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Capitolo primo
La crisi dell’ordine dell’architettura (1750-1800)
Nel 1753 l’abate Marc-Antoine Laugier dà alle stampe il suo
Essai sur l’ Architecture . L’illustrazione mostra la “capanna primitiva”
come un’idea di architettura; tale immagine infatti contiene tutti gli elementi essenziali di
una costruzione: nella sua perfezione nulla si può aggiungere o togliere.
La modernita si inaugura su queste basi, ossia un aut aut tra utile e ornamentale.
La definizione di queste due dimensioni non avviene con Laugier: tutta la storia
dell’architettura occidentale si basa di fatto su una tale distinzione. C
Con la capanna rustica di Laugier, questo equilibrio già così precario si rivela ormai
completamente spezzato; essa mette in mostra una crisi i cui effetti non sono più
rimandabili. La crisi produce così un “nuovo” ordine, che per molto tempo apparirà per lo
più come un disordine . Un’irrefrenabile malinconia avvolge tutti i fenomeni legati
alla storia, conferendo loro, in quanto tali, un valore. La medesima malinconia attanaglia
l’architetto che è costretto a esprimere il suo pensiero solamente sulla carta .
Il disegno diviene così l’ultima barriera su cui si attesta l’onnipotenza dell’architetto; e non
è un caso che su tale strumento prendano vita numerosi spazi utopici .
Di questa costruzione cartacea Giovan Battista Piranesi è uno dei massimi
esponenti.
Le Vedute di Roma, Le Magnificenze di Roma, Le Antichità romane sono alcune
delle straordinarie raccolte d’incisioni dedicate ai monumenti antichi.
La precisione minuta delle forme e dei dettagli resi in modo quasi maniacale da
Piranesi, mostra come la realtà stessa si trasformi nel regno della rovina.
La stessa carica evocativa la rintracciamo nei suoi progetti “d’invenzione”: le Carceri
d’invenzione risultano una vera e propria esplosione del concetto stesso di spazio;
quest’ultimo, insieme al tempo vengono “torturati”, disarticolati in un’estasi del terrore.
Piranesi in tutto ciò opera una messa in crisi totale dell’Ordine e della
Forma intesi in modo classico.
Il Campo Marzio dell’Antica Roma segna una nuova puntata nella sua opera di
“smontaggio”; una città dove impera la serializzazione dei tipi, la ripetizione degli elementi
e la giustapposizione di forme classiche: il tutto ha però come unico risultato una
gigantesca macchina inutile . L’atteggiamento antistorico del Piranesi diventerà il
fondamento di quella lunga fase di revival che attraverserà tutto l’Ottocento.
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Tra i numerosi fenomeni, diversi tra loro ma legati dalla comune rottura di un ordine del
discorso appiano in particolare in nomi di Etienne-Louis Boullée e
Claude-Nicolas Ledoux ; entrambi faranno della ragione il proprio
strumento e oggetto di lavoro.
Boullée arrivato a un certo punto della sua carriera decide di intraprendere una via
progettuale più radicale, caratterizzata dall’estrema semplificazione delle forme impiegate:
volumi puri dalle dimensioni gigantesche . Ancora una volta , è
dall’espressività del disegno che si affidano tali progetti, che non trovano posto nella
realtà. Secondo Boullée, le immagini che tali edifici offrono ai nostri sensi dovrebbero
suscitare in noi sentimenti corrispondenti all’uso al quale essi sono consacrati.
Con il Cenotafio di Newton l’architetto celebra, mediante la forma stessa della
Terra, la scoperta della gravitazione universale e l’epopea del genio capace di condurla
all’evidenza razionale.
Nello specifico, la distanza abissale di Boullée da qualsiasi atteggiamento moderno (che
potrebbe risultare verosimile dai suoi disegni) si manifesta nelle su stesse intenzioni: nei
progetti egli costruisce unicamente per uomini fuori dal tempo , per abitanti
mitologici.
La scoperta di una dimensione soggettiva, in alternativa a quella consueta oggettiva nel
campo dell’architettura, produce numerosi mutamenti che vanno ben oltre al semplice
stile. L’opera di Boullèe in questo senso sancisce la riduzione all’inessenzialità
dell’ordine architettonico .
La vicenda di Ledoux ricalca per certi versi quella di Boullée.
Nel 1771 viene incaricato di redigere il piano per una nuova manifattura del sale
presso la foresta di Chaux (Francia). L’intervento si articola secondo una pianta
emiciclica, al centro del cui diametro è posta la casa del direttore : una scelta
simbolica a sancire la centralità del lavoro. Ai suoi fianchi la fabbrica per la produzione
sale; lungo il perimetro del semicerchio, gli alloggi degli impiegati e degli operai e – in asse
con la casa del direttore – la porta d’ingresso al complesso . È qui che
Ledoux si manifesta attraverso un’architettura parlante : al di là di un severo
pronao di colonne doriche, si apre infatti una sorta di grotta artificiale. La volontà di
evocare le tenebrose cavità della terra dove avviene l’estrazione del sale. A supporto di
tale immagine Ledoux piazza “brocche di pietra” cui sgorga un getto di acqua anch’esso
pietrificato. Figura parlante della trasformazione della natura in prodotto ,
annuncio dell’ormai prossimo avvento dell ’ industrial izzazione .
Nei suoi successivi progetti risultano gli edifici residenziali a riservare le sorprese
maggiori.
La questione non è riducibile all’utilizzo degli ordini che possono anche essere presenti,
ma ciò che risulta essere totalmente cambiata è la logica compositiva . Ledoux
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instituisce una particolarissima relazione tra tipo edilizio e mestiere di colui cui è destinata
la casa.
Il medesimo sistema di combinazioni e variazioni era già stato utilizzato nella
progettazione delle 40 barrières per Parigi . Il tema del casello daziario dà luogo a
una sperimentazione linguistica il cui oggetto continuano a essere la “parole” del classico,
connesse però tra loro mediante una sintassi liberissima .
La crisi dell’ordine dell’architettura appare così momentaneamente oltrepassata nel
passaggio dalla raison al razionalismo . Nella tavola finale di L’architecture
considérée di Ledoux forse un’ultima volta viene fissato lo stato di crisi: l’abri de
pauvre (il tetto del povero), un albero su un lembo di terra, in alto sopra le nuvole un
pantheon di déi che non lo degnano di uno sguardo e un raggio di sole che scalda appena
il corpo dell’uomo.
Tutto ciò per mostrare come quell’ordine cosmico cui anela l’ uomo non è altro che frutto di
sue proiezioni mentali, che risultano infine totalmente inutili.
Capitolo secondo
La messa in scena del passato e l’urgenza del nuovo (1800-1914)
Tensioni sempre più forti e sempre più contrastanti iniziano ad agire via via che ci si
addentra nel XIX secolo. Due grandi filoni architettonici attraversarono l’intero
Ottocento: quello prodotto o derivazione della rivoluzione industriale e
quello che invece persegue le vie della ricerca stilistica legata alla cultura del
passato . In altre parole si parlerà di architettura utilitaria e architettura neoclassica
entrambe radicate in quei “turbamenti dell’anima” che caratterizzano la stagione
romantica.
Nei progetti e nei disegni di Friedrich Gilly la rievocazione del mondo classico
ellenico si mescola con il pittoresco e l’idillico; ma la Grecia per lui vuol dire ben più che
uno stile: non tanto un ritorno a un linguaggio codificato, quanto piuttosto il tentativo di
liberarne le potenzialità espressive. Il momento di sintesi avviene con il progetto di
concorso per un monumento a Federico il Grande ; un complesso di elementi
tipici dell’architettura classica che aprirà la strada al Neoclassicismo tedesco
(Schinkel).
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Lo stesso Medioevo è ripensato da i romantici in termini fortemente idealizzati, divenendo
un modello ideale. Nei quadri di Fredrich il tema della cattedrale assume un
significato che si rivela pura immagine, priva di reale “spessore”.
Delle continue oscillazioni e scambi di ruolo tra neogotico e neogreco , Karl
Friedrich Schinkel (1781-1841), allievo di Gilly, costituisce un caso del tutto
eccezionale.
Tra i suoi primi progetti di notevole importanza risulta essere il mausoleo per la
regina Luisa a Charlottenburg, realizzato in forma di tempietto dorico, ma
disegnato anche in una versione alternativa goticheggiante, a dimostrare la sostanziale
equivalenza dei due stili. “Il gotico ha in comune con il greco tutto, fuorchè lo stile”.
Ma è con il grandioso progetto di una Cattedrale per la Prussia che Schinkel
mostra di considerare il gotico lo “stile tedesco” , ma anche una materia progettuale
disponibile a interventi ulteriori.
Ma è un fatto degno di nota che gli edifici costruiti da Schinkel a Berlino presentino tutti
soluzioni riconducibili al classico, in un atto di trasformazione della capitale prussiana in
una nuova Atene. Neue Wache, Schauspielhaus, e Altes Museum
costruiti sullo stile classico variamente modulato nelle sue mani. Di quest’ultimo
lo spazio di mediazione fra esterno e interno, punto di scambio tra architettura e città,
rivela in pieno un intento pittoresco moderno.
Il viaggio in Inghilterra nel 1826 fornisce a Schinkel il materiale per raccordare
l’esperienza neoclassica con l’edilizia industriale: l ’utilizzo della ghisa per la
realizzazione di elementi architettonici o la razionalizzazione delle facciate con
il progetto per un Grande Magazzino o la Bauakademie. In ultimo esempio lo
Schloss Orianda in Crimea dove tradizione e innovazione vi si saldano come
colonne ioniche e lastre di vetro in una perfetta unità.
A Monaco di Baviera è invece l’architetto Leo von Klenze (1784-1864) a
interpretare le istanze di espansione e trasformazione della città. Accanto al parallelo che
esso costruisce tra Munchen e Firenze , egli sviluppa, come già accaduto a Berlino,
la relazione con Atene. È su tali presupposti che si radica l’evoluzione del Walhalla
presso Rogensburg, su un’altura boscosa in riva al Danubio: un’esatta immagine del
Partenone, che diventa il luogo di celebrazione degli “eroi” della storia e della cultura
tedesca.
Il fenomeno inglese del Gothic Revival si radica nel rapporto che si instaura
tra gotico e cristiano, dimostrato dal quasi esclusivo rivolgersi di esso verso l’architettura
ecclesiastica.
La posizione di Welby Pugin denuncia come la decadenza dell’arte e
dell’architettura dipende dalla decadenza della società, in gran parte determinata dalla
civiltà della macchina. Ma la società può essere riscatta attraverso il recupero degli
ideali e della vita medievale. In tale affermazione possiamo trovare per la prima
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volta la stretta corrispondenza tra etica ed estetica. In questo senso, proprio la
presenza della mano di Pugin all’interno del Crystal Palace costituisce una sorta di
ultima prova: l’estremo tentativo di opporsi a ciò che lo stesso edificio rappresenta.
Non soltanto prodotto della civiltà delle macchine, ma macchina a sua volta, il Crystal
Palace riassume in sé e incarna in modo emblematico le esplosive tensioni che scuotono
l’architettura dell’Ottocento, raccolte nella Great Exhibition di Londra del 1851.
L’insoddisfazione per i progetti ricevuti spinge i committenti ad accettare la versione
elaborata da Joseph Paxton, un costruttore di serre. La forma dell’edificio trae
origine dalle grandi basiliche romane, mantenendo però la tipologia della serra.
L’aspetto fondamentale però è la standardizzazione di tutti gli elementi,
costruiti in fabbrica e assemblati sul posto, permettono di conseguenza il proprio completo
smontaggio e rimontaggio in altri siti.
In maniera ancora più eclatante ma comunque connessa a un discorso generale risulta ciò
che dentro al contenitore di Paxton si celebra: un rito collettivo che prende il nome di
“consumazione” estetica dei prodotti d’uso . Al Crystal Palace gli oggetti
esposti non si lasciano apprezzare sulla base del loro valore di scambio quanto piuttosto
attraverso la loro spettacolarizzazione.
Sullo sfondo dei disparati tentativi compiuti dalla cultura ottocentesca di trovare un proprio
stile si stagliano però anche figure di grandi architetti che affondano le mani nei materiali e
nelle forme fornitegli dall’ingegneria. È il caso di Henri Labrouste nella sala della
Bibliothèque Nationale (pilastri e volte in metallo).
Su un diverso versante si colloca la ricerca di Eugène Viollet-le-Duc (1814-79);
egli elabora una teoria architettonica in cui il sistema costruttivo gotico viene adattato
alle richieste dell’architettura del XIX secolo (pilastri a V).
Sul problema dello stile si appunta invece l’attenzione di Gottfried Semper , architetto e teorico tedesco. Nel suo pensiero la tecnica dell’intreccio costituisce il punto di
partenza per ogni nuova architettura: la trama e l’ordino costituiscono il carattere
strutturale dell’ornamento, identificando il ruolo che pietre e mattoni avranno
all’interno di una parete.
È certo significativo che Semper, insieme a Viollet-le-Duc e a Ruskin, rappresenti il
vertice del pensiero architettonico del XIX secolo, ma nessuna delle loro opere occupi una
posizione altrettanto rilevante. Attraverso questa disuguaglianza tra teoria e prassi che
vede realizzarsi nella netta distinzione tra ingegneria e architettura.
Proprio intorno all’ostilità fra tradizione e modernità ruota la posizione di Ruskin; egli vede
nel Medioevo un modello non soltanto storico, ma operativo : integrazione di
competenze diverse e carattere artigianale del lavoro.
È infatti proprio la tensione per un Medioevo slanciato verso il futuro che si ripercuote
nell’esperienza di William Morris e delle Arts and Crafts.
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Di fronte alla necessità di arredare lo studio si presenta per la prima volta agli occhi di
Morris la povertà qualitativa della produzione di oggetti di
provenienza industriale , da cui l’esigenza di disegnarne e realizzarne di migliori in
modo artigianale.
Nella Red House , progettata per e con Philip Webb , lo schema a L dispone i
locali a fianco di un lungo corridoio, evitando lo scomodo attraversamento di tutte la
stanze. I suoi elementi sono improntati a un recupero dei caratteri romanici e gotici ma
comunque rivisitati in chiave moderna. All’interno mentre Webb progetta e a volte
addirittura reinventa mobili, Morris disegna motivi floreali su pareti e soffitti.
Finalità di questo lavoro di squadra è la produzione di oggetti artigianali di alta qualità A
tale scopo però vi è nei motivi floreali una tendenza alla stilizzazione
geometrica , più semplice e più veloce da realizzare per una produzione
industriale.
Una ricca articolazione dei volumi (es. della Red House), al pari di una stilizzazione e
semplificazione sempre più accentuate delle forme, definiscono nella sua interezza il
fenomeno della English Free Architecture (ultimi due decenni dell’Ottocento): la conquista
della libertà effettuata in primis dall’Arts and Crafts di Morris.
Tra i diretti successori va ricordato il nome di Mackintosh, in particolare nella
sua Glasgow School of Art dove la stessa convivenza di pragmatismo, precisione e senso
spaziali la si ritroverà nel primo Wright.
Non è accidentale che la parte estetizzante della English Free Architecture si
rintracci nella Secessione viennese; le somiglianza di stile testimoniano infatti le simili
condizioni sociali in cui operano inglesi e austriaci. E le condizioni di questi ultimi sono fino
al 1914 quelle di una monarchia che vive ancora immersa nell’idillico sogno di un mondo
dorato.
“Un’epoca trasognante del cattivo gusto”, ove regnano fenomeni sovrastrutturali ma vistosi
come quello della moda. Inserita in tale circuito, l’architettura perde il radicamento nei suoi
tradizionali capisaldi estetici, per divenire una variabile libera.
Rappresentatività e funzionalità trovano finalmente nell’Art Nouveau un tangibile
punto d’incontro. Nata per dare un volto a una classe borghese sempre più dominante
l’arte nuova segna, dopo secoli, il volontario allontanamento da ogni precedente modello.
La suo portata si amplifica in tutta Europa : Art Nouveau in Belgio e Francia,
Liberty in Italia, Jugendstil in Germania, Secessionstil in Austria,Modern Style in
Inghilterra, Modernismo in Catalogna.
Denominatore comune è un naturalismo oscillante tra floreale e zoomorfo, il suo
aspetto più particolare è proprio la singolare mescolanza di natura e artificio
(fiori e cemento armato).
Con il belga Victor Horta (1861-1947) il ferro fa il suo debutto nella sfera privata (scale e
bow-window).
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Con Henry Van de Velde (1863-1957) le antinomie interne all’Art
Nouveau raggiungono il punto critico, oltre il quale non potranno che deflagrare.
Cimentandosi nell’alto artigianato, raggiunge con la costruzione della casa per se stesso a
Uccle, vicino a Bruxelles, la saldatura tra architettura e arti applicate: ne disegnò ogni
arredo e ornamento.
Nella seconda fase della sua carriera, i l superamento dei propri compiacimenti
decorati visti, a favore di una maggiore attenzione per la pura tensione
volumetrica, non lo porta però a superare l’equivoco di fondo : la
speranza di poter dominare i problemi complessi posti dalla moderna produzione,
mediante lo strumento dello stile.
La guerra combattuta dai giovani artisti e architetti di fine secolo contro l’ancora imperante
potere dello storicismo e accademismo registra a Vienna un significativo episodio: un
gruppo di artisti capitanati da Gustav Klimt , applicala la rottura definitiva, facendo cioè
secessione. Il loro organo di diffusione fu la rivista “Ver sacrum”, la sede invece,
nominata Palazzo della Secessione doveva essere, secondo il suo autore
Joseph Maria Olbrich (1867-1908), un “tempio dell’arte”.
Quadrato, cerchio, cubo, sfera sono le forme geometriche elementari ma
eterne (la grande chioma tondeggiante traforata di foglie d’aureo alloro). Dietro a tale
simbolismi di purezza e sacralità si rivela una realtà ben diversa: la non
trasformazione del Lavoro in Creazione, ma bensì la ricaduta della Creazione in
lavoro (formalismo), se non in mestiere (architetto-artista). La condanna alla
completezza che ne deriva è l’esatto rovesciamento, ma anche la più logica conseguenza
della libertà artistica professata da Olbrich.
A Chicago la scintilla del nuovo è innescata nel modo più tradizionalmente distruttivo:
da un incendio . La rapida ricostruzione diviene occasione per un radicale
ripensamento dei principi architettonici americani , fino a quel momento
interamente coincidenti con quelli europei. Ciò ha come risultato la nascita di un’inedita
tipologia di edifici per uffici: la struttura metallica , non più a vista ma bensì
riempita di materiale ignifugo, ripetuta su più livelli, è resa possibile dall’invenzione
dell’ascensore da parte dei fratelli Otis, presentata per la prima volta alla New York
Wolrd’s Fair del 1853.
Il primo interprete di questa tipologia e William Le Baron Jenney con l ’Home
Insurance Building e il Second Leiter Building. Lasciata alle spalle ogni velleità
stilistica, la “conquista del cielo” divine ormai l’unica attrattiva cui possa aspirare lo
skyscraper . Sarebbe tuttavia un errore scorgere nell’ascensione verticale solamente u
fatto speculativo: accanto a questo vive un’altrettanto forte necessità simbolica di
manifestare uno spirito commerciale.
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È piuttosto dello studio più pragmatico di Jenney che transitano i giovani destinati a
lasciare un segno, come ad esempio Burnham e Luois Sullivan.
Del primo si ricorda in particolare il Flatiron (Fuller) Building a New York (1901-1903) in
forma di irrompente prua navale o di ferro da stiro, estrudendo per 22 volte il singolare
angolo acuto tra la Fifth Avenue e Broadway.
Infine, Louis Sullivan (1856-1924); nel Guaranty Building a Buffalo l’uso della
terracotta come materiale di rivestimento, insieme a quello funzionale dell’ornamento,
rimarca con chiarezza il suo obiettivo: conferire al grattacielo una dignità altrimenti
sconosciuta.
Il vertice della ricerca sullivaniana è rappresentato dal Carson Pirie Scott
Department ; qui si fa palese anche la profonda differenza che passa tra questi
ornamenti (ingarbugliatissime concrezioni metalliche sugli ingressi) e quelli
formalmente non dissimili partiti dall’Art Nouveau : nel caso di Sullivan non è la
borghesia a manifestarsi in tali intrecci ma casomai l ’espressione
dell’individualità dell’architetto, che attraverso l’ornamento vuole farsi
portavoce di una concezione superiore, romantica, dei rapporti tra società ed economia di
mercato.
Nella sua stessa patria, contro efferate leggi di profitto, Sullivan tuttavia perde tale sfida.
Espulso dalla grande città , il suo lavoro viene confinato in piccole cittadine: la
continua ricerca ex novo di una architettura statunitense si scontra con la prassi che via
via sta prendendo piede nel Nord America; ossia la battaglia per il
raggiungimento in altezza, di cui New York è portavoce. Urge infine l ’urgenza
di un nuovo stile che possa esprimere le nuove tendenze
costruttive , perché rievocare il passato ormai non è più sufficiente.
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Capitolo terzo
L’esperimento del “moderno” (1900-1945)
L’affermarsi nel corso del XX secolo di un’architettura eminentemente moderna, solo in
maniera limitata può essere considerato il frutto dell’acquisizione di una tecnologia inedita.
Certo, il béton armé, così come le strutture a telaio in ferro, costituiscono le “armi” primarie
per le nuove importanti costruzioni moderne. Ciò tuttavia non sarebbe possibile in assenza
di un fatto importante: l’elaborazione di un’originale idea di moderno, la quale si
conformerà attraverso una molteplicità di fenomeni attinenti più alla società in generale
che a una specifica estetica.
Tra questi troviamo sicuramente il concetto di “igiene”, legato però a pratiche e a
comportamenti sociali. Aria, luce e sole si trasformano in dettami stilistico-estetici che
danno corpo a un’ideologia dello spazio concepito in termini asettici, la ricerca di una certa
“qualità” della materia che prediliga il liscio, il lucido, il semplice, l’esatto, l’uniforme, il
definito. Il tutto senza dimenticare che la tecnica stessa, è oggetto di una profonda
mitizzazione da parte di artisti e architetti.
È proprio il nuovo ambiente artificiale a determinare anche il comparire di nuove condizioni
di vita e inediti riflessi psichici, finendo così con il generare un caos multiforme .
La scoperta piranesiana che irrazionale e razionale debbono smettere di escludersi a
vicenda, si traduce ora nella constatazione dell’impossibilità di tenere separato l’uno
dall’altro.
L’accelerazione cui tutti i fenomeni moderni cui tutti i fenomeni moderni sono sottoposti ha
infatti il duplice effetto di espandere a dismisura lo spazio urbano e al tempo stesso di
disintegrarlo, determinando riflessi immediati sull’idea di architettura: si instaura ora
l’equivalenza macchina-architettura (costruzione dinamica).
Contro la trasformazione alienante del mondo l’unica salvezza possibile sembra quella
proposta dalle avanguardie. Impossessarsi della frammentazione del reale facendone
un’immagine, fissare lo scorrimento del tempo e del movimento, disarticolando la consueta
struttura di forme e figure, diventano le tecniche rispettivamente della pittura cubista e
futurista. Noi come Braque e Picasso, Boccioni e Balla, Marcel Duchamp tentano di
affermare un soggetto capace di dominare la crisi, sublimandola in opera.
Ma è soprattutto con il dadaismo che l’atteggiamento avanguardistico evidenza la propria
anima distruttiva, ma anche il suo tentativo di ripercorre le mitologie tecniche e
razionaliste, perventendone gli esiti. I ready-made duchampiani s’incaricano di costruire un
mondo assurdo, privo di senso, che rivendica tuttavia un proprio posto nella realtà.
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Con Bruno Taut, come le immagini delle avanguardie artistiche più radicali, anche quelle
organico-cristalline assumono a proprio fondamento l’irrazionale.
Nei quadri suprematisti di Malevic e in quelli neoplastici di Piet Mondrian vige un’istanza
spirituale che, nella rinuncia a forme e colori naturalistici, tocca vertici di misticismo;
analogamente nel programma teorico del Bauhaus, il tema dell’unità arte-artigianato,
ispirata dall’organizzazione del lavoro medievale, trova una sua sintesi in una costruzione
totale.
Razionalità e crisi dunque convivono.
L’esperienza moderna si colloca dentro la crisi del costruire-abitare, le posizioni che ne
derivano oscillano tra la nostalgia di dimora e l’ottimistico tentativo di porre rimedio alla
sua mancanza; soltanto rarissimi sono i casi (Mies van der Rohe e Afolf Loos) di chi
sappia resistere alla crisi, limitandosi semplicemente a mostrarla.
Il rapporto architettura-città è il nodo decisivo per la comprensione della vicenda moderna.
Il ruolo che gli viene affidato è quello di organizzatore del ciclo di produzione che ha nella
città il suo momento unitario. Si modificano in tal modo sia la scala dimensionale che la
natura stessa dei suoi interventi: la ricerca tipologica prende il posto del lavoro sulla
singola forma; la messa a punto di una norma sostituisce l’anelito all’eccezione. In casi
estremi, come nel Plan Voisin di Le Corbusier o nella Groszstadt di Hilberseimer, la cellula
abitativa diviene l’elemento generatore del tutto. Ciò tuttavia, ancora una volta, non
comporta l’espulsione dell’irrazionale e il trionfo della ragione: si risolve infatti di sovente in
una delirante utopia del controllo.
In ogni caso, la cultura architettonica moderna si trova ad affrontare perpetuamente il
dilemma tra lo sfruttamento dell’inedita situazione d’indipendenza, liberata dai linguaggi
storicizzati, e la fissazione di un linguaggio sul quale fondare le proprie “certezze”.
1 Tecnica e tradizione: Otto Wagner
La figura e l’opera di Otto Wagner parte con la realizzazione della Ringstrasse, il
grande boulevard ad anello che circonda il centro di Vienna, in seguito alla demolizione
delle vecchie mura difensive.
Vessillo della prima fase della sua carriera è Villa Wagner , la dimora che
egli realizza per se stesso nell’immediata periferia di Vienna: ciò che compie è il tentativo
di far rivivere la forma della villa tardoromana o palladiana , con però una celata
attenzione spaziale.
Nel 1894 riceve l’incarico di progettare la metropolitana di Vienna ;
per Wagner la metropolitana non è concepibile come una serie di “pezzi unici”, essa va
interpretata invece, in senso moderno, come una complessa rete di segni, coordinati e
regolati da precise gerarchie, cui corrispondono diverse tipologie forme e cromie, del tutto
privi di nostalgie. La grandiosa opera di design coordinato a scala urbana
riguarda soprattutto i colori (bianco e verde) che fungono da segni di
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riconoscimento : i l linguaggio classico viene piegato alle esigenze di
funzionalità, divenendo un nuovo stile.
Intrisa dello spirito dell’età della macchina, la Schnellbahn di Wagner, è forma della
velocità.
Tra le poche stazioni vincolate dalla logica tipologica, la fermata di Karlsplatz si distingue
dalle altre: qui Wagner pone i due identici padiglioni in stretta relazione con la vicina
Karlskirche.
Ancora più nobiliare, regale, risulta la stazione di Hietzing, di fronte al castello dello
Schonbrunn, riservata esclusivamente alla Corte imperiale. L’interno è trasformato in
lussuoso salottino d’attesa, riuscendo nella difficile impresa di “sposare” il più moderno e
democratico mezzo di trasporto e gli aristocratici eredi del Sacro Romano Impero.
Dal 1894 Wagner si occupa della realizzazione della Chiusa di Nußdorf facendone una
stupefacente porta d’ ingresso alla città, situata però in una posizione paradossalmente
eccentrica, periferica.
Manifesto del volto più brillante ma frivolo al tempo stesso di cui è capace la
capitale austriaca sono la Majolikahaus e la Casa “dei medaglioni”. Si tratta del tipo
di edifici che di lì a poco sarà oggetto delle critiche loosiane: case tatuate in superficie
da grandi ramificazioni floreali che ricoprono fittamente la facciata, nel primo caso, o
da piume e pennacchi dorati nel secondo.
Nel 1895 Wagner dà alle stampe Moderne Architektur , nel quale enuncia il
principio fondante del Nutzstil, lo stile utile : “Niente che non sia funzionale potrà
mai essere bello”.
L’edificio forse che ne rappresenta meglio i principi dello stile utile è la Postparkasse
di Vienna. Il “risparmio” non è soltanto la sua destinazione funzionale ma pure la sua
aspirazione simbolica: misurandosi con la dura lex dell’economia monetaria, la Cassa di
risparmio postale la traduce in termini architettonici; l’impressione che comunica è quella
di un’austera monumentalità ma si tratta in ogni caso di una monumentalità
moderna.
Potere dell’ordine, della regolarità, della puntualità, della perfetta organizzazione degli
uffici, in una sola parola bureaucratie.
Nel 1918 Wagner muore, prima ancora di aver potuto proseguire nell’esperienza
urbanistica appena intrapresa.
2 Etica dello stile e spirito del capitalismo: Hendrik Petrus Berlage.
Nel 1896 Berlage viene incaricato di elaborare un progetto nel quale si dovrà
rispecchiare lo spirito risoluto e concreto dei mercanti di Amsterdam. In questo senso egli
fa ricorso a uno stile neoromanico che subisce una progressiva depurazione, fino ad
assumere un aspetto asciutto e severo.
È soprattutto nel salone a tutta altezza della borsa merci che Berlage compie un
balzo in avanti nella definizione di un’architettura capace di tenere uniti rispetto
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della tradizione e interpretazione moderna delle funzioni. La difformità
dei materiali e delle tecniche costruttive non è mascherata bensì resa omogenea mediante
l’uso del colore: è l’idea dell’unità nella molteplicità.
3 Estetica, forma e industria: Peter Behrens.
In Germania, diversamente dall’Olanda, lo Jugendstil costituisce la impalpabile base su cui
una società in rapida e massiccia industrializzazione cerca di far poggiare i propri
fondamenti estetici.
È tuttavia proprio dall’apparente sterile alveo dello Jugendstil pittorico che prende le
mosse il filone più importante dell’architettura tedesca d’inizio Novecento. È infatti da
quest’ambito che Peter Behrens intraprende la sua carriera concentrandosi sul
tema della linea ritorta, flessuosa e nervoso; linea però che fin sa subito appare quasi
plastica, tendente alla terza dimensione. Dietro la maschera in superficie
dello Jugendstil, Behrens nasconde lo studio attento dei tracciati
geometrici e della geometria solida.
La combinazione dei due elementi ha come esito il raggiungimento di una compiuta
classicità behrensiana, senza mai cadere nel neoclassicismo, nonostante i riferimenti
storici di Firenze.
Behrens realizza tre case: Haus Cuno, haus Scroder e Haus Goedecke. In esse la fase
“fiorentina” appare superata, a favore dell’utilizzo di un linguaggio quasi schinkeliano, per
quanto alleggerito dalle ornamentazioni.
Negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo l’industria tedesca vive una
contraddizione profonda: da un lato una sempre maggiore competitività tecnologica con i
paesi più sviluppati d’Europa e con gli Stati Uniti, dall’altro la scarsa qualità
estetica dei suoi prodotti.
A quest’ultimo ambito avevano lungamente dedicato le proprie attenzioni le Arts and
Crafts anglosassoni, e prima ancora William Morris. Proprio nel tentativo di riequilibrare
questi scompensi nel 1907 viene fondato il Deutscher Werkbund ; il 1907 è
anche l’anno in cui Peter Behrens viene incaricato della
consulenza artistica dell’AEG. Il fondamento comune di tutti i suoi interventi è
l’idea di moderna monumentalità architettonica, attraverso i principi del tempio antico.
Testimone è il senso di “sacralità” che scaturisce dal progetto per la Turbinenfabrik
di Berlino: nei pieni e vuoti di materia l’edificio e il tempio greco si
corrispondono nelle linee generali , secondo uno schema di riconoscibilità
approssimativa.
Nella Turbinenfabrik rigorose ragioni costruttive coesistono con altrettanto stringenti
ragioni simboliche. 14 pilastri di ferro rastremati e connessi a terra tramite cerniera e
nel cui intercolumnio vengono ospitate grandi pareti vetrate leggermente inclinate
13
verso l’interno, la trave secondaria e le sue nervature di rinforzo a ricordo del
triglifo, massicci elementi angolari di ordine gigante che si rivelano semplici
rivestimenti e il timpano sfaccettato che denuncia l’esatto andamento della
copertura.
4 Architettura e democrazia: Frank Lloyd Wright
Rispetto all’Europa, l’America di fine Ottocento è la patria del pragmatismo ma anche di
una singolare utopia: il paese dei liberi e delle possibilità.
La sua carriera ha inizio come apprendista nello studio di Adler e Sullivan traendo una
fondamentale lezione: per l’architetto che voglia perseguire la qualità, la metropoli è un
luogo “diabolico”, dove altissimo è il rischio di “perdersi”.
Nelle attività che intraprende sa solo Wright (1867-1959) individua fin da subito come
proprio fondamentale punto di riferimento una ben precisa committenza: la
classe agiata.
Il primo edificio commissionatogli, la Winslow House, dietro una sostanziale regolarità
nasconde una libertà nella disposizione interna, che contiene già in nuce le linee di
sviluppo posteriori.
L’evoluzione graduale ma costante che si verifica da un progetto all’altro conduce Wright a
mettere a punto, nel 1900 un modello di Praire House. Il concetto di prateria va inteso
in senso metaforico, poiché egli intende indicare l’apertura d’orizzonte alla quale la essa
predispone il suo abitante. Il motivo dell’orizzontalità giunge alla pienezza del suo
significato architettonico nella Robie House , costruita nella periferia di Chicago (1908-
10): qui infatti il marcato sviluppo longitudinale è ulteriormente rafforzato, e non
contrastato, dallo svettare dalla zona centrale della casa del monumentale camino .
Proprio il camino, del resto, definisce l’axis intorno a cui ruotano le ville wrightiane.
Essenziale risulta inoltre il controllo operato sulle fonti luminose, artificiali e
naturali . Da questo punto di vista gioca certamente un ruolo importante l ’ influenza
dell’architettura giapponese , certificata dal primo viaggio in Oriente del 1905.
Con i nodi lasciati irrisolti da Sullivan nei rapporti tra office building e dinamica urbana,
Wright cerca di confrontarsi nel Larkin Company Administration Building a
Buffalo . La soluzione spaziale si basa su un grande svuotamento centrale , un
pozzo a base rettangolare profondo cinque piani illuminato dall’alto da un vasto lucernario.
Intorno a questa “light Court” si sviluppa il resto dell’edificio. La scelta dell’open space
centrale può valere sia come una volontà di “rifugiarsi” dal mondo esterno, sia come una
concezione più trasparente ed egualitaria del lavoro.
Il tema di uno spazio vuoto predisposto per accogliere una comunità è
ugualmente al centro dello Unity Temple a Oak Park . La limitata disponibilità
economica costringe Wright a fare ricorso al cemento, ancora poco sperimentato a quella
data. Il concetto intorno a cui ruota fin dall’inizio il progetto è quello di unità. Proprio
l ’ impeigo del cemento lo spinge all’elementare forma del cubo,
incarnazione stessa dell’”integrità”.
14
Il Giappone, le culture precolombiane, la tessitura sono tutti motivi che si
presenteranno negli anni seguenti lungo il percorso wrightiano . Con l’Imperial
Hotel, costruito a Tokio (1913-21), tuttavia rinuncia alla libertà planimetrica propria della
cultura giapponese, e opta per uno schema tradizionale. La potenza inventiva Wright la
riserva per gli interni, combinandola con una grande accortezza strutturale (struttura
antisismica).
L’inesausta ricerca wrightiana si muove ora in direzione dell’individuazione di un sistema
costruttivo che esprima l’intima coerenza di struttura e ornamento, con una serie di case
realizzate in California tra il 1923 e il ’24. L’idea è ancora una volta quella della tessitura,
riguardante non soltanto la superficie dei muri, ma la loro stessa trama (blocchetti di
cemento raccordati da tondini d’acciaio e malta cementizia).
Evitando accuratamente ogni compromissione storicista, Wright di avventura con coraggio
nelle regioni delle “origini”, a contatto con le forze creative primogenie.
Non è forse casuale, in questa prospettiva, un’ennesima “fuga” o esilio che lo spinge
questa volta in Arizona. È nel deserto , in una situazione potenzialmente vergine, che
egli cerca e trova un nuovo inizio. Il grandioso progetto per il complesso
alberghiero San Marcos-in-the-Desert a Chandler, offre lo spunto
all’architetto per pensare a una inedita tecnica costruttiva naturalistica, che si ispira alla
naturalezza della crescita del catus saguaro. La sezione stellare del
saguaro suggerisce anche la configurazione esagonale delle piante dei diversi edifici.
L’epopea di Wright in Arizona ha il suo culmine nella costruzione dell’accampamento ,
Ocatillo Camp , destinato a ospitare lui, la famiglia e i suoi collaboratori impegnati nel
progetto per Chandler. Ciò che con esso si inaugura è una modernità rude , niente
affatto accomodante o rispondente agli standard di un “International Style”.
L’eccentricità di Wright a questo punto si radicalizza a contatto con la città: ciò che
prima era un suo rifiuto si traduce in una sfida nei suoi confronti. Nei progetti di
grattacieli egli incorpora elementi quali i sostegni usati nel National Life Insurance
Building (a fungo), mentre le torri-saguaro si offrono come una crescita organica che
dovrebbe “rinaturalizzare” il contesto urbano.
Rimane tuttavia in lui la presa di coscienza della complessità del problema, che riguarda
l’intera società, iniziando da quel momento a parlare di usionan architecture ( Usa union).
Nella sua idea, Usonia è quella entità armoica che gli Stati Uniti ora
non sono ma che dovrebbero diventare , e qui il discorso wrightiano si fa
intensamente visionario: “il proprio della terra americana è di combinare in maniera
singolare estensione territoriale e macchina ”. Il fondamento della libertà
usoniana, passa per questa paradossale unione, e tale si riversa sulle residenze.
L’applicazione di procedure macchini che alla casa usoniana non equivale a una
serializzazione bensì a una semplificazione delle operazioni costruttive che ha precisi
riflessi sulla forma. L’elemento caratterizzante sono le assi di legno che fasciano i corpi
edilizi in orizzontale.
Dal gruppo delle Usonian si stacca, pur facendone parte, la
Kaufmann House in Pennsylvania (1934-37). L’appellativo di “Fallingwater” con cui è
15
conosciuta descrive da un lato la situazione ambientale, e dall’altro il genere di relazione
che instaura con la cascata, facendosi cascata essa stessa. Il gioco di piani intersecanti e
aggettanti non cerca di confondersi con la natura circostante, qui Wright evoca il pericolo
ma soltanto per esibirne il controllo. Per l’architetto usoniano, costruire sulla
cascata significa stabilire una nuova alleanza tra tecnica e natura.
La definitiva rottura con il naturalismo segna l’ingresso dell’architettura di Wright in una
condizione diversa, più vicina alla natura e al tempo stesso più estranea al contesto nel
quale si colloca.
5 La “poetica” del cemento armato: Auguste Perret
In Francia , accanto al fiorire dell’Art Nouveau, si sviluppa un filone in cui l’architettura è
intesa innanzitutto come struttura. Un intenso dibattito teorico riguardante il sitema
trilitico greco e il sistema archiacuto gotico, in chiave strutturale e
affiancato da nuovi materiali come il cemento armato , avevano visto
coinvolti i nomi di Laugier, Viollet-le-Duc, Auguste Choisy e Julien Gaudet. Auguste
Perret (1874-1954) si inserisce in questa vicenda partendo da un precedente: la Casa
d’appartamenti in rue Franklin a Parigi (1903-04). La struttura è in calcestruzzo armato,
tale da consentire l’aumento della dimensione delle finestre e lo snellimento delle pareti
divisorie interne. Il retro è completamente vetrato e lascia scorgere la struttura. In facciata
invece superfici dominate da un rivestimento ceramico floreale, omaggio all’ancora
pienamente operante Art Nouveau. Ma non è questa la direzione che Perret insegue: la
costruzione per lui assorbe l’intero senso dell’architettura. Di notevole interesse è la
Chiesa di Notre-Dame de Consolation a Raincy, vicino Parigi (1922-
23): per la prima volta, dai tempi delle grandi cattedrali una chiesa viene mostrata nella
sua scheletrica nudità strutturale , ma si tratta di uno scheletro che parla il greco
non meno del gotico. L’assenza di facciata sostituita dalla torre campanaria, e di
conseguenza la “brutalità” dell’aspetto esterno , la visione caleidoscopica
dall’interno e i forti fasci cementizi che si slanciano verso l’alto la eleggono a “corpo
terreno” che incarna la potenza divina.
A Le Havre viene incaricato di redigere il progetto di ricostruzione del centro distrutto dai
bombardamenti. L’idea generale è quella di contrapporre al disordine urbano un ordine
fondato su regole, infranto da poche eccezioni, con l’intendo di dare vita a una tradizione
moderna.
6 Architettura della città industriale: Tony Garnier
Le applicazioni civili del cemento armato sono al centro anche dell’opera di
Tony Garnier (1869-1948). Egli ne mostra un impiego corretto, misurato, non
incline ai formalismi. Alla sua rinuncia ad atteggiamenti avanguardistici fa riscontro una
16
concezione dell’architettura socialmente avanzata: una vera e propria idea di città, a cui
Garnier riesce forma mescolando ipotesi realistiche e obiettivi ideali.
Ciò si ritrova infatti nel grandioso progetto della Cité Industrielle , elaborato
da Garnier nell’arco di quasi due decenni. Si tratta dello schema di massima di una città
d’”invenzione”, caratterizzata da una rigida separazione delle funzioni, impostate su
diverse griglie ortogonali variamente orientate a seconda delle differenti pendenze del
terreno. Garnier tuttavia non si limita semplicemente a far riflettere i caratteri delle città
reali in quelli della propria “finzione”; egli dà già per acquisiti alcuni progressi della società,
che sono però ben lontani dal realizzarsi nella città capitalista: esempio più eclatante è
l ’eliminazione dei contorni , con il libero attraversamento dei terreni e dei parchi, i
quali occuperebbero una superficie ben maggiore di quella residenziale.
L’esecuzione di edifici utilitaristici , a destinazione industriale o sociale, è affidata a
uno stile asciutto, moderno nella misura in cui tutto è informato allo scopo, ma al
tempo stesso ammiccante a una civiltà aurea,ellenica o pompeiana.
In sintesi un’ideologia nella quale si mescolano nostalgia dell’antico e volontà
di progresso .
7 Dialettiche dello spazio: Adolf Loos
Le oscillazioni di senso, le contraddizioni intrinseche al concetto di
modernità che si sono venute qui delineando, sono impersonate nel modo forse più
esemplare da Adolf Loos (1870-1933), senza però che tale esempio riuscisse a
divenire la “norma”. Ciò rende la sua figura al tempo stesso centrale ed eccentrica,
permanentemente inattuabile. Originario di Brno studia presso il Politecnico di Dresda e
successivamente intraprende un viaggio formativo negli Stati Uniti; Loos rimane
impressionato dagli habits della civi ltà americana segnando
indelebilmente il suo pensiero. Negli anni seguenti si stabilisce a Vienna dove si dedica
alla pubblicistica; arredamento e abbigliamento hanno un peso anche nei suoi
primi lavori d’interni, ma il suo vero esordio avviene con la sistemazione del Café
Museum (1899): pareti bianche, assenza di ornamenti, uso di materiali “pur” (legno,
specchi, sottili fasce di ottone). Per gli arredi Loos impiega elementi di produzione
materiale (sedie Thonet). Tanto straniante è il risultato finale da maritarsi l’appellativo di
“Café Nihilismus”.
Fin da subito l’approccio loosiano al progetto si pone in aperto dissidio con quello adottato
dall’Art Nouveau e dalla Wiener Secession. Là dove Van de Velde Olbrich praticano una
progettazione “totale” e un’architettura applicata alla sfera dell’arte, Loos rifiuta entrambe:
respingendo qualsiasi confondimento tra arte e utile “ Soltanto una
piccolissima parte dell’architettura appartiene all’arte: il sepolcro e il monumento”.
In quanto oggetto d’uso, l’architettura deve esprimere perfezione; quest’ultima
corrispondente alla bellezza, si rapporta con la praticità in modo tale che “una cosa poco
pratica è escluso che possa essere bella”, al contrario “la praticità non è sufficiente a
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rendere bello un oggetto”. L’arte perciò in quest’ottica risulta sempre un’alienazione da ciò
che è reale e a cui si relaziona (sepolcri e monumenti).
“Das Andere” (L’altro) è il titolo che Loos sceglie per la propria rivista: essa tratta di
argomenti apparentemente effimeri, dai consigli sull’arredamento, al vestiario,
dall’alimentazione al galateo, dai caratteri da stampa alla scenografia. Ciò che emerge è
una vera e propria critica della civiltà , basata sui limiti dei linguaggi, sul loro
riconoscimento e la loro messa in opera. L’opera deve rendere divenire linguaggio,
incarnasi completamente in esso, mostrando materialmente la differenza con l’incapacità
dell’arte di raccontare.
Traduzione concreta di tali concetti è il “principio del rivestimento” : operare in
modo da escludere qualsiasi confondi mento tra materiale rivestito e rivestimento (legno e
marmo si mostrano con le loro cromie e sfumature naturali). Il dicibile dell’architettura si
identifica così con una sapiente operazione di composizione, con la precisione e la
raffinatezza con cui i materiali vengono accostati.
L ’ interno dell’American Bar a Vienna di compone si un pavimento a
scacchiera, il soffitto a cassettoni in marmo, specchi che amplificano all’infinto lo spazio,
sgabelli in pelle nera e arredi bordati in ottone luccicante.
L’altro polo, rispetto all’interno dell’American Bar, è lo svuotamento della facciata
della Looshaus in Michaelrplatz , edificio misto residenziale e commerciale.
Le ripetute ingiunzioni del Consiglio comunale contro la facciata proposta ne fanno un
emblematico “caso moderno”. La risposta di Loos cerca di spiegare come la facciata non
sia affatto “moderna”, ma bensì legata strettamente alla tradizione . Il
rivestimento del pianterreno e delle colonne classiche in marmo, la copertura in rame e la
stessa facciata intonacata a calce, sono tutti elementi dell’architettura tradizionale
viennese.
In Ornamento e Delitto il discorso è incentrato sulla critica
dell’ornamento . Storicamente l’ornamento appartiene all’ “infanzia” dell’umanità ;
l’”evoluzione della civiltà” tende invece a eliminarlo completamente. In rafforzo a tale
posizione è l’aspetto economico che Loos fa intervenire, spiegando come l’ornamento
risulti uno spreco di tempo, salute e quindi denaro.
L’aristocratico non rappresenta per lui il conservatore tout court, il nemico del progresso,
anzi paradossalmente trova il proprio alleato nell’uomo moderno. Ma qui nuovamente
bisogna saper distinguere: la modernità dell’uomo moderno sta nell’usare modernamente
il passato, nel renderlo utilizzabile ai propri fini.
Ed è proprio la difficile comprensibilità della capacità loosiana di coniugare l’idea di
modernità con le idee di tradizione, ad aver spesso indotto a equivocare il senso del suo
discorso.
Haus Steiner (1910) ne è una dimostrazione: con essa Loos costruisce la
contraddizione nel trattare facciata e interni. I volumi esterni , squadrati,
intonacati di bianco, privi di ornamenti come di simmetrie, sono completamente
muti . In questo sradicamento si rispecchia l’indifferenza rispetto alla metropoli,
custodendo la verità degli interni . È varcata la soglia, infatti, che si dischiude il regno
18
dell’abitante: cura per i dettagli , i materiali e lo spazio, dando vita ad ambienti caldi.
La capacità di far compenetrare i volumi, rivela spazi inattesi: progettazione spaziale “al
cubo”. Partire da un ricco interno verso un muto esterno, ove il punto di contatto fra i due
mostra la contraddittorietà ditale differenza (asimmetrie, disordinata apertura della
finestre).
Il trasferimento a Parigi lo mette in contatto con le avanguardie
artistiche : il poeta dadaista Tzara gli commissiona la propria casa, mentre quella per la
ballerina Josèphine Baker rimane allo stadio di progetto.
Con questi ultimi lavori Loos persegue la via di paradossali “straniamenti”, già
imboccata con il progetto di il concorso per la nuova sede del “Chicago Tribune” del
1922: un grattacielo a forma di monumentale colonna dorica.
8 Il sogno futurista: Antonio Sant’Elia
Alla prima esposizione d’arte del gruppo “Nuove Tendenze” organizzata a Milano
nel 1914, Antonio Sant’Elia presenta 16 disegni architettonici per una
immaginaria Città nuova . In un suo scritto afferma: “Il problema dell’architettura
moderna è quello di saper creare di sana pianta la nuova casa, di costruirla con ogni
risorsa della scienza e della tecnica, determinando così nuove forme.
Anche se tali argomenti risultano implicitamente contrapposti a quelli del Liberty, la
formazione di Sant’Elia avvenne proprio in quegli ambienti; evidenti sono inoltre influssi
della Secessione viennese, soprattutto con Olbrich.
Dai suoi circa 300 disegni , ciò che traspare nei tratti fondamentali degli edifici è
l ’ impossibilità che essi possano sorgere al di fuori della metropoli,
anche se ciò risulta estraneo alla situazione reale in cui si trova l’Italia.
Nei diversi livelli stradali, nella case a gradoni, nelle stazioni o nelle centrali elettriche
l’istanza è quella di diminuire l’importanza delle facciate , e di eliminare
dalle superfici ogni ornamento , a favore del materiale greggio o violentemente
colorato.
Il lavoro grafico di Sant’Elia s’incentra interamente su edifici privi di una localizzazione
concreta e spesso di una destinazione d’uso specifica: come Boullée prima di lui e Erich
Mendelsohn dopo, egli si confronta con oggetti che riassumono in sé l’assolutezza del
“tipo”.
L’esaltazione del dinamismo e del macchinismo della città,
richiama nei toni e nei temi il Manifesto del Futurismo , il quali
incorporerà in seguito il testo di Sant’Elia apparso nella mostra “Nuove Tendenze”.
La voce di Marinetti, a volte però, si sovrappone a quella dell’architetto
comasco, nel tentativo di dimostrare il carattere futurista dei suoi disegni; difatti questi
ultimi rivelano in realtà una fissità e una fermezza perfetta, nessuna allusione al
movimento . Movimento e velocità piuttosto sono intrinsechi alle forme architettoniche:
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vale a questo proposito la distinzione di Boccioni tra “forma in moto (movimento
relativo)” e “moto della forma (movimento assoluto)” .
A ribadire l’eccezionalità del contributo di Sant’Elia va ricordato come nella sua Città
nuova, l’utopia del dominio del caos , tanto ricercata dai futuristi, non risolve in alcun
modo il problema, semmai piuttosto lo creano.
9 Utopia e contraddizioni della ragione: Le Corbusier
La figura di Le Corbusier (al secolo Charles-Edouard Jeanneret) occupa una
posizione cruciale nella vicenda architettonica del Novecento, ma ancora oggi risulta un
riferimento non soltanto per le opere ma anche per l’ambito intellettuale.
Le Corbusier nasce nel 1887, in Svizzera a La Chaux-de-Fonds. Una formazione tecnico-
pratica e una serie di viaggi costituiscono la sua formazione e l’iniziazione alle forme
architettoniche, come l’impressione che suscitò in lui la visione del Partenone : la
perfezione , né antica né moderna, ma eterna delle forme geometriche
solide , che si troverà in seguito nella sua definizione di architettura. (gioco
sapiente,rigoroso e magnifico dei volumi assemblati nella luce).
Nel 1914-15 dai primi studi che comincia a condurre, prende forma un sistema costruttivo
dalla parvenza elementare: la Maison Dom-ino. Tale modello è probabilmente
pensato in relazione alle necessità di abitazioni di rapida costruzione imposte dalla guerra,
ma al contempo rappresenta, più di ogni altra cosa, un manifesto . Chiara e distinta
come la capanna di Laugier, la Maison Dom-ino si fa profezia dell’architettura
futura .
Pressochè contemporanea, Villa Schwob a La Chaux-de-Fonds , è soggetta
alle oscillazioni dell’architettura di Jeanneret in quel periodo; egli infatti pone al centro del
fronte verso la strada l’elemento più incongruo e profetico al tempo stesso: una parete
bianca e liscia , racchiusa da mattoni e fiancheggiata da oculi ellittici (cornice delle
vecchie estetiche).
Con il trasferimento a Parigi , nel 1917, Jeanneret incontra Amèdèe Ozenfant
artista vicino alle avanguardie pittoriche parigine. L’interesse per la pittura ma non
solo, denota la crescente curiosità per discipline diverse dall’architettura, ma tutte volte
all’arricchimento di questa. Similmente, la rivista da lui fondata nel 1920, L”Esprit
Nouveau” , ha un’impostazione multidisciplinare, nella quale Jeanneret rielabora e
riformula idee di altri facendole proprie. La convinzione che ne scaturisce è quella di dover
agire e costruire in modo moderno. Ne è una prova la scelta del proprio pseudonimo ,
un nome memorabile,breve e pratico che può essere anche abbreviato: Le Corbusier .
Primo banco di prova di questa nuovo atteggiamento è la Maison Citrohan (per non
dire Citroen), modello di abitazione seriale del 1920-22. Le Corbusier concepisce ogni
elemento come pezzo di un più complesso assemblaggio , che partendo dalla
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singola cellula abitativa giunge fino alla scala urbana. Comun denominatore delle due
prospettive è la macchina , assimilare la casa agli oggetti d’uso, ai mezzi di trasporto.
Nelle pagine di Vers un Architecture (1923) si svolge il tema della superiorità
estetica degli ingegneri sugli architetti: ovvero la capacità di rispondere correttamente a
problemi ben posti, privandosi d’intenzionalità stilistico-estetica.
Conseguenza è l ’applicazione del purismo in architettura : volumi netti,
lineari, elementari, al cui candore esteriore si abbina l’uso di colori primari per gli interni.
Nel progetto della Ville contemporaine, Le Corbusier appare impegnato nell’opera di
ricongiungimento tra architettura e urbanistica; tali vengono pensate come “motori” delle
trasformazioni sociali, anziché come loro prodotto. Ciò lo condanna a una fatale
superficialità ideologica.
Incoerenze e ripensamenti non mancano neppure nei noti 5 punti
della nuova architettura; ciò che Le Corbusier cerca di costruire attraverso i suoi
punti è un mondo compiuto, finito. Ma è sintomatico che le sue architetture migliori dello
stesso periodo contengono qualcosa meno o qualcosa più dei 5 punti. A Villa Savoye
a Poissy (1928-31) le quattro facciate sono tutte incatenate alla finestra in lunghezza;
una rampa continua (promenade architecturale ) attraversa diversi spazi,
enigmatici volumi curvil inei si installano sul tetto giardino. Tutte queste
“infrazioni” dimostrano quanto poco la nuova architettura si sottometta a un canone
prestabilito, e quanto invece si basi su capacità compositive.
Su tale differenza lo stesso Le Corbusier disse: “ La Costruzione E’ PER TENER SU,
l’Architettura E’ PER COMMUOVERE. Così, la griglia ordinata di pilastri portanti, a Villa
Stein-de Monzie, non determina alcuna regolarità né alcuna monotona ripetizione
degli spazi ai diversi piani. Contro i pericoli dell’arbitrio invece, Le Corbusier in pianta e in
alzato adotta “tracciati regolatori” basati sulla geometria del triangolo e della
sezione aurea.
Analogalmente in “quadrato magico” di pilotis della Ville Savoye genera eventi molteplici:
lo svuotamento del piano terra, ridotto a un nucleo vetrato e curvato in base al raggio di
sterzatura dell’automobile. Nel campo delle machines à habiter Villa
Savoye si lascia comparare piuttosto a un esemplare unico, a una
fuoriserie.
A una complessità macchinista rimanda la concezione di tre edifici rappresentativi: il
Palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra (1926-28), il
Centrosojuz (1928-35) e il Palazzo dei Soviet (1931) . Le Corbusier
opera un meccanico assemblaggio di componenti , non più di singoli elementi
costruttivi bensì di intere destinazioni d’uso.
Con il Pavillon Suisse alla Cité Universitaire di Parigi (1929-33), l’architetto svizzero può
finalmente sperimentare l’efficacia del sollevamento su pilotis di un edificio pubblico. Per la
prima volta gli snelli pilotis circolari vengono sostituiti da elementi “brutali” che
culmineranno con l’Unité d’habitation.
21
Un altrettanto surreale ballet mécanique viene proposto da Le Corbusier a
scala urbana , come soluzione per i problemi di circolazione e per la carenza di alloggi
che affliggono molte metropoli in diversi luoghi del mondo. Le proposte formulate per le
città sudamericane, così come per Algeri (Plan Obus1920-31) ruotano intorno
alla creazione di terreni artificiali abitati, organizzati come edifici-dighe o edifici-viadotti
sulle cui coperture piane si dipanano strade a scorrimento veloce.
L’elementarità del gesto con cui Le Corbusier sovrappone alle città i suoi
macrosegni architettonico-urbani, denuncia un approccio all’urbanistica che
tende a risolversi dal punto di vista zenitale. Ciò risulta in particolar modo
evidente dal rapporto che il Plan Obus istituisce con la casbah, scavalcata da un
imponente viadotto; o dalla perfetta gratuità del calligramma arabo composto dalle stecche
residenziali.
Per altre città, a partire dal 1930, Le Corbusier mette invece a punto uno schema più
rigoroso : le linee generali sono quelle del Plan Voisin per Parigi , suddiviso in
zone a differente destinazione d’uso.
Con meno variazioni tale schema di urbanizzazione, condensato nello slogan “ciel,
espace, arbres” e noto sotto il nome di Ville Radieuse , viene offerto a Mosca,
Anversa, Buenos Aires e a Manhattan, con un’indifferenza per le differenze economiche e
culturali che rivela un caratteristica comune fondamentale: l’umano.
Alle medesime oscillazioni va del resto soggetta la sua ideologia, in un momento storico
cruciale dal punto di vista politico quali sono gli anni trenta e quaranta.
10 Norma e forma: Deutscher Werkbund
Das englische Haus, l’opera in tre volumi pubblicata da Muthesius al termine di un
periodo di sette anni trascorso in Inghilterra, costituisce il punto di partenza di un dibattito
che porterà, nel 1907, alla fondazione della Deutscher Werkbund . Centro focale del
libro è la casa, vista come luogo di concentrazione di oggetti: dagli elementi di cui la casa
stessa è composta agli oggetti d’uso che in essa sono contenuti. A tali oggetti la cultura
delle Arts and Crafts inglesi aveva dedicato, negli ultimi decenni dell’Ottocento,
una particolare attenzione progettuale. Agli occhi tedeschi, il sistema degli oggetti
anglosassone s’impone come modello a cui adeguare la propria produzione
industriale , ancora scadente dal punto di vista dell’estetica.
In realtà gli obiettivi del Werkbund sono di portata molto più ampia, avendo
l’ambizione di rifondare la cultura dell’abitare sulla base di uno “stile tedesco”:
la necessità di adattare il lavoro progettuale all’industrializzazione , attraverso
forme tipizzate e facilmente riproducibili.
Scontri interni tra i componenti e la controversia tra Muthesius e Van de Velde, porta
l’elezione a presidente dell’associazione Poelzig ; egli propone fin da subito un nuovo
corso: il superamento della logica industriale e commerciale a favore
22
dell’introduzione di una struttura artigianale sul modello medievale .
Il riferimento al Medioevo, come nel caso del Bauhaus, inaugurato in quello stesso anno, è
spirituale. L’evocazione mira al sogno del recupero dell’”unità dell’attività artistica” può così
tornare a compiersi nell’”architettura”.
La duplicità di arte (Kunst) e artigianato (Handwerk) va progressivamente eliminata per
creare un tutt’uno, un apprendistato di tipo medievale.
Il fallimento di questo tentativo è sancito nel 1921 dall’abbandono della
presidenza da parte di Poelzig.
Il Werkbund si ritrova così ad appoggiare una sintesi di procedimenti costruttivi
industrializzati e di componenti edilizie standardizzate che dà luogo a un linguaggio
effettivamente unitario. Occasione è la mostra dedicata all’abitare organizzata a Stoccarda
nel 1927 ; qui, in un’area collinare sorge la Weissenhofsiedlung, un quartiere
residenziale composto da una ventina di edifici. Incaricato della direzione artistica è
Ludwig Mies van der Rohe . Riprendendo le tematiche dibattute all’interno del
Werkbund negli anni precedenti, Mies avverte: razionalizzazione e tipizzazione sono
soltanto una parte dei mezzi, i l problema della nuova abitazione è
fondamentalmente un problema spirituale.
La depressione economica che colpisce la Germania fin dal 1929 fa esplodere del tutto le
contraddizioni interne al Werkbund, dichiarandosi quest’ultimo sconfitto riguardo alla
causa della qualità.
11 La provincia pedagogica: Walter Gropius e il Bauhaus
Il nome di Walter Gropius è inevitabilmente legato alla creazione e la
direzione del Bauhaus , dapprima a Weimar e poi a Dessau.
Come fa egli stesso, bisogna sforzarsi si superare posizioni preconcette: dichiarando la
propria inettitudine al disegno , non esita tuttavia a intraprendere la
carriera di architetto , trasformando così per sempre il modo di intendere la
professione (gruppo di lavoro).
Gropius comincia la sua carriera nello studio di Behrens e
successivamente si trova incaricato di progettare parte del complesso delle officine
Fagus ad Alfeld .
L’alternanza tra sostegni e vuoti vetrati a prima vista può rammentare la lunga facciata
laterale della Turbinenfabrik; in realtà le differenze sono più significative delle somiglianze.
Gropius rinuncia a rinforzare otticamente gli angoli , e anzi li svuota
completamente eliminandone i pilastri .
Tuttavia nel suo pensiero convive il paradossale interesse per la moderna
produzione industriale e il lavoro artigianale . La posizione da lui assunta
nella controversia tra Muthesius e Van de Velde, lo vede in sostanza a favore di
quest’ultimo.
23
Nel 1919 Gropius indica nella trasformazione delle scuole d’arte in
laboratori-scuola e nell’opera d’arte unitaria, le direzioni da perseguire in campo
didattico. Il programma del Bauhaus utilizza le medesime parole: riunificare in una
nuova architettura tutte le discipline pratico-artistiche : scultura, pittura,
arte applicata e artigianato. Come nella cattedrale medievale, infatti le arti e i mestieri
insegnati al Bauhaus dovrebbero trovare nell’opera architettonica la loro unità.
Paradossalmente, all’interno del programma proprio la materia “architettura” è assente;
secondo Gropius essa deve scaturire dall’accostamento delle diverse discipline e pratiche
di laboratorio.
Decisiva per la svolta geometrica del Bauhaus è la nomina di Moholy-Nagy a direttore del
Vorkurs (corsi propedeutici), ma anche l’influenza esercitata da TheoVan Doesburg
(pittore tedesco) e dal neoplasticismo di De Stijl sugli allievi.
Al di là di tutto il nucleo intorno a cui ruota la scuola è il tema della casa; il progetto della
Haus Sommerfeld a Berlino (1920-21) è firmato da Gropius e Meyer: la
vagheggiata cattedrale medievale si presta a essere ritrovata
anche in una comune abitazione .
In occasione dell’Esposizione dei prodotti del Bauhaus del 1923 Gropius comincia
a parlare per la prima volta del binomio arte e tecnica , come nuovo
traguardo da raggiungere: anzichè cattedrali, macchine per abitare. I primi oggetti che
escono delle officine del Bauhaus tendono a uno stile della funzionalità , che con
la riduzione dell’oggetto a scheletro rende l’idea dell’equivalenza di struttura e
bellezza .
L’utopia di Gropius trova così nell’oggetto d’uso un microcosmo in cui far rispecchiare
un’umanità riscattata dalla qualità del lavoro.
Il modificato clima politico a Weimar determina la chiusura del
Bauhaus, la cui nuova collocazione a Dessau diviene occasione
per la progettazione di una nuova sede (1925-26) All’elaborazione del
progetto provvede Gropius: la concezione architettonica poggia sull’idea di unità. Le
numerose funzioni sono distribuite in corpi indipendenti ma al tempo , stesso raccordati tra
loro a formare un unico organismo .
Nel 1927 viene chiamato l’architetto Hannes Meyer a dirigere la nuova sezione di
architettura. Nonostante lo sfruttamento commerciale degli oggetti brevettati cominci a
dare i suoi frutti, il nuovo indirizzo sociologico assunto dalla scuola ( insegnamenti di Klee
e Kandiskij) e la sua progressiva politicizzazione , danno luogo a crescenti
tensioni interne che sfociano, nel 1930 , nel licenziamento di Meyer e della
sua sostituzione con Mies van der Rohe . L’impostazione data da Mies
conferisce ulteriore centralità al progetto architettonico.
Prima ancora di poter diventare una scuola alla maniera miesiana, tuttavia, i l Bauhaus
viene chiuso, nell’estate del 1932 , a causa delle sempre più difficile situazione
politica vigente a Dessau.
24
Né le dimissioni di Gropius, né la cessazione delle attività hanno però il potere di porre
una pietra tombale sul Bauhaus; sarà proprio Gropius, negli anni seguenti, a pubblicizzare
e spesso a migliorarne l’immagine.
12 I discepoli di Scheebart: Bruno Taut e l’architettura “espressionista”
Nel 1914 Scheebart pubblica il suo libro intitolato Glasarchitektur .
Primo di tutti è Bruno Taut a raccogliere il messaggio dell’autore; nato nel 1880 nei
suoi primi lavori sono evidenti gli influssi della maniera Jugendstil.
Nel 1914, a Colonia, pur tra notevoli difficoltà economiche, Taut riesce a far costruire la
Glashaus , un piccolo padiglione che si avvale della collaborazione delle
industrie tedesche del vetro . Una cupola dal profilo ogivale composta da lastre di
vetro romboidali, posta su di un tamburo composto da sottili pilastri in ferro e pareti in
vetrocemento. L’unico scopo di tale costruzione è di essere solamente bello .
Lo scoppio della prima guerra mondiale costringe Taut ad occuparsi della stesura di libri
riguardanti tematiche urbanistiche e dotati di una forte carica utopica e immaginativa.
Nel 1921 viene nominato assessore all’urbanistica nel comune di
Magdeburgo ; egli avvia una campagna di rinnovo cromatico delle facciate
della città oltre alla costruzione di quartieri residenziali dotati di servizi
e animati da vivaci colori nel tentativo di conferire un forte senso d’identità .
La denominazione di “espressionisti”, compreso lo stesso Taut, è tarda e fornisce soltanto
un’indicazione generica.
Mentre la pittura espressionista si connota come deformazione violenta della realtà,
l ’architettura espressionista si configura invece come progetto di
un mondo alternativo. Non a caso , come proprie fonti d’ispirazione, essa assume
periodi e culture lontane: quali i l Medioevo e l’Oriente ; oppure figure del tutto
estranee al patrimonio architettonico.
Centrale nell’opera di Poelzig è il problema della forma: essa non prescinde
dallo scopo , ma in qualche modo lo trascende a concrescere come materia vivente.
Tecnica e tradizione sono il presupposto da cui scaturisce la forma. Agli esatti antipodi di
una libertà creativa espressionista, il lavoro formale di Poelzig consiste
nell’assunzione di precisi riferimenti iconografici (Domus Aurea).
Il problema della forma occupa una posizione preminente anche all’interno dell’opera di
architetti come Erich Mendelsohn e Hans Scharoun.
Per Erich Mendelsohn (1187-1953) la forma è qualità sintetica. Nasce
dall’imediatezza del gesto, ma sopravvive anche nella successiva fase di
rielaborazione. Si tratta di abbozzi che rappresentano l’essenzialità del progetto,
evidenziando lo sviluppo dinamico dell’edificio. Il fluido profilo di una torre si materializza
nel 1920 nell Einstenturm a Potsdam vicino a Berlino. Alla sommità la torre ospita un
25
osservatorio e sulla base un laboratorio astrofisico. L’effetto complessivo è quello di un
pezzo di materia solida portata allo stato di fusione, con consistenza all’apparenza
malleabile; riferimento forse alle deformazioni spazio-temporali teorizzate da Einstein.
Nei Grandi magazzini Schocken di Stoccarda (1926-28) Mendelsohn trova un
linguaggio conforme all’artificialità intesa come condizione metropolitana. Più che da un
freddo diagramma questa architettura si lascia sintetizzare da un energico schizzo:
prospetti solcati da fasci di linee orizzontali, facciate in curva, lettere cubitali, scandiscono
tutti insieme il ritmo a cui pulsa la vita delle metropoli e sottolinea la
direzione di scorrimento dei flussi di traffico.
14 Architettura o rivoluzione: architettura russa tra le due guerre
Nel novembre del 1920 a Pietrogrado (Leningrado) viene esposto a l pubblico il modello in
legno del Monumento alla III Internazionale , progettato da Tatlin.
Si tratta di una struttura a doppia spirale , interamente in ferro che
raggiungerebbe la prodigiosa altezza di 400 m. All’interno tre volumi sospesi con cavi
d’acciaio ospitano altrettante sale riunioni rotanti con velocità differenti. Perfetta fusione
delle istanze di modernizzazione sottesi alla Rivoluzione d’Ottobre.
Il terreno dal quale hanno origine questi progetti, a metà strada tra la scultura e
l’ingegneria, è quello delle ricerche artistiche precedenti la Rivoluzione del 1917; ricerche
volte alla rottura dei linguaggi canonici al pari passo delle avanguardie
artistiche.
Emblematici al riguardo sono i dipinti astratto-geometrici di Lissitskij,
attraverso i quali, egli profetizza, che si giunge all’architettura.
Il passaggio dalla staticità all’azione, così come il passaggio dalla cultura estetica alla
“cultura degli oggetti”, costituiscono i presupposti per un’arte “rivoluzionaria, che fa della
diagonale il proprio elemento caratterizzante, capace di superare la fermezza
dell’orizzontale e del verticale.
Spesso paragonato al Bauhaus, il VChUTEMAS raccoglie l’eredità delle correnti
artistiche d’avanguardia sviluppatesi in Russia nel corso degli anni dieci, e costituisce
terreno fertile per le ricerche costruttiviste . Fra i vari allievi: Konstantin
Mel’nikov, Aleksandr Vesnin, Il’ja Golosov, El Lissitskij, Vladimir Tatlin.
Aleksandr Vesnin nella versione definitiva per il progetto del Palazzo del
Lavoro , la volumetria generale risulta il prodotto di un montaggio meccanico di
pezzi diversi; l’universo macchinista viene così assunto nella sua architettura in un
duplice senso: come metafora del caos della metropoli, e come assemblaggio di elementi
che compongono l’edificio come una macchina urbana .
In seguito però, l’architettura sovietica evolve verso una tendenza alla narratività
formale ; tale tendenza emerge nelle prime opere di Golosov (1883-1945),
scontrandosi con il dinamismo dei cubo futuristi
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Nel progetto per il Palazzo del Lavoro (1922-23), egli immagina spazi voltati definiti dal
profilo di ruote dentellate, ove si insidia una torre cilindrica fatta a traliccio metallico, quasi
come una Torre di Pisa dell’età della macchina.
I progetti di Golosov dal 1925 in avanti perdono la loro carca immaginativa, per
cristallizzarsi in un linguaggio più sobrio. Permane comunque una spiccata
sensibilità per i “moti interni alle masse” ,rintracciabile nella soluzione di
incastonare un cilindro di vetro nell’angolo di un volume squadrato .
La libertà creativa legata alla Rivoluzione trova un ulteriore strumento nell’uso dei colori:
tenui, sfumati, pittorici e assolutamente originali negli accostamenti.
Tuttavia sia forme che colori non riescono minimamente a interpretare le istanze reali
di una società posta al cospetto di problemi di smisurata portata.
All’interno di tale articolato scenario si staglia la figura di Mel’nikov (1890-1974)
dove il tema del dinamismo risulta ancora presente .
Lo dimostra il carattere essenziale e vigoroso del Padiglione Sovietico, il cui
successo pone l’architetto ad avere fama internazionale , proprio mentre viene
celebrato l’effimero trionfo delle Arts Déco. Lo schema planimetrico rettangolare è
sorprendentemente infranto dal taglio diagonale che lo attraversa in lunghezza,
determinando a sua volta due forme trapezoidali. In alzato la copertura della diagonale-
scalinata è composta da falde oblique alternate, evocazione e allo stesso tempo
“decostruzione” del tetto a falde. Una torre portabandiera risolve l’esigenza razionalistica
di slancio verticale.
Il formalismo geometrico di Mel’nikov non è astratto , si compone di
elementi del linguaggio macchinista, di simboli e di frammenti del classicismo, di stridenti
campionature di materiali.
La serie dei club operai (sette) è il banco di prova in cui egli sperimenta la
magnetica capacità di attrazione che il suo linguaggio riesce a esercitare sulla classe
lavoratrice: sperimentazione e continua variazione dell’ interpretazione del
tema del club operaio.
Nel club Rusakov i volumi delle tre scale superiori gradonate, convergenti verso il
vetrice del triangolo planimetrico, sporgono plasticamente a sbalzo, manifestando così la
loro funzione anche al’esterno. Due sono le possibili rappresentazioni emblematiche: i
denti di un immenso ingranaggio, o un altrettanti gigantesco
megafono.
Nell’accostamento di materiali fra di loro incongrui la tecnica dello straniamento permette
di operare imprevedibili rigenerazioni linguistiche: la forma ne esce rinnovata pur
attingendo a repertori già noti.
Come nel progetto per il Palazzo dei Soviet (1932), dove una possente mano
semiconica tiene nel suo palmo la sala per le assemblee plenarie. Proprio con questo
progetto, tuttavia, Mel’nikov intraprende la via senza ritorno dell’uso di
apparecchiature sempre più deliranti.
27
Le contraddizioni che caratterizzano la sua opera sono le medesime che si presentano
anche in quella di Leonidov, con l’aggravante, a carico di quest’ultimo, del suo
ancora più elevato potenziale visionario .
15 L’eccezione e la regola: Scuola di Amsterdam e De Stijl
“I giovani non hanno pazienza; da subito desiderano la terra promessa della bellezza
architettonica”. È da queste premesse che deriva la moderna Scuola di
Amsterdam . I giovani come Van der Mey, Kramer, De Klerk
vogliono esprimere, ciascuno secondo il proprio carattere, la
costruzione e l’ornamento .
Alla grande richiesta di alloggi per le classi lavoratric i in Olanda si
deve il primo edificio moderno che, pur palesando la propria discendenza neomedievale di
Berlage, rappresenta una netta reazione nei suoi confronti; con il suo scheletro in cemento
armato esibito in facciata, ma anche con il ricco apparato decorativo esterno e interno in
pietra, laterizio, vetro e ferro battuto, lo Schhepvaarthuis di Amsterdam (1912-
16) dichiara infatti tale volontà.
La presenza più o meno sotterranea di Wright è quasi una costante nella
produzione degli architetti della Scuola di Amsterdam, come nelle opere di Michel
de Klerk .
Sempre in Olanda, negli stessi anni si sviluppa una secondo movimento
denominato“De Stijl” , dal titolo della rivista intorno alla quale si crea un gruppo di
artisti che si ricollegano all’esperienza delle avanguardie. Le premesse
fondamentali delle due correnti sono comuni, mentre gli esiti si
differenziano nettamente.
Le prime tracce di questa seconda corrente si ritrovano in Villa Henny (1914-16) di Robert
Van’t Hoff, dove si anticipano, in contemporanea con la Maison Dom-ino, le possibili
applicazioni del cemento armato alle costruzioni residenziali, accompagnate ancora una
volta dall’influenza wrightiana.
La via olandese che conduce a una sempre più forte accentuazione della
scomposizione volumetrica in architettura passa tuttavia attraverso un
necessari passaggio pittorico . L’evoluzione artistica di Piet Mondrian trova
proprio nella costruzione tridimensionale un suo punto ideale di approdo. La divisione della
superficie del quadro in campiture cromatiche ortogonali che tendono verso un’elementare
purezza, attraverso l’impiego di colori primari, fornisce un piano di lavoro che si traduce
dagli adepti del “neoplasticismo” in un principio concreto di edificazione di oggetti d’uso. Il
tradimento del discorso di Mondrian ha luogo invece con la sua riduzione a gioco
cromatico.
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Theo Van Doesburg (1883-1931), pittore autodidatta, nel 1916 conosce
Mondrian e Oud e ne consegue, nello stesso anno, la fondazione di De Stijl.
Contro l’ idea di una libera espressivi tà creativa , Van Doesburg
definisce un operare rigoroso e libero da emozioni , in cui far confluire le
tre arti fondamentali (pittura, scultura e architettura).
Tuttavia è soltanto nel 1923, dopo la rottura con Oud e l’esperienza col Bauhaus a
Weimar, che Van Doesburg decide di impegnarsi nel campo dell’architettura.
Perdita della staticità e della centralità prospettica sono i suoi punti
cardine: essi comportano una connessione di spazio e tempo che corrisponde ad
un’architettura quadridimensionale (Maison particuliére 1923).
Come già successo in altre circostanze, l’innovazione del messaggio
avanguardista si vanifica nel momento stesso della sua
realizzazione materiale . Non è un caso che i migliori lavori scaturiscano da
chi si è mantenuto ad una certa distanza da slogan e manifesti
esuberanti.
Esemplari a tal proposito sono le opere di Gerrit Rietveld (1888-1964); egli
realizza una sedia di legno che è costituita da pochi elementi geometrici che ne
individuano le parti essenziali, sottolineati dalla gerarchia dei tre colori
fondamentali e del nero . Il medesimo processo di scomposizione logica è
applicato anche a Casa Schröder a Utrecht (1924).
La casa, libera su tre lati, non si presenta come un volume cubico dentro il quale siano
stati intagliati le finestre e i locali, bensì al contrario, come un assemblaggio di lastre
orizzontali e verticali, tenuto insieme da travi profilate di metallo lasciate a vista e dipinte
con colori primari. La flessibilità che ne deriva appare il paradossale riflesso del
meccanicistico ordine e delle perfetta organizzazione degli spazi e degli elementi.
In Pieter Oud (1890-1963) è presente la stessa capacità costruttivo e spaziale, per
quanto inizialmente filtrata attraverso le finalità di De Stijl.
Il tirocinio ad Amsterdam e a Monaco e la frequentazione con Berlage lo predispone a una
comprensione del carattere costruttivo dell’architettura . La tendenza a
un’esattezza geometrica s’incrementa ulteriormente dopo il 1916, data del suo incontro
con Van Doesburg. Il processo di graduale razionalizzazione delle forme prosegue e trova
il suo compimento nel quartiere operaio che Oud costruisce presso Rotterdam
(1924-27); un elegante rendez-vous di forme curvilinee innestate le une alle altre e
lasciate librare su estese pareti di vetro a loro volta ricurve. Ma l’effetto non sarebbe lo
stesso se alla base de tutto non si trovasse una ferrea regola lineare :
un’immacolata striscia muraria longitudinale ritmata da finestre modulari in orizzontale.
Non è un caso quindi che Oud citi la purezza classica come parametro di riferimento, per
quanto sia comunque da superare. Fatto sta che nel Palazzo della Shell, i
dettagli decorativi e i rivestimenti in maiolica bianca e colorata oltre a sollevare
polemiche, mostrano come il discrimine tra modernità e nuova
29
classicità è il più delle volte una questione di gusto (contro
l’affermazione principi estetici = posizioni etiche).
La parabola professionale di Oud si concluderà dopo la guerra con un revival
neoplastico , in cui forme e colori De Stijl compaiono sotto forma
mnemonica , ma anche con la realizzazione di complessi non più concepiti come parte
di un tutto, bensì come episodi isolati, quasi frammenti di memoria architettonica
(maniera “rossiana”).
16 Elementarità e funzionalità: architettura tedesca tra le due guerre
Nel 1921, in concomitanza con la destituzione di Poelzig dalla presidenza del Deutscher
Werkbund, Heinrich Tessenow (1876-1950) rassegna le proprie dimissioni
dall’associazione, forse anche in merito alla sfiducia nei confronti dell’industria tedesca,
ritenuta responsabile del genocidio della guerra.
Per Tessenow le città di piccole dimensioni fondate su un’economia
artigianale rappresentano l’immagine di una società armonica e pacificata.
La sua architettura si compie nel totale sradicamento dalle nuove forme culturali, in
parallelo a un radicamento in pratiche costruttive lungamente tramandate .
In quest’ottica, le costruzioni tessenowiane finiscono col risultare provocatorie e
spiazzanti. In realtà Tessenow è tutt’altro che anacronistico rispetto al suo tempo: lo
dimostrano le sue concezioni, ribadendo la fondamentale importanza
dell’uniformità come mezzo per l’ottenimento di un ordine .
La semplicità delle soluzioni proposte in case per operai e per la piccola borghesia è quasi
disarmante: volumetrie regolari, tetti a falde, porte e finestre disposti simmetricamente,
danno forma all’essenziale, che per Tessenow è il primo compito dell’architetto.
Per i muri esterni egli teorizza il grigio come colore neutrale, mentre gli interni sono
ragionati sulla considerazione degli aspetti della vita che in essi si svolge.
Nell’Istituto Dalcroze di Hellereau (1910-12), l’architettura impiegata è ricolma di
una purezza quasi utopica .
“Un buon lavoro artigianale teme sempre l’originalità, ma non ciò che è consueto o la
ripetizione, che porta sempre con sé la sua spiegazione”.
Di una chiarezza sconcertante e di un’implacabile coerenza sono invece il libro
Groszstadt Architecktur (1927) di Ludwig Hilberseimer (1885-1967)
e i progetti che egli elabora intorno al 1923-24. Tema comune è l ’architettura della
grande città : tale aspira al rigore e all’essenzialità e corrisponde al modo di vivere
dell’uomo di oggi nella sua collettività.
A questo fine Hilberseimer individua la miglior soluzione in un sistema basato sulla
sovrapposizione di due livelli stradali e insediativi : quello inferiore,
riservato al traffico veicolare e alle attività lavorative, e quello superiore destinato alla
circolazione pedonale e all’edilizia residenziale. In sostanza sono gli spostamenti verticali,
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e quindi la verticalità, su cui si basa la sua proposta. I blocchi edilizi sono volumi
cubici elementari estesi in larghezza e altezza, scanditi in facciata unicamente da
finestrature regolari: l’immagine complessiva che viene assumendosi è quella di una
monumentale unità . Dalla disposizione planimetrica dei singoli vani nasce l’edificio
e, in base ad un’organizzazione funzionale, l’intero blocco: ne scaturisce
un’architettura metropolitana .
Accanto all’esperienza teorica di Hilberseimer, ma al tempo stesso in totale antitesi, si
colloca quella di Ernst May (1886-1970) a Francoforte.
Là dove infatti Hilberseimer pianifica un intervento complessivo, May accetta la
parzialità e a volte anche l’isolamento cui sono costrette le
SIedlungen . Inserite tra le preesistenze storiche, egli pone le sue “oasi felici” per la
classe operaia.
Nel 1925 viene nominato assessore all’edilizia di Francoforte ed è soprattutto on la
realizzazione di quartieri di case d’affitto a prezzi agevolati e
dotate di vari comfort , ad attirare l’attenzione internazionale su tale esperimento.
Vi è infatti sottesa un profonda e qualificata operazione culturale che lo spinge pure alla
pubblicazione di una rivista mensile “Das neue Frankfurt ”.
Se la forza dell’azione di May a Francoforte consiste nella capacità di connettere discorsi
in apparenza antitetici, come l’approccio scientifico ai problemi dell’abitare con la
coscienza della città storica, in Unione Sovietica tale metodica viene a mancare.
Il piano per la Grande Mosca (1932) ruota intorno alla realizzazione di quartieri periferici a
“grappolo”, con il conseguente decentramento del centro storico e la sua riutilizzazione
come centro direzionale.
17 Edificare senza aggettivi: architettura italiana tra le due guerre
Da un punto di vista architettonico, dopo la guerra, a Milano si registra l’ennesimo
ritorno a un moderato classicismo : ricetta universalmente valida per affermare
un ordine, per di più sentito dalla popolazione come proprio.
Il ricorso a un vocabolario neoclassicista lombardo e neopalladiano, ha il merito di indurre
gli architetti italiani a concepire per la prima volta la costruzione in senso moderno ;
ciò risulta infatti funzionale a evitare lo scontro con le contraddizioni
presenti , ma anche a dissimularne la loro esistenza. È quanto accade nell’edificio più
rappresentativo dell’intera “avventura novecentista”: il quartiere Moscova a Milano
(1919-23) di Giovanni Muzio (1893-1982), cui l’opinione pubblica attribuisce
immediatamente il nome di “Cà Brüta”.
31
Affermatosi come “stile Novecento”, il neoclassicismo depurato costituisce il
tratto di un paesaggio milanese ben rappresentato dalle malinconiche
periferie di Mario Sironi.
Discorso a parte merita Gio Ponti (1891-1979); per lui la conquista del gusto moderno
deve superare i limiti della tradizione paesana ed entrarvi addirittura in conflitto.
Il suo merito maggiore consiste nella messa a punto di tipologie abitative
spogliate da ideologie moderne : alla “casa esatta” di matrice tedesca,
contrappone la “casa adatta” che corrisponde alla casa all’italiana; quindi non più una
machine à habiter ma il vivere in un comfort che è qualcosa di più del rispondere a
necessità basilari.
De Finetti, da parte sua, cerca di saldare la concreta spazialità loosiana, dilatata alla scala
del condominio alto borghese, e i dispositivi tecnologici più avanzati in ambito abitativo,
assumendo il classico come eterno modello.
Terragni (1904-1943) nel 1927, pubblica un articolo insieme ad altri collaboratori
sotto lo pseudonimo di Gruppo 7, il quale dichiarava: “Tra il passato nostro e il nostro
presente non esiste incompatibilità: è la tradizione che si trasforma ed assume
nuovi aspetti sotto la quale pochi la riconoscono. Difatti, questa scala di valori, col
cemento armato perde ogni senso ed ogni ragione di essere: dalle sue nuove
possibilità deriva necessariamente una nuova estetica, assumendo
forme del tutto nuove”.
In una prima fase, ma anche successivamente, lo “spirito” di Sant’Elia incrocia il suo
cammino, in particolare con il Monumento ai caduti di Como (1931-33).
A una devozione formale per il Le Corbusier di Vers une architecture può essere
ricondotto il Novocomum (1927-29): un marcato andamento lineare, da “transatlantico”
approdato in prossimità del lago, nelle cui estremità si inseriscono due cilindri vetrati. Il
risultato finale ricorda molto un edificio di Golosov, ma in realtà le ragioni ispiratrici sono
diverse.
Il raggiungimento di un compiuto equilibrio tra estetica moderna e
tradizione classicista è rappresentato dalla Casa del Fascio , sempre a
Como (1932-36).
Tra le mani di Terragni l’esattezza classica di un impianto basato su un semicubo e su
rapporti proporzionali delle facciate, diviene occasione per applicarvi dissimmetrie e
irregolarità : innanzitutto nei quattro prospetti, tutti diversi, ma anche nella disposizione
dei pieni e dei vuoti interni, che ha come esito il decentramento della corte coperta
(Pagano lo definì in maniera critica un esempio di “secentismo del funzionale).
Con la Casa del Fascio i l linguaggio arr iva a rappresentare se stesso
come valore, libero da ogni scopo e perciò puro (es. moltiplicazione di
elementi superflui).
32
Significativa è la serie di cinque case eseguite a Milano tra il 1933 e il ’36, dove
si assiste al recupero della tradizionale struttura a ballatoio lombarda,
trasformata però in una versione “aerea” delle promenades architecturales di
Le Corbusier (Casa Rustici).
Di nuovo a Como nell’Asilo d’infanzia Sant’Elia (1936-37), mediante tende frangisole
avvolgibili, Terragni adotta maschere che ne rendono manifesta l’ascetica purezza.
La Casa Giuliani-Frigerio sempre a Como (1939-40), occupa l’ennesimo punto
notevole ; in questo caso l’apparente uso del linguaggio razionalista nasconde un
attento studio sulla disposizione degli appartamenti , che determina
prospetti tutti differenti , come nella Casa del Fascio, e un risultato formale che
genera una profonda irrazionalità, resa tangibile anche dalla presenza di ferri sporgenti
che creano volumi virtuali .
Se la precoce scomparsa di Terragni interrompe bruscamente lo sviluppo di una via
originale dell’architettura moderna , l’unico edificio costruito in Italia nel primo
quarto di secolo del Novecento, è lo Stabilimento Fiat Lingotto di Torino
(1914-26) di Giacomo Matté Trucco, citato e illustrato da Le Corbusier e Hilberseimer.
Rispetto all’estetica preponderante dello stile littorio dopo il 1936, un’eccezione
rappresenta l ’Ivrea di Adriano Olivetti : sotto gli effetti del capitalismo illuminato
architettura e urbanistica si saldano in un unico progetto di vasta portata.
Allo stesso tempo il fallimento finale di tale volontà (non senza episodi positivi)
chiude la parentesi razionalista in Italia.
19 L’essenza del costruire: Ludwig Mies van der Rohe
Fedeltà all’”essenza del costruire” : intorno a ciò ruota l’intera opera di
Ludwig Mies van der Rohe. “Costruire è dare forma alla realtà” inteso
come volontà di non partire dalla costruzione bensì l’esatto contrario: dare forma a
quest’ultima partendo dalla realtà.
L’apprendistato presso la bottega del padre scalpellino e l’esperienza nello studio di
Behrens, concorre a forgiare una sensibilità per gli aspetti sostanziali , non
stilistico-esteriori, del costruire . Se il sapore ottocentesco delle sue prime “prove”
tenderà poi a scomparire, è proprio tale classicità basata sul ritmo che tornerà a
manifestarsi in seguito.
Nel dopoguerra intraprende diversi rapporti con la cultura espressionista senza però
restarne “contagiato”.
All’interno di questo panorama di crocevia di movimenti (elementarismo,
costruttivismo, neoplasticismo, elementi wrightiani) Mies mette a punto la
propria architettura . Sarebbe tuttavia un errore leggere delle semplici trasposizioni
meccaniche delle opere di Malevic o Mondrian nelle planimetrie miesiane.
33
“La forma non è il fine del nostro lavoro, intesa come fine è solo formalismo; anche
la volontà di stile è formalista. Il nostro compito è di riportare il costruire a essere se
stesso, ossia COSTRUIRE”.
La proposta miesiana per l ’edificio alto sulla Friedrichstrasse , posto su un
lotto triangolare , a prima vista sembra fare riferimento al patrimonio figurativo
espressionista: il cristallo come simbolo di riscatto collettivo . Ma non è in
questo senso che egli lo impiega.
La soluzione da lui prospettata è tanto brillante quanto concreta: Mies immagina una
struttura in acciaio lasciata interamente trasparire da un frastagliato
prisma di vetro, nel cui centro si trova il blocco ascensori.
Diretto sviluppo di tale progetto è quello per un Grattacielo di vetro (1922),
con vaste superfici vetrate curve che creano un ricco gioco di riflessi luminosi .
Con esso Mies punta al conseguimento di un ordine: l ’ordine della luce , che si lasci
percepire dall’interno dell’edificio divenendo esso stesso un corpo illuminante . Nei
successivi progetti l’aspetto costruttivo predomina nettamente a scapito di estetica e
formalismo. La radicalità del procedimento è esplicita: ogni volta lo scopo cambia
il linguaggio, e lo stesso vale per i mezzi, il materiale e la tecnica .
Ma non è tutto: è nell’ottica dell’essenza dell’architettura che ciò deve avvenire, in modo
da non incorrere in un superficiale funzionalismo.
Allo stesso modo i l mattone può divenire, nel monumento Liebknecht-
Luxemburg a Berlino (1926), elemento vitale e quindi partecipante nel costituire la
massa di compatti parallelepipedi sovrapposti e sfalsati.
Nel blocco per appartamenti al Weissenhof di Stoccarda, nel 1927, le potenzialità
della struttura portante in acciaio sono illustrate con intento quasi didattico. Mies applica i
principi di tipizzazione e razionalizzazione dimostrando però una grande
flessibilità e libertà degli alloggi.
La capacità miesiana di modulare lo spazio utilizzato un ridotto numero di fattori trova il
suo luogo ideale di applicazione nel Padiglione tedesco che egli progetta per
l’Esposizione Internazionale del 1929, a Barcellona. Tranne pochissimi elementi di arredo,
esso non contiene null’altro che lo spazio vuoto. Intorno a questo vuoto privo di
centro, si avvolge e si svolge senza tregua lo spazio espositivo.
Rialzato di alcuni gradini, un allungato piano orizzontale di travertino fa da stilobate al
templum. Una grande vasca rettangolare, chiusa da una grande parete di onice, fronteggia
il Padiglione vero e proprio. Superata un’impalpabile entrata, sia apre uno spazio scandito
da otto pilastri cruciformi cromati che sostengono una soletta aggettante: un sontuoso
gioco di trasparenze e riflessi, di opacità e lucentezze. Lusso e sobrietà accompagnano
fino all’uscita senza sbocco, vigilata da una statua-guardiana: spazio al tempo
stesso interno ed esterno, definito e indefinito che si “risolve” in
un’esplicabile attesa .
34
La “soluzione” del Padiglione di Barcellona di limita dunque a indicare il problema
senza con questo dissolverlo.
In Casa Tugendhat a Brno (1930), posta su un terreno scosceso, si accede dal
piano superiore, direttamente dalla strada. Al piano inferiore , invece, la zona giorno
occupa un ampio spazio quasi interamente libero; unici vincoli, oltre alla griglia dei pilastri
cruciformi, un setto di onice e una parete semicircolare impiallacciata di legno d’ebano, a
determinare un imprecisato numero di tragitti possibili. La vetrata continua che abbraccia
l’intera zona giorno, può all’occorrenza essere abbassata meccanicamente oppure
oscurata per mezzo di tende. Casa Tugendhat rappresenta quindi uno dei vertici assoluti
dell’esperienza moderna, dove i l massimo dell’artificio architettonico si
sposa con la massima semplicità e con la massima integrazione
con la natura circostante.
Il tema dell’abitazione rimane centrale negli anni successivi sfociando negli esempi
della Farnsworth House a Plano, e dell’apparente casualità della disposizione degli
elementi nelle tra case a corte (1938). In tutto ciò il significato che traspare è quello tutto
miesiano del segno che rimane segno, rinunciando a essere valore.
Il trasferimento negli Stati Uniti lo vede divenire una figura fondamentale per lo
sviluppo dell’architettura americana di quegli anni, nel divulgare la sua personale lezione.
È qui che tale lezione viene sintetizzata nel celebre “Less is more” : inteso soprattutto
in senso etico più che compositivo. Nessun misticismo tuttavia per Mies: semmai una
concezione superiore della realtà. Reale non è tutto ciò che esiste, semmai è il rapporto
che l’architettura instituisce con la civiltà.
Nell’incarico di realizzare la planimetria generale del Campus dell’IIT di
Chicago , i diversi edifici universitari messi su una griglia rettangolare, appaiono disposti
come gli stessi slittamenti dei setti murari nei progetti residenziali
precedenti. Per Mies, l’ordine ha senso soltanto se ne si disvela la trama,
segnalandone la presenza .
Nella progettazione dei singoli edifici egli deve rinunciare all’ impiego di
materiali nobili ; tuttavia come già affermato, la povertà non è deprivazione .
La relativa ristrettezza dei mezzi non diminuisce l’accuratezza della costruzione: le
soluzioni d’angolo mettono in luce la capacità di accostamento dei diversi materiali,
saldando insieme regolamenti antincendio e ordine architettonico.
20 La ricerca dell’ordine: architettura finlandese e scandinava
Un susseguirsi di guerre e di unioni scandisce la storia della penisola scandinava, e sul
finire del secolo il tema principale è proprio quello dell’identità nazionale della
Finlandia .
È proprio in questo clima positivo che inizia a operare Eliel Saarinen (1873-1950)
insieme ad altri due architetti. Appena aperto, lo studio viene investito da una notevole
quantità di incarichi, tra i quali il Padiglione finlandese all’Esposizione di
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Parigi del 1900. Un ibridazione del linguaggio più solido di Sullivan con quello più
fantasioso dello Jugendstil, fatta reagire con riferimenti alla cultura finlandese.
Con il progetto per la Stazione di Helsinki, il gruppo si divide, lasciando Saarinen in
una posizione di assoluta preminenza in Finlandia. L’edificio consegue un significativo
grado di modernità, che al contempo risulta anche originale.
Il linguaggio elaborato, molto personale ma in grado di suscitare una forte
identificazione collettiva , diviene, con i progetti per il grattacielo del “Chicago
Tribune” (grattacielo rastremato) e per il Palazzo della Società delle Nazioni, patrimonio
di un terreno più vasto.
Il contributo di Saarinen tuttavia non risulta considerevole nella successiva generazione di
architetti finlandesi, quanto invece quella sviluppata in America . Qui egli adotta però
una maniera più accademica, benché connotata di grande qualità, facendone infine un
ottimo architetto “americano”.
Nel 1915 il progetto di Asplund e Lewerentz risulta vincitore del concorso per
l ’ampliamento del Cimitero sud di Enskede , presso Stoccolma. All’interno
del boscoso paesaggio di conifere , i due architetti tracciano percorsi e dispongono pochi
edifici di modeste dimensioni. Tra questi la Cappella del bosco e gli edifici di servizio
progettati da Asplund, e la Cappella della Resurrezione e i suoi annessi firmati da
Lewerentz. Seguiranno, negli anni trenta, il Crematorio e la Cappella principale di Asplund.
La Cappella del bosco è un edificio sovrastato dall’imponente coperchio di un tetto
a falde a 45 gradi di legno scuro, preceduto da un porticato di dodici bianchi fusti lignei;
custodito dietro laconiche pareti bianche e lisce, si apre lo spazio quadrato della cappella
funeraria. I pur evidenti rimandi storici non sono tuttavia riducibili a soluzioni di repertorio o
a mere citazioni. Per Asplund i l classico è qualcosa che prescinde dalla
storia, e in qualche modo precede la codificazione stilistica . Per
questo la Cappella sembra corrispondere alle parole scritte una decina d’anni prima da
Loos: “Se in un bosco troviamo un tumulo, lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala
a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto qualcuno.
Questa è architettura”. Solenne, senza essere retorico, è l’accostamento del pesante e
opprimente solido superiore con quello fragile inferiore, e l’uso del bianco come colore
funebre. Ciò che Asplund manifesta in tal modo è l ’esistere da sempre della
Cappella nel bosco , la quale attende solamente la sua rivelazione. Nuovamente
metafisico è l’ultimo intervento orchestrato da Asplund. Lungo la Via della Croce
egli posiziona tre Cappelle (della Santa Croce, della Fede, e della Speranza) il
cui linguaggio delle forme è ridotto al silenzio, come l’ossatura trilitica del porticato, che
distilla la quint’essenza del classico .
Tra i primi lavori e il completamento del Cimitero si colloca l’opera più nota: la
biblioteca di Stoccolma (1920-28). A memoria del Pantheon e della
Rotonda di Palladio è il salone di lettura circolare. Nella versione definitiva, la
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cupola diviene un tamburo più solido, accentuando le relazioni tra il basamento e le parte
superiore curvilinea, accomunati dallo stesso trattamento dei muri e dalla medesima
scansione delle aperture. Ciò che l’architetto svedese qui offre è un’esperienza del
centro , che ancora una volta trascende i tempi e gli stili.
Nell’ambito dell’Esposizione di Stoccolma del 1930, Asplund e Paulsson sono
invitati a compiere un viaggio di “aggiornamento” all ’estero .
Liberamente disposti lungo un “Corso”, citazione esplicita delle strade da
mercato italiane, sono i padiglioni temporanei disegnati da Asplund, i quali
presentano un’alternanza di forme rettilinee e curvate. Ciò che l’Esposizione comunica è
un senso di vivace spontaneità, in perfetta linea con lo spirito della società svedese.
Il diffondersi del funzionalismo nei paesi scandinavi non
rappresenta una rottura col periodo precedente, ma anzi ne risulta
la sua naturale continuità. Proprio in relazione alle condizioni ambientali,
l ’ impiego del cemento armato offre vantaggi tangibili in termini di
illuminazione interna. Sotto questo profilo, il funzionalismo scandinavo, appare molto
meno ideologizzato, e più attento all’ambiente e ai materiali.
Un aspetto comune delle diverse esperienze scandinave è la loro
capacità di fornire una declinazione di l inguaggio ormai divenuto internazionale.
Un esempio in tal senso è rappresentato dalla Cappella cimiteriale a Turku
(1938-41) del finlandese Erik Bryggman (1891-1955). Frutto di questo
sapiente equi librio sono l’essenzialissimo portico esterno, nettamente decentrato
rispetto alla facciata, e lo spazio dell’aula, plasticamente voltato come nelle chiese
tradizionali finlandesi. Una navatella laterale, delimitata da una parete vetrata che mette in
contatto visivo con il bosco esterno e al contempo rende fortemente espressiva la navata
principale.
È comunque significativo che a quest’ingente vague funzionalista sfuggano proprio i due
migliori architetti scandinavi: Asplund e Alvar Aalto.
21 La vita delle forme: Alvar Aalto.
Se durante il passaggio del secolo l ’architettura f inlandese aveva coinciso con il
romanticismo nazionalistico, e negli anni successivi con il neoclassicismo nordico, con le
opere di Alvar Aalto (1898-1976) essa giunge finalmente a una sintesi che
comprende e travalica entrambi . Tale rimane complessivamente distante da
qualsiasi formalismo naturalistico, ricercando piuttosto un armonico accordo tra uomo
e ambiente: essa cerca di radicarsi in un luogo.
Stile , nelle architetture di Aalto, corrisponde piuttosto a stile di vita . Ed è rilevante
come la committenza sia la classe imprenditoriale industriale affermatasi in Finlandia dal
1917.
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I l inguaggi ereditati sono per lui un patrimonio ricco dal quale attingere
come da un repertorio vitale. Ciò vale anche per la sede del quotidiano di
Turku ; a prima vista può apparire come un’adesione all’estetica lecorbuseriana, ma in
realtà esso interpreta fluidamente la l ibertà spaziale che il sistema a pilotis
consentiva .
Tale sensazione di fa più tangibile nella Biblioteca di Viipuri (1927-35), progettata
prevalentemente sugli spazi interni piuttosto che sulle facciate. Al centro del volume
maggiore è collocato il banco della distribuzione dei libri , in posizione
dominante rispetto alla sala di lettura e a quella degli scaffali; l ’ i l luminazione
proveniente dall’alto , abbraccia in modo omogeneo lo spazio, libero da vincoli
strutturali. Con il flessuoso corrimano delle scale, Aalto cerca di far sentire
tattilmente lo spazio , così come la copertura ondulata della sala conferenze
cera di rendere visibile l’acustica . Tali sollecitazioni sensoriali non sono tuttavia il
suo fine ultimo, casomai si tratta di un umanizzazione dell’architettura.
Vero e proprio capolavoro da questo punto di vista è il Sanatorio di Paimio (1929-
33). Immerso nelle foreste di conifere, il suo referente più immediato sembra essere
l’edificio del Bauhaus. Nel Sanatorio tuttavia i corpi di fabbrica subiscono lievi ma
significativi scostamenti rispetto alla regolarità cartesiana degli allineamenti: rotazioni e
angolature sono il segno della volontà di Aalto di aprire l’edificio alla foresta . Lo
stesso sforzo di adattamento ha luogo degli interni, dove le forme degli arredi
aderiscono il più possibile al corpo umano. Dai comportamenti dei
pazienti in rapporto agli ambienti di degenza, Aalto ricava indicazioni sull’uso dei
materiali, delle forme e dei colori. Il funzionalismo non viene così
rinnegato bensì approfondito e reinterpretato in chiave psicologica e fisiologica.
Rustico e moderno sono invece le polarità fra le quali oscilla il Padiglione
finlandese alla Fiera Mondiale di New York ; al suo interno Aalto sublima il
mito della Finlandia , fino a farlo diventare un materiale da esportazione :
una grande parete inclinata divisa in quattro strips, ospitante una narrazione per immagini
e oggetti della produzione del paese nordico.
Il successo conseguito negli Stati Uniti lo porta al progetto della Baker House, la
Casa dello studente del MIT ; il tema della parete ondulata si ripresenta.
Vista da dentro la triplice piega è spiegata dalla diversità degli alloggi studenteschi, vista
da fuori, la medesima curvatura assume un carattere urbano.
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22 Architettura moderna: The International Style
Il 10 febbraio 1932 inaugura al MoMA una mostra dal titolo “Modern
Architecture. International Exhibition” curata dal giovane Philip
Johnson . Nella sezione principale, oltre alle ovvie presenze di opere di Le Corbusier,
Gropius, Mies van der Rohe, Oud e Wright, sono rappresentati i lavori di alcuni architetti
statunitensi, tra i quali Richard Neutra.
L’intendimento della mostra è chiaro: sottoporre al pubblico americano i
risultati di una vicenda architettonica di matrice europea , all’indomani
della crisi del 1929, nel tentativo di offrire una nuova prospettiva estetica con cui gestire la
prossima ripresa economica.
Ciò comporta in primo luogo la spogliazione dell’architettura moderna europea delle sue
connotazioni sociali e politiche e ideali; e in secondo luogo la sua trasformazione in stile.
“International Style”. Il termine “internazionale” cancella ogni riferimento
all’utopia socialista che vi era altrettanto presente . Tale denominazione
non è tuttavia da attribuire alla mostra del MoMA, ma bensì al libro scritto da Hitchcock e
Johnson due mesi prima: The International Style: Architecture since
1922. Qui, le esperienze architettoniche europee vengono rilette in
maniera soltanto formale , decodificandole in tre rudimentali principi: una nuova
concezione dell’architettura come volume piuttosto che come massa, la regolarità piuttosto
che la simmetria assiale, e l’annullamento del’uso della decorazione.
La riduzione ottenuta in tal modo ha come esito la definizione di un presunto
linguaggio unitario , non frammentario e contraddittorio come lo era stato veramente,
pronto così a essere assimilato dalla cultura americana.
Il caso più clamoroso di assenza nel libro di Johnson è quello di Rudolph
Schindler ; tanto più dal momento che risulta essere presente Richard Neutra con la
Lovell Health House a Los Angeles (1927-29). Proprio quest’ultima non può prescindere
dalla precedente Lovell Beach House, realizzata da Schindler. Le opere schindleriane
configurano un tipo di architettura difficilmente inquadrabile in una troppo rigida griglia
normativa e stilistica.
La progressiva diffusione di un International Style così normalizzato finirà per svuotare di
ogni contenuto il messaggio dell’esperienza moderna; e per sancire al contempo la
potenziale ubiquità di un’architettura che dell’indifferenza del luogo arriva a fare il proprio
carattere.
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