Stars 'N' Stripes

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IL PERIODICO ON LINE PER GLI AMANTI DELLA PALLA A SPICCHI D’OLTRE OCEANO IL PERIODICO ON LINE PER GLI AMANTI DELLA PALLA A SPICCHI D’OLTRE OCEANO T T h h a a t t s s G G r r i i f f f f i i n n t t i i m m e e I I L L P P E E R R S S O O N N A A G G G G I I O O D D i i e e c c i i a a n n e e l l l l i i e e u u n n a a v v i i t t a a s s t t r r a a o o r r d d i i n n a a r r i i a a : : P P h h i i l l J J a a c c k k s s o o n n L L A A T T R R A A D D E E L L e e b b r r o o n n s s i i a a f f f f i i d d a a a a S S h h a a q q . . . . . . H H o o w w a a r r d d a a C C a a r r t t e e r r L L A A P P A A R R A A T T A A L L a a c c e e l l e e b b r r a a z z i i o o n n e e e e l l a a p p a a r r a a t t a a d d e e l l 1 1 5 5 ° ° a a n n e e l l l l o o g g i i a a l l l l o o v v i i o o l l a a I I L L D D R R A A F F T T A A l l m m i i c c r r o o s s c c o o p p i i o o t t u u t t t t e e l l e e p p r r i i m m e e t t r r e e n n t t a a c c h h i i a a m m a a t t e e M M A A D D E E I I N N I I T T A A L L Y Y L L a a p p p p r r o o f f o o n n d d i i m m e e n n t t o o s s u u l l l l a a L L e e g g a a I I t t a a l l i i a a n n a a O O N N T T H H E E R R O O A A D D W W e e l l c c o o m m e e t t o o D D e e n n v v e e r r

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Il periodico on line per gli amanti della palla a spicchi d'oltre oceano

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IL PERIODICO ON LINE PER GLI AMANTI DELLA PALLA A SPICCHI D’OLTRE OCEANOIL PERIODICO ON LINE PER GLI AMANTI DELLA PALLA A SPICCHI D’OLTRE OCEANO

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Chi riuscirà

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Serviva un tonico. Serviva un rigenerante,uno di quelli che ti permette di ritornare incampo per il secondo tempo e vincere la par-tita cosi come si sente negli ultimi tempiall’interno di un noto spot pubblicitario ame-ricano e trasmesso anche sui nostri schermi.Insomma un qualcosa che potesse togliere

qualche pensiero dalla mente di Lebron (permetterne forse altri e ricordatevi questeparole in vista dell’approfondimento chepotrete leggere tra poco ndr) e permetterglidi dimenticare quanto successo nello scorsofine maggio nelle sei partite contro i Magic.Un po’ quello che Danny Ferry e la dirigenzadi Cavs avevano fatto un anno prima metten-do tra ‘le mani di LBJ’ Mo Williams e vetera-ni di tante battaglie come Ben Wallace e

DIDI

DDOMENICOOMENICO PPEZZELLAEZZELLA

Le voci delle ultime settimane tra gli addetti ai lavori si sono trasformate in realtà. Ferry prova a fare l’ultimo sforzo per regalare l’anello a LBJ

Lebron ci prova con Shaq

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rifirmando un condottiero impavido come Delonte West. A quantoapre il destino e lo sforzo profuso dai Cavaliers non è bastato nellamaniera più assoluta considerando che il risultato finale, poi, èstato comunque lo stesso dell’anno prima. A dire il vero vista la sta-gione regolare e visto i primi due turni di playoff, all’interno dellastanza dei bottoni dell’Ohio tutto potevano pensare tranne cheorganizzarsi per organizzare una trade di queste dimensioni e cheavrebbe portato a Cleveland quello che attualmente è l’ultimo tenta-tivo di mantenere in vita un matrimonio che a partire dalla prossi-ma stagione sarà al suo ultimo anno di convivenza forzata, dopo diche la decisione di continuare a ‘vivere sotto lo stesso tetto’ spetteràsolo ed esclusivamente alla ragione per cui Shaquille O’Neal hadovuto fare di nuovo i bagagli e passare dall’Arizona all’Ohio daiSuns ai Cavs, da Phoenix a Cleveland. Per onor del vero quella che èandata a buon fine qualche giorno fa era una trattativa che harischiato di essere conclusa anche nella stagione appena conclusa eche non andò in porto solo ed esclusivamente perché in quelmomento Danny Ferry in primis riteneva che i suo Cavaliers aves-sero fatto degli ottimi passi in avanti come squadra e come poten-ziale aggiungendo poi al tutto la voglia di non voler rinunciare adun giocatore importante per la chimica di squadra come Wally

Szczerbiak. Molto probabile che le sue paro-le ed i suoi pensieri fossero tornati ad affio-rargli la mente addirittura dopo la primasconfitta casalinga dei playoff contro i poicampioni della Eastern Conference, per poiprendere il sopravvento definitivamente nelvedere il 23 di James allontanarsi senza salu-tare gli avversari, qualche tifoso suo perso-nale che anche alla Amway Arena non èmancato ed aver completamente snobbato lasala stampa, giornalisti e quelle che moltopresumibilmente sarebbero state le doman-de più difficili a cui rispondere (anche per-ché forse nella sua mente riecheggiavanoancora quelle espresse durante la cerimonia

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di premiazione per il trofeo di Mvp della stagione in quel di Akronrispondendo alla domanda di un giornalista che definì la sua stagio-ne come una missione ndr). Da quel giorno, costato tra l’altro comesanno tutto ben 25.000 ‘bigliettoni’ a The Chosen One, la ricerca diaggiustamenti a quello che non andava è stato un qualcosa di spa-smodico, anche perché un altro anno era passato e le voci di quel2010 e le sirene dei New York Knicks iniziano a farsi sentire con piùforza. Ecco che le voci di mercato legate alla franchigia dell’Ohiohanno iniziato a rincorrersi come un cane fa con la propria codacon alcune con il chiaro compito di sviare il tutto. Prima fra tuttequelle che volevano i Cavs interessati addirittura ai Yao Ming () vistala recente acquisizione di una parte del pacchetto azionario (il 15%)ad opera di una cordata di imprenditori cinesi. Nemmeno il tempodi distogliere lo sguardo di approfondire il tutto e dirigere gli inte-ressamenti degli addetti ai lavori verso il Texas che ecco che la trat-tativa è già sul tavolo dei Phonix Suns che nel frattempo stavanocercando di smobilitare anche l’atro pezzo pregiato AmareStoudemire (attualmente al centro di tante voci alimentate ancor dipiù da uno dei suoi status sull’ormai network preferito dai giocatoriNba ovvero Twitter ndr). Non che dall’altra parte Steve Kerr ci abbiadovuto pensare più di tanto prima di accettare la proposta, ma que-

sta volta si è andato oltre al semplice Wally. In cambio di The BigDiesel il team dell’Arizona ha ‘preteso’ qualcosina in più: BenWallace, Sasha Pavlovic, una seconda scelta al Draft del 2010 ed unbonifico bancario di ben 500.000 presidenti spirati. IL PERCHÉ DELLA SCELTA. La buona sostanza di questoapprofondimento è stato in parte spiegata in precedenza e volendoracchiudere il tutto in una sola parola potemmo utilizzare: incenti-vo. Incentivo nei confronti di un giocatore che fino a questo momen-to ha si sempre visto la buona volontà della società a volerlo accon-tentare a volerlo coccolare come una mamma con il suo unico figlio,ma che ha raccolto davvero solo le briciole ed è tornato a casa sem-pre con delusioni grandi più o meno come una casa. Con l’arrivo diShaq ai piani alti della squadra si pensa di dare quella soddisfazioneche ancora manca all’ex St. Vincent and St. Mary per legare definiti-vamente la propria mente e la propria anima a questi colori e a que-sta città. E’ detto risaputo che le vittorie sono la migliore medicinaper guarire da periodi bui dovuti da delusioni, ed allora ecco che ilnome di un pluri campione come Shaq ed una stella assoluta delvalore di The Big Aristotele (cosa che mancava in maniera assolutaall’interno del roster dei Cavaliers) può essere più che una garanziain questo senso. Insomma si prova a dare a Lebron ‘lo zuccherino’

PRO. Dal punto di vista tattico un arrivo che elimina in maniera assoluta uno dei problemi che ha attanagliato Cleveland all’inter-no della serie con Orlando e non solo in questi playoff, ma anche durante la stessa stagione regolare: il post basso. L’anello deboledella catena dei Cavaliers in tutte e sette le partite con i Magic nonostante i nomi su cui potevano contare Mike Brown e lo stessoLebron non fossero poi degli sconosciuto o degli sprovveduti. Zidrunas Illgauskas, Ben Wallace, Joe Smith e Anderson Varejao.L’ex Detroit e Bulls ha già fatto le valigie, mentre per gli altri tre quella che inizierà ad ottobre con la consegna degli anelli aiLakers, dovrebbe essere un anno di riscatto ancora in maglia Cavs. Un trio che forse con Shaq riuscirà a garantire maggiore rendi-mento e ad incastonarsi definitivamente l’uno con l’altro. Già perché il brasiliano è un lottatore, instancabile, ma ha dimostrato diessere troppo piccolo per restare costantemente a contatto con i big man e troppo poco mobile di piedi per restare sul perimetrocontro ‘power forward’ mobili o tattici come per esempio Rashard Lewis. Qualcosa in più avrebbe dovuto e potuto dare il ritornodi Joe Smith, ma la parabola del figliuol prodigo per l’ex prima scelta di Golden State non ha avuto però la stessa buona fine diquella biblica chiudendo la sua seconda esperienza in maglia Cleveland nello stesso modo in cui chiuse quella dell’anno prima ecioè con una sconfitta (contro Boston in gara7 nell’anno precedente prima di essere ceduto ed essere tornato a febbraio con ilcompito di aiutare Lebron a vincere il titolo ndr). Stesso risultato da anni, ormai, per Illgauskas ovvero l’unico big man di ruolo sucui Mike Brown poteva contare. Ma sistematicamente nel momento del bisogno le prestazioni del centro proveniente dal VecchioContinente ha sempre deluso o quanto meno giocato al di sotto di quel par e di quella soglia che invece avrebbero potuto permet-tere ai Cavs di rivoltare il tutto come un calzino. Devastato letteralmente da Howard all’interno di questi playoff e sceso in campocon l’unica arma a sua disposizione (il jump shot dalla media distanza che avrebbe costretto il Superman dei Magic a fare qualchepasso in più verso di lui per evitare di prenderle sonoramente sulla faccia, invece che verso l’anello arancione dove James se l’èritrovato praticamente sempre davanti in aiuto) per regalare spazio a centro aria a King James, caricata a salve. Avere Shaq, quin-di, permette a coach Brown di mischiare meglio le carte. Gli permette di avere lo stesso un uomo d’aria di peso quando Illga è indifficoltà con affianco un ‘4’ di ruolo quale Varejao o Smith che possa dargli una mano in termini di rimbalzi. Di Avere una pre-senza in più e più ingombrante al centro dell’area e poi diciamoci la verità, avere un altro giocatore di peso e di spessore, e questavolta il tutto è rivolto non al peso, in campo sul quale gli avversari dovranno posare gli occhi altre ovviamente a James e al duo diesterni West e Williams.

CONTRO. Beh dal punto di vista tattico un po’ quelli che negli ultimi anni hanno accompagnato O’Neal nelle sue varieavventure: età, condizione fisica (anche se quella dell’ultima parte di stagione a Phoenix di sicuro non era malaccia ndr) edifficoltà di adattamento in squadre che prediligono la corsa. Da quest’ultimo punto di vista non è certo un mistero che ilsuo arrivo ai Suns di D’Antoni abbia rallentato il ritmo forsennato di quella Phoenix guidata da Nash e fatta da centome-tristi e non da giocatori di basket. Non è mistero che dopo che Porter aveva tentato di metterla sul gioco ragionato e ametà campo anche per sfruttare lo stesso Shaq i risultati non sono stati esaltanti, anzi sono costati il posto all’assistentedello stesso D’Antoni (e a quanto apre generando anche qualche mugugno di troppo da parte del maggior fautore di quelgioco veloce e sfavillante e cioè Steve Nash). Non un mistero che proprio la sua ‘lentezza’ dovuta ovviamente alla mole eall’età venisse messa in evidenza in squadra che amano la velocità come ha dimostrato di essere Cleveland in questa sta-gione e nei primi turni di playoff. Dulcis in fundo ci sarebbe poi un fattore psicologico che da ora all’eventuale titolo verrà spiattellato su ogni forma dimedia, in ogni conferenza stampa: il fattore Shaquille O’Neal. Lo stesso fattore che Kobe Bryant ha impiegato ben 5 anniper scrollarsi di dosso, lo stesso che ancora attanaglia Dwayne Wade e che solo a Phoenix ha dato qualche segno di cedi-mento: il fattore di pensare che poi vincere non è stato tutto merito tuo, ma che c’è voluto lo zampino di Shaq. Forse èper questo che O’Neal resterà e guadagnerà20 milioni per la sola prossima stagione in quel di Cleveland. Per permettere aLebron di ingolosirsi con il titolo e per poi non veder minata la propria superstar con la presenza ‘ingombrante’ di Shaq eprovarci immediatamente da solo magari con un bel contratto pluriennale sulle spalle.

Un’altra ‘star’ al fianco e al servizio di ‘The Chosen One’ Lebron JamesA Miami nel 2006 l’ultimo anno vincente dell’ex stella di LSU

I PRO ED I CONTRO DELLA SCELTA DI CLEVELAND E DI DANNY FERRY

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tanto agognato in questi anni per poi buttare tutto sull’attaccamentoalla maglia, sull’attaccamento ai colori e ad una società che gli haregalato la sua prima vittoria a livello di campionato. Certo il tuttoverrà corredato da altri temi mettendo sul piatto della bilancia lafedeltà che altri grandi hanno mostrato nei confronti del loro primoteam quali per esempio Michael Jordan, Magic Johnson, Larry Birde Kobe Bryant tanto per indicarne qualcuno, ma l’argomento piùimportante e fondamentale per la buona riuscita del tutto resterà lapossibilità di essere al centro del campo nel match inaugurale dellastagione immediatamente seguente e vedere lo stendardo con suscritto’…Nba Champion…’ salire fino al soffitto e ricevere il famige-rato anello quello che ti consacra nell’Olimpo definitivo dei grandi enon ti lascia nel limbo degli incompiuti. Facile da comprendere che questo, quindi, rappresenta l’ultimo ten-tativo, la classica ultima spiaggia; a mali estremi, estremi rimedi equale estremo rimedio migliore di quello di mettere O’Neal al fiancodi Lebron per tentare il tutto per tutto.

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Ritorno all’infanzia per Shaq che perla sua avventura con i Cavaliers ha

scelto il numero del liceo e del CollegeUn ritorno all’infanzia. Cosi può essere definita la scelta di Shaq delnumero di maglia che lo accompagnerà nella sua esperienza edavventura in Ohio. Ritorno all’infanzia perché il 33, il numero scel-to, è lo stesso che Shaq indossava ai tempi sia dell’High School chedel college a LSU prima di passare pro. Dal 1994, infatti, due inumeri adottati il 32 ad Orlando, Miami e Phoenix ed il 34 a LosAngeles per l’impossibilità di utilizzare sia il 32, ritirato per Magic,che il 33, ritirato per Kareem Abdul-Jabaar. Una sorta di gesto sca-ramantico che potrebbe anche portargli bene.

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L’argomento che forse lo ha sempre seguito da per tutto sia stato e siaandato, sin dal suo primo approdo nella Nba. Da quel 1994 che lomise al fianco di uno degli astri nascenti della Lega con il quale qual-cuno ad Orlando aveva già pronosticato anni ed anni di vittorie edinvece sono arrivate solo sconfitte di cui una proprio in Finale.Insomma da Penny Hardaway a Kobe Bryant, da Dwayne Wade aSteve Nash fino ad arrivare a Lebron James. Sempre una Super Stare

al suo fianco, sempre un giocatore di grande talento che però hannotutti in un modo o nell’altro deciso di provarci da soli dopo il succes-so. E’ accaduto cosi con Kobe tra il 2000 ed il 2002, cosi come è acca-duto cosi con il Flash di Miami nel 2006. Il canadese e Hardaway rap-presentano un lato da questo punto di vista da non sottovalutare ecioè dei non vincente. Due anni di strapotere per poi perdere in finalenel ’95 contro i Rockets e nel ’96 in finale di Conference contro i Bullsdel rientrante Jordan. Solo insuccessi e mugugni in quel di Phoenixche sono coincisi con poco e niente anche a livello di playoff. A questopunto come soleva affermare un noto presentatore italiano: ‘la doman-da nasce spontanea’: a quale categoria apparterrà Lebron a quella deivincenti o quella dei perdenti? Come al solito ‘..ai posteri l’ardua sen-tenza..’.

Tutti i partner di The Big Aristotele

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Nemmeno una decina di giorni per rilassar-si, nemmeno una decina di giorni per potertirare le somme e considerare quelle chepotevano essere le possibilità per il prossi-mo anno e per la prossima stagione.Immediata la risposta dei Magic alla scon-fitta nell’atto finale contro i Lakers e movi-mento di mercato che ha portato in Floridauna ‘star’ riconosciuta dall’intero panorama,ma che però in tanti anni di carriera deve

ancora vincere un qualcosa di importante.Molto probabile che Othis Smith e la diri-genza di Orlando avessero acceso la mac-china ed il motore del mercato ancor primache le Finals avessero avuto il suo normalee naturale epilogo. Molto probabile che ilcolpo del 3-1 (ma anche alcune facce arren-devoli che si sono viste durante la decisivagara5) gialloviola abbia fatto scattare imme-diatamente la molla nella mente degli

DIDI

DDOMENICOOMENICO PPEZZELLAEZZELLA

Dopo cinque anni trascorsi con la maglia dei Nets, Vince Carter torna in Florida, per lui che è natio di Daytona Beach i Magic sono l’ultima spiaggia per per il titolo

Vincredible’s come back

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addetti ai lavori dei Magic pronti a lavorare nel silenzio contelefoni cellulari e fissi più in azione del dovuto. Il perché? Behchiaro restare una delle formazione di vertice della EasternConference, restare una squadra di vertice e provare a rifare l’inte-ro cammino fatto in questa stagione e riprovare a giocare unaFinale, ma con qualche cambiamento nel copione. Molto più faci-le a dirsi che a farsi, visto quello che si è mosso e quello che è suc-cesso negli ultimi giorni, ma per il momento quello che è cambia-to è il roster con un nome in entrata e tre in uscita. New Jersey-Orlando circa 2000 chilometri di distanza e voli che si sono incro-ciati per i vari Vince Carter in direzione Florida, Courtney Lee,Rafer ‘Skip to May Lou’ Alston e Tony Battie con quella del NJ edEast Rutherford impressa sul tagliando di volo. Uno scambio cheda tanti addetti ai lavori era stato considerato come necessarioper una sorta di motivazione tecnico-tattica legata al tiro dalladistanza o media distanza e quindi dare quella doppia dimensionein maniera costante ad una squadra che ha pagato a caro prezzol’incostanza da questo punto di vista. Insomma un bel modo periniziare la nuova annata, la nuova rincorsa verso la terza finaledella storia della franchigia dopo aver centrato anche la prima vit-toria in una Finals. La nuova era dei Magic, quindi riparte daVincredible che da figliuol prodigo torna nella sua Florida per luiche è cresciuto a Daytona Beach ed giunto ormai alla sua terzamaglia Nba. Scelto (1998-99) e giocato per 5 anni in Canada dovegli hanno addirittura dedicato il nome della struttura dove iRaptors giocano attualmente, l’Air Canada Center in onore pro-prio a colui che in uscita dal College era stato considerato uno dei

successori o eredi di Michael Jordan e nonsolo per il nome impresso sulle maglie dellasua Università (North Carolina ndr). Il 2004l’ultimo anno di presenza di Carter nellostato canadese dopo aver raggiunto il mas-simo della sua carriera e di quella dellafranchigia nel 2002 e precisamente nellagara7 persa nella semifinale di Conferencecontro i Sixers di Allen Iverson che poigiunsero alla Finale giocata e persa contro iLakers del duo Shaq and Kobe. Di li in poisolo riconoscimenti personali, solo stagioni

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trascorse tra canestri, cambi di maglia, qualche infortunio e tantiAll Star Game da titolare, ma nessun’altra soddisfazione particola-re a livello di squadra o di opportunità vera ne con i Raptors, necon i New Jersey Nets dove fu appunto scambiato nel 2004 percomporre con Jason Kidd e Richard Jefferson (ora entrambi altro-ve ndr) il Big Three di East Rutherford. Cinque stagioni ai Nets,altre convocazioni ai successivi week end delle stelle, ma nessunsalto di qualità ne per lui ne per i Nets. Una sorta di frustrazionecontinua legata al fatto di essere considerato quel tipo di giocatoreincapace, da solo, di portare lontano la sua squadra, una frustra-zione legata alla considerazione di essere una ‘star’ solo a livellopersonale, ma che togliendo quell’excursus nel 2002 ha avuto pochipicchi e molti medi e bassi se cosi possiamo chiamarli. Ora però‘Vinsanity’ ci riprova, ci riprova come parte di un insieme, comepedina fondamentale all’interno di un sistema di gioco che di squa-dra ha dimostrato di poter arrivare fino in fondo, ma che si è resoconto che nonostante tutto qualcosa mancava. A mancare era queltipo di giocatore capace di mettere tiri impossibili, di aprire in duele difese (non che Turkoglu o Lewis fossero dei brocchi, ma gioca-tori che possiamo definire quasi costantemente sul perimetro conil solo turco propenso a cambiare le sue vedute partendo dal pick

and roll che resta il suo marchio di fabbrica per penetrare ed arri-vare al ferro ndr) con entrate fino all’anello e magari chiudere conuna poderosa schiacciata di quella che fanno alzare in piedi leArene anche se non è la tua. Si sono resi conto che il sistema dello‘spacing’ delle spaziature, del movimento della palla da lato forte alalto debole per liberare tiratori sul perimetro, cosa che tra l’altroha fatto la fortuna dei biancoblù durante questi anni e l’ultima sta-gione, va bene ma non benissimo. Insomma serviva una sorta divia di mezzo tra il gioco perimetrale e quello interno legato alnome di Superman Dwight Howard, via di mezzo ritrovata ed indi-viduata nel nome proprio nell’ex talento dei Tar Heels. Tattica,dunque, la scelta di portare ‘a casa’ Vince Carter da parte diOrlando, anche se qualcuno non è propriamente d’accordo. Una trade, che infatti, per molti sa di addio da parte di un altrogiocatore che in chiave e previsione futura avrebbe comunque gio-cato nello stesso ruolo e che guarda caso è free agent a partire daquesta estate. Che il turco avrebbe esercitato la clausola per usciredal contratto e trattare per un adeguamento del suo ingaggio, nonera certo un mistero e la mossa di cui si sta leggendo è forse l’e-spressione che i Magic abbiano fatto una scelta che porta lontanoda Hedo Turkoglu.

PRO. Facili da individuare e da mettere in mostra e in buona parte già illustrati precedentemente. Un gioca-tore che a livello di talento non ha mai avuto bisogno di presentazioni e di schede informative. Un giocatorecapace di mettere assieme due aspetti del gioco dal punto di vista dimensionale. Capace ed in grado dipunire da fuori con un tiro dalla distanza che nel corso degli anni da professionista, dieci, di Vince si è asse-stato attorno al 37% abbondante con clamorosi colpi da bazzer beater che nel New Jersey fanno venireancora i brividi. A quanto detto, poi, Vincredible aggiunge quello che è sempre stato il suo marchio di fab-brica, anche se forse ora un tantino sotto a livello di scala generale ma solo per età e qualche piccolo acciac-co: l’atletismo. Una facilità disarmante a salire di quota nelle vicinanze del canestro per chiudere con con-clusioni ad alta percentuale di difficoltà con o senza il difensore davanti sia sugli scarichi, sia su passaggioche partendo dal palleggio in uno contro uno. Una caratteristica che potrebbe essere la chiave di volta perOrlando che quindi aggiungerebbe quel pizzico di imprevedibilità in un attacco che troppe volte è finito peressere scontato e letto in anticipo dagli avversari. Un pizzico di imprevedibilità che però potrebbe tornareutile anche al sistema dal momento che le mani da passatore di Carter non sono certo da snobbare con sca-richi a sua volta che potrebbero finire nelle mani dei ‘shooters’ pronti a sparare dalla distanza. E dulcis infundo una guardia (anche se può essere utilizzato da numero tre) di una certa statura, 1.90 cm, altra peccache durante le finali è stata la croce dei Magic e la delizia dei Lakers con Courtney Lee coraggioso ed eroi-co, ma troppo piccolo di statura per marcare il numero 2 avversario e nello specifico Kobe, relegando, quin-di tutto il lavoro al francese Mickael Pietrus. Non che Carter fosse questo specialista in difesa, ma almenonon gli si mangia in testa cosi facilmente per mancanza di centimetri.

CONTRO. Altrettanto facile come per i pro. Escludendo il trofeo legato allo Slam Dunk del 2000, otto partecipazioni pra-ticamente consecutive al weeekend delle stelle con inizio proprio nell’anno del trofeo di cui sopra, una medaglia Olimpiaa Suidney sempre nel 2000 e la cavalcata vincente nei playoff del 2002 con i Raptors conclusa con quel tiro allo scadere digara7 che ha traballato sul ferro e che ha determinato il passaggio del turno di Iverson e di Phila, il palmares del direttointeressato dice poco e niente. Poco e niente come leader, come giocatore capace di guidare da solo alla vittoria la squa-dra se non per singola gara e singola situazione. Le escursioni al di sopra dei 20 a sera durante questi 10 anni di carrierasono figlie di un enorme talento che fino a questo momento, però, ha prodotto davvero poco. Quella di Orlando perCarter rappresenta, l’ultima possibilità di dimostrare di essere anche parte di un progetto e non singola stella di unasquadra. L’ultima possibilità di ritrovare quella ‘magia’ e quella chimica che lo portò all’annata magica di Toronto e discrollarsi di dosso quella nomea di solista che lo ha accompagnato fino a questo momento e che in tante occasioni hacozzato con l’ego di altri giocatori emergenti e di talento portando a qualche piccolo problema di coesistenza.

Indiscusso All Star da ormai 8 anni e capace di alternare gioco sul perimetro a voli a canestro, ma pur sempre una stella incompiuta

I PRO ED I CONTRO DELLA SCELTA DI ORLAND E DI OTHIS SMITH

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Il primo ad essere messo sul piatto offerto ai Nets. Per Skipora un’altra avventura da affrontare vicino alla sua NY

Skip to my lou. Va bene non ha entusiasmato oltre quella gara3 fenomenale,va bene non ha dato il contributo che aveva anche dato in precedenza perportare la squadra fino all’atto finale, ma da qui a pensare che i Magic perfare un passo in avanti dovevano per forza di casa liberarsi del suo contrattoe di Skip to my Lou non era certo un percorso facile da digerire ed assimila-re. A dire il vero il polverone in questione si era addirittura alzato durante lestesse Finals con il ritorno di Jameer Nelson che a quanto pare ha oscuratola stella di Alston, quella che lo stesso ex Rockets ha messo in evidenza nel-l’unica partita in cui Van Gundy gli ha dato fiducia assoluta e carta bianca digiocare il suo basket. Critiche non propriamente dolci o se vogliamo costrut-tive, ma che puntavano tutte il dito contro la leggenda del Rucker che da parsuo ha dimostrato di non voler o se vogliamo non poter reggere il ruolo dicambio alle spalle di Nelson. Ed è qui che si è basata o si basava tutta la que-stione, sul rapporto e sulla posizione nel roster della prossima annata.L’Orlando Sentinel il giornale che più ha appoggiato ed avanzato questa tesiovvero quella di un futuro senza Skip per i Magic, avrà fatto salti di gioiadopo la trade di qualche giorno fa. Però ad onor del vero tutti i torti alSentinel non vanno certo dati, visto che tanto infondata poi la polemica nonè. In più di un’occasione, ma forse non ce ne era nemmeno bisogno, si è sot-tolineato che Nelson è il futuro della squadra nel ruolo di point guard e ceAlston è stato portato in Florida solo per rimpiazzare lo stesso giocatoreinfortunato ad una spalla ed il cui recupero si pensava fosse preventivabileper la preseason della stagione prossima o quanto meno a campionato con-

cluso. Il rientro anticipato di Nelson non ha fatto altro che anticipare unaquestione che di sicuro sarebbe stata sollevata più avanti, anche perché agiochi conclusi e anello perso è uscita dal coro la voce di un altro scontento,uno che fino all’atto finale era stato decisivo in alcuni momenti per giocarele Finals stesse: Anthony Johnson: «Nella mia carriera ho vissuto tanti alti ebassi, tanti momenti particolari, ma di sicuro questo è il più difficile di tutti.Aver contribuito a centrare l’accesso alla finale e non giocarne nemmeno unminuto è veramente difficile da mandare giù e da metabolizzare». Una tego-la ed una dichiarazione con la quale Van Gundy, il giemme Othis Smith e ladirigenza dei Magic hanno dovuto fare i conti e scegliere se vogliamo quelloche era il male minore ed il male minore in questo caso portava il nome diAnthony Johnson un giocatore che da sempre ha accettato lo status di riser-va senza mai per questo diminuire di intensità e di rendimento. Per Alston,finito nel New Jersey dove dorvà fare i conti con un’altra situazione irrealequella al fianco di un altro point guard che ama avere la palla in mano comeDevin Harris, solo il bel ricordo di un finale di stagione concluso con la suaprima partecipazione ad una finale Nba. Certo non è come vincere l’anelloche per un giocatore come lui e con la sua storia alle spalle avrebbe avuto unsignificato ed un valore addirittura da film (il ‘figlio della strada’, la legenda‘del’ playground che sul tetto del massimo campionato cestistico statuniten-se ndr), ma almeno è un passo in avanti all’interno della sua crescita e dellasua esperienza personale e magari tra i denti e nella sua mente è sempre liche pensa: «Alla faccia di chi non pensava che potessi essere da Nba».

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Circa dieci milioni di dollari. Questa dovrebbe essere la cifra preferitao meglio auspicata dal Brother Hedo per il prossimo contratto. Quelloconclusosi con lo scorso 1 di luglio era un multi-years (6 anni) da 36milioni di ‘verdoni’ complessivi e di 7,3$ guadagnati nell’ultima stagio-ne («A partire dal primo luglio vedremo quello che offre il mercato incoerenza alle richieste del giocatore» le parole dell’agente di Hedo,Bobby). La sua faccia al termine di gara5 non era certo quella di chi siguardava introno e invitava la gente a non disperarsi promettendomagastri di tornare sugli stessi palcoscenici nella prossima stagione.Una cosa, a dire il vero, che non si sarebbero nemmeno aspettati itifosi dei Magic che erano ben consapevoli che il turco avrebbe eserci-tato la propria clausola per uscire dal contratto e firmarne un altro,probabilmente l’ultimo, ad alte cifre in termini di guadagno. Tifosi cheperò ci speravano che la dirigenza e la franchigia potesse per la primavolta nella sua storia varcare la linea che delimita la luxury tax perrimettere sotto contratto Turkoglu e lasciare al squadra cosi come erae cosi come è arrivata alla finale. La trade e l’arrivo di Vince Cartersembra essere la dimostrazione, però che i Magic vogliano solo pen-sarci e non più di tanto, a spendere i soldi e a concedere i 10 milionial Most Improved Player di due stagioni fa, cautelandosi proprio conl’arrivo di Vinsanity. Portare a casa Carter, però potrebbe anche essereuna sorta di via per sviare chi pensa che Orlando almeno per un annonon voglia provare a pensare in grande magari in preda ad una sortadi delirio di onnipotenza. Già perché quella di portare a casa Carter e

firmare Turkoglu è una possibilità remotissima per tanti motivi, manon del tutto scartata a priori visto lo scenario che si potrebbe deli-neare in Florida. Quale scenario? Beh quello di una squadra ricchissi-ma di talento e di pedine per ritornare alla carica delle Finals e dell’a-nello con uno starting five ed un roster da far paura all’intera EasternConference, quello che per intenderci vedrebbe partire Nelson, Carter,Turkoglu, Lewis e Howard nel line up e con i vari Johnson, Pietrus,Reddick e via dicendo dalla panchina. Un solo anno per poi provare asmobilitare il tutto in caso di mancata realizzazione del sogno. Forse stiamo sognando noi ragionando da puri amanti del fantaba-sket, ma per qualche settimana tutto è possibile, almeno fino a quan-do le prime contendenti (si vocifera già di Portland pronta a portarsi acasa il giocatore da mettere al fianco dei vari Roy, Aldridge eFernandez ndr) non presenteranno le prime offerte e quel tetto massi-mo di ingaggio non sarà raggiunto da altra formazione che non siaquella della Florida.

La decisione di Hidayet Turkoglu

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11 44 SSTTAARRSS ‘‘NN’’ SSTTRRIIPPEESS

BLAKE GRIFFIN. Oklahoma, Ala Grande, 208cm. 113 kg. Consesus first pick. Molto semplice-mente. I Clippers lo avevano detto pochi istantidopo la lottery. La loro prima scelta sarebbe stataspesa per il ragazzo che nell’ultima stagione hamesso a ferro e fuoco le aree di tutta la Ncaa.Riconosciuto da tutti come il miglior giocatore deldraft, ha costruito le sue statistiche con dominan-do nel pitturato. Il dubbio più grande è se potràriproporre questo stile di gioco anche al piano disopra. VOTO: 8.

Le StatisticheLe Statistiche

PPGPPG 22,722,7RPGRPG 14,414,4FGFG 66%66%

Le StatisticheLe Statistiche

PPGPPG 13.613.6RPGRPG 10.710.7BLKBLK 4.24.2

JAMES HARDEN. Arizona State, Guardia,196 cm. 99 kg. Probabilmente il giocatore piùcompleto del draft. Ha ottime doti di realizza-tore, ma porta il suo contributo anche neglialtri aspetti del gioco, come testimoniano lecifre. Difensore di ottimo livello sembra ancheessere un ragazzo serio e con la testa sullespalle. Il sogno dei Thunder era Thabeet perporre un falla dopo il mancato arrivo di TysonChandler, ma in sua assenza non ci potevaessere scelta migliore. E chissà che un giorno,Sam Presti e soci, non si trovino a benedire lachiamata dei Grizzlies. VOTO: 9.

Le StatisticheLe Statistiche

20.1 20.1 punti punti 5.5 5.5 rimbalzi rimbalzi 4.2 4.2 assistsassists

DIDI

NNICOLÒICOLÒ FFIUMIIUMI

Come da copione il primo a stringere la mano a David Stern è Blake Griffin.Thabeet segue a ruota, mentre Ricky Rubio scivola alla numero 5

Et voilà: la classe del 2009HASHEEM THABEET. Connecticut, centro,221cm, 118 kg. (13.6 punti, 10.7 rimbalzi, 4.2 stop-pate) Se contasse solo il talento, probabilmentenon sarebbe nemmeno nei primi 15, ma la penuriadi lunghi ha portato il tanzaniano di Uconn diret-tamente al secondo pick. A livello di intimidazionedifensiva è già ritenuto di alto livello NBA, il pro-blema è in attacco dove è a malapena all’ABC.Memphis, inoltre, non sembrava avere tutto que-sto bisogno di un centro, dopo l’ottima annata d’e-sordio di Marc Gasol e si è presa un bel rischio.VOTO: 6-.

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11 55SSTTAARRSS ‘‘NN’’ SSTTRRIIPPEESS

TYREKE EVANS. Memphis, Play/Guardia,193 cm. 99 kg. La prima grande sorpresa deldraft. Tutti attendevano chiamato il nome diRicky Rubio che sembrava promesso sposodei Kings e invece la scelta dei californiani èandata su questo ragazzo uscito dopo un soloanno da un ottimo programma universitariocome Memphis. Sul talento non c’è nulla dadire. Il ragazzo ha proprietà di palleggio, istin-ti realizzativi e buona leadership. Ora deve tra-sformarsi definitivamente in un playmaker enon galleggiare più fra due posizioni, oltre amigliorare il tiro da fuori. Dubbi sul carattere.VOTO: 5,5.

Le StatisticheLe Statistiche

17.1 17.1 punti punti 5.4 5.4 rimbalzi rimbalzi 3.9 3.9 assists assists

Le StatisticheLe Statistiche

10 10 PuntiPunti6.1 6.1 Assists Assists 39% 39% Al tiroAl tiro

JOHNNY FLYNN. Syracuse, Playmaker,182 cm. 86 kg. Ricalca alla perfezione ilplaymaker dei “giorni nostri”. Piccolo,rapido, intenso, maggiormente portato adalzare i ritmi piuttosto che a controllarli.Nei due anni a Syracuse si è però rivelatocome uno dei migliori interpreti nel suoruolo. Nonostante l’altezza è molto esplosi-vo e riesce conquistare diversi tiri liberi apartita. La visione di gioco è migliorata nelsuo secondo anno ma può fare passi inavanti, così come la gestione delle paleperse. Molto probabilmente Minnesota havoluto tutelarsi contro i dubbi di Rubio conla sua scelta. Idea condivisibile. VOTO: 7,5.

Le StatisticheLe Statistiche

17.4 17.4 Punti Punti 6.7 6.7 Assists Assists 1.4 1.4 Palle rubate Palle rubate

RICKY RUBIO. Joventut Badalona, Playmaker,191 cm. 82 kg. Il giocatore più atteso del draftdopo Griffin finisce inaspettatamente alla quintaposizione. Dopo i proclami del suo manager chelo voleva al caldo della california, il golden boyspagnolo dovrà ora vedersela col freddo delMinnesota. Sempre che a Minnesota decida diandarci. Ragazzo incredibilmente maturo per lasua età (18 anni, classe 1990) è un play puro contrattamento di palla e decision making già di livel-lo superiore. Da migliorare ci sono il tiro da fuorie un fisico di per sè non particolarmente atletico.I T’Wolves se lo sono trovati tra le mani senzaaspettarselo. Se decide di giocare con loro è uncolpo. VOTO: 8.

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STEPHEN CURRY. Davidson, Guardia,187 cm. 82 kg. Golden State asseconda levoglie di run and gun di Don Nelson met-tendogli in casa il miglior tiratore delleultime due stagioni di college basketball.Dotato di un rilascio tanto rapido quantoefficace, Curry rischia però di soffrireoltremodo la propria taglia fisica, nonadatta a giocare guardia in un contestoNBA. I più lo vorrebbero vedere trasfor-marsi in un play, ma non sembra un ideamolto praticabile. Alla 7 è un azzardo nonda poco. VOTO: 5,5.

Le StatisticheLe Statistiche

28.6 28.6 Punti Punti 38.7% 38.7% da 3 puntida 3 punti

87,6% 87,6% ai tiri liberi ai tiri liberi

Le StatisticheLe Statistiche

18.3 18.3 Punti Punti 11 11 Rimbalzi Rimbalzi 1.7 1.7 Stoppate Stoppate

DEMAR DEROZAN. USC, guardia/ala, 200 cm 95kg. Scelta logica dei Raptors che dopo la partenzaa stagione in corso di Jamario Moon vedevano lospot di ala piccola pericolosamente vuoto. La scel-ta, sostanzialmente, era tra il prodotto di USC eTerrence Williams di Louisville, con un picconello sviluppo probabilmente più basso, ma quasicertamente più affidabile. DeRozan è un talentoin possesso di grande atletismo e tiro dalla mediagià molto affidiabile, specie dal palleggio. Il pro-blema è che non sembra essere partciolarmenteallenabile, avendo dimostrato in più casi scarsaattitudina al gioco dentro gli schemi. Una sceltascommessa, sperando che tutto vada per il versogiusto. VOTO: 6+.

Le StatisticheLe Statistiche

13.9 13.9 Punti Punti 5.7 5.7 Rimbalzi Rimbalzi 52.3% 52.3% al tiro al tiro

JORDAN HILL. Arizona, Ala Grande/Centro, 208cm. 105 kg. Vista l’assenza di esterni di sicurovalore e affidabili, New York ha speso la propriachiamata vestendo di blu-arancio l’unico altrolungo di un certo spessore in questo draft. Hill èun ala/centro con spiccate doti atletiche che fàdell’attività sul rettangolo di gioco il propriocredo. Deve lavorare sui fondamentali, specie inpost basso, ma in questi anni ad Arizona hacominciato a costruirsi un discreto tiro dallamedia-corta distanza che nel gioco di coachD’Antoni potrebbe venirgli utile. Scelta intelligen-te del front office. VOTO: 7.

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BRANDON JENNINGS. Lottomatica Roma, play-maker, 184 cm. 76kg. La sua caduta verticale nellaconsiderazione degli scout sembrava aver raggiun-to il culmine proprio nelle ore precedenti al draft,tanto che il suo agente aveva preferito portarlofuori dalla Green Room. E invece, con grande stu-pore dei più, i Bucks sono andati spendere la pro-pria prima scelta per l’ex Virtus Roma. Le caratte-ristiche del giocatore sono note: istinti innati perla pallacanestro, velocità fulminea, ottime doti dipassatore a cui fanno da controaltare scelte digioco discutibili, una capacità limitata di coinvol-gere i compagni di squadra e un tiro da fuori quasiinesistente. Aggiungiamoci anche che se in squa-dra hai già Ramon Sessions, un’altro playmakerda lanciare non sembra l’idea del secolo...VOTO: 4.

Le StatisticheLe Statistiche

5.5 5.5 Punti Punti 1.6 1.6 Rimbalzi Rimbalzi 2.3 2.3 AssistsAssists

Le StatisticheLe Statistiche

12.5 12.5 Punti Punti 8.6 8.6 Rimbalzi Rimbalzi 5 5 AssistsAssists

GERALD HENDERSON. Duke, Guardia, 193 cm.97 kg. I Bobcats vanno sul sicuro prendendo ungiocatore che viene da un sistema come Duke chestoricamente fornisce all’NBA giocatori che maga-ri non saranno stelle di prima grandezza (anchese ci sono valide eccezioni) ma sanno giocare abasket e non hanno problemi a mettersi agli ordi-ni di un allenatore e a entrare in un preciso siste-ma di gioco. Dotato di grande atletismo e di unmid range game già di buon livello è anche difen-sore più che discreto. Da migliorare c’è il tiro da 3punti, considerato che dovrà giocarsela da guar-dia. Ha fatto fatica a sviluppare una mentalità dago to guy al college, quindi rispecchia l’identikitdel giocatore perfetto per coach Larry Brown(anche se viene da Duke...) VOTO: 6,5.

Le StatisticheLe Statistiche

16.5 16.5 Punti Punti 4.9 4.9 Rimbalzi Rimbalzi 2.5 2.5 AssistsAssists

TERRENCE WILLIAMS. Louisville, Guardia/Ala,195 cm 96kg. Bel colpo dei Nets che si assicuranole prestazioni di un giocatore solido e che sembragià pronto per contribuire, anche se non da stella,a livello NBA. Assoluto all around player, comedimostrando le sue statistiche, darà un grandecontributo difensivo potendo essere impiegato su2/3 tipi di giocatori. Non è un attaccante nato, e inquesta fase del suo gioco dovrà migliorare, ma puòrendersi utile in tanti modi su entrambe le metàcampo, specie ora che che la partenza di VinceCarter ha liberato tanti minuti. VOTO: 7,5.

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TYLER HANSBROUGH. North Carolina,Ala Grande, 204 cm. 107 kg. Indiana avevabisogno di mettere un pò di sostanza sottoil canestro e ha deciso di spendere unachiamata relativamente alta per colui checon i Tar Heels ha riscritto buona parte deirecord scolastici. Il punto di domanda piùingombrante sul ragazzo di Poplar Bluff è,come nel caso di Griffin, se riuscirà ariprodurre il suo gioco anche in Nba, dovedentro le aree finirà per scontrarsi con gio-catori più grossi e validi tecnicamente.Dalla sua c’è un’agonismo e un amore peril gioco che lo potrebbero fare andare oltrei propri limti. VOTO: 6.

Le StatisticheLe Statistiche

20.7 20.7 Punti Punti 8.1 8.1 Rimbalzi Rimbalzi 51.4% 51.4% al tiro al tiro

Le StatisticheLe Statistiche

14.2 14.2 Punti Punti 8.7 8.7 Rimbalzi Rimbalzi 3.2 3.2 AssistsAssists

AUSTIN DAYE. Gonzaga, Ala Piccola, 207 cm.86 kg. A nostro avviso uno dei giocatori piùintriganti del draft. Lungo e smilzo, ricordanelle fattezze Tayshaun Prince, suo prossimocompagno di squadra. Proprio per un fattofisico potrebbe essere ancora a ½ anni dalpoter stare in campo, ma a Gonzaga ha messoin mostra ottime cose. Anzitutto mani morbi-dissime e istinti puri per la pallacanestro com-binati con una grande coordinazione che alivello collegiale spesso gli ha permesso di sop-perire ai pochi chili a disposizione. Quello chesi chiedono a Detroit è se, come fece Prince,riuscirà col suo gioco ad andare oltre ai limitistrutturali del suo fisico, che al momento sem-brano il vero grande ostacolo che lo separa dauna buona carriera da pro. VOTO: 6.

Le StatisticheLe Statistiche

12.7 12.7 Punti Punti 6.8 6.8 Rimbalzi Rimbalzi 42.9% 42.9% da 3da 3

EARL CLARK. Louisville, Ala piccola/Ala grande,206 cm. 104 kg. Giocatore di grande potenzialeche quest’anno a Louisville ha dato l’impresisonedi non aver dimostrato tutto quello che può fare.Dotato di un apertura di braccia impressionante(218 cm) che lo rende difensore temibile sia inaiuto che sulle linee di passaggio, deve trovareuna posizione stabile tra il 3 e il 4. Per giocare 3dave migliorare il tiro da fuori, per giocare lungodeve aumentare di peso e evitare le pause mentaliche hanno contraddistinto la sua carriera univer-sitaria. Per ora è un giocatore da contropiedeeccellente, con buona presenza a rimbalzo e dotiintimidatorie apprezzabili. Dovrebbe trovare spa-zio nei Suns. VOTO: 6,5.

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11 99SSTTAARRSS ‘‘NN’’ SSTTRRIIPPEESS

JAMES JOHNSON. Wake Forest, Ala Piccola,199 cm. 118 kg. Scelta dubbia dei Bulls chespendono il pick per un giocatore che al colle-ge ha fatto bene soprattutto grazie al fisico,ma che a livello superiore avrà problemi divelocità contro le ali piccole e di stazza controle ali grandi. Il tiro da 3 non è all’altezza enemmeno i fondamentali sono abbastanza svi-luppati. Gioca bene in transizione e può finirenel traffico grazie ai chili che si porta in giro,ma in sostanza và ad affollare un reparto cheai Bulls sembrava già discretamente coperto.VOTO: 5.

Le StatisticheLe Statistiche

15 15 Punti Punti 8.5 8.5 Rimbalzi Rimbalzi 1.5 1.5 Stoppate Stoppate

Le StatisticheLe Statistiche

8.5 8.5 PuntiPunti3.8 3.8 Rimbalzi Rimbalzi 3.7 3.7 AssistsAssists

TYWON LAWSON. North Carolina, Playmaker,182 cm. 87 kg. Scelto originariamente daiTimberwolves è stato girato ai Nuggets che,mettendolo a fare dell’apprendistato dietro aChauncey Billups, potrebbero aver fatto un belcolpo. Intanto arriva da un sistema vincentecome campione NCAA, è un play puro, fisica-mente dotato anche se non altissimo e che hatirato da 3 con percentuali eccellenti (47.2%).Ha grande etica lavorativa e in campo sà passa-re la palla come testimoniano le sue cifre allavoce assists. Molti non sanno però come valu-tarlo dopo un’annata in cui UNC ha dominatoper buona parte della stagione e uno dei dubbi èla capacità di gestire i ritmi della gara. Ma par-tendo dalla panchina senza particolari pressioniinizialmente non sarà un problema insormonta-bile. VOTO: 7+.

Le StatisticheLe Statistiche

16.6 16.6 Punti Punti 3 3 Rimbalzi Rimbalzi 6.6 6.6 Assists Assists

JRUE HOLIDAY. UCLA, Playmaker, 190 cm. 89kg. Chiamata a rischio calcolato dei Sixers che,ancora incerti sulla riconferma di Andre Miller,prendono questo ragazzo da UCLA che ha certa-mente grandi margini di miglioramento. Nelsuo unico anno di college ha spesso dovuto gio-care da guardia per fare spazio a Collison daplay, ma il suo vero ruolo è nello spot di 1. E’ancora grezzo, deve migliorare innanzi tutto iltiro da fuori, ma è già un ottimo difensore, cosadi non poco conto. In campo si sbatte e sa esse-re altruista al momento giusto. C’è chi ritieneche un’altro anno di college avrebbe potuto gio-vargli parecchio, e va notato come alla sceltaseguente sia arrivato un play sicuramente piùpronto come Ty Lawson. VOTO: 6-.

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22 00 SSTTAARRSS ‘‘NN’’ SSTTRRIIPPEESS

JEFF TEAGUE. Wake Forest, Play/Guardia, 185cm. 77 kg. Scelta che sà molto di polizza assicu-rativa contro la possibile dipartita di MikeBibby. Problema: Teague non è esattamente ilprototipo del play, anche se il fisico lo suggeri-rebbe. Gli istinti sono quelli di un realizzatoreprima che di un passatore o comunque di ungiocatore che possa coinvolgere i compagni.Dotato di una velocità e un’esplosività fulmineaha segnato sempre in doppia cifra quest’anno,ma tende a fidarsi troppo del suo tiro da fuori(44% da 3) piuttosto che muovere la palla e met-tere in ritmo i compagni. Volendo fare un para-gone, ricorda Monta Ellis. Dovesse andare così,comunque, gli Hawks avrebbero di che esseresoddisfatti. VOTO: 6.

Le StatisticheLe Statistiche

18.8 18.8 Punti Punti 3.3 3.3 Rimbalzi Rimbalzi 3.5 3.5 AssistsAssists

Le StatisticheLe Statistiche

22.4 22.4 Punti Punti 3.6 3.6 Rimbalzi Rimbalzi 6.2 6.2 AssistsAssists

DARREN COLLISON. UCLA, Playmaker, 184cm. 73 kg. New Orleans sembrava avere altrepriorità in questo draft, ma ha comunque sceltodi andare con il play da UCLA che ha completa-to il suo quadriennio universitario dopo essereuscito dal draft dell’anno scorso. Sembra un gio-catore già abbastanza finito, con margini di cre-scita relativi. Punto di forza è senza dubbio ladifesa e la pressione costante che può imporresul diretto avversario, così come la capacità dicontrollare il gioco può fare di lui un cambioaffidabile. Non eccelle nella costruirsi un tiro ela meccanica è rivedibile, per quanto quest’annoabbia fatto bene da dietro l’arco. VOTO: 5

Le StatisticheLe Statistiche

14.4 14.4 Punti Punti 2.4 2.4 Rimbalzi Rimbalzi 4.7 4.7 Assists Assists

ERIC MAYNOR. VCU, Playmaker, 190 cm. 73kg. Bel colpo dei Jazz con Eric Maynor daVirginia Commonwealth. Al collegge, seppurnon di primissimo livello come fanno notare idetrattori, ha letteralmente impazzato nell’ulti-ma stagione, dimostrando di avere un giococompleto, con tiro da fuori e capacità di pene-trare e subire contatti guadagnando viaggi inlunetta. Tutto senza mai perdere per strada ipropri compagni, sempre coinvolti adeguata-mente. Non è un grande atleta e difensivamentedeve migliorare, ma ha grande etica lavorativa.Và a fare il cambio di D-Will in un sistema chelo può valorizzare. VOTO: 7.

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22 11SSTTAARRSS ‘‘NN’’ SSTTRRIIPPEESS

VICTOR CLAVER. Pamesa Valencia, AlaPiccola/Ala Grande, 207 cm. 98 kg. Scelta pernon appesantire il salary cap dei Blazers cheproseguono la propria tradizione spagnola conun ragazzo dal futuro luminoso da lasciare par-cheggiato in europa ancora per ½ anni. E’ ungrande atleta che può correre bene il campo efinire nei pressi del canestro, così come riceverefuori dall’arco e concludere con ottime percen-tuali. In questi anni dovrà definire il suo gioco esoprattutto la sua posizione, visto che almomento è sospeso tra lo spot di 3 e quello di 4,e nella NBA è probabile possa ambire a unruolo da specialista. VOTO: 6.

Le StatisticheLe Statistiche

8.3 8.3 Punti Punti 4.5 4.5 Rimbalzi Rimbalzi 41.5% 41.5% da 3 da 3

Le StatisticheLe Statistiche

8.8 8.8 punti punti 3.1 3.1 rimbalzi rimbalzi 45% 45% da3da3

BJ MULLENS. Ohio State, Centro, 214 cm. 118kg. Chiamata “logica” dei Thunder, che dopoaver visto sfumare Thabeet, provano a porrerimedio con questo ragazzo uscito dopo un soloanno, non esaltante, di college. I pregi sono uni-versalmente riconosciuti: mani morbide, grandiistinti realizzativi e movimenti da centro purogià ben sviluppati fanno di lui un giocatorepotenzialmente molto promettente. Il rovesciodella medaglia è nella sua attitudine al gioco.Criticato per essere troppo morbido mentalmen-te e fisicamente, nonostante non sia certo min-gherlino, tende a soffrire eccessivamente i gio-catori fisici ed energici. E in difesa deve faregrandi passi in avanti. In ogni caso, alla 24, è unrischio che si può correre. VOTO: 6,5.

Le StatisticheLe Statistiche

8.8 8.8 Punti,Punti,4.7 4.7 Rimbalzi Rimbalzi 1.1 1.1 Stoppate Stoppate

OMRI CASSPI. Maccabi Tel Aviv, Ala Piccola,204 cm. 96 kg. Grande talento di scuola israelia-na, è un’ala piccola vera, senza dubbi sulla suaposizione in campo. Rende al meglio se può gio-care un basket dinamico con rapide transizionioffensive nelle quali può sfruttare centimetri èrapidità. Per la sua altezza ha un ottimo primopasso che gli consente spesso di arrivare alferro. Affidabilissimo da dietro l’arco, deve, luipure, completare il suo gioco che al momentomanca di un affidabile arresto e tiro. In difesa èancora indietro, specie lontano dalla palla esulle rotazioni. Anche lui avrà il tempo di cre-scere in Europa. VOTO: 6,5.

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22 22 SSTTAARRSS ‘‘NN’’ SSTTRRIIPPEESS

RODRIGUE BEABOUIS. Cholet, Playmaker,187 cm. 81 kg. Giocatore che gode dellastima di moltissimi scout e che ai provini haconfermato le attese. Grande ball handling evelocità ne fanno un giocatore da alti ritmiche Dallas prova a far diventare l’uomo per ildopo Kidd. Queste stesse caratteristiche loportano spesso ad essere fuori controllo conconseguenti palle perse. Il tiro da fuori èancora in fase di costruzione. Probabilmentec’erano giocatori più pronti. VOTO: 5.

Le StatisticheLe Statistiche

10 10 Punti Punti 2.5 2.5 RimbalziRimbalzi2.3 2.3 Assists Assists

Le StatisticheLe Statistiche

14.3 14.3 Punti Punti 9 9 RimbalziRimbalzi2.9 2.9 StoppateStoppate

DEMARRE CARROLL. Missouri, Alapiccolo/Ala grande, 201 cm. 93 kg. Altro ragaz-zo che non ci si aspettava di vedere scelto alprimo giro. Giocatore che nell’ultimo anno aMissouri aveva iniziato la transizione da 4 a 3,che, peraltro, è ben lungi dall’essere finita. Hasenza dubbio migliorato le doti di palleggio,benchè ci sia ancora lavoro da fare, mentre da3 punti al college era discreto, ma la meccani-ca è ancora troppo lenta per venire considera-ta affidabile a livello pro. Non è un grandeatleta, ma cerca di sopperire a questa mancan-za con l’aggressività in campo. VOTO: 5.

Le StatisticheLe Statistiche

16.6 16.6 Punti,Punti,7.2 7.2 RimbalziRimbalzi36.4% 36.4% da 3 puntida 3 punti

TAJ GIBSON. USC, Ala Grande, 204 cm. 97kg. Altra scelta enigmatica dei Bulls che simettono in casa un giocatore doppione diTyrus Thomas, rispetto al quale, và detto,ha meno atletismo e più tiro dalla media,dote comunque importante a livello pro.Dalla sua c’è un’apertura di braccia impres-sionante (addirittura 222 centimetri) che loha portato ad avere quasi 3 stoppate dimedia quest’anno. Non eccelle particolar-mente in nessun fondamentale e dunque èanche difficile trovare grandi difetti. Unachiamata al primo giro, in ogni caso, sem-bra un pò altina. VOTO: 5.

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22 33SSTTAARRSS ‘‘NN’’ SSTTRRIIPPEESS

WAYNE ELLINGTON. North Carolina,Guardia, 194 cm. 91 kg. Alla 28 potrebbe esseredavvero una sorpresa questo ragazzo frescocampione NCAA con UNC. Le sue statistiche,maturate come terza opzione offensiva dellasquadra, ci raccontano di un ottimo attaccanteche, a causa di un atletismo non esuberante e diun fisico esile, predilige le conclusioni dal peri-metro sia piedi per terra (già da distanza NBA)sia in uscita dai blocchi. In difesa è pericolososulle linee di passaggio ma deve migliorare lon-tano dalla palla. Potrebbe avere problemi controavversari più grossi o più veloci, ma se non gli sichiede la luna non dovrebbe deludere. VOTO: 7.

Le StatisticheLe Statistiche

15.8 15.8 Punti, Punti, 4.9 4.9 Rimbalzi, Rimbalzi, 41.7% 41.7% da 3da 3

Le StatisticheLe Statistiche

21.5 21.5 PuntiPunti3.9 3.9 Rimbalzi Rimbalzi 2.9 2.9 AssistsAssists

CHRISTIAN EYENGA. Joventut Badalona,Guardia/Ala piccola, 194 cm. 95 kg. Altromomento da ricordare nel draft la chiamatadi questo ragazzo direttamente dalla secon-da squadra della Joventut che in pochissimiconoscevano e fra questi di certo non c’eraDavid Stern, in evidente imbarazzo nel pro-nunciare il suo nome sul palco. Scelta diffi-cile da commentare da parte dei Cavs cheavrebbero avuto almeno due o tre giocatoripapabili per il proprio sistema di gioco ehanno preferito buttarsi su un atleta spaven-toso che, però, a parte saltare, al momentonon sembra saper fare molto altro. VOTO: 4.

Le StatisticheLe Statistiche

0,8 0,8 punti punti 0 0 rimbalzi rimbalzi 0 0 assists assists

TONEY DOUGLAS. Florida State, Playmaker,184 cm. 82 kg. Difensore dell’anno della ACCnell’ultimo campionato è anche un’ottimo attac-cante, specie dal palleggio per arrivare fino alferro. Al collegge guadagnava tanti tiri liberi chetrasformava con alte percentuali, in NBA non èdetto che ci riesca. Può colpire col jumper,anche da 3 punti, ma il problema più grande èche fino ad oggi non è stato un vero playmaker,avendo FSU principalmente bisogno dei suoipunti. Da pro non può pensare di giocare daguardia, dunque è necessario che cambi, primadi tutto, mentalità. VOTO: 6,5.

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Il cappellino celebrativo del maestro zen èmolto semplice, essenziale, ma, al tempostesso, bello. E’ giallo con una grande Xviola; la X raffigura il dieci romano, i diecianelli di Phil Jackson. Raffigura 3 titolivinti a Chicago con un Jordan che final-mente esplodeva e diventava il numero unoindiscusso della Lega; la X rappresenta ilsecondo three-peat nella Windy City, delritorno di MJ e della scommessa DennisRodman, vinta come tante sfide affrontateda ‘Jax’; in quella X ci sono gli anelli vintiad Hollywood, un altro three-peat conShaq al vertice del ‘Triangolo’ e Bryantcome fedele scudiero; è i l t itolo del2008/2009, quello di Kobe finalmente lea-der; la X è una croce a tutte le polemiche dichi, per gelosia ed invidia, riteneva cheJackson fosse ‘solo’ un allenatore per squa-dre già pronte per vincere. Così non è.«Ognuno di questi 10 anelli è un grandetraguardo, ciascuno di questi è venuto inmodo differente, con vittorie importanti incasa o in trasferta. Una cosa per me davve-ro appagante è vedere giocatori fortissimiche si trasformano in giocatori di squadra.Vedere un gruppo di giocatori che durantel’anno si uniscono e finiscono per suppor-tarsi l’uno con l’altro, questo è davveroimportante per me. Ora per festeggiarepenso che mi accenderò un sigaro in onoredi Red Auerbach, è stato davvero un gran-de».C’è tutto Phil Jackson in questa dichiara-zione. Tutta la sua carriera, il suo Zen e lafilosofia di gioco dell’allenatore più vincen-te della storia del basket.«Non c’è niente di più difficile che vivere aNew York. Ma se avrai successo qui, avraisuccesso ovunque».Queste furono le parole con cui fu accolto‘Jax’ nella Big Apple. Fu Red Holzman apronunciarle. Poco dopo aver prelevato ilgiovane Phil dall’aereoporto di La Guardia– New York, dirigendosi verso Manhattan,l’auto con a bordo i due fu colpita da unsasso lanciato da un cavalcavia. Holzmannon si scompose più di tanto e, con unafreddezza polare si rivolse verso Jacksonfornendogli la prima regola fondamentaleper sopravvivere a New York, affrontare ledifficoltà con calma e ponderatezza.E’ il 1967 e Phil Jackson aveva appena ter-minato il suo ciclo di studi alla NorthDakota University. Studi e basket ovvia-mente. Nelle tre stagioni disputate sotto gliordini di coach Bill Ficth, Jakcson viaggiòad una media di quasi 20 punti a partita.Lungo atletico, 2.05 per 105 kg, veloce erapido nei movimenti, fu ribattezzato‘Swift Eagle’, aquila veloce, proprio per la

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Parafrasando il film di Tim Burton, vi raccontiamo la carriera di Coach Zen o come è stato ribattezzato dopo la conquista del decimo titolo, Coach Ten

‘Big Phil’, storie di una vita incredibile

DIDI

AALESSANDROLESSANDRO DELLIDELLI PPAOLIAOLI

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capacità di muovere rapidamente le braccia lunghe ed intercettarequalsiasi pallone vagante. La difesa come arma principale del suorepertorio sia da giocatore che, in seguito, da allenatore.Fu lo scout dei Knicks, Red Holzman appunto, a notarlo e a deci-dere di sceglierlo con il numero 17 del draft.Phil non era propriamente una stella ma avrebbe comunque forni-to atleticità, grinta e dinamismo ad una squadra che aveva le cartein regola per tentare l’assalto al titolo NBA. Se in campo ‘Jax’ rappresentava il classico lottatore che sputa san-gue e sudore, fuori dal parquet incarnava lo spirito di quegli anni.Hippie, capelli lunghi e baffoni, aspetto trasandato, contestatoredi qualsiasi forma di autorità, capo allenatore in primis. Jacksonha sempre avuto una mente brillante e aperta a qualsiasi tipo diesperienza, fosse quella della filosofia, della religione e della psi-cologia, di cui era appassionato studioso, o anche solo l’esperien-za delle droghe, anche quelle ‘meno leggere’. Un figlio di fiori per iKnicks, quanto di più lontano ci possa essere dal Jackson attuale,o forse no.La svolta, per quei Knicks, e soprattutto per ‘Jax’ arriva nel corsodella stagione 1969-70 quando il managment di New York decidedi licenziare, a metà anno, il coach Dick McGuire e di affidare lasquadra proprio a Red Holzman, l’ex scout. Holzman in brevetempo divenne il mentore di Jackson. I suoi metodi e il suo credocestistico influenzarono pesantemente il giovane allievo che, suc-cessivamente, adottò quei principi e li pose come elementi fonda-mentali della sua idea di basket, insomma stava nascendo ‘CoachZen’. Difesa e basket di squadra. Capacità di mediare all’internodegli spogliatoi, di trattare le stelle del team allo stesso modo

rispetto agli altri pur considerando il loro status di stella appunto.Risolvere i dualismi e gestire il gruppo verso il traguardo comune. In quello stesso anno ‘Swift Eagle’ si opera ad un’ernia al disco edè costretto a saltare l’intera annata. Holzman, che evidentementeaveva visto ben oltre l’immagine di hippie intuendo le capacità dicoaching, gli propone di svolgere un ruolo molto vicino a quello diassistant coach. Nel frattempo Phil si appassiona all’arte dellafotografia realizzando numerosi scatti da bordo campo e collabo-rando con il New York Post. L’annata è un successo. I Knicksvolano in Finale e vincono il primo titolo della loro storia, batten-do i Lakers 4-3 con Willis Reed leader indiscusso ed MVP dellefinali. ‘Jax’ in borghese ma vincitore comunque. Un anno a segui-re gli insegnamenti di Holzman, forse una vittoria ancora piùimportante dell’anello di campione NBA.Nel 1973 i Knicks, con la fantastica coppia Frazier e Monroe, e il‘solito’ Willis Reed, bissarono il successo di qualche anno prima e,questa volta, ‘Aquila veloce’ non era solo il discepolo di coachHolzman ma anche un valore aggiunto alla squadra. 8.1 punti dimedia in regular season conditi con 4.3 rimbalzi catturati a parti-ta e tutta la sua energia contribuirono alla cavalcata di New Yorkche, in finale sconfissero i Lakers 4-1.Dopo la vittoria del secondo titolo i Knicks non si ripeterono più.Phil ebbe comunque delle buone stagioni in maglia newyorkeseprima di passare ai Nets di Kevin Loughery. Con la carriera dagiocatore ormai agli sgoccioli, fu proprio coach Loughery adoffrirgli il ruolo di assistant coach.«Phil allenatore? Non l’avei mai detto. Ero convinto che si sarebberifugiato in qualche angolo remoto del mondo a coltivare, allevare

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il cibo che poi avrebbe mangiato». Evidentemente la capacità di predire il futuro di Walt Frazier eradecisamente inferiore alle sue qualità di giocatore. ‘Clyde’ nonavrebbe mai immaginato che il suo compagno di squadra piùribelle avrebbe vinto anelli su anelli.Forte degli insegnamenti di Holzman e dell’esperienza conLoughery, nel 1982 Jackson diventa head coach nella CBA, con gliAlbany Patroons. Qui inizia a mettere in pratica le sue idee dibasket egalitario e democratico. Impone lo stesso minutaggio pertutti i giocatori e cerca di offrire le medesime possibilità di giocoa tutti. Il sistema ha successo, nel 1984 i Patroons vincono il cam-pionato e Jackson è nominato allenatore dell’anno. Con la positivaesperienza in CBA alle spalle, ‘Jax’, nelle pause estive, decide diandare in Portorico dove si rende subito conto che le sue ideerivoluzionarie applicate al ‘baloncesto’ sono difficilmente concilia-bili con le attitudini locali. Ad ogni modo la lega portoricanaarricchisce il coach, soprattutto per quanto riguarda la capacità direlazionarsi con giocatori dal carattere difficile, elemento che glitornò poi utile nel corso della sua carriera.«Il primo obiettivo quando diventai capo-allenatore dei Bulls eratrattare Jordan il più equamente possibile grazie al nostro sistemadi gioco. Ma fuori dal campo ho sempre realizzato che non sareb-be stato possibile pretendere che fosse come tutti gli altri. Nonpuò nemmeno scendere nell’atrio di un hotel senza essere assedia-to dalla gente».Ad un certo punto della sua vita, Jackson si ritrova senza panchi-na e con la solita voglia di sperimentare e provare nuove esperien-ze. Certo che ‘Coach Zen’ nei panni del principe del foro sarebbestato uno spettacolo tutto da gustare, pari quasi al colloquio dilavoro a cui si presentò in perfetta tenuta da figlio dei fiori: cami-cione a fiori, appunto, e cappello con tanto di piuma. Grazie lefaremo sapere, saranno state le parole del datore di lavoro.E’ in questo preciso istante che sulla scena compare tale JerryKrause, l’uomo che gira sempre con in tasca alcuni centesimi didollari, in modo tale da controbattere a chiunque gli avesse dettodi non valere quattro centesimi. ‘Crumbs’, così soprannominatoper via delle briciole di snack che spesso gli si ritrovavano sullacamicia, già nel 1967 aveva notato ‘Jax’ e voleva portarlo aiBaltimore Bullets, squadra per cui svolgeva l’attività di scout, ma

non ci riuscì. Rimase, però, in contatto con lui e, nel 1987, daGeneral Manager dei Chicago Bulls, offrì a Jackson il ruolo diassistente allenatore alle spalle di Doug Collins, stappandolo cosìad una carriera forense quanto mai improbabile.Dopo due anni come assistant coach, nel 1989, complice i dissidiinterni al team, principalmente tra la stella assoluta Jordan eDoug Collins, quest’ultimo viene licenziato e la squadra affidata aPhil Jackson. La leggenda di ‘Coach Zen’ stava per iniziare.Come spesso capita in una squadra professionistica, i giocatorifiniscono per legarsi al vice allenatore in modo più stretto che noncon il capo che rappresenta, in fine dei conti, pur sempre un’auto-rità cui sottostare. Andò proprio così con Jackson che cominciò astringere un legame molto forte con Jordan, legame che negli annisuccessivi si trasformò quasi in un rapporto padre-figlio.‘Jax’, cominciò ad applicare tutte le teorie Zen e i suoi studi filoso-fici ai propri schemi di gioco. L’attacco fu affidato all’anziano TexWinter, promotore del ‘Triple post offense’, Jackson si occupòdella difesa. Fu attuata una vera e propria rivoluzione nei metodidi allenamento, porte chiuse anche per le sedute di tiro e sessionidi meditazione e di Yoga. All’inizio non fu certo facile. I giocatori,Jordan in primis, guardavano con diffidenza tali metodi ipotiz-zando anche un sonnellino rigenerante nel corso delle meditazio-ni. Dal punto di vista del gioco, poi, il ‘Triangolo’, sistema che pre-vede una distribuzione dei tiri equa, rischiava di sminuire le qua-lità e la voglia di primeggiare di MJ. Il sistema, inoltre, non era difacile comprensione e i tempi per assimilarlo furono piuttostolunghi. Quando i risultati cominciarono ad arrivare e quando ‘Air’comprese che il ‘Triangolo’ finiva per valorizzare il suo talento edindirizzarlo verso un gioco di squadra vincente, ogni scetticismofu vinto. ‘Coach Zen’ si conquistò la fiducia di tutti.«Realizzatori come Jordan e Pippen possono essere eccezionali inqualunque tipo di attacco, ma quello che questa filosofia fa è aiu-tare i giocatori che in uno contro uno non hanno talento come illoro a trovare soluzione offensive».Due anni furono sufficienti per assorbire le regole egalitarie del‘Triangolo’, amalgamare il team e fargli fare il definitivo salto diqualità. Due sconfitte contro i futuri campioni dei Detroit Pistons,fondamentali per far acquisire ai giocatori l’esperienza necessariaper vincere le gare decisive nei play-off.

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Sotto gli ordini di coach Jackson, Jordan ei Chicago Bulls vincono tre titoli NBA infila, 1991, 92 e 93, il primo Three-peat.L’estate del 1993 segna l’abbandono diJordan e l’arrivo di Tony Kukoc. Questafase della storia dei Bulls mette in luceancor di più le qualità di ‘Jax’. L’opera diconvincimento verso MJ per farlo ritornarea vestire la canotta numero 23 e la capacitàdi gestire le situazioni difficili e i dualismi.Quello tra Pippen e Kukoc raggiunse l’apicenel momento in cui il primo si rifiutò discendere in campo perché il coach avevaaffidato il tiro finale, quello decisivo (peral-tro realizzato), al croato piuttosto che a lui.Phil, che aveva assorbito le qualità dimediatore dal suo mentore Holzman, cheai Knicks aveva il suo bel da fare con per-sonalità del calibro di Frazier e Monroeoppure Cazzie Russel e Bull Bradley, riuscìa ricucire lo strappo. Da grande comunica-tore, poi sminuì l’episodio agli occhi deimedia, affermando che, in fin dei conti, ilcampo è sufficientemente grande per con-sentire a due giocatori della stessa squadrache non sono in sintonia tra loro a collo-carsi uno dal lato forte e l’altro al latodebole.Restituito Jordan ai campi da basket,‘Coach Zen’ era pronto ad una nuova sfida.«Fui io a sceglierlo e io a convincere

Michael e Pippen che avevamo bisogno dilui. Sotto certi aspetti Dennis è un casosociale ma se gli lasci libertà in certe situa-zioni sai che poi verrà il campo a daretutto; averlo firmato è stato decisivo nellanostra corsa a questi tre titoli».La sfida aveva il corpo tatuato e i capellicolorati di Dennis Rodman.Soprannominato ‘The Worm’, il verme,Dennis era davvero un ‘caso sociale’ cosìcome lo descrisse Jackson. Indisciplinato,aggressivo, arrogante, insomma il giocatoreche nessun allenatore avrebbe mai volutoin squadra, un disturbatore. Ma ormai èpiuttosto chiaro che coach Jackson non èun allenatore come tutti gli altri. Rodmanera comunque speciale, difensore eccelso erimbalzista sopraffino, ideale nel ricoprireil ruolo di power forward nel ‘Triple postoffense’.«Il mio lavoro è tirare fuori il meglio daogni singolo giocatore, facendo quel cheserve per raggiungere il traguardo».Il traguardo, in questo caso, è il secondoThree-peat del 1996, 97 e 98. Rodman risul-terà essere essenziale. ‘Jax’ esige disciplinain campo ed è disposto a chiudere unocchio o anche due sulle scappatelle delVerme sui ring del Wrestling, su allena-menti in ritardo, e in generale sugli eccessidel suo giocatore. La convivenza con gli

altri riesce. Il ‘Triangolo’ è al suo massimosplendore. Il sesto anello, però segna la finedella dinastia Bulls. Jackson decide di nonrinnovare il contratto, anche perché in con-trasto con la società, e Jordan, che dichiaradi non voler essere allenato da nessuno chenon si chiami Phil Jackson, si ritira.‘Coach Zen’ si rifugia nel suo ranch inMontana per un anno sabbatico, lontanodal mondo della NBA e dall’attenzione ditutti. La meditazione, la filosofia e lo Yogaa fargli da compagnia.«Rinunciare ad allenare è come non utiliz-zare il talento che Dio mi ha dato».Solo un anno e Phil torna in pista. Il ‘talen-to’ andava assecondato e così, ‘Jax’ accettale avances di Jerry West e si tinge di giallo-viola. I Los Angeles Lakers, reduci dallosweep contro gli Spurs, laureatisi poi cam-pioni nell’anno del lock-out, sono un teamforte e competitivo a cui, però, manca qual-cosa per fare lo step finale verso il titolo.Jackson trasferisce ad Hollywood tutte lesue teorie e concetti di basket. Lo staff è, ingran parte, quello dei Bulls sei volte cam-pioni; Jim Cleamons, Frank Hamblen, ilfisioterapista Chip Schaefer e ovviamenteTex Winter. L’idea di giocare il ‘Triangolo’con un centro dominante quale Shaq èstuzzicante. Poi c’è Bryant. Uno dei tantieredi designati di MJ, da modellare, da far

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crescere e maturare.«Quando per la prima volta ha parlato di meditazione di yoga oha cominciato a distribuire libri, ci siamo guardati attornodomandandoci di cosa stesse parlando, ma non si può discutere ilsuccesso, avevamo un allenatore con 6 titoli Nba e uno Cba esapevamo che Jordan e Pippen avevano rispettato i suoi metodicome potevamo discuterli noi?».Convincere Brian Shaw, come gli altri Lakers, della bontà deimetodi di allenamento fu forse più in facile che in passato. Il cari-sma del vincente, o forse, visto che si parla di ‘Coach Zen’, il‘karma’ del maestro influenzò subito tutto l’ambiente. Shaq siabbandonò allo Zen e i risultati arrivarono molto presto. 67-15 inregular season, miglior record a ovest e la finale della WesternConference contro gli arrembanti Trail-Blazers da affrontare. Lacavalcata dei Lakers inzia proprio dalla famosa gara 7 controPortland. Sotto di 13 punti a metà del quarto periodo, coachJackson decide di chiamare time-out. Solitamente ‘Jax’ è contrarioa chiamare la sospensione nel corso della partita convinto che l’al-lenatore svolge il suo lavoro nel corso della settimana e, se in par-

tita i giocatori dovessero andare in difficoltà, questi devono essereabbastanza maturi e responsabili da capire le ragioni delle diffi-coltà e agire di conseguenza. Spesso sono gli assistenti di Jacksona spingerlo a chiamare time-out, quasi come extrema ratio. Fattosta che in quella gara ‘Jax’, sull’orlo dell’eliminazione, chiede iltime-out e chiama a raccolta i suoi giovani e ancora inesperti gio-catori. Il risultato è il parziale dei gialloviola che li porta in Finalecontro i Pacers. E di nuovo anello. Ne seguiranno altri due per unnuovo Three –peat, questa volta sotto i riflettori di Hollywood. Traun libro personalizzato consegnato ai giocatori per spedire loroun messaggio implicito e qualche immagine di film introdotta neivideo delle partite, tra il divorzio dalla moglie June e la relazionecon Jeany Buss ex coniglietta di Playoboy nonché figlia dell’ownerdei Lakers Jerry Buss, Phil Jackson eguaglia il record di titoli NBAdi Red Auerbach, nove.Stratega e grande motivatore o arrogante manipolatore? Le invi-die di molti cominciano a concentrarsi su di lui. La critica princi-pale è quella di diventare allenatore solo di squadre già ‘prontouso’, team costruiti da altri e pronti a vincere con stelle di prima

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grandezza quali Jordan, Pippen, O’Neal e Bryant. In parte vero,ma è comunque coach Jackson a far vincere squadre che altri nonhanno saputo condurre, è ‘Coach Zen’ a conquistarsi la fiduciadelle stelle, trattandoli come uomini, spiegando loro come averesuccesso e tirando fuori il meglio da se stessi. E’ sempre lui adelevare un insieme di buoni giocatori ad una ‘squadra’ nel sensopiù profondo del termine; a motivare un gruppo ed instillare lorouna mentalità vincente attraverso un sistema di gioco che, seappreso in tutte le sue sfaccettature, è semplicemente perfetto; èlui a gestire gli attriti tra le stelle e tenere sotto controllo i suoiuomini, a farsi amare da loro al punto tale da fargli dichiarare dinon voler essere allenati da altri all’infuori di lui.«Penso proprio che questa sconfitta segni definitivamente la chiu-sura del mio ciclo ai Lakers».La storia di ‘Jax’ ai Lakers si conclude nell’estate del 2004. Lasconfitta in finale contro i Pistons segna il primo fallimento dellasua carriera. Il tentativo di portare i big four, Shaq & Kobe conMalone e Payton (acquisiti in estate), al titolo finisce male a causadi qualche infortunio di troppo e dei dissidi interni, esplosi questavolta in maniera fragorosa ed irreparabile.Bryant, che mal sopporta il ‘Triangolo’ e le idee di Jackosn, vuoleprendere il sopravvento dal punto di vista tecnico ed emotivo sulteam ma è Shaq il vero leader del gruppo. ‘Coach Zen’, semprepronto a mediare, finisce per sbilanciarsi in maniera decisivaverso il 34 che ricambia la stima definendo il suo coach come‘papà bianco’. ‘Inallenabile’ è invece il termine che ‘Jax’ riserva alfiglio di Jelly Bean nel libro che scriverà durante l’anno di pausa.Le strade di Jackson e dei Lakers si dividono, anche Shaq lascia laCalifornia. Nel ‘duello’ tra le stelle del team, Buss preferisce lalinea ‘bryantiana’ cedendo O’Neal il quale, si accontenterà di vin-cere il quarto anello agli Heat di Pat Riley. Passa un anno e ‘Coach Zen’ ritorna in panca. Dove? Che doman-de ai Los Angeles Lakers, c’è una sfida da vincere: costruire dallefondamenta la squadra e, sfida ancor più fascinosa, fare di Bryantun leader, un campione.«Ha imparato a diventare un leader in un modo che incoraggia glialtri a seguirlo. E' importante che abbia capito di dover dare perpoter ricevere, non è solo un leader che chiede. E' splendido perlui ed è splendido da vedere».‘Jax’ vince ancora. In tre anni rigenera i Lakers, convincendoKobe a seguire le regole del ‘Triangolo’. Bryant è finalmente ungiocatore maturo. Con Lamar Odom e Pau Gasol, che si inserisco-no a perfezione nel sistema di gioco del ‘Team Jackson’, LosAngeles raggiunge la finale contro i Celtics, nel 2008. Nella riedi-zione delle sfide storiche degli anni 80, vince Boston. ILosangelini non sono ancora pronti, peccano di inesperienza. Maormai è questione solo di tempo. Si materializza così il decimotitolo. Con una squadra creata a immagine e somiglianza di‘Coach Zen’, la sua squadra. Quella in cui un Trevor Ariza o unDerek Fisher qualsiasi si elevano a protagonisti, in cui anche LukeWalton può decidere un match. Quella squadra in cui il migliorgiocatore, questa volta si, è Kobe Bryant ed è pronto a sacrificareil suo ego per il bene comune, per i propri compagni.Cosa puo’ volere di più un allenatore con dieci anelli? Cos’altropuò chiedere Jackson alla sua carriera? Ci possono venire inmente le parole di un altro vincente del mondo dello sport, EnzoFerrari: “La vittoria più bella è quella che deve ancora arrivare”.Ecco, siamo sicuri che coach Jackson la pensa allo stesso modo. Sicuramente, con i Lakers attuali, il back-to-back non sembraimpossibile. L’ostacolo principale è rappresentato dallo stato disalute di ‘Jax’. A settembre compirà 64 anni e soffre, da moltotempo ormai, di svariati acciacchi fisici, fascite plantare in princi-pal modo. In estate si sottoporrà all’ennesimo intervento all’ancaper risolvere i problemi di deambulazione che lo affliggono.Dunque il suo futuro è ancora incerto. Recentemente ha prospet-tato la possibilità che i Lakers, per alcune gare in trasferta, sianoguidati dall’assistente Kurt Rambis, segno che la volontà di conti-nuare ad allenare e “non perdere il controllo del team” è ancoraforte. ‘Coach Zen’, la pensione può aspettare.

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Dalla parata con partenza allo Staples Center fino al Coliseum con più di80.000 tifosi a quella in tv con i ‘puppets’ e per finire il Jimmy Kimmel Live

La festa di LA per i LakersDue miglia circa il percorso stabilito; undici del mattino l’orarioimpresso nella mente di ogni singolo tifoso gialloviola, 11sima stra-da e Figueroa o indirizzo meglio conosciuto come quello delloStaples Center, il luogo del ritrovo e poi…e poi via ai festeggiamentivia a quella che forse è stata la parata più importante degli ultimititoli. Otto pullman a due piani con quello superiore scoperto. Icampioni NBA divisi per ‘bus’ vista l’enorme affluenza di parentiamici ed affini. Su di uno, il primo, si scorgono i due senatori dellasquadra Kobe Bryant e Derek Fisher con quest’ultimo che ripetuta-mente fa gesto che è tutto per loro, che questo trofeo l’hanno vinto eportato in California anche per loro. Ai lati dei pullman due cordonidi polizia in moto, dietro un altro pullman che segue alla fine del-l’ultimo scoperto e dulcis in fundo anche il classico camion dellacaserma dei pompieri di LA con sopra le Lakers Girls. Come se nonbastasse poi il tutto è condito da dietro le transenne da due fiumi dipersone, uno a destro ed uno a sinistra, alcuni dei quali praticamen-te hanno seguito l’intera parata fino alla destinazione: il Los AngelesMemorial Coliseum.(LA VOCE DEI TIFOSI. «Sono stato qui nel 2000 e nel 2001. Mi sonoperso quello del 2002 pensando beh fa niente ci sarò il prossimoanno ed invece ho dovuto aspettare sette anni per rivivere tutto que-sto, ma ora ci sono e me la godo»…«E’ un giorno bellissimo, cimescoliamo alla folla senza troppo pensare e ci facciamo cammi-nando tutta la strada verso il Coliseum»…«Sono incinta di sei mesie mezzo, speriamo che alla fine ne valga la pensa…»…«Non c’eraaltro modo per festeggiare se non all’interno del Coliseum e questadi sicuro è una dimostrazione di forza dello sport»…«Sono un fandei Lakers da sempre e cerco di trasmetterlo alle generazioni future.Questo è il mio bambino volevo chiamarlo Kobe, ma la mamma nonha voluto»…).Alla fine è stato questo il regalo che il sindaco di Los Angeles havoluto mettere su di un piatto d’argento per celebrare i neo campio-ni. Dopo tante chiacchiere, dopo tante critiche ecco che il primo cit-tadino californiano mette a disposizione della celebrazione dei gial-loviola una struttura da ben 95.000 persone. Trasportato all’internoe direttamente dallo Staples Center il classico parquet di giocolosangelino con alle spalle un vero e proprio back stage. Sugli scali-ni tappeto viola e simbolo Lakers, sugli spalti non occupati giganto-grafie dello stesso stemma e logo oltre quella che raffigurava il LarryO’Brien Trophy con la scritta celebrativa per i Lakers. Poi alzi latesta e quello che vedi è solo ed esclusivamente un insieme di teste,un insieme di persone, una chiazza giallo e viola estesa a circolo pertutto il Coliseum. Un massa umana accompagnato da un’alternanzadi brusio a voci e cori scanditi che urlano come dei forsennati MVP,MVP come se il premio non fosse già stato assegnato. Bandiere, ves-silli, striscioni (Kobe Diem uno di questi ndr), parrucche colorate,trombette e tante bevande in attesa di un solo momento: la passerel-la della squadra con il Larry O’Brien Trophy. L’attesa è snervante, levoci su possibile inizio si rincorrono come un cane con la coda finoa quando si alza il primo boato, un misto di liberazione per l’iniziodel tutto (il sole come al solito splendeva forte sulla città più invidia-ta e sognata del globo terrestre ndr) e ringraziamento per aver rega-lato a tutti loro questo momento. Passo dopo passo, scalino doposcalino ecco prendere il proscenio e microfono Antonio Villaraigosal secolo il sindaco di Los Angeles che da il via alla festa: «Per laquinta volta campioni Nba negli ultimi dieci anni i Los AngelesLakers». Stessa frase ripetuta anche qualche secondo dopo ma que-sta volta con la voce classica dello speaker dello Staples Center, e viaalla festa. Urla, folla in visibilio e dal backstage arrangiato ecco i primi passidella squadra che qualche giorno prima ha battuto gli orlando

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DDOMENICOOMENICO PPEZZELLAEZZELLA

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Magic on gara6. Musica a palla con ‘I love LA’, cappellini e magliettache variava da quella celebrativa dei quattro titolo con una manopuppets con quattro anelli come quella indossata da Bryant e Fisher,a quella normale che viene consegnata al momento del successo opoco dopo, fino a quella celebrativa dei festeggiamenti. Il primo aduscire? Logicamente tutti avrebbero pensato a lui il padrone di casa,il nuovo re di LA Kobe Bryant ed invece il figlio di Jeally Bean si èmescolato nel gruppo forse già consapevole che il suo momento dasolista prima o poi sarebbe arrivato. E allora sono Jordan Farmar eTrevor Ariza ad aprire le danze a fare gli onori della ‘scala’ e dietrodi loro tutta la ciurma, che a loro volta passo dopo passo, scalinodopo scalino conquistano il meritato palcoscenico prendendosi tuttigli applausi degli 80.000 presenti. Saluti, abbracci, sorrisi, spallacontro spalla come spesso accade nella presentazione della squadradurante un match (Shannon Brown il più attivo da questo punto divista ndr). Mani al cielo da una parte all’altra a ritmo di musica, cel-lulari e tele camerine ben piazzate sulla massa umana fino a quandola traccia di sotto fondo è stata sfumata cosi come i primi bollori edallora è stato il tempo delle celebrazioni individuali. «E ora ho il piacere di presentarvi e chiamare al centro del palco ilmigliore, semplicemente il migliore: Kooobbeeeee Bryaaaaaantt».Parole, quello dello speaker, alle quali è praticamente successo ditutto: urla, cori Mvp MVP, canotte che sventolano e sul palco il voltoe la faccia di un giocatore che raramente ha mostrato cosi tanteemozioni e felicità in una volta sola. Sorriso raggiante, felicità che sipoteva spalmare come burro sul pane, tanti i classici ‘give me five’ aicompagni di squadra pronti a congratularsi con lui e poi le primedomande. Arrivato ai Lakers 13 anni fa tre anelli, ma questo come hai detto aFisher quello più significativo..«Assolutamente. Sono arrivato nel 1996, ho vinto tre anelli neglianni scorsi, sono cambiate tante cose dall’ultimo e pure siamo anco-ra qui, siamo tornati al top è incredibile. Nonostante tutto non cisentiamo appagati, abbiamo ancora fame di successi, abbiamoancora fame di vittorie, ma anche ancora fame di questo magnificopubblico ed allora vogliamo farlo e rifarlo ancora, vogliamo ritorna-re qui il prossimo anno e festeggiare di nuovo come oggi». Ci fossero state delle agenzie pronte a quotare le parole di esordio diKobe, quelle menzionate non sarebbero state nemmeno quotate. Untantino più in alto le quotazioni di quelle che invece gli escono dallabocca poco dopo e relative all’argomento più spinoso che lo riguar-da e che tutti gli avranno chiesto: l’opzione per uscire dal contratto.Stu Lantz analista della Tv dei Lakers ci ha provato a stuzzicarlo eKobe ha cosi risposto: «Dove vuoi che vada? Questa è la mia casa,questa è la mia città…Dove posso andare …però ora voglio chiederviuna cosa di ripetere al mio tre quello che noi ci diciamo primadurante e dopo una partita. E’ il nostro motto e quindi al tre tutti voiurlate con noi ‘vincere’…». Non quotato nemmeno l’ennesimo tripu-dio generale ed allora si va avanti con le parole dei protagonisti.«Siamo un gruppo giovane e cresciuti tantissimo. Abbiamo appenainiziato a vincere e di sicuro non ci fermeremo, vogliamo farlo anco-ra e siamo già pronti per ricominciare». Quelle di Pau Gasol. Timida l’apparizione dell’ormai leggenda del parquet dal punto divista dei coach. Coach Zen o coach Ten come è stato soprannomina-to, infatti, non ha partecipato alla parata sui bus con la squadraattendendo la carovana al Coliseum con il suo ormai inseparabilecapello con una bella X stampata sopra che in numeri romani vuoldire 10, come le dita e gli anelli da infilare. Timida e non certo appa-riscente come quella di Kobe anche la sua dichiarazione ed il suointervento con il quale il dieci volte campione Nba ha prima di tuttoha detto: «Vincere è la culminazione di un viaggio. Noi abbiamocompiuto un bel passo molto importante migliorando noi stessigiorno dopo giorno fino ad arrivare all’anello». Poi smettendo diparlare di se stesso: «Siamo sbalorditi e senza parole, davanti allavostra devozione. Vorrei solo aggiungere una cosa che questa festasia un qualcosa di creativo e non di distruttivo. L’organizzazione hafatto di tutto per garantire la sicurezza e quindi noi non dobbiamofar altro che divertirci nel miglior modo possibile per quello che cihanno regalato questi ragazzi. A loro voglio dire solo una parola:

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anello. Quello che io ho al dito e che molto presto ognuno di loroavrà attorno al loro dito. Infine ringrazio la mia famiglia per il sup-porto durante tutti i 10 titolo, ma soprattutto personalmente ringra-zio Jeanie Buss per avermi permesso di essere qui ed allenare questasquadra ancora una volta».«E’ la sensazione più bella del mondo, un momento che rivivo nellamente attraverso questi momento. Certo tempo fa non c’era questaorganizzazione ma le cose vanno avanti. Da parte mia tanti compli-menti ad un grande team, ad un grande proprietario come Buss, adun grande coach, ad un grande giocatore come Bryant. Dalla scorsastagione e dalla finale persa contro i Celtics sono cresciuti molto esono diventati una squadra più solida e penso che questo tema seresterà cosi com’è potrà essere per lungo tempo sulla cresta dell’on-da della Nba. Ma due parole devono essere spese per chi in questomomento sta riempiendo il Coliseum per chi ha riempito le stradeper tutto il tragitto che ci ha portato qui, insomma a tutta la città diLos Angeles che può essere definita come una grande famiglia». Leparole appena sceso dal bus scoperto di Magic Johnson. PUPPETS CELEBRATION. Il successo che hanno riscosso anchesenza giocare un singolo minuto della tanto attesa finale dell’anno,non ha fermato la Nike di continuare nel suo viaggio attraverso ladualità tra Kobe e Lebron sottoforma di puppets. Dopo quelle che sidavano appuntamento alla finale, dopo quello in cui Kobe chiedevaspasmodicamente ad un Lebron impegnato alla console della play-station se avesse visto i suoi tre anelli conquistati, ecco che alla finenon poteva mancare quello della celebrazione. Musica a palla anchein questo caso il Bryant Puppets che cammina in una stanza concappellino e spara coriandoli in mano gridando ‘four’, poi nell’attra-versare una stanza dove c’è James il tutto cambia, il Bryant Puppetsdiventa serio, saluta Lebron per poi ritornare e rimutare nella stanzasuccessiva con tanto di musica e nuovi coriandoli con LBJ a guar-darlo e scuotere il capo da una specie di fessura.LA CELEBRAZIONE AL JIMMY KIMMEL LIVE. Detroit 2004Finali Nba, Jimmy Kimmel costretto a scusarsi per aver lanciatoqualche parolina di troppo e fuori luogo circa una sorta di rogo cheavrebbero dovuto fare della città del Michigan se i Pistons avesserobattuto i Lakers, e si era solo all’intervallo del secondo episodio conscuse da parte del conduttore, poi, per aver esagerato. Un piccoloaneddoto per spiegare il perché della presenza dei neo campioniNba al celebre show della ABC ambientato proprio nella città degliangeli. Un atto dovuto insomma, una tappa inevitabile che iniziaproprio come era iniziata la festa al Coliseum, ovvero con la presen-tazione e l’ingresso, questa volta sul palcoscenico, ma pur semprecorredato da telecamere, del Kimmel Show dei protagonisti assoluticon in sottofondo il motivo musicale di We Are The Champion:Trevor Ariza, Pau Gasol, Derek Fisher ed ovviamente Kobe Bryantcon il Larry O’Brien Trophy tra le mani. Immancabile il coro ‘Mvp,Mvp’ con Kobe che commenta «Siamo allo Staples Center», cosicome immancabile, prima delle congratulazioni di rito, la primabattuta della serata da parte del conduttore dal quale prende il nomelo show stesso: «Allora cosa si prova ad essere il primo Mvp afroa-mericano delle Finali Nba…» ilarità generale e show che prende ilvia. Scontata la battuta sulla possibilità di Bryant di mettere il trofeocome ornamento in macchina, cosi come quello dedicato al parago-ne con quanto accade nell’hockey dove la squadra vincente bevachampagne dalla coppa e che abbia il trofeo tutto per se. «Beh c’era-no delle miniature della coppa» commenta Bryant, «Si ma non ce lehanno certo offerta abbiamo dovuto comprarle, almeno io tu nonso…» replica Fisher tra una risata e l’altra e rivolgendosi a Kobe.Veloce ed incalzante il ‘talk’ passa al pronostico del presidenteObama: «Il presidente aveva pronosticato una vostra vittoria in 6partite, avete vinto in 5 pensato di averlo contraddetto o contraria-to?». Cosi come incalzante e veloce lo spostamento su Derek Fishered il suo Big Shots al quale il commento di Bryant è stato e riportia-mo in lingua madre: «He had a biggest ‘cojones’…». Imbarazzanti ose vogliamo nello spirito dello show quelle rivolte al catalano PauGasol legate al nome o meglio sulla pronuncia del suo nome e uneventuale amore con Kobe che diverte anche uno scatenato DerekFisher che poi imita l’intercalare più usato da Trevor Ariza, prima

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che l’ex di turno possa rispondere sulla classica domanda sul cosa siprova a vincere contro la sua ex squadra. Qualche minuti di risataancora sul ritorno e sulla parata che è tempo di presentare anche glialtri invitati: Jordan Farmar (con un discutibile pullover marroncinoa rombi ndr), Josh Powell, Adam Morrison, Dj Mbenga e ShannonBrown. Tutta carne a cuocere per il conduttore che mette sotto tor-chio i presenti prima sulla parata e sul peggior vestito della festa,Mbenga quello indicato da tutti, poi sul film e sulla valenza di guar-dare un film su proposta del coach dopo la sconfitta di gara3 («Idon’t know» .a risposta corale ndr), sul preferito del coach, quelloche più lo fa irritare, e la cosa che più odia coach Phil Jackson.Tutte risposte ed altro che potrete trovare on line, ovviamente in lin-gua originale, digitando Kobe Bryant&Los Angeles Lakers on JimmyKimmel Show, un qualcosa davvero da non perdere.

L’AZIENDAL’AZIENDA

La GLsolarEnergy s.r.l. nasce nel 2000 come società specializzata nelLa GLsolarEnergy s.r.l. nasce nel 2000 come società specializzata nelsettore fotovoltaico progettando e producendo un’ampia gamma disettore fotovoltaico progettando e producendo un’ampia gamma dimoduli fotovoltaici sia per applicazioni “stand-alone” che “grid-conmoduli fotovoltaici sia per applicazioni “stand-alone” che “grid-con--nected”, dotati di certificazioni TUV in conformità alle norme IEC ENnected”, dotati di certificazioni TUV in conformità alle norme IEC EN61215 e IEC EN 61730. L’azienda si avvale del proprio ufficio tecnico,61215 e IEC EN 61730. L’azienda si avvale del proprio ufficio tecnico,costituito da un’equipe di qualificati progettisti e tecnici, e di una suacostituito da un’equipe di qualificati progettisti e tecnici, e di una suaunità di produzione, entrambi siti nella zona industriale ASI sud diunità di produzione, entrambi siti nella zona industriale ASI sud diMarcianise (Caserta). Il personale, altamente qualificato, usufruendoMarcianise (Caserta). Il personale, altamente qualificato, usufruendodi attrezzature e di conoscenze tecniche all’avanguardia applica undi attrezzature e di conoscenze tecniche all’avanguardia applica unsistema di gestione per la qualità conforme alla norma ISO 9001:2000.sistema di gestione per la qualità conforme alla norma ISO 9001:2000.Partendo dalla Produzione di moduli fotovoltaici, la GLsolarEnergyPartendo dalla Produzione di moduli fotovoltaici, la GLsolarEnergyprogetta e realizza impianti fotovoltaici per privati, aziende ed entiprogetta e realizza impianti fotovoltaici per privati, aziende ed entipubblici valutando tra la partecipazione a Bandi pubblici oppure l’adepubblici valutando tra la partecipazione a Bandi pubblici oppure l’ade--sione al Conto Energia, garantendo un’accurata e sicura assistenzasione al Conto Energia, garantendo un’accurata e sicura assistenzadurante tutte le fasi che determinano l’iter burocratico del progetto. Indurante tutte le fasi che determinano l’iter burocratico del progetto. Inparticolare, in riferimento agli appalti pubblici, la società si avvale diparticolare, in riferimento agli appalti pubblici, la società si avvale diattestazione di qualificazione rilasciata dalla ITALSOA s.p.a. relativaattestazione di qualificazione rilasciata dalla ITALSOA s.p.a. relativa--mente alle seguenti categorie: OG9 (impianti fotovoltaici); OS30mente alle seguenti categorie: OG9 (impianti fotovoltaici); OS30(impianti elettrici); OS28 (impianti termici e di condizionamento);(impianti elettrici); OS28 (impianti termici e di condizionamento);OS3 (impianti idrici e antincendio). Inoltre la GLsolarEnergy, enteOS3 (impianti idrici e antincendio). Inoltre la GLsolarEnergy, enteaccreditato dalla Regione Campania sia per la formazione finanziataaccreditato dalla Regione Campania sia per la formazione finanziatache per la formazione autofinanziata (codice organismo N°che per la formazione autofinanziata (codice organismo N°1657/05/08), organizza corsi di formazione professionale rivolti a pro1657/05/08), organizza corsi di formazione professionale rivolti a pro--fessionisti, operatori del settore nonché studenti che vogliano semplifessionisti, operatori del settore nonché studenti che vogliano sempli--cemente approfondire in modo concreto alcuni dei temi più discussicemente approfondire in modo concreto alcuni dei temi più discussisulle Energie rinnovabili. Il 70% dell’energia elettrica utilizzata all’insulle Energie rinnovabili. Il 70% dell’energia elettrica utilizzata all’in--terno della struttura aziendale proviene da fonti rinnovabili grazie allaterno della struttura aziendale proviene da fonti rinnovabili grazie allapresenza presso la propria sede, di un impianto fotovoltaico da 50presenza presso la propria sede, di un impianto fotovoltaico da 50kWp. La GLsolarEnergy ha realizzato impianti per una potenza comkWp. La GLsolarEnergy ha realizzato impianti per una potenza com--plessiva di 631 kWp, per una produzione media annua di 883.567plessiva di 631 kWp, per una produzione media annua di 883.567kWh/anno, consentendo un risparmio di combustibili fossili pari akWh/anno, consentendo un risparmio di combustibili fossili pari a220.859 kg/anno e evitando di immettere anidride carbonica pari a220.859 kg/anno e evitando di immettere anidride carbonica pari a469.144 kg/anno (aggiornato a maggio 2009). L’obiettivo è dunque469.144 kg/anno (aggiornato a maggio 2009). L’obiettivo è dunquequello di promuovere lo sviluppo delle energie pulite nel rispetto dellequello di promuovere lo sviluppo delle energie pulite nel rispetto dellecompatibilità ambientali e di affrontare con efficienza e serietà la sfidacompatibilità ambientali e di affrontare con efficienza e serietà la sfidarappresentata dalle evoluzioni tecnologiche.rappresentata dalle evoluzioni tecnologiche.

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È finito un ciclo. I Detroit Pistons, campio-ni NBA 2004 e sempre almeno finalisti diConference nelle successive quattro stagio-ni, sono arrivati quest’anno alla rotturacompleta tra giocatori, staff, società e tifosi.Se n’è parlato a lungo, tanto, forse troppo,ma la trade tra Iverson e Billups ha cambia-to non solo i destini delle due squadre con-volte, Denver e Detroit, ma probabilmenteanche quelli dell’intera NBA.I Pistons, reduci da quattro vittorie conse-cutive nelle prime quattro uscite stagionali,accettano di inserire nel proprio rosterAllen Iverson in cambio di Antonio

McDyess (poi tornato subito alla base) esoprattutto di Chauncey Billups. I Nuggets,prima di questo scambio, avevano vinto sol-tanto una gara su quattro. Dopo aver chiusola regular season con 39 W e 43 L, l’epilogodell ’avventura per la franchigia delMichigan è stato una tristissima débaclecontro i Cavs al primo turno dei playoff,mentre quella del Colorado è giunta sinoalla finale di conference, dando non pochipensieri ai Los Angeles Lakers.Il valore della perdita di Billups è dunquechiaro a tutti, così come il contributo nullo,se non deleterio di Iverson. Per “The

Answer” si tratta dunque della fine di unmito. L’intento della dirigenza dei Pistonsovviamente non era rivolto esclusivamentea questa stagione, anzi. Il suo contrattoneda 21 milioni è in scadenza, cifra cheDetroit detrarrà dal suo elevato monte sti-pendi (72 milioni nella stagione appenapassata). Come se non bastasse ci sonoanche i 13 milioni di dollari di Wallace dasottrarre al salary cap. Citiamo per comple-tezza anche il contratto in scadenza diHerrmann (2 milioni) e Kwame Brown (4),che ha però un’opzione per rinnovare di unaltro anno la sua permanenza a Detroit.

Quella che si è conclusa con la sconfitta sonora e con lo ‘sweep’ contro iCleveland Cavaliers, ha chiuso un’era per la formazione di Joe Dumars

Detroit, è ora di ricominciare

didi

SSTEFANOTEFANO PPANZAANZA

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Ecco dunque che i Pistons si presentano a questa estate con unpotenziale enorme, perché con 33 milioni è senz’altro una dellesquadre con maggiore flessibilità per mettere sotto contratto iprossimi free agent. Due di questi, accostati spesso alla squadra diMoTown, sono Ben Gordon e Hedo Turkoglu. Il primo è in uscitada Chicago, potrebbe partire dalla panchina come sesto uomo dilusso sostituendo Hamilton, oppure prendere proprio il posto diquest’ultimo, magari destinato altrove. Parlando di partenti c’èTayshaun Prince con le valigie già pronte: Turkoglu infatti, autoredi quattro serie spettacolari dei playoff, potrebbe strappare il con-trattone della vita proprio ai Pistons.I punti fermi dovrebbero essere Rodney Stuckey, dichiarato incedi-bile dal gm Joe Dumars già lo scorso anno quando ancora dovevadimostrare per intero il suo valore, e dopo una stagione da 13.4

punti a gara e 5 assist sospettiamo che una sua eventuale cessionesia ancora meno probabile. Dovrebbero restare anche Afflalo eMaxiell, che hanno assicurato oltre 10 punti in coppia e che rap-presentano il futuro di questa società, anche se finora il loro rendi-mento è stato piuttosto incostante. Chi invece sperava in una eventuale riconferma di Iverson, magaria cifre inferiori rispetto a quelle attuale, resterà senz’altro deluso.L’amore tra l’ex Sixer e i Pistons non è mai sbocciato, e nelle ulti-me uscite era addirittura in borghese, segno di una rottura defini-tiva con la squadra. Da verificare la posizione di McDyess, certa-mente il più positivo – o forse bisognerebbe dire il meno negativo –nella serie contro Cleveland. Una cosa certa è che il pubblico di Detroit è senz’altro molto ambi-zioso, e dopo una stagione definiamola “di transizione”, i Pistonssono pronti a rituffarsi nelle zone alte della classifica, magari giàdalla prossima stagione. Con la consapevolezza però, come detto,che un ciclo è finito.

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«E' una gran cosa per noi. Ciaiuterà. E' quello che volevamo,inserire qualcuno più giovane,molto atletico, ora qualcosasuccederà. Ci hanno chiestocosa ne pensavamo e poi cihanno chiamati quando la trat-tativa si è chiusa. Sono moltofelice di questa aggiunta ditalento. Non possiamo avere lastessa squadra ogni anno. Oravedremo cosa succederà perchétutto l'Ovest è agguerrito. Dob-biamo migliorare. Tutte le squa-

dre dell'Ovest sono forti”. GliSpurs, almeno per ora, lo sonopiù della maggior parte dellesquadre, dobbiamo dimostrarlosul campo». Questa la raffica di dichiarazio-ni che il franceso ha reso dopoaver appreso la notizia dell’arri-vo dell’ex New Jersey Nets. Unasorta di ventata d’aria fresca,quindi in Texas in vista di quel-la che sarà la sfida più impor-tante degli ultimi anni, tornarepiù forti di prima.

Gli Spurs mettono le mani su RichardJefferson, Parker il più entusiasta di tutti.

«E’ una grande cosa per noi»

Peggiorata tantissimo la frattura al piede sinistro rimediata dal centro cinese nella serie contro i Lakers. E ora si teme il peggio

Yao Ming rischia la carriera«L'infortunio ha il potenzialeper fargli saltare la prossimastagione e potrebbe addiritturamettergli a rischio la carriera».Questa la dichiarazione shockche ha fatto il giro del mondo inottanta secondi e che potrebbecambaire la storia di una fran-chigia e di un giocatore.Insomma da infortunio da nonsottovalutare ad una vera e pro-pria catastrofe. Questo è quelloche si sta realizzando in casaRockets che di punto in biancopotrebbe ritrovarsi senza unodei punti cardini, se non ilpunto cardine della propriasquadra e dover cominiciaretutto da capo dopo aver impie-gato anni per la costruzione diun roster e di un gruppo chepotesse fare qualcosa di impor-

tante e di significativo, masoprattutto in gradi di sfatare ilpiù gande tabù texano ovveroquello del primo turno diplayoff. Ed è stato proprio quello ilguaio, quella la maledizione, dalmomento che proprio al secon-do turno, nelle semifinali diConference il gigante cinese si èprocurata la fratture al piedesinistro che da qui a qualche set-timana potrebbe addiritturacostargli la carriere professioni-stica dopo essere uscito indennee senza particolari problemi econseguenze da altre situazionidifficili alle ginocchia. La spe-ranza è l’ultima a morire e spe-riamo che in questo caso conti-nui a sopravvivere per moltotempo ancora.

Stars ‘N’ StripesStars ‘N’ Stripes

ideato da: ideato da: Domenico PezzellaDomenico Pezzellascritto da:scritto da: Alessandro delli PaoliAlessandro delli Paoli

Leandra RicciardiLeandra RicciardiTommaso StaroTommaso Staro

Nicolò FiumiNicolò FiumiStefano PanzaStefano Panza

info, contatti e collaborazioni: info, contatti e collaborazioni: [email protected]@hotmail.it

didi

DDOMENICOOMENICO PPEZZELLAEZZELLA

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Mehmeto Okur e Carlos Boozerhanno deciso di esercitare la clau-sola che li legherà agli Utah Jazz. Boozer, che ha prodotto una sta-gione da 16.2 punti e 10.4 rimbalzinelle sole 37 gare disputate causainfortuni, guadagnerà 12.7 milionidi dollari. Discorso diverso perOkur. Il turco aveva deciso diesplorare il mercato ma le squadreinteressate, Pistons, Grizzlies eThunders, o rappresentavano unascelta rischiosa perché ancora infase di ricostruzione (le ultimedue), o il contratto offerto nonsoddisfava pienamente le richiestedi ‘Memo’. Quindi sarà ancora Salt

Lake City, la città mormone, adammirare le gesta del nazionaleTurco (17.0 punti e 7.7 rimbalzinella regular season 2008/2009). Aquesto punto occhi puntati, incasa Jazz, su Paul Millsap che èrestricted free agent. Pistons,Grizzlies and Thunder, sempreloro, sono fortemente interessateal giocatore e possono offrire uncontratto con cifre che si aggiranotra gli 8 e i 10 milioni di dollari;Utah vorrebbe trattenerlo ma laluxury tax incombe, così come lafree agency, la prossima estate, diBoozer, Kyle Korver and MattHarpring. Occhio al salaray cap!

Boozer scioglie ogni tipo di velo e decidedi giocarsi la carta della free agency per

un contratto migliore...ma con i Jazz

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Il suo contratto in scadenza sta diventando una pedina fondamentale per le tante richieste provenienti dal mondo Nba. In pole i New York Knicks

Tutti pazzi per Tracy McGradyLa stagione appena conclusa avevadato qualche indicazione in questosenso. Per la prima volta senzaTracy McGrady i Rockets hannofatto strada e sono arrivata ad unagara7 dall’eliminare i Lakers daiplayoff e quindi dalla corsa al titolo.A dire il vero o meglio per onor delvero va anche detto che i texanihanno fatto bene e dato del filo datorcere ai gialloviola poi campioniNbaanche senza il cinese Yao Ming inpanchina e fuori per infortunio, maparadossalmente per la prima voltasenza il 7 volte All Star ex Magic,Houston è sembrata essere unasquadra diversa. Qualcuno aveva giàvociferato durante la stagione edurante gli stessi playoff che qualco-sa sarebbe potuta accadere in questosenso, visto che il campo aveva datoil suo responso e cioè i Rockets vin-cono e giocano bene anche senza T-Mac. Certo è anche che i rumors diquesto periodo dell’anno e di questitempi lasciano il tempo che trovano,ma a volte non tutto quello che vienemesso ‘in piazza’ è solo fumo negliocchi, nel caso di specie ancor dipiù. Già perché dopo le chiacchieree dopo i se, i ma e le tante smentite,dal quartier generale dei Rocketssembrano essere pronti a parlare e adiscutere di qualsiasi tipo di offertapreliminare per Mcrady. Offerte pre-liminari e son-daggi che aquanto pare nondispiacciono aiNew YorkKnicks, cheinvece avrebbe-ro già bussatoalla porta deibiancorossi peravere informa-

zioni su una possibile trattativa daimbastire. Qualcuno a New York oin giro per la Nba avrà nell’immedia-to gridato allo scandalo o pensatoche dalla stanza dei bottoni del teamdella grande Mela abbiano perso latrebisonda e vogliano commetteregli stessi errori degli anni passaticon giocatori incerti e logorati dagliinfortuni, ma poi se si guarda beneinfondo alla questione un motivoper cui la scelta dei Knicks può esse-re di un certo livello c’è e come: lascadenza del contratto. Quello cheandrà ad iniziare, infatti, sarà l’ulti-mo anno di contratto di McGradynel quale guadagnerà circa 23 milio-ni di presidenti spirati. Un valoreeccessivo per un giocatore che èstato negli ultimi anni martoriatodagli infortuni (ultimo in termini ditempo quello al ginocchio che lo hacostretto alla resa di questa stagionendr), ma con il condizionale legatoal fatto che il suo contratto scadeproprio nell’anno della free agencypiù ambita degli ultimi anni quelladel 2010 e quella in cui l’obiettivonumero uno, Lebron James, potreb-be cambiare le sorti della franchigiae 23 milioni in meno sul monte sala-rio non è mica roba da poco, ancheperché nel caso James dovesse dare‘buca’, sul mercato ci sarebberoanche altri pezzi pregiati, stileDwayne Wade.

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Sembrava che i Pistons dovessero ripartire dal coach della passata stagione,ed invece viene licenziato. Joe Dumars: «Era necessario un cambiamento»

Colpo di scena: Curry licenziatoChe si era in aria di cambiamen-ti lo s sapeva, che si era in aria difine di un ciclo anche, ma cheaddirittura si ripartisse assoluta-mente da zero questo è unanovità assoluta. Nell'apprfondimento che si trovasu queste stesse pagine si parladi Detroit, si parla di quella che èstata la stagione e del fatt cheCurry sarebbe dovuto essere unodei cardini della prossima stagio-ne e della nuova versione deiPistons. Ed invece ancora unavolta Joe Dumars ha sorpresotutto e tutti con un colpo discena dell’ultimo momento e del-l ’ultima ora, in relazione al

tempo di uscita di questo nume-ro per un qualsiasi tipo di cam-biamento nel pezzo precedente.Queste le parole dei diretti inte-ressati.Michael Curry: «Se ci sono dellecose che avrei fatto diversamen-te? Assolutamente si, ma il bellodella vilta è questo, imparare daipropri errori».Joe Dumars: «E’ stata una deci-sione difficile da prendere.Vorrei prima di tutto ringraziareMichael per tutto il lavoro e ladedizione che ha messo in que-sto progetto, ma in questomomento ho deciso di dare unasvolta di peso».

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DDOMENICOOMENICO PPEZZELLAEZZELLA

Di questi tempi ed in queste situa-zioni nulla scappa e nulla sfuggealla dura legge del fanta mercato odi coloro sempre a caccia di scoop edi notizie sconvolgenti. Questa in questione non sarà scon-volgente, ma di sicuro ha lasciatopiù di un punto di domanda all’in-terno degli addetti ai lavori. Il tarlo è

stata la presenza in Texas e specifi-camente a Dallas di Rasheed Walla-ce. Vacanze od affari personali, maquello che i ‘corridoi’ della Nba ci havisto sotto è una presenza dell’exPortland e ormai anche Pistons perun accordo con i Mavericks in vistadella prossima stagione al fianco diDirk Nowiztki.

Rasheed Wallace avvistato in Texas pertutto un weekend. Vacanze, vicende

personali o trattativa con Mavs?

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Il proprietario degli Charlotte Bob-cats, Bob Johnson,, ha deciso dimettere in vendita la franchigia disua proprietà. Michale Jordan si èdetto interessato all’operazione: "Mipiacerebbe creare una squadra disoci per farlo, sì”. His Arirness, chegià detiene una piccola percentualedel club, vorrebbe dunque incre-mentare le proprie quote di parteci-pazione.I Bobcats, nati nel 2003, furonoacquistati da Johnson, fondatoredella Black Entertainment Televi-sion, per una cifra di 300 milioni didollari e divenne, così, la prima per-sona di colore proprietario di unasquadra professionistica sportiva. Lacrisi economica che ha colpito gli States, lo scarso interesse verso la

squadra della città e il mancatoappoggio degli sponsor hanno deter-minato grosse perdite. Da qui lavolontà di Johnson di cedere la fran-chigia (la rivista specializzata Frobesha valutato il valore dei Bobcatsintorno ai 284 milioni di dollari).Jordan, che dal 2006 è GM del team,potrebbe risollevare l’interesse attor-no a Charlotte. Larry Brown in panchina, sceltoproprio dall’ex 23 dei Bulls ha giàcominciato a far migliorare il rendi-mento Bobcats; nella stagione appe-na conclusa il record è stato di 35-47, perdente certo, ma il migliorrisultato della breve vita di questasquadra. Il futuro potrebbe esserepiù che roseo, il nome Jordan è sino-nimo di successo.

I Charlotte Bobcats sono ufficialmentesul mercato. Michael Jordan in pole per mettere le mani sulla franchigia

Dopo essere usciti senza una point guard dal Draft il duo D’Antoni-Walshsono alla ricerca di un playmaker di valore come l’ex Phoenix Suns

I Knicks hanno puntato KiddUna delle squadre e delle forma-zioni più attive sul mercato esempre pronte a prendere visionedi tutto. Dopo aver sondato il ter-reno per milioni di cose, tra cuianche la possibilità di mettere lemani su McGrady, o meglio sulcontratto di McGrady, New Yorktorna alla carica per un play-maker ovvero quel giocatore chedurante lo scorso Draft gli è sfug-gito per colpa degli eventi ediciamocela tutta anche percolpa dei Minnesota T’Wolvesche ne ha fatto una razzia. Allafine I knicks si sono dovutiaccontentare, si so dovuti guar-dare intorno per capire quelloche il mercato gli poteva offrire ea quanto pare sono pronti ad unbel modo di accontentarsi. Il duo

D’Antoni-Walsh, infatti, sembra-no essersi presentati (nel sensofigurato del termine ndr) allaporta dei Mavericks, di Cuban edi Jason Kidd per vagliare la pos-sibilità di portare nella grandemela il giocatore che fu capacepraticamente da solo di portare iNets a due finali Nba consecuti-ve. Un flirt che a dire il vero nondispiacerebbe nemmeno al gioca-tore che ha manifestato un certointeresse ed una certa propensio-ne a vestire la maglia di NewYork senza nessuna paura. Il nome dell’ex Suns, però, sem-bra essere finito sul taccuino ditante altre formazioni del pano-rama a stelle e strisce tra cuiquello ambiziosissimo deiPortland Trailblazers.

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Si dice che esiste la stagione per tutto: per l’a-more, per il successo, per la riflessione, per lacrescita. Ebbene, quella che sta vivendo ilbasket dello “spaghetti-circuit” è probabilmen-

te la peggiore che ogni tifoso o addetto ai lavori avrebbe potutoimmaginare. Una situazione balorda sintetizzabile in un’unica edeloquente parola: marasma. Sì, proprio così; perché, in effetti, ciòche sta andando in scena nei piani alti del basket-system italianoè qualcosa che rimanda al caos, al disordine, ad una forza entro-pica difficile da giustificare, ancor più da decifrare, quasi impossi-bile da calmierare. Uno stato di cose figlio di una linea di condot-ta sempre border-line tenuta da coloro chiamati a sedere sugliscranni della “politica” della palla a spicchi; una gestione pocochiara e, sopra ogni cosa, per nulla lungimirante che ha rappre-sentato il seme della discordia. Il gelo sceso tra la Legabasket pre-sieduta da Valentino Renzi e la Federazione capeggiata da DinoMeneghin è da rinvenire nella delibera n. 276 adottata dalConsiglio Federale sulla eleggibilità dei giocatori per le prossimestagioni agonistiche e, in particolare, sul numero di atleti stranieried italiani da poter tesserare (e, quindi, schierare) a partire dalcampionato 2010/2011.Proprio quest’ultimo nodo ha dato il la ad uno scontro a distanzaculminato con la “minaccia” della Lega di bloccare la prossima

annata sportiva e di negare, con decorrenza immediata, la dispo-nibilità dei giocatori a rispondere alle convocazioni per leNazionali giovanili.Ma non finisce qui. Perché sempre la Lega, coerentemente al pro-prio convincimento, ha paventato addirittura l’ipotesi di organiz-zare autonomamente, a partire dal prossimo anno, un campionatogiovanile parallelo, con l’obiettivo di sviluppare ulteriormente ilproprio impegno nei vivai e assicurare al contempo a questa atti-vità la adeguata visibilità.E’ guerra fredda, insomma. Un astio che ha trovato nelle dichiara-zioni ufficiali dei vertici della pallacanestro italiana le punte di uniceberg enorme che speronare ed abbattere non sarà impresa faci-le. «La maglia azzurra -ha dichiarato Meneghin- la si ama indos-sandola, non evitandola. Sono assolutamente indignato. Io hocominciato a giocare in Nazionale a 16 anni e non posso accettareche si possa impedire ad un ragazzo, che lo merita, di giocare inNazionale. Abbiamo lavorato con il presidente della LegaValentino Renzi per otto mesi e adesso ci ricattano con i ragazzi.Non è qualcosa che posso accettare. Se rinunciare ad un solo gio-catore italiano in più, fra due stagioni, è un problema così grande,che allora decidano di non giocare. Noi andremo avanti comun-que, non posso accettare di continuare a stare sotto continuoricatto. Di certo non siederò più a nessun tavolo di trattativa fin-

MMAADDEE IINN IITTAALLYY

Continua la guerra fredda tra la Federazione e la Lega; una situazione grottesca che rischia di far passare in secondo piano i movimenti di mercato in vista di un campionato, a questo punto, assai incerto

Sciopero e mercato: contraddizionidel basket ‘made in Italy’

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ché continueranno in questo atteggiamento».Parole forti che non si prestano ad alcun equivoco interpretativo;parole forti come quelle del presidente di Lega.«Il nostro punto di vista è semplice -ha dichiarato Renzi- la deli-bera che è stata assunta è demagogica e di facciata: è fuorvianteche per un italiano in più si sia creata tutta questa confusione. Larealtà è che la scelta di cambiare extracomunitari con italiani por-terà solo dei costi aggiuntivi. Noi volevamo tenere due anni di 3extracomunitari e 3 comunitari, e avere una maggiore gradualitànel passaggio. La Federazione ha scelto di passare direttamente al3+2 (tre americani e due europei) o 2+4 (due americani e quattroeuropei), a discrezione delle singole società. Ci rendiamo contoche è una soluzione dura -ha proseguito Renzi- ma quando lesocietà di vertice e la Lega chiedono alcune cose e non si riesce aincidere, quando nel Consiglio federale la rappresentatività è ine-sistente e ci si trova a essere battuti 18 a 2, tutto questo rappre-senta una situazione anomala. In futuro, bisognerà lavorare perarrivare a un contesto che possa prevedere una diversa rappresen-tatività delle società. Nonostante tutto, anche oggi auspico chevenga fatto un passo in avanti».Affermazioni circostanziate che hanno provocato la controreplicadi Meneghin: «Non penso -ha detto il presidente della F.I.P.- chele società possano impedire ai giocatori di andare in Nazionale,ma questo lo stanno valutando gli avvocati. Certo mettere inmezzo un minorenne, che potrebbe coronare il suo sogno di vesti-

re la maglia azzurra, mi semba una cosa pazzesca. E non voglioadoperare altri termini. Non mi sembra di chiedere la luna sevoglio un italiano in più dalla stagione 2010-11. Se ne avessi chie-sti dieci capirei.. E se è vero che gli italiani costano più degli stra-nieri, spetta ai club trovare un modo per pagarli di meno, metten-do un salary cap o qualcosa del genere».Non c’è che dire: una matassa complicatissima da districare chemette seriamente a repentaglio il regolare svolgimento di un cam-pionato in proiezione del quale, comunque, più di una società sista muovendo con trattative, strategie e qualche colpo di mercatogià messo a segno.E’ il caso della Benetton Treviso che ha ufficializzato in panchinaFrank Vitucci al posto del partente Oktay Mahmuti. Novità ancheper quanto concerne il roster dove troveranno spazio il lituanoMantas Kalnietis (contratto triennale), la stella Daniel Hackett chenon ha brillato al draft NBA (per lui, in ogni caso, garantita laclausola “escape” già al primo anno) oltre ai confermati GaryNeal, Andrea Renzi, Sandro Nicevic e, con ogni probabilità, C.J.Wallace. Aria di forti cambiamenti a Roma. I giallorossi potrebbe-ro anzitutto mutare location trasferendosi nel più accoglientePalaTiziano ed abbandonando, così, i l dispersivoPalaLottomatica. Sul fronte squadra, saluteranno la corte del con-fermato Nando Gentile, tra gli altri, i vari Sani Becirovic, IbrahimJaaber, Primoz Brezec, Andre Hutson e Brandon Jennings (sceltoal n. 10 del primo giro dai Minnesota Timberwolves); in entrata si

lavora alacremente per acquisire i servigi di Peppe Poeta, del22enne Milos Teodosic (forse in uscita dall’OlympiakosPireo) e di Alessandro Gentile, enfant-prodige di soli 17 annied accreditato, unitamente a Niccolò Melli, come il prospettoitaliano più interessante e futuribile.Tra le file dei campioni d’Italia tutto tace; o quasi. Il deus exmachina Ferdinando Minucci proverà a trattenere per un’al-tra stagione nella città del Palio l’m.v.p. Terrell McIntyre, allecui orecchie sono da tempo giunte le sirene ammalianti pro-venienti dalla Grecia. Chi potrebbe dismettere la canotta

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biancoverde è Romain Sato (oltre ad Henry Domercant) verosi-milmente rimpiazzato da David Moss che, a sua volta, saluteràTeramo e coach Capobianco. Sfumato il sogno serbo IgorRakocevic, passato dal Tau Vitoria ai turchi dell’Efes Pilsen (con-tratto triennale per complessivi 6 milioni di euro; “pochini” separagonati ai 25 che quest’anno il presidente Tuncay Özilhan met-terà sul tavolo per allestire una squadra cinque stelle lusso), allaMenSana interessa Andre Hutson oltre a Stefano Mancinelli, inuscita dalla Fortitudo; sul “Mancio”, a ben vedere, ha posato gliocchi anche l’Olimpia Milano che ha incassato parole al mieledallo stesso ragazzo, allettato eventualmente da un possibile tra-sferimento all’ombra della Madonnina in una squadra giovane edambiziosa. Milano che, nella persona del presidente Livio Proli,ha confermato coach Piero Bucchi, ha esercitato l’opzione perestendere di un altro anno il contratto di Mike Hall, ha propostoun succulento triennale da 1,2 milioni a stagione al “falco” DavidHawkins, ha messo sotto contratto biennale il lungo lituanoMarijonas Petravicius (ex Lietuvos Rytas Vilnius), continua a vigi-lare sul portoricano Guillermo “Superman” Diaz, ex Caserta, esarebbe tentata a dare il benservito al deludente Luca Vitali.Avvolti da una fitta coltre di mistero, invece, gli eventi che stannoanimando la piazza bolognese, sponda Virtus. Quando sembravaquasi in porto la trattativa per il passaggio di proprietà dellasocietà nelle mani di una cordata di imprenditori capeggiata daStefano Tonelli, è rimbombato improvvisamente il “tuono”Sabatini, restio a cedere la propria creatura a persone ignote

senza, oltre tutto, le necessarie garanzie economiche. Tutto conge-lato, insomma, mentre sulla panchina delle V nere arriva dopo unestenuante tira e molla Lino Lardo (per lui un biennale), si trattaper Eric Williams e di attende di ratificare per iscritto l’accordoverbale con Andre Collins (interessa, in verità, anche JonasJerebko che, però, dopo essere stato scelto dai Pistons con il n. 39,ha buone chance di essere inserito nel roster della Motown).Movimenti poco significativi per il momento a Teramo: il presi-dente Antonetti vorrebbe convincere Poeta a rimanere in Abruzzoe ad onorare il contratto che lo lega alla squadra biancorossa finoal 2011; piacciono anche Matteo Soragna, Marco Mordente eMichele Maggioli, vecchia conoscenza di coach Capobianco, com-plici i suoi trascorsi a Jesi. A Biella si lavora per rifondare la squa-dra dopo la partenza di Jerebko e quella probabilissima di Gist:tra i confermati dovrebbero figurare Jurak e Brunner mentre ilprimo acquisto porta il nome di Massimo Chessa, ex Sassari (con-tratto biennale con opzione anche per il terzo anno).Novità soprattutto per quanto concerne la guida tecnica a Cantù,Pesaro e Caserta. In Brianza il coach è Andrea Trinchieri chepotrà sicuramente contare sul volto nuovo Jerry Green ma chedovrà fare a meno di Pinkney, Rich, Prato e Tourè; sulla panchinadella Scavolini siederà, invece, Luca Dalmonte ed il primo obietti-vo -scaricato, tra gli altri, il nigeriano Akindele- è Cinciarini; inCampania la new entry è Pino Sacripanti che ripartirà dalle cer-tezze Di Bella, Martin, Michelori e strizza l’occhio proprio adAkindele, alle sue dipendenze lo scorso campionato alla Vuelle.

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Ferrara riprenderà il filo del discorso da coach Valli e dalle verosi-mili conferme di Farabello, Nnamaka e Jamison; si prova a con-vincere Allan Ray a non spiegare le vele verso altri lidi anche sel’operazione non sembra poi così agevole. All’ombra del Castelloanche il play 22enne Valerio Circosta, ex Ferentino. Senza parti-colari sussulti la situazione nelle rimanenti piazze che animeran-no la massima serie: Montegranaro ha ufficializzato FabrizioFrates e perderà i suoi pezzi migliori (Garris, Hunter e Minard);Avellino si affida alle mani esperte di Cesare Pancotto e diràaddio, tra gli altri, a Williams, Warren, Best e Slay; enigmatico ilfuturo di Rieti dove Meo Sacchetti potrebbe prendere il posto diLardo. Per quanto concerne le neopromosse, Varese ritornerà arecitare sui palcoscenici della LegaA con Pillastrini, Passera,Cotani ed Antonelli; si spera nella conferma del “professore”Childress e di Giacomo Galanda. Soresina, infine, dopo la fusionecon Cremona, avrà in Ario Costa il nuovo direttore generale; tro-vato l’accordo con Stefano Cioppi, si lavora per poter disporreancora di pedine fondamentali come Troy Bell e Marco Cusin.

Corteggiato anche Jobey Thomas che l’anno prossimo non indos-serà più la canotta griffata Armani Jeans.

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Chi di voi vuole fare un salto nella patriadei Pionieri…Cowboy.. e indiani?? BehDenver è la porta d’accesso naturale allastoria e al mito del West..

Incastonata tra panorami montani mozzafiato dove il sole splendeper 300 giorni all’anno. Fondata nel 1858 dai cercatori d’oro, èsituata alla base delle maestose Montagne Rocciose a 1609 metrisul livello del mare, esattamente ad un miglio di altitudine. Moltodella ricca eredità Western è rimasta negli edifici e nei musei, atestimonianza della storia degli eroi del passato. Quando fu scoper-to l’oro nella zona, Denver divenne una sorta di terra promessa…E'un luogo ideale per gli escursionisti ,gli amanti della mountain bikeche qui partono verso i sentieri deserti e le praterie degli antichicowboys o verso le foreste delle rigogliose montagne, ma è anche ladestinazione perfetta per chiunque sia in dubbio se scegliere tra ledistrazioni di una grande città e i piaceri più semplici della vita tra iboschi, Un luogo nel quale si può gustare un filetto di bufalo primadi una serata all'opera e concludere la giornata con un ultimo bic-chierino in un bar art déco.COME ARRIVARE E COME MUOVERSIDenver International Airport (DIA) Situato 40 km a nord-est delcentro, è stato costruito per essere uno dei principali centri aereidel Nord America, e infatti ora è servito da una ventina di lineeaeree, anche se la maggior parte dei voli è garantita dalla UnitedAirlines. Non dovreste avere quindi difficoltà a trovare un volo (oalmeno una coincidenza).La Greyhound e l'affiliata TNM&O hannofrequenti autobus sia sulle linee che corrono lungo la Front Rangesia su quelle che attraversano tutto il paese da costa a costa. Gli

autobus fermano tutti al Denver Bus Terminal, subito a nord delloState Capitol. In città è facile spostarsi. Autobus e taxi hanno prezziabbastanza convenienti, ma il mio consiglio è sempre quello dinoleggiare una macchina se restate più di una settimana(Consultate i siti www.enoleggioauto.it, www.alamo.it/USA,www.autoeurope.it e www.easyterra.it/denver) Per orientarvi dove-te munirvi di una cartina oppure, collegatevi ad un sito di mappeonline come: www.mapquest.it o www.yahoo.it e stampatevi il tra-gitto che vi serve.DOVE DORMIREI prezzi sono, in genere, molto variabili e dipendono dal periododell’anno. C’è una vasta gamma di strutture suddivise per ognigenere di categoria e prezzo: da semplici ma accoglienti B&B asfarzosi ed eleganti hotel di lusso.Sleep Inn Denver Tech Center: Greenwood Village, Denver, 9257 ECostilla AVE. L'hotel si trova a pochi minuti in auto o in treno datutti i servizi e i vantaggi offerti da questa città cosmopolita. Potreteraggiungere facilmente a piedi il treno per la città o i numerosinegozi e ristoranti siti nelle vicinanze dell'albergo.Prezzi tra 35 e 40 a notte.Super 8 Motel Denver Stapleton: 7201 East Avenue, DenverColorado. Comoda ubicazione a breve distanza dall'AeroportoInternazionale della città. Questa struttura, ideale sia per le merita-te vacanze che per i viaggi d'affari, presenta camere recentementerinnovate e comodamente arredate per offrirvi un soggiorno piace-vole.Prezzi tra 35 e 40 a notte.Holiday Inn Express Englewood: 7380 South Clinton Street,

Englewood. Si trova inposizione strategica ed èfacilmente raggiungibiledal Denver Tech Center,dall'aeroporto Centennial edall 'Inverness BusinessPark.Prezzi tra i 50 e 60 anotte.Hotel Crowne Plaza DenverCity Center: 1450 GlenarmPlace. Center si trova nelcuore di questa eccitantecittà, a pochi passi daLoDo, il quartiere anticopiù alla moda, e dai DenverPavilions.Prezzi tra i 70 e 75 anotte.Hotel Teatro: quattordicesi-ma st 1100 Denver. Situatonel centro di Denver, difronte al Denver Center for

Welcome to Denver: ‘The Mile High City’

DIDI

LLEANDRAEANDRA RRICCIARDIICCIARDI

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Performing Arts.Prezzi da 180 a 190 a notte.Per altre info consultate i siti www.octopu-stravel.com, www.tripadvisor.it, www.vene-re.com e www.hotels.com/denver. IL TEMPOIl clima è semiarido, con le quattro stagioniben distinte, ed estremi che vanno dal caldosecco al gelo pungente,è una città che offremotivi di richiamo tutto l'anno, per cui ilperiodo del viaggio è in relazione a ciò checercate.Coloro che la visitano in primavera o inautunno troveranno giornate balsamiche esolari, con serate fresche.. Gli occhiali dasole in estate sono necessari Quando il soletramonta però la temperatura potrebbecambiare. Le serate possono essere frescheed è consigliabile avere un maglione leggeroa portata di mano. Le giornate invernalisono, di solito, una combinazione di solecaldo e aria fresca. Le temperature diurnepossono passare da sotto zero a oltre 60º F(15º C);La neve cade raramente e quandocade, di solito sparisce rapidamente. Nellezone montuose può essere molto freddo, maspesso la calda luce solare rende superfluigli abiti pesantissimi. Il guardaroba dovreb-be, in ogni caso, comprendere anche unpaio di stivali. Ricordate che, grazie al climadi Denver sempre asciutto e temperato, ilgolf e il tennis sono sport da praticare tuttol’anno!COSA VEDEREDenver Museum of Natural & Science:Museo di storia naturale fra i più prestigiosidegli Stati Uniti, fu istituito agli inizi delsecolo per custodire la collezione di unnaturalista del Colorado di nome EdwinCarter. Il museo è situato 5 km a est del cen-tro, nel City Park. Nel complesso si trovapure un IMAX Theater, una sala con unoschermo gigante che entusiasma il pubblicocon documentari sulla natura. Nei pressi c'èil Gates Planetarium, dove uno spettacolo diluci laser vi trasporterà in un viaggio versogalassie lontane. Chi va di fretta o vuoleprendersi una pausa e distrarsi con cose piùleggere può combinare una breve visita almuseo con un salto al vicino Denver Zoo.Downtown Acquarium: un acquario interat-tivo con più di 15.000 animali tra squaliuccelli e persino tigri di Sumatra.Larimer Square: Se cercate il motivo per cuiDenver è diventata in tutti gli Stati Uniti unasorta di simbolo del nuovo sviluppo archi-tettonico, iniziate a visitare la città daLarimer Square. Benché l'idea di addobbaregli edifici di inizio '900 con ghirlande di luci

'decorative' desti qualche perplessità, l'isola-to al 1400 di Larimer Square offre un'allet-tante serie di distrazioni. Questo concentra-to di boutique, ristoranti e pub che servonobirra di loro produzione è infatti il luogo diritrovo di folle eterogenee di persone, dagliyuppies ai punk. Larimer Square è situata aimargini sud-occidentali della griglia di stra-de del centro.Denver Art Museum: Simile a un carceremoderno a più piani, questo enorme museoospita una delle più ricche collezioni almondo d'arte nativa americana. Vi sono rap-presentate tutte le tribù del paese e tutte leepoche, da quelle lontane migliaia di annifino ai giorni nostri.Black American Western Museum &Heritage Center: Dedicato a correggere lestorture della storia, il museo è ospitato daquella che fu la casa di Justina Ford, ilprimo medico di colore di Denver, che quisvolse la sua professione per ben 50 anni. Lacasa si trova a nord del centro, nel quartierechiamato Five Points: i treni della lineametropolitana fermano proprio lì vicino.Red Rocks Park & Amphitheater: Sarebbeun vero peccato perdere questo sbalorditivoluogo di 243 ettari posto sulle colline subitoa ovest di Denver, soprattutto se avete l'oc-casione di assistere a uno spettacolo sotto lestelle. Si tratta di un anfiteatro all'aperto

che si trova in mezzo a maestose rocce diarenaria rossa risalenti a ben 70 milioni dianni fa e alte 120 m. L'anfiteatro di 9000posti fu costruito durante la GrandeDepressione dai membri dei CivilianConservation Corps, per sfruttare l'ottimaacustica naturale del luogo.Boulder: Situata a breve distanza dalla capi-tale, è un'oasi di pace che ha saputo assorbi-re, armonizzare e riproporre in modo tuttosuo le idee e le influenze che nel corso deglianni hanno attraversato la regione delleGrandi Pianure. Con un numero di coopera-tive di artisti e ristoranti vegetariani tale dafar impallidire chiunque, questa cittadina èdistante dal Colorado dei cowboy quanto loè da... Denver. Se infatti la capitale risplendedelle luci delle grandi città, la piccolaBoulder è rimasta una tranquilla cittadina esi compiace dei suoi modi discreti.Morrison: La cittadina di Morrison sorge inuna splendida cornice naturale, in mezzoalle spettacolari rocce rosse a ovest del RedRocks Park. Gli scavi effettuati nel NationalHistoric District hanno permesso di portarealla luce i resti fossilizzati di oltre 70 speciedi dinosauro e, tra questi, quelli di due spe-cie mai scoperte prima, l'allosauro e lo ste-gosauro. Le impronte di questi giganti prei-storici si possono vedere con le visite guida-te che organizza sporadicamente l'associa-

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zione Friends of Dinosaur Ridge.Golden: Gli amanti delle attività all'aria aperta utilizzano Goldencome base per compiere escursioni verso i Denver Mountain Parks,ma il principale motivo di richiamo della cittadina è la visita guida-ta che porta alla Coors Brewery per vedere come viene prodotta unadelle birre più insipide d'America. Sette chilometri a ovest dellacittà si trova il Buffalo Bill Memorial Museum, aperto vicino alluogo dove Buffalo Bill fu sepolto nel 1917.Denver Pavilions: un centro commerciale ricco di locali, bar e risto-ranti, tra cui l’Hard Rock Cafe. Il vicino Denver Performing ArtsComplex ospita 10 teatri ed è sede di una compagnia teatrale, dellaColorado Symphony Orchestra, di una compagnia operistica e diun balletto. Produzioni dei teatri di Broadway compaiono regolar-mente in cartellone. A Denver ogni sera vi aspetta un grande evento.Ogni quartiere ha il suo tratto distintivo a Denver. Piccole comunitàdove il viaggiatore curioso può trovare sorprese: locali, negozi e gal-lerie d’arte per ogni gusto.SPORTDenver è rappresentata in tutte le principali leghe professionistichestatunitensi:• I Denver Broncos (NFL - football americano) giocano all’ InvescoField at Mile High .• I Denver Nuggets (NBA - basket) giocano al Pepsi Center • I Colorado Avalanche (NHL - hockey su ghiaccio) giocano al PepsiCenter .• I Colorado Rockies (MLB - baseball) giocano al Coors Field • I Colorado Rapids (MLS - calcio) giocano all'Invesco Field at MileHigh

CURIOSITA’• Nell’aria rarefatta di Denver, le palline da golf si spostano del 10%in più. E così fanno anche i drink. Ad altezze superiori al livello delmare, le bevande alcoliche hanno un effetto maggiore. Il sole è piùintenso, perché più vicino, ma il caffè è più freddo, perché l’acquabolle a 202º F (94º C).• Buffalo Bill è sepolto lungo le pendici della Lookout Mountain, dacui si gode di una vista panoramica di Denver e delle GrandiPianure.• Oltre ad essere denominata Mile High City (in quanto l’altitudinedel centro è esattamente un miglio sul mare) Denver è indicataanche come Queen City of the Plains, per la notevole importanzarivestita dalle coltivazioni e dall’agricoltura.• Il Great American Beer Festival è un seguitissimo appuntamentoannuale per appassionati di birra, nel corso del quale assaggiare esperimentare decine di qualità di pregiato malto.• Secondo un sondaggio del Pew Research Center condotto su 2260adulti la città prediletta dagli americani è Denver, Sarà forse per lasua posizione stragetica, fatto è che la maggior parte delle personeintervistate ha confessato che, potendo scegliere, andrebbe a vivereproprio lì.• Il ristorante dell’acquario è un bellissimo posto per cenare. Ci sitrova seduti attorno a un immenso acquario, dove si può vedereuna varietà di diverse creature marine tra cui il pesce sega e lemante...Allora… ricapitoliamo..non dimenticatevi gli stivali.. lamacchina fotografica.. un bel cd con le colonne sonore di EnnioMorricone …e…BUON DIVERTIMENTO!!!!