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DM 199. 3° Corso Internaz. Biotec. Riprod. Bufala, Caserta, 8.X.1997 Bubalus Bubalis 4, supplemento (2), 269-304, 1998
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3. CORSO INTERNAZIONALE SULLE
'BIOTECNOLOGIE DELLA RIPRODUZIONE NELLA BUFALA'
SOTTO GLI AUSPICI
'V CONGRESSO MONDIALE SUL BUFALO'
E "BICENTENARIO DELLA FACOLTA' DI MEDICINA
VETERINARIA, UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI NAPOLI
'FEDERICO II'"
Caserta, 9 ottobre 1997 'Centro Sociale S. Antonio'
"Biotecnologie e Miglioramento genetico"
Donato Matassino1-2 e Giancarlo Rossi3
Sommario
1. Introduzione. 2. Biotecnologia. 3. Agroecosistema. 3.1. Settore 'produzione
animale'. 3.1.1. Transgenia. 3.1.2. Clonazione. 4. Miglioramento genetico.
4.1. Biodiversità. 4.2. Problematica. 4.3. Latte. 4.3.1. Controlli funzionali. 4.3.2.
Prove di progenie. 4.3.3. Qualche schema di selezione. 4.4. Carne.
4.5. Impostazione sistemica. 5. Conclusioni. 6. Opere Citate.
1 Cattedra di Miglioramento genetico degli animali in produzione zootecnica - Dipartimento di Scienze zootecniche - - Università degli Studi di Napoli 'Federico II' - 80055 Portici (NA) - Italia. Tel. (+39 81) 775/3031/3058/2622/3514- Tf. (+39 81) 7762886; email: [email protected]
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2 Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative (ConSDABI) - National Focal Point italiano presso la FAO (NFP.I - FAO) per la salvaguardia del germoplasma animale in via di estinzione - - Azienda Casaldianni - 82020 Circello (BN) - Italia. Tel. (+ 39 824) 938211- Tf. (+39 824) 938213; email: [email protected]; [email protected]; internet: http.//www.peoples.it/consdabi 3 Istituto sperimentale per la zootecnia, Ministero delle politiche agricole - 00016 Monterotondo (RM) - Italia. Tel. (+39 6) 900901- Tf. (+39 6) 9061541; email: [email protected]
1. Introduzione
Le produzioni animali tendono a realizzarsi sempre di piú in un ecosistema
culturale e sempre meno in uno naturale. Il primo è caratterizzato dalle stesse
componenti (fisiche, chimiche, biotiche e psicosociali) del secondo con l'aggiunta di
quella antropica che diverrà sempre piú determinante (Matassino, 1984b). Infatti,
l'animale in produzione zootecnica è divenuto sempre piú membro 'subordinato'
entro l'agro-ecosistema culturale in cui è l'uomo che, fra l'altro, stabilisce:
(a) l'indirizzo produttivo
(b) il sistema di tenuta
(c) la dieta alimentare
(d) la programmazione degli accoppiamenti
(e) l'orientamento della variabilità genetica con l'impiego di determinati
sistemi di accoppiamento (esincrocio e/o inincrocio) o deviazioni dalla panmissia
(f) ecc..
E' stata sempre una naturale aspirazione dell'uomo quella di dominare e di
utilizzare i fenomeni biologici. Senza entrare nel merito della problematica
metafisica, all'uomo sono state date la possibilità e la capacità di scoprire
continuamente le meravigliose leggi che regolano gli eventi naturali, qualunque sia
l'universo interessato: da quello biotico a quello fisico a quello chimico a quello
psichico. E' ancora dote dell'uomo la perspicacia di saper individuare e definire i
limiti dell'utilizzazione di queste scoperte al fine di non determinare guasti
irreversibili dalle conseguenze imprevedibili. L'uomo non può dimenticare che è il
suo determinismo 'intelligente' che lo distingue fondamentalmente da tutti gli altri
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esseri viventi la cui vita è prerogativa, invece, del determinismo 'genetico'
(Matassino, 1988a).
2. Biotecnologia
La trattazione non potrà che essere fortemente sintetica e settoriale, in quanto
sarebbe mera presunzione ritenere che si possa riferire sull'incommensurabile scibile
della cosiddetta 'biotecnologia'.
Prima di entrare nel merito dell'argomento, non è superfluo soffermarsi un
attimo sul significato di 'biotecnologia'.
Biotecnologia è una parola composta da: 'bio' che nella terminologia scientifica
significa 'vita' o 'essere vivente', 'tecno' e 'logia' che etimologicamente derivano da
τεχυη = 'arte' e da λογοs = 'discorso', rispettivamente; pertanto, trattasi dello
studio delle applicazioni di processi biologici nel campo della tecnica.
Comunemente, ma non è corretto, con il termine biotecnologia si intende:
'utilizzazione progettuale di sistemi biologici per ottenere beni e servizi' o
'utilizzazione industriale di sistemi o processi biologici al fine, non solo di
migliorare le produzioni, ma anche di ottenere sostanze e composti nuovi e di
rendere possibili progetti in grado di rivoluzionare parecchi aspetti della nostra
società in continua trasformazione'; società che deve essere considerata nella sua
poliedrica struttura proiettata oltre il 2000.
Tra i grandi problemi che stanno emergendo, indubbiamente quelli propri dei
nuovi assetti della comunità di uomini, legati all'individuazione e alla utilizzazione
delle biotecniche innovative (BI) e al ruolo determinante che queste svolgeranno,
meritano sempre di piú un'attenzione e un interesse non piú epidermici.
Indiscutibilmente, il futuro dei nuovi equilibri, che caratterizzeranno la società del
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divenire, sarà sempre piú influenzato dall'uso delle BI al fine di risolvere la
poliedrica e caleidoscopica realtà in cui l'essere vivente, uomo compreso, è inserito.
Una breve analisi storica sull'evoluzione delle BI è quella riportata da Taranto
(1987), che distingue i seguenti cinque periodi:
(a) 'pre-Pasteur Era', nel corso del quale le biotecniche applicate in
campo medico e nella preparazione di cibi e bevande fermentate erano basate su
tradizioni e metodiche che si tramandavano nel tempo come componenti di una
cultura popolare diffusa e abituata piú a descrivere che a interpretare i fenomeni di
cui era spettatrice;
(b) 'Pasteur Era', caratterizzato dalla scoperta da parte di Louis Pasteur
dell'attività microbica come agente attivo della fermentazione; in tale periodo le
biotecniche hanno compiuto un significativo passo verso la corretta interpretazione
dei fenomeni biologici anche se le applicazioni erano basate su conoscenze
empiriche
(c) 'Antibiotic Era', durante il quale si sono avuti i migliori risultati della
ricerca biologica e, segnatamente, la comprensione (i) della capacità catalizzatrice
degli enzimi e (ii ) della connessione tra geni ed enzimi, nel senso che un enzima è
codificato da un unico gene; ciò ha permesso lo sviluppo dell'industria farmaceutica
(produzione di penicillina, altri antibiotici, vaccini, ormoni steroidei, ecc.) grazie
anche allo sviluppo parallelo di altre discipline come la biochimica e l'ingegneria di
processo
(d) 'post Antibiotic Era', caratterizzato da un'ampia conoscenza della
capacità dei microrganismi di produrre una grande varietà di metaboliti ed enzimi;
questi ultimi sono stati utilizzati anche per un uso detergente e per la trasformazione
enzimatica su scala industriale del glucosio e del fruttosio; inoltre, in tale periodo, si
è avuta la produzione, in grande quantità, di microrganismi per l'alimentazione
animale (SCP = single cell protein = proteina della singola cellula ) e il ritorno alla
produzione di etanolo per uso combustibile attraverso processi di fermentazione
(cereali, ecc.) dovuto all'aumento dei prezzi del petrolio
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(e) 'new Biotechnology Era', il quale ha origine dalla scoperta del codice
genetico del DNA e della tecnica di introduzione di geni, ovvero la tecnica del DNA
ricombinante.
Le biotecniche possono avere come obiettivo: 'innovazioni di prodotto' e/o
'innovazioni di processo' a seconda che l'obiettivo finale sia la differenziazione del
prodotto o la modifica del sistema di produzione.
Questa distinzione è di fondamentale importanza al fine di definire chiaramente
l'obiettivo che si vuole raggiungere. Non è superfluo mettere in evidenza che esiste
una notevole compatibilità nel perseguire contemporaneamente questi due obiettivi
allo scopo di migliorare continuamente il livello di ottimizzazione del sistema
produttivo animale. Il futuro di tale sistema sarà proprio l'assidua e l'incessante
individuazione di livelli ottimali dinamici del sistema produttivistico al quale siamo
ora interessati (Matassino, 1988a). Sempre secondo questo Autore, le BI vanno
considerate come la condizione necessaria, specialmente nel lungo periodo, per
qualsiasi processo di sviluppo economico generale e specifico. Infatti, grazie a
queste innovazioni, sarà possibile produrre non solo di piú, ma quasi certamente a
rendimenti crescenti per unità animale, oltre che temporale. L'era delle BI può essere
considerata alla stregua di quelle che caratterizzano le innovazioni 'industriali' e che
vengono definite rivoluzioni 'industriali'. Queste 'rivoluzioni', per la loro
caratterizzazione ciclica di lungo periodo, sono state definite da Schümpeter 'cicli
Kondratieff', in omaggio all'economista russo che li aveva teorizzati negli anni venti.
Si ritiene che negli ultimi due secoli vi siano state quattro rivoluzioni 'industriali': la
prima (fine 1700÷1850), caratterizzata dalla diffusione della macchina a vapore per
usi fissi; la seconda (seconda metà del secolo scorso) è dominata dalla macchina a
vapore per usi mobili (treno e nave); la terza (prima metà del nostro secolo) è
interessata da una maggiore varietà di innovazioni (elettricità, motore a scoppio,
chimica, ecc.); la quarta (dopo il 1950) è trainata dall'elettronica. Possiamo ora
ipotizzare che la quinta rivoluzione 'industriale' sarà caratterizzata dall'impiego delle
BI in un vasto campo della vita produttiva. Grazie a questo nuovo 'ciclo
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Kondratieff' sarà possibile raggiungere elevati gradi di differenziazione nella
produzione di beni che andranno a soddisfare esigenze tra loro affini, ma sempre
meno identiche, con una tendenza alla prevalenza di economie di 'specializzazione'.
Si può ritenere che, oggi, i diversi impulsi (militari, scientifici, di mercato, costi di
produzione, ecc.) sono legati fra loro da interazioni e da connessioni varie e,
pertanto, non vi sarebbe una netta prevalenza di uno sull'altro. In ultima analisi,
possiamo ritenere che le BI, dando origine a innovazioni di processo e/o di prodotto,
consentono di ridurre i costi e di accrescere l'efficienza di rendimento dei fattori di
produzione.
Una caratteristica peculiare della biotecnologia è la sua forte natura
interdisciplinare, per cui vi è un vero e proprio coinvolgimento di settori
notevolmente distanti fra di loro (figura I).
La biotecnologia 'avanzata' ha aperto un nuovo campo di espansione
produttiva, specialmente per i paesi industrializzati: notevoli saranno le possibilità di
migliorare i processi produttivi e di arricchire la gamma dei prodotti nei prossimi
lustri. Queste possibilità possono essere paragonate a quelle che, qualche anno fa,
hanno interessato il settore dell'elettronica e dell'informatica.
Si può ritenere che l'applicazione delle biotecniche risalga a subito dopo la
comparsa dell'Homo sapiens sul pianeta terra (circa 300-400 mila anni fa) con la
produzione di cibi ottenuti da una serie di fermentazioni (vinificazione,
panificazione, trasformazione per migliorare la conservazione, ecc.). Infatti, i nostri
progenitori iniziarono a utilizzare, forti solo della loro esperienza, prodotti naturali
(animali e/o vegetali) per ottenere altri (bevande alcoliche, derivati del latte, ecc.),
impiegando tecniche basate sulla gestione di processi biologici (Matassino, 1988a).
In futuro, le BI potranno contribuire in maniera determinante al miglioramento
della qualità della vita attraverso la fornitura di beni e di servizi.
In prospettiva, come negli altri settori produttivi, anche in quello
dell'agroecosistema la produzione di beni e di servizi non potrà che beneficiare
positivamente di un largo uso dei risultati derivanti dalle ricerche biotecnologiche.
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Queste ricerche permetteranno di risolvere una pletora di problemi e di ridurre, a
regime, i costi di produzione per unità di prodotto ottenuto. In questo contesto, si
ritiene che, se vi sarà un ragionato uso delle BI, verranno meno tante perplessità che
ora - giustamente - sono culturalmente causa di tanta confusione, di forti dubbi e di
quasi innata diffidenza.
Proprio l'agroecosistema potrà essere, nel medio-lungo periodo, uno dei
maggiori settori produttivi di applicazione di BI e ciò nel pieno concetto di un suo
sviluppo 'ecocompatibile' o 'ecosostenibile'. E' noto che questo nuovo futuro
orizzonte dell'attività agricola si fa coincidere con una produzione rispettosa delle
risorse disponibili e dell'ambiente. Logicamente, l'approccio biotecnologico non
potrà che essere variegato e peculiare degli innumerevoli microambienti di cui è
costituito il pianeta terra.
Le continue acquisizioni sulla conformazione del materiale genetico, con
particolare riguardo alla topologia del DNA e dell'RNA, e soprattutto l'universalità
della loro composizione in tutti gli organismi, mentre da un lato hanno permesso di
spiegare alcune leggi della trasmissione ereditaria, stanno altresí rendendo possibili
manipolazioni del materiale genetico che fino a pochi anni fa non erano certamente
proponibili, con concrete prospettive di incoraggianti risultati a breve o a medio
termine. Queste acquisizioni nel campo del funzionamento dei meccanismi
molecolari, che presiedono al verificarsi delle diverse attività di un organismo
vivente, forniscono al biologo, in senso lato, gli elementi potenziali per modificare,
quasi a suo totale piacimento, la combinazione dei componenti critici, cioè quelli
semantici, di un dato programma biologico. Grazie a queste manipolazioni, sarà
possibile ottenere versioni di esseri viventi non presenti in natura o che per esserlo
dovrebbe verificarsi una serie di combinazioni ambientali e biologiche, non
facilmente prevedibili (Matassino, 1988a).
Con l'avanzare delle conoscenze sui meravigliosi meccanismi fondamentali che
regolano la vita, specialmente a livello di 'fisiologia' del gene, si potranno
individuare nuovi processi produttivi e/o nuovi prodotti utili a soddisfare le
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dinamiche esigenze dell'uomo considerato entro la sua categoria demografica
(grafici I e II).
Non sembri una contraddizione, ma, grazie all'uso di BI, sarà possibile
affrontare e risolvere la complessa problematica della tutela della biodiversità
connessa alla salvaguardia e alla moltiplicazione del germoplasma in via di
estinzione. Forti sono oggi l'attenzione e l'operosità delle Organizzazioni
intergovernative (Inter-Governmental Organizations - IGOs), quali la FAO e la
UNEP e delle Organizzazioni non governative (Non Governmental Organizations-
NGOs), quale ad esempio l'EAAP, nei confronti di queste problematiche per i loro
riflessi sia sulle possibilità di sviluppo di vaste aree depresse socio-economicamente
sia per ridurre fortemente i fenomeni di desertificazione connessi, fra l'altro, a un
pericoloso trend di riduzione della biodiversità. Non è e non sarà possibile alcun
progresso nell'uso di BI ai fini produttivistici se continuasse la tendenza attuale di
perdita di biodiversità (Matassino et al., 1993c).
Si stima che le biotecnologie nei diversi settori produttivi raggiungeranno, nel
2000 e nel 2005, uno sviluppo tale che comporterà:
(a) un 'turnover' totale intorno ai 60 e ai 150 miliardi di dollari,
rispettivamente
(b) un aumento degli addetti: 500 mila e un milione, rispettivamente
(c) un 'turnover' nel comparto: (i) della 'sanità' di circa 35 e 70 miliardi di
dollari, rispettivamente; (ii ) dell''agroecosistema' di circa 15 mila e 50 miliardi di
dollari, rispettivamente.
La tabella I riporta alcuni elementi conoscitivi inerenti all'industria
'biotecnologica'.
Alcuni aspetti strutturali dell'industria 'biotecnologica' sono riportati nella
tabella II. Il Giappone, raggiunge, da solo, livelli di grande interesse, specialmente in
una visione di sviluppo del primo decennio del terzo millennio. In termini di
investimento, le nuove imprese hanno raggiunto valori di circa 3.500 milioni di
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dollari negli USA per l'anno 1995 e solo di 200 milioni di ECU in Europa per l'anno
1994.
Possiamo ritenere che, a oggi, le BI abbiano contribuito piuttosto modestamente
alla soluzione di problemi connessi al disinquinamento ambientale. Tuttavia, stanno
emergendo biotecniche ambientali che possono essere considerate 'innovative' e
interessanti per una loro applicazione nel favorire il ripristino di condizioni
ambientali piú consone al raggiungimento di un accettabile livello di 'benessere'
(welfare).
3. Agroecosistema
Si diceva recentemente (Matassino, 1997b) che, considerando specificamente
il comparto 'agro-alimentare', attualmente l'introduzione di BI è stata inferiore a
quella ipotizzata alla fine degli anni '80. Questo rallentamento può essere attribuito:
(a) in parte alla tradizionale tendenza a un certo sano 'protezionismo'
dell'esistente e/o dell'uso di processi produttivi 'antichi' fortemente consolidati
(b) in parte a una legislazione ovviamente 'precauzionale' da parte dei Paesi,
specialmente occidentali, con un livello di sviluppo socio-economico elevato;
infatti, questo comportamento trova una sua logica giustificazione nella necessità di
dover controllare l'intera catena (dal produttore al consumatore) di un prodotto
ottenuto con l'uso di BI e destinato all'alimentazione umana e/o a quella animale.
Questa tendenza 'restrittiva' sta gradatamente diminuendo, ma ciò non deve
indurre a pensare che si possa fare a meno dell'attuazione di certi controlli su
prodotti destinati all'alimentazione umana e/o animale.
L'applicazione su larga scala di alcune BI aumenterebbe enormemente le
possibilità di miglioramento quanti-qualitativo delle produzioni animali e di quelle
vegetali, nonché della loro trasformazione, con prospettive veramente entusiasmanti.
Sicuramente, la proposta (A-4-0222/97) di direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio sulla "protezione giuridica delle innovazioni biotecnologiche" [COM
(95) 0661 C4 - 0063/96 e 0350/95 (COD)] approvata nella seduta del 16 luglio 1997
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contribuirà notevolmente sia a razionalizzare che a stimolare la ricerca
biotecnologica e il trasferimento operativo dei relativi risultati; tuttavia, questa
direttiva è foriera di gravi preoccupazioni sul piano sia etico che biologico per
quanto concerne la prevista totale liberalizzazione della brevettabilità del DNA o di
sue componenti.
3.1. Settore 'produzione animale'
Secondo Matassino (1989b), l'uso delle BI sta influenzando l'organizzazione
produttiva animale specialmente per quanto concerne:
(a) il miglioramento genetico, con particolare riguardo alla compatibilità fra
tempo genetico e tempo economico
(b) la gestione delle risorse alimentari esistenti e future ottenibili con l'uso
di BI applicabili negli altri settori produttivi specifici
(c) la collocazione geografica delle attività di allevamento degli animali in
produzione zootecnica, specialmente per quanto concerne il dualismo
allevamento intensivo o allevamento estensivo e l'utilizzazione delle risorse
alimentari delle regioni cosiddette 'difficili'
(d) la strutturistica dell'unità produttiva zootecnica e la dinamica
dell'impresa zootecnica
(e) le strategie di produzioni di qualità, attesa la sempre crescente
domanda del consumatore di un prodotto dalle definite caratteristiche 'nutrizionali'
in un contesto culturale tanto diversificato regionalmente sul pianeta terra, compresi
gli auspicati Stati uniti di Europa
(f) il ruolo e la funzione dell'imprenditore zootecnico
(g) l'individuazione di modelli di produzione adatti alla dinamica e alle
differenti realtà produttive per una meno errata gestione delle risorse genetiche
animali indigene, di quelle idriche e di quelle del suolo
(h) l'uso delle BI consentirà di modificare, anche profondamente, la
composizione del latte; tenendo conto della diversa destinazione nell'utilizzazione
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del latte (consumo diretto, trasformazione casearia, frazionamento industriale, ecc.) e
delle mete nutrizionali, non è piú sufficiente conoscere del latte: (i) il suo contenuto
proteico totale, ma occorre sapere il valore delle proteine e, possibilmente, la loro
qualità e quantità; (ii ) il suo contenuto lipidico totale, ma occorre, determinare la
composizione in acidi grassi, considerata l'enorme importanza che riveste il
rapporto acidi grassi saturi / acidi grassi insaturi ai fini nutrizionali.
Alcune BI sono già una realtà e non presentano problemi particolari; altre,
implicanti modificazioni profonde dell'organizzazione del sistema biologico, sono
ancora in fase di studio e sono oggetto di sperimentazione, ma si ritiene che nel giro
di pochi anni potranno diventare operative.
Oggi, grazie alla tecnica dell'ingegneria genetica, è possibile manipolare, a
volontà, il DNA nel senso che esso può essere frantumato, modificato, ricostituito e
prodotto in un numero infinito di copie giungendo, quindi, alla cosiddetta
'clonazione dei geni'. Per effetto di questa manipolazione, il corrispondente RNA è
in grado di sintetizzare molecole proteiche dalla composizione desiderata.
Lo schema I riporta alcuni obiettivi della ricerca biotecnologica nel settore
delle produzioni animali.
Per un approfondimento sull'uso di BI nel settore delle produzioni animali si
rinvia a: Matassino (1988a e b, 1989a, 1990b); Madan (1993); Matassino et al.
(1993a); Zicarelli et al. (1993 e 1996); Matassino e Cappuccio (1995 e 1997); Polge
(1995); Seren e Bacci (1995); Russo et al. (1996).
Accenneremo, brevemente, alla transgenia e alla clonazione, in quanto alcune
delle BI riportate nel predetto schema sono trattate specificamente da parte di altri
docenti.
3.1.1. Transgenia
Questa BI racchiude in sé un potenziale ancora tutto da scoprire in quanto
essa può modificare profondamente il sistema produttivo zootecnico analogamente a
quanto si ha nel settore vegetale.
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Numerosi problemi devono essere risolti tra cui, segnatamente si ricordano: la
casuale integrazione del DNA esogeno nel DNA dell'ospite che, in taluni casi,
determina: fenomeni di mutagenesi inserzionale, modificazioni della fisiologia e
morfologia dei transgeni in seguito all'espressione dei geni in distretti cellulari in cui
ciò normalmente non avviene, ecc..
Questi incontrollabili eventi costituiscono barriere all'applicazione
dell'ingegneria genetica nell'allevamento animale.
La notevole importanza scientifica ed economica degli animali domestici
'transgenici' è recepita ormai da un numero sempre crescente di studiosi, ricercatori
e operatori e costituirà una spinta innovativa verso un nuovo modo di concepire il
miglioramento genetico degli animali in produzione zootecnica alle soglie del XXI
secolo.
Nelle specie in produzione zootecnica lo scambio interspecie modificherà in
futuro il profilo quanti-qualitativo delle produzioni animali. Al momento, i problemi
che si pongono al ricercatore sono quelli della scelta di geni utili, del loro
isolamento, della loro eventuale modifica e del controllo della loro espressione negli
animali transgenici.
Indubbiamente la possibilità di ottenere individui con nuove combinazioni
geniche consente di disporre di animali non presenti in natura per una serie di
barriere non superabili attraverso la via riproduttiva 'naturale'. Un esempio estremo
è quello della 'costruzione' di piante transgeniche che hanno incorporato nel loro
patrimonio genetico i geni di pesci viventi in acque artiche o antartiche.
Per un approfondimento di alcune problematiche e di alcuni risultati operativi
si rinvia a: Land e Wilmut (1987), Matassino (1988a), Bremel (1993), Bleck et al.
(1995), Lavitrano et al. (1995) e Velander et al. (1997).
3.1.2. Clonazione
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La clonazione ha suscitato nel mondo scientifico e operativo notevole interesse
in quanto potrebbe costituire una strategia per raggiungere con maggiore velocità
determinati obiettivi genetici e operativi da parte delle imprese zootecniche.
La produzione di animali identici (Matassino, 1996, 1997a) di elevato valore
genetico porterebbe a un progresso genetico maggiore rispetto a quello ottenibile,
ad esempio, con la sola inseminazione strumentale, come può rilevarsi dallo schema
seguente riguardante i bovini da latte:
biotecnica progresso genetico
solo inseminazione strumentale (IS) 100
IS + predeterminazione del sesso (PS) 115
IS + trasferimento embrionale (TE) 134
IS + PS + TE 149
IS + trasferimento nucleare (TN) 159
IS + PS + TN 174
L'importanza di altre BI, ai fini del miglioramento genetico, sarà evidenziata
successivamente.
I risultati ottenibili porterebbero a innovazioni di processo e di prodotto per il
miglioramento quali-quantitativo delle produzioni animali, contribuendo a fornire
alle imprese zootecniche interessanti strumenti operativi capaci di aumentare il loro
grado di competitività (Matassino, 1988a e b).
Altre considerazioni, quali una previsione meno errata dei costi di produzione e
dei controlli delle prestazioni riproduttive e produttive, dovute alla dottrinale
uniformità genetica degli individui clonati entro la linea di produzione, potrebbero
costituire un ulteriore incentivo a investire fondi per ottimizzare questa biotecnica
innovativa.
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L'impiego del TN, come biotecnica per la tutela e per la moltiplicazione dei tipi
genetici in via di estinzione o di popolazioni a limitata diffusione, risulta
estremamente importante, se non irrinunciabile.
Probabilmente, la clonazione sarà, almeno per diversi anni, la strategia da
sviluppare e da impiegare per l'utilizzazione del potenziale produttivo delle risorse
genetiche autoctone animali ai fini, anche, dell'ottenimento di alimenti per l'uomo in
grado di contribuire, non secondariamente, alla soluzione della complessa
problematica delle controversie nutrizionali; problematica che sarà sempre piú
attuale con la variazione in atto e futura della struttura demografica umana.
La disponibilità di cloni geneticamente identici permetterà di studiare gli effetti
di una vasta gamma di fattori ambientali sulle prestazioni riproduttive e
produttive degli animali in produzione zootecnica e, quindi, di suggerire agli
imprenditori zootecnici soluzioni ottimali in relazione a differenti microambienti di
allevamento.
Le cellule coltivate da trasferire in citoplasti possono essere utilizzate per
produrre soggetti transgenici che, a loro volta, potranno essere clonati. Questa linea
operativa potrà svolgere un ruolo importante per la produzione sia di organi da
trapiantare sia di molecole di elevato valore biologico per l'uomo. Una grande
disponibilità di cellule embrionali staminali (embryonic stem, ES) costituisce una
naturale opportunità per modificare alcune funzioni genetiche degli animali in
produzione zootecnica al fine di aumentare il livello produttivo di questi ultimi.
Se la ricerca dovesse evidenziare l'assenza di effetti negativi sulla durata della
vita riproduttiva e produttiva di cloni nati da cellule somatiche differenziate di
soggetti dalle prestazioni note, sarà possibile incrementare la replicazione dei
soggetti piú produttivi.
Un clone, cosí come oggi viene prodotto, non è il frutto di una manipolazione
genetica.
Con il procedere delle conoscenze, si stanno rilevando profonde differenze
comportamentali biologiche fra le specie studiate, per cui non si può
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aprioristicamente supporre che i risultati ottenuti in una specie siano trasferibili 'tout
cour' a un'altra specie.
Le tabelle III, IV e V riportano alcuni risultati sull'impiego della clonazione.
Fra i tanti, qualche interrogativo sorto (Matassino 1997a) con l'ottenimento del
'clone' ovino 'Dolly' (Wilmut et al., 1997) per trasferimento di una cellula somatica
(dal fenotipo ignoto) di una pecora dell'età di 6 anni può essere sintetizzato come
segue:
(a) si potranno avere differenze nell'ottenimento di cloni in relazione al
sesso del donatore?
(b) l'età del/la 'donatore/trice' potrà influenzare l'attesa di vita di un clone?
(c) in che misura il genoma svolge un ruolo di programma e/o di 'archivio
d'informazioni'? pertanto, il genoma svolge solo un ruolo di 'interprete' del
programma o anche di 'operatore'? come queste due funzioni vengono armonizzate?
(d) il 'testamento' o il 'passato' o la 'memoria' di una cellula somatica ha
significato biologico se essa si evolverà in un nuovo individuo?
(e) quale ruolo può giocare l'apoptosi o morte programmata di una cellula?
In definitiva, la clonazione può essere considerata una biotecnica innovativa
da valutare positivamente nelle produzioni animali, purché essa costituisca uno
strumento da utilizzare e da gestire correttamente per raggiungere chiari obiettivi
utili per un futuro sempre piú a misura d'uomo.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia a Matassino (1988a, 1989b ), Matassino
e Cappuccio (1995 e 1997), Seidel (1995), Loi et al. (1996 e 1997), Boyazoglu
(1997), Dulbecco (1997), Mirsky e Rennie (1997).
4. Miglioramento genetico
Viviamo in un contesto socio-economico fortemente dinamico e sempre piú
legato a fenomeni planetari, a repentine variazioni epocali e a continue acquisizioni
sulla mirabile organizzazione biologica degli esseri viventi.
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All'aurora del 3. millennio, la gestione della produzione, della domanda,
dell'offerta e degli scambi degli alimenti di origine animale è una variabile del
sistema economico internazionale; sistema caratterizzato da una forte
interdipendenza fra le economie nazionali che, a loro volta, tendono a raggrupparsi
in sottosistemi interessanti aree geografiche piú o meno ampie (ad esempio, Unione
Europea). E' da prevedere (Matassino et al., 1991) che questa interdipendenza
tenderà sempre piú a intensificarsi, specialmente se si considerano gli influssi:
(a) del progresso scientifico e, conseguentemente, di quello tecnico
(b) della velocità di informatizzazione
(c) del monitoraggio ambientale.
Si sta profilando una società sempre piú multiculturale, multietica e multietnica,
per cui la soluzione dei problemi, compresi quelli del miglioramento genetico degli
animali in produzione zootecnica, sarà inevitabilmente in chiave di globalizzazione.
Indubbiamente, il miglioramento genetico, realizzabile anche con l'utilizzazione
di germoplasma autoctono, potrà contribuire notevolmente alla soluzione della
complessa problematica connessa alla produzione di derrate per l'uomo, derrate che
devono sempre di piú tendere a soddisfare i requisiti di 'qualità totale'.
In questo contesto, le sfide che vengono poste rendono non piú dilazionabile
programmare, e attuare poi, una valida politica agro-alimentare-ambientale su
articolate basi nutrizionali. Non è piú concepibile produrre quantità avulsa dalla
qualità nutrizionale del prodotto.
Il concetto di qualità non interessa solo l'alimento, come tale o come risultato
di una sua manipolazione tecnica, ma deve coinvolgere tutta la sua storia che inizia
con l'individualità dell'animale che fornisce quell'alimento per l'uomo e che viene
allevato in un determinato microambiente (Matassino, 1995).
Da ciò scaturisce la necessità della conoscenza delle informazioni genetiche
possedute dall'animale (tipizzazione genetica); conoscenza che rappresenta il punto
di partenza per arrivare al traguardo: produzione di alimenti di origine animale in
grado di soddisfare le esigenze in nutrienti diversificate in relazione allo 'status'
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fisiologico della persona umana. Quindi, è da auspicare che l'obiettivo unico della
qualità nutrizionale e sensoriale e della sicurezza d'uso sia sempre inserito e sia
determinante nella programmazione delle strategie di miglioramento genetico
degli animali in produzione zootecnica e dello sviluppo rurale. Tale obiettivo è
raggiungibile solo con un forte miglioramento della professionalità
dell'imprenditore zootecnico (Matassino, 1992a ; Matassino e Moioli, 1995).
Le strategie e le procedure della genetica quantitativa e di quella qualitativa,
come è noto, hanno validità universale nel miglioramento genetico delle
prestazioni degli animali in produzione zootecnica.
La tecnica del DNA ricombinante consentirebbe altresí l'individuazione di un
numero elevatissimo di marcatori genetici, non piú nei prodotti dei geni, ma
direttamente nel DNA, con forti risvolti positivi sull'efficienza riproduttiva e
produttiva degli animali in produzione zootecnica.
Le tabelle VI e VII evidenziano l'importanza di conoscere il comportamento dei
geni, come quelli a effetto maggiore.
L'individuazione di loci a effetto quantitativo discreto (quantitative trait loci,
QTL) sarà la chiave di volta per incrementare e per migliorare la consulenza agli
allevatori per ciò che concerne il miglioramento genetico delle espressioni
fenotipiche interessate.
4.1. Biodiversità
Il successo di qualsiasi piano di miglioramento genetico dipende dal livello di
variabilità genetica esistente nella popolazione. Pertanto, la risorsa genetica
riveste un ruolo insostituibile specialmente per quanto concerne le caratteristiche
qualitative degli alimenti di origine animale utilizzati dall'uomo.
Fondamentale, e forse insostituibile, è il ruolo che la diversità biologica
(biodiversità) rivestirà nella soluzione della complessa problematica delle
controversie nutrizionali nell'alimentazione dell'uomo (Matassino, 1991; 1992a, b,
c e d; Matassino et al., 1991).
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Il significato biologico e non della risorsa genetica, quindi la sua funzione
teleologica, è ampiamente messo in luce dal comportamento delle singole famiglie
geniche: concretizzazione di un vero e proprio processo di conversione genica
democratica dinamico nel tempo e nello spazio; tale processo ha una funzione
principe di rete di mutazione; in piú, esso è un esempio naturale, meraviglioso e
unico di quella strategia biologica nota come opportunismo evolutivo o capacità al
costruttivismo.
La diversità biologica può essere considerata una ricchezza reale unica, in
quanto essa è la espressione di una diversità di informazione genetica; essa è
contemporaneamente l'anello di congiunzione con il passato e la base del
divenire biologico: solo un suo ampio spettro è garanzia di una possibilità di
evoluzione o cambiamento in grado di consentire il divenire della vita degli esseri
viventi. E' merito della diversità biologica il continuo miglioramento qualitativo
dell'informazione, quindi del grado di fitness o successo biologico di una specie e, al
limite, di qualsiasi gruppo tassonomico, al variare delle condizioni ambientali.
Pertanto, importante è il livello di organizzazione e/o livello gerarchico
dell'informazione. E' la intrinseca divergenza dell' informazione genetica che induce
innovazioni; i processi biologici convergenti (differenziamento e sviluppo
embrionale), invece, realizzano un progetto genetico legato a informazioni già
presenti, quindi poco modulabile (Matassino, 1992b e c; Matassino et al., 1993c).
La diversità biologica porta a un aumento apparente del disordine, cioè a un
aumento apparente dell'entropia (1) dell'intero sistema. In realtà, come dice
Schrödinger, essendo l'animale un sistema aperto, esso si alimenta continuamente di
entropia negativa, per cui esso assume continuamente ordine dall'ambiente.
(1) Si ricorda che il secondo principio della termodinamica postula che l'entropia aumenta in un sistema chiuso e non che diminuisce in un sistema aperto quale è l'animale o altro essere vivente. L'animale può essere definito: 'sistema biologico aperto dinamico vincolato'.
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La diversità biologica è il mezzo che permette alla natura di sincronizzarsi
alla velocità dei cambiamenti ambientali, grazie a complessi e sofisticati
meccanismi in grado di modulare la velocità di trasferimento e di adeguamento
dell'informazione genetica. Pertanto, la riduzione o l'assenza di variabilità genetica
comporta una diminuzione (o scomparsa, nei casi estremi) della capacità
omeostatica o di autogoverno del sistema biologico, con il rischio di perdere
informazioni che, oltre a essere il frutto di un grande dispendio energetico, non
sono piú recuperabili.
L'importanza della conservazione e dell'utilizzazione zootecnica della
variabilità genetica anche nel bufalo è stata evidenziata recentemente (Chopra,
1994; Steane, 1994; Matassino e Moioli, 1995).
Ai fini del miglioramento genetico delle prestazioni produttive degli animali in
produzione zootecnica, bisogna considerare (Matassino e Pilla, 1976; Matassino,
1978 e 1979) che:
(a) l'animale non è identificabile solamente con la sua funzione
riproduttiva e produttiva, ma è tante altre cose che possono sfuggire anche a un
osservatore attento
(b) nel tempo le qualità primigenie evolvono sotto l'azione e l'intervento
delle altre variabili, tanto che spesso possono scomparire senza lasciare traccia
alcuna per la loro individuazione mancando i mezzi utili a quest'ultimo fine
(c) non essendo ampiamente nota la individualità dell'animale, perché
non sufficientemente conosciute le modalità di azione dei geni e delle loro
interazioni, è consigliabile non eliminare intensivamente i soggetti dalla
riproduzione per caratteri ritenuti meno essenziali; ciò permetterebbe alla
popolazione sia di evitare di perdere la possibilità di conservare o di riacquistare
nuovi equilibri ('capacità al costruttismo') sia di conservare il piú vasto spettro
genico possibile, che potrebbe risultare particolarmente utile in futuro proprio per la
dinamicità delle esigenze delle popolazioni umane e delle tecniche di allevamento
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che tendono a far vivere l'animale in una dimensione sempre meno ecologica e
sempre piú culturale.
4.2. Problematica
I problemi da risolvere nell'ambito del miglioramento genetico degli animali in
produzione zootecnica potrebbero essere teoricamente infiniti, tenendo conto della
miriade di realtà in cui ci si può trovare a operare e della dinamica delle acquisizioni
riguardanti le basi del fantastico ordinamento dell'organizzazione di qualsiasi
organismo e delle leggi che lo regolano. Questa organizzazione risulta tanto piú
complessa quanto piú ci portiamo a livelli tassonomici superiori.
A titolo esemplificativo, alcuni problemi, che nella realtà interessano tutti gli
animali in produzione zootecnica, possono essere cosí sintetizzati (Matassino,
1985b):
(a) quali espressioni fenotipiche (caratteri) meritano di essere o conservate
o modificate e quali sono i limiti di tali modifiche
(b) quali sono le tecniche disponibili per raggiungere gli scopi del
miglioramento
(c) quali indicatori usare per misurare la variazione di una o piú
espressioni fenotipiche; nel novero di tali indicatori vanno inclusi sia quelli statici
(anatomici, fisiologici, biochimici, ecc.) che quelli dinamici, che possono essere
ritenuti propri della zoosemeiotica, della zoopsicologia, della zoosociologia e
dell'etologia; quali espressioni fenotipiche vanno valutate primarie e quali
secondarie ai fini del raggiungimento di un determinato obiettivo
(d) come conseguenza del punto precedente, quale dovrà essere il peso da
attribuire alla conoscenza di tutte quelle norme che regolano la vita di relazione al
fine di comprendere l'animale allevato e le sue istanze di vita
(e) quali strumenti di analisi sono da impiegare per una scansione
semantica della variazione di una espressione fenotipica
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(f) quale frazione della variazione di una espressione fenotipica è di natura
genetica e quale di natura ambientale e, entro queste due, quale importanza
rivestono le diverse componenti
(g) quale ruolo esplica la 'capacità al costruttivismo' e, quindi, la
variazione di natura interattiva tra il genotipo e l'ambiente
(h) quali forme di selezione danno risultati migliori per le diverse
espressioni fenotipiche da variare
(i) quale importanza attribuire al contributo che possono dare al
miglioramento le diverse genetiche (fattoriale o qualitativa o a variazione
discontinua e sua ulteriore suddivisione, e quantitativa o a variazione continua)
(j ) quali sistemi di accoppiamento [fra simili o fra dissimili fenotipici o
genotipici (inincrocio o esincrocio)] vanno impiegati e in che modo
(l) quale ruolo esplicano l'eterosi e la complementarietà
(m) quale dovrà essere il peso da attribuire alla conoscenza di tutte quelle
norme che regolano la vita di relazione fra gli animali e l'allevatore
(n) la disponibilità di un gran numero di tipi genetici autoctoni può o no
facilitare l'ottenimento di produzioni con caratteristiche qualitative maggiormente
capaci di soddisfare le esigenze dei consumatori in relazione al continuo mutare
degli stili di vita
(o) quale livello di differenziazione deve caratterizzare un ecotipo da un
altro
(p) per alcune popolazioni conviene disporre di un gran numero di razze,
costituite da un numero relativamente piccolo di individui, ognuna adatta a una
determinata nicchia ecologica, oppure di poche razze, numericamente grandi,
ottenute mediante una selezione che tiene conto di un ampio campo di differenti
condizioni ambientali influenzanti le espressioni fenotipiche interessate a una
determinata produzione
(q) come costituire i diversi modelli di produzione da adattare alla
dinamica e alle differenti realtà produttive al fine di una corretta gestione delle
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risorse genetiche indigene, non dimendicando gli aspetti sanitari; modelli che
dovranno conciliare opportunamente sia gli aspetti particolari che quelli generali,
essendo indispensabile un'integrazione armonica di tutti
(r ) quale influenza avranno le biotecniche innovative sulle future strategie
delle produzioni animali e segnatamente sul miglioramento genetico degli animali in
produzione zootecnica, nonché sulle strategie di salvaguardia dei tipi genetici
autoctoni
(s) come interagire costruttivamente con gli allevatori che si possono
definire genetisti animali a fini operativi.
I problemi organizzativi a livello di allevamento limitano a monte e a valle il
processo selettivo.
(a) quelli a monte consistono:
(i) nell' ampliamento del numero di bufale controllate ufficialmente
con geneologia nota
(ii ) nella realizzazione di un efficiente servizio di consulenza
aziendale interessante i vari momenti dell'allevamento (riproduzione, produzione,
aspetto sanitario, alimentazione, sistema di tenuta, flussi demografici, ecc.);
(b) quelli a valle sono da riferire sostanzialmente alla necessità di un
elevato impiego di riproduttori 'miglioratori' attraverso un uso massiccio
dell'inseminazione strumentale.
In questo contesto, grande potrà essere il contributo che potrà sortire l'uso di
biotecniche innovative [predeterminazione del sesso, inseminazione strumentale,
superovulazione, trasferimento embrionale, maturazione e fecondazione 'in vitro' di
oociti, prelievo in vivo dell'oocita mediante la tecnica dell'ovum pick-up (OPU) con
successiva fecondazione in vitro, sessaggio degli embrioni, clonazione (splitting e/o
trasferimento nucleare), inserimento di geni esogeni, ecc.], le quali richiedono
ancora ricerche approfondite per un loro ampio trasferimento operativo (Matassino et
al., 1993a).
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Il miglioramento genetico delle produzioni fornite dagli animali allevati è
indubbiamente uno strumento fondamentale e duraturo, ma il progresso produttivo
richiede anche opportuni interventi sui fattori ambientali per ridurre il loro effetto.
In questo contesto ampi sono i margini di tali interventi.
D'accordo con Cunningham (1973), per rendere gli investimenti produttivi è
necessario che i programmi di utilizzazione dei riproduttori siano pianificati in modo
appropriato sotto l'aspetto sia genetico che economico. Secondo Matassino (1978), la
pianificazione può concretizzarsi nella scelta di due tipi di azione: la strategia e la
tattica; quest'ultima è piú compito della ricerca, mentre la prima spetta
sostanzialmente all'allevatore. Infatti, è l'imprenditore zootecnico che deve assumersi
le responsabilità connesse al modello delle successioni 'decisionali' da perseguire.
La tabella VIII riporta alcuni valori di h2.
4.3. Latte
Il miglioramento genetico qualitativo del latte dovrebbe interessare almeno i
seguenti quattro aspetti:
(a) composizione
(b) polimorfismo genetico delle proteine e dei lipidi
(c) geni associabili a parametri qualitativi
(d) attitudine alla caseificazione.
Piú recentemente è stato evidenziato che il grasso da solo è responsabile
dell'84% della variabilità della produzione di mozzarella (Altiero et al., 1989),
mentre grasso e proteine insieme sono responsabili del 93% della variabilità. La resa
del latte in mozzarella può essere stimata con la seguente equazione:
resa del latte in mozzarella = 3,5 x proteina % + 1,23 x grasso % - 0,88 (1)
E' evidente che il coefficiente di regressione delle proteine è molto piú elevato
(3 volte) di quello del grasso. Ciò perché la proteina fissa un quantitativo di acqua
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maggiore del grasso, il che è fondamentale in un formaggio molto ricco in acqua
come la mozzarella (Altiero et al., 1989). Gli stessi Autori ritengono che ai fini
operativi della previsione di resa è molto piú utile considerare il contenuto delle
proteine totali che quello della caseina coagulabile, in quanto le proteine, ai fini
della caseificazione, esplicano una funzione di 'agenti' di fissazione di acqua nel
formaggio. Sempre per quanto concerne il rapporto proteine% / grasso%, Sacchi et
al., (1992) e Addeo et al., (1993) hanno riferito che, ai fini della resa del latte in
mozzarella, è essenziale standardizzare il rapporto proteina/grasso (P/G). Infatti,
nella fase di rottura della cagliata, ma soprattutto nell'acqua di filatura, si hanno
sensibili perdite di grasso. Sulla base di questi studi e della (1), il rapporto ottimale
fra proteine (%) e grasso (%), dovrebbe essere 1,83; invece, in considerazione
dell'attuale contenuto percentuale medio in proteine (4,64%) e in grasso (8,26%) del
latte delle circa 17.500 lattazioni chiuse in Italia nell'anno 1996 (AIA, 1997), tale
rapporto risulta 1,60. La tabella IX illustra la ripartizione percentuale delle suddette
lattazioni in relazione alla percentuale in proteine e in grasso. Pertanto, oggi, anche
tenendo conto della normativa vigente, l'unica strada perseguibile per raggiungere il
P/G ottimale è quella di scremare parzialmente il latte prima che inizi il processo
vero e proprio di caseificazione.
Da quanto esposto, si deduce che è necessario rivedere l'attuale schema
selettivo seguito dagli allevatori, tendente ad aumentare la percentuale di grasso nel
latte. Questa revisione potrà favorire anche una riduzione dei costi di produzione
(Matassino et al., 1993b). Si ritiene che la piú alta resa in formaggio si ottiene con
una percentuale di residuo magro secco (SNF) dell'8,5-8,8% (Rajorhia, 1988).
In uno studio condotto da Matassino et al. (1996) è risultato che il latte prodotto
dalle bufale con il genotipo CC della αs1 -Cn o quello AA della αs2 -Cn manifesta
la migliore attitudine alla trasformazione casearia in quanto caratterizzato da una piú
breve durata della fase enzimatica, da una piú elevata velocità di coagulazione e da
una maggiore consistenza del coagulo. E' interessante evidenziare che, affrontando il
problema in termini sistemici, e quindi considerando non il genotipo al singolo locus
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ma quello relativo ai quattro sistemi polimorfi (αs1-, αs2-, β- e k-Cn), la migliore
risposta alla coagualzione presamica viene fornita dal latte della bufala il cui
genotipo è CC-AB-AA-BB rispettivamente; infatti, tale latte fa registrare la minore
durata della fase enzimatica e la maggiore consistenza del coagulo, tenuto conto che
le bufale con questo genotipo 'globale' forniscono anche la maggiore quantità di latte
e di proteine in 270 giorni di lattazione.
Non meno importante è risultato l'effetto dei fattori di natura ambientale
nell'influenzare la maggior parte delle caratteristiche qualitative del latte e delle
variabili utilizzate per definire l'attitudine alla trasformazione casearia. Tra questi
giocano un ruolo determinante l'ordine di parto, il turno di mungitura e, soprattutto, il
giorno del controllo, che comprende gli effetti combinati delle variabili
caratterizzanti il microambiente di allevamento. Gli Autori concludono
evidenziando che i predetti risultati necessitano di una ulteriore conferma su un
maggior numero di soggetti e di allevamenti, in modo da tener conto anche
dell'effetto degli altri genotipi osservati (AC e BC della αs2-Cn), ma non considerati
a causa della loro scarsissima frequenza, e per poter procedere alla tipizzazione di
altre varianti genetiche a livello delle caseine e delle sieroproteine.
Da quanto evidenziato da questi studiosi, scaturisce un suggerimento:
nell'ambito del Working Group 'Products' dell'Interregional Cooperative Research
Network on Buffalo della FAO sarebbe oltremodo utile, se non indispensabile,
procedere all'istituzione di un sottogruppo che affronti la problematica della
tipizzazione genetica del bufalo e della individuazione delle relazioni fra i diversi
genotipi al locus e le prestazioni produttive. In questo contesto, per evitare errori
dottrinali e operativi, bisogna considerare non il singolo locus ma il genotipo
'globale', in quanto possono esistere interazioni fra i geni responsabili di determinate
espressioni fenotipiche ('caratteri') (Bettini, 1972; Pagnacco et al., 1983 e 1993;
Matassino et al., 1993b, d e 1996; Zullo et al., 1993; Prandi et al., 1994;
Matassino e Moioli 1995; Matassino et al., 1997b; ).
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Questa impostazione non è vicariabile in quanto non è noto, in particolare, il
significato di 'capacità al costruttismo' e produttivo del singolo gene e dello stesso
inserito nel contesto dei due genomi dell'individuo.
L'elevata variabilità delle componenti del latte, evidenziata da Rao e
Nagarcenkar (1977), tra le diverse razze bufaline e nella bufala italiana da Pilla e
Moioli (1993), solo in parte spiegabile da fattori ambientali, fa supporre l'esistenza
di una consistente frazione di natura genetica.
Le caratteristiche qualitative del latte, specialmente per quanto riguarda il
polimorfismo proteico e il rapporto proteine%/grasso% ai fini della resa del latte in
mozzarella, sono da tenere in grande considerazione alla luce di quanto finora noto.
Inoltre, ai fini della produzione della mozzarella, particolare attenzione merita
l'attitudine alla caseificazione del latte; infatti, i descrittori lattodinamometrici
evidenziano anche una certa variabilità di natura genetica.
Sono da approfondire ai fini del miglioramento genetico del latte bufalino:
(a) il determinismo genetico della composizione per poter inserire
specialmente le proteine negli obiettivi di selezione
(b) l'analisi dei polimorfismi delle proteine, al fine di individuare
associazioni con i parametri qualitativi; per raggiungere questo obiettivo, si ribadisce
che sarebbe auspicabile la costituzione di un sottogruppo di lavoro nell'ambito
dell'Interregional Cooperative Research Network on Buffalo Working Group
'Products'
(c) l'attitudine alla caseificazione in funzione dei vari polimorfismi di
natura genetica.
4.3.1. Controlli funzionali
Le tabelle X, XI e XII riportano alcuni dati inerenti ai controlli funzionali
eseguiti in Italia nell'anno 1996.
Dalla tabella X si rileva che le bufale controllate costituiscono oltre 1/3 di
quelle allevate. La quantità di latte prodotta per lattazione chiusa risulta
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mediamente poco diversa fra le primipare e le terzipare e oltre (tabella XII). Ciò sta
a dimostrare che è in atto un interessante trend genetico, nel senso che le primipare
posseggono una capacità produttiva superiore.
Dalla tabella XIII si rileva che la distribuzione percentuale dei parti nel corso di
15 anni è cambiata notevolmente, specialmente a livello 1. trimestre (dal 12% del
1981 al 27% del 1996). Questa strategia di destagionalizzazione dei parti ha
interessanti risvolti economici (Del Giudice, 1997).
L'uso di BI contribuirà notevolmente a selezionare e a riprodurre soggetti in
grado di partorire in qualsiasi mese dell'anno in relazione alle necessità operative
dell'allevamento. Grazie ai controlli funzionali, possiamo riferire che la bufala
campionessa italiana ha prodotto in 4. lattazione 5.962 kg in 270 giorni con una
percentuale di proteine e di grasso pari 4,04 e 9,39 rispettivamente; il picco della
produzione giornaliero è stato di 33,8 kg.
4.3.2. Prove di progenie
Rosati (1997), utilizzando i rilievi dei controlli funzionali a partire dal 1.
gennaio 1980, ha calcolato i valori della popolazione bufalina di riferimento. Tutte le
lattazioni sono state proiettate a 270 giorni di lunghezza (tabella XIV). La
valutazione genetica è stata eseguita con il metodo BLUP-Animal Model che
permette:
(a) di stimare simultaneamente bufale e tori, quindi di annullare l'effetto
degli accoppiamenti preferenziali
(b) di usare la matrice di parentela che comporta un aumento
dell'accuratezza dell'indice genetico di un soggetto.
Inoltre, tutte le osservazioni sono state corrette per l' effetto 'allevamento'. I
fattori considerati nel modello sono stati:
(a) effetto genetico diretto dell'animale
(b) età al parto
(c) intervallo interparto
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(d) azienda
(e) anno di parto
(f) anno di nascita della bufala
(g) numero di mungiture
(h) mese di parto.
Gli indici, sia per le bufale che per i tori, dell'effetto genetico diretto
dell'animale sono riferiti a una base 'fissa', rappresentata dalla media del valore
riproduttivo delle bufale nate nel 1990. Si precisa che sono stati indicizzati solo i
tori aventi progenie testata per la paternità a mezzo dell'analisi del DNA.
Gli indici genetici di questi tori sono riportati nella tabella XV.
Questi indici verranno opportunamente aggiornati e integrati man mano che
saranno disponibili nuovi dati inerenti sia alle bufale che alle figlie di tori in prova
di progenie.
L'importanza di disporre, per la prima volta, di indici genetici deve essere presa
in massima considerazione dagli allevatori. Infatti, questi ultimi, oggi, incominciano
a disporre di uno strumento insostituibile per programmare gli accoppiamenti e per
realizzare un miglioramento stabile nel tempo e nello spazio.
Logicamente, l'uso di tori 'provati', comporta l'uso dell'inseminazione
strumentale (IS). Pertanto, il futuro del miglioramento genetico, anche
nell'allevamento bufalino, è fortemente dipendente dall'impiego di questa BI su larga
scala.
4.3.3. Qualche schema di selezione
La tabella XVI riporta una sintesi di alcune proposte di selezione con l'uso di
BI.
La tabella XVII riporta il vantaggio genetico dell'intera popolazione bufalina
italiana sottoposta ai controlli funzionali dopo 1 e 5 anni di selezione sulla base
degli schemi riportati nella tabella XVI. E' facile rilevare che passando dal 1.
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schema (uso di prova di progenie classica) al 5. (nucleo chiuso e utilizzo delle
biotecniche: 'ovum pick-up' e produzione 'in vitro' di embrioni) si ha:
(a) dopo 1 anno un incremento genetico della produzione di latte, quindi di
'mozzarella', del 7%
(b) dopo 5 anni incremento genetico della produzione lattea, quindi di
'mozzarella', ben del 30%.
E' facile dedurre che l'uso di BI costituirà sempre di piú uno strumento
insostituibile per innovare i processi produttivi e i prodotti.
Altre considerazioni inerenti alle strategie di miglioramento genetico della
produzione latte sono riportati in: Matassino (1990a); Matassino et al. (1993b e
1996); Aleandri (1994); Aleandri e Stean (1994); Bouahom (1994); Chopra (1994);
Khan (1994); Matassino e Moioli (1995); Pilla et al. (1996).
4.4. Carne
La problematica connessa alla produzione della carne risulta particolarmente
complessa, essendo l'allevamento bufalino italiano impostato essenzialmente sulla
produzione del latte, che costituisce praticamente l'unica fonte di reddito per
l'allevatore. Infatti, in Italia, allo stato attuale, i soggetti destinati alla mattazione
costituiscono un vero e proprio sottoprodotto dell'azienda a causa del loro
estremamente basso prezzo di mercato dovuto all' assenza di domanda da parte del
consumatore.
La conoscenza delle caratteristiche qualitative della carne bufalina diventa,
pertanto, indispensabile e fondamentale per poter disporre di elementi utili ai fini di
una sua valorizzazione.
Recenti ricerche sulla qualità della carne bufalina (Matassino 1985a; Ferrara e
Infascelli, 1994) hanno evidenziato che le proprietà nutrizionali e organolettiche
della carne bufalina, nel complesso, sono simili e, per taluni aspetti, superiori, per
esempio, a quelle della carne bovina e ciò costituisce un aspetto di notevole interesse
operativo per la rivalutazione del bufalo quale produttore di carne 'di qualità'.
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L'interesse dei Ricercatori verso tale aspetto è sempre vivo, anche se pochi
sono gli studi finora condotti per raggiungere una caratterizzazione del muscolo dal
punto di vista strutturale e molecolare (Cosentino et al., 1983; Di Luccia et al.,
1994; Sarmah e Singh, 1994). In altre specie di interesse zootecnico è stata
ampiamente evidenziata l'importanza dello studio delle relazioni tra caratteristiche
qualitative della carne e la struttura del muscolo (Ashmore, 1974; Tornberg, 1996).
Attraverso l'individuazione di particolari indicatori di qualità, come per esempio
il contenuto in colesterolo, la composizione in acidi grassi, la distribuzione dei tipi di
fibra, e la loro successiva utilizzazione in adeguati programmi di miglioramento
genetico il bufalo potrà esprimere le potenzialità quale produttore di carne
(Matassino e Moioli, 1995).
Il contributo della genetica molecolare al miglioramento della specie bufalina
come produttrice di carne potrebbe essere fornito dallo studio dei polimorfismi delle
proteine muscolari, quali la miosina, l'actina, ecc., cosí come è già avvenuto o sta
avvenendo in altre specie di interesse zootecnico (bovini e suini, a esempio).
Il muscolo è costituito da numerose fibre muscolari che costituiscono una
popolazione abbastanza eterogenea per metabolismo e per funzione. La principale
proteina costitutiva della fibra (quindi del muscolo) è la miosina, che rappresenta
circa 1/3 delle proteine totali, ed è costituita da 4 catene leggere (MLC: myosin light
chains ) e due pesanti (MHC: myosin heavy chains). Finora sono state osservate e
identificate numerose isoforme di miosina la cui diversità è dovuta all'attività
ATPasica che risiede nella testa della MHC e che fenotipicamente possono essere
associate ai tre tipi principali di fibra: FG (fast glycolytic = fibre a contrazione rapida
e a metabolismo glicolitico), FOG (fast oxidative glycolytic = fibre a contrazione
rapida e a metabolismo ossidativo glicolitico) e SO (slow oxidative = fibre a
contrazione lenta e a metabolismo ossidativo). La maggior parte delle fibre contiene
un solo tipo di MHC (fast o slow), anche se sono state osservate alcune
combinazioni di più isoforme (hybrids) che potrebbero essere indicative di possibili
conversioni da un tipo all'altro. Le diverse MHC sono il prodotto di una famiglia
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multigenica: ogni gene codifica per una isoforma e i vari geni sono localizzati in due
cluster. Nei muscoli dei mammiferi finora sono stati identificati 12 diversi geni
MHC, mentre negli anfibi, nei pesci e nei polli il numero sale a circa 30. Il gene per
la MHC slow è stato localizzato sul cromosoma 14 sia nell'uomo che nel topo,
mentre i geni per la MHC 2a, 2b, neonatale ed embrionale sono situati sul
cromosoma 11 nel topo e 17 nell'uomo (Leinwand et al., 1983; Weydert et al., 1985).
Il gene dell'ipertrofia muscolare del bovino, a esempio (DM: doppia
muscolatura), determina un aumento delle FG dovuto a una accelerata conversione
dalle fibre FOG a FG. Il fenomeno sembra dovuto a un ritardo fetale nella
differenziazione delle proprietà contrattili e del metabolismo ossidativo della fibra
muscolare (Picard et al., 1995).
Il contenuto in tessuto connettivo e la solubilità di questo tessuto, unitamente
alle caratteristiche delle fibre muscolari, sono responsabili della durezza e della
velocità delle trasformazioni post mortem del muscolo in carne. Il coefficiente di
ereditabilità (h2) del contenuto in collagene e della sua solubilità è stato stimato
recentemente pari a 0,47 e 0,12, rispettivamente (Geay et al., 1997), mentre quello
relativo al rapporto dei diversi tipi di fibre muscolari o delle catene pesanti della
miosina è piuttosto variabile e oscilla da un minimo di 0,26 a un massimo di 0,41
(Renand et al., 1994, 1995). Andersen et al. (1977), nel muscolo LD di bovini,
hanno trovato valori di h2, per quanto riguarda la percentuale e il diametro dei tre
tipi di fibra muscolare, variabili da un minimo di 0,22 a un massimo di 0,38.
Alcune recenti ricerche, condotte su 3 muscoli [gluteobiceps (Gb),
semitendinosus (St) e longissimus dorsi (LD)] di 6 bufali di 14÷16 mesi di età
(Matassino et al., 1997b) hanno evidenziato che la fibra FG e quella SO sono
maggiormente sviluppate nel muscolo St, mentre la fibra FOG ha il valore medio più
elevato di area e di diametro nel LD. Il muscolo St evidenzia anche la maggiore
variabilità per tutte le caratteristiche morfometriche esaminate, mentre gli altri
muscoli hanno un piú basso coefficiente di variazione, quindi una tessitura piú
uniforme, in accordo con quanto sostiene Hinner (1953). I muscoli differiscono
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anche per la composizione in tipi di fibra; i suddetti tre muscoli si differenziano
significativamente tra loro: le FG costituiscono ben il 52% nel St, il 42% nel LD e
il solo 36% nel Gb. Nel St, inoltre, sono state osservate poche SO (13%) e il 35% di
FOG. Il Gb, con il 38% di FOG e con il 26% di SO, manifesta una composizione
non molto diversa dal LD, muscolo a composizione mista (42% di FG, 35% di FOG
e 23% di SO). Nelle specie caratterizzate da una vita piuttosto inattiva i muscoli
hanno in genere un'elevata percentuale di fibre FG e i valori osservati rispecchiano
in effetti tali comportamenti, anche se il Gb e il St, muscoli della coscia con
funzione di sostegno e locomozione, agendo come estensori dell'anca e flessori del
ginocchio, sono molto più 'specializzati' del LD che è il tipico muscolo a
composizione mista.
Il confronto dei risultati di questa sperimentazione con altri dati ottenuti in
precedenti esperienze condotte su bufali di 6 e 14 mesi di età (Matassino,
comunicazione personale) e su bovini Chianini di 14 mesi (Barone et al., 1994) e
Marchigiani di 760 kg (Matassino et al., 1997a) ha evidenziato che il bufalo cresce
più lentamente del bovino: in particolare, la differenza di dimensioni fra i tre tipi di
fibra muscolare, notevole nel St, si riduce di molto nel muscolo LD (tabella XVIII).
Il confronto con il bovino Frisone italiano di pari età (28 e 36 settimane) (Cosentino
et al., 1983) aveva però evidenziato una crescita postnatale della fibra muscolare più
veloce nel bufalo che nel bovino e caratteristiche qualitative superiori nella carne
fornita dal bufalo [più tenera, più chiara, più nutrizionale (Matassino et al., 1978)],
anche se l'efficienza energetica di crescita era risultata inferiore (Gigli et al., 1994).
4.5. Impostazione sistemica
Solo l'approccio sistemico permette di considerare realisticamente sia l'effetto
dell'individualità del soggetto sia quello delle interazioni degli individui fra loro e
con l'ambiente di produzione, ottenendo cosí il valore della produttività 'netta'
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dell'unità produttiva reale. Tale produttività può essere espressa come uscita del
sistema per unità di entrata.
Grazie all'impostazione sistemica si è in grado, oggi, di fornire risposte
concrete, costruttive e previsionali alla domanda tesa a disporre di strumenti capaci
di indicare nella dimensione spazio-temporale livelli ottimali delle prestazioni degli
animali in produzione zootecnica; prestazioni che vanno inserite nell'ambito del
contesto socio-economico in cui si opera. Il costrutto concettuale di questa
impostazione tende ad affrontare la soluzione dei problemi in termini di aspetti
globali e, quindi, di coordinamento nel tutto di ogni singolo elemento.
Impostazione che ha dietro di sé una storia lunghissima, forse vecchia quanto il
nostro pianeta terra e, chi sa, quanto l'universo.
Un esempio di questa visione sistemica dell'impresa zootecnica è raffigurabile
sinteticamente dalla simbologia del tantrismo induista e buddista: il mandala
(figura II). Questa raffigurazione spiega che la tendenza in atto alla
molecolarizzazione della scienza biologica va perseguita, ma nel suo significato
funzionale: il funzionamento di un sitema macroscopico complesso (impresa
zootecnica) può essere continuamente migliorato (ottimizzazione) solo avendo
conoscenze di notevole spessore delle modalità di azione e di comportamento dei
sistemi microscopici costituenti. La rappresentazione della figura II considera
l'impresa zootecnica quale risultante degli effetti di numerosi fattori che, in
ultima analisi, costituiscono le componenti principi del territorio: l'uomo,
l'animale, la pianta e il suolo.
Per ulteriori approfondimenti sull'impostazione sistemica e sulla sua
utilizzazione nel miglioramento genetico si rinvia a Bettini (1972 e 1988) e a
Matassino (1984a e 1986).
5. Conclusioni
Le possibilità di migliorare geneticamente la produzione qualitativa del latte e
della carne di bufala sono ampie, specialmente se esse sono contemporaneamente
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