Speciale terremoto: un anno dopo

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IL PICCOLO MARTINO: NATO ALLE 12,45 DEL 29 MAGGIO ANTONELLA E DAVIDE: “ROVERETO CE LA FARÀ” GINO GRULLI:“LO STATO DEVE FARE IL SUO DOVERE” ALESSIA E LA SUA FAMIGLIA: UN ANNO IN CONTAINER SONO TANTE LE STORIE DI PERSONE LA CUI VITA È STATA SCONVOLTA DAL TERREMOTO DEL 20 E DEL 29 MAGGIO 2012. ECCONE ALCUNE, UN ANNO DOPO. L’EMILIA SIAMO NOI Settimanale di TERREMOTO: UN ANNO DOPO

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Terremoto un anno dopo: l'Emilia siamo noi - Papa Francesco: "Antonio sei forte"; Martino: figlio del terremoto; Negrelli: una doppia scommessa vinta; Famiglia garzetta: "Speriamo di voltare presto pagina"; Paola Allocca: ricominciare altrove; Famiglia Mantovani: "Rovereto ce la farà"; Fabio Castellini: una chitarra per l'Emilia; Tin bota Emilia; "In quei giorni eravamo tutti volontari"; Un terremoto fuori ma, soprattutto, dentro; La burocrazia ferma la ricostruzione; Iorio Grulli: "se ti salvi ti risposo"; Manifattura Modenese: "la zona industriale di Rovereto è morta"; Gli ottimisti e i pessimisti...; 642mila euro con Teniamo Botta.

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il piccolo martino: nato alle 12,45 del 29 maggio

antonella e davide: “rovereto ce la farà”

gino grulli: “lo stato deve fare il suo dovere”

alessia e la sua famiglia: un anno in container

sono tante le storie di persone la cui vita è stata sconvolta dal terremoto del 20 e del 29 maggio 2012. eccone alcune, un anno dopo.

l’emilia siamo noi

Settimanale di

t e r r e m o t o : u n a n n o d o p o

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Giorno Ora

Dom

204.03

terremoto dimagnitudo 5.9

Mar

299.00 - 13 .00il terremoto torna a colpire con due scosse superiori ai 5 di magnitudo

DIRETTORE RESPONSABILE Gianni PrandiCAPOREDATTORESara GelliREDAZIONEJessica Bianchi, Francesca Desiderio, Enrico Gualtieri, Francesca Zanni, Marcello Marchesini, Clarissa Martinelli, Chiara Sorrentino.IMPAGINAZIONE e GRAFICA Liliana CorradiniFOTOGRAFIEDavide Dodo RighiPUBBLICITA’Multiradio - 059698555 STAMPACentro stampa delle Venezie - 049-8700713

REDAZIONE e AMMINISTRAZIONEVia Nuova Ponente, 24/A CARPITel. 059 645566 - Fax 059 [email protected]

ATTUALITà, CULTURA, SPETTACOLO, MUSICA, SPORT E APPUNTAMENTI

COOPERATIVA RADIO BRUNO arlRegistrazione al Tribunale di Modena N. 1468 del 9 aprile 1999

Chiuso in redazione il 8 maggio 2013

Terremoto: un anno dopo

Ognuno di noi r i torna con la mente a quel momento r ievo-cando ciò che ha vissuto: la paura, lo sgomento, la corsa in strada, tutt i attaccati al te le fono, i g iorni successivi lonta-no da casa, i mesi, la presa di coscienza del la propria im-potenza. Dopo le scosse, niente è stato più come prima, in una zona che non era considerata s ismica.A un anno dal s isma i problemi non mancano. Sono tante ancora le persone senza casa, i centri storici portano segni tremendi, i l tessuto economico, peraltro in un momento di grave cris i , ha subito contraccolpi fort iss imi.Eppure l ’Emil ia fer i ta ha saputo r imettersi in piedi prima e megl io di tante altre aree colpite da disastr i natural i . Queste pagine raccontano la nostra terra a un anno di di-stanza attraverso la test imonianza di donne e uomini, bam-bini, imprenditori, commercianti e volontari. La speranza è che l ’atteggiamento e lo spir i to del l ’Emil ia abbiano dato a tutt i un grande insegnamento: non ci sono r icette e non ci sono magie. C’è solo i l lavoro, come è sem-pre stato. I l nostro impegno sarà quel lo di continuare a fare pagine sul terremoto, come sempre dal 20 maggio, f ino a quando ci sarà qualcuno che vuole farsi ascoltare.

Il centro storico di Carpi è zona rossa: per due settimane resterà off limits per il pericolo di crolli e l’accesso sarà consentito ai soli residenti.

Il terremoto ha portato morte e macerie: 28 le vittime accertate per crolli, malori e ferite. Nella foto un’abitazione di Rovereto sul Secchia.

La terra continua a tremare e le persone decidono di ac-camparsi nei parchi cittadini. Sono i giorni della condivisione e della paura.

L’evacuazione dell’ospedale di Carpi è uno dei momenti più drammatici: i pazienti vengono trasferiti altrove e l’attività prosegue nelle tende e nei moduli prefabbricati dove i medici prestano soccorso alla popolazione.

Il terremoto sbriciola una parte dell’immenso patrimonio culturale dell’Emilia: rocche e castelli, chiese e cattedrali, palazzi comunali e biblioteche. Serviranno anni per fare rivivere opere d’arte e monumenti.

Si formano lunghe code di persone che richiedono la verifica dell’agibilità della propria casa. I vigili del fuoco profondono un impegno che non conosce sosta.

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Il dodIcenne AntonIo GIordAno hA rIcevuto lA cresImA dAl PAPA e A romA hA rAPPresentAto lA Gente del crAtere AncorA sofferente. A temPo hA rAccontAto lA suA storIA e lA suA GrAnde PAssIone Per Il cAnto

papa francesco: “antonio sei forte”H

a provato una gioia incontenibile quan-do ha saputo che il

Papa aveva scelto proprio lui: Antonio Giordano, 12 anni, ha ricevuto il sacramento della Cresima a Roma insieme ad altri 43 cresimandi, cristiani in situazioni difficili e soffe-renti, provenienti da tutto il mondo e simbolicamente rappresentanti l’intera Chiesa sparsa nei cinque continenti. “E’ stato padre Sandro a riferirmi che ero stato scelto per andare a Roma” racconta Antonio, che non ci ha pensato due volte e ha accettato subito con entusiasmo. Con lui, sono partiti per la capitale papà Luciano, la mam-ma Cinzia, la sorellina Maria Stella, la nonna Filomena e lo zio Nunzia-to, il padrino. La giornata di domenica 28 aprile è iniziata all’alba perché “ci siamo svegliati alle 5 del mattino e dopo aver fatto colazione ci siamo diretti verso il Vaticano: alle 7.45 eravamo in piazza S. Uffi-zio per le ultime prove. Ero molto agitato perché avevo paura di sbagliare qualco-sa. La cerimonia è iniziata alle 10 ed è stato proprio Papa Francesco a farmi la croce sulla fronte, poi mi ha abbracciato”. Dopo la celebrazione, riuniti in cerchio, Antonio e gli altri cresimati hanno accolto il

famiglia Giordano quando ancora viveva a S. Antonio in Mercadello e ha segnato i mesi successivi in modo pesante. “A Sant’Antonio in Mercadello avevamo acquistato - spiega Lu-ciano - una porzione di casa colonica facendo un mutuo. Il terremoto ne ha compromesso la stabilità e, probabilmente, dovremo demolirla”. Intanto, fra poco, la famiglia Giorda-no dovrà ricominciare a pagare le rate del mutuo per una casa che non c’è più. Antonio ha nostalgia di casa “perché potevo cantare senza disturbare”. E’ il canto la sua grande passione che coltiva grazie al sostegno del suo inse-gnante Marco Pace e le canzoni napoletane sono il suo forte. Ma a Carpi potrebbe arrecare disturbo alla quiete pubblica e quin-di non può esercitarsi. Così

dopo le lezioni alle scuole medie di Rovereto, nelle casette di legno, Antonio si dirige a Sant’Antonio in Mercadello dove sono rimasti i container in cui la famiglia ha vissuto per un po’ di tempo dopo il terre-moto e dove può esercitarsi a cantare. “Nei container siamo rimasti poco tempo - spiega la mamma Cinzia - perché Maria Stella, la sorella di Antonio, aveva bisogno di una sistemazio-ne più adeguata alle sue necessità. Doveva nascere a dicembre ma, forse anche per lo stress, ho partorito in anticipo, a settembre”. Quando è nata, Maria Stel-la pesava 800 grammi, ma grazie alle premurose cure del personale del reparto di neonatologia dell’ospedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia dove è rimasta tre mesi, oggi sta bene e sorri-de a tutti. Oggi è il bisnon-no di Cinzia che ospita l’intera famiglia e farebbe di tutto per alleviare le preoccupazioni di questi ragazzi, “che guardano avanti, nonostante tutto, in attesa che il destino sorrida loro”. Antonio, con la sua storia, ha davvero rappresentato tutta la gente del cratere dando voce e speranza alle vittime del terremoto e a quanti ancora soffrono situazioni di pro-fondo disagio.

Sara Gelli

nio sorridendo. Di quel giorno, Antonio conserva l’attestato in cui c’è scritto che è stato cresimato dal Papa (“la mia cresima, secondo me, vale di più”) e tutti i ricordi, la magliet-ta e le immagini del Papa appese al muro della casa in cui oggi abita a Carpi. Il terremoto ha sorpreso la

Papa che ha avuto una pa-rola per ognuno. “A me ha detto che sono forte perché

ho superato il terremoto e che ho una faccia da vescovo” riferisce Anto-

Il centro storico torna lentamente alla vita: si ricomincia dal teatro comunale

in inverno si rialza il siparioUna gru sovrasta il Teatro Comunale di Carpi. Sono partiti i

lavori di messa in sicurezza e ristrutturazione del gio-iello architettonico in stile neoclassico che, dopo essere stato duramente colpito dal terremoto dello scorso maggio, si prepara a rialzare il sipario tra novembre e di-cembre. I lavori di completa ristrutturazione ammontano a un costo complessivo di 1.048.180 euro. Parte dei finanziamenti (508.180 euro) proviene da donazioni di privati raccolti da Regione e Comune, mentre un’altra parte (540mila euro) è stata autorizzata dalla Regio-ne. Gli interventi previsti sono volti principalmente a

migliorare le connessioni, al fine di favorire l’ottimale ed efficace sfruttamento delle risorse del fabbricato e pre-venire collassi. Consisteran-no nella riparazione di volte, murature e archi lesionati, in interventi sulle coperture e sulle capriate lignee del tetto, nel consoli-damento del piano sottotet-to, nella riparazio-ne e nel consolida-mento del livello so-

pra-volta, dell’arco antistan-te il loggione e della parete posteriore, nel rifacimento del contro-soffitto crollato del loggione, nella creazione di collegamenti trasversali nella regione del boccasce-na, nella realizzazione di in-catenamenti trasversali nella

zona del palcosce-nico, nel consoli-damento intra-dos-sale delle voltine dei cor-ridoi dei palchi, nel

consolidamento dei travi-celli in legno del grigliato di manovra sul palcoscenico e, infine, nel ripristino delle lesioni e restauro pittorico delle superfici decorate.Sono numerose e costose, le operazioni di ripristino, ma in inverno i carpigiani potranno finalmente tornare a varcare la soglia del teatro. Numerose le opere monumentali della nostra città ad aver riportato danni: stimati per circa 13 mi-lioni di euro. Per il loro ripristi-no, che comprende anche il miglioramento sismico, sono necessari complessivamente 23 milioni.

Chiara Sorrentino

“A Sant’An-tonio in Mercadello

avevamo acquista-to una porzione di casa colonica facendo un mutuo. Il terremoto ne ha compromesso la stabilità e, proba-bilmente, dovre-mo demolirla”.

“La mia cresima, secondo

me, vale di più”.

Da sinistra Filomena Rivieccio, Otello Balluga, Cinzia Balluga, Maria Stella in braccio ad Antonio, Luciano Giordano

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Alle 8,40 del 29 mAGGIo dello scorso Anno, doPo Aver lAscIAto Il suo PrImoGenIto col nonno, elIsA turchI erA Al quArto PIAno dell’osPedAle rAmAzzInI, Per PArtorIre Il suo secondo fIGlIo

“Alle 7 del mattino ho svegliato Andrea, il mio compagno e

gli ho chiesto di portarmi all’ospedale. Non ho fatto in tempo a salire in auto che mi si sono rotte le acque”, ricorda la carpigiana Elisa Turchi. Alle 8,40 del 29 maggio dello scorso anno, dopo aver lasciato Gregorio, il suo primogenito di sei anni col nonno, Elisa era al quarto piano dell’Ospedale Ramaz-zini di Carpi, per partorire il suo secondo figlio. “Stavo facendo il tracciato quando ci ha sorpresi la scossa delle 9. Immediatamente il personale ci ha aiutato a raggiungere le scale e a lasciare lo stabile. L’evacuazione è stata ordina-ta. Medici e infermieri si sono dimostrati organizzatissimi e hanno cercato di portare con sè lo stretto indispensabile soprattutto per i neonati. Per le donne che avevano appena partorito, ancora esauste, scendere quelle scale coi loro piccoli in braccio è stata dura”. Finalmente all’aperto, al sicuro dalle scosse, a Elisa e a un’altra ragazza in pieno travaglio viene proposto di occupare due stanze libere in Rianimazione, a piano terra, dove resteranno fino alle 11. “Le scosse non diminuivano e i Vigili del Fuoco, intorno alle 11, ci hanno fatto uscire tutti. A quel punto - racconta

Elisa - mi hanno chiesto dove volessi partorire: lì, tra gli alberi del Parco delle Ri-membranze, o all’Ospedale di Sassuolo? Non ho avuto dubbi: mio padre era a casa, a Sant’Antonio in Mercadello con mio figlio, mia nonna ha 94 anni... tutti i miei affetti erano a Carpi, non avevo alcuna intenzione di lasciarli da soli e andarmene via e

ho deciso di partorire lì”. L’improvvisata sala parto open air è stata così pronta-mente allestita: “le ostetriche hanno steso per terra alcuni materassini e hanno legato delle lenzuola tra gli alberi per creare un poco di privacy. Il mio compagno per tutta la durata del parto è rima-sto con le braccia allargate per cercare di tener ferme

le lenzuola che, a causa del vento, continuavano a svolazzare qua e là. Ma, cer-tamente, - sorride Elisa - in quelle condizioni disagevoli le ostetriche che mi hanno sorretta e aiutata sono quelle che hanno faticato maggior-mente”. Il piccolo Martino è nato alle 12,45. E poi la terra ha di nuovo tremato. Violen-temente. “All’una quando c’è

stata l’altra scossa, io strin-gevo mio figlio tra le braccia. Sono stata graziata rispetto a tante altre persone. Non sono stata assalita dal panico, tra la stanchezza del parto e la gioia legata alla nascita di Martino, ero tranquilla. Vicino a me c’era tutta la mia famiglia, eravamo all’aperto, tra gli al-beri, stavamo bene... la paura e la rabbia sarebbero arrivate

dopo, quando avrei visto cosa il sisma aveva fatto alla Bassa e alle case di tanti amici, compresa quella di mio padre a Sant’Antonio in Merca-dello”. Elisa è rimasta al parco fino alle 16 e poi, con la semplicità e il pragmatismo che la contraddistinguono, ha deciso di andarsene: “era il mio secondo figlio, sapevo cosa aspettarmi ed ero sicura che, come per la precedente maternità, avrei allattato al seno. A quel punto ho chiesto ad Andrea di montare la nostra tenda a Sant’Antonio vicino alla casa di mio padre e ci siamo trasferiti lì per alcuni giorni. Meglio il canto degli uccellini a quello con-tinuo delle sirene che assor-davano Carpi in quei giorni”. Figlio del terremoto che ha sconvolto l’Emilia, Martino a giorni compirà un anno. Per-chè la vita, continua. Sempre e comunque.

Jessica Bianchi

figlio del terremoto

“All’una quando c’è stata la

scossa, stringevo mio figlio tra le braccia. Non sono stata assalita dal panico, tra la stanchezza del parto e la gioia legata alla nascita di Martino, ero tranquilla”.

Da sinistra Elisa Turchi con compagno Andrea e i due bimbi Martino e Gregorio

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colPItA durAmente dAl sIsmA, lA neGrellI InfIssI dI mIrAndolA non hA ABBAndonAto I PIAnI dI svIluPPo mA hA rAddoPPIAto, APrendo un nuovo shoW-room A cAsInAlBo dI formIGIne

una doppia scommessa vinta

a casinalbo il nuovo show-room

Lo scorso 24 marzo, alla presenza del sindaco di Formigine, Franco Richel-

di, è stato inaugurato il nuovo Show-room della Negrelli Infissi. Un ambiente moderno e raffinato, simbolo della voglia di fare impresa a dispetto della crisi e delle avversità. La rinascita post-terremoto passa anche da qui.

Raccontare la sto-ria della Negrelli Infissi è un po’ come

descrivere l’imprendito-ria emiliana più classica: famigliare, tenace e inno-vativa. Nata nel 1948 per volontà di nonno Giovanni che commerciava legna-me, dalla fine degli Anni Sessanta si è poi orienta-ta nella realizzazione di tapparelle sotto la guida del figlio Paolo e ora, con i nipoti Luca e Marco, nella produzione, vendita e mon-taggio d’infissi in PVC. Tre generazioni che hanno contribuito a far conoscere il marchio Negrelli in Italia e all’estero come sinonimo di alta qualità e competen-za, proponendo sempre nuove soluzioni con sguar-do lungimirante. E proprio nel pieno dell’ultima fase di crescita che, dapprima il 20 e in modo ancor più de-vastante il 29 maggio 2012, si è abbattuto il terremoto. L’ampliamento dell’intero complesso, infatti, stava per essere completato e la nuova sala-mostra aveva soltanto bisogno degli ulti-mi ritocchi prima dell’aper-tura ufficiale quando, in pochi secondi, tutto è stato danneggiato. Fortu-natamente non ci sono stati feriti, ma le lesioni inferte alle strutture, nonché alla

casa di proprietà, sono state drammatiche costringendo lo sgombero forzato di ti-tolari e dipendenti. I giorni successivi furono frenetici e purtroppo molto simili a quelli di tanti altri impren-ditori e cittadini del “crate-re”. Risolvere contempora-neamente il problema delle commesse da rispettare e dell’abitazione dove allog-giare ha messo a dura prova i nervi di tutti. Ma proprio in quel momento la voglia di non arrendersi s’è fatta ancor più forte. Dopo soli

non più recuperabile. Al suo posto non rimarrà uno spiazzo desolato ma risor-

gerà una Negrelli Infissi ancor più moderna e solida. Il progetto è già pronto.

Particolare della sede di Mirandola danneggiata dal sisma

due giorni le tensostrutture già ospitavano i macchi-nari e i prodotti superstiti, i container gli uffici e i camper gli sfollati. I danni sono stati ingenti così come le risorse economiche per farvi fronte. Altri avrebbe-ro abbandonato i sogni di sviluppo, ma il desiderio di espandersi, anzichè svani-re, si è rinnovato più forte che mai, nella consapevo-lezza che il futuro si può e si deve costruire con le pro-prie mani. Vinta in pochi mesi la prima scommessa,

ritornando alla piena pro-duzione e a una più comoda sistemazione abitativa, ora la seconda si chiamava “show-room a Casinalbo”. Tra la crisi economica e il sisma la sfida si presentava rischiosa, ma con grande determinazione nel marzo del 2013 il nuovo punto vendita è stato inaugurato dando già i primi frutti. All’orizzonte però si profila una terza scommessa. Entro la fine dell’anno, infatti, è previsto l’abbattimento di tutto il fabbricato purtroppo

Rendering 3D della nuova sede Project: Arch. Carlo PorcariStudio Porcari - Mirandola

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“speriamo di voltare presto pagina”

Le violente scosse di terremoto del mag-gio scorso hanno

inferto una ferita profonda all’azienda agricola di An-tonio Garzetta a Fossoli. Una piccola oasi di benes-sere quella creata dalla famiglia di Antonio, una perla incastonata tra cam-pi di grano e alberi colmi di frutti. E se i ritmi della natura continuano a scorre-re immutati, per Antonio, la moglie Leonilde e i due figli, Linda e Francesco, la vita si è fatta ben più dram-matica. “La nostra casa - raccontano i due coniugi - appare intatta dall’esterno. In realtà è letteralmente im-plosa. Il sottotetto è ceduto, la scala si è staccata e mia figlia mentre correva giù è caduta, rompendosi il coc-cige”. “Perdere la propria casa - aggiunge Leonilde - è un grande dolore. Indescri-vibile a parole. Ma siamo ancora qui e questa è l’unica cosa che conta. Ogni tanto arriva un po’ di sconforto, ma ci facciamo coraggio. La nostra vita è questa. E’ tutto qui: la nostra passione, i nostri sacrifici. Questa terra rappresenta ciò che siamo e ciò che abbiamo costruito sino a oggi, non la possiamo lasciare”. E la passione di Antonio - arri-vato a Carpi dal Veneto nel 1968 - è qualcosa di tangi-bile. Basta guardare i suoi occhi brillanti d’amore e di orgoglio quando ci presenta Ambassador, un bellis-simo esemplare di razza

Haflinger. “Allevare cavalli - ci racconta - è la mia gioia. Ambassador è il mio capo-lavoro: un campione che ha vinto numerosi premi”. Li avevamo conosciuti così, un anno fa. Una famiglia unita. Coraggiosa. Piena di speranza. Oggi la situazione non è cambiata. Antonio e Leonilde vivono ancora nel container donato dall’azien-da privata Cascina Pu-lita srl per fronteggiare

quella che oggi non è più emergenza bensì ordinaria amministrazione, mentre Linda e Francesco vivo-no in un appartamento in affitto a Rolo. “Era il posto più vicino a casa nostra - ci

spiega Linda - ma ci andia-mo solo a dormire. Per me è impossibile stare lontana da casa, praticamente appena sveglia, ci torno”. E’ stato un anno difficile e la vita in container è disagevole: “quest’inverno con la stufa a legna abbiamo fatto fronte alle temperature più rigide, vedremo come ce la cave-remo in estate”. La famiglia Garzetta però è preoccu-pata: “lo studio incaricato della realizzazione del progetto di ripristino della nostra casa sta iniziando ora le pratiche. Le incognite legate all’interpretazione delle ordinanze sono ancora tante e i tempi tecnici legati

poi all’approvazione dei progetti sono lunghi. A un anno dalle violente scosse che hanno reso gravemente inagibile la nostra casa, non sappiamo ancora quale sia l’entità della spesa che do-vremo affrontare per ristrut-turarla e in che percentuale saremo risarciti. Purtroppo non avendo ancora in mano un progetto, temo di non veder nemme-no iniziare il cantiere entro la fine del 2013. Vorrei che la burocrazia venisse snellita e che coloro che esaminano i progetti fos-sero più celeri: il pensiero di passare un altro inverno fuori casa fa male al cuore

e abbatte il morale”. Ma in mezzo a tutto questo orrore e a questa incertezza, la natura continua a fiorire. A rinascere. Qualche nuovo cavallino ha aperto gli occhi per la prima volta e, a commuoversi davanti al suo primo respiro, c’era anche Linda: “questa è la mia casa ed è qui che voglio restare. Spero solo che tutta questa follia finisca al più presto”.

Jessica Bianchi

fossolI - un Anno doPo Il sIsmA, nullA è cAmBIAto Per lA fAmIGlIA GArzettA

Il terremoto ha ridisegnato il profilo del centro storico carpigiano. Ponteggi, pun-

tellamenti e cantieri sorgono qua e là in numerose aree del cuore cittadino e molti nego-zianti sono stati costretti ad abbandonare le loro sedi ori-ginarie a causa dell’inagibilità dei locali. Tra loro anche la 38enne Paola Allocca, titolare della cartoleria ed edicola Il Fiocco. Il negozio, dal portico

Il terremoto hA rIdIseGnAto Il ProfIlo del centro cArPIGIAno, costrInGendo moltI neGozIAntI Ad ABBAndonAre le loro sedI A cAusA dell’InAGIBIlItà deI locAlI. trA loro Anche lA 38enne PAolA AlloccA

ricominciare altrovedi via Matteotti, è “migrato” in via Aldrovandi 32: “un vero e proprio calvario”, ci confida Paola, rievocando i momen-ti dell’evacuazione della sua attività. Paola, così come i ti-tolari dei due negozi vicini (il barbiere Forfora oggi in viale Cavallotti e l’erboristeria Dal-la Buona Terra trasferitasi in corso Roma), con la riapertura della zona rossa, il 9 giugno scorso, era rientrata in nego-zio e ricominciato la propria attività ma, a una settimana di distanza, “la Protezione Civile ci ha dato due giorni

poco tempo”. Che fare? Paola, come molti altri, si è rimboc-cata le maniche, senza cedere nè al panico nè, tanto meno, alla disperazione. “Sono una madre separata con un bam-bino cui provvedere. Io vivo di questo mestiere, non posso permettermi di non lavorare. Non potevo perder tempo in attesa che alle promesse delle istituzioni seguissero i fatti. Per questo mi sono attivata autonomamente e in circa due mesi ho riaperto in via Aldrovandi”.

Jessica Bianchi

“Perdere la propria casa è un dolore

indescrivibile. Ma siamo ancora qua e questa è l’unica cosa che conta. La nostra vita è questa. E’ tutto qui: la nostra passione, i nostri sacrifici. Questa terra rappresenta ciò che siamo e ciò che abbiamo costruito sino a oggi, non la possiamo lasciare”.

“Il pensiero di passare un altro

inverno fuori casa fa male al cuore e abbatte il morale”.

“Da un momento all’altro

mi sono ritrovata a dover traslocare in fretta e furia tutto il negozio”.

per lasciare i locali, ritenuti pericolosi in quanto i piani superiori del palazzo erano stati dichiarati inagibili. Da un momento all’altro tutto è cambiato e mi sono ritrovata a dover traslocare in fretta e furia tutto il negozio, un’im-presa davvero epica in così

“Non potevo perder tempo in

attesa che alle promesse delle istituzioni seguissero i fatti e mi sono attivata autonomamente”.

Da sinistra Linda, Leonilde. Antonio e Francesco Garzetta

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“Rovereto ce la farà perché c’è troppa spinta: la gente non si

è arresa e, grazie all’impulso della Onlus Tutti insieme a Rovereto e S. Antonio, il paese rinascerà”: a parlare sono Davide Mantovani e la moglie Antonella. A distanza di un anno hanno ritrovato la serenità e hanno “voglia e fretta di tornare a casa”. Vivono in affitto in un appartamento a Carpi ma mantengono costanti legami con Rovereto dove il figlio, Filippo, frequenta l’ultimo anno di scuola materna e si prepara all’ingresso alle scuole elementari a settembre. “L’abbiamo già iscritto a Rovereto insie-me ai suoi amici” perché l’intenzione di tutti è quella, prima o poi, di rientrare. In paese c’è grande fermento: grazie all’intraprendenza di Maurizio Bacchelli e Ve-nanzio Malavolta, fautori, insieme ai roveretani, di Tutti insieme a Rovereto e S. Antonio, a cui anche Davide Mantovani si è iscritto fin da subito, tutta la comunità ha lavorato per risorgere dalle macerie e ripartire con pro-getti importanti. La strada principale è stata finalmente riaperta, una chiesa prefab-bricata a poca distanza da quella crollata ospita ogni domenica i fedeli, gli alunni

“non vedIAmo l’orA dI PArtIre coI lAvorI Per rIentrAre nellA nostrA cAsA A rovere-to mA, In consIderAzIone dell’entItà dell’Intervento, vorremmo Avere lA certezzA deI contrIButI”, AffermA dAvIde mAntovAnI

rovereto ce la farà

frequentano regolarmente le lezioni nei container con le lavagne interattive multi-mediali, il supermercato ha riaperto così come gli esercizi commerciali, che si sono trasferiti nelle casette di legno. Domenica 29 giu-gno, poi verrà inaugurato il Centro Servizi Polivalente che ospiterà gli ambulatori medici con attrezzature all’avanguardia e un ufficio comunale. “Grazie alla

disponibilità dei comuni trentini della Val di Non, manodopera specializzata ha lavorato per la costru-zione di questa palazzina in muratura. Gli operai tren-tini hanno vissuto in questi mesi a Rovereto ospitati dalle famiglie roveretane, che hanno messo a disposi-zione le loro case e hanno preparato loro i pasti”. Per la palestra è stata messa a disposizione del paese una

tensostruttura, ma qui si sogna in grande e si pensa già a un palazzetto dello sport. “La vita ricomincia nel momento in cui la gente torna - ammette Davide - ma chi ha perso contemporane-amente il lavoro e la casa se n’è andato e non tornerà”. Come i loro amici che si sono trasferiti, con il figlio, a Rimini per aprire un forno e cominciare una nuova vita. “I problemi - spiega Davide

- sono legati alla burocrazia che non sempre agevola il lavoro di ricostruzione”. La casa di Davide e Antonella è stata classificata E3, con danno grave. “Si tratta di una porzione di bifami-liare costruita nel 2000 e, sviluppandosi in verticale, ha riportato gravi danni al piano terra che si è schiac-ciato, oscillando. La nostra porta d’ingresso - ricorda Antonella - non si è più chiusa, la porta d’ingresso dei nostri vicini non si è più aperta e la signora è rimasta intrappolata dentro”. “Noi non vediamo l’ora di partire coi lavori” afferma Davi-de, “ma, in considerazione dell’entità dell’intervento, vorremmo avere la certezza dei contributi”. I Mantovani sono solo all’inizio di quella che sarà,

così come per tutti, una vera e propria epopea: per ottenere un appuntamento dovranno mettersi in fila, le carte dovranno essere presentate più volte prima di ottenere l’ok, gli uffici comunali predisposti sono oberati di lavoro per cui ral-lentano ulteriormente l’iter di approvazione del Mude. Davide e Antonella non sono demoralizzati da tutto ciò e condividono gioie e dolori coi roveretani e con le comunità del cratere in cui sostano per il mercato settimanale: “nonostante la paura, i problemi e le diffi-coltà che abbiamo dovuto affrontare - raccontano - non abbiamo mai smesso di lavorare perché, chi come noi non poteva più rientrare a casa, veniva al mercato per comprare mutande e vestiti. A Reggiolo è venuto a ringraziarci il vicesindaco perché non c’erano più ne-gozi aperti in centro storico. A Cavezzo non ci hanno mai spostato dalla sede del mercato del mercoledì e ab-biamo continuato a lavorare anche mentre gli operai de-molivano. Vogliamo anche ringraziare il Comune di Novi per la riduzione della Cosap e tutti coloro che ci sono stati vicino; il loro ap-porto è stato fondamentale”.

Sara Gelli

Davide Mantovani e Antonella

“I problemi sono legati alla

burocrazia che non sempre agevola il lavoro di ricostruzione”.

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“non so come sArà lA rovereto dI domAnI mA cI Attendono AnnI molto IncertI”, commentA fABIo cAstellInI

5,9 una chitarra per l’emilia

Un anno. E’ quanto è passato dal momen-to in cui la mia vita,

e quella di migliaia di altre persone, è cambiata, proba-bilmente per sempre. Fino a un attimo prima era tutto normale, monotono forse, ma confortante, sicuro. An-davo a scuola, tornavo a casa, pranzavo e mi mettevo a fare i compiti nel mio studio. Sì, il mio studio, quello al secondo piano, che dava sulla ciclabile, di fianco alla mia camera. Ah, la mia camera. La prima stanza da letto che potevo definire solo mia, con una parete rosa e tre bianche, con le foto, le cartoline, i peluche,

i libri e con la particolarità di essere senza porta, perché era ancora da sistemare del tutto, dato che abitavamo lì da poco più di un anno. Quella nuova casa, grande, comprata e ristrutturata a forza di sacrifici, nella quale c’era posto per tutti, nella quale ho rivisto mio padre e mia madre insieme. Tre piani, un giardino per far correre i cani, l’orto di mia madre. Dov’è ora tutto questo? Sono trecentosessantacinque giorni che non entro in casa mia. Trecentosessantacinque dannate mattine che non mi sveglio nel mio letto. Trecen-tosessantacinque notti che

non percorro assonnata le quattro rampe di scale che se-parano la sala da camera mia. Tutte cose normali, prima di quel terribile 29 maggio. Ma cos’è “normale”, in fondo? Ora, per me, è normale vivere in un container, con mobili prestati e appiccicati gli uni agli altri. La scorsa estate era normale considerare un cam-per casa mia, lavarsi in bagni comuni, girare in accappatoio per il parchetto di Rovereto.Un terremoto fuori, ma, soprattutto, un terremoto dentro. Una scossa nei cuori, che ha lasciato una crepa che non andrà più via.

Alessia da Rovereto

un terremoto fuori, ma, soprattutto, dentro

Testimone silente di anni di vita, il legno ha tante storie da raccontare. Il

terremoto di maggio ha ab-battuto case, chiese, palazzi. Migliaia e migliaia di travi di legno giacciono ora tra le macerie. Inermi. Silenziosi. A trarli in salvo dalla polvere ci ha pensato Fabio Castellini, falegname di Rovereto e liu-taio per passione. “Per giorni, dopo le terribili scosse che ci hanno colpito, una frase conti-nuava a riecheggiare nelle mie orecchie: gli emiliani dalle macerie sapranno ricostru-ire cattedrali. Poi ho capito cosa dovevo fare. Io so co-struire chitarre, è questa la mia passione”. L’idea di 5,9 Una chitarra per l’Emilia è nata così. In punta di piedi. “Avrei recuperato il legno dei travi caduti nei crolli delle case per ridar loro un’altra vita”. Fabio che abita tra Rovereto e Sant’Antonio in Mercadello, insieme alla moglie Federica e ai due figli, Gloria e Loren-zo, si considera “miracolato. La nostra casa così come il mio laboratorio non hanno subito danni. Siamo stati for-tunati, perchè intorno a noi vi è tanta distruzione. Per questo ho deciso che dovevo fare la mia parte, seppur piccola, per contribuire alla ricostruzione del paese che amo e per la mia

dendo forma tra le abili e amorevoli mani di Fa-bio. Ogni chitarra, ri-porta i segni e le rughe del tempo, conservando le tracce dei chiodi e del-le ferle che avevano fe-rito il legno. Grazie ai sug-gerimenti dei

due figli poi, ogni strumento viene inciso, per ricordare a chi lo acquisterà le date che hanno segnato l’inizio della tragedia emiliana, ovvero il 20 e 29 maggio: “ne ho già vendute cinque, una l’ho data ad Alberto Bertoli, so-stenitore dell’iniziativa, che dopo il tour di quest’estate, la metterà all’asta”. I proventi delle vendite infatti, vanno in favore dell’Associazione on-lus Tutti Insieme A Rovereto e Sant’Antonio. “Le chitarre elettriche sono in vendita a 700 euro, tolte le spese dei vari componenti gli altri 400

vanno in beneficenza. C’è tan-to da fare qui. La macchina della ricostruzione è un vero e proprio carrozzone. Troppe le lungaggini legate alla buro-crazia. Capisco la prudenza affinché il denaro non venga sprecato o, peggio, finisca nelle mani di organizzazio-ni criminali ma a Rovereto, e non solo, la gente ha vo-glia di ripartire. Senza i fondi promessi però, la volontà si arresta. Qualcuno ha iniziato a sistemare la propria casa, tra mille incertezze e senza la sicurezza di essere risarcito. Credo ci sia poca comunica-zione tra le amministrazioni e la gente che non ha ben chiaro quale sia il vero stato dei fat-ti”. E intanto a Rovereto non c’è più nulla. O quasi. “Dove sono finite le belle parole e le promesse fatte dalla politica subito dopo il sisma? Un anno dopo abbiamo una scuola pubblica provvisoria, che tanto provvisoria non sarà, visto che è costata 1.400.000 euro... Sono stati installati più moduli abitativi di quanti ser-vissero, perchè? Molti temo-no che la “baraccopoli” sorta accanto al centro sportivo si

trasformi in un ghetto mal fre-quentato. Coloro, soprattutto stranieri, che oggi vivono lì, saranno disposti ad andar-sene, malgrado abbiano un alloggio sicuro, arredato e gratuito?”. Unica nota posi-tiva è rappresentata da quanto realizzato sinora dai privati, dalla tensostruttura utilizzata

come palestra, dalle scuole e dalla Polisportiva Rovereta-na, al Centro polifunzionale che ospiterà il centro medico, la sede dell’Avis e l’Ufficio Anagrafe. “Non so come sarà la Rovereto di domani ma so che ci attendono anni molto incerti”.

Jessica Bianchi

comunità”. A pochi passi dalla sua casa, un’altra è crollata. “Ho chiesto ai proprietari se potevo prendere alcuni travi e li ho portati a casa. Li toccavo con rispetto. Per anni avevano retto un tetto, un rifugio. E’ stato come rubare un pezzo di vita. Di storie personali. Quel legno non poteva andare distrutto o finire in una stufa. Aveva assistito a gioie, dolo-ri, emozioni...”. Da quei travi di prezioso olmo, dalle calde sfumature rossastre, ormai in-trovabile nelle nostre terre, sono nate sino ad oggi sette chitarre e altre stanno pren-

“Buongiorno a tutti, sono un volontario di Carpi. In questi giorni ricordiamo

una tragedia che ha colpito la nostra amata terra un anno fa. Sui vari social network girano messaggi di ricordo, di pensieri ma soprattutto si legge fra le righe anche tanta paura che faticosamente fa fatica ad andar via… Un anno fa a quest’ora eravamo tutti ad aiutare la popolazione finalese. Un anno fa correva-mo per aiutare chiunque…

in quei giorni eravamo tutti volontariUn anno fa cercavamo di non pensare ad altro che portare un sorriso a persone che, anche solo per poche ore, lo avevano perso. Dico così perche gli emiliani hanno reagito con forza e tenacia a quello che la terra stava facendo alla nostra Terra. Dopo pochi giorni la scossa più devastante che ha buttato giù anche noi che avevamo cercato di portare un minimo di tranquillità alle persone che, al momento, erano state

più sfortunate di noi.Quei giorni erano carichi di ansie e paure, ma posso dire che in quei giorni tutti e dico tutti hanno dato una mano… da quell’istante in poi erava-mo tutti volontari e tutti eroi.Ho visto persone che aiu-tavano a scendere le scale vicini impossibilitati. Ho visto giovani parlare con anziani. Ho visto Italiani mangiare assieme a persone di un’altra etnia. Ho visto musulmani mangiare a tavola con degli

indiani. Ho visto e abbiamo visto tante belle cose. Una vicenda mi è rimasta impressa nella mente. “Dopo pochi giorni dalla scossa del 29 maggio, andai a portare degli alimentari a una famiglia verso San Marino. Quando arrivai con il mio pacchettino capii subito con chi avevo a che fare. Persone umili e stra-ordinarie che, mentre guarda-vano la loro casa inagibile, mi chiedevano come stavo. E io mi interrogavo del perché di questa domanda poiché non conoscevo quella famiglia…

A distanza di un anno ho pensato che, con quel piccolo gesto, li avevo fatti sorridere ed ero diventato una persona a loro cara.Quella famiglia aveva anche bisogno di acqua, che io avevo scordato. Era tardi, ero stanco, ma non potevo lasciare così questa famiglia. Allora tornai a casa, andai in un supermercato, comprai tre pacchi d’acqua e glieli portai alla sera in abiti civili. Era come se gli avessi portato dell’oro... Vi ho raccontato questa storia per dire che

anche in momenti critici esistono alcune cose che ti fanno tirare avanti anzi Tenere Botta come si dice da noi… E comunque per concludere sono orgoglioso di come l’Emilia e gli emiliani abbiano reagito. I veri eroi sono tutte le persone che hanno fatto qualcosa per dare un sorriso: i capi campo improvvisati, tutti i vari raggruppamenti, le varie associazioni di volontariato, i donatori da fuori regione… Grazie veramente a tutti. Forza Emilia!

Un emiliano

tin bota emilia!

Cari ragazzi, ragazze, vecchi, giovani, bambini, dot-tori, Vigili del Fuoco, poliziotti, cantanti, addetti alla sicurezza,portatori di handicap,insegnanti, volontari nego-

zianti... Insomma, cari, carissimi emiliani! Volevo fare un breve resoconto a tutti Noi! A Noi che non crolliamo, a Noi che dopo un anno ricordiamo tutto per filo e per segno: le parole, i pianti, ciò che ha tremato, che ci ha fatto paura e quella notte da urlo! Da urlo sul serio e non perchè abbiamo fumato, perchè ci siamo ubriacati, perchè abbiamo fatto i cretini in giro. Da urlo perché abbiamo avuto paura, un grosso boato e più nulla, 20 secondi pieni di follia e non intendo di spasso... bensì di paura. Ciò che abbiamo provato è indescrivibile, la paura, tremare insieme alla terra. Ora è passato un anno e io mi sento sollevata, coraggiosa, abbiamo passato di tutto e siamo ancora in piedi! Cara Emilia, cari emiliani: forza e coraggio, volevo ricordarvi che non cadiamo e dopo la pioggia viene il sole, come sul nostro viso, dopo la lacri-ma si vede il sorriso! Dal 20 al 29 maggio è piovuto poi c’è stata un’estate piena di sole. Cari amici della mia regione, l’Emilia, un bacione a noi. E chiunque abbia sospettato che siamo crollati, si sbaglia. Siamo caduti e ci siamo rialzati. L’Emilia è come una bambola di porcellana: la porcellana se cade si crepa ma con l’at-tack si ripara, non torna come prima ma sicuramente diventa più forte, perché ha capito che, pur con delle crepe, è riutilizzabile... Anche l’Emilia si è crepata ma Noi con la nostra forza di volontà e il nostro coraggio l’abbiamo risistemata. Tin bota Emilia!

Giorgia, 13 anni

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Rovereto - Ph Davide Dodo Righi

Un anno. Tanto è trascorso da quando ogni certezza è crol-

lata. Dodici mesi di rabbia, lotte e frustrazioni comple-tamente tacitati dai media. Il terremoto in Emilia non c’è mai stato. Gente one-sta, gli emiliani. Operosa. Hanno già rimesso le cose a posto. Proprio non san stare con le mani in mano. E’ questo quello che la tele-visione ha raccontato agli italiani. Sull’inferno in cui sono sprofondate migliaia di persone è stato calato il sipario. Dopo il colpo, violento, inferto dalla natura, il disinteresse dello Stato ha scatenato la rabbia degli emiliani. Qui nulla è più come prima. Il sisma non ha solo fatto crollare case, capannoni, chiese... il terremoto ha raso al suolo la fiducia. Ci ha fatti sentire soli. Abbandonati dal Governo. La solidarietà dei privati, solo quella ci ha dato la forza di rimboc-carci le maniche e rialzarci. Di farci forza a vicenda. Coraggio. Ma qui nulla fun-ziona. Dopo gli slogan e le promesse del commissario Vasco Errani, la saga delle ordinanze si è fatta infinita. Una macabra danza degli orrori che ha spiazzato tec-nici e progettisti. Nebulose. Incomplete. Le ordinanze per la ricostruzione si sono così susseguite, mese dopo mese, a suon di correttivi. Allungando i tempi e ren-dendo l’interpretazione dei dettami regionali alquanto aleatoria. Risultato? I pic-coli danni sono stati ripara-ti dai privati che, stufi di at-tendere, hanno messo mano al portafogli mentre coloro che hanno subito lesioni gravissime assistono, gior-no dopo giorno, impotenti,

la burocrazia frena la ricostruzione

allo sfacelo progressivo delle loro proprietà. Soste-nuti soltanto dal Contributo di autonoma sistemazione, molti vivono in container, altri hanno cercato un’abi-tazione in affitto, altri ancora sono ospiti di amici o parenti... da un anno non possono metter piede nella casa acquistata grazie ai sacrifici di una vita o con un mutuo ancora in corso. Non hanno risposte. Non hanno certezze. Il nostro tecnico nel redigere il progetto di ripristino avrà seguito perfettamente l’ordinan-za? Quanto impiegherà il Comune - o la Regione se parliamo di un’impresa - per dare o meno l’avvallo? Troveremo un’impresa libera che si sobbarchi l’onere della ristruttura-zione? Quanto durerà il cantiere? Saremo risarciti davvero? E, soprattutto, quando potremo rientrare nelle nostre case? Dubbi, domande, quesiti a cui dare risposta. Ma risposte non ce ne sono. Il Comune rimpal-la ingegneri e architetti alla Regione che, a sua volta, li rimanda nuovamente al mittente. E tutto si ferma. Ancora. Nessuno offre ga-ranzie né, tantomeno, chia-rezza. Le istituzioni si son fatte improvvisamente mute. Muri di gomma contro cui ogni richiesta rimbalza. Inascoltati e privi di rispo-ste, molti nostri concittadini non sanno più a quale santo appellarsi. In un anno ho

parlato con tanta gente. Storie di persone che hanno perduto qualcosa. Gente che le crepe dei muri, ce le ha ancora negli occhi. E nel cuore. Qualcosa si è rotto. E non solo dentro di noi. Ad andare in frantumi è stata la fiducia delle persone nei confronti delle istituzioni. Gli emiliani “brava gente” esigono quel che è giusto. Hanno aspettato. Hanno concesso tempo. Ora il tempo è scaduto. I carpigia-ni, i fossolesi, i roveretani, i novesi... (l’elenco è lungo) sono stanchi di sentirsi presi in giro da uno Stato assente e disattento. Un Governo che ha completa-mente disatteso le promesse fatte durante le solite pa-rate di circostanza durante l’emergenza. Non vi lasce-remo soli avevano detto, per poi venire a riscuoter cassa. E noi le tasse le abbiamo pagate. Con le case spiag-giate, le imprese ferme... al danno, si è così aggiunta la beffa. Molti imprenditori, completamente abbando-nati a loro stessi, non sanno come fare a ripartire. Il rischio default, aggravato

da una crisi pesantissima, è dietro l’angolo. L’operazio-ne di complicazione da par-te dello Stato ha un obiet-tivo evidente: scoraggiare i terremotati a richiedere il contributo che gli spetta. Ci sarebbe piaciuto avere un indennizzo diretto: avete subito 14 miliardi di danni? Eccoli. E invece no. Oggi lo Stato quei denari sonanti non ce li ha. E allora che fa? Si inventa forme di fi-nanziamento che spalmano il debito in un lungo perio-do di tempo. A sfoderare dal cilindro l’asso vincente, ovvero Cassa Depositi e Prestiti, ci ha pensato il Ministro Tremonti col ter-remoto abruzzese. Modello ora esportato in Emilia. In poche parole nessun denaro liquido è stato iniettato nel sistema bancario per ridare linfa al nostro territorio martoriato dal sisma. Dal 10 gennaio 2013, 6 miliardi sono disponibili presso la Cassa Depositi e Prestiti, ciò significa che le banche possono ora fare richieste sulla base delle disposizioni di pagamento che riceve-ranno da parte dei Comuni (per quanto riguarda le abitazioni) e dalla Regione (per quanto concerne le imprese). I cittadini con una casa inagibile devono presentare una domanda

di contributo al Comune di residenza, l’accettazione della domanda implica poi la produzione di un ulteriore documento, la cosiddetta Cambiale Er-rani, che stabilisce che al tal cittadino debba essere corrisposto un determina-to contributo. Delle sole Cambiali Errani, le banche non sanno che farsene. Per l’elargizione del denaro occorre infatti un ulteriore passaggio “di mano”. Gli istituti di credito pagheran-no le imprese sulla base di una seconda disposizione comunale (o regionale) rilasciata solo quando il cittadino presenterà le prime fatture di pagamento.Ad oggi, ammontano a un

numero infinitesimale le procedure avviate attraver-so il Mude - la piattaforma telematica tramite la quale i professionisti possono espletare tutte le pratiche edilizie necessarie per gli interventi - per ricevere il contributo. Come mai, nella sola Carpi, a fronte di 3mila abitazioni danneggiate, dopo un anno, non sono nemmeno un migliaio, le richieste di risarcimento? La burocrazia farraginosa legata alle ordinanze sulla ricostruzione e il comples-so meccanismo di accesso ai contributi stanno forse disincentivando i cittadini a presentare le domande? Il dubbio sorge. Lecito e vergognoso. I diritti degli emiliani sono stati calpesta-ti. Dicono ci sia un tempo per ridere e uno per piange-re. Dopo la rabbia, questo è il tempo della ricostru-zione. Dei cuori e dei muri. E quando le crepe saranno scomparse dalle nostre case e le ferite dell’anima meno sanguinanti, allora verrà il tempo della consapevolez-za. E saremo più forti. E non ci lasceremo più abbindola-re da false promesse e sterili parole. E allora sarete voi, cari politici, a tremare.

Jessica Bianchi

Gli emiliani “brava gente” esigono quel

che è giusto. Hanno aspettato. Ora il tempo è scaduto.

La burocrazia farraginosa legata alle

ordinanze sulla ricostruzione e il complesso meccanismo di accesso ai contributi stanno forse disincentivando i cittadini a presentare le domande? Il dubbio sorge, lecito e vergognoso.

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“Il mIo dovere l’ho fAtto, orA lo stAto deve fAre Il suo”, commentA GIno GrullI

“la zona industriale di rovereto è morta”

Tornare, un anno dopo, tra le strade di quella che era nota come la

zona industriale di Rovereto non lascia indifferenti. Il paesaggio, prima di tutto: capannoni che si alternano a macerie, che lasciano il posto ad altri capannoni che mutano poi, in nuove macerie. Quando non un vuoto, una tabula rasa. Più che un bombardamento, sembra quasi che un gigante sia passato di qui e abbia calato il suo pugno, enorme e casuale, su alcuni edifici tralasciando, nella sua furia, gli altri. Poi il silenzio: aspettando sotto il sole cal-do di mezzogiorno qui, in via Eugenio Montale, tra gli ossi di seppia di edifici crol-lati o vuoti, a farsi sentire è solo il vento che passa tra le piante stentate. Pochis-sime le auto che transitano e praticamente tutte sulla strada principale che porta al centro del paese. O a quel che ne rimane. Il silenzio è il rumore dominante in questo spazio che dovreb-be invece essere animato dal frastuono di camion, furgoni, mezzi di carico e scarico, macchinari indu-striali, operai che smontano e altri che cominciano il turno. Un silenzio tombale. Ma c’è chi al rumore del lavoro è troppo appassiona-to per rinunciarvi. Arriva in auto: compatto, una giacca di jeans a coprire un corpo abituato alla fatica. Si tratta di Gino Grulli, fratello e socio di Iorio, l’uomo che, il 5 novembre scorso, è sali-to sul tetto pericolante della sua Manifattura Modene-se, per protestare contro il sequestro del capannone da parte della Procura, perché durante la scossa del 29 maggio la moglie rimase gravemente ferita, e contro le lentezze di una burocra-zia che, invece di aiutare la ripartenza del tessuto produttivo, sembrava sor-tire l’effetto di rallentarla. “Come la nostra azienda ce n’erano poche in Italia – spiega orgoglioso Gino - il nostro compito è quello di

impreziosire un abito, che di per sé può essere uguale a tanti altri. Noi lo rendevamo unico, con le nostre finiture. Pizzi, frange, nappe, cordo-ni, merletti, nastri, paillet-tes, trecce, cose di questo tipo insomma. Lo stilista veniva qui e ci diceva cosa desiderava fosse aggiunto all’abito, e noi lo accon-tentavamo, se necessario modificando i macchinari in officina, per venire incontro alle necessità del commit-tente. Pensi che una volta abbiamo intrecciato a un abito del filo d’oro a 18 ca-rati, per Bulgari”. Aveva 13 dipendenti, la Manifattura

Modenese. Ora sono rimasti in due: il nipote di Gino e un dipendente, trasferitisi vici-no Sassuolo, a Castellarano per ricominciare con tre, quattro macchinari, sulle decine e decine che avevano prima. Ci sarebbero anche i due fratelli, per la verità, ma ogni giorno devono restare accanto alle macerie del capannone che hanno dovuto far demolire. Il secondo capannone, dall’al-tro lato della strada, è anche quello da abbattere. “Stia-mo cercando di interpretare bene tutte le disposizioni della Regione per accedere

ai finanziamenti. Forse ci si arriverà a capo, ma ci vuole troppo tempo. La burocra-zia è frustrante, perché le normative cambiano da un giorno all’altro. Chiamare i tecnici costa migliaia di euro, che si sommano alle spese degli abbattimenti. Da quando c’è stato il terremo-to a oggi ho speso quasi un milione di euro. Per fortuna avevo l’assicurazione sul capannone contro il terre-moto, ma anche quella non coprirà mai tutte le spese, e poi quanti, in Emilia, ce l’avevano?”. La frustra-zione e la rabbia di Gino derivano dal fatto che non

avverte, da parte dello Stato, una concreta volontà di sostegno, anzi: “non ti dicono ‘vai avanti che poi ci sediamo intorno a un tavolo con le carte e ci mettiamo a posto, ma intanto parti’, no. In alcuni momenti sembra addirittura che arrivino a insinuare che ho comprato dei macchinari in più dopo il terremoto, per approfit-tare di rimborsi che non mi spettano. Ma dico io, è possibile? I soldi dell’as-sicurazione potevo tener-meli e ritirarmi dal lavoro – Gino ha 59 anni, Iorio 63 – e invece io e mio fratello

vogliamo ripartire da qui, perché stiamo bene a Rove-reto. Ma ci devono aiutare a procedere, o quantomeno devono evitare di metterci i bastoni tra le ruote. Per quello c’è bastato il terre-moto, e per tornare ai livelli di prima ci vorrà tempo”. La Manifattura Modenese non è certo l’unica a essersi dovuta, si spera temporane-amente, trasferire in un’al-tra zona: le ditte storiche, ci spiega Gino, o hanno chiuso o si sono spostate. “Lun-go questa via ci saranno state, in un giorno normale, almeno 200 persone. Ora non c’è più nessuno. La

zona industriale di Rovereto è morta, o quasi”. Se Iorio è salito sul tetto, anche Gino ha cercato di far sentire la propria voce alla politica: “ho chiesto ai politici di venire qui a rendersi conto di persona di cosa sia stato il terremoto, di come siamo ridotti – racconta mentre mostra, dentro al capannone rimasto in piedi nonostante le evidenti crepe, i pochi macchinari che è riuscito a salvare – ma fino a oggi non è venuto nessuno. Io sono di Sinistra, non mi vergogno a dirlo, ma lo scorso anno sono andato alla festa del

Pd a Modena, per interve-nire mentre si parlava degli aiuti ai terremotati, e ho detto a Vasco Errani che non avevano fatto nulla. Sa qual è stata la reazione? Mi è stato detto di piantarla, mi hanno chiesto chi mi aveva mandato a rovinare la loro festa, come fossi un provocatore”. Sul lato dell’edificio, nel cortile, ad arrugginirsi all’aria aperta ci sono 50 metri di metallo, i resti dei tanti macchinari distrutti dal crollo del tetto del capannone. Ognuno di quegli ammassi di lamie-ra costa, nuovo, dai 10 ai 30mila euro, tanto che per

sostituirli tutti, Gino stima un costo di 3,5 – 4 milioni di euro. “Quei pochi strumenti che siamo riusciti a salvare li abbiamo portati via ri-schiando la vita. Noi non ci stiamo lamentando, non vo-gliamo ci diano da mangia-re, che ci regalino una casa. Chiediamo soltanto che ci facilitino le cose per poter ricominciare. Pensi che, dopo due giorni dalla scossa del 29, mio fratello è andato dentro con un muletto per estrarre dei pezzi di ferro da poter riutilizzare. Mi sono arrabbiato tanto che per poco rischiavo di mettergli

le mani addosso. Quando gli ho detto di venire via, per-ché da un momento all’altro la terra poteva tornare a tremare, mi ha risposto che non gliene importava nulla del terremoto, tanto sua moglie all’ospedale rischia-va di morire, e se se ne fosse andata lei anche lui poteva subire la stessa sorte’”. Ed è nel rivivere quei momenti, che la voce di Gino si incri-na, a stento riesce a trattene-re l’emozione. “Allora gli ho detto: abbiamo iniziato in due e non ti abbandono proprio ora. Io, lui, suo figlio, sua figlia, il marito di lei e mio figlio siamo andati sotto e insieme abbiamo salvato il salvabile”. Ma in questo anno di travaglio non siete mai stati sul punto di arrendervi? “A volte si dice basta, ma c’è sempre la vo-glia di andare avanti. Ti dici che hai lavorato 50 anni, sei ancora vivo, e che gettare la spugna non è proprio nella tua indole. Veniamo da una generazione che ama questo lavoro, è una soddisfazione fare il nostro mestiere. I soldi che ho, li ho investiti tutti qui. Pensi che ho la passione della bicicletta, e ci andavo da mezzogiorno alle due per non rubare tempo al lavoro. Da quando è venuto il terremoto, non riesco più ad andarci: ti pas-sa la passione per le cose, sapendo che la tua azienda è ridotta così. Vivi, senza l’entusiasmo di prima, né la voglia di divertirti”. In Gino è maturata una nuova con-sapevolezza: “se non ricevo quello che mi spetta, che non si sognino di chiedermi altre tasse. E se dovessero venire qui per prendermi le cose, io le spacco prima che possano impossessarsene. E’ inaccettabile che io abbia pagato le tasse, svolgendo il mio ruolo di contribuente, per poi ricevere in cambio, nel momento del bisogno, nient’altro che fastidi. Il mio dovere l’ho fatto, ora lo Stato deve fare il suo, perché di belle parole non se ne fa nulla nessuno”.

Marcello Marchesini

Gino Grulli

Iorio Grulli e la moglie Anna

domenIcA 26 mAGGIo, IorIo e AnnA rInnovAno lA loro PromessA d’Amore

“se ti salvi, ti risposo”A

veva promesso che, se si fosse salvata, l’avrebbe sposata

di nuovo. Come in un film o in un romanzo. Lui è Iorio Grulli, l’imprenditore che guida, insieme al fratello Gino, la Manifattura Modenese, ditta di passa-manerie per abbigliamento di Rovereto. Il 29 maggio dello scorso anno, la grande scossa non ha risparmiato il capannone in cui la famiglia stava lavorando, facendo

crollare gran parte del tetto. Mentre Iorio e il fratello re-stano miracolosamente ille-si, Anna, la moglie di Iorio, rimane intrappolata sotto una trave di dodici tonnel-late. Estratta dalle macerie, la sua vita è appesa a un filo, entrando in un coma nel quale resterà per mesi. Da quel giorno Iorio non smette di pensare al fatto che, sen-za di lei, sposata nel 1975, profondamente amata e con la quale ha avuto due figli,

la vita perderebbe senso e colore. Ogni sapore che non sia l’amaro. Così, dal 29 maggio, Iorio ha un pensie-ro fisso, qualcosa a metà tra la preghiera e l’imprecazio-ne. Ogni giorno ripete: “Ti prego svegliati, riprenditi, torna a casa e ricominciamo tutto daccapo, come se la vita ripartisse da zero”. E insieme a quell’invocazio-ne, una promessa. “Se si salva la risposo”. E di Iorio tutto si può dire, tranne che

non sia un uomo determina-to. Così ad Anna toccherà di sposarlo una seconda volta, a 63 anni lui e 58 lei. Il rinnovo della promessa di matrimonio sarà celebrato domenica 26 maggio, in quel che resta del capan-none. Prevista la presenza di centinaia di amici, tra cui Francesco Moser, il campione di ciclismo che con i due fratelli condivide la passione per le due ruote.

Marcello Marchesini

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gli ottimisti e i pessimisti...Gli ottimisti e i pessi-misti. La differen-za è nel tempera-

mento di chi, da un anno, ha avuto la vita stravolta dalla terra che per lunghi istanti ha ondeggiato con violenza portando con sè vite, case, cose. Dodici mesi dopo. Entrambi, ottimisti e pessimisti, si commuo-vono spesso; più di quanto avrebbero mai immaginato. Qualcuno con la casa ha perso anche tutto quello che quelle mura racchiude-vano e sono le fotografie a mancare di più; non qua-dri, contanti o gioielli, non frigoriferi, abiti e tv al Led, ma quelle foto in cui il figlio faceva il primo bagno al mare, quelle in cui rideva, sereno e sdentato, davanti alla lavagna. Le immagini di una vacanza, di un amo-re, di un passato che fissava in qualche scatto i migliori ricordi. Gli ottimisti e i pessimisti hanno aspettato, pazienti. Nei primi giorni, arrangiandosi con tende e accampamenti di fortuna, contando sui volontari che spontaneamente andavano a vedere cosa succedesse e a portare beni di conforto, pensando di non ringra-ziarli mai abbastanza per quanto stavano facendo. Poi i campi allestiti dalla Protezione Civile con le sue regole, i bagni e le docce davanti ai quali mettersi in fila, le grandi tende dove dormire anche con persone di cui prima si ignorava l’esistenza, le cucine dove servivano i pasti, le difficol-tà a conciliare le abitudini e gli usi degli italiani con quelli degli stranieri. Gli ottimisti contavano sul veloce superamento di quei campi: “Ci sono case sfitte per tutti, niente new town, non serviranno moduli abi-

tativi”, rassicurava la Regione. I pessi-misti scuotevano la testa e iniziavano a muoversi per trovare soluzioni alternative. Nei giardini iniziava-no ad arrivare bilici a scaricare moduli abitativi acquistati o noleggiati dai ter-remotati, a proprie spese. Camper e roulotte diventano oggetti del desiderio, si acquistano in qualsiasi con-dizione provenienti da ogni luogo d’Italia. Qualche migliaio di euro per tornare a un po’ di autonomia, ma vicini a quella casa che da nido si era trasformata, in una manciata di secondi, in luogo pericoloso, ostile, mi-naccioso. Le donazioni pri-vate fanno la parte del leone in tutti gli ambiti, la genero-sità si manifesta dall’Italia intera. I politici minimiz-zano, i terremotati tengono botta. Crescono i disagi, la tensione, la rabbia, lo sfinimento. La speranza

resiste. II nuovo vocabola-rio da imparare. Fruibile, agibile, inagibile. Classe A, B, C, D, E; ma le E non sono tutte uguali. Si posso-no iniziare i lavori? Sì. No. Fermi. Parole nuove. White List. Burocrazia. Perizie. Compilazione del Mude, ancora burocrazia. Ritardi. Ordinanze nuove sostitui-scono altre ordinanze. Au-tunno inoltrato, smontano i campi della Protezione Civile; le case sfitte per tutti, alla fine, non c’erano, i pessimisti non sbagliava-no. I politici minimizzano, i terremotati tengono bot-

ta. Le scuole aprono in ritardo, prima tende e garage, poi finalmente container e prefabbricati, i ragazzi possono tornare in clas-se, un rigurgito di normalità. La Regione preno-ta tardivamente i moduli abita-tivi, urbanizza

le aree per le new town, serve tempo; le temperature ormai sfiorano lo zero. Il 17 dicembre si pagano le tasse, sei mesi di proroga e nulla di più. Quelli che si sono arrangiati, mettono le stufe nei loro container e cam-per; gli altri finiscono in hotel anche lontani da casa fino all’arrivo dei moduli, pronti solo dopo la prima neve. Tanti affittano a loro spese appartamenti in altri Comuni. Gli imprenditori mettono di tasca propria il necessario per la ripresa delle attività, milioni di euro; le banche, in assenza di garanzie, non possono aiutare e il tempo passa; in soccorso, solo le assicura-zioni private. Negozi chiusi decidono di non riaprire, altri a proprie spese fanno arrivare casette temporanee dove trasferire l’attività. A proprie spese. Alcune grandi aziende organizza-no pullman per portare i lavoratori in sedi distanti e li accompagnano avanti e indietro ogni mattina; i di-pendenti si alzano all’alba

e tornano a tarda sera senza battere ciglio :”Noi siamo fortunati, possiamo ancora lavorare”. Intanto, sempre un po’ in ritardo, i soldi del Cas, altra parola nuova. Contributo di Autonoma Sistemazione per chi, senza casa, ha dovuto trovarsi un alloggio a proprie spese. Ci sono stati errori nell’ero-gazione e oggi a decine di terremotati si stanno chie-dendo soldi indietro, con tante scuse. Sono arrivate in questi giorni anche le sanzioni e gli interessi per chi ha pagato l’Irap rispet-tando la proroga, a dicem-bre anziché ad agosto. Un altro errore, chiaro, ma, l’Agenzia delle Entrate “sta valutando” e qualcuno ha già pagato. Gli ottimisti dicono che vivere in pochi

metri quadri è dura, che tut-to è stravolto e si sentono un po’ insicuri dappertutto, ma il denaro c’è e tra un paio d’anni avranno di nuovo la loro casa dove tornare ad abitare. I pessimisti dicono che vivere in pochi metri quadri è dura, che tutto è stravolto e si sentono un po’ insicuri dappertutto, temono che gli anni saran-no più di due e non sono certi di riavere la loro casa dove tornare ad abitare con i fondi messi a disposizione dallo Stato. Di anno in anno saremo sempre qui, a fare le sentinelle. Confidando che abbiano ragione gli ottimisti e torto i pessimisti. Intanto, i politici minimiz-zano, i terremotati tengono botta.

Clarissa Martinelli

Rovereto - Ph Davide Dodo Righi

Novi - Ph Davide Dodo Righi

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sono stAtI rAccoltI 642.220 euro GrAzIe AllA GenerosItà deGlI AscoltAtorI dI rAdIo Bruno, delle AzIende che hAnno sPosAto I ProGettI e deGlI ArtIstI che hAnno Preso PArte Al concerto dI modenA

642mila euro con teniamo Bottadi Clarissa Martinelli

Un anno dopo. Ho una cartellina davanti in cui con-

servo le lettere di ringra-ziamento delle scuole, i disegni dei bambini, le fo-tografie di classi sorridenti davanti alle nuove lavagne interattive. Piccoli grandi attestati di riconoscenza da parte di realtà aiutate at-traverso i fondi di Teniamo Botta: 642.220 euro al 30 aprile 2013, raccolti grazie alla generosità degli ascol-tatori di Radio Bruno che hanno offerto 10 euro per la maglietta, grazie ad aziende che hanno sposato uno dei nostri progetti, grazie agli artisti che hanno preso parte gratuita-mente e con entusiasmo al grande concerto “Teniamo Botta” del 3 luglio scorso al Parco Ferrari di Mode-na, davanti a oltre 40.000 persone, l’evento musicale più affollato della storia della città. Trasparenza, ascolto e rapidità negli interventi. Abbiamo iniziato da subito a intercettare le richieste

urgenti e a farvi fronte, una alla volta, cercando di aggirare la burocrazia con pagamenti immediati a fronte di bisogni precisi e acquistando direttamente tutto il possibile dai for-nitori senza intermediari. Sul sito della radio (www.radiobruno.it) si ritrovano costantemente aggiornati i progetti già finanziati e quelli in via di realizza-zione.Già a luglio, un mese dopo l’inizio della raccolta fondi, il primo intervento

su richiesta del Comune di Concordia. 135 bimbi erano al caldo torrido tra le macerie senza alternative, abbiamo noleggiato tenso-strutture e condizionatori per rendere possibile il centro estivo. Sarebbero dovute restare lì un mese, è finita che il centro è stato operativo per tutta l’estate e si è trasformato anche in scuola da settembre, fino all’arrivo dei moduli della Regione. Ancora a luglio, il ripristino e la tinteggia-tura dell Asilo Nido e Ma-

terna Statale di Cavezzo con l’aiuto di artigiani che si sono messi al servizio dell’iniziativa a prezzi di costo. Da quel momen-to, tante le richieste cui abbiamo fatto fronte tra il modenese, il reggiano, il mantovano e il ferrarese, grazie alle indicazioni che arrivavano dagli ascolta-tori di Radio Bruno. Le materne di Concordia e Fossoli, quelle di Moglia, il nido di Quistello, l’hotel noleggiato a Finale, le materne di San Prospe-ro, l’asilo parrocchiale di San Felice, le elementari

da tinteggiare a Carpi e Massa Finalese, le scuole di musica da sistemare e piccoli -grandi progetti .... Sono state soprattutto mamme a contattare la radio, ascoltatrici di Radio Bruno che timidamente chiamavano, quasi come se disturbassero, segna-lando piccoli e grandi problemi e necessità delle scuole dei figli. E subito ci mettevamo in moto.Tra le richieste arrivate dalle scuole primarie e secondarie, nella maggior parte dei casi ubicate ora in sedi prefabbricate o

moduli provvisori perché le sedi originarie sono inagibili, nuovi arredi e le Lavagne Interattive Multimediali. Si tratta di lavagne che non hanno nulla a che fare con quelle in ardesia su cui scrivere col gesso: sono più simili a enormi tablet che offrono la possibilità di preparare le lezioni con immagini e video didattici da mostrare in classe utilizzando Inter-net, permettono l’intera-zione diretta con lo scher-mo e di memorizzare le le-zioni, ad esempio: decine le lettere di ringraziamento

Quarantamila persone hanno assistito al concerto di martedì 3 luglio a Modena. Sul palco, tra gli altri, Emma, Francesco Renga, Stadio e Modà. 150mila euro i fondi raccolti.

Il Centro Servizi Polivalente di Rovereto ospiterà gli ambulatori medici, il centro prelievi, l’anagrafe e altri uffici comunali. L’inaugurazione è programmata per il 29 giugno 2013.

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CANTINA DI S. CROCE Soc. Agr. Coop. ( a soli 300 mt. dal casello autostradale di Carpi )Tel. 059.664.007 - Fax 059.664.608 - [email protected] - www.cantinasantacroce.it

Manuele Stassi e Simone Ghelfi

A Concordia il contributo di Teniamo Botta è stato finalizzato al noleggio di tensostrutture per centri estivi e attività scolastica.

In diverse scuole si è provveduto ai lavori di ripristino e tinteggiatura nonché all’acquisto di arredi e lavagne LIM.

Il contributo di Teniamo Botta è servito per permettere alla scuola di musica dell’Eden di Carpi di riprendere l’attività.

delle scuole cui le abbiamo donate, gli insegnanti par-lano di un’offerta formati-va insperata per i ragazzi in tempi di vacche magre, in cui prima di parlare di informatizzazione della scuola c’è da trovare il denaro per acquistare carta igienica e risme di carta. Le Lim sono state donate a Crevalcore, Mirabello, Carpi, Quingentole, Qui-stello, San Prospero.Con Teniamo Botta è stato possibile anche coadiuvare le attività dei centri stori-ci per favorire le attività commerciali che stanno cercando di rimettersi in piedi: sono state finan-ziate da Teniamo Botta, ad esempio, le luminarie natalizie di Mirandola, di Rolo, di Rovereto di Novi così come iniziative di ani-mazione per i bambini.Dagli ospedali sono arri-vate numerose richieste di aiuto; è stato possibile mettere in campo finan-ziamenti a favore degli ospedali di Carpi e Mi-randola, a partire dall’ac-quisto del nuovo ecografo portatile per la gastroente-rologia fino all’aiuto per il ripristino di alcuni reparti in difficoltà.Con i fondi di Teniamo Botta abbiamo arredato le comunità alloggio per

Collodi.A Rovereto la scelta è stata quella di finanziare il Centro Medico Poliva-lente, collaborando con la onlus Tutti insieme per Ro-vereto e Sant’Antonio che il 29 giugno, con l’aiuto degli artigiani della Val di Non, è già pronta a inaugu-rare la struttura.Finanziato anche un pro-getto di gemellaggio tra le elementari di Rovereto e quelle di Fanano; i bimbi roveretani hanno raccon-tato il terremoto ai bimbi fananesi in una gita.Abbiamo sostenuto i costi di ripristino di alcune palestre, come quella di Mortizzuolo di Mirandola e quella di Bomporto. A Medolla, in collaborazio-ne con la Provincia, abbia-mo messo a disposizione una cifra importante per la nuova palestra e contribu-ito ad arredare la materna Rock No War.La barca con l’enorme vela Teniamo Botta è arrivata fino a Santa Lucia, nei Caraibi, per contribuire al ripristino delle piscine finalesi.Una vela che il vento ha portato dall’altra parte del mondo, dove vorremmo si disperdessero tutti i guai che ancora aleggiano sull’Emilia terremotata.

anziani di Camposanto e anche comprato il nuovo tagliaerba e spalaneve co-munale a San Possidonio perché quello vecchio era rimasto sotto al crollo del magazzino comunale e la

neve incombeva. A Novi abbiamo contribu-ito al finanziamento della nuova scuola di musica; il cantiere aprirà tra giugno e luglio, in via Mattei, dove prima c’era il vecchio asilo

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