Speciale AboutPharma. Dolore in ortopedia

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Dolore in ortopedia: una questione di appropriatezza GLI SPECIALI di Speciale_ortopedia_albi 1 26/11/12 12.42

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Una quesione di appropriatezza.

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Dolore in ortopedia: una questione di appropriatezza

GLI SPECIALIdi

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EDITORIALE––

Diceva bene e senza mezzi termini Aristotele: “Il saggio cerca di raggiungere l’assenza di dolore, non il piacere” (Etica Nicomachea). Oggi, molto più che nella Grecia antica, il dolore è un’emergenza sociale. Non si può accettare di vivere o che qualcuno, magari a noi vicino, viva nel dolore fisico e cronico, soprattutto quando per via farmacologica gran parte di quelle sofferenze potrebbe essere limitata se non addirittura eliminata. In più, nel nostro Paese c’è una Legge che assicura nell’ambito dei LEA l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, con l’obiettivo dichiarato di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana e il suo diritto alla salute.

Ri-Do, Rifiuta il dolore è il brand di una serie di Speciali di AboutPharma and Medical Devices che vuole in modo specifico approfondire le tematiche di applicazione della Legge 38/2010, un dispositivo legislativo che ha posizionato il nostro Paese all’avanguardia nel panorama europeo. Certo gli Stati Uniti già nel 1970 registravano una serie di leggi che regolavano l’utilizzo degli oppiacei in ambito terapeutico come trattamento del dolore cronico (si veda: Opioid in the Treatment of Chronic Pain: Legal Framework and Therapeutic Indications and Limitations, D. Bloodworth, Baylor College of Medicine, Houston, Texas, da Phys Med Rehabil Clin N Am, 17-2006, pag. 355-379), ma da quando il nostro Paese si è dotato delle Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, ha raggiunto una

Walter Gatti AboutPharma and Medical Devices

posizione di primato internazionale anticipando anche il tanto applaudito piano governativo inglese Putting Pain in the Agenda.La struttura di questa pubblicazione è semplice: prima la presentazione di un trial clinico in ortopedia (lo studio del Direttore del centro inglese per la terapia del dolore artritico Michael Doherty, indirizzato ad esplorare l’approccio con l’associazione ibuprofene-paracetamolo in soggetti non ospedalizzati), poi la raccolta di reazioni da parte di un panel di Specialisti Ortopedici dell’area pugliese volti ad identificare le pratiche cliniche correnti, avendo sullo sfondo sia il trial inglese che la revisione della nota 66 dell’AIFA contenente limitazioni sull’utilizzo dei farmaci anti-infiammatori non steroidei.

Tra i tanti interventi qualificati presentati in questa pubblicazione, val la pena forse sottolineare alcuni passaggi di assoluto valore culturale oltreché clinico: la necessità di un’effettiva collaborazione tra ortopedico e terapista del dolore, l’importanza della personalizzazione delle terapie e – da ultimo – l’esigenza di una sempre maggior formazione accademica sulle cure palliative e sugli oppiacei. Magari ricordando che l’algologo non è l’ultima spiaggia di un team assistenziale, bensì un possibile “compagno di viaggio” da coinvolgere precocemente, per rendere le terapie effettivamente aderenti al paziente ed al suo percorso di cura.

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EditoreHPS srlVia Piccinni 2, 20131 Milanotel. 02.2772991 fax. 02.29526823www.aboutpharma.com [email protected]: 1935962

Direzione, Redazione, Amministrazione, PubblicitàHPS srlVia Piccinni 2, 20131 Milanotel. 02.2772991 fax. 02.29526823www.aboutpharma.com [email protected]

Direttore ResponsabileWalter [email protected]

Direttore CommercialeDomenico Mancini [email protected] In redazioneMaddalena [email protected] [email protected] [email protected] [email protected]

Ha collaboratoArturo Zenorini

Sono intervenutiMichele Capozziortopedia, Casa di Cura Privata Santa Maria, BariRaffaele Garofaloortopedia, Unità Operativa Complessa di Ortopedia Ente Ecclesiastico - Ospedale Generale Regionale “F. Miulli” Acquaviva delle Fonti (Bari)Renato Laforgiaortopedia, Casa di Cura “Mater Dei” CBH città di Bari HospitalLeonardo Mazzilliortopedia, Specialista ambulatoriale Azienda Sanitaria Locale Bari e BATLorenzo Morettiortopedia, Unità Operativa Complessa clinica Ortopedica I Azienda Consorziale Policlinico di BariAlessandro Pansiniortopedia, Unità Operativa Complessa di Ortotopedia - Ospedale Di Venere Bari Carbonara Pietro Rellaortopedia, Specialista ambulatoriale Azienda Sanitaria Locale BariAntonio Scarangellaortopedia, Unità Operativa Complessa di Ortopedia - Presidio ospedaliero San Paolo BariVito Simoneortopedia, Unità Operativa Complessa di Ortotopedia - Ospedale Di Venere Bari Carbonara Antonio Spinarelliortopedia, Unità Operativa Complessa clinica Ortopedica II Azienda Consorziale Policlinico di Bari

Progetto grafico e impaginazioneStudio Priori & CIn collaborazione conBarbara Borgonovo

Illustrazione di copertinaCristina Del Buono per Dissociate

StampaHH GLOBAL S.r.l. – Bergamo

AutorizzazioneTribunale di Milano n. 451 del 20/09/2002

© AboutPharma and Medical DevicesÈ vietata la riproduzione anche parziale ditesti e immagini presenti su tutta la rivista.

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sommario

01 EDITORIALE

Dolore in ortopedia

04 cLInIcAL TRIAL

Appropriatezza terapeutica e dolore ortopedico: cenni sullo stato

dell’arte e spunti di riflessione

06 cLInIcAL pRAcTIcE

06 L’esperienza dei clinici a confronto

Il trattamento antalgico in ortopedia

08 La prescrizione di antidolorifici e la nota AIFA 66

11 Oppiacei in ortopedia

14 La consulenza del terapista del dolore e l’approccio integrato

nel dolore ortopedico

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Appropriatezza terapeutica e dolore ortopedico: cenni sullo stato dell’arte e spunti di riflessione

Le principali Linee guida sulla terapia del dolore osteoarticolare raccomandano il ricorso al paracetamolo come farmaco di prima scelta e agli antinfiammatori non steroidei (FANS) solo in seconda battuta per i noti eventi avversi gastrointestinali, cardiovascolari, renali ad essi associati, sebbene questa classe di farmaci sia dotata di un maggiore effetto antalgico (Towheed et al, 2006; NICE 2008; American College of Rheumatology 2012).

Se da una parte, a causa degli eventi avversi, l’utilizzo dei FANS è raccomandato solo per terapie di breve durata (la nota AIFA 66 ne sconsiglia l’utilizzo oltre le 3 settimane), dall’altra se ne consiglia l’associazione con un inibitore di pompa protonica nel trattamento cronico per ridurre il rischio di insorgenza di eventi gastrointestinali sintomatici o complicati. Sembrerebbe quindi esservi un’ambiguità di fondo nelle Linee guida in merito all’indicazione degli analgesici da utilizzare nel trattamento del dolore acuto o cronico. Inoltre, nonostante il controverso background fisiopatologico e la limitata evidenza clinica a supporto, nei pazienti in terapia con paracetamolo e dolore non adeguatamente controllato viene suggerita l’aggiunta di un ulteriore inibitore della ciclo-ossigenasi (COX) (NICE 2008). Le ricadute delle raccomandazioni espresse nelle Linee guida sulla pratica clinica, che negli anni passati si è avvalsa dell’utilizzo dei COX inibitori (soprattutto paracetamolo) per il trattamento del dolore cronico osteoarticolare e che soltanto negli anni più recenti ha iniziato a individuare negli oppiacei un’opzione terapeutica più adeguata ed efficace, sono mostrate da una recentissima indagine sul trattamento del dolore cronico condotta in 15 Paesi europei (Breivik et al, 2012). Dall’indagine, è emerso che la stragrande maggioranza di pazienti affetti da dolore cronico di intensità moderata o severa viene trattata con paracetamolo o FANS e soltanto un’esigua percentuale con oppiacei forti, un dato che denuncia la mancanza di appropriatezza terapeutica nella gestione del dolore cronico.In questo scenario, i risultati di un recente e illuminante studio (Doherty et al, 2011) mostrano nuovi e importanti elementi che potrebbero costituire la base per riconsiderare il trattamento delle condizioni dolorose muscoloscheletriche con paracetamolo e ibuprofene o con la loro associazione.L’obiettivo dello studio, randomizzato, in doppio cieco, della durata di 3 mesi, era confrontare l’efficacia e la sicurezza della monoterapia con ibuprofene o paracetamolo in 892 pazienti di età ≥ 40 anni affetti da gonalgia cronica. I partecipanti allo studio sono stati randomizzati a ricevere ibuprofene [400 mg tre volte al giorno (tid)] o paracetamolo (1000 mg tid) in monoterapia, o l’associazione ibuprofene 200 mg/paracetamolo 500 mg tid (basso dosaggio), oppure l’associazione ibuprofene 400 mg/paracetamolo 1000 mg tid (alto dosaggio). Gli endpoint primari erano l’efficacia dei trattamenti a breve e a lungo termine (rispettivamente al giorno 10 e dopo 3 settimane) e la loro tollerabilità (in particolare l’incidenza di eventi avversi moderati o gravi).

Endpoint EfficaciaLa riduzione del dolore è stata misurata con diversi metodi, tra cui la scala WOMAC (Western Ontario and McMaster Universities Osteoarthritis Index) per il dolore (uniformata alla scala 0-100 mm). È stata invece utilizzata la scala PGA (Patient Global Assessment) per la valutazione soggettiva del trattamento da parte del paziente. Secondo la scala WOMAC, i risultati hanno mostrato che sia a breve, sia a lungo termine, paracetamolo 1000 mg tid non determina un sollievo soddisfacente del dolore, ibuprofene 400 mg tid ha un’efficacia analgesica limitata, ed entrambe le associazioni ibuprofene/paracetamolo a basso o alto dosaggio non ottengono un sollievo del dolore maggiore rispetto al solo ibuprofene. Per quanto riguarda la scala PGA, dopo 10 giorni di trattamento il 39%

cLInIcAL TRIAL––

Bibliografia

Breivik H, Collet B, et al. Survey of chronic pain in Europe: Prevalence, impact on daily life, and treatment. Eur J Pain 2012;10(4):287 Abstract

Brune K, Hinz B. Paracetamol, ibuprofen, or a combination of both drugs against knee pain: an excellent new randomised clinical trial answers old questions and suggests new therapeutic recommendations. Ann Rheum Dis 2011;70(9):1521-22

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dei pazienti trattati con l’associazione ad alto dosaggio ha definito il trattamento scarso o inaccettabile, rispetto al 45% dei pazienti in trattamento con ibuprofene in monoterapia, al 46% di coloro che assumevano l’associazione a basso dosaggio e al 62% dei pazienti trattati con il solo paracetamolo (Figura 1). A 13 settimane non era osservabile nessuna differenza significativa tra i gruppi di trattamento per quanto riguarda la valutazione dell’efficacia della terapia (Doherty et al, 2011; Brune et al, 2011).

Endpoint TollerabilitàNel complesso l’incidenza di eventi avversi correlati al trattamento, sia a breve sia a lungo termine, è stata significativamente superiore nei pazienti assegnati al trattamento con l’associazione a basso o ad alto dosaggio rispetto ai pazienti trattati con ibuprofene in monoterapia. Gli eventi avversi più comuni erano diarrea, dispepsia e nausea.Tra gli eventi avversi vanno segnalate in particolare una maggiore incidenza di alterata funzionalità epatica nel gruppo trattato con paracetamolo, e la riduzione dei livelli di emoglobina superiore a 1 g/dl già al 10° giorno in una percentuale superiore di pazienti trattati con entrambe le associazioni rispetto ai pazienti in monoterapia. Dopo 13 settimane si è verificato un ulteriore aumento della proporzione di pazienti che presentavano riduzione dei livelli di emoglobina, soprattutto di quelli trattati con l’associazione a basso o alto dosaggio (rispettivamente 24,1% e 38,4%) in confronto ai pazienti che assumevano solo paracetamolo o ibuprofene (rispettivamente 20,3% e 19,6%) (p < 0,001). Inoltre, alla fine dello studio è stata rilevata una riduzione dei livelli di emoglobina superiore a 2 g/dl in tutti i gruppi di trattamento, e statisticamente superiore nei pazienti assegnati all’associazione ad alto dosaggio rispetto ai pazienti in terapia con paracetamolo (p = 0,011) o ibuprofene (p = 0,001) o con l’associazione a basso dosaggio (p = 0,009).La riduzione dei livelli di emoglobina era associata a un aumento della conta piastrinica e a una riduzione del volume degli eritrociti, elementi che suggeriscono un sanguinamento gastrointestinale come causa. L’elevata incidenza di diarrea farebbe supporre che tale sanguinamento sia la conseguenza dell’irritazione del piccolo intestino. Risultato atteso per l’ibuprofene, ma piuttosto sorprendente per il paracetamolo, farmaco ritenuto privo di rischi gastrointestinali.

cLInIcAL TRIAL––

figura 1. Istogramma della valutazione soggettiva del trattamento al

giorno 10

49% 51%

54%

46% 54%

46%

Inaccettabile Scarso Debole Buono Eccellente

Inaccettabile, scarso, debole Buono, eccellente

Inaccettabile, scarso, debole Buono, eccellente

45% 55%Ibuprofene

62% 38%Paracetamolo

Ibuprofene

Paracetamolo

46% 54%1 compressa dell’associazione ibuprofene/paracetamolo

39% 61% 2 compresse dell’associazione ibuprofene/paracetamolo

1 compressa dell’associazione ibuprofene/paracetamolo

2 compresse dell’associazione ibuprofene/paracetamolo

Fonte: Doherty M, et al, 2011

ConclusioniIl paracetamolo ha un’efficacia antalgica limitata anche a elevati dosaggi, sia a breve sia a lungo termine; a fronte di questo dato, è risultato associato a sanguinamento gastrointestinale che, essendo presumibilmente causato dall’irritazione del piccolo intestino, è meno efficacemente prevenibile con l’impiego di inibitori della pompa protonica.L’associazione ibuprofene/paracetamolo non solo non ha mostrato una maggiore efficacia antalgica rispetto ai due farmaci somministrati in monoterapia, ma ha determinato un aumento significativo degli eventi avversi, in particolare di sanguinamento gastrointestinale. I risultati dello studio, oltre a mostrare l’assenza di ulteriori vantaggi analgesici con l’associazione ibuprofene/paracetamolo, suggeriscono la necessità di riconsiderare anche la somministrazione di paracetamolo in monoterapia, sia per la limitata efficacia sia per gli eventi avversi.In merito ai FANS, questa classe di farmaci, di cui sono noti non solo gli eventi avversi gastrointestinali ma la ben più preoccupante correlazione con un’aumentata incidenza di eventi cardiovascolari e la nefrotossicità, dovrebbero essere prescritti solo per brevi periodi di tempo, come suggerito dallo studio oggetto di questo articolo e dalla nota AIFA che ne limita l’utilizzo a un periodo massimo di 3 settimane.

Doherty M, Hawkey C, Goulder M et al. A randomised controlled trial of ibuprofen, paracetamol or a combination tablet of ibuprofen/paracetamol in community-derived people with knee pain. Ann Rheum Dis 2011;70:1534-41

Hochberg M, Altman R, April K, et al. American College of Rheumatology 2012. Recommendations for the Use of Nonpharmacologic and Pharmacologic Therapies in Osteoarthritis of the Hand, Hip, and Knee. Arthritis Care Res 2012;64:465-74

NICE National Institute for Health and Clinical Excellence 2008. Osteoarthritis. The care and management of osteoarthritis in adults. http://www.nice.org.uk/nicemedia/pdf/CG59NICEguideline.pdf

Towheed TE, Maxwell L, Judd MG et al. Acetaminophen for osteoarthritis. Cochrane Database Syst Rev 2006;1:CD004257

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cLInIcAL pRAcTIcE ––

L’utilizzo di paracetamolo ad alti dosaggi e la sua eventuale associazione con ibuprofene rappresenta uno schema terapeutico applicato da tempo in ortopedia. “L’uso del solo paracetamolo ad alte dosi in monoterapia è spesso riservato ai dolori più modesti e di breve durata, o con scarsa componente infiammatoria, mentre impieghiamo per lo più paracetamolo in associazione con ibuprofene soprattutto nel periodo post-operatorio, per agire sulla componente infiammatoria del dolore. Somministriamo paracetamolo in monoterapia nel caso esistano delle controindicazioni, ad esempio quando il paziente presenta patologie gastrointestinali. La scelta dell’associazione nel post-operatorio viene eseguita comunque in accordo con gli anestesisti” afferma il dott. Renato Laforgia. “Nella mia pratica clinica la monoterapia con paracetamolo è molto utilizzata al bisogno a scopo analgesico per dolori di lieve entità. L’uso di paracetamolo ad alti dosaggi (che non siano epatotossici) è da preferire per il trattamento di dolori modesti con scarsa componente infiammatoria, mentre gli antinfiammatori non steroidei (FANS) a dosaggi minimi per un periodo di 7 giorni sono preferibili per il trattamento del dolore con componente infiammatoria più marcata” aggiunge il dott. Leonardo Mazzilli.

Tuttavia, è necessario ricordare che il paracetamolo ad alte dose, soprattutto se associato ad altri antinfiammatori, è epatotossico e aumenta il rischio emorragico, come evidenziato nello studio di Doherty. “L’associazione paracetamolo-FANS rappresenta una pratica di uso comune, da anni applicata e insegnata. Tuttavia il paracetamolo, che comunemente viene ritenuto soprattutto per gli anziani una terapia efficace con un buon profilo di sicurezza, ai dosaggi ai quali risulta efficace in termini di riduzione o risoluzione della sintomatologia dolorosa può determinare sanguinamento al pari dei FANS, e questo effetto viene amplificato quando associato ad altri farmaci antinfiammatori. Quindi, tale strategia terapeutica non rappresenta per me una scelta condivisibile” dichiara il dott. Raffaele Garofalo “L’articolo pubblicato da Doherty mette a confronto due noti analgesici utilizzati da soli e in associazione per il trattamento di pazienti affetti da gonartrosi: la combinazione di ibuprofene con paracetamolo conferisce modesti benefici per il dolore al ginocchio a breve termine e i pazienti trattati con paracetamolo (3 g/die) possono avere gradi simili di perdita di sangue rispetto a quelli che prendono il solo ibuprofene (1200 mg/die). I risultati ribadiscono i limiti della combinazione di diversi inibitori della ciclo-ossigenasi (COX). Molti studi pubblicati nel corso

Il trattamento antalgico in ortopedia

Dallo studio di Doherty si ricava che il beneficio antalgico conseguito con paracetamolo − anche ad alti dosaggi − è complessivamente modesto, e il ricorso all’associazione di ibuprofene e paracetamolo determina un aumento marginale di efficacia antalgica rispetto alla monoterapia con FANS, ma al costo di un elevato aumento degli effetti collaterali. Che cosa ne pensa? È uno schema che segue nella pratica clinica?

L’esperienza dei clinici a confronto

paracetamolo ad

alte dosi associato

a ibuprofene è

somministrato da

tempo in ortopedia

paracetamolo ad

alti dosaggi

è preferibile nel

trattamento di

dolori modesti

Ai dosaggi

antalgici efficaci

paracetamolo

può determinare

sanguinamenti

come i fAnS

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degli ultimi anni hanno dimostrato che il paracetamolo è un inibitore periferico di breve durata dell’enzima COX. Pertanto, credo che non vi sia alcuna giustificazione per la combinazione di paracetamolo con un altro COX inibitore come l’ibuprofene, in quanto l’azione analgesica aumenta solo marginalmente, mentre gli effetti indesiderati aumentano sensibilmente. Inoltre la terapia antalgica nei pazienti affetti da patologia cronica persistente possono giovarsi della terapia con FANS solo inizialmente ed è opportuno riadattare la terapia antalgica con altri farmaci analgesici successivamente” sostiene il dott. Alessandro Pansini.

Alcuni clinici tendono a non associare mai antalgici e FANS, ma a utilizzare anche la categoria degli oppiacei a seconda delle necessità del paziente e della tipologia di dolore. “Dopo un’iniziale breve terapia con antinfiammatori, passo subito agli oppiacei per trattamenti protratti nel tempo” dice il dott. Antonio Scarangella. “Utilizzo correntemente il paracetamolo, i FANS e gli oppiacei, chiaramente a seconda del paziente e della tipologia di dolore con cui mi devo confrontare. Alle associazioni non credo molto, ad eccezione dell’associazione paracetamolo-ossicodone che preferisco utilizzare nelle distorsioni di caviglia (circa il 30% della piccola traumatologia che afferisce al nostro pronto soccorso) perché ha un’azione rapida: in questo modo è possibile tenere sotto controllo il dolore che non va oltre le 24-48-72 ore. Per tutto il resto preferisco la monoterapia o, laddove indicato, una terapia combinata FANS-oppiacei se oltre alla componente dolore devo combattere anche la componente infiammatoria” afferma il dott. Antonio Spinarelli. “Non utilizzo associazioni di farmaci per le patologie

ortopediche che vedo” dichiara il dott. Pietro Rella. “Attualmente il problema degli effetti collaterali nella terapia medica sta assumendo una rilevanza fondamentale sia dal punto di vista del danno provocato al paziente sia dal punto di vista medico-legale, ed è pertanto opportuno valutare caso per caso le indicazioni e i dosaggi di ogni singolo farmaco. Per questo ritengo, per esperienza di pratica clinica, che la terapia di prima scelta in caso di dolore debba essere quella con paracetamolo a basse dosi, specie per un dolore post-traumatico in assenza di componenti infiammatorie. Al contrario, non ritengo che in presenza di una maggiore severità del dolore sia utile aumentare la dose di paracetamolo; in questi casi è preferibile cambiare tipologia di trattamento adoperando analgesici oppiacei. Se il dolore è di natura infiammatoria, in assenza di controindicazioni gastrointestinali e cardiovascolari è meglio optare per una terapia a base di FANS tradizionali per brevi periodi, da associare o meno, a seconda dell’importanza della componente algica, a farmaci analgesici preferibilmente oppiacei. Lo studio di Doherthy ha evidenziato un aumento di effetti collaterali con l’utilizzo combinato di FANS e paracetamolo” afferma il dott. Vito Simone. “Nella maggior parte dei casi seguo pazienti anziani che hanno più patologie, quindi già politrattati, che devono subire un intervento di sostituzione articolare. Generalmente quindi evito l’associazione di farmaci, anche perché ho avuto occasione di verificare gli scarsi benefici dell’associazione di FANS e antidolorifici. Preferisco l’antalgico puro per il dolore di origine meccanica e l’antiflogistico quando l’origine è infiammatoria. Nell’osteoartrosi prevale la componente meccanica, quindi scelgo l’antalgico” dichiara il dott. Michele Capozzi.

cLInIcAL pRAcTIcE ––

In caso di una

maggiore

severità del

dolore, anziché

aumentare

la dose di

paracetamolo

è preferibile

utilizzare

analgesici

oppiacei

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La prescrizione di antidolorifici e la nota AIFA 66

L’aggiornamento della nota 66 da parte di AIFA, ad agosto 2012, concernente la prescrizione dei farmaci antinfiammatori a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), limita l’utilizzo di nimesulide soltanto come “trattamento di breve durata del dolore acuto”. La nota 66 limita la prescrizione dei farmaci antinfiammatori a carico del SSN soltanto in presenza di artropatie su base connettivitica, osteartrosi in fase algica o infiammatoria, dolore neoplastico, attacco acuto di gotta, per non oltre 3 settimane. Alla luce di queste raccomandazioni, per il trattamento del dolore cronico correlato a patologie ortopediche e reumatologiche, quale criterio segue nella scelta di un farmaco rispetto a un altro?

Vi è accordo unanime tra gli intervistati sul concetto che il trattamento con nimesulide debba essere limitato nel tempo, riservando le terapie croniche agli altri FANS. “Nella mia pratica clinica limito l’utilizzo di nimesulide a periodi brevi di trattamento; non lo considero un farmaco da terapia cronica. Per terapie più prolungate, preferisco l’impiego di altri farmaci antinfiammatori (naprossene e ibuprofene) che hanno un effetto più blando” dichiara il dott. Renato Laforgia. “L’aggiornamento della nota AIFA 66 ha finalmente chiarito come e quando utilizzare nimesulide che, nonostante il rischio di effetti collaterali anche gravi, era spesso utilizzato dai pazienti come farmaco di automedicazione e talvolta aggiunta come analgesico alla terapia con altri FANS. Inoltre, la revisione della nota AIFA 66 ha chiarito quali siano le varie classi di FANS, definendo per ciascuna classe le indicazioni terapeutiche, le modalità di utilizzo, i dosaggi e i possibili effetti collaterali” afferma il dott. Leonardo Mazzilli. “A proposito dell’utilizzo smodato di nimesulide, sono contento che si sia arrivati a una norma che ne regoli “l’abuso”; il 60% dei pazienti che visito giornalmente in ambulatorio e Pronto Soccorso riferisce di utilizzare come antidolorifico abituale nimesulide, a dosaggi a volte non convenzionali (1 bustina tre-quattro volte al giorno) e per problematiche non associate al dolore” aggiunge il dott. Antonio Spinarelli.

È da ricordare che gli inibitori selettivi delle ciclo-ossigenasi 2 (COXIB) dovrebbero essere preferiti ai FANS non selettivi se vi è un rischio elevato di patologie gastrointestinali, tenendo conto tuttavia che essi possono aumentare il rischio cardiovascolare. In merito agli eventi avversi associati all’utilizzo di inibitori COX-2selettivi (COXIB), è opportuno citare una metanalisi (Kearney et al, 2006) che ha mostrato una relazione tra il trattamento con diversi COXIB (non solo il rofecoxib già ritirato dal mercato) e l’aumento della mortalità cardiovascolare (Figura 2). “Alla luce di ciò, i COXIB dovrebbero essere preferiti ai FANS non selettivi se vi è un rischio elevato di patologie gastrointestinali, quali ulcere, perforazione o sanguinamento gastrointestinale, valutando comunque sempre il rischio cardiovascolare. In assenza di controindicazioni, l’utilizzo di FANS tradizionali a bassi dosaggi, con eventuale aggiunta di oppiacei per ridurre la sintomatologia dolorosa, è preferibile per il minore rischio protrombotico” afferma il dott. Mazzilli.

L’utilizzo di antinfiammatori ad alte dosi andrebbe dunque riservato solo alle patologie in cui il dolore ha una piena connotazione infiammatoria. “L’utilizzo di antinfiammatori in grandi quantità e per lunghi periodi di tempo non è più giustificato. Troppo spesso vediamo, invece, pazienti che utilizzano alte dosi di nimesulide per periodi prolungati anche in assenza di una componente infiammatoria, esponendosi inutilmente al rischio di effetti collaterali anche gravi” ribadisce il dott. Lorenzo Moretti.

L’utilizzo di

nimesulide deve

essere limitato a

periodi brevi di

trattamento

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figura 2. Mortalità cardiovascolare associata all’utilizzo di diversi inibitori cOX-2 selettivi in confronto al placebo. Il trattamento con un inibitore cOX-2 selettivo ha determinato un aumento di incidenza di eventi fatali (3 per 1000 pazienti/anno)

(Fonte: Kearney PM, Baigent C, Godwin J et al. Do selective cyclo-oxygenase-2 inhibitors and traditionalnon-steroidal anti-inflammatory drugs increase the risk of atherothrombosis? Meta-analysis of randomised trials. BMJ 2006;332:1302-08)

3741171214

121

22/663823/8976

3/7536/13756/748

60/18 490

19/64159/49530/4141/5841/273

30/12 639

RofecoxibCelecoxibEtoricoxibLumiracoxibValdecoxibSubtotale

Mortalità cardiovascolare

(0,3%/anno) (0,2%/anno)

A favore del COX-2 inibitore

A favoredel placebo

1,49 da 0,97 a 2,29p=0,07

0,1 0,25 0,5 1,0 2,5 5,0 10,0

Eventi pazienti/anno

N. di trialsRate ratio

COX-2 inibitore Allocati all’inibitoredella COX-2

Allocati al placebo COX-2 inibitore : placebo

“Finalmente abbiamo capito che l’abuso di antinfiammatori è pericoloso non solo per il paziente, ma anche per il medico. Troppe volte mi è capitato di sentire consigliare terapie con antinfiammatori, anche forti, telefonicamente e senza un briciolo di anamnesi, con tutti i rischi connessi a tale pratica. Gli antinfiammatori sono degli ottimi farmaci, ma servono se c’è un’infiammazione: nelle pousse infiammatorie, nelle prime fasi di versamento ed edema articolare, nell’attacco acuto di gotta sono assolutamente da utilizzare e da “cucire” sul paziente. Una volta risolto lo stato infiammatorio e permanendo uno stato algico, è molto più saggio utilizzare un analgesico” dice il dott. Spinarelli. “Utilizzo i FANS solo se gli esami dimostrano una componente infiammatoria” rimarca il dott. Pietro Rella. “In caso di malattie articolari croniche, caratterizzate da periodi di riacutizzazione dell’infiammazione, optiamo quando possibile per l’adozione di FANS tradizionali o COXIB per il giusto periodo della remissione sintomatologica; anche in questo caso, quando possibile associamo farmaci analgesici allo scopo di ridurre il periodo di utilizzo dei FANS e quindi continuiamo con la terapia analgesica” afferma il dott. Vito Simone.

Il dolore cronico correlato a patologie ortopediche e reumatologiche deve essere personalizzato per la notevole variabilità interindividuale nella risposta. “Sicuramente non è certa e prevedibile la risposta terapeutica al farmaco prescelto perché dipende dalle condizioni cliniche, metaboliche e psichiche del soggetto. È consigliabile seguire una certa successione nella somministrazione dei farmaci. La terapia deve iniziare con il paracetamolo da solo o associato a oppiacei minori o con FANS se è preminente la componente infiammatoria nell’origine del dolore nei casi non controindicati” afferma il dott. Alessandro Pansini. “In presenza di dolore cronico la scelta più giusta è quella di un oppiaceo a dosi inizialmente anche basse (5 mg di ossicodone/naloxone 2 volte al giorno), che consente di evitare gli effetti collaterali tipici dei FANS” sostiene il dott. Antonio Scarangella. “Negli ultimi due anni, nelle patologie in fase acuta ho impiegato anche antidolorifici non antinfiammatori oppiacei e ho riscontrato una buona risposta soprattutto nell’immediato. Alcuni pazienti, in particolare gli anziani, non hanno reagito bene e hanno riportato sonnolenza e dispepsia. Questa diversità nella risposta è legata probabilmente al diverso grado di tollerabilità individuale a breve

I fAnS sono

efficaci nel

dolore a

componente

infiammatoria,

ma non in

altri dolori

Il dolore cronico

è meglio trattato

dagli oppiacei,

che non hanno

gli effetti

collaterali

dei fAnS

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e lungo periodo” afferma il dott. Laforgia. “Il dolore cronico rappresenta per il paziente una patologia per sé e può non essere più associato alla causa scatenante iniziale. Talvolta infatti, i neurotrasmettitori continuano ad inviare la sensazione del dolore anche quando la causa scatenante non esiste più. Tale dolore di conseguenza non segue le normali vie sensitive, ma ha una grossolana componente neuropatica che di fatto riduce anche la soglia stessa del dolore, amplificandone i sintomi e riducendo ulteriormente la qualità di vita del paziente. In questa situazione l’utilizzo degli oppiacei minori associato all’educazione del paziente in termini di modifica dello stile di vita rappresenta il mio criterio di scelta primario” dichiara il dott. Raffaele Garofalo. “In caso di dolore neuropatico cronico riteniamo inappropriato l’utilizzo dei FANS e prediligiamo invece l’utilizzo di farmaci analgesici maggiori” ribadisce

il dott. Simone. “Nei casi di dolore: (1) già inizialmente severo, (2) resistente per più di due settimane alla terapia con paracetamolo o FANS, (3) già inizialmente di tipo neuropatico, è utile la prescrizione di oppiacei maggiori. Tra questi, l’ossicodone presenta una notevole azione analgesica e se associato al naloxone si ha un maggior controllo della funzione intestinale. È possibile aggiungere alla prescrizione una dose di farmaci “di salvataggio” quali i corticosteroidi associati talora a benzodiazepine e/o miorilassanti” aggiunge il dott. Pansini. “Spesso rileviamo nelle patologie degenerative articolari dei crolli vertebrali o nelle necrosi di segmenti scheletrici un dolore acuto che non può essere trattato con antinfiammatori o paracetamolo. In questi casi preferisco l’oppiaceo: ritengo il paracetamolo sicuro ma non efficace” dice il dott. Michele Capozzi.

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Oppiacei in ortopedia

Di fronte a un paziente con dolore cronico o acuto di pertinenza ortopedica o reumatologica, quando ritiene appropriato prescrivere un oppiaceo, tenendo conto anche di quanto previsto dalla Legge 38?

La maggioranza dei clinici intervistati riferisce di prescrivere antinfiammatori non steroidei (FANS) quando il dolore presenta inizialmente fenomeni infiammatori associati. La somministrazione è destinata ai pazienti adulti e non è protratta per più di 20 giorni, nel rispetto della nota AIFA 66. “Prescrivo invece l’oppiaceo quando non vi sono fenomeni infiammatori associati, cioè quando all’esame clinico obiettivo il ginocchio, ad esempio, non è caldo o infiammato, ma solo dolente al movimento o alla deambulazione. I pazienti in età adulta, dai 30 ai 50 anni, in genere rispondono meglio” afferma il dott. Renato Laforgia. “Ritengo gli oppiacei la scelta giusta per la loro maggiore efficacia, minore gastrolesività, migliore tollerabilità e scarsa assuefazione, in aggiunta a un effetto protratto nel tempo” dice il dott. Antonio Scarangella. “Utilizzo gli oppiacei in tutte le patologie croniche e nelle forme acute con dolore importante” dichiara il dott. Pietro Rella. “Gli oppiacei sono farmaci assolutamente appropriati, perché non sempre dove c’è dolore c’è infiammazione” aggiunge il dott. Antonio Spinarelli. “La somministrazione di farmaci oppiacei deve essere riservata a patologie ortopediche con dolore medio-severo o severo, con eccezione di quei pazienti affetti da disturbi cardiovascolari o gastrointestinali ai quali va prescritto il farmaco oppiaceo anche in caso di dolore medio” afferma il dott. Vito Simone. “Nel dolore acuto posso ricorrere all’associazione FANS con oppiaceo alla dose minima efficace perché i nostri pazienti sono spesso anziani con molte patologie associate. Per l’oppiaceo regolo il dosaggio limitatamente alle caratteristiche del paziente, in base all’intensità del dolore. Nel caso di impiego dei FANS, in particolare, tendo a limitarlo a qualche giorno. Tra gli oppiacei, trovo utile l’associazione ossicodone e naloxone” afferma il dott. Michele Capozzi.

In merito alla necessità di limitare nel tempo la terapia con FANS, va sottolineato come anche l’esposizione a tali farmaci comporti un aumento del rischio di eventi cardiovascolari anche fatali (Trelle S et al, 2011). In pazienti con storia di infarto l’incremento del rischio cardiovascolare si osserva anche per trattamenti di breve durata (Figura 3). Oltre alle limitazioni dell’AIFA sull’utilizzo di FANS (secondo la nota 66, non oltre le tre settimane), la Legge 38/2010 ha anche aperto la strada a un utilizzo più semplice e appropriato dei farmaci oppiacei. “Alla luce degli effetti collaterali di FANS e COXIB, della scarsa efficacia terapeutica antalgica del paracetamolo, delle limitazioni della nota 66 AIFA, e grazie alla Legge 38 che tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore, attualmente di fronte a un paziente con dolore di origine ortopedica o reumatologica, la prescrizione di oppiacei ci consente di alleviare il dolore e fornire una migliore qualità di vita. Inoltre, la Legge 38 ha permesso il costante adeguamento delle strutture e delle prestazioni sanitarie alle esigenze del malato, e ha promosso l’attivazione e l’integrazione delle reti di terapia del dolore e di cure palliative a livello

Gli oppiacei sono

da preferire nel

dolore non

associato a forte

componente

infiammatoria

La nota AIfA sui

fAnS e la Legge

38/2010 hanno

aperto la strada

all’uso degli

oppiacei

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regionale e nazionale. Infine, l’articolo 10 della Legge ha semplificato le procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore: per la prescrizione di farmaci per il trattamento del dolore severo può essere utilizzato il ricettario del Servizio Sanitario Nazionale” dichiara il dott. Leonardo Mazzilli. “La Legge 38 ha di fatto semplificato la prescrizione dei farmaci oppiacei. Come conseguenza, nel dolore acuto di pertinenza ortopedica o reumatologica tendo normalmente ad associare i FANS con gli oppiacei a seconda della gravità. Questa strategia consente di evitare alti dosaggi di FANS e quindi di limitarne gli effetti collaterali. Per quanto attiene invece al dolore cronico, si deve tener conto che spesso si tratta di trattamenti farmacologici di lunga durata e quindi gli effetti collaterali possono essere importanti soprattutto nei pazienti anziani” afferma il dott. Raffaele Garofalo. “Il dolore rappresenta uno dei principali problemi sanitari dei nostri giorni a livello mondiale, sia per l’invecchiamento della popolazione, sia per l’aumento delle patologie cronico-degenerative. La Legge n. 38 del 15 marzo 2010 semplifica la prescrizione dei medicinali per il trattamento dei pazienti affetti da dolore severo. Per la prescrizione dei farmaci oppiacei, infatti, i medici dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale non devono più ricorrere al

ricettario speciale. La legge disciplina inoltre la necessità dell’appropriatezza prescrittiva che coinvolge il personale sanitario: è obbligatorio infatti monitorare il dolore dei pazienti a prescindere dalla patologia per la quale vengono ricoverati, allo stesso modo con cui si registra, ad esempio, temperatura o pressione arteriosa, e la rilevazione del dolore e la somministrazione di farmaci antalgici dovranno essere annotate sulla cartella personale con tanto di dosaggi e risultati raggiunti. La Legge 38 del 2010, pertanto, oltre a sottolineare la possibilità per il medico di prescrivere farmaci per il trattamento del dolore, fornisce gli strumenti per una prescrizione appropriata” rimarca il dott. Alessandro Pansini.

Purtroppo persistono ancora alcune resistenze, soprattutto tra i medici generalisti e i farmacisti, alla prescrizione di oppiacei effettuata dallo specialista. “La Legge 38 ha permesso di semplificare l’accesso ai farmaci per il dolore e agli oppiacei. Tutti devono comprendere che è una categoria di farmaci che, se ben utilizzata, migliora la vita del paziente evitando complicanze per lui e per il medico che prescrive. E i primi che dovrebbero capirlo sono i medici di base, altrimenti si rischia di perdere la fiducia del paziente!” sostiene il dott. Lorenzo Moretti. “La Legge 38 facilita l’accesso a questo tipo di farmaci, ma

Esistono ancora

resistenze nella

medicina del

territorio all’uso

di oppiacei

figura 3 . Tassi di incidenza di mortalità/infarto miocardico ricorrente per 1000 pazienti/anno a seguito del trattamento con fAnS. L’aumentato rischio è indipendente dalla durata del trattamento

1

0,7

0,5

0,3

0,6

0,4

0,2

Settimane

Incid

enza

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00 pa

zient

i/ann

o

0,8

2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

Incidenza nell’interapopolazione studiata

(Fonte: Schjerning Olsen AM, Fosbøl EL, Lindhardsen J et al. Duration of Treatment With Nonsteroidal Anti-Inflammatory Drugs and Impact on Risk of Death and Recurrent Myocardial Infarction in Patients With Prior Myocardial Infarction: A Nationwide Cohort Study. Circulation. 2011;123:2226-2235)

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è il nostro pensiero che deve cambiare. Spesso e volentieri dopo avere prescritto un oppiaceo al nostro paziente, egli ci richiama perché il suo medico o il farmacista gli hanno detto: «lo specialista ti ha prescritto uno stupefacente, stai attento». Se non superiamo questa incomprensione culturale, i nostri pazienti avranno sempre più dolore e saranno sempre più spaventati. Abbiamo il dovere di migliorare la qualità della vita delle persone e lo dobbiamo fare con tutti i mezzi oggi a nostra disposizione” ribadisce il dott. Spinarelli. “Noi medici italiani siamo sempre stati piuttosto

restii a prescrivere farmaci oppiacei per via del nostro retaggio culturale e per paura di effetti collaterali ivi compresa la dipendenza. Dobbiamo superare tali paure per evitare inutili sofferenze al paziente. La Legge 38 del 15 marzo 2010 assicura al paziente il diritto di accedere a queste cure. È opportuno che le nuove generazioni di medici siano scevre da pregiudizi nella prescrizione di farmaci oppiacei, pur tenendo presente i limiti e gli effetti collaterali di tale terapia in osservanza alle leggi in vigore” aggiunge il dott. Simone.

Bibliografia

Trelle S, Reichenbach S, Wandel S et al. Cardiovascular safety of non-steroidal anti-inflammatory drugs: network meta-analysis. BMJ 2011;342:c7086.

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La consulenza del terapista del dolore e l’approccio integrato tra ortopedico e algologo

Nei pazienti affetti da patologie osteoarticolari con prevalente componente dolorosa, ritiene utile l’integrazione delle competenze tra l’ortopedico e lo specialista algologo?

Solitamente, la consulenza del terapista del dolore viene richiesta in campo ortopedico solo in caso di inefficacia delle terapie correnti, in caso di dolore acuto persistente o in presenza di un dolore cronico che presenti evidenti controindicazioni al trattamento chirurgico. Alcuni intervistati ritengono fondamentale l’integrazione con l’algologo, anche se molto spesso tale interazione è resa difficile dalla mancanza di personale o dalla lontananza dei Centri di riferimento. Tuttavia, l’interazione tra clinici di differenti realtà rappresenta una forma di crescita culturale molto rilevante per tutti i curanti che si occupano di dolore nella propria pratica professionale.“La consulenza del terapista del dolore è richiesta se la terapia non è efficace e se, nonostante ci sia l’indicazione, non c’è volontà da parte del paziente di sottoporsi all’intervento chirurgico. Nel caso della gonartrosi con indicazione protesica, in cui la sintomatologia dolorosa è persistente ma si è nell’impossibilità di effettuare l’intervento, chiediamo di prassi la consulenza al terapista del dolore“ afferma il dott. Renato Laforgia. “Ritengo fondamentale la collaborazione con il terapista del dolore, in particolare per i pazienti che hanno patologie associate per le quali vi è una controindicazione a eseguire un intervento chirurgico, e che sono di conseguenza destinati a un trattamento farmacologico di lungo termine. Spesso infatti, abbiamo a che fare con pazienti anziani con patologie associate, cardiovascolari in primis. Inoltre, qualora la terapia del dolore attuata non sia efficace, è ancor più indispensabile la consulenza del medico specialista algologo, essenziale per l’inquadramento diagnostico. In questi casi il terapista del dolore può dare un contributo rilevante alla gestione del dolore del paziente” aggiunge il dott. Raffaele Garofalo. “Nel nostro Presidio Ospedaliero abbiamo delle ottime Unità Operative sia di terapia del dolore che di radiologia interventistica, con le quali c’è un confronto quotidiano allo scopo di risolvere, con le rispettive professionalità, i problemi del paziente. Sarebbe auspicabile che questo confronto potesse essere sempre più utilizzato, e a questo scopo sarebbe consigliabile l’attuazione di incontri interdisciplinari per l’elaborazione di comuni strategie terapeutiche da inserire all’interno di linee guida che possano essere di aiuto per le nuove generazioni di operatori sanitari” afferma il dott. Vito Simone. “La collaborazione specialistica è sempre importante e opportuna. Purtroppo, la scarsa presenza nel territorio di Centri per la terapia del dolore non consente all’ortopedico di tutelare totalmente il diritto del cittadino ad accedere alla terapia del dolore come promulgato dall’articolo 1 della Legge 38 del 2010. La possibilità di prescrivere i farmaci oppiacei ha notevolmente migliorato il nostro approccio alla terapia del dolore” aggiunge il dott. Alessandro Pansini. “La consulenza di un terapista del dolore, utile nella patologie osteoarticolari con notevole componente dolorosa, può essere posticipata se il medico specialista in ortopedia conosce bene il dolore e tutte le sue possibilità terapeutiche. Inoltre, il curante deve

L’intervento del

terapista del

dolore in caso di

dolori persistenti o

terapia inefficace

In caso di

controindicazioni

alla chirurgia,

l’algologo può

aiutare nella

gestione del

dolore cronico

nel dolore

refrattario alle

terapie tale

interazione appare

indispensabile

La lontananza

dei centri di

riferimento

può rendere

complessa questa

collaborazione

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sapere che grazie alla Legge 38 l’utilizzo di oppiacei è oggi consentito senza le precedenti limitazioni, e quindi, insieme alla conoscenza e alla corretta valutazione del dolore, consente a uno specialista ortopedico, reumatologo o fisiatra che si occupa di dolore, di trattare e curare in modo adeguato e corretto il paziente che soffre“ afferma il dott. Leonardo Mazzilli. “Ricorro allo specialista solo se è necessario utilizzare tecniche invasive” dichiara invece il dott. Pietro Rella. “Normalmente non chiedo consulenze. Cerco di capire quale possa essere il farmaco giusto per quel paziente e cambio strategia qualora quella iniziale non vada bene. Ove non riesco con le mie competenze, invio il mio assistito a uno

specialista del dolore” dichiara anche il dott. Lorenzo Moretti. “Cerco di trattare il paziente al meglio delle mie competenze; è per questo motivo che ritengo l’aggiornamento professionale condicio sine qua non per un alto livello di assistenza e competenza verso il malato. Nel momento in cui dovessi rendermi conto che non riesco a trattare il dolore con le mie competenze, ritengo “culturalmente onesto” rivolgermi a un collega che ne sappia più di me” rimarca il dott. Antonio Spinarelli. “Anche l’introduzione di master universitari sono il segno che nella formazione corretta si può avere già un migliore approccio al trattamento del dolore in ortopedia” conclude il dott. Michele Capozzi.

Il medico

dovrebbe essere

comunque

preparato ad

affrontare il

dolore nelle sue

varie forme

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Edito da

Con il contributo incondizionato di

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