano le mani nei materiali e

nelle forme fornitegli dall’ingegneria. È il caso di Henri Labrouste nella sala della

Bibliothèque Nationale (pilastri e volte in metallo).

Su un diverso versante si colloca la ricerca di Eugène Viollet-le-Duc (1814-79);

egli elabora una teoria architettonica in cui il sistema costruttivo gotico viene adattato

alle richieste dell’architettura del XIX secolo (pilastri a V).

Sul problema dello stile si appunta invece l’attenzione di Gottfried Semper , architetto e teorico tedesco. Nel suo pensiero la tecnica dell’intreccio costituisce il punto di

partenza per ogni nuova architettura: la trama e l’ordino costituiscono il carattere

strutturale dell’ornamento, identificando il ruolo che pietre e mattoni avranno

all’interno di una parete.

È certo significativo che Semper, insieme a Viollet-le-Duc e a Ruskin, rappresenti il

vertice del pensiero architettonico del XIX secolo, ma nessuna delle loro opere occupi una

posizione altrettanto rilevante. Attraverso questa disuguaglianza tra teoria e prassi che

vede realizzarsi nella netta distinzione tra ingegneria e architettura.

Proprio intorno all’ostilità fra tradizione e modernità ruota la posizione di Ruskin; egli vede

nel Medioevo un modello non soltanto storico, ma operativo : integrazione di

competenze diverse e carattere artigianale del lavoro.

È infatti proprio la tensione per un Medioevo slanciato verso il futuro che si ripercuote

nell’esperienza di William Morris e delle Arts and Crafts.

6

Di fronte alla necessità di arredare lo studio si presenta per la prima volta agli occhi di

Morris la povertà qualitativa della produzione di oggetti di

provenienza industriale , da cui l’esigenza di disegnarne e realizzarne di migliori in

modo artigianale.

Nella Red House , progettata per e con Philip Webb , lo schema a L dispone i

locali a fianco di un lungo corridoio, evitando lo scomodo attraversamento di tutte la

stanze. I suoi elementi sono improntati a un recupero dei caratteri romanici e gotici ma

comunque rivisitati in chiave moderna. All’interno mentre Webb progetta e a volte

addirittura reinventa mobili, Morris disegna motivi floreali su pareti e soffitti.

Finalità di questo lavoro di squadra è la produzione di oggetti artigianali di alta qualità A

tale scopo però vi è nei motivi floreali una tendenza alla stilizzazione

geometrica , più semplice e più veloce da realizzare per una produzione

industriale.

Una ricca articolazione dei volumi (es. della Red House), al pari di una stilizzazione e

semplificazione sempre più accentuate delle forme, definiscono nella sua interezza il

fenomeno della English Free Architecture (ultimi due decenni dell’Ottocento): la conquista

della libertà effettuata in primis dall’Arts and Crafts di Morris.

Tra i diretti successori va ricordato il nome di Mackintosh, in particolare nella

sua Glasgow School of Art dove la stessa convivenza di pragmatismo, precisione e senso

spaziali la si ritroverà nel primo Wright.

Non è accidentale che la parte estetizzante della English Free Architecture si

rintracci nella Secessione viennese; le somiglianza di stile testimoniano infatti le simili

condizioni sociali in cui operano inglesi e austriaci. E le condizioni di questi ultimi sono fino

al 1914 quelle di una monarchia che vive ancora immersa nell’idillico sogno di un mondo

dorato.

“Un’epoca trasognante del cattivo gusto”, ove regnano fenomeni sovrastrutturali ma vistosi

come quello della moda. Inserita in tale circuito, l’architettura perde il radicamento nei suoi

tradizionali capisaldi estetici, per divenire una variabile libera.

Rappresentatività e funzionalità trovano finalmente nell’Art Nouveau un tangibile

punto d’incontro. Nata per dare un volto a una classe borghese sempre più dominante

l’arte nuova segna, dopo secoli, il volontario allontanamento da ogni precedente modello.

La suo portata si amplifica in tutta Europa : Art Nouveau in Belgio e Francia,

Liberty in Italia, Jugendstil in Germania, Secessionstil in Austria,Modern Style in

Inghilterra, Modernismo in Catalogna.

Denominatore comune è un naturalismo oscillante tra floreale e zoomorfo, il suo

aspetto più particolare è proprio la singolare mescolanza di natura e artificio

(fiori e cemento armato).

Con il belga Victor Horta (1861-1947) il ferro fa il suo debutto nella sfera privata (scale e

bow-window).

7

Con Henry Van de Velde (1863-1957) le antinomie interne all’Art

Nouveau raggiungono il punto critico, oltre il quale non potranno che deflagrare.

Cimentandosi nell’alto artigianato, raggiunge con la costruzione della casa per se stesso a

Uccle, vicino a Bruxelles, la saldatura tra architettura e arti applicate: ne disegnò ogni

arredo e ornamento.

Nella seconda fase della sua carriera, i l superamento dei propri compiacimenti

decorati visti, a favore di una maggiore attenzione per la pura tensione

volumetrica, non lo porta però a superare l’equivoco di fondo : la

speranza di poter dominare i problemi complessi posti dalla moderna produzione,

mediante lo strumento dello stile.

La guerra combattuta dai giovani artisti e architetti di fine secolo contro l’ancora imperante

potere dello storicismo e accademismo registra a Vienna un significativo episodio: un

gruppo di artisti capitanati da Gustav Klimt , applicala la rottura definitiva, facendo cioè

secessione. Il loro organo di diffusione fu la rivista “Ver sacrum”, la sede invece,

nominata Palazzo della Secessione doveva essere, secondo il suo autore

Joseph Maria Olbrich (1867-1908), un “tempio dell’arte”.

Quadrato, cerchio, cubo, sfera sono le forme geometriche elementari ma

eterne (la grande chioma tondeggiante traforata di foglie d’aureo alloro). Dietro a tale

simbolismi di purezza e sacralità si rivela una realtà ben diversa: la non

trasformazione del Lavoro in Creazione, ma bensì la ricaduta della Creazione in

lavoro (formalismo), se non in mestiere (architetto-artista). La condanna alla

completezza che ne deriva è l’esatto rovesciamento, ma anche la più logica conseguenza

della libertà artistica professata da Olbrich.

A Chicago la scintilla del nuovo è innescata nel modo più tradizionalmente distruttivo:

da un incendio . La rapida ricostruzione diviene occasione per un radicale

ripensamento dei principi architettonici americani , fino a quel momento

interamente coincidenti con quelli europei. Ciò ha come risultato la nascita di un’inedita

tipologia di edifici per uffici: la struttura metallica , non più a vista ma bensì

riempita di materiale ignifugo, ripetuta su più livelli, è resa possibile dall’invenzione

dell’ascensore da parte dei fratelli Otis, presentata per la prima volta alla New York

Wolrd’s Fair del 1853.

Il primo interprete di questa tipologia e William Le Baron Jenney con l ’Home

Insurance Building e il Second Leiter Building. Lasciata alle spalle ogni velleità

stilistica, la “conquista del cielo” divine ormai l’unica attrattiva cui possa aspirare lo

skyscraper . Sarebbe tuttavia un errore scorgere nell’ascensione verticale solamente u

fatto speculativo: accanto a questo vive un’altrettanto forte necessità simbolica di

manifestare uno spirito commerciale.

8

È piuttosto dello studio più pragmatico di Jenney che transitano i giovani destinati a

lasciare un segno, come ad esempio Burnham e Luois Sullivan.

Del primo si ricorda in particolare il Flatiron (Fuller) Building a New York (1901-1903) in

forma di irrompente prua navale o di ferro da stiro, estrudendo per 22 volte il singolare

angolo acuto tra la Fifth Avenue e Broadway.

Infine, Louis Sullivan (1856-1924); nel Guaranty Building a Buffalo l’uso della

terracotta come materiale di rivestimento, insieme a quello funzionale dell’ornamento,

rimarca con chiarezza il suo obiettivo: conferire al grattacielo una dignità altrimenti

sconosciuta.

Il vertice della ricerca sullivaniana è rappresentato dal Carson Pirie Scott

Department ; qui si fa palese anche la profonda differenza che passa tra questi

ornamenti (ingarbugliatissime concrezioni metalliche sugli ingressi) e quelli

formalmente non dissimili partiti dall’Art Nouveau : nel caso di Sullivan non è la

borghesia a manifestarsi in tali intrecci ma casomai l ’espressione

dell’individualità dell’architetto, che attraverso l’ornamento vuole farsi

portavoce di una concezione superiore, romantica, dei rapporti tra società ed economia di

mercato.

Nella sua stessa patria, contro efferate leggi di profitto, Sullivan tuttavia perde tale sfida.

Espulso dalla grande città , il suo lavoro viene confinato in piccole cittadine: la

continua ricerca ex novo di una architettura statunitense si scontra con la prassi che via

via sta prendendo piede nel Nord America; ossia la battaglia per il

raggiungimento in altezza, di cui New York è portavoce. Urge infine l ’urgenza

di un nuovo stile che possa esprimere le nuove tendenze

costruttive , perché rievocare il passato ormai non è più sufficiente.

9

Capitolo terzo

L’esperimento del “moderno” (1900-1945)

L’affermarsi nel corso del XX secolo di un’architettura eminentemente moderna, solo in

maniera limitata può essere considerato il frutto dell’acquisizione di una tecnologia inedita.

Certo, il béton armé, così come le strutture a telaio in ferro, costituiscono le “armi” primarie

per le nuove importanti costruzioni moderne. Ciò tuttavia non sarebbe possibile in assenza

di un fatto importante: l’elaborazione di un’originale idea di moderno, la quale si

conformerà attraverso una molteplicità di fenomeni attinenti più alla società in generale

che a una specifica estetica.

Tra questi troviamo sicuramente il concetto di “igiene”, legato però a pratiche e a

comportamenti sociali. Aria, luce e sole si trasformano in dettami stilistico-estetici che

danno corpo a un’ideologia dello spazio concepito in termini asettici, la ricerca di una certa

“qualità” della materia che prediliga il liscio, il lucido, il semplice, l’esatto, l’uniforme, il

definito. Il tutto senza dimenticare che la tecnica stessa, è oggetto di una profonda

mitizzazione da parte di artisti e architetti.

È proprio il nuovo ambiente artificiale a determinare anche il comparire di nuove condizioni

di vita e inediti riflessi psichici, finendo così con il generare un caos multiforme .

La scoperta piranesiana che irrazionale e razionale debbono smettere di escludersi a

vicenda, si traduce ora nella constatazione dell’impossibilità di tenere separato l’uno

dall’altro.

L’accelerazione cui tutti i fenomeni moderni cui tutti i fenomeni moderni sono sottoposti ha

infatti il duplice effetto di espandere a dismisura lo spazio urbano e al tempo stesso di

disintegrarlo, determinando riflessi immediati sull’idea di architettura: si instaura ora

l’equivalenza macchina-architettura (costruzione dinamica).

Contro la trasformazione alienante del mondo l’unica salvezza possibile sembra quella

proposta dalle avanguardie. Impossessarsi della frammentazione del reale facendone

un’immagine, fissare lo scorrimento del tempo e del movimento, disarticolando la consueta

struttura di forme e figure, diventano le tecniche rispettivamente della pittura cubista e

futurista. Noi come Braque e Picasso, Boccioni e Balla, Marcel Duchamp tentano di

affermare un soggetto capace di dominare la crisi, sublimandola in opera.

Ma è soprattutto con il dadaismo che l’atteggiamento avanguardistico evidenza la propria

anima distruttiva, ma anche il suo tentativo di ripercorre le mitologie tecniche e

razionaliste, perventendone gli esiti. I ready-made duchampiani s’incaricano di costruire un

mondo assurdo, privo di senso, che rivendica tuttavia un proprio posto nella realtà.

10

Con Bruno Taut, come le immagini delle avanguardie artistiche più radicali, anche quelle

organico-cristalline assumono a proprio fondamento l’irrazionale.

Nei quadri suprematisti di Malevic e in quelli neoplastici di Piet Mondrian vige un’istanza

spirituale che, nella rinuncia a forme e colori naturalistici, tocca vertici di misticismo;

analogamente nel programma teorico del Bauhaus, il tema dell’unità arte-artigianato,

ispirata dall’organizzazione del lavoro medievale, trova una sua sintesi in una costruzione

totale.

Razionalità e crisi dunque convivono.

L’esperienza moderna si colloca dentro la crisi del costruire-abitare, le posizioni che ne

derivano oscillano tra la nostalgia di dimora e l’ottimistico tentativo di porre rimedio alla

sua mancanza; soltanto rarissimi sono i casi (Mies van der Rohe e Afolf Loos) di chi

sappia resistere alla crisi, limitandosi semplicemente a mostrarla.

Il rapporto architettura-città è il nodo decisivo per la comprensione della vicenda moderna.

Il ruolo che gli viene affidato è quello di organizzatore del ciclo di produzione che ha nella

città il suo momento unitario. Si modificano in tal modo sia la scala dimensionale che la

natura stessa dei suoi interventi: la ricerca tipologica prende il posto del lavoro sulla

singola forma; la messa a punto di una norma sostituisce l’anelito all’eccezione. In casi

estremi, come nel Plan Voisin di Le Corbusier o nella Groszstadt di Hilberseimer, la cellula

abitativa diviene l’elemento generatore del tutto. Ciò tuttavia, ancora una volta, non

comporta l’espulsione dell’irrazionale e il trionfo della ragione: si risolve infatti di sovente in

una delirante utopia del controllo.

In ogni caso, la cultura architettonica moderna si trova ad affrontare perpetuamente il

dilemma tra lo sfruttamento dell’inedita situazione d’indipendenza, liberata dai linguaggi

storicizzati, e la fissazione di un linguaggio sul quale fondare le proprie “certezze”.

1 Tecnica e tradizione: Otto Wagner

La figura e l’opera di Otto Wagner parte con la realizzazione della Ringstrasse, il

grande boulevard ad anello che circonda il centro di Vienna, in seguito alla demolizione

delle vecchie mura difensive.

Vessillo della prima fase della sua carriera è Villa Wagner , la dimora che

egli realizza per se stesso nell’immediata periferia di Vienna: ciò che compie è il tentativo

di far rivivere la forma della villa tardoromana o palladiana , con però una celata

attenzione spaziale.

Nel 1894 riceve l’incarico di progettare la metropolitana di Vienna ;

per Wagner la metropolitana non è concepibile come una serie di “pezzi unici”, essa va

interpretata invece, in senso moderno, come una complessa rete di segni, coordinati e

regolati da precise gerarchie, cui corrispondono diverse tipologie forme e cromie, del tutto

privi di nostalgie. La grandiosa opera di design coordinato a scala urbana

riguarda soprattutto i colori (bianco e verde) che fungono da segni di

11

riconoscimento : i l linguaggio classico viene piegato alle esigenze di

funzionalità, divenendo un nuovo stile.

Intrisa dello spirito dell’età della macchina, la Schnellbahn di Wagner, è forma della

velocità.

Tra le poche stazioni vincolate dalla logica tipologica, la fermata di Karlsplatz si distingue

dalle altre: qui Wagner pone i due identici padiglioni in stretta relazione con la vicina

Karlskirche.

Ancora più nobiliare, regale, risulta la stazione di Hietzing, di fronte al castello dello

Schonbrunn, riservata esclusivamente alla Corte imperiale. L’interno è trasformato in

lussuoso salottino d’attesa, riuscendo nella difficile impresa di “sposare” il più moderno e

democratico mezzo di trasporto e gli aristocratici eredi del Sacro Romano Impero.

Dal 1894 Wagner si occupa della realizzazione della Chiusa di Nußdorf facendone una

stupefacente porta d’ ingresso alla città, situata però in una posizione paradossalmente

eccentrica, periferica.

Manifesto del volto più brillante ma frivolo al tempo stesso di cui è capace la

capitale austriaca sono la Majolikahaus e la Casa “dei medaglioni”. Si tratta del tipo

di edifici che di lì a poco sarà oggetto delle critiche loosiane: case tatuate in superficie

da grandi ramificazioni floreali che ricoprono fittamente la facciata, nel primo caso, o

da piume e pennacchi dorati nel secondo.

Nel 1895 Wagner dà alle stampe Moderne Architektur , nel quale enuncia il

principio fondante del Nutzstil, lo stile utile : “Niente che non sia funzionale potrà

mai essere bello”.

L’edificio forse che ne rappresenta meglio i principi dello stile utile è la Postparkasse

di Vienna. Il “risparmio” non è soltanto la sua destinazione funzionale ma pure la sua

aspirazione simbolica: misurandosi con la dura lex dell’economia monetaria, la Cassa di

risparmio postale la traduce in termini architettonici; l’impressione che comunica è quella

di un’austera monumentalità ma si tratta in ogni caso di una monumentalità

moderna.

Potere dell’ordine, della regolarità, della puntualità, della perfetta organizzazione degli

uffici, in una sola parola bureaucratie.

Nel 1918 Wagner muore, prima ancora di aver potuto proseguire nell’esperienza

urbanistica appena intrapresa.

2 Etica dello stile e spirito del capitalismo: Hendrik Petrus Berlage.

Nel 1896 Berlage viene incaricato di elaborare un progetto nel quale si dovrà

rispecchiare lo spirito risoluto e concreto dei mercanti di Amsterdam. In questo senso egli

fa ricorso a uno stile neoromanico che subisce una progressiva depurazione, fino ad

assumere un aspetto asciutto e severo.

È soprattutto nel salone a tutta altezza della borsa merci che Berlage compie un

balzo in avanti nella definizione di un’architettura capace di tenere uniti rispetto

12

della tradizione e interpretazione moderna delle funzioni. La difformità

dei materiali e delle tecniche costruttive non è mascherata bensì resa omogenea mediante

l’uso del colore: è l’idea dell’unità nella molteplicità.

3 Estetica, forma e industria: Peter Behrens.

In Germania, diversamente dall’Olanda, lo Jugendstil costituisce la impalpabile base su cui

una società in rapida e massiccia industrializzazione cerca di far poggiare i propri

fondamenti estetici.

È tuttavia proprio dall’apparente sterile alveo dello Jugendstil pittorico che prende le

mosse il filone più importante dell’architettura tedesca d’inizio Novecento. È infatti da

quest’ambito che Peter Behrens intraprende la sua carriera concentrandosi sul

tema della linea ritorta, flessuosa e nervoso; linea però che fin sa subito appare quasi

plastica, tendente alla terza dimensione. Dietro la maschera in superficie

dello Jugendstil, Behrens nasconde lo studio attento dei tracciati

geometrici e della geometria solida.

La combinazione dei due elementi ha come esito il raggiungimento di una compiuta

classicità behrensiana, senza mai cadere nel neoclassicismo, nonostante i riferimenti

storici di Firenze.

Behrens realizza tre case: Haus Cuno, haus Scroder e Haus Goedecke. In esse la fase

“fiorentina” appare superata, a favore dell’utilizzo di un linguaggio quasi schinkeliano, per

quanto alleggerito dalle ornamentazioni.

Negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo l’industria tedesca vive una

contraddizione profonda: da un lato una sempre maggiore competitività tecnologica con i

paesi più sviluppati d’Europa e con gli Stati Uniti, dall’altro la scarsa qualità

estetica dei suoi prodotti.

A quest’ultimo ambito avevano lungamente dedicato le proprie attenzioni le Arts and

Crafts anglosassoni, e prima ancora William Morris. Proprio nel tentativo di riequilibrare

questi scompensi nel 1907 viene fondato il Deutscher Werkbund ; il 1907 è

anche l’anno in cui Peter Behrens viene incaricato della

consulenza artistica dell’AEG. Il fondamento comune di tutti i suoi interventi è

l’idea di moderna monumentalità architettonica, attraverso i principi del tempio antico.

Testimone è il senso di “sacralità” che scaturisce dal progetto per la Turbinenfabrik

di Berlino: nei pieni e vuoti di materia l’edificio e il tempio greco si

corrispondono nelle linee generali , secondo uno schema di riconoscibilità

approssimativa.

Nella Turbinenfabrik rigorose ragioni costruttive coesistono con altrettanto stringenti

ragioni simboliche. 14 pilastri di ferro rastremati e connessi a terra tramite cerniera e

nel cui intercolumnio vengono ospitate grandi pareti vetrate leggermente inclinate

13

verso l’interno, la trave secondaria e le sue nervature di rinforzo a ricordo del

triglifo, massicci elementi angolari di ordine gigante che si rivelano semplici

rivestimenti e il timpano sfaccettato che denuncia l’esatto andamento della

copertura.

4 Architettura e democrazia: Frank Lloyd Wright

Rispetto all’Europa, l’America di fine Ottocento è la patria del pragmatismo ma anche di

una singolare utopia: il paese dei liberi e delle possibilità.

La sua carriera ha inizio come apprendista nello studio di Adler e Sullivan traendo una

fondamentale lezione: per l’architetto che voglia perseguire la qualità, la metropoli è un

luogo “diabolico”, dove altissimo è il rischio di “perdersi”.

Nelle attività che intraprende sa solo Wright (1867-1959) individua fin da subito come

proprio fondamentale punto di riferimento una ben precisa committenza: la

classe agiata.

Il primo edificio commissionatogli, la Winslow House, dietro una sostanziale regolarità

nasconde una libertà nella disposizione interna, che contiene già in nuce le linee di

sviluppo posteriori.

L’evoluzione graduale ma costante che si verifica da un progetto all’altro conduce Wright a

mettere a punto, nel 1900 un modello di Praire House. Il concetto di prateria va inteso

in senso metaforico, poiché egli intende indicare l’apertura d’orizzonte alla quale la essa

predispone il suo abitante. Il motivo dell’orizzontalità giunge alla pienezza del suo

significato architettonico nella Robie House , costruita nella periferia di Chicago (1908-

10): qui infatti il marcato sviluppo longitudinale è ulteriormente rafforzato, e non

contrastato, dallo svettare dalla zona centrale della casa del monumentale camino .

Proprio il camino, del resto, definisce l’axis intorno a cui ruotano le ville wrightiane.

Essenziale risulta inoltre il controllo operato sulle fonti luminose, artificiali e

naturali . Da questo punto di vista gioca certamente un ruolo importante l ’ influenza

dell’architettura giapponese , certificata dal primo viaggio in Oriente del 1905.

Con i nodi lasciati irrisolti da Sullivan nei rapporti tra office building e dinamica urbana,

Wright cerca di confrontarsi nel Larkin Company Administration Building a

Buffalo . La soluzione spaziale si basa su un grande svuotamento centrale , un

pozzo a base rettangolare profondo cinque piani illuminato dall’alto da un vasto lucernario.

Intorno a questa “light Court” si sviluppa il resto dell’edificio. La scelta dell’open space

centrale può valere sia come una volontà di “rifugiarsi” dal mondo esterno, sia come una

concezione più trasparente ed egualitaria del lavoro.

Il tema di uno spazio vuoto predisposto per accogliere una comunità è

ugualmente al centro dello Unity Temple a Oak Park . La limitata disponibilità

economica costringe Wright a fare ricorso al cemento, ancora poco sperimentato a quella

data. Il concetto intorno a cui ruota fin dall’inizio il progetto è quello di unità. Proprio

l ’ impeigo del cemento lo spinge all’elementare forma del cubo,

incarnazione stessa dell’”integrità”.

14

Il Giappone, le culture precolombiane, la tessitura sono tutti motivi che si

presenteranno negli anni seguenti lungo il percorso wrightiano . Con l’Imperial

Hotel, costruito a Tokio (1913-21), tuttavia rinuncia alla libertà planimetrica propria della

cultura giapponese, e opta per uno schema tradizionale. La potenza inventiva Wright la

riserva per gli interni, combinandola con una grande accortezza strutturale (struttura

antisismica).

L’inesausta ricerca wrightiana si muove ora in direzione dell’individuazione di un sistema

costruttivo che esprima l’intima coerenza di struttura e ornamento, con una serie di case

realizzate in California tra il 1923 e il ’24. L’idea è ancora una volta quella della tessitura,

riguardante non soltanto la superficie dei muri, ma la loro stessa trama (blocchetti di

cemento raccordati da tondini d’acciaio e malta cementizia).

Evitando accuratamente ogni compromissione storicista, Wright di avventura con coraggio

nelle regioni delle “origini”, a contatto con le forze creative primogenie.

Non è forse casuale, in questa prospettiva, un’ennesima “fuga” o esilio che lo spinge

questa volta in Arizona. È nel deserto , in una situazione potenzialmente vergine, che

egli cerca e trova un nuovo inizio. Il grandioso progetto per il complesso

alberghiero San Marcos-in-the-Desert a Chandler, offre lo spunto

all’architetto per pensare a una inedita tecnica costruttiva naturalistica, che si ispira alla

naturalezza della crescita del catus saguaro. La sezione stellare del

saguaro suggerisce anche la configurazione esagonale delle piante dei diversi edifici.

L’epopea di Wright in Arizona ha il suo culmine nella costruzione dell’accampamento ,

Ocatillo Camp , destinato a ospitare lui, la famiglia e i suoi collaboratori impegnati nel

progetto per Chandler. Ciò che con esso si inaugura è una modernità rude , niente

affatto accomodante o rispondente agli standard di un “International Style”.

L’eccentricità di Wright a questo punto si radicalizza a contatto con la città: ciò che

prima era un suo rifiuto si traduce in una sfida nei suoi confronti. Nei progetti di

grattacieli egli incorpora elementi quali i sostegni usati nel National Life Insurance

Building (a fungo), mentre le torri-saguaro si offrono come una crescita organica che

dovrebbe “rinaturalizzare” il contesto urbano.

Rimane tuttavia in lui la presa di coscienza della complessità del problema, che riguarda

l’intera società, iniziando da quel momento a parlare di usionan architecture ( Usa union).

Nella sua idea, Usonia è quella entità armoica che gli Stati Uniti ora

non sono ma che dovrebbero diventare , e qui il discorso wrightiano si fa

intensamente visionario: “il proprio della terra americana è di combinare in maniera

singolare estensione territoriale e macchina ”. Il fondamento della libertà

usoniana, passa per questa paradossale unione, e tale si riversa sulle residenze.

L’applicazione di procedure macchini che alla casa usoniana non equivale a una

serializzazione bensì a una semplificazione delle operazioni costruttive che ha precisi

riflessi sulla forma. L’elemento caratterizzante sono le assi di legno che fasciano i corpi

edilizi in orizzontale.

Dal gruppo delle Usonian si stacca, pur facendone parte, la

Kaufmann House in Pennsylvania (1934-37). L’appellativo di “Fallingwater” con cui è

15

conosciuta descrive da un lato la situazione ambientale, e dall’altro il genere di relazione

che instaura con la cascata, facendosi cascata essa stessa. Il gioco di piani intersecanti e

aggettanti non cerca di confondersi con la natura circostante, qui Wright evoca il pericolo

ma soltanto per esibirne il controllo. Per l’architetto usoniano, costruire sulla

cascata significa stabilire una nuova alleanza tra tecnica e natura.

La definitiva rottura con il naturalismo segna l’ingresso dell’architettura di Wright in una

condizione diversa, più vicina alla natura e al tempo stesso più estranea al contesto nel

quale si colloca.

5 La “poetica” del cemento armato: Auguste Perret

In Francia , accanto al fiorire dell’Art Nouveau, si sviluppa un filone in cui l’architettura è

intesa innanzitutto come struttura. Un intenso dibattito teorico riguardante il sitema

trilitico greco e il sistema archiacuto gotico, in chiave strutturale e

affiancato da nuovi materiali come il cemento armato , avevano visto

coinvolti i nomi di Laugier, Viollet-le-Duc, Auguste Choisy e Julien Gaudet. Auguste

Perret (1874-1954) si inserisce in questa vicenda partendo da un precedente: la Casa

d’appartamenti in rue Franklin a Parigi (1903-04). La struttura è in calcestruzzo armato,

tale da consentire l’aumento della dimensione delle finestre e lo snellimento delle pareti

divisorie interne. Il retro è completamente vetrato e lascia scorgere la struttura. In facciata

invece superfici dominate da un rivestimento ceramico floreale, omaggio all’ancora

pienamente operante Art Nouveau. Ma non è questa la direzione che Perret insegue: la

costruzione per lui assorbe l’intero senso dell’architettura. Di notevole interesse è la

Chiesa di Notre-Dame de Consolation a Raincy, vicino Parigi (1922-

23): per la prima volta, dai tempi delle grandi cattedrali una chiesa viene mostrata nella

sua scheletrica nudità strutturale , ma si tratta di uno scheletro che parla il greco

non meno del gotico. L’assenza di facciata sostituita dalla torre campanaria, e di

conseguenza la “brutalità” dell’aspetto esterno , la visione caleidoscopica

dall’interno e i forti fasci cementizi che si slanciano verso l’alto la eleggono a “corpo

terreno” che incarna la potenza divina.

A Le Havre viene incaricato di redigere il progetto di ricostruzione del centro distrutto dai

bombardamenti. L’idea generale è quella di contrapporre al disordine urbano un ordine

fondato su regole, infranto da poche eccezioni, con l’intendo di dare vita a una tradizione

moderna.

6 Architettura della città industriale: Tony Garnier

Le applicazioni civili del cemento armato sono al centro anche dell’opera di

Tony Garnier (1869-1948). Egli ne mostra un impiego corretto, misurato, non

incline ai formalismi. Alla sua rinuncia ad atteggiamenti avanguardistici fa riscontro una

16

concezione dell’architettura socialmente avanzata: una vera e propria idea di città, a cui

Garnier riesce forma mescolando ipotesi realistiche e obiettivi ideali.

Ciò si ritrova infatti nel grandioso progetto della Cité Industrielle , elaborato

da Garnier nell’arco di quasi due decenni. Si tratta dello schema di massima di una città

d’”invenzione”, caratterizzata da una rigida separazione delle funzioni, impostate su

diverse griglie ortogonali variamente orientate a seconda delle differenti pendenze del

terreno. Garnier tuttavia non si limita semplicemente a far riflettere i caratteri delle città

reali in quelli della propria “finzione”; egli dà già per acquisiti alcuni progressi della società,

che sono però ben lontani dal realizzarsi nella città capitalista: esempio più eclatante è

l ’eliminazione dei contorni , con il libero attraversamento dei terreni e dei parchi, i

quali occuperebbero una superficie ben maggiore di quella residenziale.

L’esecuzione di edifici utilitaristici , a destinazione industriale o sociale, è affidata a

uno stile asciutto, moderno nella misura in cui tutto è informato allo scopo, ma al

tempo stesso ammiccante a una civiltà aurea,ellenica o pompeiana.

In sintesi un’ideologia nella quale si mescolano nostalgia dell’antico e volontà

di progresso .

7 Dialettiche dello spazio: Adolf Loos

Le oscillazioni di senso, le contraddizioni intrinseche al concetto di

modernità che si sono venute qui delineando, sono impersonate nel modo forse più

esemplare da Adolf Loos (1870-1933), senza però che tale esempio riuscisse a

divenire la “norma”. Ciò rende la sua figura al tempo stesso centrale ed eccentrica,

permanentemente inattuabile. Originario di Brno studia presso il Politecnico di Dresda e

successivamente intraprende un viaggio formativo negli Stati Uniti; Loos rimane

impressionato dagli habits della civi ltà americana segnando

indelebilmente il suo pensiero. Negli anni seguenti si stabilisce a Vienna dove si dedica

alla pubblicistica; arredamento e abbigliamento hanno un peso anche nei suoi

primi lavori d’interni, ma il suo vero esordio avviene con la sistemazione del Café

Museum (1899): pareti bianche, assenza di ornamenti, uso di materiali “pur” (legno,

specchi, sottili fasce di ottone). Per gli arredi Loos impiega elementi di produzione

materiale (sedie Thonet). Tanto straniante è il risultato finale da maritarsi l’appellativo di

“Café Nihilismus”.

Fin da subito l’approccio loosiano al progetto si pone in aperto dissidio con quello adottato

dall’Art Nouveau e dalla Wiener Secession. Là dove Van de Velde Olbrich praticano una

progettazione “totale” e un’architettura applicata alla sfera dell’arte, Loos rifiuta entrambe:

respingendo qualsiasi confondimento tra arte e utile “ Soltanto una

piccolissima parte dell’architettura appartiene all’arte: il sepolcro e il monumento”.

In quanto oggetto d’uso, l’architettura deve esprimere perfezione; quest’ultima

corrispondente alla bellezza, si rapporta con la praticità in modo tale che “una cosa poco

pratica è escluso che possa essere bella”, al contrario “la praticità non è sufficiente a

17

rendere bello un oggetto”. L’arte perciò in quest’ottica risulta sempre un’alienazione da ciò

che è reale e a cui si relaziona (sepolcri e monumenti).

“Das Andere” (L’altro) è il titolo che Loos sceglie per la propria rivista: essa tratta di

argomenti apparentemente effimeri, dai consigli sull’arredamento, al vestiario,

dall’alimentazione al galateo, dai caratteri da stampa alla scenografia. Ciò che emerge è

una vera e propria critica della civiltà , basata sui limiti dei linguaggi, sul loro

riconoscimento e la loro messa in opera. L’opera deve rendere divenire linguaggio,

incarnasi completamente in esso, mostrando materialmente la differenza con l’incapacità

dell’arte di raccontare.

Traduzione concreta di tali concetti è il “principio del rivestimento” : operare in

modo da escludere qualsiasi confondi mento tra materiale rivestito e rivestimento (legno e

marmo si mostrano con le loro cromie e sfumature naturali). Il dicibile dell’architettura si

identifica così con una sapiente operazione di composizione, con la precisione e la

raffinatezza con cui i materiali vengono accostati.

L ’ interno dell’American Bar a Vienna di compone si un pavimento a

scacchiera, il soffitto a cassettoni in marmo, specchi che amplificano all’infinto lo spazio,

sgabelli in pelle nera e arredi bordati in ottone luccicante.

L’altro polo, rispetto all’interno dell’American Bar, è lo svuotamento della facciata

della Looshaus in Michaelrplatz , edificio misto residenziale e commerciale.

Le ripetute ingiunzioni del Consiglio comunale contro la facciata proposta ne fanno un

emblematico “caso moderno”. La risposta di Loos cerca di spiegare come la facciata non

sia affatto “moderna”, ma bensì legata strettamente alla tradizione . Il

rivestimento del pianterreno e delle colonne classiche in marmo, la copertura in rame e la

stessa facciata intonacata a calce, sono tutti elementi dell’architettura tradizionale

viennese.

In Ornamento e Delitto il discorso è incentrato sulla critica

dell’ornamento . Storicamente l’ornamento appartiene all’ “infanzia” dell’umanità ;

l’”evoluzione della civiltà” tende invece a eliminarlo completamente. In rafforzo a tale

posizione è l’aspetto economico che Loos fa intervenire, spiegando come l’ornamento

risulti uno spreco di tempo, salute e quindi denaro.

L’aristocratico non rappresenta per lui il conservatore tout court, il nemico del progresso,

anzi paradossalmente trova il proprio alleato nell’uomo moderno. Ma qui nuovamente

bisogna saper distinguere: la modernità dell’uomo moderno sta nell’usare modernamente

il passato, nel renderlo utilizzabile ai propri fini.

Ed è proprio la difficile comprensibilità della capacità loosiana di coniugare l’idea di

modernità con le idee di tradizione, ad aver spesso indotto a equivocare il senso del suo

discorso.

Haus Steiner (1910) ne è una dimostrazione: con essa Loos costruisce la

contraddizione nel trattare facciata e interni. I volumi esterni , squadrati,

intonacati di bianco, privi di ornamenti come di simmetrie, sono completamente

muti . In questo sradicamento si rispecchia l’indifferenza rispetto alla metropoli,

custodendo la verità degli interni . È varcata la soglia, infatti, che si dischiude il regno

18

dell’abitante: cura per i dettagli , i materiali e lo spazio, dando vita ad ambienti caldi.

La capacità di far compenetrare i volumi, rivela spazi inattesi: progettazione spaziale “al

cubo”. Partire da un ricco interno verso un muto esterno, ove il punto di contatto fra i due

mostra la contraddittorietà ditale differenza (asimmetrie, disordinata apertura della

finestre).

Il trasferimento a Parigi lo mette in contatto con le avanguardie

artistiche : il poeta dadaista Tzara gli commissiona la propria casa, mentre quella per la

ballerina Josèphine Baker rimane allo stadio di progetto.

Con questi ultimi lavori Loos persegue la via di paradossali “straniamenti”, già

imboccata con il progetto di il concorso per la nuova sede del “Chicago Tribune” del

1922: un grattacielo a forma di monumentale colonna dorica.

8 Il sogno futurista: Antonio Sant’Elia

Alla prima esposizione d’arte del gruppo “Nuove Tendenze” organizzata a Milano

nel 1914, Antonio Sant’Elia presenta 16 disegni architettonici per una

immaginaria Città nuova . In un suo scritto afferma: “Il problema dell’architettura

moderna è quello di saper creare di sana pianta la nuova casa, di costruirla con ogni

risorsa della scienza e della tecnica, determinando così nuove forme.

Anche se tali argomenti risultano implicitamente contrapposti a quelli del Liberty, la

formazione di Sant’Elia avvenne proprio in quegli ambienti; evidenti sono inoltre influssi

della Secessione viennese, soprattutto con Olbrich.

Dai suoi circa 300 disegni , ciò che traspare nei tratti fondamentali degli edifici è

l ’ impossibilità che essi possano sorgere al di fuori della metropoli,

anche se ciò risulta estraneo alla situazione reale in cui si trova l’Italia.

Nei diversi livelli stradali, nella case a gradoni, nelle stazioni o nelle centrali elettriche

l’istanza è quella di diminuire l’importanza delle facciate , e di eliminare

dalle superfici ogni ornamento , a favore del materiale greggio o violentemente

colorato.

Il lavoro grafico di Sant’Elia s’incentra interamente su edifici privi di una localizzazione

concreta e spesso di una destinazione d’uso specifica: come Boullée prima di lui e Erich

Mendelsohn dopo, egli si confronta con oggetti che riassumono in sé l’assolutezza del

“tipo”.

L’esaltazione del dinamismo e del macchinismo della città,

richiama nei toni e nei temi il Manifesto del Futurismo , il quali

incorporerà in seguito il testo di Sant’Elia apparso nella mostra “Nuove Tendenze”.

La voce di Marinetti, a volte però, si sovrappone a quella dell’architetto

comasco, nel tentativo di dimostrare il carattere futurista dei suoi disegni; difatti questi

ultimi rivelano in realtà una fissità e una fermezza perfetta, nessuna allusione al

movimento . Movimento e velocità piuttosto sono intrinsechi alle forme architettoniche:

19

vale a questo proposito la distinzione di Boccioni tra “forma in moto (movimento

relativo)” e “moto della forma (movimento assoluto)” .

A ribadire l’eccezionalità del contributo di Sant’Elia va ricordato come nella sua Città

nuova, l’utopia del dominio del caos , tanto ricercata dai futuristi, non risolve in alcun

modo il problema, semmai piuttosto lo creano.

9 Utopia e contraddizioni della ragione: Le Corbusier

La figura di Le Corbusier (al secolo Charles-Edouard Jeanneret) occupa una

posizione cruciale nella vicenda architettonica del Novecento, ma ancora oggi risulta un

riferimento non soltanto per le opere ma anche per l’ambito intellettuale.

Le Corbusier nasce nel 1887, in Svizzera a La Chaux-de-Fonds. Una formazione tecnico-

pratica e una serie di viaggi costituiscono la sua formazione e l’iniziazione alle forme

architettoniche, come l’impressione che suscitò in lui la visione del Partenone : la

perfezione , né antica né moderna, ma eterna delle forme geometriche

solide , che si troverà in seguito nella sua definizione di architettura. (gioco

sapiente,rigoroso e magnifico dei volumi assemblati nella luce).

Nel 1914-15 dai primi studi che comincia a condurre, prende forma un sistema costruttivo

dalla parvenza elementare: la Maison Dom-ino. Tale modello è probabilmente

pensato in relazione alle necessità di abitazioni di rapida costruzione imposte dalla guerra,

ma al contempo rappresenta, più di ogni altra cosa, un manifesto . Chiara e distinta

come la capanna di Laugier, la Maison Dom-ino si fa profezia dell’architettura

futura .

Pressochè contemporanea, Villa Schwob a La Chaux-de-Fonds , è soggetta

alle oscillazioni dell’architettura di Jeanneret in quel periodo; egli infatti pone al centro del

fronte verso la strada l’elemento più incongruo e profetico al tempo stesso: una parete

bianca e liscia , racchiusa da mattoni e fiancheggiata da oculi ellittici (cornice delle

vecchie estetiche).

Con il trasferimento a Parigi , nel 1917, Jeanneret incontra Amèdèe Ozenfant

artista vicino alle avanguardie pittoriche parigine. L’interesse per la pittura ma non

solo, denota la crescente curiosità per discipline diverse dall’architettura, ma tutte volte

all’arricchimento di questa. Similmente, la rivista da lui fondata nel 1920, L”Esprit

Nouveau” , ha un’impostazione multidisciplinare, nella quale Jeanneret rielabora e

riformula idee di altri facendole proprie. La convinzione che ne scaturisce è quella di dover

agire e costruire in modo moderno. Ne è una prova la scelta del proprio pseudonimo ,

un nome memorabile,breve e pratico che può essere anche abbreviato: Le Corbusier .

Primo banco di prova di questa nuovo atteggiamento è la Maison Citrohan (per non

dire Citroen), modello di abitazione seriale del 1920-22. Le Corbusier concepisce ogni

elemento come pezzo di un più complesso assemblaggio , che partendo dalla

20

singola cellula abitativa giunge fino alla scala urbana. Comun denominatore delle due

prospettive è la macchina , assimilare la casa agli oggetti d’uso, ai mezzi di trasporto.

Nelle pagine di Vers un Architecture (1923) si svolge il tema della superiorità

estetica degli ingegneri sugli architetti: ovvero la capacità di rispondere correttamente a

problemi ben posti, privandosi d’intenzionalità stilistico-estetica.

Conseguenza è l ’applicazione del purismo in architettura : volumi netti,

lineari, elementari, al cui candore esteriore si abbina l’uso di colori primari per gli interni.

Nel progetto della Ville contemporaine, Le Corbusier appare impegnato nell’opera di

ricongiungimento tra architettura e urbanistica; tali vengono pensate come “motori” delle

trasformazioni sociali, anziché come loro prodotto. Ciò lo condanna a una fatale

superficialità ideologica.

Incoerenze e ripensamenti non mancano neppure nei noti 5 punti

della nuova architettura; ciò che Le Corbusier cerca di costruire attraverso i suoi

punti è un mondo compiuto, finito. Ma è sintomatico che le sue architetture migliori dello

stesso periodo contengono qualcosa meno o qualcosa più dei 5 punti. A Villa Savoye

a Poissy (1928-31) le quattro facciate sono tutte incatenate alla finestra in lunghezza;

una rampa continua (promenade architecturale ) attraversa diversi spazi,

enigmatici volumi curvil inei si installano sul tetto giardino. Tutte queste

“infrazioni” dimostrano quanto poco la nuova architettura si sottometta a un canone

prestabilito, e quanto invece si basi su capacità compositive.

Su tale differenza lo stesso Le Corbusier disse: “ La Costruzione E’ PER TENER SU,

l’Architettura E’ PER COMMUOVERE. Così, la griglia ordinata di pilastri portanti, a Villa

Stein-de Monzie, non determina alcuna regolarità né alcuna monotona ripetizione

degli spazi ai diversi piani. Contro i pericoli dell’arbitrio invece, Le Corbusier in pianta e in

alzato adotta “tracciati regolatori” basati sulla geometria del triangolo e della

sezione aurea.

Analogalmente in “quadrato magico” di pilotis della Ville Savoye genera eventi molteplici:

lo svuotamento del piano terra, ridotto a un nucleo vetrato e curvato in base al raggio di

sterzatura dell’automobile. Nel campo delle machines à habiter Villa

Savoye si lascia comparare piuttosto a un esemplare unico, a una

fuoriserie.

A una complessità macchinista rimanda la concezione di tre edifici rappresentativi: il

Palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra (1926-28), il

Centrosojuz (1928-35) e il Palazzo dei Soviet (1931) . Le Corbusier

opera un meccanico assemblaggio di componenti , non più di singoli elementi

costruttivi bensì di intere destinazioni d’uso.

Con il Pavillon Suisse alla Cité Universitaire di Parigi (1929-33), l’architetto svizzero può

finalmente sperimentare l’efficacia del sollevamento su pilotis di un edificio pubblico. Per la

prima volta gli snelli pilotis circolari vengono sostituiti da elementi “brutali” che

culmineranno con l’Unité d’habitation.

21

Un altrettanto surreale ballet mécanique viene proposto da Le Corbusier a

scala urbana , come soluzione per i problemi di circolazione e per la carenza di alloggi

che affliggono molte metropoli in diversi luoghi del mondo. Le proposte formulate per le

città sudamericane, così come per Algeri (Plan Obus1920-31) ruotano intorno

alla creazione di terreni artificiali abitati, organizzati come edifici-dighe o edifici-viadotti

sulle cui coperture piane si dipanano strade a scorrimento veloce.

L’elementarità del gesto con cui Le Corbusier sovrappone alle città i suoi

macrosegni architettonico-urbani, denuncia un approccio all’urbanistica che

tende a risolversi dal punto di vista zenitale. Ciò risulta in particolar modo

evidente dal rapporto che il Plan Obus istituisce con la casbah, scavalcata da un

imponente viadotto; o dalla perfetta gratuità del calligramma arabo composto dalle stecche

residenziali.

Per altre città, a partire dal 1930, Le Corbusier mette invece a punto uno schema più

rigoroso : le linee generali sono quelle del Plan Voisin per Parigi , suddiviso in

zone a differente destinazione d’uso.

Con meno variazioni tale schema di urbanizzazione, condensato nello slogan “ciel,

espace, arbres” e noto sotto il nome di Ville Radieuse , viene offerto a Mosca,

Anversa, Buenos Aires e a Manhattan, con un’indifferenza per le differenze economiche e

culturali che rivela un caratteristica comune fondamentale: l’umano.

Alle medesime oscillazioni va del resto soggetta la sua ideologia, in un momento storico

cruciale dal punto di vista politico quali sono gli anni trenta e quaranta.

10 Norma e forma: Deutscher Werkbund

Das englische Haus, l’opera in tre volumi pubblicata da Muthesius al termine di un

periodo di sette anni trascorso in Inghilterra, costituisce il punto di partenza di un dibattito

che porterà, nel 1907, alla fondazione della Deutscher Werkbund . Centro focale del

libro è la casa, vista come luogo di concentrazione di oggetti: dagli elementi di cui la casa

stessa è composta agli oggetti d’uso che in essa sono contenuti. A tali oggetti la cultura

delle Arts and Crafts inglesi aveva dedicato, negli ultimi decenni dell’Ottocento,

una particolare attenzione progettuale. Agli occhi tedeschi, il sistema degli oggetti

anglosassone s’impone come modello a cui adeguare la propria produzione

industriale , ancora scadente dal punto di vista dell’estetica.

In realtà gli obiettivi del Werkbund sono di portata molto più ampia, avendo

l’ambizione di rifondare la cultura dell’abitare sulla base di uno “stile tedesco”:

la necessità di adattare il lavoro progettuale all’industrializzazione , attraverso

forme tipizzate e facilmente riproducibili.

Scontri interni tra i componenti e la controversia tra Muthesius e Van de Velde, porta

l’elezione a presidente dell’associazione Poelzig ; egli propone fin da subito un nuovo

corso: il superamento della logica industriale e commerciale a favore

22

dell’introduzione di una struttura artigianale sul modello medievale .

Il riferimento al Medioevo, come nel caso del Bauhaus, inaugurato in quello stesso anno, è

spirituale. L’evocazione mira al sogno del recupero dell’”unità dell’attività artistica” può così

tornare a compiersi nell’”architettura”.

La duplicità di arte (Kunst) e artigianato (Handwerk) va progressivamente eliminata per

creare un tutt’uno, un apprendistato di tipo medievale.

Il fallimento di questo tentativo è sancito nel 1921 dall’abbandono della

presidenza da parte di Poelzig.

Il Werkbund si ritrova così ad appoggiare una sintesi di procedimenti costruttivi

industrializzati e di componenti edilizie standardizzate che dà luogo a un linguaggio

effettivamente unitario. Occasione è la mostra dedicata all’abitare organizzata a Stoccarda

nel 1927 ; qui, in un’area collinare sorge la Weissenhofsiedlung, un quartiere

residenziale composto da una ventina di edifici. Incaricato della direzione artistica è

Ludwig Mies van der Rohe . Riprendendo le tematiche dibattute all’interno del

Werkbund negli anni precedenti, Mies avverte: razionalizzazione e tipizzazione sono

soltanto una parte dei mezzi, i l problema della nuova abitazione è

fondamentalmente un problema spirituale.

La depressione economica che colpisce la Germania fin dal 1929 fa esplodere del tutto le

contraddizioni interne al Werkbund, dichiarandosi quest’ultimo sconfitto riguardo alla

causa della qualità.

11 La provincia pedagogica: Walter Gropius e il Bauhaus

Il nome di Walter Gropius è inevitabilmente legato alla creazione e la

direzione del Bauhaus , dapprima a Weimar e poi a Dessau.

Come fa egli stesso, bisogna sforzarsi si superare posizioni preconcette: dichiarando la

propria inettitudine al disegno , non esita tuttavia a intraprendere la

carriera di architetto , trasformando così per sempre il modo di intendere la

professione (gruppo di lavoro).

Gropius comincia la sua carriera nello studio di Behrens e

successivamente si trova incaricato di progettare parte del complesso delle officine

Fagus ad Alfeld .

L’alternanza tra sostegni e vuoti vetrati a prima vista può rammentare la lunga facciata

laterale della Turbinenfabrik; in realtà le differenze sono più significative delle somiglianze.

Gropius rinuncia a rinforzare otticamente gli angoli , e anzi li svuota

completamente eliminandone i pilastri .

Tuttavia nel suo pensiero convive il paradossale interesse per la moderna

produzione industriale e il lavoro artigianale . La posizione da lui assunta

nella controversia tra Muthesius e Van de Velde, lo vede in sostanza a favore di

quest’ultimo.

23

Nel 1919 Gropius indica nella trasformazione delle scuole d’arte in

laboratori-scuola e nell’opera d’arte unitaria, le direzioni da perseguire in campo

didattico. Il programma del Bauhaus utilizza le medesime parole: riunificare in una

nuova architettura tutte le discipline pratico-artistiche : scultura, pittura,

arte applicata e artigianato. Come nella cattedrale medievale, infatti le arti e i mestieri

insegnati al Bauhaus dovrebbero trovare nell’opera architettonica la loro unità.

Paradossalmente, all’interno del programma proprio la materia “architettura” è assente;

secondo Gropius essa deve scaturire dall’accostamento delle diverse discipline e pratiche

di laboratorio.

Decisiva per la svolta geometrica del Bauhaus è la nomina di Moholy-Nagy a direttore del

Vorkurs (corsi propedeutici), ma anche l’influenza esercitata da TheoVan Doesburg

(pittore tedesco) e dal neoplasticismo di De Stijl sugli allievi.

Al di là di tutto il nucleo intorno a cui ruota la scuola è il tema della casa; il progetto della

Haus Sommerfeld a Berlino (1920-21) è firmato da Gropius e Meyer: la

vagheggiata cattedrale medievale si presta a essere ritrovata

anche in una comune abitazione .

In occasione dell’Esposizione dei prodotti del Bauhaus del 1923 Gropius comincia

a parlare per la prima volta del binomio arte e tecnica , come nuovo

traguardo da raggiungere: anzichè cattedrali, macchine per abitare. I primi oggetti che

escono delle officine del Bauhaus tendono a uno stile della funzionalità , che con

la riduzione dell’oggetto a scheletro rende l’idea dell’equivalenza di struttura e

bellezza .

L’utopia di Gropius trova così nell’oggetto d’uso un microcosmo in cui far rispecchiare

un’umanità riscattata dalla qualità del lavoro.

Il modificato clima politico a Weimar determina la chiusura del

Bauhaus, la cui nuova collocazione a Dessau diviene occasione

per la progettazione di una nuova sede (1925-26) All’elaborazione del

progetto provvede Gropius: la concezione architettonica poggia sull’idea di unità. Le

numerose funzioni sono distribuite in corpi indipendenti ma al tempo , stesso raccordati tra

loro a formare un unico organismo .

Nel 1927 viene chiamato l’architetto Hannes Meyer a dirigere la nuova sezione di

architettura. Nonostante lo sfruttamento commerciale degli oggetti brevettati cominci a

dare i suoi frutti, il nuovo indirizzo sociologico assunto dalla scuola ( insegnamenti di Klee

e Kandiskij) e la sua progressiva politicizzazione , danno luogo a crescenti

tensioni interne che sfociano, nel 1930 , nel licenziamento di Meyer e della

sua sostituzione con Mies van der Rohe . L’impostazione data da Mies

conferisce ulteriore centralità al progetto architettonico.

Prima ancora di poter diventare una scuola alla maniera miesiana, tuttavia, i l Bauhaus

viene chiuso, nell’estate del 1932 , a causa delle sempre più difficile situazione

politica vigente a Dessau.

24

Né le dimissioni di Gropius, né la cessazione delle attività hanno però il potere di porre

una pietra tombale sul Bauhaus; sarà proprio Gropius, negli anni seguenti, a pubblicizzare

e spesso a migliorarne l’immagine.

12 I discepoli di Scheebart: Bruno Taut e l’architettura “espressionista”

Nel 1914 Scheebart pubblica il suo libro intitolato Glasarchitektur .

Primo di tutti è Bruno Taut a raccogliere il messaggio dell’autore; nato nel 1880 nei

suoi primi lavori sono evidenti gli influssi della maniera Jugendstil.

Nel 1914, a Colonia, pur tra notevoli difficoltà economiche, Taut riesce a far costruire la

Glashaus , un piccolo padiglione che si avvale della collaborazione delle

industrie tedesche del vetro . Una cupola dal profilo ogivale composta da lastre di

vetro romboidali, posta su di un tamburo composto da sottili pilastri in ferro e pareti in

vetrocemento. L’unico scopo di tale costruzione è di essere solamente bello .

Lo scoppio della prima guerra mondiale costringe Taut ad occuparsi della stesura di libri

riguardanti tematiche urbanistiche e dotati di una forte carica utopica e immaginativa.

Nel 1921 viene nominato assessore all’urbanistica nel comune di

Magdeburgo ; egli avvia una campagna di rinnovo cromatico delle facciate

della città oltre alla costruzione di quartieri residenziali dotati di servizi

e animati da vivaci colori nel tentativo di conferire un forte senso d’identità .

La denominazione di “espressionisti”, compreso lo stesso Taut, è tarda e fornisce soltanto

un’indicazione generica.

Mentre la pittura espressionista si connota come deformazione violenta della realtà,

l ’architettura espressionista si configura invece come progetto di

un mondo alternativo. Non a caso , come proprie fonti d’ispirazione, essa assume

periodi e culture lontane: quali i l Medioevo e l’Oriente ; oppure figure del tutto

estranee al patrimonio architettonico.

Centrale nell’opera di Poelzig è il problema della forma: essa non prescinde

dallo scopo , ma in qualche modo lo trascende a concrescere come materia vivente.

Tecnica e tradizione sono il presupposto da cui scaturisce la forma. Agli esatti antipodi di

una libertà creativa espressionista, il lavoro formale di Poelzig consiste

nell’assunzione di precisi riferimenti iconografici (Domus Aurea).

Il problema della forma occupa una posizione preminente anche all’interno dell’opera di

architetti come Erich Mendelsohn e Hans Scharoun.

Per Erich Mendelsohn (1187-1953) la forma è qualità sintetica. Nasce

dall’imediatezza del gesto, ma sopravvive anche nella successiva fase di

rielaborazione. Si tratta di abbozzi che rappresentano l’essenzialità del progetto,

evidenziando lo sviluppo dinamico dell’edificio. Il fluido profilo di una torre si materializza

nel 1920 nell Einstenturm a Potsdam vicino a Berlino. Alla sommità la torre ospita un

25

osservatorio e sulla base un laboratorio astrofisico. L’effetto complessivo è quello di un

pezzo di materia solida portata allo stato di fusione, con consistenza all’apparenza

malleabile; riferimento forse alle deformazioni spazio-temporali teorizzate da Einstein.

Nei Grandi magazzini Schocken di Stoccarda (1926-28) Mendelsohn trova un

linguaggio conforme all’artificialità intesa come condizione metropolitana. Più che da un

freddo diagramma questa architettura si lascia sintetizzare da un energico schizzo:

prospetti solcati da fasci di linee orizzontali, facciate in curva, lettere cubitali, scandiscono

tutti insieme il ritmo a cui pulsa la vita delle metropoli e sottolinea la

direzione di scorrimento dei flussi di traffico.

14 Architettura o rivoluzione: architettura russa tra le due guerre

Nel novembre del 1920 a Pietrogrado (Leningrado) viene esposto a l pubblico il modello in

legno del Monumento alla III Internazionale , progettato da Tatlin.

Si tratta di una struttura a doppia spirale , interamente in ferro che

raggiungerebbe la prodigiosa altezza di 400 m. All’interno tre volumi sospesi con cavi

d’acciaio ospitano altrettante sale riunioni rotanti con velocità differenti. Perfetta fusione

delle istanze di modernizzazione sottesi alla Rivoluzione d’Ottobre.

Il terreno dal quale hanno origine questi progetti, a metà strada tra la scultura e

l’ingegneria, è quello delle ricerche artistiche precedenti la Rivoluzione del 1917; ricerche

volte alla rottura dei linguaggi canonici al pari passo delle avanguardie

artistiche.

Emblematici al riguardo sono i dipinti astratto-geometrici di Lissitskij,

attraverso i quali, egli profetizza, che si giunge all’architettura.

Il passaggio dalla staticità all’azione, così come il passaggio dalla cultura estetica alla

“cultura degli oggetti”, costituiscono i presupposti per un’arte “rivoluzionaria, che fa della

diagonale il proprio elemento caratterizzante, capace di superare la fermezza

dell’orizzontale e del verticale.

Spesso paragonato al Bauhaus, il VChUTEMAS raccoglie l’eredità delle correnti

artistiche d’avanguardia sviluppatesi in Russia nel corso degli anni dieci, e costituisce

terreno fertile per le ricerche costruttiviste . Fra i vari allievi: Konstantin

Mel’nikov, Aleksandr Vesnin, Il’ja Golosov, El Lissitskij, Vladimir Tatlin.

Aleksandr Vesnin nella versione definitiva per il progetto del Palazzo del

Lavoro , la volumetria generale risulta il prodotto di un montaggio meccanico di

pezzi diversi; l’universo macchinista viene così assunto nella sua architettura in un

duplice senso: come metafora del caos della metropoli, e come assemblaggio di elementi

che compongono l’edificio come una macchina urbana .

In seguito però, l’architettura sovietica evolve verso una tendenza alla narratività

formale ; tale tendenza emerge nelle prime opere di Golosov (1883-1945),

scontrandosi con il dinamismo dei cubo futuristi

26

Nel progetto per il Palazzo del Lavoro (1922-23), egli immagina spazi voltati definiti dal

profilo di ruote dentellate, ove si insidia una torre cilindrica fatta a traliccio metallico, quasi

come una Torre di Pisa dell’età della macchina.

I progetti di Golosov dal 1925 in avanti perdono la loro carca immaginativa, per

cristallizzarsi in un linguaggio più sobrio. Permane comunque una spiccata

sensibilità per i “moti interni alle masse” ,rintracciabile nella soluzione di

incastonare un cilindro di vetro nell’angolo di un volume squadrato .

La libertà creativa legata alla Rivoluzione trova un ulteriore strumento nell’uso dei colori:

tenui, sfumati, pittorici e assolutamente originali negli accostamenti.

Tuttavia sia forme che colori non riescono minimamente a interpretare le istanze reali

di una società posta al cospetto di problemi di smisurata portata.

All’interno di tale articolato scenario si staglia la figura di Mel’nikov (1890-1974)

dove il tema del dinamismo risulta ancora presente .

Lo dimostra il carattere essenziale e vigoroso del Padiglione Sovietico, il cui

successo pone l’architetto ad avere fama internazionale , proprio mentre viene

celebrato l’effimero trionfo delle Arts Déco. Lo schema planimetrico rettangolare è

sorprendentemente infranto dal taglio diagonale che lo attraversa in lunghezza,

determinando a sua volta due forme trapezoidali. In alzato la copertura della diagonale-

scalinata è composta da falde oblique alternate, evocazione e allo stesso tempo

“decostruzione” del tetto a falde. Una torre portabandiera risolve l’esigenza razionalistica

di slancio verticale.

Il formalismo geometrico di Mel’nikov non è astratto , si compone di

elementi del linguaggio macchinista, di simboli e di frammenti del classicismo, di stridenti

campionature di materiali.

La serie dei club operai (sette) è il banco di prova in cui egli sperimenta la

magnetica capacità di attrazione che il suo linguaggio riesce a esercitare sulla classe

lavoratrice: sperimentazione e continua variazione dell’ interpretazione del

tema del club operaio.

Nel club Rusakov i volumi delle tre scale superiori gradonate, convergenti verso il

vetrice del triangolo planimetrico, sporgono plasticamente a sbalzo, manifestando così la

loro funzione anche al’esterno. Due sono le possibili rappresentazioni emblematiche: i

denti di un immenso ingranaggio, o un altrettanti gigantesco

megafono.

Nell’accostamento di materiali fra di loro incongrui la tecnica dello straniamento permette

di operare imprevedibili rigenerazioni linguistiche: la forma ne esce rinnovata pur

attingendo a repertori già noti.

Come nel progetto per il Palazzo dei Soviet (1932), dove una possente mano

semiconica tiene nel suo palmo la sala per le assemblee plenarie. Proprio con questo

progetto, tuttavia, Mel’nikov intraprende la via senza ritorno dell’uso di

apparecchiature sempre più deliranti.

27

Le contraddizioni che caratterizzano la sua opera sono le medesime che si presentano

anche in quella di Leonidov, con l’aggravante, a carico di quest’ultimo, del suo

ancora più elevato potenziale visionario .

15 L’eccezione e la regola: Scuola di Amsterdam e De Stijl

“I giovani non hanno pazienza; da subito desiderano la terra promessa della bellezza

architettonica”. È da queste premesse che deriva la moderna Scuola di

Amsterdam . I giovani come Van der Mey, Kramer, De Klerk

vogliono esprimere, ciascuno secondo il proprio carattere, la

costruzione e l’ornamento .

Alla grande richiesta di alloggi per le classi lavoratric i in Olanda si

deve il primo edificio moderno che, pur palesando la propria discendenza neomedievale di

Berlage, rappresenta una netta reazione nei suoi confronti; con il suo scheletro in cemento

armato esibito in facciata, ma anche con il ricco apparato decorativo esterno e interno in

pietra, laterizio, vetro e ferro battuto, lo Schhepvaarthuis di Amsterdam (1912-

16) dichiara infatti tale volontà.

La presenza più o meno sotterranea di Wright è quasi una costante nella

produzione degli architetti della Scuola di Amsterdam, come nelle opere di Michel

de Klerk .

Sempre in Olanda, negli stessi anni si sviluppa una secondo movimento

denominato“De Stijl” , dal titolo della rivista intorno alla quale si crea un gruppo di

artisti che si ricollegano all’esperienza delle avanguardie. Le premesse

fondamentali delle due correnti sono comuni, mentre gli esiti si

differenziano nettamente.

Le prime tracce di questa seconda corrente si ritrovano in Villa Henny (1914-16) di Robert

Van’t Hoff, dove si anticipano, in contemporanea con la Maison Dom-ino, le possibili

applicazioni del cemento armato alle costruzioni residenziali, accompagnate ancora una

volta dall’influenza wrightiana.

La via olandese che conduce a una sempre più forte accentuazione della

scomposizione volumetrica in architettura passa tuttavia attraverso un

necessari passaggio pittorico . L’evoluzione artistica di Piet Mondrian trova

proprio nella costruzione tridimensionale un suo punto ideale di approdo. La divisione della

superficie del quadro in campiture cromatiche ortogonali che tendono verso un’elementare

purezza, attraverso l’impiego di colori primari, fornisce un piano di lavoro che si traduce

dagli adepti del “neoplasticismo” in un principio concreto di edificazione di oggetti d’uso. Il

tradimento del discorso di Mondrian ha luogo invece con la sua riduzione a gioco

cromatico.

28

Theo Van Doesburg (1883-1931), pittore autodidatta, nel 1916 conosce

Mondrian e Oud e ne consegue, nello stesso anno, la fondazione di De Stijl.

Contro l’ idea di una libera espressivi tà creativa , Van Doesburg

definisce un operare rigoroso e libero da emozioni , in cui far confluire le

tre arti fondamentali (pittura, scultura e architettura).

Tuttavia è soltanto nel 1923, dopo la rottura con Oud e l’esperienza col Bauhaus a

Weimar, che Van Doesburg decide di impegnarsi nel campo dell’architettura.

Perdita della staticità e della centralità prospettica sono i suoi punti

cardine: essi comportano una connessione di spazio e tempo che corrisponde ad

un’architettura quadridimensionale (Maison particuliére 1923).

Come già successo in altre circostanze, l’innovazione del messaggio

avanguardista si vanifica nel momento stesso della sua

realizzazione materiale . Non è un caso che i migliori lavori scaturiscano da

chi si è mantenuto ad una certa distanza da slogan e manifesti

esuberanti.

Esemplari a tal proposito sono le opere di Gerrit Rietveld (1888-1964); egli

realizza una sedia di legno che è costituita da pochi elementi geometrici che ne

individuano le parti essenziali, sottolineati dalla gerarchia dei tre colori

fondamentali e del nero . Il medesimo processo di scomposizione logica è

applicato anche a Casa Schröder a Utrecht (1924).

La casa, libera su tre lati, non si presenta come un volume cubico dentro il quale siano

stati intagliati le finestre e i locali, bensì al contrario, come un assemblaggio di lastre

orizzontali e verticali, tenuto insieme da travi profilate di metallo lasciate a vista e dipinte

con colori primari. La flessibilità che ne deriva appare il paradossale riflesso del

meccanicistico ordine e delle perfetta organizzazione degli spazi e degli elementi.

In Pieter Oud (1890-1963) è presente la stessa capacità costruttivo e spaziale, per

quanto inizialmente filtrata attraverso le finalità di De Stijl.

Il tirocinio ad Amsterdam e a Monaco e la frequentazione con Berlage lo predispone a una

comprensione del carattere costruttivo dell’architettura . La tendenza a

un’esattezza geometrica s’incrementa ulteriormente dopo il 1916, data del suo incontro

con Van Doesburg. Il processo di graduale razionalizzazione delle forme prosegue e trova

il suo compimento nel quartiere operaio che Oud costruisce presso Rotterdam

(1924-27); un elegante rendez-vous di forme curvilinee innestate le une alle altre e

lasciate librare su estese pareti di vetro a loro volta ricurve. Ma l’effetto non sarebbe lo

stesso se alla base de tutto non si trovasse una ferrea regola lineare :

un’immacolata striscia muraria longitudinale ritmata da finestre modulari in orizzontale.

Non è un caso quindi che Oud citi la purezza classica come parametro di riferimento, per

quanto sia comunque da superare. Fatto sta che nel Palazzo della Shell, i

dettagli decorativi e i rivestimenti in maiolica bianca e colorata oltre a sollevare

polemiche, mostrano come il discrimine tra modernità e nuova

29

classicità è il più delle volte una questione di gusto (contro

l’affermazione principi estetici = posizioni etiche).

La parabola professionale di Oud si concluderà dopo la guerra con un revival

neoplastico , in cui forme e colori De Stijl compaiono sotto forma

mnemonica , ma anche con la realizzazione di complessi non più concepiti come parte

di un tutto, bensì come episodi isolati, quasi frammenti di memoria architettonica

(maniera “rossiana”).

16 Elementarità e funzionalità: architettura tedesca tra le due guerre

Nel 1921, in concomitanza con la destituzione di Poelzig dalla presidenza del Deutscher

Werkbund, Heinrich Tessenow (1876-1950) rassegna le proprie dimissioni

dall’associazione, forse anche in merito alla sfiducia nei confronti dell’industria tedesca,

ritenuta responsabile del genocidio della guerra.

Per Tessenow le città di piccole dimensioni fondate su un’economia

artigianale rappresentano l’immagine di una società armonica e pacificata.

La sua architettura si compie nel totale sradicamento dalle nuove forme culturali, in

parallelo a un radicamento in pratiche costruttive lungamente tramandate .

In quest’ottica, le costruzioni tessenowiane finiscono col risultare provocatorie e

spiazzanti. In realtà Tessenow è tutt’altro che anacronistico rispetto al suo tempo: lo

dimostrano le sue concezioni, ribadendo la fondamentale importanza

dell’uniformità come mezzo per l’ottenimento di un ordine .

La semplicità delle soluzioni proposte in case per operai e per la piccola borghesia è quasi

disarmante: volumetrie regolari, tetti a falde, porte e finestre disposti simmetricamente,

danno forma all’essenziale, che per Tessenow è il primo compito dell’architetto.

Per i muri esterni egli teorizza il grigio come colore neutrale, mentre gli interni sono

ragionati sulla considerazione degli aspetti della vita che in essi si svolge.

Nell’Istituto Dalcroze di Hellereau (1910-12), l’architettura impiegata è ricolma di

una purezza quasi utopica .

“Un buon lavoro artigianale teme sempre l’originalità, ma non ciò che è consueto o la

ripetizione, che porta sempre con sé la sua spiegazione”.

Di una chiarezza sconcertante e di un’implacabile coerenza sono invece il libro

Groszstadt Architecktur (1927) di Ludwig Hilberseimer (1885-1967)

e i progetti che egli elabora intorno al 1923-24. Tema comune è l ’architettura della

grande città : tale aspira al rigore e all’essenzialità e corrisponde al modo di vivere

dell’uomo di oggi nella sua collettività.

A questo fine Hilberseimer individua la miglior soluzione in un sistema basato sulla

sovrapposizione di due livelli stradali e insediativi : quello inferiore,

riservato al traffico veicolare e alle attività lavorative, e quello superiore destinato alla

circolazione pedonale e all’edilizia residenziale. In sostanza sono gli spostamenti verticali,

30

e quindi la verticalità, su cui si basa la sua proposta. I blocchi edilizi sono volumi

cubici elementari estesi in larghezza e altezza, scanditi in facciata unicamente da

finestrature regolari: l’immagine complessiva che viene assumendosi è quella di una

monumentale unità . Dalla disposizione planimetrica dei singoli vani nasce l’edificio

e, in base ad un’organizzazione funzionale, l’intero blocco: ne scaturisce

un’architettura metropolitana .

Accanto all’esperienza teorica di Hilberseimer, ma al tempo stesso in totale antitesi, si

colloca quella di Ernst May (1886-1970) a Francoforte.

Là dove infatti Hilberseimer pianifica un intervento complessivo, May accetta la

parzialità e a volte anche l’isolamento cui sono costrette le

SIedlungen . Inserite tra le preesistenze storiche, egli pone le sue “oasi felici” per la

classe operaia.

Nel 1925 viene nominato assessore all’edilizia di Francoforte ed è soprattutto on la

realizzazione di quartieri di case d’affitto a prezzi agevolati e

dotate di vari comfort , ad attirare l’attenzione internazionale su tale esperimento.

Vi è infatti sottesa un profonda e qualificata operazione culturale che lo spinge pure alla

pubblicazione di una rivista mensile “Das neue Frankfurt ”.

Se la forza dell’azione di May a Francoforte consiste nella capacità di connettere discorsi

in apparenza antitetici, come l’approccio scientifico ai problemi dell’abitare con la

coscienza della città storica, in Unione Sovietica tale metodica viene a mancare.

Il piano per la Grande Mosca (1932) ruota intorno alla realizzazione di quartieri periferici a

“grappolo”, con il conseguente decentramento del centro storico e la sua riutilizzazione

come centro direzionale.

17 Edificare senza aggettivi: architettura italiana tra le due guerre

Da un punto di vista architettonico, dopo la guerra, a Milano si registra l’ennesimo

ritorno a un moderato classicismo : ricetta universalmente valida per affermare

un ordine, per di più sentito dalla popolazione come proprio.

Il ricorso a un vocabolario neoclassicista lombardo e neopalladiano, ha il merito di indurre

gli architetti italiani a concepire per la prima volta la costruzione in senso moderno ;

ciò risulta infatti funzionale a evitare lo scontro con le contraddizioni

presenti , ma anche a dissimularne la loro esistenza. È quanto accade nell’edificio più

rappresentativo dell’intera “avventura novecentista”: il quartiere Moscova a Milano

(1919-23) di Giovanni Muzio (1893-1982), cui l’opinione pubblica attribuisce

immediatamente il nome di “Cà Brüta”.

31

Affermatosi come “stile Novecento”, il neoclassicismo depurato costituisce il

tratto di un paesaggio milanese ben rappresentato dalle malinconiche

periferie di Mario Sironi.

Discorso a parte merita Gio Ponti (1891-1979); per lui la conquista del gusto moderno

deve superare i limiti della tradizione paesana ed entrarvi addirittura in conflitto.

Il suo merito maggiore consiste nella messa a punto di tipologie abitative

spogliate da ideologie moderne : alla “casa esatta” di matrice tedesca,

contrappone la “casa adatta” che corrisponde alla casa all’italiana; quindi non più una

machine à habiter ma il vivere in un comfort che è qualcosa di più del rispondere a

necessità basilari.

De Finetti, da parte sua, cerca di saldare la concreta spazialità loosiana, dilatata alla scala

del condominio alto borghese, e i dispositivi tecnologici più avanzati in ambito abitativo,

assumendo il classico come eterno modello.

Terragni (1904-1943) nel 1927, pubblica un articolo insieme ad altri collaboratori

sotto lo pseudonimo di Gruppo 7, il quale dichiarava: “Tra il passato nostro e il nostro

presente non esiste incompatibilità: è la tradizione che si trasforma ed assume

nuovi aspetti sotto la quale pochi la riconoscono. Difatti, questa scala di valori, col

cemento armato perde ogni senso ed ogni ragione di essere: dalle sue nuove

possibilità deriva necessariamente una nuova estetica, assumendo

forme del tutto nuove”.

In una prima fase, ma anche successivamente, lo “spirito” di Sant’Elia incrocia il suo

cammino, in particolare con il Monumento ai caduti di Como (1931-33).

A una devozione formale per il Le Corbusier di Vers une architecture può essere

ricondotto il Novocomum (1927-29): un marcato andamento lineare, da “transatlantico”

approdato in prossimità del lago, nelle cui estremità si inseriscono due cilindri vetrati. Il

risultato finale ricorda molto un edificio di Golosov, ma in realtà le ragioni ispiratrici sono

diverse.

Il raggiungimento di un compiuto equilibrio tra estetica moderna e

tradizione classicista è rappresentato dalla Casa del Fascio , sempre a

Como (1932-36).

Tra le mani di Terragni l’esattezza classica di un impianto basato su un semicubo e su

rapporti proporzionali delle facciate, diviene occasione per applicarvi dissimmetrie e

irregolarità : innanzitutto nei quattro prospetti, tutti diversi, ma anche nella disposizione

dei pieni e dei vuoti interni, che ha come esito il decentramento della corte coperta

(Pagano lo definì in maniera critica un esempio di “secentismo del funzionale).

Con la Casa del Fascio i l linguaggio arr iva a rappresentare se stesso

come valore, libero da ogni scopo e perciò puro (es. moltiplicazione di

elementi superflui).

32

Significativa è la serie di cinque case eseguite a Milano tra il 1933 e il ’36, dove

si assiste al recupero della tradizionale struttura a ballatoio lombarda,

trasformata però in una versione “aerea” delle promenades architecturales di

Le Corbusier (Casa Rustici).

Di nuovo a Como nell’Asilo d’infanzia Sant’Elia (1936-37), mediante tende frangisole

avvolgibili, Terragni adotta maschere che ne rendono manifesta l’ascetica purezza.

La Casa Giuliani-Frigerio sempre a Como (1939-40), occupa l’ennesimo punto

notevole ; in questo caso l’apparente uso del linguaggio razionalista nasconde un

attento studio sulla disposizione degli appartamenti , che determina

prospetti tutti differenti , come nella Casa del Fascio, e un risultato formale che

genera una profonda irrazionalità, resa tangibile anche dalla presenza di ferri sporgenti

che creano volumi virtuali .

Se la precoce scomparsa di Terragni interrompe bruscamente lo sviluppo di una via

originale dell’architettura moderna , l’unico edificio costruito in Italia nel primo

quarto di secolo del Novecento, è lo Stabilimento Fiat Lingotto di Torino

(1914-26) di Giacomo Matté Trucco, citato e illustrato da Le Corbusier e Hilberseimer.

Rispetto all’estetica preponderante dello stile littorio dopo il 1936, un’eccezione

rappresenta l ’Ivrea di Adriano Olivetti : sotto gli effetti del capitalismo illuminato

architettura e urbanistica si saldano in un unico progetto di vasta portata.

Allo stesso tempo il fallimento finale di tale volontà (non senza episodi positivi)

chiude la parentesi razionalista in Italia.

19 L’essenza del costruire: Ludwig Mies van der Rohe

Fedeltà all’”essenza del costruire” : intorno a ciò ruota l’intera opera di

Ludwig Mies van der Rohe. “Costruire è dare forma alla realtà” inteso

come volontà di non partire dalla costruzione bensì l’esatto contrario: dare forma a

quest’ultima partendo dalla realtà.

L’apprendistato presso la bottega del padre scalpellino e l’esperienza nello studio di

Behrens, concorre a forgiare una sensibilità per gli aspetti sostanziali , non

stilistico-esteriori, del costruire . Se il sapore ottocentesco delle sue prime “prove”

tenderà poi a scomparire, è proprio tale classicità basata sul ritmo che tornerà a

manifestarsi in seguito.

Nel dopoguerra intraprende diversi rapporti con la cultura espressionista senza però

restarne “contagiato”.

All’interno di questo panorama di crocevia di movimenti (elementarismo,

costruttivismo, neoplasticismo, elementi wrightiani) Mies mette a punto la

propria architettura . Sarebbe tuttavia un errore leggere delle semplici trasposizioni

meccaniche delle opere di Malevic o Mondrian nelle planimetrie miesiane.

33

“La forma non è il fine del nostro lavoro, intesa come fine è solo formalismo; anche

la volontà di stile è formalista. Il nostro compito è di riportare il costruire a essere se

stesso, ossia COSTRUIRE”.

La proposta miesiana per l ’edificio alto sulla Friedrichstrasse , posto su un

lotto triangolare , a prima vista sembra fare riferimento al patrimonio figurativo

espressionista: il cristallo come simbolo di riscatto collettivo . Ma non è in

questo senso che egli lo impiega.

La soluzione da lui prospettata è tanto brillante quanto concreta: Mies immagina una

struttura in acciaio lasciata interamente trasparire da un frastagliato

prisma di vetro, nel cui centro si trova il blocco ascensori.

Diretto sviluppo di tale progetto è quello per un Grattacielo di vetro (1922),

con vaste superfici vetrate curve che creano un ricco gioco di riflessi luminosi .

Con esso Mies punta al conseguimento di un ordine: l ’ordine della luce , che si lasci

percepire dall’interno dell’edificio divenendo esso stesso un corpo illuminante . Nei

successivi progetti l’aspetto costruttivo predomina nettamente a scapito di estetica e

formalismo. La radicalità del procedimento è esplicita: ogni volta lo scopo cambia

il linguaggio, e lo stesso vale per i mezzi, il materiale e la tecnica .

Ma non è tutto: è nell’ottica dell’essenza dell’architettura che ciò deve avvenire, in modo

da non incorrere in un superficiale funzionalismo.

Allo stesso modo i l mattone può divenire, nel monumento Liebknecht-

Luxemburg a Berlino (1926), elemento vitale e quindi partecipante nel costituire la

massa di compatti parallelepipedi sovrapposti e sfalsati.

Nel blocco per appartamenti al Weissenhof di Stoccarda, nel 1927, le potenzialità

della struttura portante in acciaio sono illustrate con intento quasi didattico. Mies applica i

principi di tipizzazione e razionalizzazione dimostrando però una grande

flessibilità e libertà degli alloggi.

La capacità miesiana di modulare lo spazio utilizzato un ridotto numero di fattori trova il

suo luogo ideale di applicazione nel Padiglione tedesco che egli progetta per

l’Esposizione Internazionale del 1929, a Barcellona. Tranne pochissimi elementi di arredo,

esso non contiene null’altro che lo spazio vuoto. Intorno a questo vuoto privo di

centro, si avvolge e si svolge senza tregua lo spazio espositivo.

Rialzato di alcuni gradini, un allungato piano orizzontale di travertino fa da stilobate al

templum. Una grande vasca rettangolare, chiusa da una grande parete di onice, fronteggia

il Padiglione vero e proprio. Superata un’impalpabile entrata, sia apre uno spazio scandito

da otto pilastri cruciformi cromati che sostengono una soletta aggettante: un sontuoso

gioco di trasparenze e riflessi, di opacità e lucentezze. Lusso e sobrietà accompagnano

fino all’uscita senza sbocco, vigilata da una statua-guardiana: spazio al tempo

stesso interno ed esterno, definito e indefinito che si “risolve” in

un’esplicabile attesa .

34

La “soluzione” del Padiglione di Barcellona di limita dunque a indicare il problema

senza con questo dissolverlo.

In Casa Tugendhat a Brno (1930), posta su un terreno scosceso, si accede dal

piano superiore, direttamente dalla strada. Al piano inferiore , invece, la zona giorno

occupa un ampio spazio quasi interamente libero; unici vincoli, oltre alla griglia dei pilastri

cruciformi, un setto di onice e una parete semicircolare impiallacciata di legno d’ebano, a

determinare un imprecisato numero di tragitti possibili. La vetrata continua che abbraccia

l’intera zona giorno, può all’occorrenza essere abbassata meccanicamente oppure

oscurata per mezzo di tende. Casa Tugendhat rappresenta quindi uno dei vertici assoluti

dell’esperienza moderna, dove i l massimo dell’artificio architettonico si

sposa con la massima semplicità e con la massima integrazione

con la natura circostante.

Il tema dell’abitazione rimane centrale negli anni successivi sfociando negli esempi

della Farnsworth House a Plano, e dell’apparente casualità della disposizione degli

elementi nelle tra case a corte (1938). In tutto ciò il significato che traspare è quello tutto

miesiano del segno che rimane segno, rinunciando a essere valore.

Il trasferimento negli Stati Uniti lo vede divenire una figura fondamentale per lo

sviluppo dell’architettura americana di quegli anni, nel divulgare la sua personale lezione.

È qui che tale lezione viene sintetizzata nel celebre “Less is more” : inteso soprattutto

in senso etico più che compositivo. Nessun misticismo tuttavia per Mies: semmai una

concezione superiore della realtà. Reale non è tutto ciò che esiste, semmai è il rapporto

che l’architettura instituisce con la civiltà.

Nell’incarico di realizzare la planimetria generale del Campus dell’IIT di

Chicago , i diversi edifici universitari messi su una griglia rettangolare, appaiono disposti

come gli stessi slittamenti dei setti murari nei progetti residenziali

precedenti. Per Mies, l’ordine ha senso soltanto se ne si disvela la trama,

segnalandone la presenza .

Nella progettazione dei singoli edifici egli deve rinunciare all’ impiego di

materiali nobili ; tuttavia come già affermato, la povertà non è deprivazione .

La relativa ristrettezza dei mezzi non diminuisce l’accuratezza della costruzione: le

soluzioni d’angolo mettono in luce la capacità di accostamento dei diversi materiali,

saldando insieme regolamenti antincendio e ordine architettonico.

20 La ricerca dell’ordine: architettura finlandese e scandinava

Un susseguirsi di guerre e di unioni scandisce la storia della penisola scandinava, e sul

finire del secolo il tema principale è proprio quello dell’identità nazionale della

Finlandia .

È proprio in questo clima positivo che inizia a operare Eliel Saarinen (1873-1950)

insieme ad altri due architetti. Appena aperto, lo studio viene investito da una notevole

quantità di incarichi, tra i quali il Padiglione finlandese all’Esposizione di

35

Parigi del 1900. Un ibridazione del linguaggio più solido di Sullivan con quello più

fantasioso dello Jugendstil, fatta reagire con riferimenti alla cultura finlandese.

Con il progetto per la Stazione di Helsinki, il gruppo si divide, lasciando Saarinen in

una posizione di assoluta preminenza in Finlandia. L’edificio consegue un significativo

grado di modernità, che al contempo risulta anche originale.

Il linguaggio elaborato, molto personale ma in grado di suscitare una forte

identificazione collettiva , diviene, con i progetti per il grattacielo del “Chicago

Tribune” (grattacielo rastremato) e per il Palazzo della Società delle Nazioni, patrimonio

di un terreno più vasto.

Il contributo di Saarinen tuttavia non risulta considerevole nella successiva generazione di

architetti finlandesi, quanto invece quella sviluppata in America . Qui egli adotta però

una maniera più accademica, benché connotata di grande qualità, facendone infine un

ottimo architetto “americano”.

Nel 1915 il progetto di Asplund e Lewerentz risulta vincitore del concorso per

l ’ampliamento del Cimitero sud di Enskede , presso Stoccolma. All’interno

del boscoso paesaggio di conifere , i due architetti tracciano percorsi e dispongono pochi

edifici di modeste dimensioni. Tra questi la Cappella del bosco e gli edifici di servizio

progettati da Asplund, e la Cappella della Resurrezione e i suoi annessi firmati da

Lewerentz. Seguiranno, negli anni trenta, il Crematorio e la Cappella principale di Asplund.

La Cappella del bosco è un edificio sovrastato dall’imponente coperchio di un tetto

a falde a 45 gradi di legno scuro, preceduto da un porticato di dodici bianchi fusti lignei;

custodito dietro laconiche pareti bianche e lisce, si apre lo spazio quadrato della cappella

funeraria. I pur evidenti rimandi storici non sono tuttavia riducibili a soluzioni di repertorio o

a mere citazioni. Per Asplund i l classico è qualcosa che prescinde dalla

storia, e in qualche modo precede la codificazione stilistica . Per

questo la Cappella sembra corrispondere alle parole scritte una decina d’anni prima da

Loos: “Se in un bosco troviamo un tumulo, lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala

a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto qualcuno.

Questa è architettura”. Solenne, senza essere retorico, è l’accostamento del pesante e

opprimente solido superiore con quello fragile inferiore, e l’uso del bianco come colore

funebre. Ciò che Asplund manifesta in tal modo è l ’esistere da sempre della

Cappella nel bosco , la quale attende solamente la sua rivelazione. Nuovamente

metafisico è l’ultimo intervento orchestrato da Asplund. Lungo la Via della Croce

egli posiziona tre Cappelle (della Santa Croce, della Fede, e della Speranza) il

cui linguaggio delle forme è ridotto al silenzio, come l’ossatura trilitica del porticato, che

distilla la quint’essenza del classico .

Tra i primi lavori e il completamento del Cimitero si colloca l’opera più nota: la

biblioteca di Stoccolma (1920-28). A memoria del Pantheon e della

Rotonda di Palladio è il salone di lettura circolare. Nella versione definitiva, la

36

cupola diviene un tamburo più solido, accentuando le relazioni tra il basamento e le parte

superiore curvilinea, accomunati dallo stesso trattamento dei muri e dalla medesima

scansione delle aperture. Ciò che l’architetto svedese qui offre è un’esperienza del

centro , che ancora una volta trascende i tempi e gli stili.

Nell’ambito dell’Esposizione di Stoccolma del 1930, Asplund e Paulsson sono

invitati a compiere un viaggio di “aggiornamento” all ’estero .

Liberamente disposti lungo un “Corso”, citazione esplicita delle strade da

mercato italiane, sono i padiglioni temporanei disegnati da Asplund, i quali

presentano un’alternanza di forme rettilinee e curvate. Ciò che l’Esposizione comunica è

un senso di vivace spontaneità, in perfetta linea con lo spirito della società svedese.

Il diffondersi del funzionalismo nei paesi scandinavi non

rappresenta una rottura col periodo precedente, ma anzi ne risulta

la sua naturale continuità. Proprio in relazione alle condizioni ambientali,

l ’ impiego del cemento armato offre vantaggi tangibili in termini di

illuminazione interna. Sotto questo profilo, il funzionalismo scandinavo, appare molto

meno ideologizzato, e più attento all’ambiente e ai materiali.

Un aspetto comune delle diverse esperienze scandinave è la loro

capacità di fornire una declinazione di l inguaggio ormai divenuto internazionale.

Un esempio in tal senso è rappresentato dalla Cappella cimiteriale a Turku

(1938-41) del finlandese Erik Bryggman (1891-1955). Frutto di questo

sapiente equi librio sono l’essenzialissimo portico esterno, nettamente decentrato

rispetto alla facciata, e lo spazio dell’aula, plasticamente voltato come nelle chiese

tradizionali finlandesi. Una navatella laterale, delimitata da una parete vetrata che mette in

contatto visivo con il bosco esterno e al contempo rende fortemente espressiva la navata

principale.

È comunque significativo che a quest’ingente vague funzionalista sfuggano proprio i due

migliori architetti scandinavi: Asplund e Alvar Aalto.

21 La vita delle forme: Alvar Aalto.

Se durante il passaggio del secolo l ’architettura f inlandese aveva coinciso con il

romanticismo nazionalistico, e negli anni successivi con il neoclassicismo nordico, con le

opere di Alvar Aalto (1898-1976) essa giunge finalmente a una sintesi che

comprende e travalica entrambi . Tale rimane complessivamente distante da

qualsiasi formalismo naturalistico, ricercando piuttosto un armonico accordo tra uomo

e ambiente: essa cerca di radicarsi in un luogo.

Stile , nelle architetture di Aalto, corrisponde piuttosto a stile di vita . Ed è rilevante

come la committenza sia la classe imprenditoriale industriale affermatasi in Finlandia dal

1917.

37

I l inguaggi ereditati sono per lui un patrimonio ricco dal quale attingere

come da un repertorio vitale. Ciò vale anche per la sede del quotidiano di

Turku ; a prima vista può apparire come un’adesione all’estetica lecorbuseriana, ma in

realtà esso interpreta fluidamente la l ibertà spaziale che il sistema a pilotis

consentiva .

Tale sensazione di fa più tangibile nella Biblioteca di Viipuri (1927-35), progettata

prevalentemente sugli spazi interni piuttosto che sulle facciate. Al centro del volume

maggiore è collocato il banco della distribuzione dei libri , in posizione

dominante rispetto alla sala di lettura e a quella degli scaffali; l ’ i l luminazione

proveniente dall’alto , abbraccia in modo omogeneo lo spazio, libero da vincoli

strutturali. Con il flessuoso corrimano delle scale, Aalto cerca di far sentire

tattilmente lo spazio , così come la copertura ondulata della sala conferenze

cera di rendere visibile l’acustica . Tali sollecitazioni sensoriali non sono tuttavia il

suo fine ultimo, casomai si tratta di un umanizzazione dell’architettura.

Vero e proprio capolavoro da questo punto di vista è il Sanatorio di Paimio (1929-

33). Immerso nelle foreste di conifere, il suo referente più immediato sembra essere

l’edificio del Bauhaus. Nel Sanatorio tuttavia i corpi di fabbrica subiscono lievi ma

significativi scostamenti rispetto alla regolarità cartesiana degli allineamenti: rotazioni e

angolature sono il segno della volontà di Aalto di aprire l’edificio alla foresta . Lo

stesso sforzo di adattamento ha luogo degli interni, dove le forme degli arredi

aderiscono il più possibile al corpo umano. Dai comportamenti dei

pazienti in rapporto agli ambienti di degenza, Aalto ricava indicazioni sull’uso dei

materiali, delle forme e dei colori. Il funzionalismo non viene così

rinnegato bensì approfondito e reinterpretato in chiave psicologica e fisiologica.

Rustico e moderno sono invece le polarità fra le quali oscilla il Padiglione

finlandese alla Fiera Mondiale di New York ; al suo interno Aalto sublima il

mito della Finlandia , fino a farlo diventare un materiale da esportazione :

una grande parete inclinata divisa in quattro strips, ospitante una narrazione per immagini

e oggetti della produzione del paese nordico.

Il successo conseguito negli Stati Uniti lo porta al progetto della Baker House, la

Casa dello studente del MIT ; il tema della parete ondulata si ripresenta.

Vista da dentro la triplice piega è spiegata dalla diversità degli alloggi studenteschi, vista

da fuori, la medesima curvatura assume un carattere urbano.

38

22 Architettura moderna: The International Style

Il 10 febbraio 1932 inaugura al MoMA una mostra dal titolo “Modern

Architecture. International Exhibition” curata dal giovane Philip

Johnson . Nella sezione principale, oltre alle ovvie presenze di opere di Le Corbusier,

Gropius, Mies van der Rohe, Oud e Wright, sono rappresentati i lavori di alcuni architetti

statunitensi, tra i quali Richard Neutra.

L’intendimento della mostra è chiaro: sottoporre al pubblico americano i

risultati di una vicenda architettonica di matrice europea , all’indomani

della crisi del 1929, nel tentativo di offrire una nuova prospettiva estetica con cui gestire la

prossima ripresa economica.

Ciò comporta in primo luogo la spogliazione dell’architettura moderna europea delle sue

connotazioni sociali e politiche e ideali; e in secondo luogo la sua trasformazione in stile.

“International Style”. Il termine “internazionale” cancella ogni riferimento

all’utopia socialista che vi era altrettanto presente . Tale denominazione

non è tuttavia da attribuire alla mostra del MoMA, ma bensì al libro scritto da Hitchcock e

Johnson due mesi prima: The International Style: Architecture since

1922. Qui, le esperienze architettoniche europee vengono rilette in

maniera soltanto formale , decodificandole in tre rudimentali principi: una nuova

concezione dell’architettura come volume piuttosto che come massa, la regolarità piuttosto

che la simmetria assiale, e l’annullamento del’uso della decorazione.

La riduzione ottenuta in tal modo ha come esito la definizione di un presunto

linguaggio unitario , non frammentario e contraddittorio come lo era stato veramente,

pronto così a essere assimilato dalla cultura americana.

Il caso più clamoroso di assenza nel libro di Johnson è quello di Rudolph

Schindler ; tanto più dal momento che risulta essere presente Richard Neutra con la

Lovell Health House a Los Angeles (1927-29). Proprio quest’ultima non può prescindere

dalla precedente Lovell Beach House, realizzata da Schindler. Le opere schindleriane

configurano un tipo di architettura difficilmente inquadrabile in una troppo rigida griglia

normativa e stilistica.

La progressiva diffusione di un International Style così normalizzato finirà per svuotare di

ogni contenuto il messaggio dell’esperienza moderna; e per sancire al contempo la

potenziale ubiquità di un’architettura che dell’indifferenza del luogo arriva a fare il proprio

carattere.