Sommario analitico di "Horcynus Orca"

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1 Marco Trainito SOMMARIO ANALITICO DI HORCYNUS ORCA (1975) DI STEFANO D’ARRIGO © Marco Trainito 2003-2010 e-mail: [email protected]

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Un sommario dettagliato e completo di tutti i segmenti narrativi di "Horcynus Orca", il grande e oscuro romanzo di Stefano D'Arrigo, pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 1975.

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Marco Trainito

SOMMARIO ANALITICO

DI HORCYNUS ORCA (1975)

DI STEFANO D’ARRIGO

© Marco Trainito 2003-2010

e-mail: [email protected]

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(N.B. I numeri tra parentesi tonda indicano le pagine dell’edizione Riz-

zoli 2003)

- Sera del 4 ottobre 1943: il nocchiero della fu Regia Marina ‟Ndrja Cambrìa arriva nel paese delle Femmine e contempla lo Stretto e la Sicilia nel punto in

cui si trova Cariddi, il suo paese natale (3-7).

- Analessi sui quattro giorni del viaggio da Napoli, e in particolare su:

- l‟incontro, in alta Calabria, con le femminote del giardino presso

Praja, le quali, cosa inaudita, invertono la loro consueta rotta verso

sud e la Sicilia (dove prelevano il sale di contrabbando) e vanno ver-

so Napoli in cerca di un uomo che, accoppiandosi con una di loro,

l‟inebetita Cata, la liberi dallo stato di incantesimo in cui è caduta

per non aver potuto consumare il matrimonio a causa della chiamata

in guerra del marito. La capotica Jacoma tenta di convincere ‟Ndrja

a sanare sessualmente la nuora incantesimata Cata. I chiarimenti di Peppinagaribalda sulla storia della bella Cata, che orina in una testa

cava di gesso bronzato di Mussolini per segnarne magicamente il

tempo della fine attraverso il rammollimento e la consunzione del

gesso. L‟arrivo di Boccadopa, Portempedocle, Montalbanodelicona

e Pietraliasottana, anch‟essi reduci dalla guerra (Boccadopa ha una

gamba di legno e ha messo il debole Portempedocle a servizio di

corvé, facendosi aiutare in tutto). Il tribolo sui ferribò [35-41]: le

femminote rievocano i tempi felici dei viaggi sui traghetti e del con-

trabbando del sale e con un lamento funebre e sboccato gettano il

tribolo sui loro ferribò (ferry-boat), che prima di essere distrutti dal-

la guerra erano non solo i loro mezzi di trasporto ma anche i loro

amanti, dal momento che, ogni tanto possedute sessualmente alle spalle da anonimi macchinisti nelle sale-macchine, preferivano pen-

sare che fosse la stessa nave personificata ad amarle furtivamente.

(7-46);

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- l‟elezione di ‟Ndrja, dopo l‟incontro con le femminote, a Mosè del

gruppo di reduci in marcia verso la Sicilia (46-51);

- l‟incontro con le due femminelle di Amantea, madre e figlia di un certo Sasà Liconti, il quale è impazzito e, ridotto a uno straccio e

turlupinato dagli inglesi, se ne sta a Cannitello davanti allo Stretto

sognando un trasbordo e mostrando una misteriosa fotografia ai pas-

santi, per cui le due donne vanno e vengono per portargli il ricambio

dei vestiti. (52-68);

- la penosa e inconcludente richiesta di informazioni sul trasbordo a

una popolazione ridotta alla miseria e alla follia dalla guerra, che pu-

re gli fa una faccia buona di circostanza; ricordo per associazione di

quando, bambini, lui e Duardo cercavano una dolceria di confetti e

ricevettero l‟indicazione da una donna che vegliava in casa il figlio-

letto morto e composto dignitosamente sul catafalchetto con la me-

daglietta della prima comunione e con una spada di latta tra le mani (68-73).

- l‟incontro col pescatore «sceso di barca e salito a cavallo», che, do-

po aver sognato il mare divenuto un deserto di neve e ghiaccio, si è

ridotto e trasportare sull‟animale una fera scodata e decapitata e dei

bidoni di acqua di mare, da smerciare rispettivamente per tonno e

purga, perché i tedeschi hanno fatto della sua barca una bara per sol-

dati italiani (74-81);

- il primo incontro con le fere: carcasse sulla spiaggia del Golfo

dell‟Aria e passaggio notturno di un branco al largo (81-83);

- l‟incontro con lo spiaggiatore soldato, il Grifone linguto e orecchiu-

to, vestito con pezzi di divise di tutte le guerre (affinché chiunque lo trovi morto lo riconosca e onori come un soldato di qualsiasi nazio-

nalità), che lo istruisce sulla natura ferina e divina delle femminote,

sul loro modo di trattare la carne di fera e su come ingraziarsele per

ottenere da loro il trasbordo, e gli fa l‟elogio del vistocogliocchi con-

tro il sentitodire, finché si scava un letto-bara sulla sabbia in attesa

della morte (83-115).

- Riflessioni di ‟Ndrja sul suo ruolo di Mosè per i compagni, tra le rocce della

spiaggia del paese delle Femmine, mentre Portempedocle nel buio lo va

chiamando “Mooosè… Moooseè” (115-119).

- Vapori pestilenziali – dovuti alle fere cucinate a ghiotta – infestano il paese

delle Femmine; primo accenno alla teoria di Mimì Nastasi sulla comune di-

scendenza delle fere e delle femminote dalle sirene [122: cfr. 567 e 571]; mentre i suoi compagni sono ospitati dalle femminote, ‟Ndrja si imbatte

nell‟ossario delle fere e trova un‟analogia sinistra tra la rena nera della mari-

na femminota e i campi dei colerosi (119-128).

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- Digressione sulla nascita e sul mistero della morte delle fere trentenarie

(128-131).

- Analessi sulle visite a Cariddi del professore di Messina che dedicò tutta la sua vita alla vana ricerca delle misteriosissime uova dell‟anguilla (131-132).

- Il sogno escatologico a occhi aperti sulla morte volontaria (da „delfini‟ ver-

gini e martiri) nel ventre di Vulcano delle fere trentenarie, e quello a occhi

chiusi della reazione negativa dei vecchi pellisquadre alla buona novella por-

tata dall‟effeminato ‟Ndrja di ritorno dalla guerra (138-153).

- Risveglio e ricordo de:

- il «casobello delfino contro fera» del 1935 con l‟Eccellenza fascista

che prima ordina dalla sua nave ai pescatori cariddoti di lasciare an-

dare la fera da loro catturata e spubblicata per vendetta, poi impone

loro di chiamarla “delfino” e di adorarla come un fanciullo diverten-

te, elegante, bello, puro, vergine e martire, e infine fa il tiro al bersa-

glio scaricando in testa all‟animale i sei colpi del caricatore del suo moschetto (153-185);

- il «casobello delfino contro fera» dell‟agosto precedente sulla cor-

vetta con il Guardia-marina signor Monanin, lo smidollato venezia-

no che fa da femmina al capo Tarantino e che si rifà violentando lin-

guisticamente i sottoposti come Ndrja‟ e Crocitto e obbligandoli a

chiamare con l‟effeminato termine italiano “delfino” l‟animale che

per il loro dialetto e per la loro vita è la fera (185-219);

- Il racconto di Monanin della favola del chitarrista greco (mito

di Arione) e della storia dell‟amicizia tra il bambino di Baia e

il delfino (209-211); quest‟ultima evoca a ‟Ndrja il ricordo di

quella dell‟amicizia tra la giovane fera Mezzogiornara e il padre Caitanello quando era un bambino (224-236);

- Il sogno della nave fantasma con l‟Eccellenza che fa il tiro al

piattello con i delfini e Monanin che, sbucandogli dalla pan-

cia, li fotografa in volo (237-240); è Mezzogiornara, ora, il

bersaglio dell‟Eccellenza (241). Nel sogno, appare la madre

che, incinta, prepara lo stomatico d‟ossa di fera incenerite mi-

ste con miele per lui, che vede se stesso a letto come doveva

esserlo il padre muccusello nella storia con Mezzogiornara

(241-243).

- Il risveglio dai ricordi e dal dormiveglia e la presa di coscienza del signifi-

cato del sogno della madre e di Mezzogiornara (243-245).

- L‟abbuffata di fera a ghiotta di Portempedocle e riflessione di ‟Ndrja sulla fera come famanna, cioè fonte di fame e manna (245-255; etimologia di pel-

lisquadre, uomini dalla pelle e dal carattere come quelli dello squadro, cioè

del pescecane, laddove squadrare vuol dire in origine rendere liscio il legno

con lo squadro, che è la cartavetrata: p. 254).

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- Dal cranio della fera sulla rena al suo cervello e al modo in cui se ne cibano

femminote e pellisquadre (255-262).

- La fera come fenomeno naturale che i pellisquadre sanno di non sapere (262-264).

- L‟apparizione notturna delle femminote che si accingono al varo. ‟Ndrja le

ascolta nascosto mentre parlano dell‟uso che fanno del vino tedesco (264-

271).

- Boccadopa e Portempedocle crollano sotto l‟effetto della mistura di vino e

le femminote, le quali intanto hanno visto ‟Ndrja che fa finta di dormire, sal-

pano nella notte dirette in Sicilia (271-275).

- ‟Ndrja decide di lasciare il paese delle Femmine, ma incontra Ciccina Circé,

la quale gli offre il trasbordo (275-283).

- La traversata dello Stretto e i misteri di Ciccina Circé: la malia incantatrice

(le fere incantesimate con la campanella a prua); la seduzione; la morte (i ca-

daveri dello Stretto che la donna spala con il suo corteo di fere); i monologhi e i dialoghi con il suo alter ego; Baffettuzzi; la pietà dei finanzericchi bec-

chini; la sosta presso Scilla e il dialogo sulla guerra e il valor militare; la sto-

ria del brogliaccista Pirri, che si tolse la vita pur di non consegnarsi ai tede-

schi, a Napoli; la ripartenza e la schermaglia amorosa; ancora su Baffettuzzi e

la sua partenza per la guerra di Mussolini; le fere liberate dall‟incantesimo

della campanella; la fuga concitata di Ciccina dalla sirena del sottomarino;

all‟altezza delle tre palme ‟Ndrja si addormenta vinto dalla stanchezza e si

risveglia sulla riva davanti alla sua casa, per cui non vede l‟ultimo mistero di

Ciccina: l‟approdo (283-325).

- Il disobbligo in natura: ‟Ndrja e Ciccina si accoppiano sotto le palme (326-

333; il vaticinio di Ciccina: guai a ‟Ndrja e agli altri per causa sua se la guer-ra lo ha restituito non furbo, come vuol far credere a parole, ma innocente e

puro, come le si rivela di fatto, 328).

- Richiamate le fere con la campanella, Ciccina riparte in fretta sentendo Ro-

salia Orioles e la figlia Marosa che si avvicinano alle palme attratte dai rumo-

ri (334-343).

[Stacco tipografico e cambio di pagina che segnalano la fine della prima

parte]

- Ancora notte, arrivo di ‟Ndrja a casa. Non visto, osserva il padre mentre

tratta fera cruda con aceto in casa ed evoca lo spirito della moglie morta

(l‟Acitana) adagiando sul letto un vestito della donna, non prima di essersi rivolto alla stessa Morte, apostrofandola sprezzantemente Nasodicane e Na-

somangiato (344-351).

- Analessi sulla morte dell‟Acitana (Amalia) e sull‟origine del deli-

rio visionario di Caitanello (351-363), con la storia di Simone Ga-

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spiroso: sparito nell‟agosto del 1860 dietro le truppe garibaldine

di passaggio per lo sbarco in Calabria, il quattordicenne Simone

sarebbe riapparso da vecchio con una stranissima teoria ittiologica sulla dipartita dell‟anima veicolata dal pescerondine dopo la mor-

te (355-357).

- Per non disturbare il delirio del padre, ‟Ndrja gira a vuoto intorno a Cariddi

(la Testaditenaglia) e per associazione, per simbolo, per parabola della condi-

zione del povero vecchio, ripensa alla volta in cui vide lo straziante spettaco-

lo del verdone (il vero pellesquadra) scodato dalle fere (363-372).

- Continuando a girare attorno al villaggio, ‟Ndrja comprende che deve rivi-

vere il passato per espiare la colpa di essere tornato vivo dalla guerra; senten-

do il padre pronunciare la parola Granvisire con la voce maldestramente imi-

tata della moglie, rievoca il tempo delle carestie, cui la parola è legata perché

l‟Acitana così appellava allora il marito, e i conciliaboli notturni dei genitori

che spezzavano finalmente il mutismo collettivo dovuto alla fame (372-401). - Chiamandosi Granvisire e Masignora, Caitanello e Amalia, prima

di amarsi per addolcire l‟amaro della carestia del 1927, ripensano

al loro incontro fiabesco ad Acireale (377-385);

- Aci e Galatea, e l‟azzardo del piccolo ‟Ndrja, che una notte, quella

in cui smise di essere un muccuso, dopo la morte della madre, ne

prese il posto assecondando il padre che la sognava e la chiamava

(385- 400).

- Ndrja si presenta finalmente al padre, il quale imbastisce la farsa del ricono-

scimento con un‟ostinazione superiore a quella di Penelope, arrendendosi

(come Laerte) solo davanti alla cicatrice sul polso sinistro lasciatagli da una

traffinera (402-412). - Riconosciutolo, Caitanello lo saggia toccandogli tutto il corpo quasi come

Ciccina Circé e infine si scioglie in pianto (412-418).

- Dopo aver tagliato, messo a macerare nell‟aceto e appeso ad essiccare cin-

que strisce di ventresca di fera, spargendo un insopportabile fetore di sangue,

aceto e selvaggiume nella cameraperdormire, Caitanello si accinge a dirgli

due parolette, che diventano le mille e una notte (418-422).

[In corsivo si trascrivono i titoli dei “quadri” così come comparivano ne I fat-

ti della fera, poi eliminati in Horcynus Orca]

Q1 – Il sole che fece il giorno diciassette [“otto” ne I fatti della Fe-

ra] agosto. I cariddoti si rifugiano sull‟Antinnammare per sfuggire al sole ed ai bombardamenti (422-424);

Q2 – Sole e guerra che fecero a maschio e femmina sullo Scill’e Ca-

riddi. Caitanello personifica la guerra in una vecchia e laida

prostituta amata dal sole (424-425);

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Q3 – Quadro in cui si vedeva un grande impressionante concentra-

mento di fere forestiere sullo Scill’e Cariddi. Come in una

classica teicoscopia contaminata con il catalogo di Melville, il Delegato di Spiaggia signor Cama descrive ai pellisquadre le

fere forestiere e racconta la storia della Grampo Grigio Pelo-

rus Jack (425- 446);

Q4 – Quadro in cui sciroccava l’aria e in conseguenza un mare di

pescispada arriva sullo Scill’e Cariddi e le fere appostate ne

facevano carneficina (446-449);

Q5 – Quadro in cui l’intera famiglia dei Castorina, padre madre e

tre figli, veniva sdiregnata da una bomba straviata

d’aeroplano, quadro che Caitanello gli pittava a colori di

sangue con le fere tutte scialate a godersi la vista (449-452);

Q6 – Quadro in cui le fere pigliavano altr’acqua di fronte ai cri-

stiani e assaissima questa volta per il fatto che il famoso Fer-dinando Currò inteso Noè si dava morte miseranda e sconve-

niente sotto i loro occhi. Il grande ritratto di Ferdinando Cur-

rò e il suo suicidio in mare con altri tre nonnavi (452-463);

Q7 – Quadro e scena tragica che suo padre gli fa della famera o fe-

rame e cioè della fame con la faccia di fera (464-470). Sud-

diviso in tre sotto-quadri:

a) Caitanello vede in sogno i quattro nonnavi spinti al

suicidio dall‟apparizione della Fame sotto le sem-

bianze di una fera d’abominevole aspetto: la Fe-

rame (464-466);

b) apparizione di due riattieri infernali, che reclama-no invano dai pellisquadre, ma poi comunque

mangiano, carne di fera (466-469);

c) le madridifamiglia sono le prime ad abbassarsi a

mangiare la fera (469-470).

Q8 – Quadro che è come un trionfo della ferame, in cui Caitanello

gli mostra sei marinai uccisi seduti a una tavola imbandita

come a un convito di morti. La simbologia della visione cata-

strofica della testa di fera sul tavolo dei marinai morti (470-

475).

- Intermezzo: ‟Ndrja si dibatte tra sonno, veglia e visioni durante il cantare

del padre, che per tenerlo sveglio gli dà da mangiare e annusare cervello di

fera cotto nell‟aceto. L‟occhio morto di don Paolo Castorina (475-480). Q9 – Quadro in cui si vedeva Caitanello Cambrìa che se la pensava

alla coatta e faceva, sprudentissimo Astolfino, la grande

sblasata di andare nel campo d’Agramante ovverossia uscire

sopra quel mare di fere roncisvallose (480- 533). L‟impresa

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in mare di Caitanello, il pugnale marocchino e la pinna ma-

stra di Manuncularais (480-510); il rientro a Cariddi e la

grande ira verso i compaesani ingrati (510-518); la stretta di mano negata e la „metafora‟ del monco Federico Scoma (518-

531); la ricerca e la lavorazione a mosciame della carogna di

fera, il proposito di fare pace con i pellisquadre e la fine del

cantare di Caitanello, che stringe la destra a ‟Ndrja (531-

533).

- Caitanello e ‟Ndrja vanno a dormire mano nella mano (534-535).

- Il gesto del padre che gli tende la mano richiama alla mente di

‟Ndrja l‟episodio del tedesco che, il 29 settembre precedente, stanato

dagli scugnizzi napoletani dal suo carro armato, ha il folle ardire di

tendere loro la mano prima di essere infilzato e ucciso con un colpo

di baionetta nel ventre (535-547).

- Svegliatosi poco prima dell‟alba (domenica 5 ottobre) e come guidato da un sogno che non ricorda, ‟Ndrja va alla ‟Ricchia (da dove il padre aveva va-

rato per la sua impresa in mare e non lontano dal punto in cui lui stesso era

sbarcato con Ciccina Circé), fa il bagno tra gli scogli, contempla il mare dalla

spiaggetta, osserva le fere assonnate e si addormenta (547-552). Il sogno del

triste amplesso con Ciccina Circé che, trasformata in sirena e con la faccia di

fera, viene scodata dal fuoco della luce solare nella grotta della ‟Ricchia

(552-557).

- Analessi esplicativa del sogno. Storia di Mimì Nastasi, il paralitico

cantore delle sirene omeriche, e della sua disputa con Cama, che

pretendeva di identificare le sue sirene con le foche (558-568); il

gioco a „sirene‟ e „naviganti‟ di ‟Ndrja bambino con la sua comarca di muccusi, via via istruita da Mimì Nastasi sulle sirene come pro-

genitrici delle fere e delle femminote e sul loro rapporto con la ses-

sualità (568-573); le prime, traumatiche esperienza sessuale di

‟Ndrja e compagni tra il 1937 e il 1938: 1) con la sirena-fera bionda

e straniera sullo jotto, il cui marito cerca invano di pagare i ragazzi

per il divertimento dato alla moglie, dopo averli sorpresi mentre fa-

cevano a turno (573-588); 2) con la trapanese lercia e invaiolata, che

sul suo caicco puteolente, dove dà a ‟Ndrja la possibilità di vedere

per la prima volta com‟è fatta una donna a cosce aperte, tiene na-

scosto il beduino appestato che l‟aveva rapita e deflorata (588-603);

3) e infine, nel luglio del 1940, con le femminote della rocca di Ni-

cotera, che però derubano la chiumma giovanottella del migliore pe-sce pescato e trasmettono lo scolo a due dei tre amici di ‟Ndrja (603-

606).

- Nuotando accanto alla feritoia della ‟Ricchia (antro delle sirene nei giochi

di bambino), ‟Ndrja è colto dalla stanchezza e dal senso di solitudine del re-

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duce, che gli richiamano alla mente le sirene della resa di Malta, contro cui, il

10 settembre, metteva in guardia la voce che usciva dall‟altoparlante della

corvetta e invitava i marinai a non consegnarsi agli alleati e a raggiungere in-vece i tedeschi, proprio mentre il Comandante sceglieva la via di mezzo

dell‟autoaffondamento, lasciando allo sbando i marinai a bordo (606-610).

- Raggiunto dal padre, che proprio alla ‟Ricchia viene a svuotare la gistra

contenente i resti della fera trinciata a casa, mettendo così fine alla sua segre-

gazione volontaria, ne sopporta le vanterie da rimbambito per la sua audace

impresa contro Manuncularais e finisce col sentire tutto il peso del tempo

passato in guerra e caduto sulle spalle del padre e sulle sue (610-616).

[Stacco tipografico e cambio di pagina che segnalano la fine della seconda

parte]

- Presentazione dell‟Orca assassina che, in concomitanza con l‟arrivo di ‟Ndrja, si risveglia per la quarta volta nei mari dello Scill‟e Cariddi e annun-

cia catastrofi e sventure con la sua figura mostruosa e il suo fetore di putrefa-

zione sin dal suo arrivo nello Stretto, quattro giorni prima (617-623).

- Il vecchio Giulio Velardo, al primo avvistamento dell‟Orca ricono-

sce il suo fetore di carogna dovuto a una piaga grande come una bara

che l‟animale ha da tempo immemorabile nel fianco sinistro, e rac-

conta la storia di due sue precedenti apparizioni (623-624):

1) quella del 1918-1919 davanti a Nicotera, quando

appestò di fetore e roncisvallò due poveri barcaio-

li, padre e figlio (624-630);

2) quella di due o tre anni dopo davanti a Rasocolmo, allorché Ferdinando Currò dal suo ontro ardì lan-

zarla e fu da essa trascinato quasi fino a Malta con

la sua chiumma, incappando così nella rivelazione

della sua eternamente morente immortalità (630-

639).

- Il signor Cama, col suo libro illustrato in mano, spiega ai pelli-

squadre che quella che chiamano ferone, in analogia con la fera, con

cui condivide la coda piatta, è l‟Orca assassina, la Morte stessa (640-

643).

- Luigi Orioles, nonostante il parere contrario del teorico Cama, il

quale ritiene l‟Orca solo di passaggio, propone di fare qualcosa per

liberarsi del mostro, anche perché costituisce un pericolo per gli stessi occupanti inglesi (643-648).

- Il giorno dopo (2 ottobre), all‟alba, l‟Orca dà spettacolo ai pelli-

squadre facendo una strage di fere e mostrando tutto l‟orrore della

sua piaga, e Orioles e Cama espongono rispettivamente i „contro‟ (il

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drago vorrà tributi sempre più prelibati e alla fine esigerà il pesce-

spada, finendo per far cambiare rotta alla fonte della loro già povera

economia) e i „pro‟ (l‟Orca non nuoce agli uomini, anzi li libera dal-le fere, e comunque la sua morta immortalità la rende innocua e tri-

stemente sola) della presenza dell‟Orca nello Stretto (648-659).

- L‟indomani (3 ottobre) l‟Orca regala ai pescatori una manna dagli

abissi, facendo emergere e spingendo a riva un enorme banco di an-

guille neonate (la cicirella), tra lo stupore generale per questo incon-

tro/scontro tra un arcano di morte e un arcano di vita (659-667); le

fere-odalische fanno le puttanazze attorno al tubo schiumante dello

spruzzo dell‟imperturbabile Orca-pascià per ingraziarsela (668-672);

a sera, nuova ondata di cicirella (673).

- All‟alba del 4 ottobre la manna di cicirella è tale che le donne in-

vocano l‟Orca come fosse una divinità benigna e alcuni pescatori

cominciano a pensare di farne commercio con i riattieri, ma Orioles e Vilardo cercano di disilluderli (674-680); Cristina Schirò arriva

addirittura a sostenere che l‟Orca sia animata dallo spirito di Fer-

nando Curtò e Cama le dà una mano suggerendo che forse l‟Orca ne

ingoiò il corpo facendone una specie di Giona (681-685).

- Alba del 5 ottobre: a seguito di uno scherzo di tre ragazzini, che

danno alle fere pane inzuppato con aceto, c‟è un‟ubriacatura genera-

le, l‟Orca lascia lo Stretto inseguita dalle fere forestiere e per un po‟

sembra tornata la normalità dei vecchi tempi, con i pescatori che re-

citano i preparativi del varo per la pesca e le fere abituali che li a-

spettano per la consueta lotta alla pari tra mortali che si affrontano

lealmente, come sostiene Orioles (685-699). - Al tramonto, mentre l‟Orca ritorna dopo aver fatto il giro della Sicilia, una

flotta di navi da guerra angloamericane, salendo da sud, entra nel porto di

Messina, e Orioles propone a Cama di ripetere l‟azione dei ragazzini dandole

altro pane intinto nell‟aceto (699-703).

- A tarda sera Orioles chiede a ‟Ndrja di andare verso Messina a vedere la

situazione e informarsi su come acquistare una barca, che lui vorrebbe usare

per affrontare l‟Orca, ma sua figlia Marosa, morosa di ‟Ndrja, protesta (703-

708).

- L‟incontro del pomeriggio tra ‟Ndrja e Marosa, la quale, come una

Penelope, nell‟attesa dell‟amato, ha ricamato centrini con i pesci del

mare promettendo a Dio di continuare finché ce ne fossero e di non

mangiare quelli che andava ricamando, in cambio del ritorno di ‟Ndrja. Come già hanno fatto Ciccina Circè e Caitanello, la ragazza

lo esplora e lo riconosce tastandolo, e come una Bradamante lo atter-

ra e imprigiona nella schermaglia amorosa (708-714).

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- La mattina dopo (6 ottobre), sulla strada costiera, accompagnato dal fratello

di latte Masino (che a sedici anni, due mesi prima, aveva affrontato e ucciso

tre tedeschi con una baionetta), ‟Ndrja attraversa un paesaggio devastato dai bombardamenti e popolato di donne che espongono fotografie di uomini non

ancora tornati dalla guerra (714-719).

- Tra Grotte e il Ringo, ‟Ndrja e Masino scorgono il Maltese che, in compa-

gnia di uno scagnozzo, da una carrozzella si rivolge alle donne per reclutare

al prezzo di cinquecento lire tredici giovani messinesi da impiegare in una

regata celebrativa organizzata per il sabato successivo dagli angloamericani

di stanza nel porto di Messina, ma finisce per essere preso a sputi come un

ciarlatano, perché i familiari maschi le donne li hanno solo nelle foto e ormai

li piangono come morti in guerra (719-730).

- Il Maltese fa la proposta della regata a ‟Ndrja, offrendogli mille lire, ma

questi vuole prima vederci chiaro e capire soprattutto se con quella cifra è

possibile comprare una palamitara (730-736). - ‟Ndrja e Masino lasciano il Maltese dopo che questi, con la mediazione del

suo scagnozzo, accoglie nella carrozzella un gruppo di femminote-prostitute

che stavano caricando vestiti eleganti sulle loro imbarcazioni di contrabban-

diere (736-741).

- Intanto due riattieri, giunti a Cariddi attratti dall‟affare della cicirella, ven-

gono a sapere dell‟Orca e, fiutando uno smercio ben più redditizio, ingaggia-

no un losco individuo, l‟ex Camicia Nera Dumdum, il quale riesce a riaprire

all‟Orca la vecchia piaga lanciandole addosso le sue bomboatte, finché

l‟animale non si allontana dalla ‟Ricchia inseguito prima da uno zatterone

inglese e poi dalle fere, che intuiscono la possibilità di approfittare

dell‟occasione (nuova ferita ed evidente cecità) per liberarsi della sua presen-za ingombrante, scodandolo e prendendolo a ludibrio (741-758).

- Alba del 7: «Venne marte e marte veramente fu per l‟orcaferone». Il gran-

dioso e terrificante affresco della passione dell‟Orca che, attaccata da un nu-

golo di fere, viene orrendamente mutilata della coda e destinata a morte sicu-

ra e ingloriosa (758-767).

- Quattro ore dopo. La lunga e dura agonia dell‟Orca, che diventa ridicolo

trastullo per le fere e banchetto di carne di carogna viva per le sarde accorse a

banchi come chiamate dalle fere, che pure ne divorano gran parte (767-770).

Mezzogiorno: portata dalle fere sopra la linea vorticante e agitata del duema-

ri, l‟Orca vi scorre come un vagone merci sui binari e provoca una mareggia-

ta che porta fuori, e in parte scarica sulla riva, ogni sorta di rifiuti e carogne,

tra cui il cadavere sfigurato di un uomo che a ‟Ndrja ricorda l‟amico suicida Pirri (770-776).

- Le due del pomeriggio. I pescatori discutono sul modo di sbarazzarsi della

carogna dell‟Orca (orcagna) quando questa fosse definitivamente morta, e,

vagliate le varie possibilità (troppo difficile seppellirla a riva; disastroso ina-

Page 12: Sommario analitico di "Horcynus Orca"

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bissarla, perché avrebbe contaminato la cicirella e le uova d‟anguilla, l‟unica,

misteriosa fonte di vita rimasta ancora intatta; deviarla al largo verso Malta?

Farla saltare in aria in mare aperto? Improbabile che se ne interessino gli in-glesi; svantaggioso affidarla ai riattieri perché la smercino, in quanto ci gua-

dagnerebbero solo loro), cominciano a pensare che la cosa migliore, per

quanto degradante, sarebbe smerciarsela per conto proprio (776-782). È

‟Ndrja a lanciare senza troppa convinzione la proposta, e dall‟approvazione

entusiastica di quasi tutti comprende di aver trovato il mondo sottosopra, coi

pescatori disposti ad andare contro la loro stessa natura a causa della miseria

materiale e morale in cui li ha precipitati la guerra; ma Orioles frena gli entu-

siasmi ricordando sia la questione di principio sia l‟impossibilità, per loro, di

improvvisarsi venditori ambulanti, per giunta truffaldini (782-787). Passando

da tanto amore a tanto sdegno e tradendo il male della sua nostalgia di marit-

timo, nonché la delusione dopo aver troppo vantato l‟immortalità dell‟Orca,

Cama sostiene che hanno a che fare con una Pseudorca e, mostrando ai pe-scatori due foto in cui si vedono Orche lavorate dai pescatori del Mare di Be-

ring, li sprona a sfruttarne ogni parte per ricavarne pelli, grasso, olio, pettini,

posate, piatti, coltelli e zoccoli (787-798).

- A frustrare le speranze dei pescatori di avere finalmente un daffare con lo

smembramento dell‟Orca, dopo tanta inattività forzata dovuta alla guerra, an-

ticipato da quello dei gabbiani che cominciano a beccare la cicirella rimasta

attaccata al corpo squarciato dell‟Orca, mentre gli altri uccellacci carognosi

ne attendono la morte definitiva, c‟è l‟arrivo dello zatterone inglese che tra-

sporta due tizi in borghese: il Maltese e lo scagnozzo (788-806). Mentre lo

scagnozzo sbarca dallo zatterone, l‟Orca, in un ultimo, terrificante sussulto di

vita degno della sua fama di orcinusa, si libera dal vortice della linea del duemari e fa una misdea, un‟ecatombe di fere (806-812). ‟Ndrja pensa di

chiedere al Maltese, in cambio del suo ingaggio come vogatore, di intercede-

re presso gli inglesi, che intanto dirigono lo zatterone verso l‟Orca, affinché

consegnino l‟animalone ai cariddoti (812-813). Prima di presentarsi ai diffi-

denti pescatori, lo scagnozzo ha uno scontro fisico e verbale con un vecchio e

tre ragazzi giunti trafelati sulla plaia (813-817); esibendo subito le mille lire

promesse dal Maltese e giustificandosi dicendo che il vecchio e i ragazzi era-

no solo dei pezzenti attratti dal miraggio delle cinquecento lire di compenso

per la regata, lo scagnozzo, come uno che fa il gioco delle tre carte, circuisce

i pescatori vantando le doti atletiche di ‟Ndrja, il quale, pur maltrattando il

viscido sciacquapalle del Maltese, comincia a pensare di accettare l‟offerta

purché questa gli venga fatta dal Maltese in persona e purché il Maltese si impegni a fare arenare l‟Orca per dare un daffare ai pellisquadre (817-828).

Il monologo sullo sperone (828-993).

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- Facendo l‟occhiolino a ‟Ndrja, che in un primo momento lo considera bab-

bigno e non scaltrigno, perché pensa che il saggio pescatore, reso furbo dalla

guerra, si sia lasciato infinocchiare dai modi untuosi dello scagnozzo, Luigi Orioles comincia a interrogare lo sciacquapalle sui veri motivi del viaggio

del Maltese fin lì, per appurare che il dirottamento dello zatterone inglese dal

suo abituale vaeviene Faro-Cannitello non ha niente a che fare con l‟Orca, ma

è stato effettuato solo per il prelevamento di ‟Ndrja e il suo ingaggio come

vogatore (828-838). Facendosi portare da Masino il suo fazzoletto bianco, col

quale come per vezzo era solito asciugarsi la saliva agli angoli della bocca

quando ragionava nel suo antico modo dichiarato, netto, franco, leale e spar-

tano, Orioles disorienta ‟Ndrja, perché gli rivela un‟astuzia da teatrante –

come di chi parla seguendo un‟idea nascosta e mostrandosi remissivo, osse-

quioso e rimbambito – che non gli conosceva e che gli mostra il mondo rivol-

tato dalla guerra (838-844). Lo scagnozzo spiega a Orioles che il Maltese è il

braccio destro del Tauno Maggiore dell‟Amgot e in quanto tale può permet-tersi di dirottare lo zatterone inglese solo per prelevare il suo beniamino

‟Ndrja per la regata, la cui riuscita dipende esclusivamente dal sì del giova-

nottazzo di Cariddi; al che ‟Ndrja capisce che quella del Maltese è in realtà

una passione omosessuale nei suoi confronti e aggredisce lo scagnozzo, il

quale dietro il fare vittimistico gli si rivela solo come un losco e infame ruf-

fiano (il cui nome, ora si apprende, è Lillo Sanciolo); ma Orioles lo trattiene

perché è impegnato a portare avanti la sua pantomima fintamente conciliante

al fine di sapere esattamente cosa è disposto a dare il Maltese a ‟Ndrja, oltre

alle mille lire, in cambio della sua prestazione come vogatore (844-858). Il

complesso e interminabile traccheggio domandiero di Orioles: facendo scio-

gliere la lingua allo scagnozzo su quanto il Maltese tenesse veramente a ‟Ndrja, su cosa sarebbe stato disposto a dargli per prova della sua attrazione

(i denti d‟oro che ha in bocca, arriva a dire lo scagnozzo, anticipando le paro-

le del putacaso di Orioles), sotto sotto comunica a ‟Ndrja qual è il favore che

lui avrebbe dovuto chiedere al Maltese, che poi è lo stesso favore che lui

stesso aveva già pensato di chiedere per conto suo, ovvero la consegna

dell‟Orca (‟Ndrja è colmo di sconcerto e pietà per Orioles, il quale, per chie-

dere, spinto dal bisogno estremo, una cosa per lui vergognosa e contro natura,

è costretto ad armare un teatro di furberie e di mezze frasi scendendo allo

stesso livello di losca ambiguità dello scagnozzo e di quelli come lui) (858-

870). Mentre Orioles biascica le parole e le sillabe della prova d‟amore da

chiedere al Maltese nel suo putacaso, e mentre lo scagnozzo, credendo di an-

ticiparne il pensiero, dice sfacciatamente che il maltese darebbe a ‟Ndrja per-sino il suo baksaide, quest‟ultimo è preso da disgusto e ira incazzatoria per la

figura puttanesca che sta facendo in questa pantomima e, considerando che

lui in precedenza aveva già pensato di chiedere quel favore al Maltese da

uomo a uomo, ha la percezione dolorosa dell‟immiserimento e

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dell‟invecchiamento fisico e spirituale di Orioles e di tutto il suo mondo, sic-

ché la richiesta di «arenarci quell‟orcaferone là» immaginata sulla bocca del

vecchio e un tempo statuario pescatore, depositario dei valori di dignità di tutto un mondo ora distrutto dalla guerra e dalla fame, gli suona come disa-

strosa, mortifera e desolante (870-880). In un alternarsi martellante di rabbia

mascolina da incazzatoria e scoramento femminino da tribolo, ‟Ndrja smania

e si ripete mentalmente con ossessione che «non è giusto, non è giusto» che

Orioles pronunci quella richiesta per il Maltese per scopi puramente econo-

mici, dal momento che per lui, quando la concepì per conto suo, essa aveva

lo scopo nobile e disinteressato di ridare ai pellisquadre la dignità di un daf-

fare di mano e di mente; finché all‟improvviso il grido gli scappa di bocca e

in un impeto d‟ira si avventa sullo scagnozzo per strangolarlo, ma Orioles, il

quale intanto ha capito che la rabbia di ‟Ndrja era rivolta contro il suo gioco

degradante, glielo toglie dalle mani (880-888). Ravvedutosi, pentitosi della

sua pantomima e riconosciuto al furente ‟Ndrja il ruolo di vero uomo e pelle-squadra, Orioles nega all‟ormai sconfitto e minaccioso scagnozzo che stava

per fargli una richiesta da inoltrare al Maltese, mentre ‟Ndrja comincia a pro-

vare una sorta di gratitudine per il depravato individuo, perché grazie al suo

modo infame di operare ha svelato la mutazione antropologica di Orioles e di

tutti gli altri pescatori, permettendo così a lui di bloccarla e di porvi rimedio

con la sua incazzatoria (888-895). Azzerando tutte le precedenti discussioni

con lo scagnozzo, ‟Ndrja, rivolto al padre e facendo come se il Maltese fosse

presente lì di persona a proporgli l‟ingaggio come vogatore, chiede al gruppo

se accettare o no l‟offerta per mille lire, fugando così l‟ombra infamante

dell‟Orca da ricevere in cambio come favore (895-899). ‟Ndrja torna all‟idea

originaria e comincia a parlare di palamitara da prendere con l‟anticipo delle mille lire, al fine di rimettere in testa ai pescatori, ormai quasi ipnotizzati dal

miraggio dell‟affare con la carogna dell‟Orca, il «daffare vero, genuino, anti-

co, naturale» che era tutta la loro vita, in cui la barca fungeva persino da culla

e bara; interroga insistentemente, nella quasi totale indifferenza degli altri, le

cui menti e i cui sguardi sono rivolti all‟Orca morente, il sempre più spazien-

tito Orioles per chiedergli con finta ingenuità informazioni sul prezzo, sul ti-

po, sul colore e sul legno della palamitara, nonché sul mastro d’ascia cui ri-

volgersi, allo scopo di scatenare una loro reazione scandalizzata alle sue do-

mande da inesperto forestiero; reazione che, benché affidata solo allo sbarba-

tello Masino, c‟è solo quando egli fa finta di non sapere che l‟unico e vero

mastro d’ascia per la palamitara è don Armandino Raciti (899-918). I pesca-

tori rivolgono a ‟Ndrja uno sguardo rapido mentre notano che lo zatterone si avvicina alla riva e in tale occhiata lui legge una complicità ruffianesca, co-

me se nella loro infatuazione per l‟Orca contassero sulla sua amicizia ambi-

gua col Maltese, sicché gli torna in mente quell‟immagine sognata [cfr. 151]

in cui i pescatori gli imbrattano le labbra di rossetto perché pensano che la

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guerra lo abbia alterato a tal punto da renderlo infemminato (918-922). Deci-

so a portare fino in fondo la sua idea della palamitara, nonostante la degra-

dante malia che incatena i pescatori, a ‟Ndrja sembra che dalla Lanterna il vecchio cannadastendere arrivato lì con i tre sbarbatelli guardi quello che

non c‟è, cioè le barche a mare dei pescatori di una volta, mentre lo zatterone

giunge a riva e cala la prua, mostrando il Maltese e il comandante e dando a

‟Ndrja l‟impressione che gli eventi che stanno per accadere siano così inelut-

tabili da apparire come già accaduti (922-925). Sbarcato il Maltese, i pescato-

ri, con grande sconforto di ‟Ndrja, lo appellano con le parole dello scagnozzo

e ricapitolano come pappagalli quello che secondo quest‟ultimo il suo capo

sarebbe stato disposto a dare al loro ‟Ndrjuzza (i denti d‟oro, il latte d‟uccello

e il baksaide), senza nemmeno cogliere i doppi sensi osceni; finché Orioles,

mentre ‟Ndrja è intento a decifrare il labiale del vecchio sotto la Lanterna,

pronuncia varie volte la frase fatidica: «si fece lontana la barca, ‟Ndrja », e la

pronuncia con un tono femminino così strano e altezzoso che a ‟Ndrja richia-ma alla mente Ciccina Circè, mentre le parole gli suonano come un commen-

tario lapidario sulle rovine della barca e di tutto il loro mondo passato, non-

ché come un rimprovero vendicativo per aver osato porre fine al suo trac-

cheggio con lo scagnozzo per avere l‟Orca (925-935). Confrontando lo sbo-

riare dell’animo oppresso di Ciccina Circè con quello vendicativo e incaro-

gnito di Orioles, ‟Ndrja capisce di avere fatto torto alla femminota parago-

nandola al vecchio pescatore, il cui tono «smaccoso iattante sprezzantesco

linguto» lo rende peggiore non solo di quella donna, ma anche di lui stesso

fino a poco prima, quando traccheggiava con lo scagnozzo e sembrava mas-

simamente lontano dal suo antico costume di «parlatore di lingua spartana»

che ne faceva una guida spirituale per tutti gli altri, e questo gli fa sorgere nella mente l‟immagine di una Cariddi coperta di calce viva come fosse un

focolaio di peste evitata da tutti per paura di un contagio di morte (935-939).

‟Ndrja ignora la litania di un Luigi Orioles simbolicamente decapitato che

ripete sempre la stessa frase e si concentra sulle labbra in movimento del

vecchio sotto la Lanterna, come per cercare in quella visione qualcosa di fa-

miliare da ritrovare e riconoscere; in tal modo finisce per sentirsi al centro di

una triangolazione di «eco a oreocchio» (orecchio + occhio + bocca), perché

ha l‟impressione che la frase di Orioles arrivi al suo orecchio dopo essersi

riflessa nella bocca del vecchio, i cui occhi scrutano il mare alla ricerca di

una barca allontanatasi e perduta per sempre, sicché le parole della frase tor-

nano a significare quello che gli significarono subito, e cioè non un rimprove-

ro vendicativo ma un commentario lapidario, un canto funebre sulla fine del-la loro antica forma di vita (939-944). Orioles pronuncia la frase senza

“‟Ndrja” sì da renderla definitivamente funebre e scolpirla sulle casetombe di

tutti, dando modo ai pescatori di riprendere la parola con discorsi volgari su

‟Ndrja, il quale per salvare la patria, o per salvarli dalla fame, dovrebbe ac-

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cettare di soddisfare le voglie omosessuali del Maltese in modo da potergli

chiedere poi il favore dell‟Orca (solo Caitanello, da padre, si oppone agli

sproloqui di Arturo Palamara) (944-951). ‟Ndrja oreocchia tra Orioles e il vecchio sotto la Lanterna, che ormai sono per lui una persona sola, per indo-

vinare la reazione a quella morte civile; sente dalla bocca del primo e nel

contempo vede sulla bocca del secondo, oreocchiandoli, la frase biascicata in

sillabe slabbrate e sonanti come una marcia funebre, ovvero come il suono

del corno di Orlando, come un‟inutile richiesta di aiuto gridata a nessuno, al

vento e al mare (952-953). È il tramonto e i barbagli del sole sulle lacrime

che spuntano a ‟Ndrja per lo sforzo di fissare Orioles gli procurano delle vi-

sioni da sogno: partendo dal panorama visto dal vecchio sotto la Lanterna,

che gli ricorda lo spiaggiatore grifonesco che si preparava un giaciglio-bara

sulla sabbia [cfr. 111-115], ‟Ndrja vede lo Stretto ridotto a una carcassa di

sale da cui i pescatori tirano a riva la carcassa dell‟Orca, che all‟improvviso

si anima, riprende l‟antico aspetto, rigenera da sé il mare e ne è inghiottita assieme ai pescatori (‟Ndrja legge in questa visione il rovescio del sogno del-

lo spiaggiatore a cavallo [p. 78] perché, malgrado si siano votati all‟Orca, i

pescatori sono destinati a tornare alla loro antica simbiosi con il mare fedele e

infedele) (953-957). Improvvisamente Orioles, in un biascicare che ‟Ndrja

oreocchia anche sulla bocca del vecchio sotto la Lanterna, ma che sembra

provenire da una qualsiasi «bocca affogata schiumosa di mare, alghe e rena»,

comincia a sillabare, sdillabaviare e sdillabbrare “Barca… Bara”, che presto

si tramuta in “Bara. Bara. Bara”, e da questo cavar fuori bara da barca sman-

giando la c, ‟Ndrja percepisce un senso di morte definitiva, perché è segno

che il pescatore, pur essendo ancora vivo, invoca la bara, la quale, secondo

un‟usanza antichissima, per i pellisquadre di Cariddi (e non solo) si ricavava dal fasciame delle barche in disuso e dalla loro stessa barca (957-960). Il

suono “barcabara” richiama alla mente di ‟Ndrja immagini di visioni e ricordi

di barche trasformate in bara, come i ricordi e le visioni legati alla madre la

cui bara fu ricavata da una palamitara in disuso (la “Polare”) e per questo

non gli riesce di pensarla morta, ma sempre legata a un viaggio o a un arrivo

su barca; o come l‟uso barbaro di varare barche con cadaveri sopra da disper-

dere in mare, portato dai tedeschi, i quali privarono il vecchio spiaggiatore

col cavallo della sua palamitara per caricarvi sopra i corpi da loro bruciati

dei soldati italiani [cfr. 77-78]; o come la barca di Ciccina Circè , circondata

di morte e carica dello spirito del defunto Baffettuzzi, sulla quale ‟Ndrja si

sentì come in viaggio verso il paese dei morti; e infine le barche sulle quali e

attorno alle quali morivano sotto i mitragliamenti aerei inglesi i fascisti che cercavano di passare in Calabria (960-964). Immedesimandosi nella mente di

Orioles, ‟Ndrja capisce che forse è lui stesso l‟origine dei pensieri funerei del

vecchio pescatore, il quale ha sempre avversato le credenze femminili sugli

spiriti e sull‟aldilà da raggiungere con la barabarca, come si vide allorché

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rimproverò Cristina Schirò perché questa, per spiegare la manna di cicirella,

sosteneva che l‟Orca fosse abitata dall‟anima di Ferdinando Currò[cfr. 681-

685]; sicché in tutto il finimondorioles legge il risultato di una sua ispirazione simpatetica risalente al momento in cui, con le sue domande ingenue che

smorfiavano l‟autorità di mente e di parola di Orioles, gli aveva chiesto del

legno della palamitara che lui avrebbe comprato con le mille lire, scatenando

così nel vecchio quella catena di pensieri che dal legno lo avevano condotto

alla barca lontana e da questa alla bara (964-972). Dimostrando che nel leg-

gere la mente di ‟Ndrja non si era fermato solo alla prima parte della sua vi-

sione apocalittica del diluvio d‟ossa e sale, ma che aveva interpretato a modo

suo il successivo rigenerarsi del mare dall‟Orca, Orioles rimette la c a “bar-

ca”, sprua la parola togliendo la b e ottiene “arca”, trasformando così il fini-

mondorioles nella fine del mondo; fine del mondo che ‟Ndrja, dopo avere er-

roneamente pensato che si trattasse di un arcalamecca da sciampagnone e-

scogitato per salvare se stesso su quell‟arca (questo pensiero poteva venirgli solo perché, scambiandosi con il se stesso marinaio, aveva sovrapposto a

quella di Orioles l‟immagine dell‟infame capo Tarantino, che badò solo alla

propria salvezza affondando la corvetta), e oreocchiando ancora una volta la

parola sulla bocca boccheggiante come quella di un pesce gettato a riva del

vecchio sotto la Lanterna, interpreta come la resa definitiva di un pellesqua-

dra ridotto dalla guerra dalla condizione di idolo di una comunità a quella di

mummione dalla pelle liscia, cioè priva ormai della scabrosità del verdone o

squadro, ovvero della cartavetrata per squadrare (972-978; cfr. 254). ‟Ndrja

si rende conto, per associazione di idee, che Orioles e il vecchio cannada-

stendere sotto la Lanterna, dietro il loro boccheggiare e invocare la bar’arca

hanno l‟ombra di Ferdinando Currò, che con la sua «comarchetta di mum-mioni disfiziati di vivere come vivevano» varò la Borietta e ne fece (come

poi anche Caitanello) usabuso di arca alla rovescia, di arca, cioè, che non gli

salvava la vita ma li salvava dalla vita, da quella vita miserabile in cui fame

da guerra e vecchiaia li avevano gettati; e dando un‟occhiata alla riva si ac-

corge che la Borietta è sparita, perché trafugata e varata da Dumdum e fami-

glia nell‟illusione di andare a finire l‟Orca da vicino con le sue bomboatte

(978-982). ‟Ndrja si sveglia dai suoi pensieri veloci nella mente come pesci

nel mare e ripetendosi più volte “M‟astraetti” prende atto che con “arca” O-

rioles lo ha soltanto posto di fronte alla sua scelta se concedere o no ai pesca-

tori la possibilità di salvarsi con l‟Orca, facendone un‟orcarca, mentre alle

sue spalle ancora si discute in maniera oscena sul baratto tra il piacere che

egli avrebbe dovuto dare al Maltese e il favore che questi avrebbe potuto fare a loro; sicché si convince che l‟Orca non potrebbe ridurli peggio di come so-

no (982-987). Guardando Orioles,‟Ndrja legge nel suo sguardo il cedimento

alla volontà della maggioranza e così ripercorre i propri dubbi e i propri pen-

sieri, finché, tornando a rammaricarsi del fatto che, se lui aveva per primo

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pensato di fargli arenare l‟Orca, lo aveva fatto non a scopo di lucro ma solo

per dare ai suoi compaesani un daffare di mano e di mente che li facesse usci-

re dall‟inattività forzata e mortifera dovuta alla guerra e alla carestia, decide che l‟unica strategia per salvarli dall‟imbarbarimento è insistere sull‟idea del-

la palamitara e del ritorno al loro antico e onesto mestieruzzo di uomini di

mare estranei agli sporchi affari dei riattieri (987-993).

- [Ripresa dell’azione interrotta a p. 828] Mentre lo zatterone si avvicina a

riva, ‟Ndrja propone di comprare da don Armando Raciti una palamitara con

le mille lire della regata, ma solo Orioles e il fratello di latte Masino sono in-

teressati, perché gli altri sono intenti a guardare verso il mare, un occhio allo

zatterone e uno all‟Orca, e quando il Maltese sbarca gli va incontro annun-

ciando a sorpresa ai pescatori che gli chiederà subito di far arenare l‟Orca

(993-1001).

- Nel lunghissimo minuto di conversazione col Maltese, il quale si mostra fe-licissimo di accontentare i pescatori, ‟Ndrja ha modo di osservare Marosa che

ricama seduta davanti alla porta di casa e di considerare che, come gli aveva

detto Ciccina Circè [cfr. 341], alla quale non smette di pensare, quelle delle

femminelle di casa «dai famigerati culiseduti» sono «agugliate di pensieri di

desio» con cui tengono l‟uomo legato a casa o lo tirano a sé quando è lonta-

no, e che la ragazza, rendendosi conto che lo zito stava per partire per un vi-

aggio senza ritorno, perché a Messina forse lo avrebbero fatto prigioniero con

la scusa della regata, questa volta magari si era messa a ricamare

l‟inesauribile sagoma dell‟Orca (1001-1004).

- Prima del tramonto, i cariddoti, attrezzatissimi, si imbarcano sullo zatterone

per andare a trainare l‟Orca (1004-1005). - Ingannati dal meccanico sbocco di sangue, aria e acqua dallo sfiatatoio, do-

vuto alle correnti d‟acqua che le entrano dalla ferita, gli inglesi scaricano una

sventagliata di mitra sull‟Orca, ma i pellisquadre indovinano che è morta da

circa un‟ora e comprendono che quel movimento apparente nella corrente e

quel falso respiro sono ciò che resta della sua fama di immortalità, che ora

sembra contagiare anche gli inglesi (1005-1012).

- Per dimostrare agli inglesi che l‟Orca è ormai morta, Masino, anticipando

‟Ndrja, si tuffa per andare a tappare con la stoppa lo sfiatatoio dell‟animale,

che poi viene legato per i denti e trascinato a riva, non prima di aver mostrato

il suo ultimo mistero: una macchia bianca a forma di cuore sotto la gola. Du-

rante il rimorchio, i pescatori avvistano, con gioia e commozione per il ritor-

no della natura ai suoi cicli fatali, «i loro belli, sempreterni spada e spaduz-zi». Una volta arenata, l‟Orca si mostra nell‟incerta luce del tramonto in tutto

il suo spaventevole aspetto di morte e lacerazione ai meravigliati cariddoti,

accorsi in massa sulla riva per dare una mano a tirarla sull‟asciutto e «per

spuliciarla della cicirella» che ha addosso (1012-1019).

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- Dopo il congedo dai pescatori, e soprattutto dal padre e da Orioles, che gli

raccomanda prudenza e che tuttavia gli fa impressione per come è preso an-

che lui dall‟opera di sciacallaggio attorno alla carogna dell‟Orca, ‟Ndrja va a salutare Marosa. Piangendo, costei sta ricamando non l‟Orca, come lui insi-

nua scherzosamente, ma il cuore nero dello zito per il dolore della sua ripar-

tenza, sicché ‟Ndrja, offrendole il petto nudo come un Ecce Homo per farsi

ricamare un cuore «in pelle sopra a quello in carne», per consolarla le si pro-

mette come marito capobarca al suo ritorno dalla regata e da Galati Mamer-

tino, dove avrebbe ordinato la palamitara (1020-1026).

- Salito verso sera a bordo dello zatterone, ‟Ndrja sorride guardando i pesca-

tori che si danno da fare alacremente attorno all‟Orca, ormai così fredda da

non puzzare più, e chiede al Maltese altri due favori: che reclutasse anche

Masino per la regata (e questo il Maltese non se lo fece dire due volte) e che

fosse lui di persona a dare al vecchio della Lanterna le 250 lire di compenso

per aver dato allo scagnozzo, al Maltese e al Barbarossa inglese lo spettacolo umiliante del suo enorme pene, che aveva tirato fuori per sbatterlo addosso

allo scagnozzo quando questi gli aveva inavvertitamente pisciato addosso (e a

‟Ndrja il vecchio cannadastendere ricorda Caitanello quando brandì il suo

affarecinese contro le fere nel corso della sua sblasata in mare: cfr. 493-499)

(1026-1032).

- Lo zatterone parte e ‟Ndrja sente la voce di Marosa che lo chiama dalla riva

per nome e cognome, mentre le fere che nuotano attorno all‟imbarcazione gli

danno la sensazione di ritrovarsi ancora sulla barca di Ciccina Circè durante

il trasbordo (1032-1035).

- Sbarcati sulla piazzetta di Torre Faro, ‟Ndrja e Masino vengono caricati su

un camion insieme agli altri sbarbatelli ingaggiati per la regata; ‟Ndrja si ri-fiuta di fare al Maltese il favore di controllare le mani ai ragazzi per appurare

se hanno mai remato, e all‟improvviso sente il rimbombo della gamba di le-

gno di Boccadopa, il quale ottiene dallo scagnozzo di poter salire anche lui

sul camion con Portempedocle per un passaggio. Quel rimbombo sinistro ri-

porta ‟Ndrja con la mente all‟ultima volta in cui l‟ha sentito, sulla spiaggia

delle femminote, prima di incontrare Ciccina Circè [cfr. 267 s.] (1035-1042).

- ‟Ndrja non ha tempo di soffermarsi su Boccadopa e Portempedocle che, non

appena saliti sul camion, stramazzano comicamente a terra, perché ad un trat-

to sente arrivare da fuori il suono della campanella di Ciccina Circè. Costei,

nella casermetta, «altroché millunanotte, altroché arcalamecca», com‟era nei

suoi ricordi sognanti, mitizzati e amorosi, fa la sfogacazzi degli inglesi, i qua-

li, in quel baccanaletto e cantandole in coro Rosamunda (prendendo così nel-la mente di ‟Ndrja il posto dei delfini ipnotizzati dalla campanella durante il

trasbordo), se la passano a turno per qualche galletta. E dopo che Ciccina

Circè finisce a terra nel tentativo di correr dietro al camion da dove Masino la

chiama per nome su richiesta di ‟Ndrja (il quale però gli aveva anche detto di

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darle della puttana), Portempedocle riconosce il suo Mosè e Boccadopa gli

rinfaccia di averli lasciati nelle mani delle femminote, che procurarono loro

una terribile diarrea con la ghiotta di tonno e li spogliarono di ogni cosa di valore in cambio del trasbordo (1042-1052).

- ‟Ndrja passa la notte con gli altri nella Casa Littorio di Messina, un locale

fetido e sventrato dai bombardamenti, e prima dell‟alba, dopo aver sentito

degli spari dal punto in cui si trovavano le sentinelle inglesi davanti alle navi

da guerra, assiste alla morte di un intrallazzista di sigarette entrato

nell‟edificio ferito al collo e vede fuggire terrorizzati tutti gli altri sbarbatelli

(1052-1055).

- Alle prime luci dell‟8 ottobre (mercoledì), ‟Ndrja e Masino si trovano a va-

gabondare per una Messina ridotta in macerie soli e senza più alcuna speran-

za di poter fare la regata a causa della fuga degli altri componenti

dell‟equipaggio; pertanto, decidono di andare a Galati da don Armando Raci-

ti, al cui cantiere arrivano verso le nove dopo aver trovato un passaggio sopra un camion d‟arance. Qui assistono a uno spettacolo penosissimo: il mastro

d’ascia, che ha solo 37 anni, è ridotto a una larva umana mezza paralizzata,

muta e inebetita, e a occuparsi della costruzione delle palamitare, con un le-

gno qualsiasi portatole dal committente, è la povera moglie, la quale, per te-

nere in vita il marito, gli dà l‟illusione di essere guidata da lui nelle varie fasi

della lavorazione, facendogli delle domande a un orecchio e fingendo di leg-

gere le risposte dalla sua bocca, dalla quale gli usciva a stento il fiato (1055-

1063).

- Tornati a Messina tra mezzogiorno e l‟una, ‟Ndrja e Masino prima scorgono

gli sbarbatelli affacciati al balcone della sede del Movimento Indipendentista

Siciliano e poi incontrano il Maltese, il quale li porta a mangiare e a bere un bicchiere di vino in una bettola del porto; qui il Maltese racconta loro di aver

licenziato lo scagnozzo, perché questi, pur di far intascare al fratello e al co-

gnato il compenso per la regata, gli procura dei debosciati e impomatati gio-

catori di zecchinetta, che alla prova della voga suscitano l‟ilarità degli atleti

inglesi e americani, ed è quindi deciso a non collaborare più con il Tauno

Maggiore; ma ‟Ndrja, capendo che è sotto l‟effetto del vino, lo convince a

ritentare con gli sbarbatelli di prima e, dopo aver mandato Masino a recupe-

rarli, va col Maltese al Mare Secco di san Ranieri, dove può ammirare la bel-

la lancia assegnata alla squadra italiana di vogatori per la regata (1063-1073).

- Immalinconito e sfiduciato, il Maltese insiste perché ‟Ndrja accetti comun-

que le mille lire anche senza regata, ma ‟Ndrja rifiuta un compenso non gua-

dagnato col lavoro pattuito e gli ricorda di essere in debito con lui per l‟arenamento dell‟Orca; allora il Maltese gli chiede di guadagnarsi le mille

lire leggendogli il giornale di guerra, e quando ‟Ndrja legge della situazione

di stallo a Cassino, il Maltese gioca sul bisticcio Cassino/casino; a quel punto

arrivano gli sbarbatelli con Masino, il quale racconta di averli prelevati dalla

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sede del M.I.S. mentre qualcuno gli spiegava che la Sicilia è un‟isola e di a-

verli convinti a seguirlo ricordando loro l‟impegno preso con ‟Ndrja, «che

sarebbe quello che non vi volle gardare le mani per non farvi la spia» (1073-1078).

- Preso dall‟entusiasmo e dal ritorno finalmente di «palpiti grossi di gran vita

a precipizio», ‟Ndrja comincia subito ad allenare la squadra e con Masino

scherza sulla sorpresa che potrebbero fare ai cariddoti presentandosi con

quella formidabile lancia e chiedendo in cambio la carcassa dell‟Orca che li

ha tanto ammaliati. Ma è già buio e nel provare il tragitto della regata si avvi-

cinano troppo alla prua della portaerei inglese (che segna il traguardo). La

sentinella fa partire un colpo che ‟Ndrja sembra quasi accogliere volontaria-

mente in mezzo agli occhi, perché alza lo sguardo sulla fiancata. Disperati e

in lacrime, Masino e gli sbarbatelli vogano rabbiosamente verso il mare aper-

to per riportare a casa il corpo di ‟Ndrja (1078-1082).

Vedi anche:

Marco Trainito, Il mare immane del male. Saggio su “Horcynus Orca” di

Stefano D’Arrigo, Cerro Edizioni, Gela 2004.

Marco Trainito, Il codice D’Arrigo. Dall’Orca alla placenta Hatshepsut,

Edizionianordest, Treviso 2010.