Società off shore: flussi finanziari

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1 Il ruolo delle società off-shore nella gestione dei flussi finanziari; le responsabilità penali connesse all'intermediazione finanziaria on line. di FRANCESCO BUFFA Relazione all'incontro di studi per magistrati "Terzo Corso Guido Galli di approfondimento tematico delle tecniche di indagine. La tutela penale dell'attività bancaria e del mercato mobiliare" , organizzato in Frascati (Rm), dal 9 all'11 novembre 2000 dal CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA.

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I flussi finanziari delle società off shore

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Il ruolo delle società off-shore nella gestione dei flussi finanziari; le responsabilità penali connesse all'intermediazione finanziaria on line.

di FRANCESCO BUFFA

Relazione all'incontro di studi per magistrati "Terzo Corso Guido Galli di approfondimento tematico delle tecniche di indagine. La tutela penale dell'attività bancaria e del mercato mobiliare", organizzato in Frascati (Rm), dal 9 all'11 novembre 2000 dal CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA.

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"Non siamo mai riusciti a controllare nemmeno la old economy, si figuri la new economy" (Guido Rossi, intervista a Repubblica, in Turani, Senza ordine e nuove leggi la new economy è il far west, la Repubblica, suppl. Affari e finanza, 30 ottobre 2000, 2) INDICE Introduzione. L'intermediazione finanziaria on line Le società off shore L'abusivismo on line La sollecitazione telematica all'investimento Altri illeciti degli intermediari on line Riserve extracontabili nei centri off shore e reati connessi Il money laundering: obblighi di identificazione; il riciclaggio; il cyberlaundering I reati finanziari Norme valutarie La giurisdizione L'individuazione dell'operatore on line e la responsabilità del provider Gli strumenti di indagine e la cooperazione internazionale Conclusioni Bibliografia

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INTRODUZIONE L'attuale realtà finanziaria è caratterizzata da due aspetti: la internazionalizzazione e la dematerializzazione dei flussi finanziari: sotto il primo profilo, i flussi finanziari coinvolgono ordinamenti giuridici diversi, con norme ed istituti non sempre omogenei e convergenti; sotto il secondo, la ricchezza circola per canali telematici attraverso operazioni contabili senza materiali spostamenti di denaro. I due aspetti interagiscono, atteso che la smaterializzazione dei valori economici e l'uso di tecnologie informatiche e telematiche per la circolazione elettronica della ricchezza annulla le distanze spaziali e abbatte le barriere tra gli ordinamenti. All'internazionalizzazione dei mercati corrisponde la globalizzazione del crimine in quanto questo assume una dimensione transnazionale, e viene sovente a sfruttare le diversità degli ordinamenti nazionali per operare -con l'ausilio di tecnologie dell'informazione.- nei regimi più favorevoli. Le forme telematiche di prestazione di servizi finanziari importano una dimensione nuova sia in termini quantitativi che qualitativi degli illeciti penali realizzabili dagli intermediari, essendo nuove le forme di circolazione della ricchezza e le modalità di aggressione ai beni tradizionali. L'INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA ON LINE. L'applicazione di tecnologie dell'informazione e comunicazione (ICT- information and communication tecnology) nella circolazione della ricchezza ha inciso sugli intermediari ed ha portato alla nascita di strumenti, procedure e circuiti nuovi di circolazione della ricchezza, non più basati sulla circolazione del contante, della moneta scritturale o di titoli cartacei. Sotto il profilo soggettivo, relativo agli intermediari on line, la telematica e soprattutto internet hanno avuto grandi effetti sull'organizzazione, creando nuovi competitors-tecnologicamente evoluti- sulla scena economica, e sono nate anche imprese a rete o virtuali; correlativamente, sono modificati la strutturazione del mercato ed i canali distributivi, aperti ad un a nuova dimensione spaziale (internazionale e virtuale) e temporale (on line), spinti fino all'interattività one-to-one con la clientela (per la generale ridefinizione delle strategie competitive e distributive, si rimanda a BRACCHI-FRANCALANCI-GIORGINO, 33 ss). Sono nati i "cybermediari" (STECCO, in SCOTT-MURTULA-STECCO, 101 ss.), operatori che offrono vari prodotti e servizi nuovi in rete, dall'informazione (PELLEGRINI, in SCOTT-MURTULA-STECCO, 113), all'e-commerce, alla intermediazione nei pagamenti ed alla gestione della moneta elettronica. Le nuove tecnologie inoltre consentono l'operatività transfrontaliera realizzata attraverso connessioni telematiche: può accadere così più facilmente che un intermedi ario estero presti servizi finanziari remote in Italia e viceversa che un italiano operi all'estero ad esempio da un sito internet italiano. Tutto quanto detto ha ovviamente imposto agli intermediari tradizionali modificazioni consistenti dell'operatività e del rapporto con la clientela.

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Sotto il profilo oggettivo, le novità hanno riguardato il sistema dei pagamenti sia il mercato dei prodotti finanziari (per un esame dettagliato delle varie fattispecie, BUFFA, 1999). Tra gli strumenti di pagamento diversi dal contante rilevano intanto le carte di credito (su cui RESTUCCIA), che consentono il differimento del pagamento di beni o servizi presso l'emittente (c.d. fidelity) o presso esercizi convenzionati (c.d. travel and entertainment), e le carte di debito, che importano un addebito immediato del conto corrente e ciò sia per il prelievo di denaro contante (come avviene nel bancomat o nel postamat) sia per il pagamento di beni o servizi acquistati presso esercizi convenzionati (come avviene nei Point of sale-POS). Sono nuove procedure di pagamento, poi, che non integrano una movimentazione di contante, il bonifico e il giroconto elettronico (nelle due specie del bancogiro e postagiro, a seconda che si tratti di intermediario finanziario bancario o postale): l'operazione di trasferimento della ricchezza in questo caso avviene anche qui senza movimentazione di contante, ma attraverso un'operazione contabile di giro (da qui il nome giroconto); in sostanza, l'intermediario addebita il conto dell'ordinante e accredita successivamente (ovvero ordina con telex o telematicamente al proprio corrispondente di accreditare) il conto del beneficiario del pagamento, ovvero -nel bonifico- mette (o fa mettere) a disposizione di questo contante. Un'altra forma di pagamento internazionale, rilevante sotto un profilo giuridico, è il pagamento mediante la S.w.i.f.t., che è una rete interbancaria, nata nel 1973, che consente di effettuare operazioni transfrontaliere in qualunque valuta. Tali procedure sono state tradizionalmente quelle più usate nei pagamenti internazionali e in genere nello spostamento di capitali all'estero, e vengono effettuati su filiale della banca all'estero, oppure su una banca corrispondente. Sono disciplinati dalla Direttiva n. 308 del 1991 per il monitoraggio dell'Ufficio Italiano Cambi sulla circolazione dei capitali per somme superiori ai venti milioni, e -nel caso dei bonifici- dalla direttiva sui bonifici transfrontalieri 97/5/CEE, attuata recentemente con il d.lgs. 253/00 (che detta una disciplina essenzialmente privatistica relativa ai rapporti tra il cliente e l'intermediario: per un primo commento, SCADUTO). Al di fuori di tali strumenti, restano forme di regolamento più tradizionali quali il regolamento diretto, tramite banca con strumenti cartolari, il regolamento tramite posta e il regolamento per compensazione (COMBA, 57 ss.). La telematica consente peraltro nuove modalità di fruizione dei servizi caratterizzata da rapidità , flessibilità , sicurezza, tendenzialmente senza limiti di orario e senza vincoli di distanza: è il caso del remote banking., nelle tre figure del Phone Banking, dell'Home Banking e del Corporate Banking. Si tratta di servizi telematici con accesso diretto (con password) che consentono oltre che di avere servizi informativi (come il phone banking), di effettuare varie operazioni bancarie dispositive (giroconti, bonifici, acquisto titoli, investimenti) da casa o dalla sede dell'impresa (home banking e corporate banking). In queste fattispecie, talora la circolazione della ricchezza opera su rete telefonica commutata o su rete dedicata (per un esame della rete SI.TRA.D., TROIANO, 35 ss.); altre volte, il rapporto con l'intermediario nasce e si sviluppa su internet, ove ormai tutti i principali operatori hanno un sito web. E' proprio ad internet peraltro che si ricollega l'internazionalizzazione del remote banking: gli intermediari tecnologicamente evoluti infatti offrono servizi finanziari e mobiliari in vari paesi ed in varie lingue; inoltre, la spinta ad allargare il bacino di utenza è favorito dal fatto che gli investimenti necessari per far partire il sistema in un nuovo paese sono assai scarsi proprio grazie ad internet (DAINESI,

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150). Sotto altro profilo, l'internazionalizzazione dei pagamenti si ricollega alla nascita e diffusione dell'e-commerce, che consente di stipulare telematicamente contratti aventi ad oggetto qualsiasi bene o servizio tradizionale, sia nuovi servizi e beni immateriali (software, e-books, musica-mp3, consulenze a distanza, ecc.), con il conseguente problema di regolamento trasfrontaliero dell'operazione con il pagamento del corrispettivo del bene o servizio acquistato (per gli aspetti general del commercio elettronico, v. SCOTT-MURTULA-STECCO). Su Internet vi sono diverse forme di pagamento: pagamento attraverso carta di credito, con assegno elettronico, con moneta elettronica su smart card, e con moneta elettronica su file. Il pagamento con carta di credito è innanzitutto un pagamento con carta di credito ordinaria, di cui viene comunicato telematicamente il numero. Peraltro, anche la fase di emissione di carte di credito può realizzarsi in rete (c.d. credit on line), da parte di finanziarie con appoggio su conti bancari on line di operatori autorizzati (POMANTE, 155 ss.): diverse attività qui vengono svolte on line, dal processo di customer acquisition attraverso la pubblicizzazione su sito web o marketing attraverso banners presso affiliate networks, dalla richiesta di emissione della carta (accompagnata dalla compilazione di un questionario standardizzato relativo alla situazione economico-finanziaria del cliente), alla valutazione preliminare del merito creditizio previa acquisizione on line da credit bureau dei credit reports relativi al cliente (con totale automazione del servizio che consente di approvare o bocciare una richiesta dopo appena trenta secondi), fino all'apertura di un conto on line e comunicazione telematica del numero dello stesso (mentre la carta verrà poi inviata per posta) (per un esame delle varie fasi, POMANTE, 216 ss., conparticolare riferimento alla americana NextCard): la carta poi potrà essere utilizzata in modo ordinario, ovvero per acquisti in rete nell'ambito di applicazioni di e-commerce. SI tratta di funzioni di finanziamento che rientrano (insieme al mortgage on line e agli equity loans, ossia ai mutui prima casa e ai finanziamenti garantiti) nella categoria del credit on line (DAINESI, 154; POMANTE, ibid.). Poiché il pagamento con carta di credito ordinaria è rischioso (perché si presta ad abusi di utilizzazione del numero della carta di credito ed, eventualmente, alle interferenze illecite da parte di terzi: cfr. CILLI, in SCOTT-MURTULA-STECCO, 326, in ordine al carding), si è cercato di attribuire maggiore sicurezza ai sistemi di pagamenti su internet mediante carta di credito attraverso l'adesione a conti presso intermediari: così, la " First Virtual ", società alla quale, previa adesione al sistema, vengono comunicati attraverso canali diversi (e segreti) i numeri di carta di credito; questa società attribuisce un p.i.n. e attraverso questo p.i.n. si effettueranno le operazioni in rete. Altre società autorizzano, invece, strumenti criptati di pagamento mediante carta di credito, c.d. carte di credito criptate: così S.E.T. (Secure Electronic Transactions) e Cybercash. Si tratta di adozione della tecnologia della firma digitale e di applicazioni della stessa su carta di credito, distinguendosi i due sistemi solo in quanto vi è un'autorità di certificazione soltanto nel secondo caso. Il pagamento in rete può pure essere fatto pure mediante assegni elettronici (come nel sistema attuato dalla Netcheque e in quello Paynow di Cybercash): l'utente crea un assegno elettronico che firma digitalmente e spedisce al venditore che lo firma e lo gira alla banca. La vera rivoluzione nel campo del sistema dei pagamenti peraltro non è rappresentata però dalla possibilità di far acquisti con la carta di credito o tramite i POS: la vera novità consiste nella creazione di un nuovo strumento di pagamento che sostituisce il denaro contante in tutte le sue fasi (MASCIANDARO-MANTICA, 67), che non si limita a smaterializzarne la circolazione -attraverso operazioni contabili informatiche- ma

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smaterializza direttamente il bene: ciò vale sia per il denaro e le valute (che ormai hanno tutte la stessa natura di bytes) così come è già avvenuto per i titoli (in gran parte smaterializzati completamente). In particolare, sono sorti strumenti di moneta elettronica: si tratta di strumenti c.d. "stored value", cioè che immagazzinano in sé moneta elettronica¸vi rientrano sia le carte c.d. prepagate, ove il credito è utilizzato a scalare sul valore immagazzinato inizialmente, sia le ipotesi in cui lo strumento ha esso stesso una veste esclusivamente informatica, trattandosi di un file che contiene in sé, nella propria memoria dell'elaboratore, una serie di istruzioni informatiche analoghe a quelle proprie delle carte prepagate (in tale secondo caso manca un bene mobile che immagazzina il valore -quale invece la "carta"-, ma lo strumento di pagamento è solo nella stessa memoria dell'elaboratore, quindi in un file). Quanto alle applicazioni pratiche della moneta elettronica, quella su smart card (stored value) è stata attuata in Nord Italia dal sistema del borsellino elettronico Minipay e con il sistema Viacard (più diffuso per il pedaggio autostradale), e all'estero con il più diffuso sistema Mondex (della Hong Kong Standard Chartered Bank e della Bank of China ) e il Prime Visa Cash, che ha il vantaggio di poter essere ricaricato attraverso il Bancomat. Quanto alla moneta elettronica su file, essa è stata attuata da Digicash e da Cybercoin di Cybercash. I due strumenti hanno funzionalità diverse: la smart card, che già oggi si presenta sotto forma di borsellino elettronico, carta bancaria, carta di credito, carta di identità elettronica, tessera sanitaria (TESINI, in SCOTT-MURTULA-STECCO, 189; cfr. pure MARIGONDA, ibidem, 229) è uno strumento di informatica personale sicuro, di facile utilizzo e tascabile. La moneta elettronica su file, invece, è di più immediata utilizzabilità , pur non essendo portabile, nelle operazioni di e-commerce e trading on line, essendo residente nello stesso strumento informatico col quale si compiono le operazioni commerciali. Ora, mentre in Italia manca una disciplina specifica relativa agli strumenti di pagamento elettronici o, in generale, all'applicazione delle tecnologie informatiche e telematiche alla circolazione della ricchezza, .attenzione al fenomeno ha prestato il legislatore comunitario. In particolare, dopo la raccomandazione n. 598/87 (che aveva dettato un codice europeo di buona condotta in materia di pagamento elettronico e relazioni tra istituti finanziari, commercianti e consumatori) e la raccomandazione n. 590/88 (relativa ai sistemi di pagamento e ai rapporti tra il proprietario della carta e l'emittente), di recente la Commissione del Consiglio della Comunità Europea ha affrontato il problema dei trasferimenti elettronici di fondi e dei sistemi automatici di pagamento telematici attraverso una serie di provvedimenti (per le evoluzioni della normativa più recenti e per i progetti in corso, si rinvia al quadro sinottico fatto da BURANI, 359 e 360). In particolare la comunicazione n. 353/97 ha individuato quattro aree di intervento nei sistemi di pagamento con accesso a distanza e con moneta elettronica: la prima area di intervento è quella relativa alla definizione di un quadro di supervisione sugli emittenti; la seconda è quella della promozione della fiducia dei consumatori, quindi della disciplina della contrattualistica; il terzo aspetto è quello della fissazione di chiare regole di concorrenza; l'ultimo aspetto è quello dell'incremento della sicurezza e repressione delle frodi. La direttiva n. 7 del 1997, sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, disciplina poi i pagamenti mediante carta e la responsabilità per uso fraudolento, prevedendo in particolare delle limitazioni per la responsabilità del cliente in caso di intervento fraudolento da parte di terzi soggetti. Di eccezionale importanza in materia la Raccomandazione n. 489 del 1997 della Commissione della Comunità europea di disciplina di operazioni mediante strumenti di pagamento elettronici e di relazioni tra emittenti e titolari. In particolare la

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raccomandazione distingue, precisando il suo ambito di applicazione, gli strumenti di pagamento mediante accesso a distanza e strumenti di moneta elettronica: i rpimi consentono di accedere a distanza a un proprio conto corrente acceso presso un intermediario finanziario e disporre della ricchezza ivi contenuta; i secondi recano invece in sé i valori che consentono di trasferire da un soggetto ad un altro. La raccomandazione prevede che nei contratti relativi a questi strumenti di pagamento elettronici - quindi sia mediante accesso sia di moneta elettronica - debbano essere date una serie di informazioni minime dall'emittente circa modalità e condizioni del contratto nella lingua dello stato in cui è offerto lo strumento di pagamento sia in ordine all'emissione sia in ordine all'impiego degli strumenti, sia successivamente ad ogni operazione effettuata. Quanto alle obbligazioni e alla responsabilità del titolare dello strumento di pagamento, la raccomandazione prevede una serie di precauzioni che lo stesso titolare deve adottare sia per le ipotesi di smarrimento e sottrazione che per le ipotesi di prevenzione dell'accesso indebito da parte di terzi. Tra tali precauzioni si affianca l'onere della tempestiva notifica, una volta che si verifichi l'evento dello smarrimento, della sottrazione, dell'interferenza illecita, e così via. E' prevista, inoltre, espressamente l'irrevocabilità delle operazioni di pagamento elettronico, salvo quelle operazioni preautorizzate di ammontare non noto al momento in cui viene dato l'ordine di pagamento. Viene poi limitata la responsabilità del titolare nei limiti di un massimale individuato, e successivamente alla notifica tempestiva viene esonerato il titolare da qualunque responsabilità : questa è una particolarità rispetto alla contrattualistica, che prevede, invece, per lo più, l'esonero di responsabilità per il titolare, non immediatamente una volta effettuata la notifica, ma solo dopo il decorso di un tempo -secondo la definizione convenzionale adottata dalle banche- "ragionevolmente necessario" per bloccare l'interferenza illecita o le conseguenze negative dell'uso indebito da parte di terzi dello strumento di pagamento (per un esame comparato delle conseguenze civilistiche degli addebiti in conto non autorizzati, TROIANO, 63 ss.). E' poi prevista una serie di obblighi dell'emittente e di correlative responsabilità : in particolare, l'obbligo di messa a disposizione di mezzi di notifica (per quegli eventi indesiderati di cui abbiamo parlato); l'obbligo dell'emittente di effettuare delle registrazioni delle operazioni a fini probatori, e di rendere accessibili le stesse all'utente. La responsabilità dell'emittente è prevista per l'ipotesi di inesecuzione e per le operazioni non autorizzate. La responsabilità , poi, è limitata all'importo dell'operazione, e al più agli interessi, nonché alla c.d. somma di ripristino, cioè quella somma necessaria per creare le medesime condizioni precedenti l'illecito. E' poi fatto rinvio alla disciplina contrattuale per le responsabilità dell'emittente dello strumento di pagamento per le altre conseguenze derivanti dagli eventi negativi indicati. E' prevista invece espressamente una responsabilità dell'emittente lo strumento di pagamento anche nei casi di malfunzionamento tecnico del sistema, e in particolare negli strumenti di moneta elettronica per la responsabilità per la perdita dei fondi caricati. Si tratta come è evidente di una disciplina prevalentemente privatistica, senza riferimento ad eventuali responsabilità penali dell'intermediario finanziario connesse all'uso degli strumenti di moneta elettronica. Più rilevante allora ai fini del nostro discorso la proposta di Direttiva della Commissione europea, n. 461 del 1998, in tema di avvio, esercizio, vigilanza prudenziale sull'attività degli istituti di moneta elettronica, esigenza questa particolarmente avvertita per il sistema dei pagamenti su internet: infatti, mentre per i pagamenti postali e bancari vi è già una disciplina, sia a livello comunitario che italiano, recepita e consolidata, per i pagamenti che avvengono in forma prettamente elettronica (in particolare quelli su internet) non vi sono discipline di vigilanza all'infuori della detta proposta. La direttiva per la vigilanza prudenziale di soggetti che emettono moneta elettronica è volta all'assoggettamento degli emittenti, quando non siano soggetti bancari o intermediari finanziari già sottoposti a

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vigilanza, ad apposite norme di vigilanza prudenziale: la direttiva (sesto considerando) sottolinea l'esigenza dell'introduzione di un sistema di vigilanza prudenziale separato per gli istituti di moneta elettronica, in quanto l'emissione di moneta elettronica, per la sua particolare natura di surrogato elettronico della moneta, non può essere equiparata all'attività di raccolta di depositi consentita solo agli enti creditizi, non essendovi la possibilità di anticipare fondi in previsione ed in cambio della futura percezione di moneta elettronica, e ciò nonostante l'eventuale previsione della rimborsabilità della moneta elettronica medesima (sul tema, VALENTE-ROCCATAGLIATA, 1699). Sono previsti per i soggetti vigilati requisiti di professionalità e onorabilità degli esponenti, di stabilità patrimoniale, e garanzie minime di sicurezza, aventi ad oggetto la limitazione delle partecipazioni e degli investimenti, la garanzia di una gestione sana e prudente, l'esistenza di controlli interni commisurati ai rischi cui l'intermediario è esposto, la limitazione dei rischi cui può esporsi l'intermediario. Per quanto riguarda poi i pagamenti transfrontalieri nell'ambito della Comunità europea si prevede l'applicazione dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, e trova correlativa applicazione il principio tipico del controllo di vigilanza attribuito sugli intermediari finanziari e bancari comunitari, che è il principio dell'home country control, cioè il principio del controllo di vigilanza attribuito al paese di origine dell'intermediario; resta peraltro preliminare il profilo dell'armonizzazione delle legislazioni e dell'omogenizzazione degli standards di sicurezza tra i vari paesi anche in tema di vigilanza dell'emissione e gestione degli strumenti di moneta elettronica, strumenti come si è detto raramente disciplinati dalle normative -primarie o secondarie- nazionali. Un accenno merita infine al riguardo il Report del 1998 dell'Istituto Monetario Europeo, che raccomanda che solo gli enti creditizi possano emettere moneta elettronica e che gli altri possano continuare ad emetterla, intermediari finanziari non bancari, solo in via transitoria e solo in ambito nazionale. I pagamenti su internet con moneta elettronica pongono un problema, rilevante ai fini della presente indagine, relativo all'esigenza di individuare il soggetto che effettua movimenti finanziari, per esigenze di sicurezza del sistema e di identificazione di tutti coloro che effettuano operazioni in rete: trattandosi di strumenti prepagati, infatti, viene meno l'interesse dell'intermediario a verificare il soggetto che utilizza lo strumento di pagamento, effettuando spese e ricaricando lo stesso. Contrapposta a tale esigenza vi è quella dell'anonimato, che si ricollega sia a una esigenza di riservatezza in genere (SEMINARA, 1998, 768, ricorda che una proposta di risoluzione del Parlamento europeo del 1997 prospetta l'obbligo di identificazione ma sottolinea l'utilità dell'anonimato, specie nei regimi autoritari e repressivi), sia ai pericoli di ricostruzione del profilo dell'utente che effettua acquisti in rete attraverso un incrocio di dati che consentirebbe di individuare le preferenze commerciali del cliente (ciò, peraltro, abitualmente avviene ai fini di marketing, da società del settore specializzate, che analizzano gli acquisti in rete del consumatore per verificare le preferenze e quindi orientare la produzione in quel senso). Si tratta di esigenze contrapposte, vi è perciò un trade off tra anonimato e rischio. Al riguardo peraltro deve segnalarsi che in varie applicazioni pratiche della rete comincia a diffondersi una soluzione di mediazione tra le contrapposte esigenze, attraverso la tutela del c.d. anonimato protetto: in altri termini, riconosciuta l'irrazionalità di ogni atteggiamento di sospetto verso l'anonimato in rete (PICA, 1999, 277), non viene imposta l'individuazione del soggetto che effettui un determinato pagamento ovvero richieda un determinato servizio su rete, essendo sufficiente che questo soggetto sia astrattamente individuabile; occorre cioè che sia accertata non l'identità del soggetto, ma direttamente e solo la legittimazione a disporre, mentre, soltanto in seconda battuta in via eccezionale (ad esempio su disposizione

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dell'autorità giudiziaria o per altre ragioni), potrà essere individuata la identità dell'operatore. Ciò importa però che i provider debbano comunque verificare sulla base di documenti di identità che le generalità dei soggetti che chiedono di accedere in rete siano reali (PICA, 1999, 278). Al riguardo, il codice di autoregolamentazione per i servizi internet (redatto da un gruppo di lavoro costituito da esperti dell'associazione italiana internet provider e dell'Associazione Nazionale editoria elettronica, dall'Olivetti e Telecom Italia, diffuso il 22.5.97) ha previsto che tutti i soggetti di internet devono essere identificabili, e che ciasun soggetto, una volta identificato, ha diritto a mantenere l'anonimato nell'utilizzo della rete al fine della tutela della propria sfera privata. Analogo principio è sttao poi accolto dalla Raccomandazione 3.12.97 n. 3 del Gruppo per la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, istituito dalla direttiva 95/46/CE del 24.10.95, ove si è affermato che riservatezza e libertà di espressione sono oggetto di diritti fondamentali, ma si è previsto al tempo l'esigenza di identificazione a base della lotta contro il contenuto illegale e nocivo, le frodi finanziarie e le violazioni del diritto d'autore (sull'argomento, SEMINARA, 1998, 768 ss.). La realtà più recente registra peraltro una evoluzione notevole nel mondo degli intermediari on line, i quali non si pongono più solo come prestatori di denaro, ma cominciano ad assumere un ruolo di consulente privilegiato e di intermedairio per la compravendita di beni e servizi, anche nell'ambito dell'e-commerce (DAINESI, 167 ss., ricorda Wells Fargo on line, pioniere americano del settore -on line bamking, trading on line ed e-commerce- sin dal 1993, alcuni anni prima del settembre 1995 che segna in Italia l'ingresso delle banche su internet). Le applicazioni delle tecnologie dell'informazione hanno così assunto rilievo anche nel settore dei titoli e in genere dei prodotti finanziari. In particolare, l'utilizzazione di procedure informatiche e telematiche ha inciso sulla circolazione dei beni dei titoli di massa, che è stata dematerializzata, mediante l'introduzione di sistemi di gestione accentrata: i titoli vengono depositati presso un istituto (in Italia, tradizionalmente la Monte titoli per i titoli azionari e la Banca d'Italia per i titoli del debito pubblico e, dal 1998, anche altri soggetti aventi dati requisiti) che ne cura la custodia e l'amministrazione, e ne realizza la circolazione attraverso operazioni meramente contabili, ma con effetti cartolari (articoli 4 della legge n. 289 del 1986, 3 d.m. 27 maggio 1993; 22, co. 4. della Legge n. 1 del 1991, 86, co. 2, del Dlgs n. 58 del 1998). Così come ci s ono dei pagamenti internazionali, vi sono delle contrattazioni internazionali, con operatori residenti all'estero, aventi ad oggetto dei titoli. Anche all'estero vi sono dei sistemi di gestione accentrata: in particolar modo ricordo la Sicovam francese, le Wertpapiersammelbanken tedesche, la Depository trust company statunitense, la japan securities clearing corporation giapponese, che sono i primi sistemi di gestione accentrata; peraltro, quando i rapporti sono transfrontalieri in materia di titoli, occorre fare riferimento a istituti di gestione centralizzata esteri o comunque sovranazionali: in ambito europeo, ad esempio, Cedel ed Euroclear, i quali hanno rapporti stabiliti convenzionalmente con i sistemi di gestione accentrata italiani. Oggi, dunque, un titolo trasferito, ad esempio, all'estero può essere mantenuto in Italia, nel sistema di gestione accentrata italiano, e annotato sui conti dell'istituto di gestione europeo; viceversa, un titolo acquistato all'estero da un operatore italiano, può essere trattenuto fisicamente all'estero, accentrato presso i gestori stranieri e annotato presso i conti della Monte Titoli, sulla base della convenzione predetta. In altri termini, la circolazione transfrontaliera dei titoli e dei prodotti finanziari in genere è del tutto smaterializzata. In queste ipotesi, vi sono pur sempre dei titoli cartacei, che vengono depositati in gestione

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accentrata e poi circolano informaticamente. In altrettante fattispecie, la stessa emissione dei titoli è dematerializzata, e i titoli stessi assumono una consistenza virtuale: così in Italia ad esempio per i titoli del debito pubblico, che sono dematerializzati completamente, sin dalla fase dell'emissione, e direttamente sono emessi in forma elettronica e contestualmente depositati presso la Banca d'Italia (l'istituto che cura la gestione centralizzata dei titoli) a norma della legge delega 433 del 1997 e del decreto 216 del 1998 sull'Euro. L'impatto normativo è notevole: in particolare, qui veramente possiamo parlare di paper-less society: si è passati dal possesso fisico della cartula al possesso mediato di titoli immateriali virtuali, ove la legittimazione si determina in base alle risultanze delle iscrizioni contabili. Anche i rapporti tra l'investitore e l'intermediario divengono telematici (si veda al riguardo l'esame di Directa sim e Fineco on line, primi casi italiani di sim-on-line, in BRACCHI-FRANCLANCI-GIORGINO, 91). La raccolta degli ordini da parte dell'intermediario può essere effettuata attraverso l'home banking e il corporate banking; in particolare due provvedimenti Co.n.so.b. (del. 21.6.98 e com. 30.7.98) ammettono la trasmissione via internet a un broker on line, un intermediario cioè che ha un proprio sito internet, che prende ordini di operazioni mobiliari via internet. Il broker, poi, eseguirà l'incarico in tempo reale. In America, il trading on line è diffuso da tempo (DAINESI, 140 ss.): oggi, in particolare, vi sono dei contratti - così ad es. quello proposto dalla americana Datek-on-line - che prevedono come clausole il diritto a non pagare la commissione se l'ordine non è eseguito entro 60 secondi. Il broker, quindi, dà conferma dell'eseguito via e-mail, e con un'indicazione dettagliata dell'operazione eseguita. Oggi poi l'invio degli ordini in borsa e l'on line investing è consentito anche tramite cellulare w.a.p.. L'operazione mobiliare importa così quella sensazione di ebbrezza (tipica del day trader on line), che si ha nella scelta automatica diretta da casa di titoli come se si fosse degli operatori professionali (con esiti, inutile dire, a volte disastrosi) (per la descrizione del procedimento operativo del trader, BENEDETTO-MIGLIOLI, 59 ss.). Il sistema -proprio perché telematico- consente, infine, il collegamento tra vari paesi e la globalizzazione dei mercati finanziari, potendo il soggetto rivolgersi ad intermediari on line che operano n rete da siti internet collocati fuori dei confini nazionali. Molti prodotti finanziari sono poi venduti su internet: l'evoluzione dell'ultima generazione segna così il passaggio dal trading on line al risparmio gestito offerto in rete (investing -on-line) ed alla gestione della finanza personale secondo un personal financial planning in relazione al benchmark degli investimenti (BENEDETTO-MIGLIOLI, 171; CAVIGLIA, 75), e su internet sono proposti fondi di varie società , con la possibilità di usare un estrattore in relazione a parametri predefiniti (es. redditività , volatilità , ecc.) e senza commissioni di ingresso. Anche la contrattazione, del resto, avviene telematicamente, quindi a distanza, senza più richiedere la presenza fisica degli operatori (BUFFA, 1991; CONSIGLIO DI BORSA, 63 ss.). Il mercato è informatico (e vi sono dei mercati che hanno una struttura esclusivamente informatica, cioè non vi sono affatto luoghi fisici ove convenire); il trading è continuo, in quanto avviene durante lungo tutto l'arco della giornata borsistica (mentre sono in via di estensione gli orari borsistici fino alle ore notturne, nel c.d. after hours), interattivo (in quanto consente, una volta ricevute le informazioni, di agire sui prezzi e di intervenire direttamente), on line (funzionando in tempo reale).

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Al descritto sviluppo si è accompagnata l'internazionalizzazione dei mercati mobiliari, sia nel senso dell'accesso telematico -e perciò transfrontaliero- di operatori esteri autorizzati ai vari mercati nazionali in relazione alle specifiche previsioni dei singoli mercati disciplinanti l'accesso al mercato, sia attraverso la creazione ed istituzionalizzazione di nuovi mercati, a connotazione telematica e cross-border. Così (v. FINOCCHIARO, 300 ss.) la società Mercato dei titoli di Stato ha promosso sulla piazza di Londra il mercato EUROMTS, sul quale sono negoziati all'ingrosso titoli di Stato a elevata liquidità emessi dai principali paesi; è oggi consentito l'accesso remoto al circuito di negoziazione del Mercato interbancario dei depositi (MID), mentre il trasferimento cross-border dei fondi avviene con il sistema TARGET-Trans European automated real-time gross-settlements express trasfer system (PERASSI, 491; BUFFA, 1999,16); la borsa italiana ha avviato un nuovo comparto (EURO MOT) dedicato alla negoziazione al dettaglio di euro-obbligazioni e di nuove tipologie di strumenti finanziari, mentre è in corso di realizzazione un collegamento tra otto borse europee per creare un unico mercato dei principali titoli. Allo sviluppo delle nuove opportunità collegate all'internazionalizzazione e informatizzazione degli scambi si accompagnano rischi nuovi che richiedono una più intensa supervisione da parte delle autorità di controllo: in particolare, sono stati evidenziati il rischio strategico inerente alle decisioni relative ai nuovi prodotti e ai nuovi canali di contatto con la clientela, il rischio operativo per possibili malfunzionamenti e il rischio di reputazione per le possibili ricadute, il rischio legale per la eterogeneità e l'inadeguatezza dei vari assetti normativi nazionali in relazione alle nuove tecnologie e ai nuovi strumenti finanziari. Da ciò la creazione di vari gruppi internazionali per raccordare gli interventi delle varie autorità di vigilanza: il Basle Committe per la vigilanza bancaria (1972), il Committe on Payment and settlement systems (1992), il Financial stability forum (1999). Si tratta peraltro di supervisione che ha ad oggetto prevalentemente la promozione dell'efficienza nei meccanismi di formazione dei prezzi e di allocazione del risparmio, la salvaguardia della stabilità del sistema finanziario e la tutela dell'investitore (cfr. per i vari aspetti della vigilanza, FINOCCHIARO, 303), aspetti questi che solo indirettamente possono incidere sulla tutela penale approntata dai vari ordinamenti nazionali (per i rapporti tra autorità di vigilanza e autorità giudiziaria, BUFFA, 1994, 140). Anche sotto il profilo degli strumenti informatici della circolazione della ricchezza, che sono per loro natura gestibili a distanza senza che rilevino i confini nazionali, infine, si pone il problema del coordinamento degli ordinamenti nazionali nella disciplina di tali forme di trasferimenti economici ogni qual volta essi coinvolgano soggetti situati in paesi diversi e, se del caso, nella repressione di eventuali reati commessi in rete. La globalizzazione dell'economia ha riguardato anche le attività criminali, fenomeno questo assai evidente nella circolazione dei flussi finanziari relativi ai proventi o al prodotto di attività criminose. In tempi di dematerializzazione della ricchezza, peraltro, diviene facile utilizzare, per fini leciti come per fini illeciti, le opportunità offerte dalle diversità degli ordinamenti, spostando capitali attraverso movimenti cross-border e verso i centri off-shore. L'analisi si sposta ora proprio su questi ultimi profili, limitando l'attenzione agli intermediari che (specie dai paesi off-shore) operano on line, e quindi sia su internet che valendosi di altre reti telematiche (es. rete interbancaria): esulano quindi dalla presente relazione i reati commessi in danno dei soggetti che operano on line (es. truffe via internet) ovvero i reati in danno degli intermediari finanziari (es. molti dei reati informatici disciplinati dalla legge n. 547/93) (su tali reati, si rinvia al ricco sito ufficiale statunitense www.cybercrime.gov).

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LE SOCIETA' OFF-SHORE. Sono società off-shore (cioè letteralmente "al largo della costa", ossia fuori giurisdizione) le società che, essendo localizzate in un paese, non vi hanno stabile organizzazione né attività economica né reali soci residenti, ma che sono localizzate per beneficiare di particolari vantaggi offerti dagli ordinamenti dei c.d. paradisi fiscali. Con questo termine si intende una situazione giuridica o di fatto particolarmente favorevole di un dato ordinamento rispetto alle esigenze dell'operatore: i benefici possono essere di tipo fiscale, ma anche societario, bancario, valutario, processuali, amministrativi, o più di queste cose insieme La ricorrenza di paradisi consente di creare condizioni particolarmente favorevoli a chi opera e particolarmente sfavorevoli a chi svolge indagini. Non solo: la diversità degli ordinamenti sotto gli aspetti indicati può essere sfruttata attraverso al combinazione di più aspetti: così si può costituire una società in uno Stato, operante in un altro, con conti in un terzo, e così via(D AVIGO, 1996, 2; DE SANTA). Alcuni paesi sono paradisi societari, essendo scarsi o inesistenti le formalità di costituzione di società , essendo carenti i controlli sulle società , non essendovi obblighi di tenuta della contabilità , essendo possibile l'anonimato dei soci e così via (per tutte le considerazioni che seguono, DAVIGO, 1996, 3; DELL'OSSO, 124). Quanto alla costituzione della società , le IBC (Internationale business companies) delle British Virgin Islands, sempre nel mar dei Caraibi, possono essere costituite in 48 ore (mentre in tempo reale possono acquistarsi IBC già costituite), da un agente autorizzato alla presenza di un testimone, mentre l'iscrizione nel registro delle indicazioni riguardanti gli azionisti o gli amministratori è facoltativa; le società esentasse delle Cayman Islands possono essere costituite in 24 ore; spesso non occorre un capitale minimo (Cayman islands, Guernsey e Alderney); talora, non è indispensabile neppure identificare l'oggetto sociale (Isola di Jersey, nel canale della Manica); i benefici normativi sono spesso notevoli, a fronte della limitazione dell'operatività con residenti nel paese di costituzione (Panama). Quanto ai costi, a Panama una corporation costa dai 15mila ai 27 mila dollari; alle isole Cayman (che sono la quinta piazza finanziaria del mondo dopo Londra, New York, Tokyo e Hong Kong: FABIANI, 1998) si pagano 9 mila dollari di tassa annuale per una banca (LUCCA, 4). Quanto alla compagnie sociale e all'amministrazione, nelle International Business company (IBC) della Bahamas le azioni possono essere registrate a favore di fiduciari ed i nomi dei beneficiari veri possono essere tenuti riservati. Spesso le azioni possono essere al portatore (Virgin Islands, Panama, Cayman Islands, isola di Man); talora, il libro soci può essere conservato in ogni parte del mondo, il libro degli amministratori è presso la sede sociale ed è inviolabile (Cayman Island, Panama). In alcuni paesi, le assemblee possono tenersi in qualsiasi parte del mondo (isole della Manica Guernsey e Alderney), anche telefonicamente (Bahamas), e gli azionisti possono essere rappresentati da un procuratore; rappresentante legale può essere una società (British Virgins). Alcune società possono essere unipersonali (le Anstalten e Stiftung Liechtenstein). A Panama, non vi sono

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controlli sulle società relative alla costituzione, statuto, emissione di azioni, modifiche statutarie, nomina di organi sociali; non è necessario consegnare dichiarazioni a pubbliche autorità se la società non svolge affari a Panama, non è richiesto un capitale minimo (che comunque può essere in valuta locale -balboa- o in qualsiasi altra valuta), né l'effettivo versamento del capitale; i fondatori risulteranno dai documenti, ma gli azionisti possono restare anonimi, le azioni possono essere al portatore, e possono essere possedute da altra società , anche quale azionista unica; le assemblee possono aver luogo in qualsiasi parte del mondo, e il libro dei soci può essere custodito ovunque. La situazione giuridica crea talora paradossali situazioni: Il Liechtenstein ha trentamila sudditi e settantamila società (FABIANI, 1998). Alcuni paesi sono paradisi bancari in quanto, pur dando garanzie di affidabilità contro gestioni infedeli o truffe (aspetto questo di fondamentale importanza per la accettabilità dell'intermediazione on line transfrontaliera), tutelano in maniera rilevante il segreto bancario (DAVIGO, 1996, 10; per la situazione svizzera, un esame ampio e completo è in BERNASCONI, 589 ss.). Rientrano in particolar modo in tale categoria, oltre a molti centri predetti, la Confederazione elvetica, il Lussemburgo, l'Austria ed Hong Kong. In tutti questi paesi è tutelato rigorosamente il segreto bancario (la legge svizzera in particolare tutela penalmente il segreto bancario e punisce anche l'induzione alla violazione del segreto professionale). In Italia invece, come noto, il segreto bancario non è previsto da alcuna disposizione specifica e non rientra nel segreto professionale (essendo tassative le categorie di professionisti contemplate dalla norma) né nel segreto d'ufficio (essendo quella bancaria attività privata e non pubblico servizio anche quando svolta da soggetti pubblici); il funzionario è tenuto all'ufficio legalmente dovuto di testimone (cfr. art. 366 cod. pen.); a norma degli artt. 248 n. 2 e 255 cod. proc. pen. l'autorità giudiziaria o gli ufficiali di polizia giudiziaria possono esaminare atti, documenti e corrispondenza presso banche, procedendo se del caso a perquisizione, e a sequestro ove vi sia fondato motivo di ritenere la loro pertinenza al reato, quantunque non appartengano all'imputato o non siano iscritti a suo nome. Solo alcuni paesi hanno sottoscritto la Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria; alcuni, poi, vi hanno apposto delle riserve, limitando l'assistenza giudiziaria nelle rogatorie in relazione a determinati tipi di reati, per i quali ad esempio è consentita l'estradizione (come per le rogatorie relative alle perquisizioni e confische in Lussemburgo) ovvero reati per i quali sono previste nel paese rogato misure coercitive (così in Svizzera). Spesso, infine, gli atti della rogatoria sono rilasciati con riserva di specialità , con conseguente impossibilità di utilizzazione degli atti per fini amministrativi o fiscali o per reati diversi da quelli oggetto di commissione rogatoria. In vari paesi, ad esempio la Svizzera e le Bahamas, la legislazione consente l'utilizzo di conti correnti bancari numerati, l'emissione di assegni di conto corrente a favore del portatore -con conseguente anonimato del soggetto nell'interesse del quale agisce l'intermediario bancario-, l'operatività di particolari società fiduciarie (DELL'OSSO, 128; cfr. VALENTE-ROCCATAGLIATA, 2354). E' venuta meno nel 1997 a seguito delle pressioni presso la comunità internazionale, invece, la possibilità di avere conti anonimi in Austria. Altri paesi sono paradisi fiscali, essendo basso il livello di fiscalità e l'imposizione diretta ed indiretta (DAVIGO, 1996, 13): in alcuni paesi vi è un regime di esenzione fiscale totale (Bahamas, per 50 anni), talora con l'eccezione della tassa di licenza di limitato importo (Cayman), in altri l'esenzione opera a seguito del pagamento di una somma fissa di scarso ammontare (500 sterline annue a Guernsey), in altri paesi ancora vi è un regime di favore

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per i redditi prodotti altrove (1% nelle British Virgin) ovvero per le società amministrate all'estero (British Virgin, ancora); altre volte sono contenuti gli stessi oneri fiscali di costituzione delle società (es. Jersey, Guernsey); spesso non sono tassati i capital gains (Liechtenstein, British Virgin) (per la Svizzera, altresì COMUZZI). Alla fiscalità agevolata corrisponde poi di solito una notevole difficoltà per l'amministrazione finanziaria di accedere alle informazioni, cosa assai più complicata di quanto sia per il contribuente accedere ai servizi offerti. Altri paesi sono poi paradisi valutari, in quanto non vi sono né limitazioni valutarie né soprattutto controlli, vi si possono tenere conti in valuta estera presso le banche locali, vi è facilità di cambio tra le valute (è quanto accade in tutti i paesi predetti). In alcuni paesi poi non vi sono forme di assistenza giudiziaria (per non esservi convenzioni internazionali) ovvero l'assistenza è atipica (così alla Bahamas il pubblico ministero italiano deve costituirsi con un legale del luogo per intentare una vera e propria lite civile per ottenere dei documenti: CARLUCCI, 1997) o comunque incontra ostacoli di fatto inerenti all'assenza di uffici o alla mancata conoscenza degli stessi (Nauru). Si tratta del resto di territori talora e non di veri e propri stati: Nauru ad esempio è un atollo di diecimila abitanti, privo di acqua, avente come unica fonte di reddito -esuriti i fosfati di cui fino a qualche anno fa beneficiava- la finanza off-shore (CARIDI). Singolare poi il caso del Dominion, dove a diecimila dollari si possono acquistare la Asia Pacific bank, l Banking corporation of America, La Zurich credit Bankers g.a.: la particolarità sta, più che nei nomi apparentemente prestigiosi, nel prezzo e nella sede delle banche: si tratta dell'isola di Dominion di Melchizedec, parte di un'isoletta disabitata a sud della Polinesia: non si conosce la capitale, ma davanti alle Nazioni Unite pende una rivendicazione su Gerusalemme e il ministro degli esteri del Dominion, anche governatore della banca centrale, risiede in Israele (FABIANI, 1998). Infine, di recente (STRANO, 278), si è parlato anche di paradisi informatici, ossia di luoghi ove le violazioni realizzate con il computer o in danno si sistemi informatici o telematici non sono contemplate dal sistema normativo. Non vi è una disciplina specifica italiana dei c.d. paradisi, né vi è un elenco degli stessi giuridicamente rilevante ad ogni effetto. Oggi nel mondo si contano 63 Stati, di cui 13 in Europa e più di venti nel mar dei Caraibi, a metà strada tra i paesi produttori e quelli consumatori di stupefacenti. Peraltro, l'attenzione verso questi paesi si è avuta nell'ambito della disciplina dei tributi, del riciclaggio internazionale e della cooperazione tra autorità di vigilanza di ordinamenti c.d. sezionali di paesi diversi; in tale ambito, possiamo riscontrare delle black list recanti l'indicazione di Stati off-shore, elencazioni però eterogenee in quanto effettuate in relazione agli specifici fini perseguiti di volta i volta: così vi è un elenco di paesi a fiscalità agevolata (d.m. 24.4.92), che comprende Andorra, isole Leeward (Anguilla, Bahamas, Nevis, Saint Kitts), Antille Olandesi, Aruba, Bermuda, Gibuti, Grenada, Hong Kong, isole del Canale (Guernsey, Jersey e Sark), British Virgin Islands, Liechtenstein, Macao, Nauru, Nevis, Oman, Seychelles, Vaunatu (nuove Ebridi), Western Samoa, oltre ad altri paesi (limitatamente ad alcuni operatori ovvero attività . Vi è poi un elenco di paesi c.d. "non cooperative" ai fini delle indagini antiriciclaggio (FATF), rilevanti altresì in quanto non collaboranti con le autorità di vigilanza italiane (cfr. provvedimento Banca d'Italia, ottobre 2000), comprendenti le Bahamas, le Filippine, le

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isole Cyman, le isole Cook, le Marshall, Israele, Libano, Liechtenstein, Nauru, Niue, Panama, Dominica, Russia, St. Kitts e Nevis, St. Vincent e Grenadine. Altra indicazione di paesi off-shore emerge dal Report del Working Group on offshore financial centres, compilato il 26 marzo 2000 dal Financial Stability Forum (www.fsforum.org): questo ha ripartito i centri off-shore in tre gruppi, in relazione al grado di presenza di disciplina di supervisine e di norme per la cooperazione relative all'attività finanziaria dei centri, visti soprattutto in un'ottica di stabilità finanziaria. Altra serie di paesi offhsore è evincibile dalla partecipazione all'Offshore Group of banking supervisors, gruppo di paesi off shore costituito dai rispettivi organi di vigilanza nel 1980 (comprendente Aruba, Bahamas, Bahrain, Barbados, Bermida, Cayman Islands, Cyprus, Gibraltar, Guernsey, Hong Kong, Isle of Man, Jersey, Lebanon, Malta, Mautitius, Antille olandesi, Panama, Singapore e Vanuatu), al fine dello studio di problematiche comuni relativi ai flussi finanziari internazionali. Anche in Italia vi è un centro off-shore, sito in Trieste (sull'argomento, MOGOROVICH), sorto con la legge n. 19/91 con la finalità di promuovere l'attività finanziaria nei Paesi dell'Europa centrale e balcanica, nonché con quelli dell'ex URSS. Nell'ambito di tale centro si è reso possibile l'esercizio, in regime fiscale agevolato (con limitazione oggettiva per tipo di attività , temporale, e di valore massimo dei benefici fruibili), di attività di servizi finanziari ed assicurativi da parte di filiali di banche, sim, fiduciarie, finanziarie ed assicurazioni, che raccolgono fondi sui mercati internazionali presso non residenti da utilizzare unicamente fuori del territorio dello Stato italiano con non residenti. Di recente (d.m. 19.10.98 n. 508 e d.p.r. 13.7.99 n. 392 sono stati precisati i criteri per l'autorizzazione ad operare nel centro nonché le agevolazioni fiscali ed i relativi limiti. I dati relativi ai vari elenchi non coincidono (così sono non cooperative countries la Russia ed Israele che certo non sono off-shore sotto un profilo del diritto societario o tributario, non sono non cooperative le isole della Manica e San Marino -escluse dalla lista per ragioni politiche- che invece sono paradisi fiscali). L'esame delle discipline giuridiche societarie, valutarie, fiscali, bancarie, evidenzia poi come detto altri "paradisi". Come ho già rilevato, peraltro, le condizioni favorevoli di un Paese possono essere diverse e concorrere tra loro; inoltre, il flusso attraverso più paesi off-shore può consentire il cumulo dei benefici con conseguente accresciuta difficoltà di ricostruzione del movimento della ricchezza. Di per sé i centri off shore sono perfettamente leciti, offrono vantaggiose opportunità : molti gruppi finanziari italiani vi fanno ricorso per varie ragioni. Quanto all'entità del fenomeno, il volume di intermediazione del sistema bancario italiano nei confronti dei paesi off-shore è molto basso rispetto a quello di altri principali paesi e che i credti a operatori residenti nei centri in questione sono pari al 5% dei finanziamenti internazionali complessivamente erogati dalle banche italiane (a fronte di quote dell'8%, dell'11% del 20% per i sistemi francese, statunitense e giapponese) (fonte BANCA D'ITALIA, cfr. ABI, 35). La materia è pealtro trattata in questo studio in relazione agli aspetti patologici della gestione finanziaria offshore, ad evidenziare le potenzialità criminose del fenomeno. Fino ad oggi è stato abbastanza raro il caso della società offshore che viene in Italia per operare, ma il problema si è posto per le società italiane che vanno all'estero per beneficiare del regime privilegiato ivi esistente (es. San Marino, Lussemburgo, Monaco),

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fenomeno questo in sé lecito e che le autorità di vigilanza non hanno potuto ostacolare se non nei casi di paesi -per lo più extracomunitari- privi di vigilanza o di accordi di vigilanza analoghi, e comunque non ne confronti di filiali estere di intermediari italiani di comprovata solidità patrimoniale e tradizione. In ogni caso le limitazioni riguardano l'insediamento all'estero di filiali di intermediari italiani, mentre è rimasta sempre possibile l'operatività con banche dei paesi off-shore o con intermediari o filiali di banche italiane confinanti con quelle. Oggi internet ha da un lato consentito una maggiore rapidità dei flussi finanziari verso i centri off-shore, dall'altro lato ha consentito l'operatività a distanza, telematica, e quindi ha reso ricorrente anche il caso invero della società off-shore che opera a distanza con residenti italiani mantenendo la copertura del paese d'origine. Il presente studio esamina l'attività delle società off-shore sotto un duplice profilo: da un lato come società che svolgono attività bancaria e finanziaria (onde rilevano i termini e le modalità della gestio dello strumento finanziario); dall'altro lato come intermediari in operazioni e movimenti di denaro che fanno capo a terzi e che transitano attraverso le società (DELL'OSSO, 119). Ma anche sotto quest'ultimo profilo, il ruolo delle off-shore nei flussi finanziari internazionali è duplice: da un lato esse consentono, giovandosi del sistema di protezioni loro accordate dagli ordinamenti o da protezioni multiple di sistemi a scatole cinesi (in cui amministratori o azionisti di società sono a loro volta società estere, in un processo all'infinito), di occultare disponibilità finanziarie spesso di provenienza illecita (derivanti da riciclaggio, pagamento di stupefacenti, tabacchi lavorati esteri contrabbandati, o armi) ovvero di detenere disponibilità finanziarie extracontabili da utilizzare per svariati scopi (fondi neri, distrazioni nei reati di bancarotta, remunerazione di corruzioni, evasione fiscale, elusione fiscale, elusione delle limitazioni proprietarie nel settore televisivo), e dall'altro lato di veicolare flussi finanziari per far perdere le tracce della provenienza illecita del denaro (blanchiment de capitaux: BERNASCONI, 1998, 120, richiamato da ZANCHETTI, 6 ss.) o per nascondere i soggetti cui è riconducibile il flusso finanziario: da un lato un ruolo di schermo, dall'altro un ruolo di sponda nei flussi finanziari (per i rischi del sistema, in generale, BOCCA, 2000). A seconda delle finalità perseguite, dunque, può accadere che il denaro venga spostato da una dimensione di legalità ad una di illegalità , direttamente ovvero -nelle forme più complesse e perciò più diffuse- attraverso la commissione di reati di frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita aggravata; ovvero che il denaro sporco venga ricollocato in una dimensione di legalità (riciclaggio). Il Report 1999 del GAFI ha in proposito rilevato che l'uso di centri finanziari off-shore è diverso nei casi di spostamenti di capitali all'estero per conseguire vantaggi fiscali ovvero per fine di riciclaggio: nel primo caso, il fondi sono solitamente mossi verso una singola località off-shore dove sono conservati al riparo dal controllo fiscale del paese di origine; nel secondo caso, il denaro invece si muove attraverso più siti e quindi coinvolge gli intermediari finanziari off-shore in modo più dinamico (FATF, Report 1999, sub 21). L'analisi investigativa deve individuare tre distinti momenti: la formazione della provvista; il circuito finanziario attraverso il quale circola il denaro; la destinazione finale delle somme (IELO, 12). Il flusso monetario (che peraltro può seguire vie traverse, triangolazioni e passaggi multipli) ha peraltro scarsa visibilità (ridotta ulteriormente nel caso di pagamenti on line e quindi per il carattere smaterializzato della moneta elettronica) e può essere aggredito solo in determinati momenti: in particolare, nella fase di formazione della provvista, assumono perciò rilievo i reati societari e la frode fiscale, nonché i trasferimenti di ricchezza infragruppo; nella fase della circolazione della ricchezza nei canali telematici, l'individuazione del flusso finanziario appare più agevole nel momento

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iniziale della fuoriuscita dai conti del soggetto residente in Italia, ovvero negli eventuali passaggi -punto debole del sistema criminale- che precedono l'invio dei fondi in paesi non-cooperative (e spesso proprio l'assemblaggio di tali informazioni con la contabilità delle imprese eroganti e le movimentazioni bancarie dei conti, ha consentito in alcuni casi giudiziari di fornire un riscontro "pesante" alle dichiarazioni provenienti dai chiamati in correità : IELO, 13); nella fase finale di destinazione dei fondi, lo stazionamento della ricchezza la rende vulnerabile, e lo strumento classico della rogatoria -nei limiti della cooperazione internazionale- può consentire l'individuazione, il sequestro e la confisca delle somme. In molti casi da tale ruolo intermediario della società off-shore non deriva una responsabilità penale, atteso che (pecunia non olet, specie se smaterializzata) il ruolo è meramente di tramite per attività -di per sé neutre- inter alios. Spesso invece la società estera off-shore è "correa" dell'intermediario o dell'impresa italiana, essendo mera emanazione di quest'ultima, ed allora può prospettarsi il problema della responsabilità penale nell'intermediazione finanziaria fatta da società off-shore. La realtà imprenditoriale contemporanea è caratterizzata da gruppi multinazionali articolati in holdings e caratterizzati da sofisticati sistemi di partecipazione e controllo tra società di diverse nazionalità : spesso partecipazioni a catena, a cascata, a d incrocio, ecc. coinvolgono società off-shore, in un sistema articolato che talora finisce con il comprendere sistemi di vere e proprie scatole cinesi, società prive di reali attività sociali (c.d. cartiere, o shell companies) o mere intestatarie di altre (c.d società di domicilio o di sede), quali soggetti fiduciari o fittiziamente interposti (DELL'OSSO, 123). Spesso tali società off-shore svolgono attività bancaria o finanziaria, per di più in un regime estremamente semplificato di costituzione, operatività , e con la sostanziale assenza di controlli, essendo sottratte sia alla vigilanza dell'organo di vigilanza del paese dove ha sede la capogruppo, sia ai controlli dell'organo di vigilanza del paese ospitante (controlli inadeguati e talora inesistenti, come avviene nei casi in cui alle società off-shore è precluso solo lo svolgimento di attività con cittadini dei paesi i questione). In tali casi, può ben profilarsi una responsabilità penale per amministratori e legali rappresentanti di dette società , coinvolte nei flussi finanziari illeciti, in quanto emanazione -necessariamente complice- degli autori degli illeciti. Una responsabilità penale diretta per le società off-shore può porsi nei casi in cui esse siano -d'accordo con il soggetto interponente- fittiziamente interposte al fine di realizzare uno schermo protettivo per gli operatori. Al riguardo, occorre richiamare la disposizione dell'art. 12 quinquies co. 1 della l. n. 356/92, che prevedeva che, salvo che il fatto costituisce più grave reato, è punito con la reclusione da due a sei anni chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altra utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648 bis, 648 ter cod. pen.(trasferimento fraudolento); il secondo comma poi prevedeva la fattispecie del possesso ingiustificato di valori. La previsione incriminatrice è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 48/94, in quanto doppiamente punitiva essendo ancorata al presupposto soggettivo dell'assunzione della qualità di imputato per gravi delitti. E' quindi intervenuta la legge n. 501/94 ed oggi è applicabile, nell'ambito delle misure non penali ma di prevenzione post delictum a carattere patrimoniale, l'art. 12 sexies della legge 306/92, in base al quale è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato per gravi delitti -tra cui associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio, usura e traffico di stupefacenti- non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria disponibilità economica. La

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norma vigente trova applicazione solo in presenza di una sentenza di condanna o di patteggiamento e prevede solo l'adozione del provvedimento di confisca (MARIELLA, 584). Si consideri comunque la corresponsabilità (come concorrente nel reato) di una società -appartenente al corruttore anche per interposta persona- che effettua il versamento dei fondi relativi al pagamento di una tangente in favore di un politico, ovvero la responsabilità di una finanziaria nel riciclare -senza aver concorso nel reato presupposto (c.d. riciclatore esterno) somme derivanti da illecito. L'attenzione alle società off shore infine può ricollegarsi a ragioni di vigilanza prudenziale e di stabilità del sistema finanzioario (per aspetti economici generali, CASSARD, nonché MUSALEM): a tal fine, mi limito a richiamare i lavori del Financial Stability Forum e del Group on offshore centres (OFCs), che ha raccomandato il rispetto di alcun misure minime di carattere prudenziale e di norme di integrità dei mercati in conformità agli standards internazionali. L'ABUSIVISMO ON LINE. Salvo quanto si dirà in ordine alla normativa comunitaria di vigilanza sulle filiali di banche comunitarie, sulle finanziarie ammesse al mutuo riconoscimento, e sul collocamento di parti di o.i.c.r. armonizzati, l'esercizio di varie attività è subordinato ad apposite autorizzazioni rilasciate dalle autorità di vigilanza rispettivamente competenti, ed il cui rilascio è subordinato alla ricorrenza dei requisiti di forma giuridica, di capitale minimo, di oggetto sociale, di professionalità ed onorabilità degli esponenti aziendali (cioè di coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione, controllo), di onorabilità della compagine sociale (cfr. FORLENZA, 165; FLICK, 1994, 1204). Ottenute tali autorizzazioni i soggetti vengono immessi in un ordinamento sezionale, in un settore dell'ordinamento cioè contraddistinto dalla presenza di un'autorità con compiti di controllo sui soggetti e sulle loro attività (BUFFA, 1994, 7). Lo svolgimento dell'attività senza la prescritta autorizzazione è sanzionato penalmente da un complesso di norme: vengono qui in considerazione gli artt. 130 e 131 t.u., per l'abusiva raccolta del risparmio e per l'abusiva attività bancaria. Ferma restando la responsabilità penale per l'abusivismo perpetrato, ritiene la giurisprudenza consolidata (ex pluribus,. Cass. SS.UU. n. 2579/88), che anche la c.d. banca di fatto (ma il discorso ovviamente può estendersi a tutti gli intermediari finanziari e mobiliari non autorizzati) è soggetta ai poteri dell'autorità di vigilanza, sia con riferimento alle sanzioni amministrative irrogabili, sia in relazione ai poteri di gestione della crisi dell'impresa, essendo i poteri di supervisione sugli intermediari dettati in ragione della natura dell'attività esercitata, a prescindere dall'avvenuta iscrizione all'albo (BUFFA, 1994, 8). La legge, così, sdoppiando una fattispecie tradizionalmente unitaria che non includeva la mera raccolta del risparmio non accompagnata dall'esercizio del credito, riserva l'attività bancaria e la raccolta del risparmio alle banche, punendo -con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da quattro a venti milioni di lire nella prima fattispecie, e con

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l'arresto da sei mesi atre anni e con l'ammenda da venticinque a cento milioni- l'esercizio di tali attività senza osservare le norme che disciplinano tale attività (art. 11 t.u.b.; 130 e 131 t.u.b.). In particolare, la fattispecie dell'esercizio abusivo della raccolta del risparmio tra il pubblico richiama le decisioni del CICR, atti amministrativi quindi, ponendo così problemi di legittimità costituzionale in relazione al principio di legalità vigente in materia penale (sul tema, esclude i detti profili di illegittimità BARONE, 222). L'ordinamento, inoltre, riserva l'esercizio di attività finanziaria (ossia a norma dell'art. 106 t.u.b. dell'attività di assunzione di partecipazioni, concessione di finanziamenti, prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi) agli intermediari iscritti nell'elenco previsto dal predetto articolo 106, punendo l'esercizio nei confronti del pubblico senza iscrizione con le medesime anzidette pene, nonché l'esercizio anche non nei confronti del pubblico senza iscrizione dei soggetti di cui all'art. 113 t.u.b (cfr. FAVA, 2). La differenza tra l'attività bancaria e quella finanziaria deriva dalla circostanza che la prima consiste nel contestuale esercizio della raccolta del risparmio tra il pubblico (cioè dell' "acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi, sia sotto altra forma") e dell'esercizio del credito, la seconda nell'esercizio del credito o alternativamente - e nei soli casi previsti dall'art. 11, commi 3 e ss.- nella raccolta del risparmio. Non solo: il legislatore del t.u. ha riformulato la norma punitiva dell'abusivismo bancario, ricollegando la fattispecie non più semplicemente all'esercizio dell'attività senza autorizzazione della Banca d'Italia (come tradizionalmente l'abusivismo stato inteso per le banche e come viene tuttora inteso per le finanziarie), ma alla raccolta del risparmio in violazione dell'art. 11 t.u. e al contestuale esercizio del credito. Quanto all'abusivismo finanziario, questo è disciplinato dall'art. 132, distinguendosi lo svolgimento abusivo di attività finanziarie rivolte al pubblico (ipotesi delittuosa) dalle altre (ipotesi contravvenzionale del 2° co.). La norma qui in entrambi i casi prevede l'ipotesi di carenza di autorizzazione e non invece, con lacuna macroscopica in tempi di tangentopoli (BARONE, 218), l'autorizzazione ottenuta indebitamente: peraltro si è proposta un'interpretazione della dizione "chiunque svolge" come comprensivo anche di quei casi in cui l'autorizzazione è stata ottenuta indebitamente. Con particolare riferimento alla promozione o al collocamento a distanza di prodotti finanziari, l'art. 30 riserva promozione o collocamento a distanza alle imprese di investimento, alle banche, agli intermediari finanziari e alle sgr. Nel contesto normativo del t.u.f., la sollecitazione all'investimento, realizzata fuori sede, non è autonoma attività di intermediazione mobiliare (come era nella legge n. 1/91) ma una semplice modalità operativa del servizio di promozione ed il collocamento di prodotti finanziari presso il pubblico dei risparmiatori-investitori (ROPPO, 122; RABITTI BEDOGNI, 2000, 422 ss., nonché ID. 1997, 204 ss.). L'offerta fuori sede di prodotti o servizi finanziari è riservata (indirettamente) a soggetti qualificati. Al riguardo, occorre distinguere e si tratti di strumenti finanziari ovvero di servizi di investimento (cfr. art. 1 co. 1 e 3 t.u.f.): nel primo caso, l'offerta può essere svolta solo da intermediari autorizzati a prestare il servizio di collocamento (banche e imprese di investimento di cui all'art. 18 t.u.f., ovvero intermediari finanziari di cui all'art. 107 T.u.b.), da società di gestione del risparmio e società di investimento a capitale variabile limitatamente alle quote o azioni emesse dai medesimi; nel caso di servizi di investimento, da imprese di investimento o banche autorizzate al collocamento (anche per servizi altrui), ovvero da imprese di investimento, banche o s.g.r. pur non autorizzate al collocamento, limitatamente ai servizi propri. Quanto all'offerta fuori sede di prodotti o servizi diversi (es.

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polizze assicurative, leasing, factoring, certificati di deposito, ecc.) questa può essere fatta da banche o assicurazioni per i rispettivi prodotti, ovvero da imprese di investimento per soli prodotti o servizi con le caratteristiche indicate da regolamento della Co.n.so.b. (sull'argomento, ROPPO, 122). La riserva riguarda l'esercizio professionale dell'attività nei confronti del pubblico, cioè di una collettività indiscriminata di soggetti: inoltre, per l'applicazione delle norme penali suddette è necessaria una sistematica reiterazione della condotta, salvo che per gli o.i.c.r. (ove disvalore si lega ad offerta stessa) (ANTOLISEI -CONTI, 386; SEMINARA, 2000, 454). Lo svolgimento dell'attività senza la prescritta autorizzazione è sanzionato penalmente: l'art. 166 t.u.f. (che punisce chi, senza abilitazione svolge servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio, offre in Italia quote o azioni di o.i.c.r., offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, strumenti finanziari o servizi di investimento (ed infine esercita, senza esser iscritto nell'albo, l'attività di promotore finanziario). Si tratta di un delitto, punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da quattro a venti milioni: il legislatore ha voluto punire queste fattispecie in misura maggiore rispetto all'abusiva raccolta del risparmio, essendo qui maggiori i rischi, in difetto della previsione di un obbligo di rimborso dei fondi acquisiti a carico dell'intermediario (BARONE, 236). La notitia dell'abusivismo è portata -a norma dell'art. 166 co. 3 t.u.f.- a conoscenza del pubblico ministero dalla Banca d'Italia o dalla Co.n.so.b. affinché si richieda al Tribunale civile competente l'inizio della procedura prevista ex art. 2409 cod. civ.. La disciplina è differenziata a seconda che soggetti extracomunitari o comunitari, essendo i primi soggetti a procedimento autorizzatorio (art. 19 e 28 t.u. per Co.n.so.b., per sim e imprese investimento, art. 19, 34 e 43 per sicav banche e sgr, per bankitalia), i secondi a mera comunicazione dell'autorità vigilanza dello stato di origine a bi e Co.n.so.b. (i applicazione dei principi del mutuo riconoscimento, home country control e armonizzazione minima delle legislazioni). L'offerta di quote o azioni di o.i.c.r. presuppone comunicazione preventiva o autorizzazione a seconda che comunitari o non armonizzati. Il carattere off-shore degli intermediari esteri che prestano servizi bancari o di investimento non incide in sé sulla natura della disciplina dell'accesso, dovendosi anche qui distinguere intermediari esteri comunitari (come ad esempio il Lussemburgo) ed altri non comunitari (la gran parte di quelli che operano in paesi off-shore). Peraltro, il carattere off-shore dell'intermediario può rilevare -ove sia extracomunitario- per escludere in concreto l'autorizzazione ad operare in Italia e determina ulteriori cautele, rinvenibili da prescrizioni dell'autorità di vigilanza in relazione all'operatività degli stessi (es. disposizioni antiriciclaggio). Quanto all'accesso all'ordinamento sezionale e dunque all'abilitazione all'esercizio dell'offerta di servizi bancari o di investimento in Italia, occorre distinguere se si tratta di intermediari comunitari o extracomunitari, e ulteriormente se si tratti di offerta con stabilimento di succursali o di agenzie ovvero di prestazione transfrontaliera.. Infatti, solo con riferimento ai soggetti comunitari operano gli artt. 52 e 60 del Trattato CEE, ai sensi del quale un soggetto un soggetto può svolgere attività di impresa (sia con proprio stabilimento, sia in regime di libera prestazione di servizi) in un altro Stato membro alle condizioni definite dalla legislazione del Paese di Stabilimento nei confronti

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dei propri cittadini, in attuazione dei principi di libera circolazione di persone, servizi e capitali di cui all'art. 3 del Trattato di Roma. Quanto agli intermediari comunitari, la disciplina comunitaria contenuta nella direttiva Isd (n. 93/22) e nella seconda direttiva bancaria (n. 89/646) è stata recepita in Italia negli artt. 15 e 16 del d.lgs. 385/93 recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (t.u.b.) e negli artt. 26 e 27 del d.lgs. 58/98 recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (t.u.f.). La normativa consente alle banche e alle imprese di investimento comunitarie di prestare in Italia servizi bancari e finanziari, ammessi al mutuo riconoscimento, tramite una succursale o in regime di prestazione di servizi senza stabilimento (distinguendosi le due fattispecie sia per la presenza di una struttura che per la permanenza o temporaneità dell'attività ), in virtù della "licenza unica" ottenuta nel proprio paese d'origine, restando assoggettati all'home country control, prescrivendo solamente l'invio alla Banca d'Italia ed alla Co.n.so.b. di una comunicazione preventiva da parte dell'autorità dello stato d'origine (LENER, 2000a, 86; TORRIGIANI, 120). Per l'offerta di servizi bancari o di investimento da parte di intermediari extracomunitari, invece, non operano né i principi dell'armonizzazione, del mutuo riconoscimento e della competenza a vigilare dello stato d'origine contenuti nella seconda direttiva banche e nella direttiva sui servizi di investimento né i principi di libera prestazione dei servizi e di libertà di stabilimento presenti nel trattato CEE: lo stabilimento di una succursale è equiparato alla costituzione di una banca italiana ed è soggetta ad uno specifico procedimento autorizzatorio che coinvolge valutazioni tecniche (relative al possesso dei requisiti patrimoniali, di esperienza ed onorabilità , di programma di attività ) e altresì politiche (tanto che occorre l'intesa del ministero degli esteri per il decreto del tesoro, sentita solo la banca d'Italia), relative alla reciprocità di trattamento e alla adeguatezza nel paese d'origine dei controlli di vigilanza, all'esistenza di accordi in materia di scambio di informazioni. La prestazione di servizi senza stabilimento da parte di una banca extracomunitaria (art. 16 co. 4 t.u.b.) è subordinata invece ad un'autorizzazione preventiva della Banca d'Italia (rilasciata -a seguito di domanda corredata da informazioni sulla attività da svolgere e sulle modalità operative- entro 60 giorni, sentita l'autorità di vigilanza del paese d'origine). La prestazione di servizi di investimento da parte di imprese di investimento extracomunitarie (art. 28 t.u.f.) è in ogni caso subordinato ad autorizzazione rilasciata dalla Co.n.so.b., sentita la Banca d'Italia: l'autorizzazione è data in presenza dei requisiti richiesti per l'autorizzazione delle sim italiane, dello svolgimento nel paese d'origine dell'attività di investimento per la quale sia già ivi autorizzata, della sussistenza di appositi accordi fra le autorità di settore italiane e quelle del paese extracomunitario, della condizione di reciprocità nei limiti degli accordi internazionali. (LENER, 2000a, 86 ss.) Nel silenzio della legge, la procedura (che prevede un meccanismo di silenzio assenso collegato al termine di 120 giorni) è disciplinata dalla normativa secondaria, ed in particolare dal regolamento Co.n.so.b. n. 11522/98. Se la disciplina autorizzatoria è analoga per l'offerta di servizi di investimento con o senza stabilimento, la legge attribuisce all'autorità di vigilanza il potere di individuare aree di servizi non autorizzabili in regime di prestazione senza stabilimento, e la Co.n.so.b. nel detto regolamento ha escluso l'autorizzabilità (salvo deroghe su istanza motivata e sentita la Banca d'Italia, tenuto conto delle dimensioni del soggetto richiedente dell'eventuale operatività del medesimo in altri stati e di ogni ulteriore elemento di rilievo) di tutti i servizi di investimento ed accessori con esclusione della consulenza alle imprese, quella in materia di investimenti in strumenti finanziari, i servizi connessi all'emissione e al collocamento di strumenti finanziari.

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Tali limitazioni riguardano le imprese di investimento extracomunitarie, e non invece le banche extracomunitarie che possono invece prestare servizi di investimento in Italia cross-border, previa autorizzazione della Banca d'Italia, sentita la Co.n.so.b. (LENER, 2000a, 95). Con riferimento all'adozione di tecnologie informatiche nell'offerta di servizi bancari e di investimento da parte di intermediari esteri, occorre distinguere l'offerta di servizi atm o bancomat, e l'offerta di servizi in rete (sia essa internet, ovvero reti diverse come nei casi di home banking e corporate banking). Quanto al primo aspetto, l'installazione di apparecchiature elettroniche fisse può essere assimilata ad uno stabilimento i quanto soddisfi i criteri enunciati dalla Corte di Giustizia (sentenza 30.11.95 c/55-94, Gebhard) e vi sia la presenza di una direzione, e cioè un collegamento con una succursale o un'agenzia al cui stabilimento si ricollega, laddove se lo sportello automatizzato sia la sola forma di presenza in uno stato membro esso è assimilabile ad una prestazione di sevizi per la Commissione UE (comunicazione Libera prestazione di sevizi e interesse generale nella seconda direttiva bancaria, in Guce c209 del 10.7.97) (LENER, 2000a, 85) La normativa primaria e secondaria non contengono disposizioni esplicite relative all'uso di internet o di altri strumenti telematici nell'offerta di servizi bancari o di investimento, onde si pone il problema della qualificazione giuridica dell'offerta telematica e dell'inquadrabilità della stessa -ove effettuata da intermediario estero senza stabilimento in Italia- nell'ambito dei servizi transfrontalieri soggetti alle limitazioni ed autorizzazioni predette. Al riguardo, una qualificazione delle fattispecie è stata operata dalla Co.n.so.b. ai fini della diversa fattispecie della sollecitazione del risparmio a distanza, distinguendosi come si dirà in seguito tra offerta a mezzo email da offerta con sito internet. Le problematiche sono analoghe nelle due fattispecie, anche se deve rilevarsi che diverse sono le conseguenze giuridiche nei due casi, atteso che l'abusivismo è un reato e la sollecitazione abusiva non lo è più. La dottrina, comunque, (LENER, 2000a, 94), ha rilevato quanto all'abusivismo, che l'offerta di servizi bancari o di investimento effettuata per posta elettronica in favore di residenti italiani da parte di intermediari esteri deve considerarsi come svolta in Italia; analoga conclusione dovrebbe aversi -a mio parere- per l'attività svolta mediante strumenti telematici individualizzati, come nel caso del private banking; nel caso invece di gestione di un sito internet, ove è più problematico verificare la territorialità dell'offerta in ragione del carattere impersonale e non indirizzato della comunicazione internet, può riscontrarsi la territorialità dell'offerta in Italia solo ove vi siano in concreto indici che consentano di creare un collegamento dell'offerta con i residenti italiani. Tali indici, come meglio si dirà in seguito, non sono necessariamente quelli affermati dalla Co.n.so.b. in materia di offerta a distanza, in quanto per riconoscere il potere disciplinare dell'organo di vigilanza competente in materia occorre previamente verificare se il sito rivolto in Italia; non vi sono stati invece interventi sul punto della Banca d'Italia.. In tali casi, la negoziazione via Internet dovrà rispettare le procedure di notifica o di autorizzazione stabilite per l'offerta di servizi in regime di prestazione senza stabilimento; in secondo luogo, si renderà applicabile l'art. 32 t.u.f. (che disciplina la promozione e il collocamento a distanza di servizi di investimento e di strumenti finanziari) e l'intermediario dovrà rientrare nel novero dei soggetti abilitati ovvero autorizzati di cui all'art. 71 regolamento Co.n.so.b., a seconda che promuova e collochi soltanto i propri servizi di investimento ovvero anche prodotti finanziari e servizi di investimento altrui;

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infine, terzo aspetto, troveranno applicazione le regole di comportamento italiane, altrimenti non applicabili (LENER, 2000a, 94). La materia del cross-border banking ha sollecitato l'attenzione del Comitato di Basilea in sede di definizione delle forme e degli strumenti di cooperazione dei paesi più industrializzati nella vigilanza sugli intermediari finanziaria internazionali. Nel luglio 1992 è stato pubblicato un Basle Committee's Report sui Minimun standards for the supervision of internmational banking groups and their corss border establishments che ha indicato 29 raccomandazioni in materia, sottolinenando in particolare 4 principi: - tutti gli operatori finanziari internazionali dovrebbero essere sottoposti a vigilanza

dall'autorità del paese d'origine, munita di potere di proibizione circa le società o strutture che impediscono i controlli;

- la creazione di un intermediario o di uno stabilimento crossborder dovrebbe ricevere il preventivo consenso delle autorità di vigilanza del paese di origine e di quello ospitante;

- le autorità di vigilanza del paese di origine dovrebbero poter ottenre informazioni dagli operatori crossborder;

- l'autorità del paese ospitante dovrebbe poter infliggere misure sanzionatorie o proibitive se alcuni dei predetti standards non sono rispettati.

Con specifico riferimento all'attività in centro off-shore, nell'ottobre 1996 un gruppo di lavoro, istituito dai membri del Basle Committee e dei membri dell'Offshore Group of banking supervisors, ha pubblicato un Report (che assume particolare rilievo proprio per la provenienza degli impegni e delle sollecitazioni dagli stessi paesi off shore) in cui si stabiliscono "minimum criteria" per i membri al fine di evitare buchi di supervisione (ad esempio con riferimento aa shell-branches, parallel-owned banks, sister istitutions con comune situazione proprietaria site in centri finanziari con controllo inferiore agli standards). In particolare, si è raccomandata l'opportunità di incrementare le possibilità di accesso delle autorità del paese di origine alle informazioni necessarie per l'esercizio effettivo della vigilanza consolidata, nonché di accesso dell'autorità estera per l'effettivo esercizio della vigilanza nel paese di stabilimento, nonché l'esigenza di assicurare che tutte le operazioni trasfrontaliere siano sottoposte effettivamente a vigilanza dei due paesi e che queste possano scambiarsi informazioni; infine, con specifico riferimento ale attività criminali, l'opportunità di accesso delle autorità di vigilanza ai depositi individuali e ai relativi nominativi (parte III, lett. d, punto 24 e 25 del Report) quando vi siano seri sospetti di attività criminale o di elusione dei requisiti prudenziali che possano incidere sulla stabilità finanziaria o sulla reputazione della banca, unitamente alla possibilità di acquisire prove ai fini di rapporto alle autorità competenti. Con riferimento all'insediamento di succursali di banche italiane in paesi extracomunitari, per converso, le istruzioni della Banca d'Italia prevedono che il rilascio della prescritta autorizzazione della Banca d'Italia richiede la previa verifica, ai fini del rispetto dei requisiti minimi di vigilanza concordati tra i paesi del Gruppo dei Dieci, oltre che dei requisiti richiesti per l'insediamento in paesi comunitari, di altre condizioni e precisamente: dell'esistenza nel paese di insediamento di una legislazione e di un sistema di vigilanza adeguati, nonché della possibilità di agevole accesso alle informazioni, da parte della casa madre e della Banca d'Italia, anche attraverso accordi in materia di scambio di informazioni con l'Autorità di vigilanza competente del paese ospitante, ovvero attraverso l'espletamento di controlli in loco sulla succursale estera (per cui la presenza è consentita solo ad intermediari con elevata soliditù e reputazione, con assetti organizzativi in gradoo di esercitare efficaci controlli interni). Qui allora il carattere off-shore della società può

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incidere sull'autorizzazione, escludendola, per assenza di accordi tra autorità di vigilanza (sul tema, v.BENTIVOGLI-GENERALE; ABI, 35). Un ultimo riferimento va fatto ad altra disposizione penale contenuta nel t.u.f., l'art. 171 co. 2, che prevede e sanziona (con l'arresto fino ad un anno e l'ammenda da 25 a 100 milioni) come contravvenzione l'ostacolo alle funzioni di vigilanza dell'autorità competente (Banca d'Italia e Co.n.so.b.) per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione, e controllo. La norma corrisponde all'art. 134 del t.u.b., che prevede analoghe fattispecie (cfr. FLICK, 1994, 1211). Si tratta di una fattispecie di tutela dell'attività di vigilanza diversa da quella (pure contravvenzionale) di cui all'art. 169 t.u.f. -corrispondente a quella prevista dall'art. 141 t.u.b.- (che riguarda la falsità in specifiche comunicazioni all'autorità di vigilanza) e da quella (delittuosa) contemplata al primo comma dello stesso articolo -che riguarda invece l'esposizione di dati non rispondenti al vero o l'occultamento di dati che avrebbero dovuto essere comunicati, al fine di ostacolare l'attività di vigilanza-, e che è stata oggetto di critiche (FORLENZA, 166) per violazione del principio di tassatività della fattispecie, non essendo nella norma alcuna tipizzazione della condotta ostruzionistica o interdittiva opposta all'autorità di vigilanza (in tema, VENEZIANI, 5 ss.). LA SOLLECITAZIONE TELEMATICA ALL'INVESTIMENTO. La sollecitazione all'investimento comprende ogni offerta, invito ad offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari (art. 1 lett. t) t.u.f.) (sul tema, GABBRIELLI-DE BRUNO, 262 ss.) L'art. 191 t.u.f. sanziona il comportamento di chi:

- effettua la sollecitazione all'investimento in violazione dell'obbligo di inviare alla Co.n.so.b. la comunicazione preventiva ed i suoi allegati, ovvero in inottemperanza ai provvedimenti interdittivi adottati dalla commissione

- effettua sollecitazioni di prodotti finanziari non quotati né diffusi tra il pubblico non autorizzate dalla Co.n.so.b., o viola il contenuto delle disposizioni regolamentari da essa emanate o specifici obblighi informativi

- divulga annunci pubblicitari riguardanti sollecitazioni all'investimento in violazione delle disposizioni dell'art. 101, del regolamento Co.n.so.b. o dei provvedimenti interdittivi adottati La norma è stata oggetto di critiche, da un lato perché accomuna fatti dotati di diverso disvalore (SEMINARA, 2000, 457), dall'altro lato perché possono sanzionarsi più volte fatti analoghi. Infatti, la disposizione sanziona sia la sollecitazione effettuata omettendo la comunicazione del prospetto sia la sollecitazione in violazione dei provvedimenti interdittivi della Co.n.so.b. adottati non solo ai sensi dell'art. 99 ma anche 103 co. 3 lett. c) (che riguarda proprio il caso dell'inottemperanza ai provvedimenti interdittivi riguardanti gli annunci pubblicitari), onde si pone il problema della duplicazione della sanzione per il casi di

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progressione nelle violazioni: l'offerente procede ad annuncio pubblicitario prima della comunicazione del prospetto, onde scatta la prima sanzione ex art. 101 co. 1-2; la Co.n.so.b. sospende o vieta la diffusione ulteriore dell'annuncio pubblicitario ex art. 101 lett. a) e b); se l'offerente non vi ottempera, scatta la sanzione ulteriore ed il divieto di eseguire la sollecitazione all'investimento ex art. 101 co. 3 lett. c). La violazione di tale norma integra gli estremi del fatto sanzionato dall'art. 191. Nell'esempio (fatto da VOLPE, 171), una condotta unitaria quanto allo scopo viene punita tre volte con una sanzione pari nel tetto massimo al triplo del massimo previsto dall'art. 191: da ciò l'opportunità di ritenere assorbito nella violazione finale la condotta antecedente, e ciò benché si tratti di condotte diverse che violano disposizioni differenti. Oggi, comunque, l'illecito non riveste carattere penale, ma costituisce una mera violazione amministrativa. La diffusione del trading on line ha conferito ad internet un ruolo di primo piano tra le tecniche di comunicazione a distanza per la sollecitazione all'investimento. La normativa primaria e secondaria non contengono disposizioni esplicite relative all'uso di internet o di altri strumenti telematici nell'offerta di servizi di investimento, onde si pone il problema della qualificazione giuridica dell'offerta telematica e dell'assoggettabilità della stessa -ove effettuata da intermediario estero senza stabilimento in Italia- alla disciplina nazionale italiana relativa all'offerta a distanza, come disciplinata dal t.u.f. (art. 32) e dal regolamento Co.n.so.b. 11522/98 (art. 72) (su cui diffusamente RABITTI BEDOGNI, 1997, 191 ss.). Deve rilevarsi peraltro sull'argomento è in corso di approvazione la proposta modificata di direttiva del 19.11.98 in materia di vendita a distanza di servizi finanziari ai consumatori, che, modificando le direttive 90/619/CEE , 97/7/CE e 98/27/CE (inapplicabili di per sé in materia), reca norme a tutela del consumatore (obblighi informativi, spatium deliberandi, diritto di recesso). L'art. 32 t.u.f. definisce le tecniche di comunicazione a distanza come tecniche di contatto con la clientela, diverse dalla pubblicità , che non comportano la presenza fisica e simultanea del cliente e del soggetto offerente o di un suo incaricato; il regolamento Co.n.so.b. poi qualifica tali solo le tecniche che consentono di stabilire un contatto con i singoli investitori, con possibilità di dialogo ed altre forme di interazione rapida, ovvero anche senza possibilità di interazione rapida, qualora i documenti o messaggi inviati presentino contenuto negoziale o comunque non si limitino ad illustrare le qualità e le caratteristiche del soggetto offerente e dei prodotti e servizi offerti. La promozione dunque si distingue dalla pubblicità per il suo carattere individualizzato e sollecitatorio, essendo invece la pubblicità unilaterale e rivolta in incertam personam (LENER, 2000a, 93; RABITTI BEDOGNI, 2000, 421; ZITIELLO, 1152): solo la promozione, per la sua idoneità ad instaurare un contato bilaterale e qualificato tra le aprti, giustifica la previsione di una disciplina di tutela dell'investitore (RABITTI BEDOGNI, 1998, 272; BONZANINI, 197). La Co.n.so.b. ha distinto tra offerta a mezzo email da offerta con sito internet. Nel primo caso (la posta elettronica è espressamente contemplata tra le tecniche di comunicazione a distanza dal d.lgs. 185/99 di attuazione della direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei consumatori in materia di contrattia a distanza), si è certo in presenza di offerta in Italia ove l'email sia inviata dall'intermediario estero all'investitore residente in Italia. Con riferimento al problema della territorialità dell'offerta di un intermediario straniero contenuta in un sito internet, e al connesso problema dell'individuazione del sito internet rivolto all'Italia, la Co.n.so.b. (comunicazioni di/99052838 e di/99091709 rispettivamente

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del 7.7.99 e del 15.12.99) ha ritenuto, in presenza di un sito internet accessibile dall'Italia, non effettuata in Italia l'offerta ove vi siano congiuntamente i seguenti requisiti: avvertenze esplicite che escludano dai destinatari i residenti italiani, procedure per l'accertamento della provenienza dall'Italia delle adesioni, il rigetto delle adesioni provenienti dall'Italia (c.d. elementi di primo livello). In assenza di alcuni dei detti caratteri, l'offerta può ritenersi egualmente effettuata in Italia in presenza di indici di valutazione sussidiari, quali l'utilizzo della lingua italiana, la presenza di riferimenti a fatti e circostanze relativi all'Italia, l'indicazione di prezzi e valori in lire italiane, indicazione di operatori italiani attraverso i quali si può aderire all'offerta, la reperibilità del sito tramite motori di ricerca (search engines) specializzati sull'Italia, la diffusione in Italia di informazioni analoghe a quelle proprie del sito estero). In ogni caso, resta fermo il potere della commissione di valutare specificamente, caso per caso, indipendentemente dalla ricorrenza o dalla mancata ricorrenza degli elementi e degli indici sopra detti, se il sito sia rivolto in Italia (ad esempio, considerando il numero di soggetti che abbiano dato seguito all'offerta) (TOFANELLI, 216). Il criterio (come ricorda LENER, 2000b, 386) trova un significativo precedente nella disciplina americana (SECURITIES AND EXCHANGE COMMISSION) del 1998, ove si è stabilito che la diffusine tramite Internet di informazioni concernente i prodotti finanziari e servizi di investimento no sia qualificabile come sollecitazione rivolta a soggetti residenti negli USA ove nel sito vi siano espliciti avvertimenti unitamente alla predisposizione di idonee procedure identificative della provenienza di eventuali adesioni. Una volta riconosciuto in un sito internet la territorialità dell'offerta, occorre applicare le norme italiane in materia di operatività a distanza degli intermediari (art. 32 t.u.f. e 72 reg. Co.n.so.b. 11522/98). Tale conclusione opera secondo la Co.n.so.b. certo nel caso di email: qui si è in presenza di offerta a distanza ove l'iniziativa pervenga dall'intermediario, intendendosi per tale non solo la prima email, ma anche ogni ulteriore contenente offerte (e non mere accettazioni) che siano indirizzate all'investitore e lo lascino quindi in una posizione di passività (TOFANELLI, 224). Anche nel caso dell'offerta contenuta in un sito internet, peraltro, troverà applicazione la disciplina dell'offerta a distanza, atteso che questa -secondo la Co.n.so.b. (la cui interpretazione è stata peraltro contestata in dottrina: BUCCARELLA, 4; v. pure infra in ordine al caso Smallxchange.com)- non è ancorata (v. art. 72 reg. Co.n.so.b. sopra richiamato) alla provenienza dell'iniziativa dall'investitore (ciò che potrebbe mancare nel caso di accesso al sito, che di solito avviene per iniziativa dell'investitore), bensì alla possibilità di interazione rapida o al carattere negoziale dei messaggi inviati (la circostanza dell'iniziativa dell'investitore invece potrà avere rilievo ad altri fini, ad esempio per esonerare l'intermediario dal rispetto dell'obbligo di avvalersi di promotori finanziari) (TOFANELLI, 217). In altri termini, si è ritenuto che la facilità di accesso ad un sito, il basso costo di accesso, gli strumenti di interazione, la possibilità di accesso involontario (con hypertexts links e motori di ricerca), nonché la facilità di conclusione di contratti -anche in forma immediata ed istintiva- (point and click) fanno ritenere irrilevante -ai fini dell'applicazione della disciplina della sollecitazione all'investimento e, in particolare, della promozione e del collocamento a distanza- il soggetto da cui parte iniziativa (RABITTI BEDOGNI, 2000, 421;SEMINARA, 2000, 460; ZITIELLO, 1152). Dunque l'applicazione della disciplina delle offerte a distanza non si ha secondo la Co.n.so.b. nei casi di siti non rivolti all'Italia, ovvero nei siti meramente informativi e nei messaggi pubblicitari in rete (es. banners e altri collegamenti ipertestuali presenti in un

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sito), o infine nelle email di mera risposta -senza c.d. rilancio- inviate dall'intermediario (quand'anche contengano segnalazione di numeri telefonici per contattare l'operatore: v. LENER, 2000b, 387); secondo altri, invece, non dovrebbe esservi la detta applicazione mai nei siti esteri, pur accessibili dall'Italia, non essendovi alcuna attività sollecitatoria dell'intermediario nel senso letterale del termine (BUCCARELLA, 5). Dall'applicazione delle regole dell'offerte a distanza alle offerte telematiche -via email o su sito internet- discendono una serie di conseguenze:

- innanzitutto sono applicabili le regole organizzative e comportamentali dell'intermediario; - opera a date condizioni l'obbligo di avvalersi di promotori finanziari; - ove l'offerta sia rivolta al pubblico troverà applicazione la disciplina della sollecitazione

all'investimento di cui all'art. 1 lett. t) del t.u.f., ed il regime autorizzatorio previsto dal t.u.f. (artt. da 94 a 101) e dal relativo regolamento di attuazione (parte II), nonché il regime della riserva di attività in favore di soggetti qualificati previsto per le offerte fuori sede.

Quanto alle regole organizzative e comportamentali, l'intermediario che prsta servizi di investimento tramite internet è assoggettato alle medesime regole di comportamento previste dalla legislazione speciale, con le modalità di adempimento specifiche per il caso (RABITTI BEDOGNI, 2000, 432). In particolare, vengono in rilievo gli obblighi di predisposizione di programmi di attività e gli obblighi di informativa circa i rischi dell'operazione e l'adeguatezza della stessa in relazione alla situazione finanziaria del cliente (LENER, 2000b, 387): l'obbligo (che è continuativo e non si esaurisce con la prima operazione) di informativa all'investitore circa la natura ed i rischi (oggettivi) dell'operazione può essere assolto con procedure standardizzate allocate in un sito internet (com. Co.n.so.b. di/30396 del 21.4.00); analogamente, la segnalazione all'investitore dell'inadeguatezza (soggettiva) delle operazioni e delle relative ragioni, sia la successiva conferma dell'investitore di dar egualmente corso all'operazione inadeguata, possono essere date via internet (com. citata), purché sia escluso che il sito sia organizzato in modo da impostare come default l'opzione di conferma; infine, via internet può essere data altresì l'informativa circa il conflitto di interessi dell'intermediario ed il consenso del cliente all'operazione (purché questo non sia impostato come default della risposta), con l'obbligo aggiuntivo di consentire la conservazione dell'informativa da parte del cliente su supporto duraturo e di conservare l'autorizzazione del cliente in apposite evidenze, anche informatiche, ma immodificabili. (TOFANELLI, 227). Quanto all'obbligo di avvalersi di promotori finanziari (previsto dall'art. 76 del regolamento 11522/98 quando l'offerta è effettuata mediante tecniche di comunicazione a distanza che consentono una comunicazione individualizzata ed un'interazione immediata con l'investitore, e salvo che l'attività sia svolta su iniziativa -non sollecitata in alcun modo con messaggi a lui personalmente indirizzati- dell'investitore), questo sussiste nelle offerte via email ove l'iniziativa sia sorta dall'intermediario, e secondo la Co.n.so.b. (comunicazione di/99052838 del 7.7.99) comunque nel caso di invio di proposte a contenuto negoziale o promozionale (anche se l'iniziativa sia assunta dall'investitore) (in materia, sull'interazione immediata e sulla iniziativa sollecitata, GAMBINO, 449). Al riguardo, si è osservato che l'iniziativa dell'investitore deve permanere durante tutta la durata del contratto e non al primo contratto, onde nel caso di investitore che adisca l'intermediario al mero fine di ottenere informazioni configurerebbe sollecitazione l'invio da parte dell'intermediario di proposta a contenuto negoziale, con conseguente necessità della presenza del promotore finanziario (TOFANELLI, 222). Nel caso di accesso al sito, invece, l'obbligo di avvalersi del promotore finanziario deve escludersi per assenza del requisito della comunicazione individualizzata e per la

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provenienza dell'iniziativa dall'investitore: peraltro, ove la gestione del sito interagisca con la posta elettronica ovvero con collegamenti imposti ad altri siti negoziali (es. links e banners) e nella navigazione si innestino comunicazioni dell'intermediario all'investitore personalizzate e con contenuto negoziale, si configurerebbe una sollecitazione rispetto alla quale l'intermediario si troverebbe in una posizione di passività tale da giustificare la presenza del promotore finanziario; per converso, la presenza nel sito di proposte negoziali non rileverebbe ai fini dell'obbligo della presenza del promotore finanziario tutte le volte in cui sia conservata la libertà di scelta dell'investitore (TOFANELLI, 224, il quale osserva che ad escludere l'obbligo della presenza del promotore basterebbe programmare i passaggi all'interno del sito in modo da lasciare libero il cliente di scegliere ogni volta l'opzione preferita, quand'anche fosse quella finale perfezionativa del contratto). Quanto al vincolo della forma scritta relativo alla sottoscrizine dell'investimento, la Co.n.so.b. ha snellito il sistema con comunicazione 1.7.99, consentendo tecniche a distanza limitatamente alla sottoscrizione di quote di fondi comuni di investimenti successivi alla prima, switch tra fondi, operaioni di rimborso (ravvisandovi operazioni relative a sviluppo di un rapporto già in essere); con altra comuicazione del 3.9.99 ha poi consentito relativamente al collocamento di quote di o.i.c.r. che l'obbligo di consegnare all'investitore il prospetto informativopossa essere adempiuto anche tramte un inoltro via Internet, purché le modalità tecniche utilizzate consentano al destinatario di averne disponibilità su supporto duraturo, e si è ritenuto che il cliente possa scaricare dal sito il modulo di sottoscrizione da sottoscrivere e poi inviare in modo ordinario. Infine, ha recentremente approvato un propspetto iformativo realtivo ad un'offerta pubblica di sottoscrizione contenente tra le modalità di adesione quella via internet, precisando peraltro nell'ottica di tutela dell'investitore sollecitato che la conclusione del contratto tramite internet richiede l'assegnazione di una password indivisuale all'investitore, l'indicazione telematica di tutti i dati personali e finanziari richiesti in per l'adesione tradizionale in forma cartacea, le conferme da parte del cliente con schermate successive, anche a seguito di riepilogo dei dati (per queste problematiche, RABITTI BEDOGNI, 2000, 435 ss.). Quanto all'applicazione all'offerta telematica delle norme relative alla sollecitazione all'investimento di cui all'art. 1 lett. t) del t.u.f., e del regime autorizzatorio previsto dal t.u.f. (artt. da 94 a 101) e dal relativo regolamento di attuazione (parte II), questa avrà luogo ogni qualvolta l'offerta sia rivolta al pubblico: ciò avviene nel caso del sito internet, nelle offerte telematiche rivolte ad una pluralità ampia di soggetti (BUFFA, 1991, 532; MOTTI, 1990, 308) e può avvenire nella posta elettronica nei soli casi di news-groups ampi liberamente accessibili o di ampie mail-list. Deve peraltro rilevarsi al riguardo che l'obbligo informativo preventivo alla Co.n.so.b. imposto in linea generale per le sollecitazioni all'investimento non opera ex art. 100 t.u.f. e art. 33 regolamento Co.n.so.b. delibera 11971/99 ove le sollecitazioni siano rivolte ad un numero di soggetti non superiore a duecento ovvero aventi ad oggetto prodotti finanziari di ammontare complessivo non superiore a 40.000 euro. Infine, nel caso di offerta a distanza verso il pubblico di strumenti finanziari o di servizi di investimento opera il regime della riserva di attività in favore di soggetti qualificati previsto per le offerte fuori sede (sul rapporto tra offerta a distanza e fuori sede, DI MAIO, 293, GENTILI, 342).

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L'attività abusiva di sollecitazione all'investimento porta con sé il rischio di frodi, rischio aumentato in presenza di operatori esteri, specie se off-shore, tanto più se aventi una connotazione esclusivamente di intermediari virtuali. Le frodi riscontrate sulla base dell'esperienza (cfr. RABITTI BEDOGNI, 2000, 428) attengono al pump and dump (attraverso cui si diffondono notizie false per creare un bolla speculativa e rievndere i itoli a prezzo non di mercato), al c.d. modello priramidale (per cui si promettono guadagni allettanti ai risparmaitori corrisposti con il denaro dei risparmiatori entrati nel meccanismo della c.d. catena di S.Antonio), alle frodi risk free (ove il rendimento elevato viene assicurato da compravendita di titoli trattati in paesi off shore che godono di particolari condizioni di tipo fiscale o commerciale, ma ad elevato rischio). La Co.n.so.b. ha di recente emesso alcuni provvedimenti che sanzionano quattro siti che avevano cominciato ad operare in rete. Nel marzo 2000 è stato emesso provvedimento di sospensione dell'attività per la società di trading on line Tricalpa.com, ritenuta abusiva. Altra vicenda ha riguardato una società costituita nelle isole Vergini Britanniche gestore il fondo di investimento non armonizzato Galileo, le cui quote venivano commercializzate in Italia dalla società Tradingnet di Verona e dalla PMP Professional market brokerage di Chicago attraverso il sito www.tradingnet.it, rivolto all'investitore italiano: la Co.n.so.b. ha vietato ex art. 54 t.u.f. la commercializzazione delle quote in questione in quanto in violazione delle norme italiane sulla sollecitazione all'investimento (RABITTI BEDOGNI, 2000, 429). Altro caso ha riguardato la società di trading on line Smarttrading.com, che nell'omonimo sito invitava alla sottoscrizione di contratti di investimento con broker operanti negli Stati Uniti. Ma la vicenda principale è di quest'estate. Da ultimo -facendo seguito a due precedenti provvedimenti (delibere n. 12411 e 12412 del 2 marzo 2000) con cui l'autorità di vigilanza aveva disposto, in via cautelare, rispettivamente la sospensione a tempo indeterminato degli scambi organizzati svolti attraverso il sito internet www.smallxchange.com e la sospensione per 90 giorni dell'abusiva attività di sollecitazione all'investimento e dell'abusiva offerta pubblica di scambio, pubblicizzate sempre per il tramite del citato sito internet- la Co.n.so.b., constatato il mancato adempimento degli obblighi di legge previsti per gli offerenti dalla disciplina della sollecitazione all'investimento, con delibera n. 12698 del 4 agosto ha disposto il divieto di svolgimento degli scambi di quote e/o azioni condotti tramite il sito internet della Smallxchange.com, ed ha vietato, inoltre, "l'attività consistente nella proposta di vendita delle azioni della Smallxchange.com rivolte ai potenziali investitori che intendano operare nel sistema di scambi organizzati creato dalla Smallxchange.com" (ritenendovi realizzata un'abusiva offerta pubblica di scambio), nonché (configurando un'abusiva attività di sollecitazione all'investimento) "l'attività consistente nella proposta di scambio delle azioni/quote delle società che intendono quotare i propri titoli nel sistema di scambi organizzati con azioni della Smallxchange.com Ltd" e quella consistente “nell’offerta delle quote/azioni delle società che hanno aderito, ai fini della propria quotazione, al sistema di scambi organizzati medesimo”. La Smallxchange.com è una società di commercio internazionale (international business company) registrata nelle Isole Vergini Britanniche, e dunque una società off-shore. La particolarità della vicenda si ricollega, oltre che alla natura estera off-shore dell'intermediario e al mezzo telematico dell'offerta, alla presenza di un sistema di scambi organizzati (SSO), cioè, secondo la comunicazione Co.n.so.b. n. 98097747 del 24 dicembre 1998, di "un insieme di regole e di strutture, anche automatizzate, che consente

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in via continuativa o periodica: a) di raccogliere e diffondere proposte di negoziazione di strumenti finanziari, e b) di dare esecuzione a dette proposte con le modalità previste dal sistema". Un sistema di scambi organizzati è un mercato non regolamentato che consente di connettere ad un mercato gli operatori direttamente dal proprio terminale (DAINESI, 144); la natura non regolamentata del mercato comporta alcune conseguenze, in quanto, diversamente dai mercati regolamentati (quali Borsa, Nuovo Mercato, il Mercato telematico all'ingrosso dei titoli di Stato -Mts-, il mercato dei derivati -Idem-), il SSO non è soggetto a preventiva autorizzazione Co.n.so.b., non deve essere obbligatoriamente gestito da una società per azioni avente il capitale minimo fissato dalla Co.n.so.b., né sono richiesti requisiti per esponenti e soci, né vi è obbligo di realizzare i livelli di sicurezza e trasparenza prescritti per i mercati regolamentati, né infine il regolamento del mercato deve essere approvato da questa, potendo ben le regole di funzionamento del mercato essere predisposte dall'organizzatore autonomamente" (BUCCARELLA, 1). Si tratta di un'organizzazione in sé del tutto lecita (salva l'applicazione delle norme in tema di sollecitazione del risparmio e abusivismo finanziario): in Italia, infatti, non vi è un principio di concentrazione degli affari nei mercati regolamentati, ma il fine della concentrazione è perseguito attraverso strumenti indiretti (ad esempio correlando la gestione centralizzata dei prodotti finanziari e le procedure di liquidazione dei titoli alla trattazione degli affari in mercati regolamentati). Si pensi così quale esempio italiano recente di mercato non regolamentato all' "After Hours Trading" di Banca 121, borsa fuori orario lanciata dall'ex Banca del Salento alla fine dello scorso anno, con un sistema oggi "istituzionalizzato" dalla Borsa italiana. (BUCCARELLA, 2). Nel caso Smallxchange.com, però, alla creazione e gestione di un SSO su internet si accompagnava un'attività diversa sollecitatoria: ai potenziali investitori infatti veniva richiesto di diventare soci (corrispondendo una "quota di associazione" pari a 50 USD all'anno e così partecipare ad una "grande cooperativa mondiale"), e di partecipare alle contrattazioni nel SSO. La Co.n.so.b. ha fatto applicazione dell' articolo 78 t.u.f., che prevede che "la Co.n.so.b. può richiedere agli organizzatori, agli emittenti e agli operatori dati, notizie, documenti sugli scambi organizzati di strumenti finanziari" (c.d. obblighi di disclosure degli scambi) e che, "a fini di tutela degli investitori, la Co.n.so.b. può stabilire le modalità , i termini e le condizioni dell'informazione del pubblico riguardante gli scambi", e attribuisce alla medesima autorità il potere di sospendere, e nei casi più gravi, di vietare gli scambi "quando ciò sia necessario per evitare gravi pregiudizi alla tutela degli investitori" (art. 78 co. 2° lett. b). In particolare, la Co.n.so.b. ha ritenuto gli scambi "effettuati in connessione allo svolgimento abusivo di attività riservate dalla legge a soggetti muniti delle prescritte autorizzazioni e ad attività di sollecitazione all'investimento svolte in violazione degli obblighi informativi previsti per gli offerenti dal T.U. della finanza, risultano idonei ad arrecare gravi pregiudizi alla tutela degli investitori". La decisione è stata peraltro criticata in dottrina (BUCCARELLA, 4), in considerazione della asserita arbitrarietà della estensione operata dalla Co.n.so.b. della nozione di "pubblico" e di "sollecitazione" a casi offerte contenuti in network chiusi e non pubblicizzati, ai quali l'accesso è operato spontaneamente dagli investitori senza alcuna sollecitazione esterna. Non solo: premesso infatti che l'obbligo informativo preventivo alla Co.n.so.b. imposto in linea generale per le sollecitazioni all'investimento non opera ex art. 100 t.u.f. e art. 33 regolamento Co.n.so.b. delibera 11971/99 ove le sollecitazioni siano rivolte ad un numero di soggetti non superiore a duecento ovvero aventi ad oggetto prodotti finanziari di

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ammontare complessivo non superiore a 40.000 euro, si è rilevato (BUCCARELLA, 5) in relazione al caso Smallxchange, che -data la modesta entità (50 USD) della quota di sottoscrizione richiesta agli investitori- sarebbero state necessarie almeno 800 sottoscrizioni per raggiungere la soglia di rilevanza. Sotto altro profilo, si è invece rilevato che le prescrizioni ed esenzioni dettate dal predetto regolamento Co.n.so.b. operano solo per il mercato italiano, laddove Smallxchange operava a livello planetario. Si è dunque ravvisato nella vicenda un ingiustificato tentativo di assoggettare alla propria competenza territoriale e giurisdizionale un fenomeno internazionale, cercando di assoggettare comunque a vigilanza e controllo le attività svolte a mezzo internet, e ciò anche ricorrendo a forzature interpretative (BUCCARELLA, 6); si è quindi ritenuto che il caso Co.n.so.b.-Smallxchange.com evidenzia la totale inadeguatezza degli ordinamenti nazionali a fronteggiare e regolamentare uno strumento di comunicazione transfrontaliera come internet. Sull'argomento, peraltro in linea generale e senza riferimento al caso di specie, si è da altri osservato che la disciplina regolamentare dell'autorità di vigilanza ha scarsa rilevanza pratica disciplina per assenza di poteri effettivi della Co.n.so.b. (SEMINARA, 2000, 462): "La pretesa della Co.n.so.b. di assoggettare al proprio controllo le sollecitazioni all'investimento effettuate per mezzo di internet e aperte al pubblico degli investitori italiani non solo rinvia ad una prospettiva territoriale invero inconciliabile con le caratteristiche delocalizzate della rete, ma soprattutto evoca una competenza non esercitabile nei confronti di soggetti operanti fuori dei confini nazionali. Anche senza soffermarci qui sui problemi ingenerati dall'uso dell'anonimato in rete, dai siti remailer e dal ricorso agli hyperlinks, appare evidente che le ricorrenti "comunicazioni a tutela dei risparmiatori" contenute nei notiziari settimanali della Co.n.so.b., ove vengono segnalate sollecitazioni all'investimento reperite in Internet e prive di autorizzazione, costituiscono l'unica misura adottabile per la protezione del mercato" (SEMINARA, 2000, 462, nota 16, che richiama un unico caso, precedente al gennaio 2000,di provvedimento interdittivo, nei confronti di società avente sede legale in Italia). In realtà , il riconoscimento di un potere -"disciplinare" come normativo- della Co.n.so.b. in materia presuppone la rilevazione di un esercizio in Italia dell'attività di sollecitazione e dunque di un sito rivolto all'Italia specificamente: ma per stabilire se un sito sia rivolto in Italia non può farsi riferimento alle valutazioni ermeneutiche della Consob al riguardo, atteso che queste postulano il riconoscimento di un potere della stessa e questo consegue -e non precede- alla verifica dell'esistenza di un'attività sollecitatoria in Italia. In altre parole, il T.a.r. adito con impugnativa dei provvedimenti interdittivi della Co.n.so.b. (perché è lì che potrebbe porsi in concreto il problema) non sarà vincolato dalle determinazioni normative della stessa ai fini della valutazione della territorialità del sito, così c ome nel caso di abusivismo o per l'ostacolo alle funzioni della autorità di vigilanza, ove né l'autorità inquirente né il giudice penale è vincolato dalle decisioni Co.n.so.b.. Del resto, un potere normativo dell'autorità di vigilanza non potrebbe affermarsi ritenendo che gli organi di supervisione possono stabilire le condizioni alle quali le operazioni finanziarie tramite internet possano essere resi accessibili ai residenti nella propria giurisdizione (come sembra sostenere RABITTI BEDOGNI, 2000, 441), atteso che i soggetti vigilati non sono i privati ma gli intermediari che operano in Italia: così, se nessun dubbio potrebbe porsi nei confronti della assenza di ogni potere dell'autorità di vigilanza nel caso in cui il cittadino italiano qui residente acceda alla sollecitazione altrui su internet da un server straniero che sia il solo a fornire il servizio, l'affermazione di un potere sulle corrispondenti operazioni fatte dall'Italia presuppone l'accertamento -secondo criteri che non spetta all'organo di vigilanza (la cui determinazione è il posterius rispetto al prius della

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individuazione della destinazione della sollecitazine) stabilire, ma al più al giudice competente- che il sito estero sia rivolto in Italia. Ciò ovviamente non implica l'inerzia dell'organo di vigilanza nell'esercizio dei poteri di controllo, né l'impossibilità di predeterminare i criteri cui l'autorità si atterrà nella sua attività di supervisione, m aimporta solo la controllabilità del relativo potere in sede amministrativa, ovevro la possibilità (pur astratta) di seguire cirteri diversi in sede di repressione penale. L'art. 190 t.u.f., infine, sanziona la violazione da parte degli amministratori e dirigenti delle condizioni e procedure fissate dalla Co.n.so.b. per le imprese di investimento comunitarie ed extracomunitarie ex artt. 27 e 28 t.u.f., nonché delle regole per le offerte fuori sede e per il collocamento a distanza di servizi di investimento (art. 30, 31 e 32), con sanzione amministrativa pecuniaria da 1 a 50 milioni (senza possibilità di riduzione della sanzione ex art. 16 della legge n. 689/81). ALTRI ILLECITI DEGLI INTERMEDIARI ON LINE. La prestazione transfrontaliera di servizi può riguardare la stessa gestione dei mercati mobiliari organizzati: in particolare, se l'istituzione di una sede di attività in un paese estero comporta difficoltà sul piano organizzativo e gestionale legate all'insediamento di un nuovo mercato in un contesto giuridico non familiare, i sistemi di contrattazione telematica consentono agevolmente l'accesso ai mercati organizzati e quindi può sorgere l'opportunità di creare nuovi mercati in Stati diversi da quello di origine senza istituire in loco una stabile organizzazione, ma attraverso un remore linking. Tale fattispecie (su cui diffusamente MOTTI, 1997, 208 ss. e 239 ss.) di prestazione transfrontaliera del servizio mercato è tutelata dall'art. 15 della direttiva 93/22/CEE, ed è consentita:

- ove il mercato sia un mercato regolamentato iscritto nell'elenco dello Stato membro di origine dell'organismo di gestione, nonché l'utente sia un'impresa autorizzata a svolgere l'attività di negoziazione per conto proprio o altrui;

- in difetto dei predetti requisiti, secondo il regime di diritto comune ex art. 59 Trattato, e quindi in presenza di requisiti oggettivi (remuneratività ) e soggettivi (costituzione conformemente alla legislazione di uno Stato membro), onde solo organismi di gestione che già esercitino l'attività può offrire l'accesso ai soggetti stabiliti in altro Stato.

Peraltro, limitazioni possono essere stabilite (cfr. MOTTI, cit. 243 ss.) per ragioni di interesse generale e nel rispetto del principio di non discriminazione dei non residenti. Per gli operatori non comunitari, invece, non pera invece questo regime speciale. L'art. 67 t.u.f. prevede che la Co.n.so.b. iscrive i mercati regolamentati riconosciuti ai sensi dell'ordinamento comunitario in un'apposita sezione dell'elenco e che la Consob (co. 2), previa stipula di accordi con le corrispondenti autorità , può riconoscere mercati esteri di

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strumenti finanziari, diversi dai precedenti, al fine di estendere l'operatività sul territorio della Repubblica. La Consob accerta che le informazioni sugli strumenti finanziari e sugli emittenti, le modalità di formazione dei prezzi, le modalità di liquidazione dei contratti, le norme di vigilanza sui mercati e sugli intermediari siano equivalenti a quelli della normativa vigente in Italia e comunque in grado di assicurare adeguata tutela degli investitori. E' poi previsto che le società di gestione che intendano chiedere ad autorità di Stati extracomunitari il riconoscimento dei mercati da esse gestiti ne danno comunicazione alla Co.n.so.b., che rilascia il proprio nulla osta previa stipula di accordi con le corrispondenti autorità estere. Le imprese di investimento, le banche ed i soggetti che gestiscono mercati comunicano alla Co.n.so.b., nei casi e con le modalità da questa prestabilite, la realizzazione di collegamenti telematici con i mercati esteri. Le disposizioni ora dette di cui all'art. 67 t.u.f. sono richiamate dall'art. 190 co. 2 t.u.f., che prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da 1 a 50 milioni per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o direzione e ai dipendenti delle società di gestione del mercato, nel caso di inosservanza delle disposizioni previste dal capo I titolo I della parte III e di quelle emanate in base ad esse. La sanzione è analoga a quella prevista per organizzatori, emittenti ed operatori per la fattispecie -del tutto diversa- di inosservanza delle disposizioni di cui all'art. 78 t.u.f. relativa agli scambi organizzati di strumenti finanziari in mercati non regolamentati, fattispecie questa per la quale non vale il regime speciale di cui alla suddetta direttiva (per la differenza tra le due ipotesi, e per i vari criteri proposti per distinguerle, MOTTI, 1997, 99 ss.). ----------------- La rete ha consentito la diffusione dei dati relativi ai mercati (per la quale occorre l'autorizzazione della Co.n.so.b.: DELLA VECCHIA, 201 ss.) e lo sviluppo dei servizi di consulenza on line in materia di investimenti in strumenti finanziari (servizi oggi non più assistiti da riserva professionale in favore degli intermediari autorizzati di cui all'abrogato art. 1 lett. e) legge n. 1/91). Da ciò il rischio che la proliferazione di informazioni e consigli -unitamente alla rapidità ed incontrollabilità tempestiva della diffusione delle notizie- rechi con sé un potenziale effetto moltiplicatore di reati di aggiotaggio e di sfruttamento in borsa di informazioni privilegiate (SEMINARA, 2000, 463 ss.; DE LORENZO-FABRIZIO). L'art. 181 t.u.f. (aggiotaggio finanziario) punisce chi divulga notizie false, esagerate e tendenziose, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziario o l'apparenza di un mercato attivo dei medesimi. Internet è mezzo di comunicazione di massa ai fini dell'applicazione dell'aggravante dell'art. 181 co. 3 lett.c). La fattispecie può trovare applicazione in newsgroups, chat rooms e altre nicchie di comunicazione virtuale (così MALAGO', 2 ) L'art. 180 t.u.f. (insider trading) punisce lo sfruttamento delle informazioni privilegiate da parte di insiders -ossia partecipanti al capitale o esercenti una funzione o professione relativamente ad una società- o tippees -ossia chiunque altro abbia ricevuto dai primi informazioni riservate- nell'acquisto vendita o compimento di altre operazioni su strumenti finanziari (non è invece punito in sé -a differenza di quanto già previsto dall'art. 2 della legge n.157/91- il compimento di operazioni ovvero la comunicazione o il consiglio da parte ddel possessore di informazioni privilegiate). La fattispecie, ad esempio, può trovare applicazione agli intermediari on line nel momento in cui, divenuto il trading on line

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attività di massa, accada che gli ordini di acquisto o vendita influenzino il prezzo di un titolo sensibilmente: commette in tale contesto il reato in questione l'intermediario che ricevuti più ordini omogenei dai clienti, anticipa l'effetto della variazione del prezzo con operazioni per proprio conto (l'esempio è di SEMINARA, 2000, 468) Diverso è il caso dello SCALPING, che si ha quando un consulente finanziario sfrutta in borsa gli effetti di mercato che l'operazione da lui consigliata (ad es. su un sito web, in una newsletter o in una chatline) è in grado di innescare sui titoli interessati, fenomeno questo che con gli strumenti delle tecnologie dell'informazione e con la massificazione delle operazioni mobiliari è più probabile che in passato. Tale fattispecie non è punita penalmente (del resto, qui le notizie sono vere e l'informazione non è riservata, e perciò non vi sono gli estremi né dell'aggiotaggio né dell'insider trading); anche per la difficile configurabilità degli estremi del reato di truffa, non essendovi alcuna correlazione tra profitto dell'agente ed eventuale pregiudizio patrimoniale degli investitori (dovuto ad es. ad un decremento di valore dei titoli conseguente all'operazione dell'intermediario) (cfr. SEMINARA, 2000, 470).. Sotto il profilo processuale, merita di essere segnalata la particolarità di cui all'art. 185 co. 1 t.u.f., in base al quale il pubblico ministero, avuta notizia dei reati di aggiotaggio o di abuso di informazioni privilegiate, ne informa senza ritardo il presidente della Co.n.so.b.: si tratta di disposizione che, come si è osservato (FORLENZA, 169), deroga a quanto previsto dagli artt. 329 e 335, nonché 129 att., del cod. proc. pen., in funzione di tutela del risparmio e di garanzia della tempestività dell'intervento della Co.n.so.b.. Si è peraltro osservata (FORLENZA, 169) l'incertezza della norma circa l'oggetto della comunicazione, se cioè la stessa si riferisca solo al fatto e non anche ai nominativi dei soggetti iscritti nel registro degli indagati (come potrebbe suggerire l'esigenza di segretezza istruttoria e di salvaguardia dell'efficienza delle indagini) ovvero anche questi ultimi. RISERVE EXTRACONTABILI NEI CENTRI OFF-SHORE E REATI CONNESSI. Gli operatori commerciali internazionali utilizzano società appositamente costituite nei paradisi fiscali per il compimento di operazioni riservate o illecite, di modo che queste possano fare da schermo e coprire il reale operatore. Non occorre recarsi nei paesi in questione per costituire le società off-shore, ma possono acquistarsi -attraverso operatori economici internazionali ovvero su internet- società già costituite (cosiddette scatole vuote o cartiere). Passo ulteriore è quello relativo alla creazione di riserve occulte (c.d. fondi neri), ad esempio con fatturazioni parzialmente fittizie: ciò consente di poter utilizzare denaro, per lo più in contanti, di immediata disponibilità , senza lasciare traccia del prelievo e del versamento (come avverrebbe con un semplice prelievo dalla cassa non giustificato). La riserva, poi, può essere utilizzata per i vari scopi: ad esempio per porre in essere distrazioni nel periodo di decozione dell'azienda

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precedente il fallimento, per evitare che la sottrazione dell'attivo venga scoperta nel corso della procedura fallimentare, ad esempio simulando un esborso in relazione ad una apparentemente legittima operazione commerciale (cfr. SANDRELLI, 338 ss.; D'ALTERIO, 6TARGETTI, 305 ss.; BRICCHETTI, 431 ss.; ICHINO, 295 ss.); in materia societaria, quando la creazione della riserva sia diretta a frodare alcuni soci (falso in bilancio o in comunicazioni sociali: cfr. BRUNO, 76 ss.; BRANCIARI-DE MINICIS, 285 ss.); in materia fiscale, non contabilizzando ricavi o altri componenti positivi del reddito o contabilizzando costi fittizi; nell'ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, in tema di corruzione, concussione, illecito finanziamento ai partiti, utilizzando la costituzione dei fondi occulti fuori bilancio per il pagamento (MARTINETTO-BRUSCO, 39). Di per sé, la creazione di riserve occulte non è ad ogni fine illecita: così ad esempio, i costi incrementativi di una costruzione vanno normalmente iscritti al conto patrimoniale; se vengono iscritti al conto economico tra i costi di esercizio, si crea la riserva occulta costituita dalla differenza tra il valore effettivo della costruzione e quello di bilancio. Tale operazione, discutibile da un punto di vista fiscale, sotto il profilo civilistico non reca danno ai terzi, che possono contare su una maggiore garanzia. Ove però il cespite venisse alienato, la precedente sottovalutazione potrebbe essere utilizzata per nascondere parte del corrispettivo dell'alienazione (l'esempio è di MARTINETTO - BRUSCO, 44). In materia mobiliare, si possono svalutare i titoli in portafoglio e vendersi ad una società collegata o controllata sita all'estero in un paradiso fiscale ad un prezzo inferiore a quello di mercato, e successivamente si riacquistano al loro valore reale: la differenza tra i prezzi costituisce riserva occulta costituita presso il soggetto estero. O ancora, una società estera -ad esempio controllata, o costituita ad hoc- (senza obblighi di contabilità o senza controlli fiscali) può fatturare operazioni del tutto fittizie o sovrafatturare operazioni reali: il pagamento del corrispettivo vale a creare una disponibilità all'estero in capo alla società controllata. Oppure, l'impresa mafiosa finge di prestare un servizio o di vendere un bene ad altra impresa ad essa estranea, con la quale è d'accordo: l'operazione è documentata dll'emissione di fattura dall'impresa mafiosa -situata in ipotesi in un paradis fiscale- all'altra impresa, con annotazione del corrispettivo dovuto, che ovviamente non viene versato, essendo inserito in cassa il corrispondente importo che si vuole riciclare (D'ALTERIO, 5). Ecco perché, quando nella contabilità della società appaiono "consulenze" atipiche, con pagamenti verso paesi esteri, occorre verificare il carattere reale o fittizio di queste consulenze (IELO, 12). Per reperire la liquidità necessaria ad effettuare tali operazioni uno degli espedienti più utilizzati è l'operazione loan back o back to back: con essa si intende un meccanismo di finanziamento in forza del quale un istituto di credito effettua un finanziamento ad un soggetto garantito da un deposito fatto presso il medesimo istituto di credito da un altro soggetto (il reale finanziatore dell'operazione), di modo che l'istituto si rivale sul denaro depositato in caso di mancata restituzione del finanziamento (COMBA, 323; DELL'OSSO, 127; IELO, 14); spesso peraltro il meccanismo nasconde operazioni di riciclaggio (DONADIO, 1994, 199 e 202). Così, ad esempio, una società può fare depositi presso un istituto finanziario lussemburghese a garanzia di finanziamenti erogati da tali intermediari in favore di società costituite off-shore, i cui fondi vengano utilizzati poi per effettuare operazioni illecite (es. pagamenti di tangenti, acquisto di azioni in violazione di patti o limitazioni legali, finanziamento illecito a partiti).

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Altra modalità in cui circola il denaro all'estero utilizza anche la compensazione valutaria classica, dove operazioni di segno opposto da e per l'estero -apparentemente di egual valore- consentono di creare disponibilità all'estero, utilizzabile per vari scopi. Nelle indagini condotte in Italia dai magistrati milanesi nell'ambito dei procedimenti per falso in bilancio, corruzione, illecito finanziamento ai partiti accomunati sotto il nome giornalistico "mani pulite" è emersa una casistica (riferita da MARTINETTO-BRUSCO, 48 ss.) ampia di tecniche attraverso le quali le aziende creavano la provvista per effettuare illeciti pagamenti: sovrafatturazioni e sottofatturazioni, sottostima degli immobili in caso di vendita, pagamento di provvigioni non dovute e prestazione di servizi mai effettuati, omessa fatturazione delle entrate, emissione fittizia di obbligazioni con utilizzazione degli interessi apparentemente maturati a favore degli obbligazionisti, consulenze fittizie commissionate a società controllate da esponenti politici e funzionari pubblici, contratti di borsa e riporti a a favore di società inesistenti, movimentazioni azionarie intergruppo con oscillazioni -ampiamente discrezionali- nella valutazione dei titoli movimentati. Spesso tali operazioni venivano compiute con società operanti all'estero, e site in paesi off-shore, e talora -con conseguente incremento delle difficoltà investigative- con operazioni estero su estero infragruppo. Le società costituite in paesi off-shore hanno poi un ruolo nel reato di corruzione sia per costituire provviste di fondi extracontabili all'estero da utilizzare per il pagamento delle somme ai pubblici ufficiali e quindi per facilitare la consumazione di reati, sia per facilitare l'occultamento del provento del reato di corruzione, sia infine per creare ostacoli alla ricostruzione dell'operazione illecita, interponendo filtri societari e contabili tra il momento del pagamento ed il momento della ricezione dell'utilità , situazione questa frequente soprattutto nei casi del pubblico ufficiale "a libro paga", che riceve flussi continuativi (IELO, 15). Le norme antiriciclaggio possono favorire la scoperta di fatti di corruzione: questo spiega come la Convenzione anticorruzione, approvata dall'OCSE a Parigi il 21.11.97 e aperta alla firma il 27.1.99 a Strasburgo, prevede che tutti i paesi aderenti dovranno prevedere nell'elenco dei reati presupposti del reato di riciclaggio non solo la corruzione dei pubblici funzionari nazionali ma anche la corruzione dei pubblici funzionari stranieri (BERNASCONI, 1998, 2; sul tema altresì, BERNASCONI, 1993, 1; ID., 1996, 539; PORRO; SALAZAR, 1998; DRAETTA, 333). In tale contesto, Internet e la telematica incrementano la circolazione della ricchezza e possono agevolare la realizzazione degli scopi illeciti relativi ad operazioni quali quelle descritt: il trading on line agevola i trasferimenti infragruppo; l'e-commerce consente l'operatività -se del caso fittizia o di attività di "consulenze" o comunque virtuali- dall'estero con società italiane; lo spostamento di somme all'estero per operazioni apparenti o sottofatturate è effettuato inn tempo reale.

IL MONEY LAUNDERING

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La punizione dei reati di abusivismo si colloca quale delitto ostacolo, in quanto prodromica al reato di riciclaggio: il legislatore ha infatti inteso introdurre nel sistema sanzionatorio penale norme che ostacolino il sorgere ed il consolidarsi di condotte nocive al mercato finanziario, utilizzabili per operazioni di money laundering (BORTONE, 214). Il money laundering percorre diverse tappe: un prima fase (placement stage) di collocamento del contante e di trasformazione della stessa in moneta scritturale ed elettronica, realizzata attraverso frazionamento dei versamenti, accensione di più conti nella stessa banca o in banche diverse, o avvalendosi di prestanomi (c.d. smurfing) per evitare il censimento delle operazioni; una seconda fase (layering stage) consiste nella pluralità di trasferimenti (anche elettronici) di fondi finalizzati a spezzare il paper tracing; una terza fase di integrazione del denaro ormai pulito nel sistema finanziario (integration stage) (DONADIO, 1994, 198 ss.). Da ciò l'esigenza di intervenire nelle varie fasi, ed i particolare nella prima attraverso l'identificazione dei soggetti e la segnalazione di operazioni sospette, nella fase successiva per evidenziare operazioni di spostamento della ricchezza non giustificate da reali operazioni economiche sottostanti, e nella fase finale per scoprire e confiscare se possibile il possesso di valori ingiustificato. Soffermandoci sulla posizione giuridica e sulla responsabilità penale dell'intermediario finanziario (essendo questo il tema della relazione), si può rilevare che la disciplina del riciclaggio evidenzia a carico dell'intermediario finanziario vari livelli di responsabilità : a livello più basso, l'obbligo di identificazione della clientela; l'obbligo di istituzione di un archivio unico formato e gestito a mezzo di sistemi informatici, e di registrazione delle operazioni e conservazione dei dati per la durata di 10 anni; quindi l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette, presidiato da una sanzione amministrativa pecuniaria fino alla metà del valore totale dell'operazione (cfr. legge n. 197/91); a livello più alto, opera invece la responsabilità per il riciclaggio ex art. 648 bis cod. pen., con dolo vero e proprio ove l'intermediario sia mera emanazione del reus, ovvero con dolo eventuale, ove vi sia la rappresentazione psicologica della probabile provenienza illecita del denaro corrisposto dal cliente (SEMINARA, 2000, 474). La disciplina, recentemente estesa (d.lgs. 374/99) ad imprese c.d. agenzie di attività finanziaria (su cui RAZZANTE, 352 e ID, 1551)- pone limiti alla circolazione del contante, stabilendo il divieto di trasferimento di contante o titoli al portatore o in valuta estera di valore superiore ai 20 milioni e, prevedendo l'esenzione del divieto per i trasferimenti in cui siano parte uno o più intermediari abilitati, canalizza le operazioni in discorso nell'intento di tracciare l'iter delle movimentazioni e scongiurando i pericoli di anonimato delle operazioni. Pone quindi il principio di nominatività ed obbligatoria clausola di non trasferibilità degli strumenti di pagamento di valore predetto (assegni postali, bancari e circolari) e il limite di saldo per i libretti di risparmio al portatore. Le dette disposizioni sono presidiate da sanzione amministrativa pecuniaria fino al 40% dell'importo trasferito, ritenuta applicabile alle parti del trasferimento e non anche all'intermediario, sul quale grava il diverso obbligo -il cui mancato rispetto è sanzionato amministrativamente con la sanzione del 30% dell'importo dell'operazione- di riferire l'infrazione al ministero del Tesoro (SCHIAVELLI, 196). Nel caso di offerta fuori sede di servizi bancari e finanziari (nel cui ambito rientra l'offerta telematica a distanza), peraltro, l'intermediario interviene direttamente nel trasferimento di ricchezza solo ove non sia previsto l'intervento del promotore finanziario: in tale caso,

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invece, il problema dell'obbligo in questione non si pone, atteso che al promotore è fatto divieto di accettare strumenti finanziari al portatore o contante (SCHIAVELLI, 195). OBBLIGO DI IDENTIFICAZIONE L'obbligo di identificazione dell'autore dell'operazione si concreta nell'acquisizione delle generalità complete di colui che accende il rapporto continuativo o dispone l'operazione rilevante (o di colui per conto del quale l'operazione viene eseguita) e sulla verifica dei documenti di identità che non devono risultare alterati o falsificati: l'obbligo è penalmente sanzionato (con la multa da £. 5 a 25 milioni di lire) (sulla fattispecie, FORTE, 342 ss.). La condotta punita può essere integrata sia mediante un comportamento omissivo sia mediante uno commissivo, come nel caso di una rilevazione effettuata in modo volutamente inesatto, o alla distruzione del supporto documentale su cui si è fatta l'identificazione o nell'occultamento dello stesso. Il ritardo non rileva inquanto sia tale e non si concreti in un'omissione, noin essendo decorso un tempo tale che sia indice di un vero e proprio inadempimento dell'obbligo (FORTE, 343). L'obbligo di identificazione è esteso anche allesecutore materiale dell'operazione, prevedendosi una specifica fattispecie delittuosa che sanziona (con la reclusione da sei mesi ad un anno e con la multa da 1 a 10 milioni) l'omisione o la falsa indicazione dei dati richiesti. Quanto alle modalità di identificazione, la norma rinvia alla normativa secondaria, com scelta costituzionalmente ritenuta legittima (FORTE, 347) in considerazione della specificazione di carattere meramente tecnico demandata alla fonte subordinata: sul punto è intrevenuto il d.m. 19.12.91 che stabilisce le modalità di identificazione e gli elementi da acquisire. In materia, deve peraltro rilevarsi che la Co.n.so.b. ha affermato che l'intermediario non può limitarsi ad acquisire fotocopia di un documento di identità dell'investitore (cfr. pure ministero del Tesoro 5.6.92), essendo invece necessari che l'intermediario identifichi direttamente il nuovo cliente tramite personale incaricato (LENER, 2000b, 388). L'obbligo di identificazione sussiste ovviamente anche nel caso in cui il contatto con la clientela sia stabilito mediante tecniche di comunicazione a distanza, attraverso la rete internet o la linea telefonica, e, salvo quanto si dirà in seguito per le operazioni su bonifico, per il suo adempimento si richiede la presenza fisica del cliente sia in sede di accensione del rapporto sia per le operazioni rilevanti. Nel caso di esecuzione di operazioni attraverso sportelli automatizzati, peraltro, salvo quanto già detto in ordine alla sussistenza dell'obbligo di identificazione per l'accensione del rapporto cui accede il servizio automatizzato, si è previsto (par. 4.1, co. 3, d.m. 19.12.91) che l'obbligo di identificazione riguarda l'intestatario del conto o del rapporto cui si riferisce l'operazione, mentre si è preso atto dell'impossibilità di identificare chi effettua l'operazione (per le modalità di riconoscimento nel trading on line, BENEDETTO - MIGLIOLI, 45). Sono dettate specifiche disposizioni al fine di evitare duplicazioni nella registrazioni dei dati ove più intermediari siano coinvolti dal flusso economico. Con comunicato del ministero del Tesoro del 5.6.92 si è stabilito che l'obbligo di identificazione dell'investitore al momento della prima sottoscrizione è surrogabile dall'identificazione effettuata da altro intermediario che ne rilasci attestazione: così, nel caso di fondi comuni di investimento di soggetto estero commercializzati in Italia, l'obbligo di registrazione non potrà gravare sul soggetto estero in quanto tale, ma riguarderà la sim italiana (cfr. parere comitato l. 197/91 in seno al mintesoro del 29.5.95) (SCHIAVELLI, 199); peraltro, l'identificazione è surrogabile dalla banca presso la quale

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l'investitore ha la disponibilità delle somme occorrenti per l'investimento in quote di fondi esteri acquistati in rete tramite la sim (SEMINARA, 2000, 474). Con decreto 29.10.93 del Tesoro, si è poi previsto, per il caso di accensione di conti depositi o altri rapporti continuativi dall'estero presso intermediari aventi sede o succursale in Italia che l'identificazione dei clienti può essere effettuata anche non in presenza degli stessi qualora i dati siano rilevati da banche aventi sede legale e amministrativa in paesi aderenti al Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI) ovvero da succursali (di banche nazionali o di banche Gafi) site in paesi non aderenti al Gafi, a condizione che la casa madre dichiari di aderire nell'esercizio dell'attività svolta presso quelle succursali ai principi ed alle cautele delle raccomandazioni emanate dal Gafi (sul punto, SCHIAVELLI, 209). Più recentemente, poi, l'Ufficio italiano dei cambi (anticipando il portato di una proposta di direttiva comunitaria presentata il 14.7.99 che disciplina l'identificazione dei clienti nelle operazioni a distanza) ha riconosciuto con circolare 455 del 31.1.00 la possibilità di identificazione a distanza del cliente: in particolare, ha disposto che non occorre più il rilascio dell'attestazione espressa da parte dell'intermediario corrispondente nei casi in cui quest'ultimo abbia già provveduto ad identificarlo autonomamente a seguito dell'accensione di un rapporto continuativo con il medesimo e la provvista richiesta per la prestazione del servizio da parte del "nuovo" intermediario sia costituita mediante un ordine di bonifico a valere su un rapporto nominativo per il quale il cliente sia stato identificato: in tal caso l'intermediario che riceve dal cliente la comunicazione a distanza dei dati identificativi deve assegnare al cliente un codice identificativo che questi a sua volta comunicherà alla banca per l'annotazione sul bonifico; tutte le operazioni successive dovranno transitare sul conto originario di appoggio (per avere la certezza che ad operare sia sempre la stessa persona come già identificata). Nel caso in cui la provvista sia fatta altrimenti, è invece prevista una modalità di identificazione semplificata, mediante la compilazione di un modulo predisposto dallo stesso intermediario che deve procedere all'identificazione, con l'indicazione dei dati identificativi e degli estremi di un documento timbrato e sottoscritto dall'intermediario attestante (SCHIAVELLI, 211; TOFANELLI, 228 ss.; CIMAPICALI, 406). Occorre rilevare inoltre che la identificazione a distanza del cliente può essere effettuata con procedure telematiche idonee che facciano uso della tecnologia della firma digitale. Il d.p.r. 10.11.97 n. 513, di attuazione dell'art. 15 co. 2 della legge 15.3.97 n. 59, ha previsto e disciplinati la "firma digitale", intendendosi per essa "il risultato della procedura informatica (validazione) basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente al sottoscrittore tramite la chiave privata ed al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici" (art. 1 co. 1 lett. b). La firma digitale, dunque, non è la digitalizzazione di una firma autografa, ma è un'applicazione della crittografia moderna, che permette di individuare in modo sicuro l'autore di una dichiarazione, assicurando al tempo stesso l'integrità della dichiarazione informaticamente trasmessa: il sistema prevede infatti l'applicazione di chiavi asimmetriche, e cioè (lett.d,e,f) "di una coppia di chiavi crittografiche ... correlate tra loro...", una privata (e quindi destinata ad essere conosciuta soltanto dal soggetto titolare) ed una pubblica (e quindi destinata ad essere resa pubblica): così Tizio, destinatario di un documento di Caio da questi crittografato con la sua chiave privata, può decifrare il documento utilizzando la chiave pubblica di Caio, la quale opererà solo se il documento è stato cifrato con la corrispondente chiave privata di Caio (e quindi proviene da quest'ultimo); correlativamente, Caio può crittografare il documento in

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questione altresì con la chiave pubblica di Tizio, di modo che solo quest'ultimo -adoperando la sua chiave privata- possa decrittarlo e averne cognizione. A norma del d.p.r n. 513/97, il documento informatico munito dei requisiti previsti dal regolamento medesimo soddisfa il requisito della forma scritta (art. 4) ed ha efficacia di scrittura privata ai sensi dell'art. 2702 cod. civ., in quanto sottoscritto con firma digitale ai sensi dell'art. l0 dello stesso d.p.r. (art. 5): infatti, è espressamente detto che "l'apposizione o l'associazione della firma digitale al documento informatico equivale alla sottoscrizione prevista per gli atti ed i documenti in forma scritta su supporto cartaceo" (art. 10 co. 2). La certificazione potrà essere fatta dagli stessi intermediari, ove siano iscritti nell'albo dei certificatori, ovvero da società interbancarie. Peraltro, occorre rilevare che l'uso della firma digitale è stato consentito espressamente dalla Co.n.so.b. anche sotto il diverso profilo della tutela dell'investitore in tutti i casi in cui l'ordinamento richiede una dichiarazione scritta di questo. La Co.n.so.b. anzi (comunicazione di/30396 del 21.4.00) è intervenuta per distinguere (al di fuori delle ipotesi previste dalla legge antiriciclaggio ed in linea generale) le fattispecie in cui è essenziale -tra le forme di sottoscrizione elettronica- la firma digitale e quelle in cui è possibile la sottoscrizione con forme elettroniche di imputazione della dichiarazione diverse: rientrano nel primo caso la stipulazione del contratto relativo alla prestazione di servizi di investimento (salvo deroghe stabilite dalla Co.n.so.b. in linea generale ex art. 30 co.3, come nel caso di collocamento anche a distanza e per quelli accessori diversi dal finanziamento e dalla consulenza in materia di investimenti in prodotti finanziari: cfr. del. 1.3.00 n. 12409), nonché la dichiarazione informativa circa le perdite oltre il 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista ex art. 8 co. 3 regol. Co.n.so.b. 11522/98; rientrano invece nella seconda fattispecie le dichiarazioni relative all'adesione ad operazioni di sollecitazione effettuate nell'ambito dei servizi di banca telematica (così, in occasione dell'offerta pubblica di sottoscrizione delle azioni ordinarie I.net s.p.a. -come riferito da TOFANELLI, 230- la Co.n.so.b. ha consentito l'accesso attraverso l'uso di password individuale ed indicazione dei dati identificativi, con conferme a schermate successive), ovvero altre dichiarazioni per le quali non vi sia l'esclusività della forma scritta (come ad esempio per il consenso alle operazioni in conflitto di interessi ovvero inadeguate, ove è consentito ex art. 27 co. 2 e 29 co. 3 regol. Co.n.so.b. 11522/98 la comunicazione telefonica con registrazione su nastro magnetico o supporto equivalente della comunicazione). OBBLIGO DI REGISTRAZIONE L'intermediario ha l'obbligo di registrazione delle operazioni rilevanti e dell'accensione -qualunque sia l'importo dell'operazione iniziale- di rapporti continuativi, su un archivio unico, formato e gestito a mezzo di sistemi informatici: la forma informatica è imposta al fine di assicurare una efficace gestione delle informazioni archiviate ed un rapido reperimento delle stesse. La legge punisce penalmente sia l'omessa istituzione dell'archivio (con arresto ed ammenda), sia l'omessa registrazione dei dati (con la multa). Ai fini della rilevazione e della registrazione delle operazioni frazionate, peraltro, la disciplina antiriciclaggio prescrive che gli intermediari devono mettere a disposizione del personale incaricato gli strumenti idonei a conoscere, in tempo reale, le operazioni eseguite

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dal cliente presso la stessa sede dell'istituto nel corso della settimana precedente il giorno dell'operazione. Attualmente, il sistema si avvale dal 1995 dell'ausilio di apposito software, il Generatore indici anomalia operazioni sospette-Gianos (oggi presentein oltre 680 banche per 25.400 sportelli, pari al 96% degli sportelli: ABI, 31), che consente di esaminare le registrazioni riguardanti il medesimo soggetto, ancorché presso più dipendenze dello stesso intermediario in un arco temporale di un mese solare e con confronto dell'operatività con quella dei 12 mesi precedenti. Il paper tracing dei flussi finanziari assume rilievo per la stessa ricostruzione dei flussi, altrimenti non ricostruibile, sia per l'individuazione dei luoghi in cui sia custodito il provento del reato; sia, infine, per l'eventuale individuazione dell'ubicazione degli autori del reato (BERNASCONI, 1998, 48, ricorda in proposito che proprio seguendo i flussi finanziari legati al Banco Ambrosiano fu possibile eseguire l'arresto di Licio Gelli presso la filiale di una grande banca svizzera il 13.10.82) (per l'individuazione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie, FORTE, 326 ss.). L'obbligo di registrazione riguarda operazioni sia verso l'estero che dall'estero, a diferenza degli obblighi della disciplina valutaria stabiliti per il monitoraggio delle esportazioni di capitali, che riguarda solo i flussi verso l'estero (D'ALTERIO, 11). OBBLIGO DI SEGNALAZIONE Oltre ai detti obblighi la legge n. 197/91 (modificata peraltro dal d.lgs. 153/97, che ha modificato competenze e procedure in materia, in esecuzione della delega della l. 52/96 ed in attuazione dei principi contenuti nella direttiva comunitari n. 91/308/CEE del 10.6.91: sulla riforma, nonché sulle tendenze recenti verso il testo unico in materia di riciclaggio, DONATO, 1998, 551) prevede obblighi di collaborazione attiva degli intermediari (anche di quelli non abilitati ad effettuare i trasferimenti rilevanti predetti): in particolare, questi (ed in particolare, secondo un duplice livello di responsabilità , il titolare dell'attività , il legale rappresentante o suo delegato, mentre i responsabili della dipendenza o dei punti operativi hanno obbligo di segnalazione nei confronti dei primi) hanno obbligo di segnalare le operazioni c.d. sospette, cioè quelle che "per caratteristiche, entità , natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648 bis e (la novità è stata introdotta nel 1997) 648 ter del codice penale" (art. 3 co. 1) (DONADIO, 63). Al fine di contenere la discrezionalità insita nelle valutazioni delle operazioni sospette, la Banca d'Italia ha approvato nel 1993 un Decalogo (oggi è in via di definizione la revisione e l'aggiornamento del decalogo): si sono descritti gli obblighi in questione e si è precisata in particolare l'esigenza di formazione del personale e di controlli interni (sui controlli interni, in genere, RORDORF); si è richiamata l'importanza delle evidenze (e di evidenze accentrate) relative alla clientela e si è previsto che l'estensione su scale internazionale del fenomeno del riciclaggio comporta anche per le filiali e le filiazioni all'estero, assoggettate alla normativa del Paese di insediamento, il dovere di collaborazione alla formazione dello specifico patrimonio informativo concernenti gli operatori che sono in rapporto con l'intermediario, e ciò anche al fine di inquadrare operazioni che ricevono significato solo se riguardate in un'ottica di collegamento. Stabilito in linea generale dalla legge quanto

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all'obbligo di segnalazione che le operazioni sospette riguardano sia i profili oggettivi (caratteristiche, entità , natura) sia quelli soggettivi (in relazione alla capacità economica e all'attività svolta, nonché alle risultanze delle evidenze sul profilo dei clienti), il decalogo ha poi evidenziato in via esemplificativa gli indici oggettivi di anomalia, in generale per tutti gli intermediari, in relazione alle operazioni per contante, quelle in titoli, quelle con l'estero, in relazione all'andamento dei conti o al comportamento della clientela. Con particolare riferimento alle operazioni con l'estero, il Decalogo del 1993 ha richiamato l'attenzione sui trasferimenti di ingenti somme di denaro all'estero o dall'estero con ordine di pagamento in contante, soprattutto quando le caratteristiche dell'operazione, ivi compreso il Paese estero di provenienza o di destinazione delle somme, non siano giustificate dall'attività economica del cliente o da altre circostanze; ha evidenziato le operazioni con filiali o filiazioni di istituzioni finanziarie insediate in aree geografiche note come zone di traffico di stupefacenti, che non siano giustificate dall'attività economica svolta dal cliente. Con particolare riferimento al trasferimento elettronico dei fondi, il Decalogo ha stabilito che il crescente ricorso a tale forma di trasferimento non costituisce ostacolo alla individuazione dell'operazione sospetta, in quanto l'assenza del contatto personale non preclude la conoscenza del profilo tecnico del cliente: anche nei casi di remote banking allora trovano applicazione le norme antiriciclaggio, integralmente, salvo sole le particolarità insite nel mezzo elettronico adoperato e relative alla identificazione del soggetto (di cui si è detto sopra). L'omissione della segnalazione è punita con una sanzione amministrativa (e non penale, data la non tassatività della fattispecie e la discrezionalità insita nella valutazione della natura sospetta dell'operazione in relazione ai suoi elementi oggettivi e soggettivi) pecuniaria fino alla metà del valore dell'operazione: resta ferma peraltro la responsabilità per concorso nel riciclaggio se vi sia in luogo del sospetto la consapevolezza della provenienza illecita delle somme, anche a titolo di dolo eventuale (D'ALTERIO, 10; sui rapporti tra l'obbligo in questione ed il riciclaggio, anche con riferimento ai contrastanti orientamenti giurisprudenziali in tema di punibilità per dolo eventuale, si rinvia alle diffuse considerazioni di DELLO IACOVO, 388 ss.) Le segnalazioni nel nuovo sistema normativo vanno inviate (non più al questore, ma) all'UIC, che ha il compito di effettuare i necessari approfondimenti, acquisendo se del caso ulteriori dati o informazioni e sospendendo ove necessario, per non oltre 48 ore, l'operazione; in linea generale all'Uic direttamente (e non più al Tesoro) compete poi la funzione di controllo e verifica, d'intesa con le autorità preposte alla vigilanza del settore, dell'osservanza delle disposizioni anti-riciclaggio. Le funzioni investigative invece competono alla Direzione investigativa Antimafia (DIA) e al nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza (per i problemi dei rapporti tra autorità di vigilanza e autorità giudiziaria, v. BUFFA, 1994, 140). L'UIC può scambiare informazioni relative alle operazioni sospette con altra autorità di vigilanza, anche straniera, che persegua le analoghe finalità , a condizione di reciprocità anche per quanto riguarda la riservatezza delle informazioni (D'ALTERIO, 11). E' previsto inoltre che in caso di denuncia o rapporto ai sensi degli artt. 331 e 347 c.p.., l'identità delle persone e degli intermediari di cui all'art. 4 che hanno effettuato le segnalazioni, anche qualora conosciuta, non è menzionata, salvo l'obbligo di rivelazione della identità ove ciò disponga un decreto motivato dell'autorità giudiziaria, da emettersi qualora la conoscenza dell'identità sia indispensabile ai fini dell'accertamento dei reati per i quali si procede (art. 3 bis co. 2 l. 197/91).

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IL RICICLAGGIO Spesso le off shore hanno un mero ruolo intermediario nella circolazione della ricchezza e restano estranee al reato di riciclaggio, che è il fatto di chi sostituisce o trasferisce denaro beni o altra utilità provenienti da delitto non colposo ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa (per vari esempi di uso di società offshore e shell companies per il riciclaggio, TRANSCRIME, 79-96). Altre volte, la offshore è mera emanazione del reus, e qui vi sarà piena responsabilità della stessa nel riciclaggio ex art. 648 bis cod. pen., aggravato per essere il fatto commesso nell'esercizio di un'attività professionale. Altre volte ancora, opera la responsabilità per riciclaggio aggravato in presenza di ruolo intermediario e di dolo eventuale, cioè della rappresentazione psicologica della probabile provenienza illecita del denaro corrisposto dal cliente e dell'accettazione del relativo rischio (SEMINARA, 2000, 474; D'ALTERIO, 20). In entrambi i casi, deve trattarsi di riciclatori esterni al sodalizio criminoso, in quanto il riciclaggio opera solo fuori dei casi di concorso nel reato presupposto (per alcuni esempi tratti dalla realtà attuale di riciclaggio che utilizza o coinvolge intermediari off shore, FOSSATI, 451 ss.; TRANSCRIME, 76 ss.). La norma trova applicazione -prima ipotesi- secondo la giurisprudenza anche nel caso in cui l'intermediario abbia effettuato la registrazione ed identificazione. Vari sono stati gli interventi della comunità internazionale contro il riciclaggio (per un esame dettagliato dell'evoluzione della comunità internazionale, ZANCHETTI, 13 ss.; sul riciclaggio in genere, LO FORTE, 1994, 141; LAMBERTI, 11; FLICK, 35), spesso peraltro rivolti proprio nei confronti dei safe heavens ossia dei paesi offshore, atteso che il passaggio attraverso intermediari finanziari di questi paesi rende estremamente difficoltosa la ricostruzione dell'origine del denaro. Già nel 1980, una Raccomandazione del Consiglio d'Europa (del 27 giungo 1980) ha invitato i legislatori ad intervenire sui sistemi bancari per introdurre misure antiriciclaggio. La dichiarazione dei principi di Basilea, adottata il 12.12.88 dai rappresentanti della banche centrali dei paesi più industrializzati riuniti nel comitato della Banca dei regolamenti internazionali, ha poi evidenziato che la difesa dell'integrità del sistema degli intermediari bancari e finanziari da ogni forma di coinvolgimento in operazioni che originano da attività criminose costituisce un'esigenza che deve essere prioritariamente soddisfatta per motivi di interesse pubblico e per la stabilità stessa dell'intermediazione: sono stati così previsti impegni per assicurare la identificazione della clientela, per scoraggiare operazioni che non appaiono lecite e non premettere che gli istituti vi collaborino, nonché per garantire la cooperazione con l'autorità giudiziaria e di polizia. La Convenzione di Vienna del 19 dicembre 1988, nell'ambito della lotta al drug trafficking, evidenzia l'opportunità di introdurre norme penali specifiche per il riciclaggio. Il 12 settembre 1990 è stata approvata dal Consiglio dei ministri ed è stata quindi depositata per la firma a Strasburgo presso il Consiglio d'Europa la convenzione n. 141 del Consiglio d'Europa relativa al riciclaggio, al depistaggio, al sequestro ed alla confisca dei prodotti di reato. La convenzione è stata firmata e ratificata dall'Italia dalla Svizzera e da Cipro, mentre San Marino, il Lussemburgo ed il Liechtenstein l'hanno solo firmata. Promuove revisioni legislative nel diritto interno degli Stati aderenti ed il miglioramento della cooperazione internazionali tra gli stessi, prevedendo soprattutto la possibilità di

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ottenere non solo l'acquisizione dei mezzi di prova sul territorio di un paese straniero (già prevista dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 1959), ma anche il provento di reato. Di particolare rilievo l'art. 13, che specifica -novità per l'ordinamento italiano- che ogni parte deve eseguire la confisca su richiesta di organi giudiziari esteri anche se questo fosse relativo ad un a confisca per equivalente (avente ad oggetto cioè una quantità di ricchezze pari a quella derivante dal reato, anche se non sia propria quella). Il Gruppo dei sette paesi più industrializzati, unitamente ai rappresentanti di altri otto paesi considerati importanti centri finanziari e al rappresentante della Comunità Europea, ha istituito nel 1989 al summit di Parigi il Group d'action financier international (GAFI) o Financial Action Task Force (FATF), Comitato di esperti internazionali per lo studio del riciclaggio internazionale (che oggi conta 29 paesi membri, ed è presieduto dallo spagnolo Roldan Alegre), con il compito di diffondere ovunque nel mondo le misure di contrasto al riciclaggio, monitorare l'applicazione delle 40 raccomandazioni (di cui infra), e analizzare le nuove tendenze del riciclaggio evidenziandone le possibili contromisure (typologies exercise). Il 19.4.90 il Comitato ha pubblicato il Report 17.2.90 -poi approvato dai ministri delle finanze dei rispettivi paesi- e 40 Raccomandazioni destinate agli Stati membri. Le raccomandazioni sono ripartite in quattro capitoli riguardanti rispettivamente:

- la necessità di ratificare la convenzione ONU di Vienna e di evitare che il segreto professionale degli istituti bancari e finanziari possa costituire ostacolo all'attuazione delle raccomandazioni stesse, e l'esigenza di armonizzazione internazionale nell'introduzione di misure antiriciclaggio;

- la punibilità del riciclaggio e la confisca dei proventi del reato (nel cui ambito rientra il traffico di stupefacenti e reati collegati) e le relative misure provvisorie;

- il rafforzamento del ruolo del sistema finanziario (es. identificazione dei clienti, registrazione e conservazione dei dati, diligenza accresciuta degli intermediari, misure verso i paesi con normative antiriciclaggio insufficienti, sviluppo del ruolo degli organi di controllo);

- il rafforzamento della cooperazione internazionale, sia amministrativa che giudiziaria. Tra le varie raccomandazioni richiamo qui la n. 21 e 22, che riguardano esplicitamente i Paesi c.d. non cooperative (regulation heavens) e ritenuti a rischio perché non applicano o non in modo sufficiente le raccomandazioni, e che prevedono che tutti gli istituti finanziari devono osservare una diligenza accresciuta nelle relazioni d'affari e nelle transazioni con persone fisiche o giuridiche residenti nei detti paesi, rendendo disponibili i dati delle operazioni alle autorità di vigilanza, e che devono verificare che le proprie filiali site nei detti paesi applichino le raccomandazioni. Annualmente, il FATF pubblica un Report nel quale verifica lo stato di attuazione delle Raccomandazioni nei vari paesi, con particolare attenzione ai paesi non cooperative. Sulla base delle dette raccomandazioni, si sono imposti agli intermediari una serie di obblighi relativi all'identificazione dei clienti (e dal 1997 l'Austria ha dovuto eliminare la possibilità di aprire conti anonimi), l'individuazione del beneficial owner (del c.d. avente diritto economico cioè), all'esame delle operazioni inabituali o importanti, alla conservazione per almeno un quinquennio dei documenti che consentano di ricostruire il flusso finanziario (paper tracing), alla segnalazione delle operazioni sospette (cfr. pure direttiva sul riciclaggio del 1991). L'ostacolo alla scoperta del riciclaggio peraltro può derivare da diverse ragioni: intanto, l'uso di centri finanziari off-shore è diverso nei casi di spostamenti di capitali all'estero per riciclaggio piuttosto che per conseguire vantaggi fiscali, in quanto nel primo caso il denaro si muove attraverso più siti e quindi coinvolge gli intermediari finanziari off-shore in modo

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più dinamico, e quindi diviene inevitabile "inseguire" i flussi finanziari attraverso vari paesi (FATF, Report 1999, sub 21); inoltre, diviene importante la cooperazione di più paesi e di tutti i paesi coinvolti, per non spezzare la catena investigativa, mentre vari ostacoli si ricollegano alle discipline relative al segreto bancario, all'ammissibilità delle shell companies, alle difficoltà di individuazione dei beneficial owners, allo scambio di informazioni che spesso non sono neppure custodite in registri ufficiali o sono protette dal segreto bancario o dal segreto professionali di fiduciari, che le rendono impenetrabili alle stesse autorità giudiziarie del paese (FATF, Report 1999, sub 20, 24 e 25) Di recente (febbraio 2000), il Gafi ha individuato, sulla scorta delle raccomandazioni, 25 criteri per valutare il grado di collaborazione dei singoli paesi, tra i quali:

- l'assenza o inadeguatezza della normativa e della vigilanza sugli intermediari; - l'assenza di norme sulla creazione ed autorizzazione all'attività ; - l'assenza di misure di controllo sugli amministratori e sui titolari di partecipazioni rilevanti; - l'esistenza di conti anonimi o con nomi palesemente fittizi; - l'assenza di norme e di accordi tra le autorità di vigilanza o di norme interne circa

l'identificazione del cliente e del beneficial owner; - l'assenza di previsioni circa la registrazione e conservazione almeno quinquennale di

evidenze sulle operazioni, specie internazionali; - la presenza di ostacoli all'accesso informativo delle autorità amministrative o giudiziarie del

luogo alla documentazione degli intermediari, e l'opponibilità del segreto alle stesse, con particolare riferimento ai procedimenti per riciclaggio;

- l'assenza di strumenti di sistema di reporting delle operazioni sospette; - l'assenza di strumenti identificativi completi delle società commerciali; - la previsione di ostacoli alla cooperazione internazionale tra autorità amministrative

(scambio di informazioni, ispezioni) o autorità giudiziarie (assistenza legale reciproca, scambio di informazioni);

- assenza di risorse e di financial intelligence per la prevenzione e scoperta di fenomeni di riciclaggio. Nel giugno 2000, il FATF ha individuato (FATF, Review, giugno 2000) 15 giurisdizioni (indicate all'inizio della presente relazione, in premessa), ritenute "non cooperative" per la presenza di carenze di tipo sistematico nella collaborazione. Il documento (Review, giugno 200) è meritevole di segnalazione i quanto contiene un esame dettagliato degli ordinamenti off-shore in relazione alle raccomandazioni del FATF. La Banca d'Italia, con provvedimento del Governatore dell'ottobre 2000, rilevato che il coinvolgimento anche inconsapevole in operazioni di riciclaggio che transitano attraverso paesi non cooperativi può esporre gli intermediari a rischi legali e di reputazione, ha disposto la diffusione del detto elenco presso il sistema bancario e finanziario, presupposto imprescindibile perché l'iniziativa internazionale possa raggiungere l'obiettivo di isolare le giurisdizioni in questione. La Banca d'Italia ha quindi disposto che l'inclusione di un paese nella lista non comporta di per sé la necessità per gli intermediari di valutare negativamente in modo automatico le operazioni che presentano legami con il paese in questione, dovendosi compiere una prudente valutazione, caso per caso, degli aspetti oggettivi e soggettivi dell'operazione. In ogni caso, si è "rappresentato agli intermediari sottoposti a vigilanza la necessità di prestare la massima attenzione alle operazioni che presentano legami con paesi inclusi nella lista,…, esaminando tali operazioni con particolare cautela, secondo le procedure dettate dall'art. 3 della legge n. 197/91, ai fini dell'eventuale inoltro di una segnalazione di operazioni sospette all'Ufficio italiano dei Cambi.

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Tra gli interventi in materia, infine, si sottolinea il Report agosto 1998 "Euroshore. Protecting the Eu financial system from the exploitation of financial centres and offshore facilities by organised crime", promosso dalla Commissione Europea nell'ambito del Programma Falcone 1998 e sviluppato da Trancrime, centro interdipartimentale dell'Università di Trento in cooperazione con l'Università Bocconi e la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Rotterdam: il Report reca i risultati di ricerche fatte con questionari presso varie autorità di vari paesi membri dell'International Organisation of Securities Commissions (IOSCO), ed evidenzia sette raccomandazioni, tra cui in particolare l'introduzione di legislazioni antiriciclaggio con riferimento a tutti i reati, l'introduzione della responsabilità amministrativa e penale delle società , il condizionamento dell'operatività con paesi extracomunitari ad obblighi di trasparenza (disclosure) circa gli amministratori e circa il beneficial owner, l'eliminazione delle azioni al portatore, la previsione di registri pubblici delle società e di minimi di capitale, l'obbligo di identificazione delle parti delle operazioni intermediate, la cooperazione incentivata degli intermediari. Peraltro, si è sottolineata che ancora molti paradisi fiscali sono nella Comunità Europea o appartengono politicamente a Stati membri (FOSSATI, 460), con conseguente difficoltà di ipotizzare maggiore collaborazione: da ciò l'esigenza di cambiare la strategia di contrasto al riciclaggio, aumentando i sensori in condizione di segnalare l'ingresso di flussi finanziari illeciti nel sistema economico e prevedendo forme centralizzate e specializzate (quale un'Agenzia nazionale antiriciclaggio) di gestione del monitoraggio e controllo dei flussi, anche attraverso il controllo incrociato con altre banche dati. IL CYBERLAUNDERING L'uso delle tecnologie dell'informazione e comunicazione (ICT- information and communication tecnology)nell'attività bancaria e finanziaria internazionale elimina le distanze spaziali ed incrementa la rapidità delle operazioni di trasferimento di ricchezza transfrontaliere, e ne consente la molteplicità agevole dei passaggi; rarefà il rapporto tra intermediario e cliente e lo spinge anche in orari di chiusura dell'intermediario (e quindi di assenza di controlli contestuali: CIAMPICALI, 394). Le tecnologie informatiche hanno un ruolo rilevante nell'occultamento dei proventi di origine illecita (si parla al riguardo di cyberlaundering: cfr. RAPETTO, 527 ss.). I rischi di cyberlaundering si ricollegano intanto alla possibilità -consentita spesso sia da intermediari off shore che da intermediari on line- di aprire conti anonimi, o comunque senza una verifica effettiva dell'identità del cliente: si cono al riguardo richiamati (SEMINARA, 2000, 475, nota 34) i siti privacyworld.com e offshore profit.com -ma ve ne sono tanti altri- come siti in grado di fornire anonimous account all'investitore. In Italia non è possibile intrattenere rapporti anonimi oltre che per la disciplina antiriciclaggio, per quella fiscale (ex art. 7 co. 6 d.p.r. 605/73), onde analoga esclusione dovrebbe porsi per l'intermediario virtuale italiano.

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Altre volte, l'anonimato si ricollega al tipo di strumento di pagamento adottato: così si è rilevata l'utilizzabilità delle carte prepagate fuori dai casi che impongono l'identificazione (FINOCCHIARO, 310), e si è ricordata (SEMINARA, 2000, 475) la "possibilità di riciclaggio offerte dal denaro elettronico, ove il privato diviene titolare di una smart card, cioè di una carta dotata di chip elettronico che consente di caricare valuta e di spenderla come denaro contante, integrando poi anonimamente la provvista (ovvero provvedendo ai pagamenti attraverso un conto corrente anonimo intrattenuto presso la banca di un paradiso fiscale)". Pure (MASCIANDARO -MANTICA, 68 ss.), si è rilevato che a differenza delle carte di credito, gli strumenti di moneta elettronica offrono maggiore sicurezza, flessibilità di utilizzo, convenienza fiscale, anonimato: i numeri di carta di credito sono infatti intercettabili su internet, essendo questo un sistema aperto, possono essere utilizzate solo presso esercizi convenzionati e non nei pagamenti da persona a persona, sono tassati in misura fissa che le rende non convenienti per i micropagamenti, registrano il percorso fatto dal denaro; per converso, la moneta elettronica non ha nessuno di questi inconvenienti ed è un sistema sicuro, anonimo, portabile (al pari delle carte), a due vie (essendo trasferibile ad altri utenti con la funzione peer-to-peer) (BARTOLETTI, GIRLANDA -ROSSIGNOLI, 15). Si sono pure evidenziati i rischi connessi con l'anonimato del banking on line e dell'e-cash, relativi all'impossibilità di sapere -una volta acceso il conto o caricato lo strumento di moneta elettronica- chi sia il soggetto che opera telematicamente a valere sugli stessi: così, si è osservato (MASCIANDARO -MANTICA, 75) che quando l'utente di un conto on line, in possesso di denaro digitale (e-cash) emesso dalla sua banca, effettua il pagamento con denaro elettronico (e$) invia i suoi dati al commerciante che li invia alla banca per conferma di modo che possano essergli accreditate sul conto le somme; la banca verifica che si tratta di moneta elettronica da essa stessa emessa e che non è stata già spesa; non può però sapere chi abbia usato il denaro elettronico, ma solo presumere che il soggetto sia il medesimo che abbia aperto il conto (a condizione che sia stato identificato correttamente all'epoca); la banca infatti, nel caso di circolazione della banconota digitale avrà conoscena del primo prenditore e del soggetto che chiede la conversione finale, ma non dei soggetti intermedi, non essendo tracciabile il percorso del mezzo di pagamento sulla rete (CIAMPICALI, 398). Il pagamento infine non sempre viene poi registrato. Della fattispecie si è spesso occupata la dottrina civilista, che ha esaminato l'incidenza patrimoniale del rischio di uso indebito della moneta elettronica da parte di terzi; in sede penale, invece, si pone il problema del soggetto -terzo nel rapporto tra titolare dello strumento di pagamento ed intermediario- che occultamente e d'accordo con il titolare opera sul conto dello stesso per fini illeciti. L'uso di tecnologie dell'informazione e comunicazione ha poi un forte impatto sui controlli previsti dalla legge (per tutte le considerazioni che seguono, CIAMPICALI, 408 ss.). Intanto, il rapporto tra cliente ed intermediario si rarefà : l'istruttoria connessa alle operazioni realizzate per via telematica (identificazione del cliente, verifica degli estremi del conto, riscontro della provvista, ecc.) avviene con modalità automatiche e spesso in orari di operatività telematica corrispondenti ad orari di chiusura dell'intermediario; aumenta la velocità dei trasferimenti e layering a placement avvengono nello stesso momento in cui è disposta l'operazione. In tutti questi casi, il controllo allora, da preventivo e contestuale tende a spostarsi in un momento successivo, attraverso il riscontro dell'operazione sull scorta delle evidenze registrate. Ciò richiede la modifica delle procedure di controllo interno dell'intermediario per consentire la registrazione completa delle operazioni e il riscontro di eventuali

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anomalie, tenendo conto anche della necessità prevista dalla legislazione antiriciclaggio italiana che al personale incaricato siano assicurati gli strumenti tecnici idonei a conoscere l'operatività complessiva del soggetto presso l'intermediario. La disciplina di segnalazione delle operazioni sospette per le operazioni di banking on line opererà in modo diverso: diverrà infatti impossibile la sospensione dell'operazione, istituto che presuppone che al momento in cui la segnalazione è effettuata l'operazione non sia ancora conclusa, laddove nel banking on line l'operazione è già perfezionata al momento della segnalazione; l'approfondimento sulle operazioni via internet in ordine al loro grado di sospettabilità non può che essere successivo, come verifica ex post di operazioni già concluse. Da ciò la necessità di adeguare i metodi dell'analisi finanziaria, sia con riguardo alle singole operazioni che con riguardo all'analisi dei dati aggregati, avvalendosi di apposito software (CIAMPICALI, 410). Ove poi il discorso si concentri su internet, questo può essere mero strumento di comunicazione ovvero può essere un vero e proprio ambiente, seppur virtuale, permeabile alle infiltrazioni criminale; a seconda dei casi, si parla rispettivamente di riciclaggio digitale strumentale ovvero di riciclaggio digitale integrale (SCARTEZZINI, 1999, 1). In dottrina (SCARTEZZINI, 1999, 2) si è rilevato che le condizioni di fatto e di diritto favorevoli al riciclaggio sono le seguenti: la presenza di un complesso regolativo favorevole; un sistema di comunicazione efficiente e riservato; l'alterazione dell'identità dei possessori o dei beneficiari dei capitali; il ricorso a professionisti della pianificazione finanziaria; la garanzia di forti vincoli di fiducia. Internet consente di beneficiare di tutte le dette condizioni. Quanto al primo profilo, se la presenza di centri off-shore e dunque di un sistema normativo distante dagli standard internazionali costituisce un fattore attrattivo forte per il money laundering, si è osservato che internet è in sé un efficiente ed avanzato centro di offerta di servizi off-shore (così SCARTEZZINI, 1999, 2): è sufficiente digitare in un motore di ricerca la parola off-shore o anonimous account o trust per avere una lunga lista di società che mettono a disposizione del pubblico servizi on line per la costituzione o l'acquisto di società off-shore, la costituzione di trust, o l'apertura di conti bancari anonimi: su un campione di 150 siti (fonte SCARTEZZINI, 1999, 2) nel 25% dei casi sono acquistabili società off-shore in Liberia, in altrettanti casi a Panama e così pure nelle Marshall Islands; in minor misura sono poi acquistabili società off-shore in Belize, nell'isola di Man, nelle isole Turks and Caicos, alle Bahamas, a Nevis e alle British Virgin. Non solo: internet consente la possibilità di movimentare i conti off-shore e di operare sul circuito internazionale bancario e finanziario comodamente da casa, attraverso procedure di remote banking. L'automazione dei processi e la velocità nell'esecuzione delle operazioni finanziarie consente poi di costituire complessi percorsi finanziari in modo da eludere le investigazioni. Con riferimento alla riservatezza e all'identità dei soggetti, secondo aspetto sopra indicato, internet offre strumenti di crittazione delle comunicazioni e dall'altro lato vari servizi che garantiscono l'anonimato: basti pensare alla tecnologia della firma digitale (che è una applicazione della crittografia moderna ai documenti prima ancora che di imputazione) ovvero ai server anonymizer o remailer, che permettono di cancellare l'origine ed il percorso fatte dalle mail per arrivare a destinazione, ed evitare così di essere tracciati o intercettati; o si consideri direttamente la possibilità di utilizzare indirizzi nuovi di posta elettronica, acquisibili in modo gratuito e senza limitazioni, ovvero di acquisire una identità virtuale del tutto diversa da quella reale, eppure spendibile senza limitazioni in rete. Quanto all'aspetto della professionalità della gestione finanziaria, questa è assolutamente disponibile in rete, e non solo da parte di intermediari tradizionali (che hanno tutti ormai un

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proprio sito internet), ma anche da parte di soggetti diversi, mentre internet consente ormai ai singoli di gestire autonomamente -in modo consapevole ed informato- la propria ricchezza (si pensi al trading on line ed ai day-traders). La garanzia di forti vincoli inoltre non è esclusa dalla lontananza dei soggetti collegati in rete ma trae alimento dalla comunanza di interessi economici. Tra i vari casi verificatisi in concreto di cyberlaundering merita di essere ricordato il caso della Banca Unione Europea: questa, domiciliata ad Antigua, è stata la prima banca a raccogliere risparmio via Internet, garantendo l'anonimato (FABIANI, 1998). La banca operava on line con un forte campagna promozionale, promuovendosi come la prima banca ad operare nel cyberspazio, promettendo elevati tassi di interessi, in "a safe, tax-exempt environment, with the maximum guarantee of privacy". La banca offriva una serie di servizi, accessibili da ogni paese: la clientela poteva aprire conti numerati (ove l'identità del cliente era nota solo alla banca) o codificati (ove i conti operavano con password piuttosto che con firme), ma poteva acquistare anche una società sottoposta alla legge societaria di Antigua, che non richiede la disclosure degli azionisti né dei proprietari beneficiari. Le Autorità evidenziarono, oltre al cyberlaundering che si attuava per tramite della stessa, la violazione di disposizioni di vigilanza, tanto che fu intimato alla società di cessare l'attività (soprattutto intervennero la Bank of England e lo Stato dell'Idaho). Il caso peraltro è emerso nell'agosto 1997, con il fallimento della EUB, a seguito della scomparsa del website della EUB e ovviamente anche con la chiusura del piccolo ufficio dal quale operavano i "banchieri": è un caso, singolare, di come anche i riciclatori possano subire truffe da parte di intermediari on line (TARNSCRIME, 89). I nuovi strumenti telematici di pagamento oggi consentono quello che è stato chiamato il riciclaggio digitale integrale, ove tutte le fasi del riciclaggio sono condotte interamente attraverso transazioni elettroniche anonime via internet (SCARTEZZINI, 1999, 7). Il c.d. placement, ossia il collocamento fisico del denaro sporco e la conversione in moneta bancaria o elettronica, può avvenire attraverso strumenti digitali, quali le carte prepagate (per l'acquisto delle quali non occorrono dati personali, trattandosi di carte di basso importo, mentre la ricarica può essere effettuata attraverso distributori automatici: LUCCA) ovvero le smart cards (per le quali è sufficiente utilizzare quale conto di appoggio i conti anonimi di paesi off-shore o i conti di paesi comunque caratterizzati da un forte rispetto del segreto bancario) ovvero smart cards anonime acquistate su internet. Oppure, il trasferimento del denaro all'estero in paesi off-shore può avvenire attraverso la costituzione ed uso di hot-line fittizie, che consentono di trasferire il valore posseduto in conti bancari appartenenti all'estero a proprie società off-shore (SCARTEZZINI, 1999, 7). Ora, con riferimento all'emissione delle carte, con riferimento alle smart card, a differenza di quanto accade con le carte prepagate, essendo l'emissione fatta da intermediari finanziari soggetti alla legge antiriciclaggio trovano applicazione gli obblighi previsti dalla legislazione in ordine all'identificazione degli acquirenti; peraltro, allo stato della legislazione italiana, non vi sono limitazioni quanto al numero delle carte acquistabili L'utilizzo delle carte, poi, comporta l'anonimato dell'acquirente, atteso che nessun obbligo di identificazione e di registrazione incombe sul titolare dell'eserrcizio convenzionato presso il quale vengono effettuati i pagamenti, mentre il frazionamento dei pagamenti in numerose operazioni e -soprattutto- in numerose carte (magari facenti capo a conti diversi) può consentire di realizzare trasferimenti di considerevoli ricchezze al di fuori di procedure di audit trail e record keeping. La legge di circolazione applicabile ai trasferiemnti peer to peer dei mezzi di pagamento è quella del portatore: il semplice possesso -al più abbinato alla conoscenza di un codice- legittima all'impiego (e, quand'anche non si attribuisca allo strumento la legittimazione attiva, ma solo quella c.d. passiva, la prevista efficacia

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liberatoria del pagamento dell'intermediario nei confronti del portatore riduce senza dubbio di fato i controlli di questo). E' pure stata sottolineata la possibilità di trasferimento delle carte attraverso il trasferimento del possesso delle stesse, in cambio di altri mezzi di pagamento, ovvero beni o servizi. Infine, la conversione della moneta eletronica in moneta contante potrebbe non essere registrata ove l'entità del saldo non lo consenta (CIAMPICALI, 399 e 407). Il layering stesso poi si informatizza: appositi programmi sotware consentono di eseguire velocemente e ripetutamente intricati giri di trasferimenti tra numerosi e remoti utenti della rete, in modo che la velocità stessa delle operazioni e molteplicità delle stesse impedisce di poterne seguire la traccia (CIAMPICALI, 411). Al riguardo, vi è un trade off fra aspetti diversi, così quanto all'anonimato (che rende lo strumento libero per ogni applicazione) e sicurezza (che impone la codifica dei flussi elettronici e dall'altro lato però richiede l'identificazione dell'operatore) e, correlativamente, tra registrazione delle transazioni (che assicura la prova dei rapporti ma al tempo la ricostruibilità del profilo cliente a distanza di anni) e non registrazione (che tutela la privacy del soggetto): da rilevarsi in proposito che l'evoluzione dei sistemi giuridici è verso l'anonimato protetto, sistema cioè in cui il soggetto resta anonimo (essendo l'identità sostituita da un numero e non verificabile dalla banca) ma comunque è individuabile in quanto -in casi previsti (ad es. richiesta di autorità inquirente)- è rivelabile il nome associato al numero. Il GAFI ha rilevato, nel Report 1999, i rischi di riciclaggio connessi con l'uso di pagamenti basati sulle nuove tecnologie: l'incapacità di individuazione ed identificazione dei soggetti che usano le nuove tecnologie; i livelli di trasparenza delle transazioni; la mancanza o l'inadeguatezza di evidenze e registrazioni del paper trail, o di segnalazione delle operazioni sospette da parte del fornitore delle tecnologie usate nei pagamenti; uso di elevati livelli di crittazione; assenza di norme, e di norme uniformi per i vari paesi, di qualunque rango, di disciplina delle transazioni che utilizzano i nuovi strumenti (FATF, Report, 1999, sub 27). Il Gafi ha dettagliatamente esaminato i rischi di riciclaggio connessi con i nuovi sistemi tecnologicamente evoluti di trasferimento della ricchezza, indicando altresì possibili contromisure. Nel Report on Money laundering Typologies 1999-2000, si è evidenziato quanto all'on line banking (compensivo di servizi di banca telefonica, automated tellers machines e internet banking) che tutte le banche principali offrono questi servizi e che alcuni intermediari sono "pure internet banks", operando solo in rete., e si è rilevato che al fenomeno si accompagna l'eliminazione del contatto face-to-face tra l'intermediario ed il cliente e il venir meno dell'intermediazione dell'impiegato di cassa, con correlata impossibilità di identificare concretamente il soggetto che effettua l'accesso al conto a distanza; sotto altro profilo, il cliente può accedere al conto da qualunque parte del mondo, senza possibilità per l'intermediario di individuare il luogo dal quale si è avuto l'accesso al conto. Il cliente, inoltre, può avere -senza che vi siano strumenti di controllo al riguardo o limitazioni- la titolarità di più conti che può rapidamente movimentare e simultaneamente. In linea generale, poi, la natura di Internet è tale (par. 12 del Report) che un singolo paese può avere difficoltà concrete, se non trovarsi nell'impossibilità , per proibire ai propri cittadini di aprire conti attraverso internet con intermediari che offrono tali servizi on line da luoghi oltre i confini nazionali. Si è così segnalato ad esempio un caso in cui l'apertura

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di un sito internet in altra giurisdizione era usato per svolgere attività di riciclaggio usando il nome di una istituzione finanziaria nota come copertura per l'attività . Anche nel Report sulle typologies exercise 1999, il Gafi si è occupato specificamente dei nuovi strumenti di pagamento. Con riferimento alle smart cards, si è rilevato che si tratta di carte stored value, caricate quindi con valore monetario spendibile come contante, per le quali le istituzioni finanziarie non prestano particolare attenzione in ordine al soggetto utilizzatore o all'importo delle operazioni, trattandosi di operazioni già addebitate e quindi prive di rischio per l'intermediario finanziario: da ciò i rischi di anonimato nell'uso delle stesse e l'assenza di limiti economici al caricamento di fondi e al loro trasferimento, e di controlli in fase di trasferimento dei fondi medesimi. Alcune carte poi hanno la funzione peer-to-peer ossia consentono i trasferimenti di ricchezza card-to-card, con conseguente spostamento di ricchezza tra singoli al di fuori del controllo degli intermediari. Si è pure osservato al riguardo che eventuali limitazioni di valore, di possesso o di funzioni delle smartcards sono poste esclusivamente dalle istituzioni finanziarie sotto un profilo civilistico, senza alcun intervento delle autorità nazionali (FATF, Report 1999, sub 28 e 29). Quanto all'online banking, vi sono spesso limitazioni circa l'ammontare massimo delle transazioni effettuabili on line, mentre è nota l'identità dell'ordinante il trasferimento elettronico di fondi (che deve essere un cliente, identificato al momento dell'apertura del conto d'appoggio) e circa l'identità del beneficiario del pagamento (pure cliente di altro intermediario aderente al sistema). Qui i rischi del sistema evidenziati dal Gafi si ricollegano alla mancanza di norme omogenee nei vari paesi in ordine all'identificazione dei soggetti e alla possibilità in alcuni paesi off-shore di aprire conti anonimi, nonché in linea generale alla impossibilità di verificare l'identità effettiva dell'utilizzatore del servizio telematico nel corso del rapporto; sotto altro profilo, la facilità e comodità dei pagamenti on line e l'automaticità della ripetizione degli stessi consente un frazionamento agevole delle operazioni ed una loro diversificazione su più conti o su più rotte transfrontaliere (FATF, Report 1999, sub 30-32). Quanto alla moneta elettronica (e-cash), infine, si è rilevata l'esigenza di un controllo in fase di emissione del mezzo elettronico sui soggetti abilitati, nonché sulla utilizzazione della moneta stessa, al fine di assicurare che non possa essere utilizzata più volte la stessa moneta elettronica. Si sono poi richiamate gli stessi rischi inerenti le smart cards, con particolare riferimento all'impossibilità di tracciare il percorso della moneta elettronica nella fase che segue l'operazione di acquisto e precede l'accredito delle somme sul conto del venditore del bene o servizio (FATF, Report 1999, sub 32-33). Da qui la proposta di una serie di misure volte a limitare la vulnerabilità ed i rischi di cyberlaundering, ossia di money laundering relativo ai pagamenti basati sulle nuove tecnologie informatiche e telematiche: la limitazione delle funzioni e delle capacità delle smart cards (incluso il limite di valore massimo, i limiti di turnover, i limiti di numero di carte acquisibili da uno stesso soggetto); l'ancoraggio delle nuove forme di pagamento a conti bancari e ad intermediari finanziari autorizzati; l'imposizione di procedure di registrazione in forme idonee, che consentano l'esame e la selezione da parte delle autorità di vigilanza dei dati più significativi e delle operazioni rilevanti; la fissazione di standards internazionali per tali regole (FATF, Report 1999, sub 33 ss.). L'Electronic Banking Group del Comitato di Basilea, infine, sta approfondendo lo studio dei rischi di riciclaggio nell'ambito dell'online banking, evidenziando alcune misure per ovviare alla vulnerabilità del sistema finanziario internazionale: si è così sottolineata l'esigenza di applicare procedure di identificazione dei clienti, eliminando i conti anonimi, di stabilire standards uniformi tra le giurisdizioni, di sviluppare strumenti anche

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automatizzati si segnalazione di operazioni sospette, di limitare i tipi di servizi on line offerti e l'ammontare delle operazioni relative, di consentire le transazioni on line ai soli soggetti titolari di conti istituiti in maniere tradizionale (con la presenza fisica del cliente nei locali dell'intermediario almeno al momento dell'accensione del conto), ed infine, l'esigenza di vietare l'operatività on line trasfrontaliera a soggetti privi di autorizzazione ad operare in quell'ordinamento.

I REATI FINANZIARI. I meccanismi di costituzione di provvista per usi illeciti, utilizzata per il pagamento di tangenti o per il finanziamento illecito, e mimetizzati con falsificazioni della contabilità , implicano il sistematico ricorso a condotte aventi rilevanza penale sotto il profilo fiscale. In materia, il decreto legislativo n. 74 del marzo 200, in attuazione della legge delega n. 205/99, ha dettato la riforma dei reati tributari: la nuova disciplina ha voluto superare la vecchia normativa contenuta nella legge n. 516/82, c.d. manette agli evasori, eliminando la punizione di fattispecie legate alla commissione di violazioni prodromiche rispetto al momento in cui si manifestava il danno all'erario, prevedendo un numero ristretto di fattispecie caratterizzate da rilevante offensività degli interessi dell'erario e limitando variamente l'intervento penale sotto vari profili, escludendo ad esempio la rilevanza del tentativo o prevedendo soglie di punibilità legate all'entità del fatto (sulla riforma, RIPA, 13; LIBURDI, 5; RIPA - FELICIONI, 2000a, 15; CECCOBELLI, in www.tribunale.org). Risultano oggi punite, oltre all'omessa presentazione delle dichiarazioni annuali (mentre non rileva penalmente in sé l'omesso versamento di imposta), alla presentazione di dichiarazioni infedeli, e all'occultamento o distruzione delle scritture contabili, soprattutto l'alienazione simulata o il compimento di altri atti fraudolenti su beni propri o altrui al fine della sottrazione al pagamento o alla riscossione coattiva delle imposte, nonché la presentazione di dichiarazioni annuali fraudolente fondate su documentazione falsa o su altri artifici idonei a fornire una rappresentazione contabile falsa, nonché l'emissione di documenti falsi diretti a consentire a terzi l'evasione. Con riferimento alle società off-shore, assume rilievo in particolar modo la fraudolenta dissimulazione della capacità contributiva, realizzata attraverso la fittizia interposizione di persona, fisica o giuridica, quali professionisti fiduciari ovvero società di comodo estere. Spesso vengono utilizzate a tal fine le società anonime svizzere o le anstalten del Liechtenstein o del Principato di Monaco, paesi in cui sotto il profilo sostanziale il regime fiscale è particolarmente favorevole (perché ad esempio è prevista in misura forfettaria), mentre sotto il profilo dei controlli si tratta di paesi in cui non vi sono obblighi contabili particolari (ad esempio relativamente alle partecipazioni estere possedute) e in cui l'assistenza giudiziaria in materia fiscale è praticamente inesistente (DRIGANI, 1994, 365 ss.). Il fenomeno dell'interposizione fittizia di società di comodo, specie di diritto straniero,

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è ipotesi che rappresenta un comportamento fraudolento, in quanto idoneo a determinare il massimo ostacolo all'accertamento dei fatti materiali relativi alle componenti positivi del reddito (DRIGANI, 1995b, 320; DE GREGORIO, 906). Al riguardo, sotto il profilo strettamente tributario (art. 37 d.pr. 600/73, come modificato dall'art. 36 d.l. 2.3.89 conv. in l. 154/89) è stabilito che in sede di rettifica o di accertamento di ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona. A norma dell'art. 30 della legge n. 724/94, inoltre, le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salva prova contraria, non operative se hanno meno di cinque dipendenti e se dal conto economico risultano ricavi, incrementi di rimanenze nonché proventi, esclusi quelli straordinari, inferiori a lire 800 milioni ragguagliati alla durata dell'esercizio: in tali casi, è precluso il riporto a nuovo delle perdite, ed il reddito minimo imponibile è presunto (DRIGANI, 1995b, 319). Ciò non importa un'automatica rilevanza della fattispecie sotto il profilo penale, atteso che oggi, a seguito della riforma apportata dal d.lgs. n. 74/00, è punita penalmente (con la reclusione da sei mesi a quattro anni) l'alienazione simulata o il compimento di altri atti fraudolenti su beni propri o altrui idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, al fine della sottrazione al pagamento o alla riscossione coattiva di imposte o di sanzioni e interessi per un ammontare complessivo superiore a 100 milioni (art. 11). In materia, va richiamato il già ricordato art. 12 sexies della legge 306/92, in base al quale, nell'ambito delle misure non penali ma di prevenzione post delictum a carattere patrimoniale, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato per gravi delitti -tra cui associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio, usura e traffico di stupefacenti- non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria disponibilità economica (MARIELLA, 584). In materia di gruppi di società , assume poi rilevanza il fenomeno dell'intercompany pricing: con tale termine (e con quello analogo di transfer pricing) viene indicata una procedura di determinazione del prezzo delle transazioni intercorrenti tra società dello stesso gruppo allo scopo di trasferire reddito imponibile verso paesi caratterizzati da regimi fiscali più favorevoli. Un'accurata pianificazione fiscale infragruppo (tax planning), realizzata anche attraverso il trasfer pricing, consente di ottenere benefici fiscali sfruttando la diversità impositiva degli ordinamenti dei vari Paesi o, nell'ambito dello stesso Pese, la diversità dei territori (ad esempio sfruttando le agevolazioni per determinate zone): la pianificazione fiscale può divenire elusiva o illecita ove vi sia (rispettivamente) un uso distorto della normativa o la sua violazione. Così ad esempio ove la transazione risulta essere avvenuta a valori non di mercato (CARACCIOLI, 379): qui, non vi è alcun comportamento fraudolento, solo che l'operazione non è avvenuta ai valori di mercato ed è meramente elusiva delle disposizioni, ossia, pur non realizzando la fattispecie imponibile prevista dalla legge tributaria, consegue per via traversa il medesimo risultato economico (o altro analogo) che la legge intendeva assoggettare a punizione (LOVISOLO, 1200 ss.; DRIGANI, 1995b, 312). In altri casi,

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l'operazione è illecita in quanto fraudolenta, come nel caso in cui sia stata realizzata attraverso sottofatturazioni ovvero attraverso sopravvalutazione dei costi, al fine di spostare reddito in zone a bassa fiscalità e ridurre il reddito in zone ad alta fiscalità : in quest'ultimo caso, è occultato parte del corrispettivo e possono applicarsi gli estremi del delitto di frode fiscale. Al riguardo, occorre richiamare le disposizioni rilevanti in materia: nel testo unico sulle imposte sul reddito, l'art. 76 enuncia il regime fiscale del trasfer pricing, stabilendo che i componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2 se deriva un aumento di reddito; l'art. 96 bis del medesimo tuir detta il regime fiscale dei dividendi esteri distribuiti da società collegate non residenti nel territorio dello Stato, stabilendo che gli stessi concorrono a formare il reddito per il 40% del loro ammontare, ma si computano per l'intero ai fini delle disposizioni relative alla maggiorazione di conguaglio di cui agli artt. 105, 106 e 107; l'art. 76 co. 7 bis del tuir (applicabile in difetto di convenzioni internazionali per evitare la doppia imposizione) infine stabilisce che non sono ammesse in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra società residenti (essendo tali ex art. 87 co. 3 tuir quelle che nella maggior parte del periodo di imposta hanno la sede sociale o amministrativa o l'oggetto principale dell'impresa nel territorio italiano) e società domiciliate fiscalmente in territori non appartenenti alla CEE aventi un regime fiscale privilegiato, le quali direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa ai sensi dell'art. 2359 cod. civ. (cfr. MASCIANDARO- CASTELLI, 36). Tale ultima norma, introdotta con la lege n. 413/91 art. 11 co. 12, definisce come regime privilegiato il regime fiscale dello Stato o del territorio estero che esclude da imposte sul reddito o che sottopone i redditi conseguiti dalle predette società ad imposizione in misura inferiore alla metà di quella complessivamente applicata in Italia sui redditi della stessa natura; con decreto del ministro delle finanze sono indicati gli Stati ed i territori esteri aventi un regime fiscale privilegiato. Tale decreto è intervenuto il 24.4.92 ed ha indicato alcuni paesi e territori (indicati in precedenza), ha per altri paesi escluso determinate attività (così per il Baharain e gli Emirati arabi uniti, per le attività di esplorazione, estrazione e raffinazione petrolifera), ha per altri limitato l'applicazione delle norme in relazione ai caratteri dei soggetti interessati e delle attività svolte (es. IBS operanti all'estero in Costa Rica, Dominica, Liberia, Panama, Singapore; es. banche dell'Uruguay). L'applicazione delle predette disposizioni trova un limite ex art. 76 co. 7ter tuir nella prova fornita dalle imprese residenti in Italia circa lo svolgimento da parte delle società estere in via prevalente di attività commerciale effettiva ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. (per tutte queste problematiche fiscali, MARINO, 1995, 367 ss.). Oggi l'articolo 1 del collegato alla finanziaria 2000 (introducendo l'art. 127 bis del tuir) ha inasprito la lotta all'elusione ed attribuito automaticamente al socio residenti di società estere il reddito prodotto dalle società controllate localizzate i paradisi fiscali, disponendo che, se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo (di diritto o di fatto a norma dell'art. 2359 cod. civ.) di un'impresa, si una società o di altro ente, residente o localizzato (id est, domiciliato, costituito, ovvero con stabile organizzazione) in stati o territori con regime fiscale privilegiato, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato,

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ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. A norma del co. 5, peraltro, la disposizione non si applica ove la società o ente non residente svolga principalmente un'attività industriale effettiva nel mercato nel quale ha sede (per le problematiche relative alla disciplina delle CFC-controlled foreign companies, RIPA - FELICIONI, 25). Sotto il profilo penale, possono rilevare in materia le seguenti condotte punite dal d. lgs. 74/00:

- l'emissione o rilascio di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l'evasione di imposte (con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni; da sei mesi a due anni se l'importo è inferiore a300 milioni) (art. 8);

- l'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale dei redditi o Iva con l'utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di evadere l'imposta sui redditi o sul valore aggiunto (con la medesima pena, ma con la previsione della impunibilità a titolo di tentativo) (art. 2);

- l'indicazione, al fine di evadere l'imposta sui redditi o sul valore aggiunto, nelle dichiarazioni annuali dei redditi o Iva di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, sulla base di una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti tesi ad ostacolare l'accertamento, se l'imposta evasa è superiore a 150 milioni con riferimento a taluna delle singole imposte e nello stesso tempo l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti ad imposizione è superiore al 5% di quelli indicati indicati in dichiarazione o comunque è superiore a 3 miliardi (con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni ed impunibilità a titolo di tentativo) (art.3). La disciplina, in particolare, ha considerato da un lato che la dichiarazione fraudolenta non solo è infedele, ossia presenta elementi che distorcono la realtà dei fatti, ma è in più redatta in modo da ostacolare l'eventuale accertamento dell'amministrazione finanziaria. Pertanto la sogli di punibilità è più bassa e la pena è più elevata.. Le norme equiparano le pene per la prima e la seconda ipotesi, in considerazione dell'omogeneità di disvalore delle fattispecie e della frequente contestuale operatività nei confronti di soggetti d'accordo, come avviene nelle società c.d. cartiere, che vengono appositamente costituite con l'unico intento di immettere documentazione volta a supportare l'esposizione in dichiarazione di elementi passivi fittizi. A norma dell'art. 9 del decreto, poi è escluso espressamente il concorso dell'emittente nel reato proprio della dichiarazione fraudolenta e viceversa il concorso dell'utilizzatore nel reato di emissione. Le due fattispecie peraltro non sono unificate in considerazione della diversità dei fatti, che possono operare disgiuntamente (ad esempio, l'emissione di fatture false per soggetti che poi presentano una dichiarazione veritiera); peraltro, si è previsto che la formazione di più documenti o fatture false nel medesimo periodo di imposta, anche se a favore di soggetti diversi, configura una sola ipotesi di reato. Il decreto ha invece differenziato le dichiarazioni fraudolente attuate attraverso l'utilizzo di documentazione falsa e quelle basate su semplici trucchi contabili, sanzionando le prime a prescindere dall'importo sottratto a tassazione, a differenza delle seconde, sanzionate solo al superamento di determinate soglie, percentuali o assolute (RIPA - FELICIONI, 2000a, 16). Il nuovo impianto sanzionatorio si sposta al momento di presentazione della dichiarazione, ma attribuisce pur sempre rilievo all'utilizzo dei documenti in questione, precisando che sono quelli detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria o le scritture contabili obbligatorie. L'esclusione della punibilità del tentativo è prevista al fine di sollecitare comunque la presentazione di dichiarazioni veritiere al di là degli atti preparatori idonei ed univoci posti in essere, evitando così il danno per l'erario.

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Infine, deve rilevarsi che una delle più importanti novità della riforma è l'esplicita attribuzione di rilevanza penale alle valutazioni estimative e alle rilevazioni contabili che, oltre determinati limiti di tolleranza, possono configurare dichiarazioni infedeli o peggio fraudolente (così, RIPA - FELICIONI, 2000b, 21): l'art. 7 del decreto n. 74/00 infatti prevede che l'impunibilità a titolo di dichiarazione infedele o fraudolenta delle rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza ma sulla base di di metodi costanti di impostazione contabile, nonché le rilevazioni e le valutazioni estimative: ovviamente si richiede che i criteri di valutazione siano indicati (ad es. nella nota integrativa), di modo che sia escluso il dolo specifico della disposizione incriminatrice. E' poi previsto che i vizi connessi con valutazioni estimative non sono in ogni caso punibili ove differiscano da quelle corrette in misura inferiore del 10%. Il ricorso ad intermediari esteri nell'operatività su prodotti finanziari fa saltare il regime di imposta sostitutiva (12.5% sui guadagni) di cui al d.lgs. n. 461/97, non potendo operare il ruolo di esattore e sostituto di imposta dell'intermediario che effettui sia il risparmio amministrato (titoli comprati e venduti per conto del cliente) che il risparmio gestito (gestione patrimoniale, fondi) e rende inevitabile il passaggio al regime dichiarativo, con la conseguenza dal lato dell'investitore della perdita del beneficio dell'imposta sostituiva in favore dell'aliquota marginale (AMATO, 69), mentre dal lato dell'intermediario non verrà effettuata la ritenuta (onde non si porrà più il problema dell'omesso versamento di ritenute, problema comunque non più di rilevanza penale a seguito della recente riforma italiana- per l'omesso versamento della ritenuta). Particolari problematiche tributarie -e di riflesso penali- comporta l'uso delle tecnologie dell'informazione nell'attività commerciale: intendo riferirmi in particolar modo alla tassazione del banking on line, e sotto altro profilo, alla tassazione dell'e-commerce ed ai profili fiscali delle operazioni di export via internet. Si deve intanto premettere che a norma del t.u.i.r. (art. 87 d.p.r. 22.12.86 n. 917) sono residenti i soggetti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto dell'impresa nel territorio dello Stato: questi sono assoggettati ad imposizione diretta indipendentemente dal luogo di produzione del reddito (worldwide principle, art. 95 tuir), mentre ai non residenti si applica l'irpeg solo per i redditi di fonte italiana. Tale principio trova applicazione anche per la tassazione delle operazioni di intermediazione on line: ciò che rileva ai fini della tassazione diretta è chi produce i redditi e non come siano prodotti (MAISTO, 486). A conclusioni analoghe a quelle dette per l'IRPEG deve pervenirsi per l'Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP, di cui al d.lgs. 446/97). In materia di Iva, la prestazione di servizi di internet bankin non presenta problemi, atteso il regime delle esenzioni (art. 10 d.p.r. 633/72) per le operazioni relative a depositi e conti correnti, alle negoziazioni di titoli e altri strumenti finanziari, e prestazioni accessorie, mentre sono imponibili le operazioi di custodia ed amministrazione sottesi ad un rapporto di trading on line (cfr. Corte Giustizia comunità europea, 5.6.97, causa c-2/95). L'imposta di bollo, poi, trova applicazione solo per gli atti formali tipici inviati dall'intermedairio al cliente (es. estratto conto periodico): da un alto, l'applicazione ai documenti informaticamente inviati è rimessa alla disciplina attuativa del d.p.r. 513/97 (art. 4 co. 2) sull firma digitale; dall'altro lato, l'accesso telematico operato dal cliente al proprio conto non è equiparabile all'estratto che la banca deve inviare (analogamente oggi avviene

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con lo scontrino del bancomat, che non è equiparato ad estratto conto), onde la misura del tributo prescinde dalla periodicità dell'accesso del cliente (MAISTO, 488). Quanto alla tassa sui contratti di borsa ex r.d. 30.12.23 n. 3278, infine, opererà il regime di esenzione previsto dall'art. 1 del d.lgs. 435/97 per le operazioni fatte dai residenti in Italia per il tramite di intermediari italiani nei mercati regolamentati italiani e comunitari (al riguardo, MAISTO, 489, valorizza le disposizioni di alcune circolari min. fin. Che includono nella nozione di mercati regolamentati anche quelli non comunitari inseriti in un elenco OCSE); negli altri casi (es. intermediari esteri, ovvero titoli negoziati fuori dei mercati predetti), opererà la tassa ed il soggetto dovrà versarla (in forma virtuale o entro 30 giorni dall'operazione con versamento in c/c postale). Ciò posto in linea generale in relazione all'internet banking, occorre analizzare adesso l'ipotesi in cui all'uso di tecnologie telematiche si acompagni l'internazionalizzazione delle operazioni con riferimento agli intermediari, specie se relativa a paesi off shore (per le considerazioni che seguono, MAISTO, 491 ss.). Mentre nessun problema di applicabilità dell'imposizione italiana pone l'attività della banca italiana all'estero, l'attività della banca non residente effettuata on line con clienti italiani potrà essere assoggettata a imposizione in Italia solo su parte dei propri redditi: in particolare, gli interessi e gli altri redditi di capitale si considerano prodotti in Italia e sono qui imponibili (in sede di dichiarazione dei redditi ove il soggetto non sia sostituto di imposta, come avviene nell'internet banking con i privati) ex art. 20 co. 1 lett. b) tuir ove siano corrisposti da un soggetto residente in Italia; le commissioni saranno imponibili solo ove prodotte mediante una stabile organizzazione in Italia, e dunque non saranno imponibili ove l'intermediario operi solo on line dall'estero. Al riguardo, occorre rilevare che il sito web non può essere equiparato alla stabile organizzazione ai fini fiscali. In particolare, nel banking on line -come in genere nel commercio elettronico- che integra transazioni internazionali, diviene problematica l'individuazione del luogo in cui vi è una stabile organizzazione dell'impresa che consenta la localizzazione del reddito, e dunque l'individuazione dell'ordinamento tributario competente: basti pensare al commerciante on line panamense, che ha come propria sede virtuale (web site) un sito in Svizzera e contestualmente a Hong Kong, e che offra servizi (ad esempio una consulenza finanziaria) ovvero beni (ad esempio un software) attraverso un sito delle Bahamas (contenente un link al primo sito) in favore di un soggetto domiciliato in Italia. Come è stato detto (VILLA, 115), anzi, i termini geografici possono essere ignoti -e certo ignoto è per lo più il percorso telematico dell'accesso, raramente lineare- ed i due operatori possono trovarsi nello stesso paese senza saperlo. Il problema giuridico è anzitutto quella della qualificazione dell'attività , dovendosi qualificare il server di appoggio posto in Italia: infatti, l'imprenditore estero può essere parificato a quello che ha direttamente inviato dall'estero il proprio bene o servizio (onde è all'estero che è sorto il reddito on line ed è lì che va tassato, ove ciò sia previsto) ovvero a quello che ha inviato il bene alla propria filiale italiana che ne cura la commercializzazione in Italia (nel qual caso il reddito sarebbe tassabile in Italia, essendo stato qui prodotto).Al riguardo, non può che escludersi (VILLA, 117; MAISTO, 492; analoga esclusione è stata sostenuta in sede OCSE: OECD, Electronic commerce: application of the existing permamnente establishment definition, 1999) che il sito web possa essere assimilato ad una stabile organizzazione in Italia, per la sua immaterialità (e d'altra parte il sito può non mostrare alcuna connessione evidente con l'impresa e può nascondere anche la sua residenza); stessa conclusione va poi sostenuta anche per il server d'appoggio, pur per la diversa ragione che il server su cui è allocato il sito non è equiparabile ai distributori automatici (che sono considerati organizzazione stabile secondo l'Ocse) in quanto a differenza di questi non fanno capo all'impresa ma all'Internet service provider, che è soggetto terzo.

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Dalla mancata soggezione ad imposizione diretta in uno stato della società che vi svolga il commercio elettronico tramite un proprio sito (anche ivi allocato), discende la tendenza degli operatori stranieri ad operare in paesi diversi dal loro attraverso siti registrati in paesi con i quali non vi sono accordi di tipo fiscale, ottenendo così la non tassazione del reddito prodotto nel paese di localizzazione del server, la difficile individuazione di questo reddito nel paese di effettiva residenza della società , la non imposizione nel paese di azione per la natura estera del soggetto e dell'attività . Ciò importa altresì che un soggetto residente in Italia possa costituire società controllate estere per lo svolgimento di attività economiche virtuali e beneficiare di esenzione fiscale sostanziale. Da ciò l'esigenza di introdurre norme antielusione per l'off-shore banking, (MAISTO, 497, che sottolinea come una normativa di questo tenore stia per essere introdotta anche in Italia), norme ad esempio che prevedano l'imponibilità in capo alla società controllante o collegata residente nel paese ad alta fiscalità dei redditi delle società estera residente nel paese a fiscalità privilegiata, indipendentemente dalla loro distribuzione (salva l'ipotesi in cui vi sia un'attività commerciale effettiva all'estero, evidenziata dalla -c.d. substance- disponibilità all'estero effettiva di risorse materiali e personali). Venendo ora ai profili fiscali dell'e-commerce, il mezzo telematico nel commercio elettronico può essere usato per ogni singolo aspetto della transazione commerciale, dalla pubblicità in rete (sul proprio sito o su banners), alla ricerca ed individuazione della controparte, alla gestione della trattativa ed all perfezionamento della negoziazione, agli adempimenti formali conseguenti, al pagamento del bene o servizio e, correlativamente, alla prestazione del servizio ed alla consegna del bene offerto (effettuata essa stessa elettronicamente nel c.d. e-commerce diretto). Il sito web, correlativamente, non è solo una vetrina pubblicitaria, ma un vero e proprio market, dove i clienti possono scegliere, acquistare, e talora "scaricare" direttamente sul proprio computer il prodotto acquistato (es. brano musicale, libro, software, ovvero consulenza) (VILLA, 111). Ai fini che interessano l'argomento in questione, rileva la distinzione tra il commercio elettronico B2C (business to consumer) e B2B (business to business), atteso che nel secondo caso, la circostanza che la relazione commerciale intercorra tra operatori con obbligo di tenuta della contabilità consente i controlli incrociati e la verifica dell'effettivo imponibile (salvo il caso di operatori esteri siti in paradisi societari). L'applicazione delle norme esaminate non pone questioni particolari per l'imposizione dirretta nell'e-commerce. Con riferimento all'imposizione indiretta, invece, mentre nessun problema si pone per l'e-commerce indiretto -ove la consegna fisica del bene ne impone lo sdoganamento- per il commercio elettronico diretto non potrebbe di fatto operare alcuna imposizione; sul tema, è in via di definitiva approvazione dalla Comunità Europea la proposta di direttiva che individua il regime IVA applicabile ai servizi prestati attraverso i mezzi elettronici: al riguardo, la UE ha ritenuto non necessario introdurre imposte nuove specifiche per l'e-commerce, che le forniture elettroniche non devono essere considerate alla stregua di beni ma devono essere assimilati a prestazioni di servizi, e che solo le prestazioni di servizi utilizzati in Europa devono essere qui soggette ad imposizione, ricollegandosi l'obbligo contributivo al luogo di consumo (in deroga all'art. 9 direttiva 77/388/CEE che prevede l'imposizione nello stato del prestatore di servizio). Poiché l'operatore è all'estero, in concreto nel caso in cui il cliente è un privato, l'operatore dovrà munirsi nella Ue di un rappresentante e di un numero identificativo; ove cliente sia invece un operatore economico, l'imposta sarà assolta direttamente da questo (reverse charge) con autofatturazione e credito Iva corrispondente (VILLA, 123; per un esame delle fattispecie, con ampi riferimenti agli orientamenti e alle tendenze della comunità internazionale in vari

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consessi, CORABI, 57 ss.; STRACUZZI, 105; in materia, altresì, ZAMBON, 9442 e ID. 8380; D'AGOSTINO, 10222; ROCCATAGLIATA-HORTALA' I VALLVE', 8349; VETERE, 9014; FORNARI, 6117; CIAMPAGLIA, 715; nonché IAVANIGLIO-TOGNOLO, 466). Ora, per tutto quanto detto, risulta evidente che l'operatività in Italia per attività economiche (incluse quelle bancarie e finanziarie, e quelle in titoli) svolte in forma meramente elettronica da parte di intermediari esteri situati in paradisi fiscali è attività pressoché esentasse, non essendovi imposizione in nessuno dei paesi coinvolti dal flusso elettronico (v. le diffuse considerazioni di CORABI, sulla crisi della fiscalità internazionale). NORME VALUTARIE. Dal 1990 (d.p.r. n. 148/88 e d.m. 27.4.90) l'operatività con l'estero dei residenti, già limitata sotto vari profili, è stata liberalizzata: in particolare, è stata elimnato il monopolio dei cambi, il regime di eccezionalità delle operazioni ammesse, la rigia disciplina dei termini di regolamento, l'emissiuone del benestare bancario per l'import/export, la canalizzazione bancaria dei pagamenti, mentre è rimasta solo la comunicazione valutaria statistica- cvs (COMBA, 16 ss.). oggi è possibile ad esempio importare ed esportare merci liberamente, acquistare immobili all'estero, acquistare titoli all'estero, ottenere valuta estera senza limiti per turismo, intrattenere un conto in valuta estera presso una banca in Italia, accendere un conto in valuta estera o in lire presso una banca all'estero, detenere valuta all'estero senza limitazioni, pagare o incassare in valuta estera debiti e rispettivamente crediti con altri residenti, regolare direttamente rapporti con un non residente in Italia o all'estero, senza dover far transitare l'operazione tramite il canale bancario italiano. Peraltro, è stato introdotto dal d.l. n. 167/90 convertito in l. n. 227/90 (recante disciplina della rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l'estero di denaro, titoli e valori) e dal d.m. 8.8.90 uno strumento di controllo ai fini fiscali dei movimenti di capitale, mediante obblighi di rilevamento e comunicazione imposti agli intermediari abilitati, sia mediante la previsione di specifici obblighi di dichiarazione a carico dei residenti relativamente ai trasferimenti da o verso l'estero di denaro titoli o valori mobiliari nonché in ordine alla detenzione nel periodo di imposta di investimenti all'estero e di attività estere di natura finanziaria: la registrazione viene effettuata dall'intermediario, se il trasferimento avviene per suo tramite, ovvero dal residente nella sua dichiarazione annuale nel caso di operazioni decanalizzate. Il processo di progressiva liberalizzazione degli scambi valutari con l'estero ha eliminato quasi tutte le norme penali valutarie. Accanto ad una serie di violazioni sanzionate in via amministrativa, natura penale presenta la fattispecie di cui all'art. 5 co. 8 della citata legge (su cui DRIGNANI, 374), che punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da sei mesi ad un anno e con la multa da 1 a 10 milioni, il fatto di chi fornisce agli intermediari false indicazioni sul

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soggetto realmente interessato al trasferimento, da o verso l'estero, di denaro, titoli o valori mobiliari ovvero dichiara falsamente di non essere residente in Italia in modo da non consentire l'adempimento degli obblighi di cui all'art. 1 del decreto stesso. La disposizione peraltro è coerente con il trattato di Maastricht (art. 73d) che, nell'affermare il principoio della libera circolazione dei capitali prevede la possibilità di derogare a detta libertà adottando misure giustificate da motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, nei limiti del principio di non discriminazione, e prevede altresì (lettera b) che gli Stati potranno adottare le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamenteazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello di vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie (sul tema, ROSSI, 485). LA GIURISDIZIONE Vorrei qui contestare l'attendibilità di due luoghi comuni diffusissimi su internet: che si tratti di un fenomeno privo di regole, completamente anarchico, in quanto per la sua natura nessun ordinamento nazionale -inevitabilmente inadeguato- lo può disciplinare; che internet sia un mondo anonimo, dove l'identità e la provenienza degli operatori non è individuabile. Il primo problema attiene alla giurisdizione competente a conoscere dei fatti che si verificano in rete ( e dei reati che vedono internet come territorio di esplicazione o strumento di perfezionamento) e dunque della rilevanza giuridica e della sanzionabilità degli stessi; il secondo problema presuppone la soluzione del primo e riguarda l'attività investigativa degli organi competenti. L'individuazione della giurisdizione competente a conoscere di quanto accade in rete presupppone la precisazione delle caratteristiche tecniche di internet. Occorre in particolare sottolineare che l'immissione in rete -ad esempio in una pagina del worl wide web- di un dato importa che lo stesso sia accessibile ad una quantità indeterminata di utenti, non circoscritta dunque a singoli soggetti individuabili, ma accessibile a soggetti collegati da varie parti del mondo: tale multilocazione, peraltro, è globale, e non interessa vari paesi, ma tutti i paesi (oggi sono oltre 160) collegati alla rete. Peraltro, la comunicazione in rete presenta varie peculiarità (su cui CERINA, 352 ss., con ampi richiami bibliografici specie di origine anglosassone): intanto, i siti internet non hanno alcuna corrispondenza con la collocazione fisica della persona che li ha predisposti, potendo ben un soggetto residente in Italia creare un sito web negli USA, appoggiandosi magari ad un server delle Bahamas, ed operare su tale sito dal Lussemburgo; in secondo luogo, gli indirizzi non sono fisici ma logici, individuano la macchina e non il suo utilizzatore, del quale è ignota la collocazione fisica; inoltre, i dati di un sito possono essere contenuti in cache servers (come avviene per le pagine più viste), ossia in copie dei dati mantenuti in servers più vicini all'utilizzatore, e non invece dall'originale sito; l'accesso ad un sito poi può essere fatto attraverso altro sito contenente non un mero link al primo (e dunque saltando da un sito all'altro), ma un frame, onde il primo sito sarà visionato nella cornice del secondo, e l'accesso sarà quindi contestuale a più siti ubicati in posti magari lontanissimi.

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Inoltre, a differenza di quanto avviene con l'emittente televisiva, inoltre, ove vi è un rapporto uno-tutti, in rete il rapporto è tutti-tutti, atteso che la connessione si stabilisce per effetto del comportamento non solo del soggetto che crea il sito ma anche dei soggetti che accedono allo stesso: ciò importa la natura passiva del server, che è mero tramite per la connessione (PICOTTI, 323). Da ciò l'esigenza (PICOTTI, 324) di considerare unitariamente quali momenti dell'azione tutte le operazioni automatiche eseguite dai sistemi informatici collegati tra loro al fine di consentire la connessione in rete: luogo dell'azione allora è anche quello dove avviene la memorizzazione, la duplicazione, la ritrasmissione dei dati immessi ad altri servers o snodi di rete, essendo arbitrario distinguere il primo sito di immissione dagli altri. Non ha allora senso delimitare territorialmente il concetto di azione, visto che indipendentemente dal luogo in cui si è verificata la prima immissione tutti i soggetti collegati al sistema possono comunque accedervi, salvo eventuali limitazioni logiche. Ciò importa l'impossibilità stabilire in concreto fin dove si estenda l'originaria immissione dei dati, ma non importa l'impossibilità di regolare giuridicamente il fenomeno. Se ciò è vero, e dunque la riproduzione finale dei dati rientra giuridicamente nell'azione, preventivata del resto dal soggetto che ha immesso i dati, allora può dirsi che l'azione si è manifestata in tutti gli ordinamenti in cui si è avuta l'accessibilità dell'informazione trasmessa in rete. Da altro autore (SEMINARA, 477) si è invece sottolineata la caratteristica della rete tale che l'autore di un sito non è in grado di controllare l'accesso né di prevedere quali percorsi seguiranno i dati immessi, atteso che il passaggio del testo attraverso altri servers ed il conseguente ampliamento quantitativo dei destinatari si compiono senza alcun intervento umano, e si presenta come l'automatico svolgimento di un'azione ormai conclusasi, che si sottrae alla legge italiana nonostante i suoi effetti siano destinati a manifestarsi anche in Italia. Lo stesso autore peraltro richiama l'obiezione secondo la quale l'offerta e promozione di valori (ed in genere la comunicazione telematica) hanno una natura ontologicamente relazionale, in grado di agganciare il momento della consumazione alla ricezione del messaggio, rilevando così il momento del pervenimento presso il pubblico degli investitori italiani, con conseguente rilevanza di quelle offerte che per la redazione in lingua italiana o per altre modalità del fatto rivelino univocamente l'ambito dei potenziali ricettori della proposta, e possono così supportare l'intervento dell'autorità italiana (di vigilanza e giudiziaria). In quest'ambito allora potrebbe accedersi all'altra teoria della condotta, attribuendosi al dolo un ruolo delimitativo della fattispecie criminosa, escludendo l'attribuibilità penale dei fatti non voluti -secondo una valutazione effettuata secondo l'id quod plerumque accidit, valutate la situazione oggettiva del caso- dal soggetto che ha immesso i dati in rete. Sotto altro profilo, anche a ritenere la disponibilità dell'informazione come evento (dovendo considerarsi l'evento esclusivamente come modificazione del mondo esteriore causalmente legata alla condotta e non come offesa del bene giuridico protetto: SEMINARA, 2000, 478) e a considerare l'accessibilità dell'informazione, peraltro, come conseguenza o evento dell'azione di immissione dei dati, può affermarsi che l'evento si è prodotto in tutti gli ordinamenti in cui vi sono dei servers collegabili al sito in questione: molti ordinamenti, infatti, seguono la ubiquitattheorie, o teoria dell'ubiquità , in relazione ala quale, si considera indifferentemente come luogo del fatto sia quello dell'azione che quello dell'omissione, che quello dell'evento. Ad ogni modo, il luogo in cui si trova il server contenente i dati illeciti basterebbe ad individuare il locus commissi delicti, essendo luogo dell'azione o, secondo l'altra costruzione, luogo dell'evento.

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Il giudice penale competente avrà poi giurisdizione anche in relazione al risarcimento danni derivanti dal reato. Sotto il profilo della responsabilità civile da fatto illecito (costituente o meno reato), la convenzione di Bruxelles (art. 5 co. 3), richiamata dall'art. 3 della legge n. 218/95 (recante la riforma del diritto internazionale privato), prevede che il giudice competente a conoscere degli illeciti ex delicto sia, in alternativa al giudice del domicilio del convenuto, il giudice del luogo in cui il fatto dannoso è avvenuto: nel nostro caso, il luogo dovrebbe essere sia quello di uploading (ossia di immissione del messaggio in rete) sia il luogo di downloading, ove si verifica l'evento lesivo, con la conseguenza che ad un'unica immissione possono corrispondere più eventi dannosi localizzati in diversi paesi (MAGNI-SPOLIDORO, 82) (in tal senso pure l'art. 62 in tema di lesione ai diritti della personalità ). Come è stato ben detto (CERINA, 371), peraltro, ciò importa la possibilità di azioni risarcitorie in vari paesi per le varie frazioni di danno in ciascuno di essi verificatesi, per quanto il danneggiato (ad esempio il diffamato) cercherà di concentrare le azioni n per ottenere un unico risarcimento, e adirà il giudice del domicilio del reus (salvo che questi si trovi in paesi permissivi). Si sono peraltro sottolineate incertezze in tema di responsabilità civile, ove la competenza è affermata talora in favore del giudice del luogo in cui si è verificato il fatto dannoso o si trova la residenza o il domicilio della parte debole del rapporto (art. 14 d.lgs. 185/99 relativo alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza) e altre volte in favore del giudice in cui ha sede il fornitore del servizio di cui all'art.3 della direttiva in materia di e-commerce (così SEMINARA, 2000, 479, nota 40). In materia peraltro, la proposta di regolamento del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale nonché il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale del 14.7.99 agli articoli 15 e 16 riconosce (in alternativa al foro del domicilio del convenuto) la competenza giurisdizionale del paese in cui il consumatore ha il proprio domicilio qualora il fornitore di beni o servizi svolga la sua attività nel paese medesimo, ovvero l'attività sia rivolta con qualsiasi mezzo verso questo Stato o verso un gruppo di paesi comprendenti questo Stato (v. LENER, 2000b, 385); la disciplina precisa nei considerando che la commercializzazione di beni e servizi con mezzi di comunicazione accessibili in un determinato Stato membro costituisce un'attività rivolta verso il territorio di quest'ultimo, il consumatore, ove sia domiciliato in questo Stato, deve beneficiare della tutela garantita dal regolamento qualora, dl proprio domicilio, sottoscriva un contratto di consumo con mezzi di comunicazione elettronica. Sull'argomento, peraltro si è osservato (BURANI, 363) che il sito internet è paragonabile ad un negozio ove la merce è a disposizione del pubblico che ha ogni libertà di scelta esclusa quella di imporre al venditore la legge del proprio paese, in quanto altrimenti il legislatore si troverebbe a confronto con un'inammissibile pluralità di legislazioni: il problema, proposto con riferimento alla suddetta proposta di direttiva e quindi in materia civile, propone peraltro obiezioni riferibili anche alla materia penale, essendo assai gravoso per l'intermediario imporgli oneri (con rischi penali correlativi) di conoscenza di tutte le legislazioni del mondo ove internet è accessibile. Sotto il profilo strettamente penalistico, in Italia, l'art. 6 cod. pen. fornisce il criterio guida per l'individuazione della giurisdizione italiana in linea generale, affermandola ove sia avvenuta in tutto o in parte la condotta che costituisce il reato, sia ove si sia verificato l'evento che ne è la conseguenza. Come è noto, parte dell'azione od omissione può essere anche minima, costituita da atti di per sé non autonomamente punibili, e non integranti neppure da soli gli estremi del tentativo, co un'ulteriore effetto estensivo nel caso di concorso di persone nel reato: qui basta un qualsiasi frammento di contributo, anche atipico, di uno solo dei partecipi,

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realizzato nel territorio dello Stato, per fondare l'applicabilità della legge penale italiana e la relativa giurisdizione nei confronti dell'intero fatto di reato a dunque anche di tutti i concorrenti (PICOTTI, 327). Il principio ha trovato applicazione giurisprudenziale in Germania nel famoso caso Compuserve (sentenza dell'Amtsgericht Munchen, 28. 5 98, Felix Somm, in Multimedia und Recht, 1998, 429 ss.), ove si è ritenuta la giurisdizione tedesca (dello stato in cui operava in rete la società figlia) nonostante il fatto che l'immissione dei dati illeciti (contenente materiale pornografico e propaganda neonazista) fosse fatta sul server canadese e poi su servers olandesi dalla società madre residente negli Usa. Ciò comporta una situazione particolare, in quanto ciascuno Stato può assoggettare alla propria giurisdizione fatti cui attribuisce rilevanza penale, benché per il Paese nel quale risiede l'operatore del sito o il fornitore di accesso o si trova il server il fatto sia penalmente indifferente (CERINA, 374): come è stato detto (BIEGEL, citato da CERINA, loc.cit.), "Cyberspace doesn't belong to a single country, but to a whole range of countries with diverse legal concepts". Più complesso il caso della sollecitazione all'investimento. Quest'ultimo è oggi un mero illecito amministrativo, sottoposto come tale al principio di piena territorialità : questo spiega le riserve avanzate (SEMINARA; 2000, 477) circa la possibilità che i criteri sulla base dei quali la Co.n.so.b. ritiene di qualificare il fatto come avvenuto in Italia possano produrre effetti cogenti sulle regole di accertamento della competenza italiana: il problema si pone così per il caso in cui l'agente opera all'estero e all'estero è collegato il server al quale egli accede sebbene, in conformità delle caratteristiche di internet, il messaggio risulta comunque accessibile anche in Italia. L'autorità di vigilanza, del resto, non ha il potere di ottenere la cancellazione dei messaggi illeciti in rete in assenza della collaborazione dei providers e risultando anche questi ultimi incapaci di impedire in via ulteriore l'ulteriore circolazione dei testi (SEMINARA, 2000, 480); la struttura intrinsecamente resistente a qualsiasi forma di controllo dei procedimenti di routing di internet -coerente con le sue origini (Internet è derivato dal sistema Darpanet del 1969 di difesa militare americana per il caso di attacco atomico e non è stato progettato in forma gerarchica, ma presenta computers in grado di selezionare automaticamente collegamenti alternativi quando si sia verificata un'interruzione in uno qualsiasi dei vari nodi della rete)- tende a privare di effetto qualsiasi misura a base puramente nazionale e costringono a ricercare soluzioni globali sul piano internazionale (SIEBER, 745). Lo stesso Gafi, nel Reporto on money laundering typologies 1999-2000, ha evidenziato che la natura di Internet è tale (par. 12 del Report) che un singolo paese può avere difficoltà concrete, se non trovarsi nell'impossibilità , per proibire ai propri cittadini di aprire conti attraverso internet con intermediari che offrono tali servizi on line da luoghi oltre i confini nazionali. Peraltro, il potere di impedire il reato e la protrazione delle sue conseguenze attribuito all'autorità giudiziaria non potrebbe praticamente estendersi fino ad oscurare il sito, e ciò in quanto, nel caso in cui il sito si appoggi a servers esteri, la giurisdizione itliana non può ovviamente incidere verso i servers esteri, mentre nei confronti dei servers italiani che riproducono il flusso telematico nessun provvedimento concreto può ritenersi utile data la stessa natura di internet e la struttura capillare della rete. Analoghe problematiche si pongono per i reati di accesso abusivo ad attività riservate, realizzato attraverso l'operatività transfrontaliera da un sito internet situato all'estero e accessibile dall'Italia, ove però i criteri di collegamento del sito con l'ordinamento italiano

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sono ricercati dal giudice chiamato ad applicare le norme, e ciò a prescindere dalle opzioni interpretative manifestate dalla Co.n.so.b. o in genere dall'autorità di vigilanza. Non si registrano peraltro pronunce allo stato, né interventi delle autorità di vigilanza. Qui potrebbe peraltro astrattamente dubitarsi della tipicità della fattispecie, ma ogni dubbio viene meno ove si consideri che non si rimette all'arbitraria interpretazine del giudice italiano la configurazione del fatto e la sua conseguente punibilità , ma si parla di un mero mezzo di perpetrazione di un reato già definito in tutti i suoi elementi costitutivi. In dottrina, sull'argomento, si è perciò sottolineata (SEMINARA, 2000, 479) la drastica alternativa tra una rigorosa applicazione del principio di stretta territorialità e un'integrale applicazione del principio di universalità della legge, il primo conduce all'impunità di chiunque diffonde messaggi in rete ponendosi al riparo delle più tolleranti leggi del paese in cui agisce, il secondo sostituisce all'anarchia di internet un'anarchia del diritto, rendendo un medesimo fatto soggetto alle sanzioni dei vari ordinamenti che pretendono, tutti insieme, di affermare la propria competenza anche per l'immissione in rete di proposte di investimento avvenute nel più lontano Stato di un diverso continente. Il problema è anche sostanziale, peraltro, in quanto -secondo la tesi che riconosce la giurisdizione dello Stato ospitante- potrebbe trovare applicazione la legge pernale italiana anche per fatti che nel paese d'origine dell'intermediario non sono illeciti. Da ciò l'inadeguatezza degli ordinamenti nazionali a fronteggiare la società aperta creata da internet e il bisogno di cooperazione giudiziaria internazionale e armonizzazione dei diritti punitivi. Tale seconda opzione interpretativa comporta non l'assenza di regole, ma al contrario (PICOTTI, 326; MAGNI-SPOLIDORO, 76) impedisce di considerare Internet spazio libero dal diritto e importa la moltiplicazione degli ordinamenti che possono perseguire -secondo le proprie norme- un determinato fatto penalmente rilevante commesso in Internet. Il problema allora, come osservato acutamente (PICOTTI, 333) si trasforma da quello di fondare l'applicazione della legge penale nazionale e la giurisdizione di ogni singolo Stato titolare di un bene giuridico offeso, a quello inverso di ridurre -a livello di regolamentazione internazionale- l'inevitabile sovrapposizione ed interferenza delle diverse leggi nazionali, che si riscontra in assenza di un ne bis in idem internazionale: il rischio dunque è sia quello della molteplicità dei giudicati che quello della loro contraddittorietà (MAGNI-SPOLIDORO, 83). Così, ad esempio, si è richiamata l'esigenza di proporzione della sanzione rispetto alla complessiva dimensione transnazionale del fatto, tenendo conto di altre sanzioni inflitte e del solo danno concretamente manifestatosi all'interno del singolo territorio statale. Si richiama al riguardo la sentenza Shevill della Corte Europea 7.3.95 (in Dir. Inf. 1995, 823 ss., con nota di DELI), che -riprendendo un principio affermato in tema di danni da inquinamento trasfrontaliero delle acque del Reno- ha affermato la competenza dei giudico del luogo di diffusione di uno stampato pubblicato all'estero la competenza a conoscere della (sola) porzione di danno subita all'interno del territorio, e la sentenza Playboy (U.S. District Court Southern District of New York, 19.6.96, in un caso di pubblicazione in Italia di sito con uso di marchio decettivo, ove la Corte ha ritenuto avere giurisdizione sul caso (per proibire l'accesso al sito nei confronti degli americani) -pur non avendo giurisdizione per ordinare la chiusura del sito in Italia- limitando la condanna al pagamento delle somme percepite per abbonamenti di utenti americani ed all'obbligo di rifiutare qualsiasi richiesta di abbonamento provenente dagli Stati Uniti. Vi sono poi delle affermazioni del principio di territorialità , come nel caso della divulgazione di materiale pedo-pornografico per via telematica per opera, in concorso o in danno di cittadino italiano ex art. 600 ter cod. pen., ovvero nel caso di aggiotaggio ed insider trading, puniti in Italia (183 t.u.) secondo la legge italiana anche se commessi

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all'estero, quando attengano a strumenti finanziari negoziati presso mercati regolamentati italiani. Tali norme devono essere lette in relazione all'art. 6 cod.pen., essendo destinata a rilevare per i casi in cui l'azione si sia verificata per intero all'estero: ad es. divulgazione di notizie false all'estero, per operazioni sui mercati regolamentati esteri ovvero anche per operazioni sui mercati italiani non regolamentati; ad es. insider che si avvale di intermediari -anche italiani- che operano all'estero (vedi altresì MEGLIANI, 1047) Con riferimento alla territorialità dei reati fiscali, dispone l'art. 18 del decreto 74/00 quanto segue (CHIEPPA, 7169, per le questioni di diritto transitorio). E' competente il giudice del luogo in cui il reato è stato consumato, secondo la regola generale di cui all'art. 8 cod. proc. pen.; se la contestazione non può avvenire in base a tale principio, è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. Per i delitti legati alla dichiarazione ed alle violazioni commesse nell'ambito delle rilevazioni delle scritture contabili e nel bilancio, il reato si considera consumato non più nel luogo di presentazione delle dichiarazioni ma nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. Oggi che la dichiarazione è presentabile telematicamente, la nuova norma ha voluto evitare la possibilità di scelta del giudice attraverso al scelta del luogo da cui inoltrare la dichiarazione, sia la concentrazione della competenza in Roma, ove confluiscono tutte le dichiarazioni (CICCIA, 45). Se il domicilio fiscale è all'estero, è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. Con riferimento all'emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, se questi sono stati emessi o rilasciati in luoghi rientranti in diversi circondari, è competente il giudice di uno di tali luoghi in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo ad iscrivere la notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen. L'autorità giudiziaria italiana potrà dunque occuparsi frequentemente di fatti che presentano collegamenti con ordinamenti giuridici stranieri e che richiedono pertanto la cooperazione internazionale. Al riguardo, peraltro, occorre rilevare che la materia dei reati fiscali assume rilievo particolare in considerazione delle limitazioni esistenti alla cooperazione internazionale: la stessa CEAG ed alte convenzioni, in linea generale, prevedono che la rogatoria può essere rifiutata se la domanda si riferisce a reati politici (considerati tali dalla parte rogata) o fiscali o se la parte rogata teme un pregiudizio per la propria sovranità ; invece il reato (già detto) di frode fiscale: non è escluso da rogatorie non avendo natura fiscale (IELO, 9, nota 38). L'INDIVIDUAZIONE DELL'OPERATORE ON LINE E LA RESPONSABILITA' DEL PROVIDER. L'autore di un messaggio in rete è individuabile, pur se varie difficoltà possono in concreto frapporsi all'attività degli investigatori. Intanto, i siti su internet possono essere identificati in due modi: attraverso il nome (il top level domain, che individua il territorio o l'attività di attività , e i doami name di livelli

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ulteriori) che allo stesso è assegnato dall'autorità di naming (la Internet Assisgned Numbers Authority situato presso la Southern California University, che ha poi delegato ad altre organizzazioni internazionali - la Reseaux IP Europenne per l'Europa,- la gestione dell'attività di naming per ciascun individuato territorio); l'identificazione poi può avvenire attaverso l'indirizzo Internet Protocol (IP), insieme di numeri di 32 bit con il valore decimale dei quattro bytes che la compongono-. VI è un unico indirizzo Ip per ciascun host sulla rete, e ciascun dominio corrisponde ad un solo indirizzo IP. Il sito internet dunque è un'entità , pur virtuale, ma comunque individuabile. Ci sono banche dati presso il NIC (cfr. www.nic.it) o Authority analoghe che indicano sia in Italia che all'estero chi sia il prorpietario del sito, chi ha registrato il dominio e su quale server si trova il dominio. Il provider ospita fisicamente il sito ed opera come interfaccia con i registrants (ossia le aziende autorizzate a registrare i domini) ed i manteiners (ossia le aziende sui cui servers sono "mantenuti" i DNS che legano un indirizzo IP con un dominio. Vero è peraltro che la comunicazione telematica consente accesso a siti ubicati in parti diverse del mondo e corrispondenti a diversi domini, mentre il protocollo Http consente di effettuare ipertesti con pagine web diverse, collegate tra loro attraverso links e frames, cosicché in concreto può risultare difficile l'individuazione del luogo di partenza di un'informazione, non essendo questo unico. Il flusso elettronico poi può compiere percorsi vari e non predeterminabili, con conseguenti ulteriori difficoltà : si aggiunga peraltro che alcuni server offrono servizi anonymizer o remailer, in grado di impedire la ricostruzione della provenienza del flusso informativo. Una volta individuato il server host, occorre poi risalire all'autore del contenuto illecito immesso in rete, ricostruendo la comunicazione telematica effettuata. L'individuazione dell'autore è poi possibile ove sia stato individuato il sito, trovando applicazione nell'ordinamento italiano le norme del favoreggiamento, ma ciò ove in concreto il server mantenga traccia dei percorsi telematici passati su di esso. Non è detto però che analoghe norme esistano in altri ordinamenti, con la conseguente possibilità (evidenziata da RICCIO, 318) che i soggetti che operino in regimi più tolleranti offrano ai loro utenti, tra gli altri servizi, anche quello di un'ospitalità anonima, appetito da coloro che vogliono compiere in rete illeciti. Al riguardo, deve poi rilevarsi che l'art. 15 della proposta modificata di direttiva dell'1.9.99 sulla responsabilità dei providers, -che prevede l'obbligo per il provider di informare l'autorità pubblica di attività o informazioni presunte illecite e quello di comunicare, su ordine dell'autorità giudiziaria, gli elementi che consentano di identificare l'autore dell'immissione- è oggetto di possibile riserva da parte degli Stati, con previsione che finisce così -nei casi di attivazione della riserva- per coprire l'anonimato in rete. Resta fermo comunque inmateria l'impegno della comunità internazionale per migliorare la sicurezza delle reti incrementando la cooperazione anche nel settore della localizzazione e dell'identificazione degli autori di reati commessi attraverso l'uso delle reti (sul punto, l'incontro del G( a Parigi del 16 maggio 2000). Quanto alla posizione del provider, è discusso in dottrina se sia configurabile o meno la responsabilità dello stesso: così posto, il problema è generico, occorrendo differenziare le varie figure di providers (SIEBER, 758 ss.). Bisogna intanto distinguere preliminarmente la figura del c.d. content provider dal service provider: il primo è il fornitore di contenuti, ossia l'autore dei dati immessi in rete (es. il creatore di una banca dati, l'editore che offre in internet parte del materiale pubblicato sulla

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sua rivista cartacea; no deve essere un operatore professionale, posti che la rete offre a chiunque la possibilità di creare una pagina web o un newsgroup. L'internet service provider (ISP) è invece il soggetto che tecnicamente offre ai suoi utenti la possibilità di accesso alla rete tramite il proprio server Le due figure poi possono coincidere, ove il service provider offra anche contenuti. Altre volte ancora, il provider non offre contenuti, ma può influire sul contenuto dei dati inviati da terzi, come avviene nel caso dei newsgroups e delle maillists moderate dal provider. Altre volte il provider si limita a mettere a disposizione il Gateway ossia l'accesso alla rete, ovvero a fornire un sistema di Hosting, ossia di messa a disposizione sul proprio server di uno spazio telematico, o consente aglu utenti di colloquiare in tempo reale tra di loro (chat room operatore), o infine -come nel proxy-cache-server- nel mero trasporto tecnico dei dati (i proxy registrano le pagine più frequentemente consultate dai surfers e i relativi aggiornamenti, in modo che in futuro l'utente possa accedere ad essi senza doversi ricollegare con il sito -magari lontano- effettivo), senza possibilità di influire sugli stessi. Ora la responsabilità penale del provider può essere affermata solo nel caso di content provider; in misura più circoscritta può gravare la responsabilità per la composizione contenutistico redazionale di esternazione altrui, come nei newsgroups moderati o nelle maillists moderate, limitatamente alla diligenza esigibile (SIEBER, 776; cfr. pure RISTUCCIA-TUFARELLI, 6), mentre non dovrebbe essere richiesto al moderatore un esame dettagliato degli scritti altrui, ma solo un dovere di controllo di macroscopici illeciti in documenti a lui inviati. Per quanto riguarda invece gli altri casi, da un lato, si può rilevare che la condotta del provider è eziologicamente essenziale per la produzione di eventi lesivi in ordine ai quali il provider accetta il rischio della produzione. Sotto altro profilo, peraltro, non può non rilevarsi che il provider ha un mero ruolo di intermediazione tecnica, restando estraneo al contenuto dei messaggi inviati in rete, onde nessuna responsabilità penale dello stesso potrebbe affermarsi (così come nessun ipotizza la corresponsabilità delle compagnie di telefonia fissa o mobile per i messaggi illeciti inviati sulla rete). Il problema è stato affrontato in giurisprudenza (per una rassegna della stessa, vedi MAGNI-SPOLIDORI, 75 ss.), ed in particolare da tre pronunce. Nel caso Compuserve del 1991, società gestore di sito sul quale erano transitati messaggi illeciti, il giudice americano ha ritenuto che la situazione del provider non fosse paragonabile a quella dell'editore (che è legalmente tenuto al controllo del materiale pubblicato), ma piuttosto a quella del libraio, cui sarebbe irragionevole imporre l'onere i esaminare il contenuto di ogni singolo libro venduto nel suo negozio. Nel caso CBS '60 minutes del 1992, il principio è stato specificato, precisandosi che l'irresponsabilità trova limite nella colpa grave o nella mala fede del provider. Infine, nel caso Prodigy services, la pronuncia della Supreme Court of New York del 10.3.95 ha stabilitola responsabilità di un gestore di una bacheca elettronica per diffamazione di una società di intermediazione in valori mobiliari in quanto il provider aveva esercitato veri e propri poteri editoriali, adottando delle content guidelines in base alle quali sarebbe stato possibile eliminare i messaggi diffamatori dal sito, applicando un automatic software screening per la ricerca delle frasi offensive, ed adibendo allo scopo apposito personale: in tal caso, si è argomentato, il provider ha assunto un ruolo particolare, che proprio per l'interferenza nel libero inserimento di messaggi da parte di terzi, lo espone a peculiari responsabilità . La soluzione peraltro è stata oggetto di critiche (MAGNI-SPOLIDORI, 76), in considerazione delle conseguenze paradossali che comporta, invitando i providers, al fine di escludere la propria responsabilità , a non effettuare alcun controllo degli incoming messages e a dare la massima pubblicità a questa scelta.In altri termini, il fatto che il provider controlli il contenuto dei messaggi inviati sul

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suo server è assunzione di rischio, ovvero è tale il fatto di astenersi da ogni sorveglianza? O, più a monte, deve escludersi un'assunzione di rischio ai fini penali e civili in ogni caso? In Italia, si segnala l'ordinanza Tribunale di Cuneo 23.6.97, Milano Finanza editori s.p.a. c. STB servizi telematici di Borsa (in Giur. piemontese 1997, 493), che ha escluso la responsabilità della violazione del diritto d'autore compiuta dal fornitore di informazioni per il provider che si sia limitato ad offrire l'accesso alla rete nonché lo spazio sul proprio server per la pubblicazione dei servizi informativi. Esistono peraltro dei siti che offrono ai propri clienti un servizio di anonimato: il problema che può porsi è qui quello dell'implicita assunzione di responsabilità da parte del provider su base volontaria (MAGNI-SPOLIDORI, 77), anche se la stessa dovrebbe escludersi in considerazione dei disclaimers contenuti nel sito del provider. I disclaimer sono dichiarazioni solitamente inserite nella home page da parte del provider con la quale si ammonisce l'utente circa i contenuti del sito o gli si chiede di approvare l'esonero da responsabilità del provider per qualunque danno consegua dall'accesso al sito o si inibisce l'accesso a determinati soggetti (es. minori, soggetti provenienti da determinare aree geografiche, ecc.). Ora, in linea generale, i diclaimers pongono diversi problemi, connessi con la non conoscibilità degli stessi ricollegata all'automatico superamento della home page che li contiene consentito dai links, ovvero alla lingua nella quale sono espressi, o infine al valore giuridico delle clausole di esonero da responsabilità secondo l'ordinamento del paese del surfer (nel quale eventualmente si verificherà il danno). E' pure dubbio che sia pur ai limitati fini dell'esclusione di un'assunzione implicita di responsabilità per l'anonimato garantito al cliente il disclaimer possa rilevare, quanto meno nei casi in cui debba trovare applicazione la normativa penale (che impedisce che l'esclusione di responsabilità possa ricollegarsi a dichiarazioni del reus ove la condotta volontaria di riproduzione in rete dei messaggi sia eziologicamente collegata con l'evento vietato). Così dovrebbe essere anche per la configurabilità di reati in alcuni territori, sebbene il disclaimer escluda l'accesso di soggetti di quel paese: così non escluder ebbe la responsabilità penale del content-provider per diffusione in Italia di materiale di pedofilia la dichiarazione che il sito non sia destinato a cittadini italiani, i quanto resti l'accessibilità del sito dall'Italia. In altri termini, il disclaimer di per sé dovrebbe essere irrilevante per escludere la responsabilità penale. Rimane però il fatto che occorre pur sempre evidenziare i casi in cui tale responsabilità penale del provider possa essere configurata. Al riguardo, occorre considerare che le pagine web infatti non sono sui servers dei providers e che l'Isp ha solo il potere di consentire l'accesso alle pagine web senza poter incidere sui contenuti, onde la posizione difficilmente è equiparabile a quella dell'editore o dell'emittente televisiva o radiofonica (in tal senso, altresì PICA, 2000, 559), fermo restando il divieto di applicazione analogica delle norme in materia penale. Correlativamente, in linea generale dovrebbe esser esclusa la responsabilità dell'ISP -che non sia content provider o moderatore-, mentre questa potrebbe affermarsi solo ove vi sia uno specifico obbligo di attivarsi per controllare il contenuto dei messaggi in rete, e dunque una posizione di garanzia del soggetto: questa non appare ravvisabile nell'ambito dell'intermediazione finanziaria, ma al più in altri settori (ad esempio la pedofilia in rete) ove si sono specifiche disposizioni normative che, in ossequio al principio di legalità vigente in materia penale, prevedano espressamente obblighi in capo ai gestori (per la configurazione della responsabilità in materia di violazione di copyright in Gran Bretagna, STRANO, 279; per la responsabilità sulla bade della direttiva sull'e-commerce 2000/31/CE, MONTI). La prima disciplina europea in materia è posta dalla legge tedesca 22.7.97, che stabilisce la responsabilità dei fornitori di servizi di informazione e comunicazione per i materiali

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propri da essi resi disponibili, la responsabilità per i materiali altrui da essi resi disponibili solo se hanno conoscenza dei loro contenuti e sia tecnicamente possibile ed esigibile impedirne la disponibilità , l'irresponsabilità dei fornitori del solo accesso, l'obbligo di impedimento della disponibilità dei materiali ove una chiusura sia tecnicamente possibile ed esigibile (in tema, SEMINARA, 1998, 759). Anche in dottrina, si è osservato (SIEBER, 783), che ove siano configurabili specifici doveri di controllo e di sorveglianza, essi devono essere ristretti sulla base dell'esigibilità giuridica tecnico ed economica. Così, in ogni caso (SIEBER, 750) dovrebbe escludersi un controllo dei documenti e messaggi in rete, sia per ragioni tecniche (collegate alla possibilità di cifrare i messaggi, nonché sotto altro profilo alla "stupidità" e quindi insufficienza dei controlli automatici: SEMINARA, 1998, 756), che economiche (non è pensabile un sistema di controllo di infiniti messaggi: cfr. pure RISTUCCIA-TUFARELLI, 6; PICA, 1999, 264), sia per ragioni giuridiche: così, essendo tutelata la segretezza della corrispondenza, nel nostro ordinamento a livello costituzionale,e con specifico riferimento alle comunicazioni telematiche, tutelate dalla legge c.d. Conso 547/93 ex art. 616 cod. pen., deve escludersi l'obbligo e la stessa possibilità per il provider di controllare il contenuto della posta elettronica (sul punto, RISTUCCIA-TUFARELLI, 5; DALL'OMO; SEMINARA, 1998, 757), e ciò quand'anche la stessa sia diretta ad una quantità enorme ed indifferenziata di soggetti, come avviene nello spamming (l'invio indiscriminato di posta elettronica). Si è così da altri rilevato (SAMMARCO, 83), che il fornitore di mero accesso alla rete non potrebbe essere ritenuto responsabile della violazione di una privativa di terzi (essendo di difficile verifica il rispetto delle norme in materia, non essendovi una banca dati on line di marchi registrati), mentre potrebbe profilarsi una sua responsabilità nel consentire ad un minorenne l'accesso alla rete, atteso che in questo caso verrebbe meno ad uno specifico dovere di controllo (escludono in ogni caso l'onere del provider di effettuare controlli della correttezza dell'informazoine pubblicata presso banche dati altrui altresì RISTUCCIA -TUFARELLI, 4, che peraltro sottolineano come la navigazione in rete attraverso i siti opera in mdo non preventivabile -e dunque non controllabile-dal provider di accesso ). Analogo discorso va fatto per i profili del concorso o del favoreggiamento correlato all'assenza di strumenti di identificazione dei surfers, ovvero di riconoscimento della provenienza dei messaggi, ovvero di registrazione degli indirizzi seguiti dai flussi telematici: qui infatti non risultano specifici obblighi allo stato nel sistema italiano, e la responsabilità potrebbe fondarsi solo su tali obblighi. In materia civile, invece, la responsabilità del provider può fondarsi sui principi generali desunti anche implicitamente dall'ordinamento, ove tali principi pongano in una posizione di garanzia il provider: In tal senso l'orientamento della giurisprudenza nel caso Lacoste deciso dal Tribunal de Grand Instance di Nanterre l'8.12.99: la pronuncia infatti (in Dir. inf. 2000, 307, con nota critica di RICCIO) ha affermato che il fornitore di ospitalità , a differenza del fornitore di accesso, effettua una prestazione duratura di stoccaggio delle informazioni, che pertanto grava sulla sua posizione un obbligo generale di prudenza e di diligenza che si risolve in un controllo dei dati diffusi attraverso l'utilizzo di motori di ricerca funzionanti con parole chiave, e che inoltre non può, nei confronti dei fruitori del servizio di allocazione, limitarsi a chiedere un indirizzo di posta elettronica, dovendo accertare effettivamente la loro attività , onde la responsabilità del provider va valutata secondo il diritto comune. Analogo richiamo alla diligenza professionale e correttezza nella gestione dei servizi informativi può trovare applicazione in Italia sulla base del principio del neminem laedere ex art. 2043 cod. civ. (RISTUCCIA-TUFARELLI, 4). Restano peraltro da chiarire, ove sia accolta siffatta impostazione, il tipo di controllo che in concreto deve essere operato dal provider, la frequenza dello stesso, gli illeciti da

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prevenire, le parole chiave da utilizzare per il controllo (RICCIO, 327), onde anche in tale ambito, in difetto di un intervento normativo espresso in materia, la fattispecie di responsabilità del provider appare, pur con le precisazioni creative della giurisprudenza- ancora molto sfumata e dai contorni incerti (per un caso di uso di parola chiave improprio, SEMINARA, 1998, 756, che ricorda che America on line ha bloccato, usando come key la parola "seno" oltre ad alcuni siti pronografini anche siti di ricerca sul cancro al seno). Altri (PICA, 1999, 245) ha evidenziato l'illegittimità (argomentazione in vero che a mio parere dovrebbe valere solo per le comunicazioni, e dunque per le e-mail o le chat line, e non invece per i siti web) di un controllo delle comunicazioni telematiche altrui da parte del SysOp (operatore di sistema), e, ricordando la censura che il sito Prodigy effettuava secondo un noto caso giudiziario, ha sottolineato che il provider anche volendo non potrebbe giuridicamente effettuare alcun controllo (anzi l'essere operatore di sistema è aggravante specificamene prevista nel reato di violazione della comunicazione), ed ha in sintesi affermato che il provider è e deve restare un mero intermediario tecnico. Sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato, poi, si è detto (GROSSO, intervista a la Repubblica 1.10.00 richiamata da MONTI) che a fondare la responsabilità penale del provider è necessario di norma il dolo, non essendo agevole provare che un provider è consapevole di ciò che è transitato sul suo server. Sul tema, deve peraltro rilevarsi che in Germania la conoscenza del contenuto illecito del sito ospitato si interpreta come effettiva e non sempicemente potenziale, escludendosi così il dolo eventuale (SEMINARA, 1998, 761). Si può poi dubitare dell'attribuibilità in via interpretativa al provider di una responsabilità penale per concorso nella diffusione di materiali illeciti da terzi immessi sul server da lui gestito, salvo solo il caso della previa consapevolezza dell'altrui intenzione di commettere uno specifico reato e della dolosa intenzione di agevolarne la realizzazione (come nel caso di amteriali specifici di contenuto immediatamente riconoscibile come antigiuridico): nell'ordinamento giuridico italiano, infatti, negli altri casi la responsabilità , che presupporrebbe l'applicazione dell'art. 40 cod. pen. e postulerebbe il relativo l'obbligo giuridico di impedire l'evento, non potrebbe configurarsi in considerazione del fatto che la divulgazione dei dati sui servers non è elemento di fattispecie strutturata in senso causale -come quella ex art. 40- ma mera condotta, e in considerazione altresì del fatto che la posizione di controllo ex art. 40 è configurabile secondo la miglior dottrina solo in relazione alla tutela di beni primari come la vita e la incolumità fisica, e non per i beni tutelati dalle norme finanziarie (l'osservazione è di SEMINARA, 1998, 765). Ad ogni modo, la comunità internazionale si sta orientando verso l'autoregolamentazione dei providers (per una rassegna dei principali interventi, incluso quello italiano, SEMINARA, 1998, 752): si tratta peraltro di uno strumento destinato ad operare per i casi più eclatanti (es. pedofilia) e non invece per i casi di difficile accertamento es. reati finanziari, riciclaggio), ai quali non si riferiscono gli interventi comunitari. La responsabilità degli operatori è presa in considerazione dalla proposta modificata di direttiva dell'1.9.99 che, applicando principi già espressi in altro paese con il Digital Millennium copryright act del 1998, prevede che colui che presta un servizio consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un altro soggetto non ne è responsabile, a condizione che non sia a conoscenza che l'attività sia illecita o non sia al corrente di fatti o circostanze in base ai quali la illegalità è apparente o, non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per ritirare le informazioni o per rendere impossibile l'accesso (art.14). Al riguardo, si è rilevato (RICCIO, 317) che la norma non specifica il soggetto da

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cui deve provenire l'informativa sul'illiceità dell'attività e se esso possa essere un privato o debba essere l'autorità giurisdizionale (il cui intervento è previsto dallo stesso articolo come idoneo, ove consentito nell'ambito degli ordinamenti nazionali, a imporre al fornitore di accesso l'obbligo di intervenire per impedire o far cessare l'illecito), per quanto quest'ultima soluzione dovrebbe imporsi per l'esigenza di evitare l'attribuzione di poteri censori al provider (sui rischi relativi, PICA, 1999, 242). L'art. 15 esclude poi un obbligo di sorveglianza generale a carico dei providers o un obbligo di ricerca di fatti illeciti, ma prevede l'obbligo di informare l'autorità pubblica di attività o informazioni presunte illecite e quello di comunicare, su ordine dell'autorità giudiziaria, gli elementi che consentano di identificare l'autore dell'immissione. Tale ultima norma, peraltro, è oggetto di possibile riserva da parte degli Stati, con previsione che finisce così per coprire l'anonimato in rete. Sull'argomento, occorre infine rilevare che in sede di Consiglio d'Europa, è allo studio un testo (trattato internazionale sulla criminalità nel cyberspazio, presentato il 27.4.00) che prevede obblighi di conservazione a carico dei providers, anche se la norma è posta in relazione non già alla ricostruzione dei reati c.d. comuni ma in relazione ai reati di criminalità informatica (sul tema, SIROTTI GAUDENZI, 2). Nello specifico settore finanziario, poi, altri hanno ritenuto evincibile dai principi generali che i providers, seppure non soggetti ai tradizionali poteri di vigilanza, siano portatori di obblighi informativi nei confronti delle autorità di vigilanza in relazione ai dati in loro possesso (RABITTI BEDOGNI, 2000, 423). Quanto ai provvedimenti ottenibili per chiudere l'accesso a contenuti illeciti, si è rilevato che il provider può cancellare i dati illeciti dal proprio server ma non è i condizione di precludere la'ccesso su altri seervers, e che non è ipotizzabile e sarebbe sproporzionato un obbligo di chiudere l'intera connessione alla rete agendo sull'indirizzo IP, trattandosi di misura non risolutiva e interfernete con posizioni di terzi (SEMINARA, 1998, 758 ss.). L'esperienza pratica del caso Compuserve del 1998 (ove furono chiusi 282 gruppi di discussione illeciti in Germania) ha dimostrato del resto che le misure adottate -nei confronti dell'indirizzo di rete- non hanno impedito l'accesso ai dati da altri servers e hanno anzi fatto pubblicità ai contenuti del sito illecito (SEMINARA, ibidem). GLI STRUMENTI DI INDAGINE E LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE. Un'indagine che può dare risultati è quello del controllo accuratissimo delle fonti di spesa e dei giustificativi di pagamento della società operante in Italia, per verificare l'eventuale formazione di riserve occulte o di trasferimenti di disponibilità all'estero. L'indagine contabile sarà possibile specie nelle imprese medio-piccole; utili sono i controlli incrociati nella contabilità di soggetti (es. fornitori, clienti) con cui la società viene in contatto, ove possibili: sarà possibile scoprire così che una fattura non incassata in effetti è stata

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regolarmente pagata, oppure che non è stata pagata la fattura passiva che invece risulta essere stata pagata. L'indagine bancaria consente di evidenziare -specie se raffrontata alla contabilità aziendale- i reali movimenti finanziari della società ; occorre far leva sui reati societari per colpire i reati ulteriori (IELO, 3). Le indagini possono utilmente essere accompagnate da intercettazioni telefoniche di persone che possono essere a conoscenza dei pagamenti effettuati, o da interrogatori di persone informate non portatori di interessi contrastanti all'indagine) (MARTINETTO-BRUSCO, 50), da esame di eventuale documentazione (per le indagini tributarie, TINTI,, 409 ss.) (per un quadro di tecniche di indagine, MARIELLA, 579). Nel caso di indagine bancaria, particolare importanza può avere l'acquisizione del c.d. fascicolo di direzione, che fornisce dati notevoli sulla clientela proprio per la sua non ufficialità (DRIGANI, 1996, 269). Le tecnologie dell'informazione e comunicazione (ICT- information and communication tecnology)arricchiscono l'attività investigativa anche sotto altro profilo, fornendo direttamente nuovi strumenti di ricerca della prova, cui l'ordinamento oggi attribuisce rilevanza giuridica processuale: l'art. 266-bis c.p.p. (introdotto dall'art. 11 della l. 23.12.93 n. 547) prevede che "nei procedimenti relativi ai reati indicati nell'art. 266, nonché a quelli commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche, è consentita l'intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi". Le intercettazioni informatiche o telematiche, in particolare, si pongono come strumento essenziale per la ricerca della prova nei reati c.d. informatici (nei quali il computer è il mezzo attraverso il quale è commesso il reato), onde per gli stessi è ammessa l'intercettazione telematica benché non sia prevista quella telefonica; inoltre, a differenza di quanto prescritto per le intercettazioni telefoniche, è espressamente previsto che le operazioni di intercettazione possano essere compiute anche mediante impianti appartenenti a privati (art. 268 co. 3 c.p.p.). Una volta compiuto l'atto a sorpresa, la disciplina prevede: -l'avviso immediato ai difensori delle parti della facoltà di esaminare gli atti e di prendere cognizione dei flussi di comunicazione informatica o telematica (id est, aver accesso ai supporti magnetici sui quali è registrato il flusso informativo per verificarne il contenuto); -lo stralcio delle registrazioni di cui è vietata l'utilizzazione e l'acquisizione dei flussi di comunicazione che non appaiono manifestamente irrilevanti; -la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazione da acquisire (stampa che verrà poi inserita nel fascicolo del dibattimento); -la facoltà dei difensori di estrazione di copia della stampa ovvero di copia su idoneo supporto dei flussi intercettati. Lo strumento, nei reati finanziari internazionali, si pone come strumento utilizzabile direttamente dall'inquirente italiano al di fuori della cooperazione internazionale, essendo collegato all'utenza italiana: nonostante la sua attuale scarsa utilizzazione, è strumento utile e forse l'unico nei casi di reati connessi con l'uso di moneta elettronica contenuta negli elaboratori di privati ovvero in smart card ricaricabili. La convenzione di Bruxelles del 29.5.00 sull'assistenza giudiziaria, peraltro, prevede un intero titolo relativo alle intercettazioni delle telecomunicazioni: tra le avarie norme, in particolare assume rilievo il potere di effettuare intercettazioni senza l'assistenza tecnica di un altro Stato membro ove l'intercettazione -autorizzata nel paese che effettua l'intercettazione- riguardi utenza di persona che la utilizza nel territorio di altro Stato membro la cui assistenza tecnica non è necessaria per effettuare l'intercettazione (art. 20), salvo l'obbligo di informare quest'ultimo.

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Per le particolari modalità investigative, basate proprio su intercettazioni telematiche satellitari, merita qui segnalazione il caso che ha riguardato il Liechtenstein: nell'ottobre 1999 il giornale tedesco der Spiegel (in www.spiegel.de, sotto chiave di ricerca Liechtenstein o geldwasche) pubblica un rapporto del Bundesnachrichtendienst (BND), il servizio segreto tedesco, relativo ad un'operazione di intercettazione satellitare effettuata dalla Foresta Nera su comunicazioni trasmesse da banche del Liechtenstein via satellite e contenenti una serie di dati relativi a società , numeri di conto ed operazioni: emerse che tra i clienti vi erano uomini dei cartelli colombiani della droga, gruppi mafiosi italiani e russi, ognuno con il suo Treuhander (fiduciario personale) che aveva costituito delle Anstalt e delle Stiftung, e che dunque le banche riciclavano denaro sporco (Vaduz lava più bianco, titolò un giornale: SISTI, 1.6.00); lo scandalo fu enorme, in quanto coinvolse i fratelli di un magistrato e del vicepresidente del consiglio e ministro dell'economia, mentre sotto altro profilo risultò che la Cdu, partito del Cancelliere tedesco Kohl, aveva pure una stiftung presso un medesimo professionista fiduciario delle fondazioni compromesse (SISTI, 16.3.00 e 8.6.00). Trattandosi di fenomeni criminali internazionali, nella previsione normativa, nelle indagini investigative e negli atti istruttori, come pure nella repressione in genere della criminlità on line, assume importanza decisiva la cooperazione internazionale. Questa rilieva già in fase normativa per l'armonizzazione delle legislazioni, la previsione di fattispecie incriminatrici o reati presupposti analoghi, controlli omogenei ovvero sistemi di registrazione comuni, forme di vigilanza pridenziale omogenee e complementari, accordi per la tutela delle aprti deboli. Come è stato detto (PECENICK, 4) il denaro virtuale (non gestito dai controllori dei flussi monetari attuali), le banche offshore (con il non controllo e la non regolamenteazione che di fatto esiste) e le diverse sfaccettature finanziarie di internet, aprono degli spazi (che sono ancora da definire) dove si potrebbe tornare ad una visioneprimordiale del risparmio e dell'investimento. Decisiva è poi la cooperazione in fase giudiziaria, per la mutua assistenza investigativa e giudiziaria (FATF, Report 1999, sub 26). La cooperazione come si è detto incontra notevoli ostacoli di fatto, e molti paesi sono ancora non cooperative a vari fini. Così, gli esiti concreti di richieste di collaborazione sono insoddisfacenti: sulla base di dati relativi alle rogatorie richieste nell'ambito dei procedimenti per falso in bilancio, finanziamento illecito ai partiti e corruzione denominati "mani pulite" (fonte DAVIGO, 1996), su 382 richieste in vari paesi (di cui 245 in Svizzera, 29 in Liechtenstein, 19 in Lussemburgo, 7 a Monaco, 7 a San Marino, 3 in Vaticano), ne sono state evase 65, pari al 17 % (mentre sono rimaste totalmente inevase le commissioni rogatorie inoltrata alle Cayman e alle Bahamas). A fronte di tale situazione, da alcuni si è proposto il ricorso a forme di incentivazione internazionale dei paesi off shore alla cooperazione, attraverso strumenti economici in loro favore, in modo da incidere sui concreti interessi finanziari di questi paesi (MASCIANDARO -CASTELLI, 4). Altre volte (BANCA D'ITALIA, provv. ottobre 2000, cit.) si è riscontrata l'ineliminabilità degli interessi sottostanti alla finanza off shore, e si è ritenuto preferibile l'isolamento internazionale attraverso limitazioni imposte nella normativa di vigilanza; il Governatore della Banca d'Italia Fazio nel corso dell'inaugurazione dell'anno accademico 1999-2000 dell'Accademia delle Guardia di Finanza il 6.12.99 ha peraltro ricordato, circa l'eventualità di impedire a banche italiane di operare nei paesi off-shore, che l'esclusione delle nostre

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banche da merati finanziari evoluti inciderebbe sulla loro capacità innovativa e comporterebbe un ariduzione del loro ruolo internazionale (cfr. ABI, 35). Peraltro, la situazione è più grave, se si considera che, recentemente, l'Electronic banking Group del Comitato di Basilea ha sottolineato l'opportunità di escludere ogni operatività con i detti paesi, vietando l'operatività on line transfrontaliera nel paese in cui gli intermediari sono privi di autorizzazione ad operare. Di fornte alla crisi degli strumenti di tutela tradizionali si è proposto (MALAGO') il ricorso a rimedi alternaztivi quali l'utilizzazione dei siti delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari come canali educativi nei confronti delle frofi virtuali, il coinvolgimento dei surfers nella segnalazione di offerte sospette, la creazione di white lists telematiche. Un ultimo rimedio proposto avverso i paesi non cooperative prevede, quale conseguenza dell'internazionalizzazione delle economie, la nascita di nuovi soggetti regolatori del mercato: si è in proposito rilevato (ROSSI, 1) che con la globalizzazione sono divenute inadeguate non solo le vecchie regole, ma la loro fonte stessa, e cioè gli Stati, onde servono nuovi soggetti regolatori, quali un'antitrust mondiale ed una Security Exchange Commission (SEC) mondiale, da istituirsi nell'ambito dell'Onu. Ananloghe autorità sono state poi proposte per governare i criteri generali della rete, analogamente a quelle previste per la gestione dei domini (DALL'OMO, 2). Altri (RABITTI BEDOGNI, 2000, 439) ha invece evidenziato il timore che l'introduzione di un unico organo di vigilanza, per sua natura poco flessibile perché costantemente forzato dalla sua stessa dimensione a mediare tra esigenze diverse, possa soffocare l'innovazione inquanto vinvolato dagli equilibri raggiunti, ed ha ritenuto preferibile percorrere la strada della cooperazione internazionale tra autorità nazionali. Con riferimento al profilo relativo alla cooperazione in sede inquirente, il primo problema che l'inquirente deve porsi in sede di indagini su flussi finanziari internazionali è quello della esatta individuazione delle fonti di diritto applicabili, della portata della loro disciplina, della vincolatività per gli Stati esteri, e ciò perché le varie convenzioni sono a struttura aperta (ossia prevedono l'adesione di altri Stati oltre ai primi firmatari, Le fonti principali della cooperazione internazionale -oltre che dalle convenzioni bilaterali, ove stipulate- sono date dalle Convenzioni europee di estradizione del 13.12.57 e di assistenza giudiziaria del 20.4.59 (integrata quest'ultima dal protocollo addizionale del 17.3.78): in materia di flussi finanziari, quest'ultima consente di acquisire i mezzi di prova sul territorio di un paese straniero. A tali convenzioni si aggiunge la Convenzione n. 141 del 12.9.90 sul riciclaggio e confisca, che ha particolare rilievo nella materia che tratto da un lato in quanto riguarda il reato di riciclaggio (il che consente per la natura del reato di acquisire utili elementi investigativi per le indagini sui reati da questo presupposti), dall'altro lato in quanto consente altresì l'acquisizione del provento del reato (prima consentita solo nei paesi che avevano stipulato convenzioni bilaterali con l'Italia che prevedessero espressamente la detta facoltà). La risposta che i singoli ordinamenti possono fornire al fenomeno della globalizzazione del crimine è ancora rimessa in gran parte alla possibilità di richiedere rogatorie, peraltro caratterizzate da tempi lunghi di esecuzione e dalla incertezza di risultato (per un esame generale dell'istituto, LONGARINI, 293; DAVIGO, 1998, 1; CARBONE, 194; CALVANESE, 2; VAUDANO, 273). Tra la documentazione allegata, peraltro, vi sono gli atti di alcune commissioni rogatorie caratterizzate da un "inseguimento" trasfrontaliero operato del pubblico ministero (coadiuvato da intercettazioni telefoniche) di movimenti finanziari estero su estero a catena, con risultati positivi dell'azione investigativa.

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La CEAG prevede la rogatoria attiva come strumento tipico di cooperazione internazionale giudiziaria: la richiesta di rogatoria deve contenere l'indicazione delle autorità rogante e rogata, l'identità dell'indagato e la sua nazionalità , l'esposizione sommaria dei fatti (per l'opportunità di una esposizione specifica ma al tempo sommaria dei fatti, IELO, 8), e di solito è inviata (oltre che al ministro della Giustizia ai fini della trasmissione al ministro dello Stato rogato) per ragioni d'urgenza direttamente all'Autorità giudiziaria competente. Alcune convenzioni ammettono la presentazione della rogatoria con il telefax o il telex. Oggetto della richiesta può essere il compimento di atti istruttori (perquisizioni, sequestri, assunzione di informazioni, acquisizione di documenti o corpi di reato): in tema di verifica della titolarità di una relazione bancaria, della consistenza del conto e dei movimenti dello stesso, si è rilevato (IELO, 8) che nel sistema processuale italiano vigente (che consente l'inserimento nel fascicolo del dibattimento solo i documenti e non anche i verbali delle testimonianze ex art. 431 cod.proc.pen.) non è più indifferente acquisire le dette informazioni con rogatoria avente ad oggetto l'acquisizione di documenti bancari ovvero la testimonianza del funzionario della banca estera. L'autorità rogante può chiedere di assistere all'esecuzione dell'atto, che comunque resta atto dell'autorità straniera ed è regolato dalla lex loci (per la concelebrazione delle rogatorie, LONGARINI, 370; DAVIGO, 1998, 9). Con particolare riferimento alla Convenzione n. 141 sul riciclaggio, deve rilevarsi che questa stabilisce all'art. 18 cifra 7 che i Paesi membri non possano invocare il segreto bancario per giustificare il rifiuto di cooperazione in materia di confisca. Restano ferme le garanzie connesse con il principio di specialità , le garanzie relative alla protezione dei diritti individuali (e connesse facoltà di ricorsi avverso i provvedimenti) e di tutte le garanzie previste dalla lex fori; sotto altro profilo, operano i limiti alla cooperazione derivanti dalla contrarietà della misura richiesta ai principi fondamentali dello stato rogato, ai principi di sicurezza sovranità ed ordine pubblico di questo, alla circostanza che la parte rogata ritenga che l'importanza della vicenda sulla quale verte la rogatoria non giustifichi l'adozione delle misure sollecitate, la natura fiscale o politica dell'infrazione, la violazione del principio del bis in idem, dall'assenza degli elementi per la doppia incriminazione e cioè della rilevanza penale anche nel paese rogato, nell'eventuale ostacolo secondo la legge dello stato rogato alla confisca dei beni di sostituzione o dei frutti di attività lecite finanziate mediante un prodotto illecito, dalla mancata provenienza della rogatoria dall'autorità giudiziaria penale (Per un esame diffuso della disciplina della Convenzione, BERNASCONI, 1998, 17). Quanto alle tecniche investigative, la Convenzione prevede:

- le ordinanze di controllo (ordinance de controle), ordinanze giudiziarie indirizzate ad un istituto finanziario recante l'ingiunzione di comunicare informazioni riguardo a transazioni condotte mediante un conto intrattenuto da un cliente dell'istituto bancario medesimo;

- l'osservazione, ossia una tecnica di investigazione applicata dai servizi di polizia consistente nel seguire gli spostamenti di certe persone;

- l'intercettazione di comunicazioni, telefoniche, di telefax e telex, e le intercettazioni telematiche;

- l'accesso a sistemi informatici. Una concreta prospettiva di conseguire prove documentali attraverso l'indagine bancaria è collegata inevitabilmente alla previa acquisizione di significativi elementi di cognizione in ordine ad una determinata operazione bancaria, ad un certo conto corrente, ad una specifica attività compiuta da un funzionario di banca: tali elementi possono essere acquisiti in vario modo, con intercettazioni telefoniche, con sequestri di documentazione contabile relativa

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ad operazioni a monte o a valle di quella da provare, da escussione di correi, ecc. (DELL'OSSO, 130). Ad ogni modo, la convenzione espressamente esclude l'ammissibilità delle c.d. fishing expedition, ossia le ricerche indiscriminate, a 360°, esplorative, di mezzi di prova da parte di autorità che non disponga di indizi concreti, finalizzate all'emersione di elementi di reato solo ipotizzato: così, non è ammissibile la ricerca di documenti con parametri non predefiniti, estesa indiscriminatamente a tutti i conti bancari. Non occorrono ovviamente vere e proprie prove, atteso che la commissione rogatoria serva proprio all'acquisizione della prova, bastando invece indizi concreti e convergenti di reato. Come sé stato osservato, tuttavia (BERNASCONI, 1998, 28), non tutte le ricerche probatorie estese a numerosi conti bancari in un solo procedimento penale rappresentano una fishing expedition vietata: non è tale ad esempio l'indagine estesa a più conti bancari in relazione con un conto specifico, ove l'utilizzazione di questo sia stata effettuata solo per far transitare il denaro in altri conti al fine di farne perdere le tracce o la connessione con il reato. Ciò vale in particolare per i reati di corruzione, falso un bilancio, riciclaggio, associazione mafiosa, ove la situazione criminosa -che si presenta in modo diverso e più complesso rispetto a reati puntuali e circoscritti- può giustificare l'estensione delle indagini a numerosi conti bancari o diversi intermediari (BERNASCONI, 1998, 29). Tenuto conto dell'uso di vari conti di transito (conti cioè cui confluiscono in prima battuta fondi destinati ad essere smistati ai singoli beneficiari sui loro conti personali), è stata anzi sottolineata (IELO, 9) l'opportunità di inserire nelle richieste di rogatorie anche la richiesta di accertamento di titolarità e movimenti dei conti di destinazione). E' stata altresì sottolineata (IELO, 9) l'esigenza di richiedere altresì l'individuazione olt re che del titolare del conto anche del beneficiario economico e di colui che ha la procura ad operare sul conto stesso. Quanto alla natura dell'infrazione principale (ossia del reato i cui proventi sono oggetto del reato di riciclaggio), la Convenzione supera la Convenzione di Vienna (che prevedeva il solo riciclaggio del provento del traffico di stupefacenti) ed estende la previsione pur demandando ai vari Stati al momento della firma o della ratifica di precisare le categorie di reato principali ai quali si applica. Una rilevante novità della Convenzione n. 141 è infine di aver previsto non solo la confisca del prodotto del reato ma anche dei beni sostitutivi, ossia dei beni equivalenti al valore del prodotto del reato che si trovino sul territorio del paese rogato. Come è stato osservato (IELO, 1), per movimentare ingenti somme di denaro in modo illecito da un continente all'altro basta un semplice ordine di accredito, per ricostruire un percorso finanziario spesso sono necessari anni, con la prescrizione dei reati ed i termini per le indagini che incombono. Le rogatorie peraltro consentono, oltre che ricostruire i flussi finanziari, di individuare patrimoni cospicui che stazionano in paradisi fiscali. Gli Accordi di Schengen, perfezionati il 14.6.85, sottoscritti dall'Italia il 27.11.90 e ratificati con la legge n. 388/93, infine, disciplinano la cooperazione tra le forze di polizia e prevede (artt. 39 ss.) lo scambio di informazioni scritte (utilizzabili poi processualmente solo a seguito di rogatoria), nonché l'esecuzione di attività dirette di investigazione (ad es. osservazione) o di inseguimento (inseguimento transfrontaliero) da parte della polizia dello stato richiedente previa autorizzazione dello Stato richiesto (surrogabile per ragioni di urgenza da comunicazione del passaggio di frontiera e da presentazione della richiesta di autorizzazione con l'indicazione dei motivi d'urgenza), e altresì previa altresì autorizzazione del procuratore che compie le indagini. Ovviamente, ove occorre

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l'intervento del magistrato per il compimento dell'atto (es. sequestro), diviene necessaria la rogatoria (sull'argomento, IELO, 5 ss.) (cfr. circolare 30.10.97 Ministero Grazia e Giustizia- Direzione Affari penali). Peraltro, l'art. 53 prevede la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie come sistema normale di cooperazione giudiziaria, con esclusione dell'inoltro per via diplomatica, e salvo l'utilizzo delle procedure di trasmissione attraverso gli organi centrali. Il 29 maggio 2000 è stata poi firmata a Bruxelles dai ministri del Consiglio GAI una nuova convenzione destinata a rafforzare la cooperazione internazionale in tema di assistenza giudiziaria. La convenzione disciplina le formalità e procedure dell'assistenza, l'invio a mezzo posta e consegna degli atti del procedimento, la trasmissione diretta di richieste tra autorità giudiziarie, lo scambio spontaneo di informazioni, la restituzione, il trasferimento temporaneo di persone detenute ai fini di un'indagine, l'audizione mediante videoconferenza, l'audizione di periti e testimoni mediante conferenza telefonica, le consegne sorvegliate, le squadre investigative comuni, le operazioni di infiltrazione, l'intercettazione delle telecomunicazioni. CONCLUSIONI. Per concludere, l'uso delle tecnologie dell'informazione nell'intermediazione finanziaria aumenta i rischi di perpetrazione di illeciti e crea nuove forme di aggressione alle categorie tradizionali di beni; la collocazione giuridica dell'intermediario off-shore produce un effetto sinergico di favore per la criminalità e crea vuoti nella tutela penale. In tale contesto, all'internazionalizzazione del fenomeno criminoso deve corrispondere una dimensione internazionale della prevenzione e repressione penale, fondata inveitabilmente -in presenza di ordinamenti giuridici autonomi- sulla cooperazione internazionale in sede normativa e giudiziaria, e sulla pressione della comunità internazionale sui paesi off-shore per una integrazione degli stessi; sotto altro profilo, alla consapevolezza delle difficoltà di controllo della new economy -evidenziate da Guido Rossi in epigrafe- dovrà accompagnarsi un'evoluzione degli strumenti e delle tecniche investigative, che, partendo dalla indispensabile conoscenza dei nuovi caratteri -tecnologicamente all'avanguardia- della finanza internazionale e dalla necessaria formazione ed aggiornamento della professionalità in materia, valga a contrastarne le forme criminali internazionali.

FRANCESCO BUFFA

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FRANCESCO BUFFA