INFRASTRUTTURE IDRAULICHE A. 2008-2009 · - strutture off-shore: piattaforme petrolifere, attracchi...

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INFRASTRUTTURE IDRAULICHE A. A. 2008-2009 PREMESSA L'insegnamento di Infrastrutture Idrauliche del Corso di Laurea Specialistica di Sistemi informativi per il Territorio ha lo scopo di fornire gli elementi conoscitivi utili per la pianificazione e la valutazione della convenienza economica dei sistemi di opere idrauliche dedicate sia alla fornitura della risorsa idrica alle utenze di vario tipo sia alla difesa del territorio, e delle attività che su di esso si svolgono, contro le cala- mità idro - geologiche. Poiché possono accedere al corso di Infrastrutture Idrauliche studenti di ingegneria che hanno ricevuto differente formazione durante i loro primi tre anni di studio, la illustrazione delle tecniche da applicarsi per la valutazione dei progetti è preceduta da un rapidissimo richiamo delle nozioni di Idraulica e di Idro- logia necessarie per comprendere il funzionamento delle opere idrauliche e, quindi, per leggere gli elabo- rati tecnici di progetto.

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INFRASTRUTTURE IDRAULICHE A. A. 2008-2009

PREMESSA

L'insegnamento di Infrastrutture Idrauliche del Corso di Laurea Specialistica di Sistemi informativi per il Territorio ha lo scopo di fornire gli elementi conoscitivi utili per la pianificazione e la valutazione della convenienza economica dei sistemi di opere idrauliche dedicate sia alla fornitura della risorsa idrica alle utenze di vario tipo sia alla difesa del territorio, e delle attività che su di esso si svolgono, contro le cala-mità idro - geologiche.

Poiché possono accedere al corso di Infrastrutture Idrauliche studenti di ingegneria che hanno ricevuto differente formazione durante i loro primi tre anni di studio, la illustrazione delle tecniche da applicarsi per la valutazione dei progetti è preceduta da un rapidissimo richiamo delle nozioni di Idraulica e di Idro-logia necessarie per comprendere il funzionamento delle opere idrauliche e, quindi, per leggere gli elabo-rati tecnici di progetto.

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INDICE

1. LE INFRASTRUTTURE IDRAULICHE 5 1.1 DEFINIZIONI 5 1.2 SFRUTTAMENTO DELLA RISORSA 5 1.3 PROTEZIONE IDROGEOLOGICA 6 2. EQUAZIONI FONDAMENTALI DELL’IDRAULICA 8 2.1 CONSERVAZIONE DELLA MASSA 8 2.1.1 ESEMPIO 9 2.2 CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA 11 2.3 RESISTENZA AL MOTO- PERDITE DISTRIBUITE 12 2.3.1 REGIMI DI MOTO 12 2.3.2 TUBI COMMERCIALI 13 2.3.3 FORMULE PRATICHE DI MOTO PURAMENTE TURBOLENTO 14 2.3.4 DEPOSITI E CRESCITA DI MATERIE ORGANICHE 15 2.4 RESISTENZA AL MOTO - PERDITE LOCALIZZATE 15 2.5 MACCHINE IDRAULICHE 16 2.5.1 TURBINE 16 2.5.2 POMPE 17 2.6 MISURA DELLA PORTATA NELLE CONDOTTE IN PRESSIONE 18 2.7 CORRENTI A PELO LIBERO 20 2.7.1 MOTO UNIFORME 20 2.7.2 MOTO PERMANENTE 21 2.7.3 RISALTO IDRAULICO SU FONDO ORIZZONTALE 22 2.8 MISURA DELLA PORTATA NEI CANALI 23 2.8.1 MISURA DELLA PORTATA NEI CORSI D'ACQUA NATURALI 24 3. RICHIAMI DI IDROLOGIA 25 3.01 CICLO E BILANCIO IDROLOGICO 25 3.02 LA PIOGGIA 26 3.03 IL DEFLUSSO SUPERFICIALE 27 3.04 L'EVAPORAZIONE E L'EVAPOTRASPIRAZIONE 28 3.05 L'INFILTRAZIONE 29 3.06 I REGIMI 29 3.07 IL REGIME PLUVIOMETRICO 30 3.08 IL REGIME IDROLOGICO 30 3.09 L'IDROLOGIA STATISTICA 31 3.10 LA STIMA DEI PARAMETRI STATISTICI 32 3.11 LEGGI DI RIPARTIZIONE DI PROBABILITÀ 32 3.11.1 LEGGE NORMALE 33 3.11.2 LEGGE LOGNORMALE 33 3.11.3 LEGGE GAMMA 33 3.11.4 LEGGI ASINTOTICHE DEL MASSIMO VALORE 34 3.12 CARTE PROBABILISTICHE 35 3.13 I TEST DI ADATTAMENTO 36 3.14 PROCESSI STOCASTICI 37 3.15 LA VALUTAZIONE DELLE RISORSE IDRICHE 38 3.16 LE MAGRE FLUVIALI 39 3.17 I SERBATOI DI REGOLAZIONE 39 3.17.1 DIMENSIONAMENTO DEI SERBATOI 40 3.17.2 GESTIONE DEI SERBATOI 40

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3.18 LE PIENE FLUVIALI 41 3.19 LA STATISTICA DELLE PIENE 42 4 GLI SBARRAMENTI DI RITENUTA 44 4.1 GENERALITÀ 44 4.1.1 DEFINIZIONI 44 4.1.2 CLASSIFICAZIONE DELLE DIGHE 45 4.1.3 SBARRAMENTI PROVVISORI 47 4.2 LE DIGHE A GRAVITÀ 47 4.2.1 DIMENSIONAMENTO DELLE DIGHE A GRAVITÀ 48 4.2.2 CONFRONTO TRA DIGHE A GRAVITÀ ORDINARIE E DIGHE ALLEGGERITE 49 4.2.3 AZIONI ESTERNE 50 4.2.4 VERIFICHE DI STABILITÀ 51 4.2.5 VERIFICHE DI RESISTENZA 52 4.3 CONFRONTO ECONOMICO TRA DIGHE A GRAVITÀ E DIGHE A VOLTA 53 4.4 LE DIGHE A VOLTA 54 4.4.1 TIPOLOGIA DELLE DIGHE A VOLTA 55 4.4.2 VERIFICA DI RESISTENZA: SCOMPOSIZIONE IN ARCHI INDIPENDENTI 56 4.5 CENNI SULLA COSTRUZIONE DELLE DIGHE IN CALCESTRUZZO 57 4.5.1 IL CALCESTRUZZO DELLE DIGHE 57 4.5.2 PARTICOLARITA’ COSTRUTTIVE 59 4.6 LE DIGHE IN TERRA 60 4.6.1 PRINCIPI DI DIMENSIONAMENTO 61 4.6.2 IL CONTROLLO DELLA FILTRAZIONE 62 4.6.2.1 TECNICHE DI IMPERMEABILIZZAZIONE 62 4.6.2.2 FILTRI E DRENI 63 4.6.3 IL CORPO DIGA 64 4.7 LE DIGHE IN PIETRAME 65 4.7.1 LE DIGHE CON NUCLEO IMPERMEABILE 65 4.7.2 LE DIGHE CON MANTO IMPERMEABILE 66 5. LA PROGRAMMAZIONE DELLE INFRASTRUTTURE 67 5.1 LA NORMATIVA ITALIANA 67 5.1.1 LA LEGGE QUADRO DEI LAVORI PUBBLICI 67 5.1.2 IL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI 68 5.1.3 LA LEGGE OBIETTIVO 70 5.2 LE FASI DEL PROGETTO 73 5.3 L'ANALISI FINANZIARIA 75 5.4 L'ANALISI ECONOMICA 76 5.4.1 I PREZZI OMBRA 77 5.4.2 I PARAMETRI NAZIONALI 79 5.5 IL CONFRONTO TRA I COSTI E I BENEFICI 81 5.5.1 ALTRI CRITERI DI RAFFRONTO DEI COSTI E DEI BENEFICI 82 5.5.2 L'INCERTEZZA E L'ANALISI DI RISCHIO 83 5.6 GLOSSARIO 84 6.1. IL PROGETTO 95 6.1.1 UNIFORMITÀ NELLA VALUTAZIONE DELLE ALTERNATIVE PROGETTUALI 95 6.1.2. EQUIVALENZA IN VALORE 96 6.1.3. EQUIVALENZA IN TEMPO 97 6.1.4. LE TECNICHE DI SCONTO 98 6.2. CONDIZIONI DI OTTIMALITÀ DEL PROGETTO 98 6.2.1. FORMAZIONE DELLA DOMANDA 99 6.2.2. PRODUZIONE OTTIMALE 99

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6.3 ANALISI COSTI-BENEFICI 101 6.3.1. CLASSIFICAZIONE DEI COSTI E DEI BENEFICI 102 6.3.2. ANALISI DI SENSIBILITÀ 103 6.4. APPROVVIGIONAMENTO IDRICO 104 6.4.1. RISORSE IDRICHE 104 6.4.2. COSTRUZIONE DELLA CURVA DEI COSTI 106 6.4.3. FABBISOGNI IDRICI 107 6.4.4. COSTRUZIONE DELLA CURVA DEI BENEFICI 109 6.5 CONTROLLO DELLE PIENE 110 6.5.1 COMBINAZIONE DI SISTEMI DI DIFESA 112 6.6. SISTEMI DI DRENAGGIO 112 6.6.1. COSTRUZIONE DELLA CURVA DEI COSTI 112 6.6.2 VALUTAZIONE DEL LIVELLO DI SERVIZIO RICHIESTO 113 6.7. NAVIGAZIONE INTERNA 114 6.7.1 COSTRUZIONE DELLA CURVA DEI COSTI 115 6.7.2 BENEFICIO RITRAIBILE DAL TRASPORTO FLUVIALE 116 6.8. PRODUZIONE IDROELETTRICA 116 6.8.1 LA DOMANDA ELETTRICA 117 6.8.2 CLASSIFICAZIONE DEGLI IMPIANTI IDROELETTRICI 118 6.8.3 COSTRUZIONE DELLA CURVA DI OFFERTA 120 6.8.4 CURVA DI DOMANDA 121 7 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 122 8 ELENCO DELLE FIGURE 123

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1. LE INFRASTRUTTURE IDRAULICHE

1.1 DEFINIZIONI

Una infrastruttura idraulica, che è costituita dall'insieme di opere civili, meccaniche, elettriche e sistemi di gestione informatizzati, consente di:

a) trarre beneficio da un CORPO IDRICO che è costituito dal volume d'acqua che risiede in un lago ovvero scorre sulla superficie del suolo in un corso d'acqua, naturale o artificiale, o in un acquifero sotterraneo,

oppure:

b) evitare i danni che il medesimo corpo idrico può provocare, sia per ragioni naturali sia a causa di un uso improprio.

Pertanto la suddivisione più generale tra le infrastrutture idrauliche si opera in relazione alla loro finalità.

1. Le infrastrutture di UTILIZZAZIONE o sfruttamento DELLA RISORSA hanno lo scopo di procurare un bene-ficio agli utenti, fornendo loro la quantità d'acqua - RISORSA IDRICA - necessaria a soddisfare il loro fab-bisogno idropotabile, agricolo, ecc. ovvero producendo energia dalla trasformazione dell'energia poten-ziale dell'acqua in energia elettrica - RISORSA IDROELETTRICA -.

2. I SISTEMI, strutturali e non, DI PROTEZIONE IDROGEOLOGICA del territorio hanno lo scopo di stabilizzare e mantenere libero dalle acque il suolo sul quale si svolgono le attività umane.

3. Le OPERE DI PROTEZIONE AMBIENTALE hanno lo scopo di preservare un livello di qualità ambientale che non risulti pernicioso alla salute e al benessere materiale delle persone né incida negativamente sulla qualità della vita della cittadinanza.

4. Le vie d'acqua sono utilizzate fin dall'inizio della civiltà per la NAVIGAZIONE INTERNA o fluviale; la na-vigazione può percorrere un fiume, che deve essere regolarizzato per consentire il passaggio dei moderni convogli fluviali, oppure un canale di navigazione, come è ad es. il Canale Fissero - Tartaro che si stacca dai laghi di Mantova. Di queste infrastrutture si dirà in dettaglio nel seguito.

Sono infrastrutture idrauliche anche LE OPERE MARITTIME che, per i limiti del tempo disponibile, non rien-trano tra gli argomenti di questo corso. Esse sono tra le più importanti strutture realizzate dall'uomo e si di-stinguono nelle tre grandi categorie:

- porti, attracchi e altri sussidi al servizio della navigazione marittima,

- opere di difesa della costa e, in particolare, delle spiagge,

- strutture off-shore: piattaforme petrolifere, attracchi al largo, serbatoi di stoccaggio, condotte sottomari-ne.

1.2 SFRUTTAMENTO DELLA RISORSA

La risorsa idrica deve essere fornita all'utente quando ne ha bisogno e in quantità e qualità idonee all'uso: il valore della risorsa utilizzata è dato dal mercato degli utilizzatori. Ne segue che una risorsa potenzialmente pregiata non ha valore se non trova un utente che la richiede, come ad es. nel caso del potenziale idroelettrico delle cateratte del fiume Zaire nell'Africa equatoriale che non è ancora sfruttato perché non esiste un mercato che richiede l'energia ritraibile dalla corrente del fiume. Nella quasi totalità dei casi, la risorsa, idrica o ener-getica, è reperibile nella quantità globale (ad es. volume annuo) e qualità desiderata lontano dal punto di uti-lizzo (ad es. l'impianto idroelettrico è sito in montagna mentre le industrie sono poste in pianura) ed è modu-

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lata nel tempo in modo diverso da quanto richiesto (ad es. i fiumi alpini da cui derivano i nostri sistemi irri-gui sono più ricchi di acque in primavera e in autunno mentre le colture devono essere irrigate soprattutto in estate).

Pertanto l'infrastruttura idraulica è costituita, nella sua configurazione più generale, da una catena di opere:

a) opera di captazione dal corpo idrico naturale: dal fiume mediante traversa e opera di presa, dal lago me-diante diga e opera di derivazione, dall'acquifero mediante pozzi, dalla sorgente mediante una vasca o un cunicolo di captazione;

b) opera di regolazione, costituita da un invaso artificiale o impianto di ritenuta, se il volume da immagaz-zinare è dell'ordine dei milioni di metri cubi, oppure un serbatoio per volumi di centinaia di metri cubi, che serve per immagazzinare l'acqua nel periodo di afflusso abbondante per poterla distribuire secondo le esigenze dell'utente quando manca in natura.

c) opera adduzione o acquedotto esterno, costituita da una condotta o un canale che porta l'acqua su distan-ze di solito molto grandi, dell'ordine delle decine o anche centinaia di chilometri, dal punto di reperimen-to al punto di utilizzo;

d) sistema di distribuzione, come ad es. la rete di distribuzione dell'acquedotto cittadino o acquedotto inter-no, che porta l'acqua alle singole utenze. Se l'acqua è di qualità inferiore al richiesto, essa deve essere trattata in un impianto prima di essere distribuita.

Il valore della risorsa idrica si valuta dal punto di vista economico in base ai seguenti parametri: 1. quantità, 2. qualità, 3. facilità di reperimento, 4. permanenza nel tempo, 5. vicinanza al punto di utilizzazione, 6. energia potenziale.

Il primo parametro pone il limite all'utenza. I successivi quattro parametri incidono sul costo dell'infrastrut-tura idraulica. L'ultimo parametro rappresenta il valore aggiunto della risorsa: infatti, come vedremo meglio al § 2.11, una massa d'acqua in movimento possiede una potenza che può essere sfruttata per generare ener-gia rinnovabile, non inquinante e non contribuente all'effetto serra. Poiché la potenza teoricamente disponibi-le cresce con la differenza di quota tra il punto di captazione e quello di restituzione all'utenza, dal punto di vista economico classifichiamo in scala decrescente il valore della risorsa che, nel suo percorso dalla capta-zione alla consegna: - può generare energia, - scorre per gravità e quindi non consuma energia, - deve essere sollevata con pompe ( che consumano energia).

1.3 PROTEZIONE IDROGEOLOGICA

Il danneggiamento di edifici e la devastazione delle colture così come l'interruzione di attività commerciali, industriali e di relazione sociale causano danni significativi alla società. Pertanto la protezione contro queste calamità risulta benefica.

In maniera estremamente semplificata, l'UNESCO definisce il danno causato da un evento calamitoso con il termine RISCHIO R e lo esprime col prodotto:

R = P V E (1.1)

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ove sono: - P la pericolosità dell'evento calamitoso, - V la vulnerabilità degli elementi, persone e cose, passibili di danneggiamento, - E l'entità dei beni a rischio.

La pericolosità equivale alla probabilità del verificarsi dell'evento calamitoso; questo genera tanti più danni quanto più è frequente il suo verificarsi.

La vulnerabilità dipende oltre che dalla fragilità degli elementi a rischio (ad es. un ospedale è più vulnera-bile di una strada) anche dalla intensità dell'evento che provoca il danno (ad es. uno tsunami vulnera mag-giormente di un allagamento per pioggia intensa).

La formula (1.1) consente di distinguere, come si vedrà dettagliatamente nel seguito, le due grandi catego-rie di sistemi utilizzabili per diminuire i danni delle calamità:

a) MEZZI STRUTTURALI che riducono la probabilità ed, eventualmente, l'entità dell'evento dannoso,

b) AZIONI NON STRUTTURALI che diminuiscono la vulnerabilità e l'entità rendendo i beni a rischio più resi-stenti e, soprattutto, rimuovendoli dalle zone in pericolo.

Le strutture di protezione idrogeologiche rientrano, ovviamente, nella categoria dei mezzi strutturali e, in senso lato, difendono sia dal rischio idraulico che dal rischio geologico.

Le calamità geologiche, il cui studio rientra nel campo della Geologia e della Geotecnica, sono: - Crolli di versanti in roccia, - Cadute di massi, - Frane più o meno profonde, - scoscendimenti ed erosione di versante, - ecc.

Nel seguito prenderemo in considerazione le sole CALAMITÀ IDRAULICHE che sono classificabili come: 1. allagamenti, che si verificano ove il suolo non viene rapidamente liberato dalle acque di pioggia intral-

ciando attività produttive e invadendo scantinati a le strutture poste alle quote inferiori, 2. inondazioni, causate dalla esondazione delle acque di un corso d'acqua naturale: fiume o torrente; le cor-

renti esondate, se hanno sufficiente velocità e tirante, possono assumere carattere distruttivo, 3. alluvionamenti, provocati da correnti, soprattutto dei corsi d'acqua montani, che trasportano molto sedi-

mento e lo abbandonano nelle aree inondate formando spesse coltri, anche dello spessore di qualche me-tro, di deposito solido,

4. fenomeni gravitativi rapidi: valanghe di neve e ghiaccio, correnti detritiche o debris flow , correnti di fango o mud flow, che sono formate da granuli solidi lubrificati da acqua.

Nel corso dell'evento calamitoso che colpisce un ambiente montano, i fenomeni idraulici e geologici con-corrono a formare il quadro complessivo del disastro e, quindi, risulta del tutto arbitraria una separazione dei fenomeni, che è giustificata solo dalla competenza dei tecnici chiamati a studiare il fenomeno, che è limitata al proprio campo disciplinare. Pertanto, questi fatti devono essere affrontati in maniera interdisciplinare.

Limitando il nostro interesse ai primi due casi di calamità idrauliche che caratterizzano le zone di pianura, possiamo suddividere le infrastrutture idrauliche di protezione in:

a) sistemi di drenaggio, urbano o agricolo,

b) opere di controllo e protezione dalle piene.

Questi argomenti saranno sviluppati in dettaglio nei capitoli seguenti.

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2. EQUAZIONI FONDAMENTALI DELL’IDRAULICA

In questa sezione sono richiamate alcune nozioni fondamentali di idraulica che sono alla base dello studio delle CORRENTI IN PRESSIONE e CORRENTI A PELO LIBERO. Faremo inoltre riferimento soprattutto alle corren-ti di liquido incomprimibile che si muovono di moto permanente. Le equazioni utilizzate per le soluzioni dei differenti problemi sono le seguenti.

2.1 CONSERVAZIONE DELLA MASSA

La forma generale dell’equazione di continuità applicata ad una corrente dice che la variazione nel tempo t dell'area bagnata A è uguale alla variazione nello spazio s della portata Q e si scrive come:

∂ A ∂ t +

∂ Q ∂ s = 0 (2.1a)

Se il moto del fluido incomprimibile è permanente la (2.1a) diventa:

d Q d s = 0 (2.1b)

la quale dice che la portata non varia lungo il tubo di flusso: solitamente l’equazione è riferita a due sezioni 1 e 2 ed è scritta nella forma finita:

A1 U1 = A2 U2 (2.2a)

ove:

U = QA (2.2b)

è la velocità media della sezione. Una utile forma della equazione di continuità utilizzata per il calcolo del-le variazioni di livello dei serbatoi è la equazione dei laghi (fig. 2.1):

QE (t) - QU (t) = d Vd t (2.3a)

per la quale la differenza tra la portata entrante QE e la portata uscente QU dal serbatoio è bilanciata dalla variazione nel tempo t del volume V invasato nel serbatoio medesimo.

Il volume invasato è funzione della quota Z dello specchio liquido nel serbatoio:

V(t) = V(Z(t)) (2.3b)

Anche la portata effluente dal serbatoio è dipende dalla quota Z dello specchio liquido nel serbatoio attra-verso le formule della foronomia:

QU (t) = QU (Z(t)) (2.3c)

Perciò la (2.4a) risulta essere una equazione differenziale del primo ordine non lineare nella variabile Z:

( d Vd Z )

d Zd t + QU (Z(t)) = QE (t) (2.4)

che deve essere risolta numericamente. Si nota dalla (2.3a) che la massima quota nel serbatoio, e quindi anche la massima portata uscente, si realizza all'istante in cui:

QE (t) = QU (t) (2.5)

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e che tale istante è successivo a quello del colmo dell'onda entrante, quando la portata entrante diminuisce. Ne consegue che la portata massima uscente non può essere più grande di quella entrante e che il colmo del-l'onda uscente non può precedere quello dell'onda entrante. Ovviamente, queste deduzioni valgono solo se la (2.3c) è continua e iniettiva.

2.1.1 ESEMPIO

Quando la relazione (2.3c) è rappresentabile con una espressione lineare, l'equazione (2.4) diventa una e-quazione differenziale lineare che può essere integrata analiticamente se l'idrogramma della portata affluente al lago - QE = QE (t) - è esprimibile analiticamente.

Il lago a comportamento lineare corrisponde a una situazione poco frequente nella pratica ma non molto lontana dalla realtà come vedremo trattando il caso del lago d'Idro.

Seguendo la procedura richiamata in § 2.5 si riconosce immediatamente che, se l'efflusso dal lago avviene soltanto da uno scarico profondo in quanto lo scarico di superficie rimane chiuso, la portata uscente dipende dalla quota della superficie del lago secondo la relazione:

QU (t) = µ a 2g (h + z) (2.6a)

ove sono:

µ il coefficiente di efflusso dello scarico profondo, in pressione,

a l'area della sezione dello scarico,

h l'affondamento del centro della luce di scarico rispetto alla quota del lago indisturbato (fig. 2.1),

z il sopraelevamento del lago durante la piena, rispetto alla quota del lago indisturbato.

La (2.6a) può essere linearizzata arrestando al primo termine lo sviluppo in serie del binomio e ottenendo:

QU (t) ≈ µ a 2g h½ (1 + z

2 h ) (2.6b)

Se il lago è sufficientemente ampio e le sue sponde sono abbastanza ripide, l'estensione S dello specchio liquido non muta al variare della quota, ossia:

V = S z (2.6c)

Combinando tra loro la (2.6b) e la (2.6c) e derivando si ottiene:

d Vd t = K

d QU d t (2.7a)

ove le dimensioni il coefficiente:

K = 2 h S

µ a 2g h½ (2.7b)

ha la dimensione del tempo; sostituendo nell'equazione (2.5) otteniamo:

d QU

d t + 1K QU =

1K QE (t) (2.8)

Per concludere l'esempio, consideriamo un'onda affluente di semplice forma sinusoidale:

QE (t) = Q0 sen ( ω t ) per 0 ≤ t ≤ T (2.9)

QE (t) = 0 altrove

ove sono:

Q la portata al colmo dell'onda di piena,

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ω = π / T

T la durata dell'onda.

Essendo:

QU = e- t / K (2.10a)

la soluzione dell'equazione differenziale omogenea:

d QU

d t + 1K QU = 0

la soluzione dell'equazione completa (2.8) si ottiene combinando la (2.9) e la (2.10a) mediante l'integrale di convoluzione, proposto da Volterra. Nel nostro caso l'integrale di convoluzione è:

QU = 1K ⌡⌠

0

t e - (t - τ )/ K Q0 sen ( ω τ ) d τ per 0 ≤ t ≤ T (2.10b)

ossia:

QU = Q0K e- t / K I (t) (2.11a)

La funzione I (t) che compare nella (2.11a) è l'integrale definito scritto qui sotto, che è di soluzione al-quanto laboriosa:

I (t) = ⌡⌠ 0

t e τ / K

sen ( ω τ ) d τ = K2

1 + ω2K2 { et / K

K [ sen (ω t ) - K ω cos (ω t ) ] + ω } (2.11b)

Al tempo T l'onda affluente si annulla mentre l'onda uscente dal lago è:

QU ( T ) = Q0K e- T / K I ( T ) (2.11c)

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L'efflusso prosegue per raggiungere, dopo un tempo infinito secondo l'equazione, la condizione del lago indisturbato:

QU (t ) = Q0K e- t / K I ( T ) per t > T (2.12)

2.2 CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA

La particolare versione scalare dell’equazione vettoriale della conservazione dell’energia, ottenuta proiet-tando tale equazione sulla tangente alla traiettoria descritta da una particella in movimento, nota col nome di EQUAZIONE DI BERNOULLI è usata insieme con l’equazione di continuità per l’analisi della maggior parte dei problemi di moto monodimensionale e permanente di un fluido incomprimibile.

Tale equazione dice che il flusso di energia che attraversa una sezione 1 di un tubo di flusso è uguale alla somma del flusso di energia che attraversa una sezione 2 posta a valle più tutte le dissipazioni che accompa-gnano il movimento della corrente fra le due sezioni.

L’equazione si scrive nella forma (fig. 2.2):

z1 + p1

γ + U1

2

2 g = z2 + p2

γ + U2

2

2 g + ∆H1,2 (2.13)

nella quale compaiono:

z quota geodetica del centro della sezione idrica,

p pressione nel centro della sezione idrica,

γ peso specifico del liquido,

U velocità media definita dalla (2.2b),

g accelerazione di gravità: g = 9.81 (m/s),

∆H1,2 perdite di carico.

Notiamo che tutti i termini dell'equazione hanno le dimensioni della lunghezza e quindi si misurano in me-tri. La somma:

h = z + pγ (2.14a)

si chiama QUOTA PIEZOMETRICA.

Il rapporto:

hC = U2

2 g (2.14b)

si chiama ALTEZZA CINETICA .

La somma:

H = h + hC (2.14c)

si chiama CARICO TOTALE.

L’applicazione della equazione di Bernoulli richiede una chiara comprensione dei fattori che influenzano le PERDITE DI CARICO ∆H1,2.

Le perdite di carico si distinguono in:

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- perdite distribuite ∆HD dovute agli sforzi tangenziali che si generano tra il fluido e il contorno solido del condotto,

- perdite localizzate provocate dalla formazione di vortici in corrispondenza dei cambiamenti della geome-tria del condotto.

Pertanto in un condotto costituito da N tronchi di caratteristiche diverse e nel quale siano inserite M singo-larità idrauliche, la perdita di carico complessiva risulta:

∆H1,2 = ∑1

Ni ∆HD i + ∑

1

Mi ∆HL i (2.15)

2.3 RESISTENZA AL MOTO: PERDITE DISTRIBUITE

La perdita distribuita lungo un condotto di caratteristiche uniformi di lunghezza L si scrive come:

∆HD = J L (2.16)

Il termine J è adimensionale, poiché esprime la perdita per unità lunghezza (m/m), e prende il nome di CA-DENTE o perdita unitaria.

Esistono due tipi di moto dei fluidi: moto laminare, in cui il fluido si può pensare in movimento per strati paralleli, e moto turbolento, in cui le particelle si muovono in tutte le direzioni causando un completo mesco-lamento del fluido. Il secondo tipo di moto (e più specificatamente il puramente turbolento) è quello che maggiormente interessa le applicazioni ingegneristiche. I due tipi di moto sono descritti da leggi differenti, e si può riconoscere se una corrente si muove di moto laminare o turbolento in base al suo NUMERO DI RE-YNOLDS:

Re = ρ U D

µ = U D

ν (2.17)

ove: ρ è la densità del liquido, µ è la viscosità dinamica e ν la viscosità cinematica del liquido, D è il dia-metro del condotto avente sezione circolare. Si dimostra che la cadente J può esprimersi con la FORMULA DI DARCY-WEISBACH:

J = fD

U2

2 g (2.18)

L'INDICE DI RESISTENZA f che compare nella (1.18) dipende da Re e dalla SCABREZZA RELATIVA del con-

dotto εD secondo differenti leggi in relazione al tipo di moto considerato.

2.3.1 REGIMI DI MOTO

Nikuradse fu tra i primi a condurre una dettagliata serie di esperienze per la determinazione del coefficien-te di resistenza sia in tubi lisci che in tubi resi scabri artificialmente. I tubi scabri furono ottenuti coprendo la superficie interna del condotto il più uniformemente possibile con uno strato di sabbia, avente grani di prefis-sate dimensioni, incollato alla parete. In questa maniera Nikuradse ottenne una scabrezza considerevolmente più uniforme di quella riscontrabile nei condotti disponibili in commercio. I risultati sperimentali sono rac-colti nel diagramma che da f in funzione di Re (fig. 2.3); le varie curve sono caratterizzate dal parametro di scabrezza relativa ε/D; ove ε è l’altezza del grano di sabbia.

Notiamo subito che tutti i dati della zona di moto laminare (Re<2000) stanno su un’unica linea, l’equazione della quale può d’altronde ricavarsi per via puramente teorica:

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f = 64Re (2.19)

Questa equazione indica che i valori di ε/D non sono mai abbastanza grandi da influenzare il moto lamina-re. Usando dei condotti estremamente scabri (cioè ε/D>0.10) noi potremo certamente trovare un effetto di ε/D nel coefficiente f; comunque questo caso non è di pratica importanza.

Indipendentemente dalla scabrezza del tubo la corrente inizia a passare in condizioni turbolente inizia per Re ≈ 2100 (Re critico). Tale numero può dipendere fortemente dalle condizioni della sezione di ingresso del condotto, così come dalla inserzione di valvole e gomiti e dalla presenza di disturbi quali ad esempio vibra-zioni del condotto. È stato ormai ben stabilito che il limite inferiore di Re critico è ≈ 2000; comunque studi recenti hanno mostrato che la corrente laminare può essere mantenuta fino a Re = 2 104, se si pone molta cu-ra nella eliminazione di tutte le possibili fonti di disturbo. La regione tra Re = 2000 ed Re = 4000 è detta re-gione critica ed è qui che la transizione è completata. La transizione non è brusca e nella regione critica la corrente può essere alternativamente laminare o turbolenta.

Al superamento di Re ~ 4000, nei tubi lisci c’è un unico ulteriore tipo di corrente;, invece, per i tubi scabri la natura della corrente continua a cambiare all’aumentare del numero di Reynolds. Se ε/D < 0.001 la curva del coefficiente di resistenza segue la curva dei tubi lisci per un tratto, in cui il tubo scabro può considerarsi IDRAULICAMENTE LISCIO. All’aumentare di Re, ciascuna curva si diparte dalla curva dei tubi lisci, raggiun-gendo infine un valore costante che dipende soltanto dalla scabrezza relativa. Quest’ultima zona è detta re-gione di MOTO PURAMENTE TURBOLENTO mentre fra questa e la curva dei tubi lisci si ha la zona di transizio-ne ove si realizza il MOTO TURBOLENTO MISTO.

2.3.2 TUBI COMMERCIALI

Le condotte e i tubi usati nelle infrastrutture idrauliche e negli impianti industriali non possono essere as-similati ai tubi resi scabri con la sabbia da Nikuradse; infatti nei tubi commerciali la scabrezza non è unifor-me e questo influisce sul comportamento idraulico. Moody comunque ha compiuto verso il 1944 una estesa indagine sulla variazione di f per tubi commerciali, i cui risultati sono riportati in fig. 2.4. Questo particolare grafico è largamente usato in ingegneria ed è detto ABACO DI MOODY. Valori standard delle scabrezze relati-ve, per vari tipi di condotta, si trovano tabulati sui manuali: si deve tener presente che i valori di ε/D riportati sui manuali sono soltanto approssimati e che ci possono essere significative variazioni nelle scabrezze relati-ve per ogni tipo di condotta. Ad esempio Moody ha indicato che si possono fare nella determinazione di f er-rori del ± 5% , per tubi lisci, e del ± 10% , per tubi scabri in acciaio. I fenomeni di corrosione possono causa-re notevoli variazioni di ε/D con l’andar del tempo e si deve essere cauti quando si analizza il comportamen-to di condotte che siano state in servizio per parecchio tempo. Varie formule semi-empiriche danno f = (Re, ε/D) per moto turbolento.

La resistenza al MOTO TURBOLENTO IN CONDOTTI IDRAULICAMENTE LISCI si calcola con la formula di Prandtl:

1

f = 2.0 Log10( Re f ) - 0.8 (2.20)

La derivazione della (2.20) è semi-teorica. La determinazione di f dell'equazione di Prandtl deve essere fat-ta per tentativi. Il passaggio dal moto turbolento in condotto idraulicamente liscio a MOTO TURBOLENTO MI-STO avviene per:

εD Re =

14 f

(2.21)

Il coefficiente f si può determinare con la FORMULA DI COLEBROOK – WHITE (1938):

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1

f = - 2.0 Log10 (

2.52Re f

+ ε

3.71 D ) (2.22)

che costituisce la base delle curve riportate nell’abaco di Moody. Anche con questa relazione la ricerca di f deve essere fatta per tentativi.

Il passaggio da moto turbolento misto a MOTO TURBOLENTO PURO si può fissare a:

εD Re =

200 f

(2.23)

L’equazione del moto puramente turbolento di Prandtl - Von Karman è:

1

f = 2.0 Log10 (

D2 ε ) + 1.74 (2.24)

Nel caso di moto turbolento puro è più comune l’uso delle formule pratiche illustrate qui di seguito.

2.3.3 FORMULE PRATICHE DI MOTO PURAMENTE TURBOLENTO

È di fondamentale importanza la formula di Chezy:

U = C R J (2.25)

nella quale compare il RAGGIO IDRAULICO R uguale al rapporto tra l'area bagnata A e contorno bagnato C:

R = AC (2.26)

Per condotto circolare avente diametro D risulta:

R = D4 (2.27)

Il coefficiente di resistenza C si può esprimere con l’espressione proposta da Manning:

C = R1/6

n (2.28)

ove n è il coefficiente di resistenza al moto di Manning che si trova tabulato in funzione di vari tipi di su-perficie interna del tubo. Inserendo la (1.28) nella (1.25) si ottiene la FORMULA DI MANNIG - GAUKLER che è una formula monomia di semplice risoluzione:

U = R2/3 J1/2

n (2.29)

Come esempio di formule più particolari si possono citare le formule di Scobey che hanno struttura diffe-rente a seconda del materiale costitutivo del condotto e quindi del tipo di scabrezza. Una formula ancora molto usata nel dimensionamento idraulico delle reti di acquedotto è la formula di Darcy:

J = β Q2

D5 (2.30)

ove:

β = a + b/D

i coefficienti a e b si trovano tabulati ad esempio sul Manuale dell’Ingegnere.

Varie ditte costruttrici di tubi forniscono loro particolari formule e tabelle che danno direttamente J in fun-zione di Q, e viceversa, per i prodotti da esse commercializzati.

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2.3.4 DEPOSITI E CRESCITA DI MATERIE ORGANICHE

La capacità di deflusso di gallerie e condotte può diminuire con l’andar del tempo a causa dei depositi e delle incrostazioni organiche sulla superficie interna, poiché queste incrostazioni aumentano la resistenza al moto. Anche la corrosione sulla superficie interna della condotta riduce la capacità di deflusso, provocando inoltre la colorazione dell’acqua, e causando problemi di gusto e di odori: nelle condotte metalliche, la corro-sione dà origine a tubercoli sulla superficie interna, che provocano una diminuzione del deflusso rendendo più scabra la superficie del condotto.

Operazioni errate degli impianti di trattamento e filtraggio delle acque posti all’inizio della condotta pos-sono provocare il passaggio di fiocchi attraverso i filtri con deposito di idrossido di alluminio sulle pareti del condotto; ed anche una sottile pellicola di deposito può diminuire consistentemente la capacità di trasporto del condotto. Altri depositi possono essere di carbonato di calcio e di limo siliceo. Osservazioni fatte su pa-recchie condotte a Chicago indicarono che i materiali depositati erano principalmente idrossido di alluminio e silicio; le misure di perdite di carico fecero notare, dopo 7 anni di servizio, un aumento del coefficiente di resistenza di Manning del 40% (da 0.014 a 0.0196). Altre osservazioni sulla galleria di un impianto idroelet-trico indicarono aumenti di n dell’80% per le zone rivestite e del 25% per quelle non rivestite. Ove possibile la pulizia periodica delle superfici migliora la situazione, facendo ritornare la scabrezza quasi alle condizioni iniziali.

2.4 RESISTENZA AL MOTO: PERDITE LOCALIZZATE

Generalmente, tra le sezione di ingresso e quella di uscita di una condotta, la corrente incontra una varietà di singolarità idrauliche, come cambiamenti di sezione o di diametro, valvole e paratoie, biforcazioni, curve, allargamenti e restringimenti, che causano delle perdite di energia che vanno ad aggiungersi a quelle conti-nue. Tali perdite sono dovute allo svilupparsi di fenomeni turbolenti localizzati e accentuati e possono e-sprimersi nella forma generale.

∆HL = k U2

2 g (2.31)

ove k è il coefficiente di perdita che assume valori diversi a seconda del tipo di perdita.

In un BRUSCO ALLARGAMENTO della condotta, rappresentato in fig. 2.5, si sviluppa una intensa azione tan-genziale tra il getto ad alta velocità che occupa la zona centrale della condotta ed il liquido circostante e ne risulta che molta dell’energia cinetica è dissipata per azione turbolenta. Comunque la maggior parte della turbolenza scompare e la velocità diventa praticamente uniforme sulla sezione del condotto di maggiori di-mensioni ad una distanza dall’allargamento pari a circa 5 diametri.

La perdita di carico in un brusco allargamento è data dalla ben nota formula di Borda:

∆HL = (U1 - U2) 2

2 g = ( A2 - A1 A2 A1

)2

Q 22 g (2.32)

il significato dei simboli è spiegato in fig. 2.5.

In numerose condotte di scarico da serbatoi che operano sotto elevati carichi e che devono essere progetta-te in modo che la velocità in condotta non danneggi la superficie di rivestimento, pur mantenendo la portata scarica pari al valore prescritto, si provocano appositamente delle perdite di carico predisponendo dei bruschi allargamenti della condotta. Ad esempio nelle due gallerie di scarico dell'impianto Mica Dam sul Columbia River fu scelto come dispositivo più logico ed economico per ridurre la velocità nella condotta di svuotamen-

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to del serbatoio, una camera di espansione regolata da una paratoia avente la funzione di dissipatore di ener-gia; in tal caso, i possibili effetti della cavitazione sul rivestimento di calcestruzzo della camera devono esse-re tenuti in considerazione. Infatti le pressioni nella corrente vorticosa della zona centrale del condotto sono più basse che nell’acqua circostante e sotto certe condizioni possono scendere fino al valore della tensione di vapore con conseguente formazione di bolle. Si può allora verificare vicino alla superficie del condotto, la rottura delle bolle di vapore, con conseguente rottura del rivestimento.

La perdita di carico dovuta a un BRUSCO RESTRINGIMENTO può essere espressa con la formula (1.32) ove i valori di k per vari rapporti D1/D2 sono riportati in apposite tabelle.

Le perdite nei DIVERGENTI possono esprimersi ancora con una formula della struttura simile a quella di Borda

∆HL = kD (U1 - U2) 2

2 g (2.33)

I primi esperimenti condotti da Gibson hanno mostrato che il coefficiente kD è funzione dell’angolo al cen-tro del tronco di cono. I test mostrano anche che kD è anche funzione del rapporto tra i diametri D1 e D2.

Sul comportamento dei CONVERGENTI sono state fatte meno indagini sperimentali, comunque anche per essi sono stati ricavati dei grafici analoghi a quelli dei divergenti.

Le perdite nelle CURVE, escludendo le perdite continue nel condotto, sono funzione del raggio di curvatura, del diametro del condotto e dell’angolo formato dagli assi dei condotti.

Usualmente le PERDITE DI CARICO NEI PEZZI SPECIALI si esprimono in lunghezza equivalente di tubo, di diametro pari a quello in cui è inserito il pezzo speciale, che ha la stessa perdita di carico per la stessa porta-ta. Il diagramma di fig. 2.6 offre un conveniente metodo per la stima di queste perdite.

2.5 MACCHINE IDRAULICHE

Distinguiamo tra:

- macchine motrici o TURBINE che trasformano l'energia della corrente in energia meccanica,

- macchine operatrici o POMPE che, col loro movimento, imprimono energia alla corrente liquida; nel caso di gas la macchina è detta COMPRESSORE.

Delle macchine idrauliche non studiamo i principi di funzionamento ma soltanto il loro effetto sulla cor-rente idrica con la quale interagiscono.

2.5.1 TURBINE

Le macchine capaci di utilizzare l’energia dei fluidi, che furono già impiegate nell’antichità, costituiscono i primi esempi di sfruttamento di energia disponibile in Natura.

L’energia meccanica prodotta dal movimento della ruota idraulica, azionata dalla corrente d'acqua o, suc-cessivamente, di aria, era dedicata, quasi esclusivamente, all’azionamento delle mole. La nascita delle mo-derne turbine idrauliche data però alla seconda metà del settecento a partire dalla ruota a reazione di Barker (1750) e dalla teoria delle turbine idrauliche di Eulero (1754).

Verso la metà del XIX secolo, J. B. Francis perfezionò i precedenti modelli di turbine a reazione propo-nendo il modello di macchina che ancora porta il suo nome. Nel 1880 lo statunitense L.A. Pelton sviluppò la turbina ad azione e, infine, nel 1913 V. Kaplan propose la turbina a pale regolabili.

Attualmente le turbine idrauliche possono raggiungere potenze elevatissime: 350 MW per le turbine di tipo

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Pelton; 870 MW per le Francis; 230 MW per le Kaplan.

Nel mondo, sono installate turbine idrauliche per una potenza complessiva di circa 730 GW con una pro-duzione di quasi 2800 TWh / anno. La produzione idroelettrica italiana è di 50 TWh /anno e copre il 19% del fabbisogno elettrico del paese: in Italia, la potenza idroelettrica installata assomma a 15 GW.

Consideriamo lo schema di impianto idroelettrico illustrato in fig. 2.7: la turbina assorbe energia dalla cor-rente e provoca la perdita di carico o SALTO UTILE definito da:

∆H = HM - HV (2.34)

come è illustrato in Fig.2.7. Di conseguenza la potenza ceduta dalla corrente alla macchina risulta:

PT = γ Q ∆H (2.35a)

La potenza è espressa in watt (W) se il peso specifico γ è espresso in (N m-3): solitamente si divide per 1000 e si esprime la potenza in (kW). A causa delle resistenze meccaniche e idrauliche e delle perdite di por-tata attraverso le tenute la potenza in uscita dalla turbina è minore della potenza PT ricevuta dalla corrente.

Definito il rendimento η come rapporto tra le due potenze sopra menzionate otteniamo la potenza effetti-vamente prodotta:

PE = η γ Q ∆H (2.35b)

Il rendimento è sempre minore dell'unità. L'energia prodotta dalla macchina in un periodo di tempo T va-le:

E = ⌡⌠ 0

T PE d t (2.36)

e si misura in (kWh) se il tempo è dato in ore.

2.5.2 POMPE

La pompa inserita nell'impianto di sollevamento illustrato in fig. 2.8 riceve la corrente dalla condotta di monte o di aspirazione e la immette nella condotta di valle o di mandata, detta anche premente. Definito il dislivello tra i carichi totali alle sezioni di uscita e di entrata della pompa come PREVALENZA TOTALE:

∆H = HV - HM (2.37)

Se le sezioni di entrata e di uscita della pompa hanno la stessa area si riconosce immediatamente che la prevalenza totale è uguale alla PREVALENZA MANOMETRICA, che si ottiene direttamente dalla lettura dei ma-nometri inseriti alle due estremità della pompa:

∆H = ∆h (2.38)

La potenza ceduta dalla pompa alla corrente:

PP = γ Q ∆H (2.39a)

è più piccola della potenza PA effettivamente assorbita dalla macchina (elettrica o a combustione interna o altro) che la aziona, in quanto, attraverso il rendimento della pompa, si deve tenere conto delle perdite:

PA = γ Q ∆H

η (2.39b)

La scelta delle pompe costituisce spesso uno degli elementi principali del progetto di un impianto di ap-provvigionamento idrico o di movimentazione o smaltimento di fluidi.

La curva caratteristica della pompa fornisce la portata che la pompa è in grado di sollevare al variare della prevalenza e viene definita sperimentalmente dal fabbricante della pompa.

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2.6 MISURA DELLA PORTATA NELLE CONDOTTE IN PRESSIONE

La maniera più immediata per misurare la portata in una condotto in pressione è quella di integrare sull’area della sezione il diagramma della velocità u (m/s) misurata in diversi punti della sezione con il tubo di Pitot:

Q = ⌡⌠ A

u dA (2.40)

Questo metodo di misura semplice ed accurato, è adatto specialmente per piccole condotte in cui il campo della velocità possa essere facilmente investigato. Le letture ad esempio possono essere fatte lungo uno o più diametri sulla linea mediana di anelli di are uguale: in questo modo la velocità media si ottiene come sempli-ce media aritmetica delle velocità misurate.

Specialmente per la taratura di strumenti di misura sono anche molto usuali le misure volumetriche. Tali misure non richiedono l’impiego di strumenti a funzionamento meccanico o idraulico e quindi possono esse-re utilizzate proprio per tarare tali strumenti. Per eseguire la misura si deve raccogliere in una vasca, posta a valle della sezione di sbocco della condotta, l’acqua che ne esce per un certo intervallo di tempo T . Il volu-me raccolto diviso T dà la portata. Se nel fare le misure si osservano le seguenti precauzioni si ottengono ri-sultati di ottima precisione (con errori inferiori all’1%):

1) la vasca deve essere di materiale non deformabile;

2) per ridurre le incertezze sulla sua valutazione, la portata deve essere deviata dalla vasca di raccolta il più rapidamente possibile all’inizio e alla fine dell’intervallo di tempo;

3) la misura del livello dell’acqua nella vasca deve essere fatta dopo che si siano smorzate le oscillazioni del liquido.

Tutti gli ostacoli posti nella condotta che obblighino la corrente ad accelerare possono essere usati come misuratori di portata, a causa della variazione di quota piezometrica che accompagna il cambio di velocità. Diaframmi, boccagli, venturimetri, etc. sono esempi di questi dispositivi. Benché la differenza tra le quote piezometriche a monte e a valle dello strumento sia dovuta alla variazione di altezza cinetica, una piccola parte di tale differenza è dovuta alle perdite di carico che, comunque, ad alti Re sono pressoché costanti e possono essere incluse in un coefficiente di efflusso che varia con la geometria dello strumento. Alla sezione contratta del DIAFRAMMA l’area del getto si riduce (fig. 2.9) e aumenta l'altezza cinetica e diminuisce la quo-ta piezometrica: la variazione di quota piezometrica si misura con un manometro differenziale.

Applicando le equazioni di continuità e della conservazione dell'energia tra la sezione della condotta a monte dello strumento e la sezione contratta si ottiene, combinando i diversi fattori nel coefficiente di efflus-so Cd si trova che la portata è data dalla:

Q = Cd a 2 g ∆ γm - γ

γ (2.41)

ove a è l’area dell’apertura del diaframma e la differenza di piezometrica ∆ è misurata nelle due sezioni immediatamente a valle e a monte dell’apparecchio a 3 ÷ 5cm dal piano della piastra, γm è il peso specifico del liquido manometrico, γ è il peso specifico del liquido scorrente in condotta. I diaframmi misurano le por-tate con errori dell’1 ÷ 2% se sono preceduti da almeno 25 diametri di condotta diritta. Tale dispositivo è cer-tamente semplice, sicuro, economico e facile da fare; comunque quando è inserito in un tubo provoca grandi perdite di carico a causa della turbolenza che si crea a valle.

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Per i BOCCAGLI (fig. 2.10) la portata si determina con la relazione (2.41), i coefficienti di efflusso Cd sono però più alti che per i diaframmi (in pratica tra 0,96 ÷ 0,98) poiché non si ha contrazione della vena; anche i boccagli comunque causano notevoli perdite di carico: le tabelle U.N.I. descrivono sia le dimensioni degli apparecchi sia l’andamento di Cd in funzione di Re della corrente.

Il VENTURIMETRO (fig. 2.11) col suo passaggio graduale dalla strozzatura al diametro della condotta ha perdite di carico molto minori dei diaframmi e dei boccagli. Il divergente a valle della strozzatura ha un al-largamento graduale con apertura di 5° ÷ 15°, per prevenire la separazione della corrente dalla parete del tu-bo. L’equazione della portata nel venturimetro è:

Q = C a

1 - (d/D)4 2 g ∆ γm - γ

γ (2.42)

Cd dipende da Re, a è l'area della strozzatura avente diametro d, D è il diametro della tubazione nella quale è inserito il venturimetro. Si può ritenere che il venturimetro dia misure con 1% di approssimazione. Si deve aver cura che il venturimetro (come gli altri apparecchi) sia posto abbastanza sotto la piezometrica per pre-venire depressioni troppo accentuate (fino al limite della tensione di vapore del liquido) quando passa la por-tata massima. Qualora si verificasse la cavitazione, sarebbe impossibile ottenere delle valutazioni corrette di Q mediante la (1.30), perché entra in gioco la densità variabile del liquido. Il venturimetro è accurato, non ha parti mobili e si resta calibrato a lungo se è mantenuto pulito e non provoca grandi perdite di carico.

Quando il liquido scorre in una condotta curva - per esempio in un gomito di sezione qualunque, ma co-stante - si produce un innalzamento della quota piezometrica nel senso della convessità della curva. Poiché la differenza di quota piezometrica ∆h misurata fra due punti della stessa sezione cresce con la velocità, un manometro differenziale installato tra l'interno e l'esterno del gomito realizza un MISURATORE A GOMITO, che misura la portata.

Le misure fatte occasionalmente sfruttando gomiti esistenti negli impianti e quindi non tarati errori ± 5%; nel caso di taratura preventiva ci si può ridurre al 3%. L’utilizzazione dei gomiti come misuratori è razionale quando l’installazione di altri apparecchi di misura non è possibile per mancanza di spazio; il metodo che sfrutta la differenza piezometrica per effetto della forza centrifuga è stato ad esempio applicato per la misura delle portate nelle turbine Francis con camera a spirale.

Sono stati inoltre messi a punto differenti metodi di misura che permettono di risalire alla valutazione della portata:

1. dalla conoscenza della potenza fornita dalle turbine installate alla fine delle condotte forzate. La portata Q si calcola con la formula (1.42), misurato il salto utile ∆H e noto il rendimento η della macchina;

2. dalla misura della spinta idrodinamica esercitata dalla corrente su una valvola;

3. noto l’andamento delle sovrappressioni ∆p di colpo d’ariete: si ha infatti che, nel caso teorico di chiusura istantanea, ∆p è legata direttamente alla velocità della corrente da un coefficiente costante; per la misura nei casi pratici si sono costruiti diversi apparecchi che danno stime con errori di ± 2%.

In condotti di grandi dimensioni può essere conveniente determinare la portata calcolando il tempo che impiega una certa quantità di sale - metodo della nuvola salina - a percorrere un tratto di condotta; si adotta-no per la misura diversi metodi pratici con una precisione del ± 2 ÷ 3%. Sempre in condotte di grandi dimen-sioni si può calcolare la velocità della corrente, dalla misura della velocità di rotazione di mulinelli (eliche) opportunamente tarati, inseriti nel condotto; di tali dispositivi, molto usati per le misure di correnti a pelo li-bero, si parlerà in seguito.

Per la misura di portate modeste, da pochi litri a qualche decina di m3/ora, come sono quelle interessanti gli impianti di distribuzione di acqua potabile per usi civili ed industriali, delle portate delle pompe etc. si usano vari apparecchi che al solito sono abbinati a meccanismi totalizzatori onde fornire anche il volume di acqua erogata.

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In fig. 2.12 sono chiaramente illustrati alcuni tipi di tali strumenti, che si basano sugli stessi principi di funzionamento delle turbine.

2.7 CORRENTI A PELO LIBERO

Le correnti che scorrono nei canali e nei corsi d'acqua naturali sono dette CORRENTI A PELO LIBERO o A SUPERFICIE LIBERA; esse sono governate dall’azione della gravità sul fluido in movimento. La accelerazione di gravità g e la pendenza di fondo S0 si ritrovano in tutte le formule che descrivono il moto nei canali; inve-ro la gravità, potendosi considerare costante, vi è presente implicitamente.

Le correnti nei canali si possono distinguere in base al loro NUMERO DI FROUDE F (adimensionale) definito come rapporto tra la velocità media della corrente e la celerità delle onde infinitesime:

F = U

g _h

(2.43)

Nella (2.43) compaiono U velocità media e _h profondità media della corrente, definita come rapporto del-

l'area bagnata A diviso la larghezza superficiale B:

_h =

AB (2.44)

Se:

- Fr = 1 la corrente è CRITICA e il tirante d'acqua è detto ALTEZZA CRITICA _hC;

- Fr > 1 la corrente è SUPERCRITICA e risente delle condizioni di monte,

- Fr < 1 la corrente è SUBCRITICA e risente delle condizioni di valle.

Il concetto di altezza critica è utile per la classificazione di tutti i possibili profili di pelo libero: infatti si determina se la corrente è sub- o supercritica, in una sezione, confrontando l’altezza della corrente con l’altezza critica. Per sezioni rettangolari, si ricorda che l’altezza critica è pari ai 2/3 dell’energia specifica ri-spetto al fondo.

Le pendenze dei canali sono classificate in accordo alla relazione tra l’altezza critica hC e l’altezza di moto uniforme hO: l’altezza critica dipende dalla portata e dalla forma della sezione del canale, l’altezza del moto uniforme, invece, da portata, forma, pendenza e scabrezza del canale.

È importante ricordare che nei canali a:

- DEBOLE PENDENZA - hO > hC - solo le correnti subcritiche possono occupare un tratto di lunghezza infini-ta del canale;

- FORTE PENDENZA - hO < hC - per tratti di lunghezza infinita, si hanno solo correnti supercritiche.

Le combinazioni dei diversi profili possibili nei vari tipi di alveo possono essere usate per descrivere l’andamento del pelo libero nei tronchi di transizione tra un tratto di canale di date caratteristiche e un altro.

2.7.1 MOTO UNIFORME

Se la corrente si muove di moto uniforme essa mantiene le medesime caratteristiche (profondità, sezione bagnata, portata, diagramma di velocità, densità, viscosità, turbolenza) nel tempo e nello spazio; comunque le correnti a pelo libero uniformi sono rare anche in laboratorio.

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Nonostante in pratica le correnti non siano uniformi, nei calcoli idraulici spesso si fa riferimento a ipoteti-che condizioni di moto uniforme che sono molto facili da trattare matematicamente. Le formule di moto uni-forme in canali più largamente usate sono quelle introdotte a § 2.3.3.

L’applicazione delle diverse formule porta a risultati differenti soprattutto per la insicura valutazione del coefficiente di resistenza.

Si possono applicare le solite formule del moto uniforme anche ai canali aventi la superficie interna costi-tuita da materiali di differente scabrezza: si usa allora un valore medio pesato del coefficiente di resistenza al moto, calcolato in base alla porzione di contorno bagnato rivestita da ciascun materiale.

La perdita di carico per unità di lunghezza J viene calcolata per i corsi d’acqua naturali ancora con le for-mule di Manning, Chezy-Kutter o di Darcy-Weisbach. Si può dire però che il fenomeno della resistenza al moto si presenta diverso da quello visto per i tubi e i canali artificiali, poiché la grande disuniformità delle sezioni dà origine a fenomeni macroscopici di perdita di carico localizzata per turbolenza con formazioni di vortici. Le formule sopraccitate devono allora considerarsi come formule empiriche e il coefficiente di resi-stenza, a cui si devono assegnare valori in modo che i risultati dei calcoli si adeguino alle osservazioni, con-globa in sé l’effetto di tali perdite localizzate.

È dunque difficile la scelta di un valore di n da inserire nella formula di Manning; ad esempio un valore di n scelto per una determinata altezza d’acqua può non valere per una altezza diversa, perché può variare la configurazione della sezione e di conseguenza il tipo di perdite di carico.

Se il fondo è di materiale che può essere trasportato dalla corrente durante il deflusso si possono formare delle dune che modificano il valore della scabrezza. Osservando la formula di Manning si nota che una valu-tazione errata di n = K nO (se nO è il valore vero) porta, fissata l’altezza d’acqua, ad una valutazione in difetto della portata Q = QO/K (se QO è il valore vero).

2.7.2 MOTO PERMANENTE

Le caratteristiche del moto permanente rimangono costanti nel tempo ma variano da sezione a sezione del-la corrente. Profili di moto permanente in tronchi di canale di varia forma vengono tracciati usualmente nelle elaborazioni di progetto delle opere idrauliche. Per il tracciamento dei profili di rigurgito si utilizza una rela-zione che si ricava, con alcuni passaggi analitici che tralasciamo, dall'equazione di Bernoulli (2.13) applicata tra due sezioni di canale distanti fra loro dx:

(1 - F2) d hd x = S0 - J (2.45)

nella quale compaiono esplicitamente il numero di Froude F e il tirante idrico h.

In idraulica fluviale è un problema comune tracciare il profilo di pelo libero di un corso d’acqua per una determinata portata e certe condizioni dell’alveo; il problema si pone quando si debbono fissare le altezze di argini, le dimensioni delle luci di ponti, il sopraelevamento di strade, le quote di pelo libero allo scarico di centrali idroelettriche, la prevalenza da assegnare ad impianti idrovori che scarichino nei corsi d’acqua, il po-sizionamento di opere fluviali e anche per determinare le zone soggette a possibili inondazioni.

Il più efficiente tra i numerosi metodi numerici e grafici proposti per tracciare il profilo di pelo libero è lo STANDARD STEP METHOD che utilizza direttamente l’equazione di Bernoulli (2.13), scritta tra le sezioni 1 e 2 distanti tra loro ∆x come è illustrato in fig. 2.13:

Y1 + U1

2

2 g = Y2 + U2

2

2 g + Jm ∆x + ∆HL (2.46a)

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Conoscendo i valori della quota di pelo libero Y2 e dell'altezza cinetica U2

2

2 g nella sezione a valle del tronco

fluviale percorso da corrente subcritica di nota portata Q si risale con la (1.46a) a Y1 e U1

2

2 g nella sezione di

monte. La (2.46a) deve essere risolta per tentativi in quanto i termini di perdita di carico nel tronco ∆x ven-gono calcolati come medie dei valori che essi assumono nelle sezioni 1 e 2:

Jm = ½ ( J1 + J2) (2.46b)

∆HL = k

2 g ( U1 +U2

2 )2 (2.46c)

Si fissa cioè un valore orientativo Y'1 , in corrispondenza del quale si trovano U1 e J1 dai quali si deducono le perdite di carico (2.46b) e (2.46c). L’applicazione della (2.46a) permetterà di trovare uno Y1. Se Y1 ≈ Y'1 il valore scelto è quello esatto altrimenti si sceglie un nuovo valore Y"1 e si ripete il calcolo. Concluso il calco-lo di Y1 della sezione di monte del tronco, questa diventa la sezione di valle per il successivo tronco di mon-te, e si procedere di seguito.

Per applicare il metodo di calcolo si deve conoscere:

1. la geometria del fiume, attraverso il rilievo di un certo numero di sezioni trasversali del corso d’acqua (normali alla direzione della corrente) che delimitano i tronchi di fiume su cui si applicano le (1.46). La lunghezza dei tratti tra 2 sezioni dipende dalla uniformità del canale e dall’accuratezza desiderata; si può passare da distanze di un chilometro e più per grandi fiumi e qualche centinaio, o anche decine, di metri per corsi d’acqua minori, dove le variazioni della geometria d'alveo siano accentuate. Le sezioni si pos-sono ricavare dalla lettura di un rilievo aerofotogrammetrico integrato da misure dirette della profondità d’acqua nelle varie sezioni;

2. la scabrezza dell’alveo, attraverso l’appropriato valore del coefficiente di Manning n individuato attra-verso indagini in loco;

3. un punto da cui iniziare il tracciamento del profilo, ove sia conosciuta la quota di pelo libero per l’assegnata portata: condizione al contorno del calcolo Se non si può fissare una sezione che risponde a questi requisiti si assume come condizione al contorno, una quota arbitraria in una sezione ben a valle del tratto di alveo per cui si vuole tracciare il profilo. Sarebbe allora opportuno eseguire due tracciamenti di profilo con la portata assegnata ma con due differenti altezze di contorno, una più alta e l’altra più bassa di quella che ci si potrebbe sensatamente aspettare in quella sezione. Se i due profili tendono a confondersi prima che sia raggiunto il tratto di fiume in esame, allora il procedimento è accettabile, al-trimenti si deve iniziare il calcolo in una sezione ancora più a valle.

2.7.3 RISALTO IDRAULICO SU FONDO ORIZZONTALE

Il passaggio di una corrente da regime subcritico a regime supercritico avviene con accelerazione graduale e passaggio attraverso lo stato critico, come accade quando la pendenza del canale passa da debole a forte.

Al contrario, la corrente passa da regime supercritico a regime subcritico con una brusca decelerazione alla quale corrisponde un repentino aumento del tirante idrico come mostra la fig. 2.14. Se l'alveo ha sezione ret-tangolare, il legame fra le ALTEZZE CONIUGATE Y1 e Y2 del risalto idraulico si esprime in funzione del nume-ro di Froude della corrente nella sezione rettangolare 1 di monte:

h2h1

= ½ ( 1 + 8 F12 - 1) (2.47)

La lunghezza L del risalto, che si può ricavare da grafici sperimentali, vale in prima approssimazione:

L ≈ 6 h2 (2.48)

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2.8 MISURA DELLA PORTATA NEI CANALI

Benché certi metodi di misura della portata nelle condotte possano essere applicati anche ai canali (vedi ad esempio il metodo della nube salina), ce ne sono numerosi altri che sono limitati soltanto alle correnti a su-perficie libera.

Ogni sbarramento - stramazzo - posto nel canale e sul quale la corrente stramazza, può essere usato per mi-surare la portata, in quanto tra le grandezze della corrente che defluisce sopra lo sbarramento esiste una rela-zione del tipo:

Q = Cd B ∆hn (2.49)

ove sono:

- B larghezza in cresta dello sbarramento,

- ∆h carico sullo stramazzo, cioè l’altezza di pelo libero relativa alla cresta,

- Cd coefficiente di efflusso,

- n esponente il cui valore è molto vicino a 1.5.

Il carico ∆h è misurato qualche metro a monte dello stramazzo a una distanza ≈ 3 ∆h, mentre i valori di Cd e n dipendono dal tipo di sbarramento considerato

Il tipo più semplice e più diffuso di stramazzo - STRAMAZZO BAZIN - è illustrato in fig. 2.15: esso è costi-tuito da una lastra di metallo o di legno che termina con un ciglio a spigolo vivo, avente lo spessore di qual-che millimetro e occupa tutta la sezione del canale. Per mantenere a pressione atmosferica il contorno infe-riore della lama liquida stramazzante sopra la cresta dello stramazzo, si deve porre sulla faccia di valle dello stramazzo un tubo forato, detto aeroforo, comunicante con l’ambiente esterno. Questo accorgimento deve es-sere preso perché la scala dello stramazzo, ossia la relazione (2.50) che lega la portata al carico, vale solo se la lama cade a pressione atmosferica.

Conglobando nel coefficiente Cd l’effetto di: velocità di arrivo, coefficiente di contrazione, perdite di cari-co e tensione superficiale, si ottiene a partire dall'equazione di Bernoulli la formula di Rehbock (1929) estesa da White (1975) sulla base di nuovi esperimenti:

Q = Cd B 2 g (∆h + 0.001) 1.5

(2.50a)

con:

Cd = 0.3988 + 0.0598 ∆ht (2.50b)

ove il simbolo t indica l'altezza del petto dello stramazzo.

Tipi di stramazzi diversi da quello descritto si possono ottenere intagliando la lastra di sbarramento in dif-ferenti maniere. Benché le forme geometriche delle creste non siano standardizzate e ci siano discrepanze di vari percento tra le varie formule di Cd , si può dire che le misure fatte accuratamente (in laboratorio) con questo dispositivo danno errori di ± 1%. Si deve comunque fare attenzione che l’arrotondamento dello spigo-lo o la sua usura, sopravvenute col tempo, così come il deposito di sabbia a monte dello sbarramento, posso-no rendere imprecise le misure.

Gli stramazzi vengono detti anche modellatori a stramazzo in quanto servono, negli impianti di irrigazione modulare o modellare la portata da dispensarsi all’utente. Se all’imbocco di un canale di irrigazione si mette una paratoia, e, subito a valle, un modellatore, avremo un dispositivo che, regolato da una persona, permette di erogare, attraverso il canale l’esatta quantità d’acqua prevista dal contratto. Si dice inoltre che lo stramaz-zo, o qualsiasi altro apparecchio per la dispensa dell’acqua funziona come SEMIMODULO quando il valore della portata erogata dipende soltanto dal livello dell’acqua a monte ed è invece indipendente da quello

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dell’acqua a valle; funziona invece come modulo quando la portata non dipende né dal livello di monte né da quello di valle.

2.8.1 MISURA DELLA PORTATA NEI CORSI D'ACQUA NATURALI

È molto importante conoscere la portata che scorre in un corso d’acqua sia se si vuole quantificare la risor-sa disponibile per l’utilizzazione agricola, industriale o civile in un dato comprensorio sia se si vuole sapere quanta sostanza inquinante può essere immessa in un corso d’acqua senza superare una accettabile concen-trazione.

Il procedimento di misura più ovvio consiste nel disporre un IDROMETRO comune, o un idrometro registra-tore in una sezione opportunamente scelta e procedere poi mediante una serie di misure alla sua taratura in portata: cioè a determinare la scala delle capacità di deflusso del corso d’acqua in funzione dei livelli di pelo liquido letti all’idrometro. La determinazione della SCALA DI PORTATA richiede:

a) l'impianto dell’idrometro in una sezione appropriata, e la lettura o registrazione di livelli durante le ope-razioni per la misura della portata;

b) la esecuzione di un adeguato numero di misure di portata nella sezione (o in una più a monte o più a val-le purché attraversata dalla stessa portata) per differenti livelli all'idrometro (quindi in periodi diversi). Raramente la scala delle portate si mantiene costante per lungo tempo, perché l’alveo al solito non è sta-bile perfettamente come sarebbe se fosse in roccia oppure rivestito artificialmente con materiale che non si altera nel tempo, e non ci fosse crescita di piante acquatiche. La portata viene calcolata integrando sul-la sezione idrica la misure di velocità fatte con un MULINELLO IDRAULICO, costituito da un’elica messa in moto dalla corrente collegata a un dispositivo che fornisce la velocità del filone di corrente che investe l'elica. Il mulinello viene immerso nella corrente sostenuto da un supporto rigido oppure da un cavo.

Per portare agevolmente il mulinello a misurare la velocità in diversi punti della sezione prescelta, onde costruire il diagramma di distribuzione della velocità, si predispongono passerelle fisse o smontabili, etc. Mi-surate le velocità nei punti prefissati si costruisce il solido di portata (fig. 2.16). Il volume, in m3/s, di questo diagramma fornisce la portata. Il valore di questa si riporta sul grafico della scala di portata (ascissa), facen-dogli corrispondere come ordinata la media delle altezze idrometriche che si è avuto cura di leggere durante le operazioni di misura. Le indicazioni di portata che si deducono dalla lettura dell’idrometro sono affette da errori mai inferiori al ± 5%, che arrivano a più del 10% per la valutazione delle portate di piena.

Se l’idrometro è in una posizione tale da risentire della influenza di uno sbarramento del corso d’acqua ove si facciano manovre di apertura e chiusura delle paratoie, si deve rinunciare alla univocità della scala delle portate, che deve essere sostituita da un abaco che dia:

Q = Q (h, hp) (2.51)

ove h è l’altezza idrometrometrica nella sezione di misura, mentre hp tiene conto della influenza che hanno le diverse manovre delle paratoie sul regime di deflusso.

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3. RICHIAMI DI IDROLOGIA

Intesa quale disciplina naturalistica, l’idrografia e idrologia è la branca della geografia fisica rivolta allo studio dei fenomeni connessi al ciclo di trasformazione dell’acqua sulla crosta terrestre e nell’atmosfera: il CICLO IDROLOGICO. Nella pratica ingegneristica, l’applicazione delle metodologie della IDROLOGIA TECNICA consente la razionale determinazione dei parametri idrologici, quali portata di piena, volume di deflusso, ecc., essenziali per il dimensionamento delle opere idrauliche.

Dal punto di vista metodologico, le elaborazioni ideologiche sono da suddividersi in elaborazioni determi-nistiche ed elaborazioni statistiche. Con le prime, si descrivono, attraverso relazioni logico - matematiche in-terpretanti i fenomeni fisici, gli effetti di eventi meteorici (reali o ipotetici) sulle condizioni di deflusso dei corsi d’acqua.

Con le seconde, che sono di impiego più esteso delle altre, si determina la probabilità o RISCHIO IDRAULI-CO che nel futuro possa verificarsi un evento più gravoso di quanto previsto in fase di progetto causando un danno economico e sociale.

3.1 CICLO E BILANCIO IDROLOGICO

Durante il ciclo idrologico, la molecola d’acqua passa per effetto della gravità dall’atmosfera alla crosta terrestre con un cambiamento da fase gassosa a fase liquida. Il ritorno all’atmosfera con moto ascensionale e cambiamento di fase inverso è determinato dall’assorbimento di energia solare. Le connessioni tra i maggiori fenomeni idrologici sono riportate nello schema logico di fig. 3.1 ove è evidenziata la fase terrestre del ciclo idrologico; sono anche indicate le quantità d’acqua che vengono annualmente scambiate come media su tutto il globo tra le diverse parti del sistema idrologico, secondo le stime di Budyko e altri.

La misura delle variabili ideologiche ha prevalentemente carattere campionario in quanto le rilevazioni de-gli strumenti sono puntali e limitate nel tempo. Negli ultimi decenni con misure da radar meteorologico e da sensori satellitari è iniziato il rilevamento della distribuzione spaziale delle grandezze idrologiche con misure molto ravvicinate nello spazio. Gli strumenti di rilevamento automatico consentono di eseguire e registrare misure con intervalli di campionamento temporale molto piccoli.

L’equazione del bilancio idrologico lega tra loro i volumi d’acqua entranti ed uscenti dal BACINO IDRO-GRAFICO (o imbrifero) nell’intervallo temporale prescelto, il mese o più comunemente, l’anno. Con la chiu-sura del bilancio si verifica la reciproca congruenza delle misure e/o delle stime delle varie grandezze ideo-logiche oppure si calcola, note le altre, la variabile idrologica non misurata; i termini della equazione si e-sprimono come volumi, in m3, oppure più spesso come volumi specifici per unità di superficie, in mm. Nell’ipotesi che lo spartiacque freatico sia coincidente con lo spartiacque topografico:

P - Q - F - E = ∆S + ∆SF (3.1)

La differenza tra l’afflusso meteorico sul bacino P e il deflusso superficiale Q, il deflusso sotterraneo (in subalveo) F e l’evapotraspirazione E , modifica il volume idrico invasato alla superficie del bacino, in ghiac-ciai, rete idrografica, invasi e terreno agrario, ∆S e nella falda ∆SF.

Spesso il contributo del deflusso sotterraneo può giustificatamene ignorarsi; ammesso inoltre, con riferi-mento all’anno idrologico, che le variazioni annue dei volumi invasati siano trascurabili e che il volume an-nuo di evapotraspirazione effettiva sia legato al contributo meteorico da una relazione di proporzionalità si ottiene:

Q = C P (mm) (3.2)

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Il coefficiente di deflusso annuo C è inferiore all’unità solo se lo spartiacque freatico coicide con quello topografico.

3.2 LA PIOGGIA

L’umidità atmosferica, che, secondo Nace, non rappresenta più di un milionesimo di tutta l’acqua presente sulla terra, si rinnova perennemente e non permane, in media, più di nove giorni a formare le nuvole prima di dar luogo a una precipitazione di pioggia, neve o grandine. Una meteora può trovare origine dalle cause più disparate.

Tuttavia le piogge di una certa importanza sono dovute essenzialmente a raffreddamento adiabatico fino al punto di rugiada delle masse d’aria umida che, innalzandosi rapidamente, subiscono una riduzione di pres-sione: tipiche sono le precipitazioni associate al passaggio di aree cicloniche o di bassa pressione, che posso-no essere di tipo frontale o non frontale.

Le piogge di fronte caldo sono generalmente di intensità moderata, di lunga durata e coprono aree piuttosto estese mentre quelle di fronte freddo sono di natura temporalesca. Dello stesso tipo sono le precipitazioni convettive provocate da innalzamenti locali di masse d’aria calda circondate da un ambiente più freddo.

Quando s’aggiunge anche l’effetto di sollevamento dovuto alla presenza di catene montuose le precipita-zioni si rinforzano, soprattutto sul lato sopravento del rilievo.

La PRECIPITAZIONE ATMOSFERICA si misura, per mezzo dei pluviometri e dei pluviografi, come altezza (in mm, usualmente) della lama d’acqua che permarrebbe su una ipotetica superficie orizzontale e impermeabile.

Il pluviometro è costituito da un recipiente cilindrico che raccoglie l’acqua convogliatagli da una bocca standardizzata ad imbuto tronco conico; negli strumenti del Servizio Idrografico Italiano la superficie della bocca è tale che ad ogni litro d’acqua raccolta corrispondono 10 mm di pioggia. L’apparecchio deve essere sistemato in luogo aperto all’altezza di un metro e mezzo dal suolo. Essendo controllato e svuotato una volta al giorno, per convenzione alle ore 9 del mattino, il pluviometro misura l’altezza di pioggia giornaliera.

In zone di difficile accesso si utilizza il pluviometro totalizzatore che misura l’altezza della pioggia caduta in lunghi periodi di tempo, dell’ordine della settimana o del mese. Ove si abbiano abbondanti precipitazioni nevose, queste vengono sciolte e raccolte nel nivometro. Il pluviografo registra su un diagramma o su un na-stro magnetico l’aumento della altezza di pioggia in funzione del tempo.

L’intensità di pioggia è definita come rapporto tra l’altezza di pioggia e la relativa durata e si misura u-sualmente in mm/ora. Dalla lettura dei pluviometri si deduce l’intensità media giornaliera della pioggia, da quella dei pluviografi le intensità medie relative alle più varie durate, dalle molto brevi, interessanti lo studio delle piogge intense, alle durate di 24 ore e oltre: per evitare confusioni si ricordi che la intensità media gior-naliera non equivale alla media sulle 24 ore.

Le elaborazioni di statistica idrologica richiedono che la serie storica delle misure sia omogenea: a tal fine si ricorre alla analisi della doppia cumulata per controllare che, durante il periodo di registrazione, un cam-biamento di posizione dell’apparecchio od altri fattori non abbiano alterato le condizioni di misura. I valori cumulati delle altezze di pioggia annua rilevata all’apparecchio sotto osservazione vengono tracciati su un grafico in funzione dei corrispondenti valori relativi ad un apparecchio di riferimento o ricavati come media da più strumenti; eventuali gomiti della curva indicano gli anni in cui si è avuto un cambio di funzionamento.

La determinazione dell’afflusso meteorico a un bacino idrografico richiede il calcolo dell’altezza media di pioggia caduta sul bacino medesimo, noti i valori puntuali misurati ai pluviografi. La media aritmetica delle misure agli strumenti insistenti sul bacino o ad esso limitrofi dà un risultato attendibile solo se l’area è pia-neggiante e la distribuzione degli apparecchi è uniforme. Della disuniformità della loro distribuzione tiene conto il metodo dei topoieti (di Thiessen) che determina la pioggia media pesando le singole misure, con pesi

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proporzionali alle aree di influenza di ciascun apparecchio. Il contorno delle aree di influenza si traccia se-condo perpendicolari intersecanti nel mezzo le congiungenti i punti di misura. Con il tracciamento delle linee isoiete, ad uguale altezza di precipitazione, la stima della pioggia media può considerare anche fattori quali l’orografia, la direzione dei venti, etc. Note le isoiete, la determinazione del volume di pioggia è, per quanto laboriosa, diretta. Se è disponibile un solo punto di misura il volume di afflusso può essere stimato operando il ragguaglio all’area del bacino della misura puntuale. Nell’ipotesi che sia nota l’altezza di pioggia nel cen-tro di scroscio, punto di massima intensità della precipitazione, il coefficiente di ragguaglio:

KR = PmPo

(3.3)

rapporto tra la pioggia media sul bacino Pm e la pioggia nel centro della meteora Po può dedursi da grafici, tabelle, formule interpolanti.

3.3 IL DEFLUSSO SUPERFICIALE

Il deflusso superficiale è costituito da quella parte della precipitazione che scorre sulla superficie del terre-no, raccogliendosi poi nella rete idrografica. Il deflusso in alveo ha origine diretta dalla pioggia solo durante la fase iniziale dei fenomeni di piena; successivamente vi contribuisce anche il deflusso sotterraneo. In ma-gra, durante il regime di esaurimento, il deflusso è dovuto esclusivamente alle risorgenze di falda.

Il deflusso è sistematicamente controllato nelle sezioni più rappresentative della rete drenante, ove le porta-te vengono determinate correlandole, attraverso la SCALA DI DEFLUSSO (o delle portate) ai livelli letti all’asta idrometrica o misurati con continuità all'idrometrografo, che può essere a galleggiante, a pressione o ad ul-trasuoni. Col primo sistema la posizione di un galleggiante, che si sposta verticalmente nel suo pozzetto di calma inserito in alveo, viene registrata su un grafico o un nastro magnetico mossi da meccanismo ad orolo-geria. Col sistema a pressione, il livello è segnalato da un manometro inserito in un tubo che immette aria in alveo ad una pressione mantenuta in equilibrio con la pressione d’acqua nella corrente. Nel dispositivo ad ul-trasuoni la posizione del pelo libero è rilevata dalla sonda emettitrice e ricevente del segnale ad ultrasuoni posta esternamente alla corrente.

La scala di deflusso, che deve essere aggiornata almeno dopo ogni piena importante se l’alveo è mobile, è ottenuta interpolando le misure eseguite di solito solo per le portate medio - basse, ed è estrapolata al campo delle portate elevate. La misura diretta e continua della portata è imprecisa ed onerosa e ad essa si ricorre molto raramente: durante piene repentine, è consigliabile che la determinazione delle portate sia operata cor-reggendo l’usuale scala di deflusso di moto permanente tenendo conto dei fenomeni dinamici che accompa-gnano il passaggio dell’onda di piena (cappio di piena).

Durante una piena, il deflusso superficiale dipende quasi esclusivamente dalla intensità di precipitazione, dalla capacità di infiltrazione e dai caratteri morfologici del bacino imbrifero. La portata al colmo dell’onda di piena può essere stimata in modo estremamente rapido con la FORMULA RAZIONALE, valida per intensità di pioggia costante nel corso dello scroscio di durata critica:

Q = C i A 3.6 (m3/s) (3.4a)

Ove C è il coefficiente di afflusso, i è l’intensità di pioggia ragguagliata in mm/ora ed A è l’area del bacino in Km2. La durata critica è assunta pari al tempo di corrivazione, tempo teoricamente richiesto ad una goccia d’acqua per giungere dal punto più distante alla sezione di chiusura del bacino.

L'intensità della pioggia critica si ricava dalla CURVA DI POSSIBILITÀ PLUVIOMETRICA del bacino che si ri-cava elaborando statisticamente le misure delle più intense precipitazioni registrate ai pluviometri localizzati sull'area di interesse. La curva di possibilità pluviometrica - fig. 3.2 - che lega l'altezza di pioggia alla durata dello scroscio di pioggia, è descritta da una funzione sempre crescente ma con pendenza, ossia derivata pri-

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ma, sempre decrescente. In Italia la curva è sovente descritta da una funzione monomia con esponente n infe-riore all'unità:

h = a t n (mm) (3.4b)

i = n a t ( n -1) (mm/ ora) (3.4c)

I suoi parametri dipendono dal tempo di ritorno dell'evento di piena, definito in § 3.10, che si vuole pren-dere a riferimento nei calcoli di progetto.

3.4 L'EVAPORAZIONE E L'EVAPOTRASPIRAZIONE

L’evaporazione dai mari e dagli oceani è il mezzo col quale si garantisce in natura il rifornimento idrico delle terre emerse; l’evaporazione dagli specchi liquidi e dal suolo nudo è influenzata dalla radiazione solare, dalla temperatura dell’aria e dell’acqua, dalla umidità relativa dell’aria sopra la superficie evaporante, dal vento e dalla pressione barometrica.

Nella pratica, col termine EVAPORAZIONE si definisce una velocità di evaporazione misurata molto sempli-cemente osservando la diminuzione del volume d’acqua in una vasca, evaporimetro, di dimensioni standard; nell’evaporimetro, poiché i moti convettivi sono ostacolati dalle sue ridotte dimensioni, l’acqua si mantiene più calda ed evapora più rapidamente che in un corpo idrico naturale. I valori misurati debbono quindi essere ridotti.

L’evaporimetro può essere sistemato in posizione rialzata dal suolo, appoggiato su un graticcio di legno, come l’U.S. Weather Bureau Class A Pan alle cui misure si applica un coefficiente riduttivo medio CE = 0.7, oppure può essere interrato (Sunken Pan con CE = 0,85 ÷ 0,95) o fatto galleggiare in un bacino (CE = 0,80).

Altri apparecchi che non richiedono installazione fissa, come gli atmometri di Piche, di Bellini e di Livin-gston, non danno una misura diretta della evaporazione ma piuttosto il potere evaporante dell’atmosfera va-lutabile dalla quantità d’acqua evaporata attraverso la testa porosa (disco o sfera) dello strumento.

La velocità di evaporazione può essere stimata impostando il bilancio termodinamico del fenomeno; stime di pari precisione si ottengono anche con formule semplici derivate dalla applicazione della legge di Dalton.

Il volume d’acqua evapotraspirato, cioè usato dalle piante per la loro crescita vegetativa, evaporato dal suolo adiacente ad esse e dal velo di precipitazione intercettato dal fogliame, rappresenta il principale termi-ne di perdita d’acqua dal suolo agrario. Si definisce EVAPOTRASPIRAZIONE POTENZIALE (ETP) quel valore teorico di velocità di evaporazione che secondo Penman, si avrebbe “da una grande estensione erbosa, in cre-scita attiva, ombreggiante completamente il suolo, di altezza uniforme e soddisfacentemente irrigata”. La ETP è funzione soltanto del clima e può stimarsi con i metodi di Thornthwaite o di Penman che danno risul-tati di sufficiente accuratezza per gli usi pratici.

L’EVAPOTRASPIRAZIONE REALE (ETR), che è raramente superiore a quella potenziale e che dipende anche da fattori agronomici e dalla umidità dello strato utile di terreno insaturo entro il quale agisce l’apparato radi-cale, è di stima ben più difficile.

La misura della ETP, il cui andamento stagionale può considerarsi rappresentativo del clima di una data regione, si ottiene dagli evapotraspirometri, vasche impermeabili interrate, riempite di terreno agrario ben drenato, ricoperto d’erba e regolarmente innaffiato. La differenza tra i volumi idrici giornalieri consegnati e raccolti per percolazione in un serbatoio tarato dà, tenuto conto delle variazioni di umidità del terreno, la mi-sura voluta. Nei lisimetri, per la misura della ETR, si mantengono le condizioni di umidità e di tessitura del terreno uguali a quelle dell’area circostante. Per la misura delle forti variazioni di umidità che si hanno nel lisimetro si ricorre, in molti casi, ad un sistema fisso di pesatura.

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3.5 L'INFILTRAZIONE

Col termine INFILTRAZIONE si definisce il movimento dell’acqua, che attraverso la superficie del suolo permeabile, scende verso il basso sotto l’azione combinata della gravità, della viscosità e della capillarità. La portata infiltrata per unità di superficie si dice velocità di infiltrazione (mm/ora). Per un dato suolo, dipende dalla quantità d’acqua disponibile in superficie e dalla distribuzione di umidità del terreno; il valor massimo di questa velocità dicesi capacità di infiltrazione f. L’evaporazione dal suolo, al contrario, può dar luogo ad una pressione capillare che, richiamando l’acqua alla superficie, provoca la risalita capillare. Al di sotto dello strato di terreno nel quale l’acqua può essere richiamata alla superficie per capillarità o suzione da parte delle radici delle piante, il fenomeno prende il nome di permeazione.

Nell’ipotesi semplificata di diffusività D e conducibilità idraulica indipendenti dal grado di umidità del mezzo poroso, si determina che al procedere del fenomeno la capacità di infiltrazione si riduce rapidamente al suo valore a saturazione secondo la formula di Horton:

f = (fo – fC ) e -K t + fC (mm) (3.5)

La capacità di infiltrazione iniziale fo dipende dalle caratteristiche della superficie del terreno, ad esempio essa è maggiore (da 3 a 7.5 volte) nei suoli ricchi di sostanze organiche e protetti da vegetazione naturale che nei terreni coltivati o nudi, e dal contenuto di umidità nel suolo. La capacità a saturazione finale fC dipende soprattutto dalla permeabilità del terreno.

La capacità di infiltrazione di un terreno coperto da un velo d’acqua è misurata con i normali infiltrometri a sommergenza costituiti da un tubo cilindrico infisso nel suolo per 35÷55 cm e rifornito continuamente con un misurino sì da mantenere uno strato d’acqua costante oppure da 2 cilindri concentrici il più interno dei quali funge da misuratore mentre l’esterno, anch’esso riempito d’acqua, contrasta la dispersione del flusso verso l’esterno. L’infiltrazione in un terreno naturale sotto l’azione della pioggia battente dovrebbe essere misurata da infiltrometri muniti di simulatore di pioggia; i valori di velocità di infiltrazione che così si otten-gono sono fino a dieci volte minori di quelli ottenuti con sommergenza.

La pioggia netta o efficace è definita come la parte di precipitazione che, non infiltratasi, origina il deflusso superficiale; il coefficiente di afflusso C, rapporto tra il volume di pioggia netta ed il volume d’acqua preci-pitato durante l’evento meteorico, aumenta al crescere della durata di questo ultimo; è bene ricordare che in bacini molto differenziati, specialmente se la rete drenante incide le zone più impermeabili, il ricorso ad un valore medio di infiltrazione porta alla sottostima delle portate durante la fase iniziale della piena.

3.6 I REGIMI

La disponibilità della risorsa idrica – precipitazioni e conseguenti deflussi – in una determinata regione di-pende dalla posizione che questa occupa rispetto al regime generale di circolazione delle masse d’aria umida sulla Terra.

La risorsa non si mantiene costante nel tempo ma si presenta piuttosto variabile con un apparente anda-mento a cicli successivi di anni magri e di anni grassi. Nessuno è ancora riuscito a stabilire se i cicli di durata storica, una decina di anni, e quindi di interesse ingegneristico siano da ascriversi al puro caso ovvero a qual-che ragione naturale. Si osserva, comunque, che il valore annuo medio delle variabili ideologiche non varia nel tempo in maniera consistente, se il calcolo è fatto su un numero sufficiente di anni, almeno 25÷30; esso risulta così un parametro caratteristico del luogo. Una sua variazione repentina e apprezzabile sta ad indicare un cambiamento nelle condizioni climatiche o idrologiche, da ascriversi con una buona probabilità ad un in-tervento antropico.

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L’evoluzione temporale di una serie idrologica si può evidenziare filtrando numericamente la serie dei va-lori misurati, quali afflussi o deflussi annui, con una media mobile che, eliminando le fluttuazioni casuali più frequenti, pone in risalto l'andamento tendenziale della grandezza esaminata: la lunghezza N della media mobile deve scegliersi opportunamente per evidenziare al massimo le variazioni climatiche.

3.7 IL REGIME PLUVIOMETRICO

La successione dei dodici valori, medi su N anni, delle altezze di precipitazione mensile o dei rapporti tra tali altezze e la precipitazione media annua in una certa località, detti coefficienti di precipitazione, ne defini-sce il regime pluviometrico. Essi si differenziano secondo le stagioni di maggiore o minore piovosità.

Il regime pluviometrico e l’altezza di pioggia media annua in una data località dipendono: dalla massa con-tinentale in cui essa è situata, dalla sua distanza dal mare o da altre sorgenti di umidità, dalla differenza di temperatura tra l’oceano con le correnti e la terra emersa, dalla sua disposizione orografica.

All’equatore c’è una fascia di pressioni relativamente basse, dove l’intensa radiazione riscalda l’aria che sale e si espande; i venti umidi che convergono sulla regione danno luogo alle elevate precipitazioni tempo-ralesche tipiche dei regimi equatoriale e tropicale, rispettivamente con due e una sola stagione piovosa. A circa 30° di latitudine Nord e Sud staziona un’area di alte pressioni su cui discende aria calda e secca che dà le basse precipitazioni dei regimi desertici. Nella zona tra i 35° ed i 65° di latitudine l’interazione dei venti umidi in prevalenza occidentali con l’aria polare secca e fredda causa le perturbazioni di tipo frontale, con le abbondanti precipitazioni dei regimi continentali. Alle stesse latitudini si hanno i regimi marittimi con preci-pitazioni estive temporalesche di tipo convettivo. Oltre i 65° di latitudine si impone la circolazione di aria polare asciutta e fredda e le precipitazioni dei regimi delle alte latitudini o subartici sono scarse. Ove si fron-teggiano grandi masse continentali e oceaniche, gli andamenti stagionali si discostano anche notevolmente da quelli ora definiti, come in Asia e in generale nella zona dei monsoni (regime monsonico) con estati pio-vose quando prevale il monsone umido proveniente dall’oceano e inverni asciutti per l’instaurarsi del mon-sone contrario.

L’altezza di precipitazione annua media in Italia è di 970 mm, valore molto prossimo a quello della piovo-sità media su tutta la superficie del globo. I regimi pluviometrici italiani possono ricondursi a 4 tipi principa-li:

1. alpino, con estate piovosa e inverno secco;

2. sublitoraneo alpino, con autunno e primavera piovosi e le altre due stagioni secche: l’inverno è il più a-sciutto;

3. sublitoraneo appenninico, con autunno, soprattutto, e primavera piovosi, le altre due stagioni secche e il minimo di pioggia in estate;

4. marittimo, con estate secca e inverno piovoso.

3.8 IL REGIME IDROLOGICO

La modulazione stagionale dei deflussi da un bacino, cioè il suo regime idrologico, spesso si discosta for-temente dal regime pluviometrico della regione di appartenenza. Essenzialmente nel regime idrologico si ri-specchiano, oltre ai fattori pluviometrici, anche quelli termometrici, morfologici e geologici del bacino.

I bacini italiani possono suddividersi in:

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1. bacini alpini a regime glaciale, glacio - nivale e nivo - pluviale, procedendo da monte verso valle. Nei primi il contributo ai deflussi proviene da afflussi vecchi di qualche anno immagazzinati sotto forma di ghiaccio, nei secondi il deflusso primaverile proviene dalle precipitazioni nevose accumulate l’inverno precedente. Lo sfasamento tra i deflussi e gli afflussi mensili è tanto minore quanto più importante è la componente pluviale;

2. bacini alpini sublacuali, tra i quali numerosi sono quelli a regime di risorgiva, caratterizzati da una spic-cata uniformità dei deflussi mensili;

3. bacini appenninici: i bacini padani sono a regime nivo - pluviale, mentre i restanti bacini appenninici e delle isole sono, con qualche eccezione, a regime essenzialmente pluviale e si differenziano tra loro a se-conda del grado di permeabilità. Il regime idrologico segue tanto meno fedelmente quello pluviometrico quanto più il bacino è permeabile; i coefficienti di deflusso sono più alti in primavera, quando il terreno è più umido, che in autunno.

3.9 L'IDROLOGIA STATISTICA

Il calcolo delle probabilità, la statistica e la teoria dei processi stocastici consentono di definire quantitati-vamente la probabilità che l’opera in progetto non sia capace di svolgere la sua funzione fino a giungere, nel caso peggiore, al collasso quanto non riesce a reggere le sollecitazioni alle quali è sottoposta. Un indicatore di rischio è il TEMPO DI RITORNO T, durata media in anni del periodo in cui il valore assegnato x della varia-bile X viene superato una sola volta, che è legato alla probabilità di non superamento:

P ( x ) = prob ( X ≤ x ) (3.6a)

dalla relazione:

P( x ) = 1 - 1T (3.6b)

Tenuto presente che l’estrapolazione a tempi di ritorno elevati porta a valutazioni sovente prive di signifi-cato, ricordiamo che, ad esempio, le fognature vengono dimensionate con T = 10÷20 anni, gli argini fluviali con T = 100÷1000 anni e le opere di sfioro da dighe con T = 1000÷10000 anni.

La probabilità di insuccesso R dell'opera è definita dalla probabilità di avere almeno una fallanza nel corso della sua vita utile. Con la usuale ipotesi della reciproca indipendenza degli eventi che possono provocare la crisi dell'opera, la probabilità di insuccesso è data dal complemento a uno della probabilità che l'opera non abbia alcun insuccesso nel corso dei suoi N anni di vita. Dalla definizione della probabilità congiunta di N eventi di non superamento tra loro indipendenti, otteniamo:

R = 1- (1 - 1T )N ≈

NT (3.6c)

L'espressione approssimante vale solo per T >> N; si noti altresì che un'opera dimensionata sul tempo di ri-torno pari alla sua vita utile ha probabilità di fallanza R = 0.636 > 0.5, come indurrebbe a ritenere l'interpre-tazione letterale della definizione di tempo di ritorno.

L’elaborazione statistica dei dati di un campione di misure di una grandezza idrologica ha lo scopo di deli-neare i caratteri statistici della popolazione della variabile idrologica dalla quale si ipotizza che il campione sia stato estratto. Descrittori sintetici di questi caratteri sono i parametri (momenti e cumulanti) della distri-buzione di probabilità, i frattili e l’istogramma di frequenza. La più completa sintesi statistica della informa-zione idrologica si ottiene deducendo dal campione la forma della FUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI PROBABI-LITÀ (FDP) della variabile. La funzione derivata della funzione di distribuzione, o di ripartizione, di probabi-lità è la FUNZIONE DI DENSITÀ DI PROBABILITÀ ( fpd ) .

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3.10 LA STIMA DEI PARAMETRI STATISTICI

Le stime indistorte e consistenti dei parametri statistici di una popolazione, noti i valori { X1,…, XN} di un campione di dimensione N sufficientemente grande, sono:

1) per la MEDIA, valore attorno al quale tende a distribuirsi la variabile:

µ = X =

NΣ i 1

Xi

N (3.7)

Di norma, il valore medio (3.7) è differente dal valore mediano - frattile X50 con probabiltà P(X50) = 0.5 - e dal valore modale Xm in corrispondenza del quale la fpd è massima. Solo nella distribuzione gaussiana (3.13): X = X50 = Xm .

2) per lo SCARTO QUADRATICO MEDIO, indice della dispersione della variabile intorno al valore centrale:

σ = s = [

NΣ i 1

( Xi - X )2

N - 1 ]1/2 (3.8)

e il COEFFICIENTE DI VARIAZIONE è:

Cv = sX

(3.9)

3) per il COEFFICIENTE DI ASIMMETRIA, che è positivo per FDP con coda che si protende verso destra:

γ1 = g1 = N5/2

(N - 1) (N - 2)

NΣ i 1

( Xi - _X )3

[ NΣ i 1

( Xi - _X ) 2 ]

3/2 (3.10)

4) per il COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE, indice della forza del legame tra le due componenti (X,Y) di una distribuzione bivariata:

ρ = r = s XYsX sY

- 1 ≤ ρ ≤ 1 (3.11)

con la covarianza s XY definita come:

σ XY = s XY = 1

N - 1 NΣi 1

[( Xi - _X ) ( Yi -

_Y ) ] (3.12)

I parametri così stimati sono delle variabili distribuite casualmente con momenti legati a quelli della popo-lazione dalla quale il campione è tratto: la stima è tanto più efficiente quanto più grande è N e quanto più basso è l’ordine del parametro stimato. Non è quindi consigliabile stimare i parametri delle FDP con più di 2 parametri da piccoli campioni, con N<30.

3.11 LEGGI DI RIPARTIZIONE DI PROBABILITÀ

La distribuzione di probabilità di una variabile casuale è completamente definita quando, scelta la legge te-orica, ne siano stati determinati i parametri. Nelle elaborazioni pratiche è abituale stimare i parametri col me-todo dei momenti, più semplice e più rapido di quello di massima verosimiglianza.

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3.11.1 LEGGE NORMALE

Solo quando | γ1 |<0.1 e CV < 0.2 si può sperare che la distribuzione di probabilità di una variabile casuale sia ben interpretata dalla LEGGE NORMALE (o di GAUSS) N (µ, σ) la quale, avendo campo di validità (-∞ , +∞) , mal si adatta a grandezze sempre positive. La sua espressione canonica è:

P ( X ) = 12 π

⌡⌠-∞

X e - ν

2/2 d ν (3.13)

avendo definito la variabile ridotta normale:

ν = x - µ

σ (3.14a)

3.11.2 LEGGE LOGNORMALE

La LEGGE LOGNORMALE (o di Galton) gode di largo favore nella rappresentazione statistica di variabili i-deologiche sia per i valori correnti che per i valori estremi, in quanto è limitata al solo campo positivo ed è asimmetrica. Definita la variabile ridotta lognormale con la trasformazione:

ν = ln ( X ) - µL

σL (3.14b)

la legge di distribuzione LN (µ, σ) è data dalla (3.13). Con il metodo dei momenti si stimano i parametri della legge lognormale dalla media e dallo scarto quadratico medio del campione:

σL2 = ln (CV

2 + 1) (3.15a)

µ L = ln (_X ) – 0.5 σL

2 (3.15b)

L’asimmetria della legge lognormale, che è legata al coefficiente di variazione dalla:

γ L = 3 CV + CV3 (3.15c)

può essere imposta nella legge lognormale a 3 parametri (o di Gibrat) il cui uso però molto spesso non por-ta a miglioramenti sostanziali.

3.11.3 LEGGE GAMMA

La LEGGE GAMMA (o terza legge di Pearson) a 2 o 3 parametri è più duttile della corrispondente lognorma-le e dà risultati analoghi anche se rispetto a questa è di meno agevole rappresentazione su carta probabilisti-ca. La legge a 2 parametri G (κ, λ) è data dal rapporto:

P ( X ) = Γ( κ, λ X )

Γ( κ) X ≥ 0 (3.16)

tra la funzione gamma incompleta:

Γ ( κ, Z ) = ⌡⌠o

Z e - u u k-1 d u (3.17a)

e la funzione gamma:

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Γ ( κ ) = ⌡⌠o

∞ e - u u

k-1 d u (3.17b)

che si trovano abbastanza diffusamente tabulate in manuali e approssimate con sviluppi in serie in Excel. I parametri della distribuzione, stimati con metodo dei momenti, sono dati da:

κ =

_X2

s2 (3.18a)

λ =

_Xs2 (3.18b)

La G (κ, λ) è asimmetrica con

γ G = 2κ

(3.18c)

3.11.4 LEGGI ASINTOTICHE DEL MASSIMO VALORE

Quando M è sufficientemente grande, la distribuzione del massimo tra M valori della variabile casuale, come ad esempio il massimo annuo di portata giornaliera, segue la PRIMA LEGGE ASINTOTICA DEL MASSIMO VALORE (o di Gumbel) che approssima la forma della coda di una qualsivoglia funzione di ripartizione di probabilità. La funzione è definita nel campo (-∞ , +∞):

P ( X ) = e – e– ν (3.19)

ove compare la variabile ridotta di Gumbel:

ν = α (X – u) (3.20)

I parametri della legge EV1( α, u) sono dati dagli stimatori del metodo dei momenti:

α = 1.283

s (3.21a)

u = _X – 0.450 s (3.21b)

L’asimmetria della distribuzione è fissa:

γ EV1 = 1.1396 (3.21c)

Simmetricamente, per la distribuzione del minimo tra M valori, qual è la portata di massima magra annua, Gumbel propose la prima legge asintotica del minimo valore che è definita nel campo (-∞ , +∞):

P ( X ) = 1 - e – e– ν (3.22)

i cui parametri sono stimati con:

α = 1.283

s (3.23a)

u = _X + 0.450 s (3.23b)

La SECONDA LEGGE ASINTOTICA DEL MASSIMO VALORE (o di Fréchet) ha il vantaggio, rispetto alla prima legge, di essere limitata a valori positivi della variabile:

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P ( X ) = e – (u / X) κ (3.24)

Il calcolo dei parametri è invece più oneroso. Dall’applicazione del metodo dei momenti risulta:

_X = u Γ( 1 -

1 κ

) (3.25a)

CV2 =

Γ ( 1- 2 κ

)

Γ2 ( 1- 1 κ

) – 1 (3.25b)

La TERZA LEGGE ASINTOTICA DEL MASSIMO VALORE (o di Weibull) a tre parametri se il limite inferiore è diverso da zero, è usualmente rivolta allo studio dei valori minimi. La stima dei parametri risulta in questo caso piuttosto laboriosa. Nel caso che si ponga uguale a zero il limite inferiore le cose si semplificano:

P ( X ) = 1 - e – (u / X) κ X ≥ 0 (3.26)

Il metodo dei momenti dà gli stimatori:

_X = u Γ( 1 +

1 κ

) (3.27a)

CV2 =

Γ ( 1 + 2 κ

)

Γ2 ( 1 + 1 κ

) – 1 (3.27b)

Poiché il logaritmo di una variabile distribuita secondo la legge di Weibull o la legge di Fréchet ha una FDP di Gumbel, queste leggi prendono talvolta il nome di Log - Gumbel.

Di diffuso impiego per l’analisi delle piene è anche la legge esponenziale traslata conosciuta nella pratica con la forma proposta da Fuller, che fa comparire esplicitamente il tempo di ritorno. La LEGGE DI FULLER si scrive:

X = x0 [ 1 + β ln (T)] (3.28)

La legge è definita per X ≥ x0 , valore con tempo di ritorno annuo. I parametri sono stimati con le relazioni:

^ x0 = _X – s (3.29a)

β = s^ x0

(3.29b)

In particolari casi si utilizzano anche la distribuzione Beta, che ha il vantaggio di essere limitata inferior-mente e superiormente, e le distribuzioni troncate.

3.12 CARTE PROBABILISTICHE

Usualmente la scelta tra i modelli statistici di regolarizzazione delle distribuzioni campionarie è operata preferendo la legge che meglio si adatta alla distribuzione dei dati del campione.

Il confronto grafico su CARTA PROBABILISTICA tra la curva delle frequenze cumulate dei dati e quella delle probabilità delle leggi teoriche dà un’indicazione molto efficace della bontà dell’adattamento globale, segna-lando altresì le zone di discrepanza. Ciascuna legge di distribuzione teorica viene rappresentata sulla propria

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carta probabilistica con una retta: la c.p. normale e la c.p. di Gumbel rettificano, rispettivamente, le curve (3.13) e (3.19). Sull’ascissa della carta probabilistica è riportata la grandezza casuale in scala lineare, ad ec-cezione della FDP lognormale, mentre sulle ordinate è riportata, in scala lineare, la variabile ridotta; la gra-duazione della probabilità che corrisponde alla variabile ridotta risulta quindi in scala deformata. Le coordi-nate - X, F - dei vertici (PLOTTING POINTS) della poligonale delle frequenze cumulate si ottengono assegnan-do ai dati del campione, disposti in ordine crescente, la frequenza (di non superamento) proposta da Weibull:

F( X i ) = i

N + 1 (3.30)

essendo i il numero d’ordine del dato X i che risulta dal disporre in ordine crescente gli N dati del campio-ne.

In fig. 3.3 sono tracciate su carta probabilistica lognormale le curve regolarizzatrici della distribuzione del-le frequenza del massimo annuo di portata del Tevere a Ripetta.

3.13 I TEST DI ADATTAMENTO

Tra i test di adattamento, che controllano se la distribuzione di frequenza dei dati devia in maniera statisti-camente significativa dalle previsioni del modello teorico, il più comune è il TEST DI PEARSON o del χ2, che misura lo scostamento tra l’istogramma empirico e quello teorico della variabile casuale: suddiviso il campo della variabile in numero finito K di classi, in ciascuna delle quali la variabile abbia, in base alla legge teori-ca in esame, probabilità pi (i = 1,….,K) di ricadere, si determina per ciascun intervallo il numero Ni di dati del campione che vi ricadono. Allora la statistica:

D1 = NΣ i 1

[ ( Ni – N pi )2

N pi ] (3.31a)

segue approssimativamente la distribuzione del χ2 con f = K – r - 1 gradi di libertà, essendo r il numero dei parametri della legge stimati dal campione. Individuato il valore critico ( χ2)α della legge a f gradi di libertà, è accettata l’ipotesi H0 ossia che il campione sotto esame sia tratto da una popolazione distribuita secondo la legge considerata se:

D1 < ( χ2)α (3.31b)

Il valore α è il LIVELLO DI SIGNIFICATIVITÀ DEL TEST che misura la probabilità di rifiutare l’ipotesi H0

quando è invece giusta: al solito è α = 0.10 oppure α = 0.05.

Nell’esecuzione del test si usa l’accortezza di operare una ripartizione tale che sia pi = P, uguale per tutte le classi, e che: N P ≥ 5.

Il TEST DI KOLMOGOROV – SMIRMOV considera il massimo scostamento tra la funzione di distribuzione empirica e quella teorica. Il test, che vale a rigore solo se i parametri della legge sono noti a priori e, quindi, non sono indipendenti dal campione, è accettato se risulta:

D2 ≤ C (3.32a)

La statistica D2, la cui distribuzione è indipendente da quella della variabile X, è definita da:

D2 =

max {i} |

iN - P(Xi) |

(3.32b)

mentre il termine di confronto è:

C = 1.22

N al livello di significatività α = 0.10

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C = 1.36

N al livello di significatività α = 0.05

Queste due relazioni valgono se N ≥ 30.

3.14 PROCESSI STOCASTICI

I modelli di generazione delle grandezze ideologiche sono tra le principali applicazioni della teoria dei processi stocastici. Le SERIE TEMPORALI sintetiche, generate in gran numero, vengono utilizzate per simulare col metodo Monte Carlo la risposta di sistemi di opere idrauliche di fronte alle più svariate eventualità future, onde giungere ad una valutazione statistica della loro affidabilità.

Oltre ai caratteri statistici dei valori medi, massimi e minimi della serie storica, le serie temporali sintetiche debbono anche riprodurre la persistenza ( tendenza ad avere successioni di più valori superiori od inferiori alla media ), con l’avvertenza che un modello approssimante per difetto la persistenza del fenomeno reale porta, nelle applicazioni, a conclusioni sottostimanti.

La procedura delineata implica che la serie storica possa considerarsi, dal punto di vista statistico, come una delle infinite possibili realizzazioni di un processo stocastico del quale deve essere ricercato il modello.

Ipotizzato che il processo stocastico sia stazionario – a parametri invariabili nel tempo – ed ergodico – con medie temporali uguali ai valori attesi -, risulta molto utile alla scelta del modello l’analisi dell’autocorrelogramma empirico della serie storica: andamento della stima rk del coefficiente di autocorrela-zione ρk in funzione del ritardo k.

Se {X1, X2, … ,Xt, … ,Xn} è la successione dei valori annui misurati, oppure mensili standardizzati col va-lore della media e dello scarto quadratico medio del mese al quale appartengono, risulta:

rk = ρ k =

N - k

Σt 1

( Xt - _XI) ( Xt + k -

_XF )

(N - k) s I s F -1 ≤ r k ≤ +1 (3.33)

ove le medie e gli s. q. m. con pedice I e F sono calcolati sui primi e rispettivamente sugli ultimi N - k va-lori della serie storica.

Le stime rk sono variabili casuali, normalmente distribuite intorno al valore vero ρk ; qualora fosse ρk = 0 la sua stima potrebbe, con probabilità assegnata Pu , assumere un qualunque valore interno all’intervallo:

( - 1 - u N - k - 1

N - k ; - 1 + u N - k - 1

N - k ) (3.34)

La variabile ridotta u si calcola dalla Pu invertendo l’integrale (2.13): al solito nel test si assume Pu = 0.80 ovvero Pu = 0.90.

Tra i modelli di processi stocastici stazionari, i più semplici sono quelli lineari autoregressivi del 1° ordine, i quali ammettono che la distribuzione di probabilità della variabile xt al tempo t è condizionata soltanto al valore xt - 1 assunto dalla medesima variabile all’istante precedente.

Facendo riferimento alla variabile ridotta ν definita da (3.14a) oppure (3.14b), la successione dei valori di una serie temporale di M valori, adimensionali, della variabile ridotta si ricava dalla relazione ricorsiva:

νt = ρ1 νt - 1 + 1 - ρ12 ε t = 1, … , M (3.35)

avendo fissato a piacere il valore iniziale della serie. Al solito ν0 = 0. Gli ε sono una sequenza di M valori indipendenti tra loro estratti a caso dalla distribuzione gaussiana (3.12). Notiamo che, qualora il modello sia ciclo – stazionario come nel caso di grandezze idrologiche mensili che hanno ciclicità annua, ciascun valore

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di xt è standardizzato rispetto al valore medio e allo s. q. m. del mese di calendario (gennaio, …, dicembre) al quale appartiene.

Nel caso di modello markoviano lognormale il coefficiente di correlazione ρ1L è legato a media, s. q. m. e coefficiente di correlazione stimati dal campione rispettivamente con le (3.7), (3.8) e (3.33) con k = 1:

ρ1L = ln ( 1+ ρ1 CV

2) ln ( 1+ CV

2) (3.36)

Concludendo, il modello di generazione dei valori annui ha solo 3 parametri mentre quello di generazione dei dati mensili ha 36 parametri µi , σi , ρi (i = 1 , … , 12).

Una valutazione della bontà del modello adottato può ottenersi confrontando l’autocorrelogramma empiri-co della serie originaria con quello teorico che, nel caso del modello (3.35), è dato dalla formula:

ρk = (ρ1 ) k (3.37)

I modelli autoregressivi appartengono, come caso particolare, alla più generale classe di modelli lineari stazionari ARMA: questi danno una rappresentazione del processo stocastico sia in termini di componenti autoregressive che di componenti a media mobile (moving average).

Il modello più semplice, cioè l’ARMA (1,1), è definito dalla relazione ricorsiva:

~Xt = Φ

~Xt-1 + ηt – Θ ηt-1 (3.38)

che lega la variabile:

~X = X - µ

alla variabile casuale η avente distribuzione di probabilità N (0, ση).

I parametri del modello ARMA (1,1) si calcolano con le seguenti espressioni:

Φ = ρ1ρ2

(3.39a)

ρ1 = ( 1 - Φ Θ ) (Φ - Θ )

1 + Θ2 – 2 Φ Θ (3.39b)

Lo s. q. m. ση della variabile η è legato allo s. q. m. σ della variabile originaria X della relazione:

ση = ( 1 + Θ2 – 2 Φ Θ ) ( 1 – Φ2) σ (3.39c)

Per le condizioni di invertibilità e di stazionarietà, il modello ARMA (1,1) è applicabile solo se:

| ρ2 | < | ρ1 | (3.40a)

ρ2 > ρ1 ( 2 ρ1 + 1) se ρ1 < 0 (3.40b)

ρ2 > ρ1 ( 2 ρ1 - 1) se ρ1 > 0 (3.40c)

3.15 LA VALUTAZIONE DELLE RISORSE IDRICHE

La RISORSA IDRICA teoricamente disponibile in un bacino è definita dalla media del volume di afflusso me-teorico annuo; la disponibilità idrica potenziale di un corso d’acqua in una sezione è data dalla media del vo-lume di deflusso annuo. La disponibilità reale della risorsa è condizionata essenzialmente dalla sua modula-zione nel tempo, dal suo pregio (economico e sociale) e dalla sua accessibilità.

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Il grado di utilizzazione R, con 0 <R ≤ 1, è il rapporto tra il volume annuo utilizzato e quello fluente in al-veo. Esso dipende dalle modalità di prelievo della risorsa e cresce passando da acqua fluente a distribuzione con interposizione di serbatoio stagionale o di serbatoio pluriennale, idoneo a superare periodi critici di più anni siccitosi.

L’affidabilità del prelievo è definita dalla probabilità di fornire il volume idrico garantito. Misure usuali della DEFICIENZA IDRICA sono la durata (ad es. in gg/anno) dell’erogazione insufficiente e il grado di deficit, rapporto tra il volume idrico non erogato e quello contrattualmente garantito nel medesimo periodo.

Il tempo di ritorno, come misura di rischio di deficienza, è definito più significativamente da:

T = 1

P( x ) (3.41)

in luogo della (2.6). In progetti di pianificazione idrica è spesso necessario, tramite indagini regionali, in-dividuare le condizioni di deflusso in corsi d’acqua non tenuti sotto osservazione.

3.16 LE MAGRE FLUVIALI

Tradizionalmente i caratteri di una utilizzazione ad acqua fluente vengono definiti con l’analisi della CUR-VA DI DURATA DELLE PORTATE di fig. 3.4 sulla quale è immediato leggere il valore della portata che è garan-tita, mediamente, per un assegnato numero di giorni all’anno.

Più completa informazione può trarsi dall’analisi statistica delle portate di magra del fiume. La MAGRA è definita convenzionalmente come il periodo in cui il deflusso è inferiore ai valori di regime. L’analisi stati-stica ipotizza, ovviamente, che il deflusso di magra avvenga in regime naturale, non impoverito da deriva-zioni né sostenuto con rilasci da serbatoi: se così non fosse, i deflussi dovrebbero essere depurati e ricondotti alla condizione naturale.

Il volume defluente con assegnata probabilità α durante una magra di durata tM si deduce dalla funzione ri-partitrice di probabilità dei deflussi di magra, che interpola i minimi valori defluiti nel periodo tM, corrispon-denti a tutte le magre della serie storica che siano tra loro indipendenti.

Coi modelli di previsione di magra si anticipa, possibilmente con largo margine, la gravità della prossima magra. Le regressioni delle portate minime di magra QM sugli afflussi dei mesi precedenti la magra stessa sono tra i più semplici modelli previsionali: spesso però le correlazioni afflussi – deflusso di magra sono po-co significative.

3.17 I SERBATOI DI REGOLAZIONE

Il volume di ritenuta attiva o capacità di invaso C di un serbatoio si determina quando siano state definite:

1. le caratteristiche generali della utilizzazione e dell’opera di ritenuta,

2. il grado di utilizzazione della risorsa,

3. la legge di modulazione dei prelievi,

4. l’affidabilità della erogazione.

La successione degli invasi { St } nel serbatoio di capacità di invaso C, in cui entra l’afflusso netto X t , che

può essere positivo o negativo, pari all’afflusso naturale Q t depurato dell’erogazione E t e della perdita non controllabile Pt in quanto dovuta a evaporazione o filtrazione:

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X t = Q t - E t - P t (3.42a)

costituisce un processo stocastico poiché X t con t = 1, 2, … varia aleatoriamente. Il processo stocastico è definito dalla relazione:

St = max [ 0, min. (St-1 + Xt , C ) ] t = 1, 2, … (3.43)

3.17.1 DIMENSIONAMENTO DEI SERBATOI

I calcoli idrologici di dimensionamento danno una stima del volume C in funzione del grado di utilizzazio-ne della risorsa e della affidabilità della erogazione. Spesso i risultati si sintetizzano in curve di possibilità di regolazione del corso d’acqua o grafici similari. Il dimensionamento idrologico preliminare, che non consi-dera fatti economici, misura l’affidabilità del sistema idrico in termini o di tempo di ritorno T o di probabilità annua di fallanza PF.

La capacità di ritenuta attiva può ottenersi come somma della capacità di regolazione stagionale, che inva-sa i deflussi durante le stagioni umide dell’anno per rilasciarli nelle stagioni secche, e di quella di regolazio-ne interannuale, che ridistribuisce le eccedenze di deflusso degli anni grassi a quelli magri successivi.

La capacità di invaso del serbatoio che regola l'afflusso al 100% e quindi non rimane vuoto né sfiora, si de-termina molto semplicemente il METODO DEL SERBATOIO INFINITO illustrato in fig. 3.5a ottenuta ponendo nella (3.43) il limite di invaso C = ∞ .

Il serbatoio che “mediamente” non presenta fallanza né si svuota per un prefissato periodo di ritorno (T = 5,10,20 anni) si può dimensionare col METODO DEL SERBATOIO SEMIFINITO di fig. 3.5b. Per ciascuna delle N serie parziali di durata T anni, in cui è stata suddivisa la serie dei deflussi, si calcola la capacità con la proce-dura seguente. Per la i - esima serie parziale si calcola:

St = min. (St-1 + Xt ) t = 1, 2, … , m T ; S0 = 0 per t = 0 (3.44a)

Ci = max ( St ) – min ( St ) t = 1, 2, … , m T (3.44b)

essendo m il numero di intervalli temporali in cui è stato suddiviso l’anno.

Dagli N valori di capacità Ci si calcola:

C =

NΣ i 1

C i

N (3.44c)

3.17.2 GESTIONE DEI SERBATOI

La relazione (3.43), che è del tutto generale, deve essere corredata dalla regola di gestione del serbatoio onde rappresentare una situazione realistica: la regola di gestione deve essere fissata in modo da massimizza-re il reddito procurato dall’infrastruttura idraulica sulla base di un prefissato criterio economico, di cui si dirà in Cap.6. In via preliminare e senza fare ricorso a considerazioni economiche, possiamo individuare due si-tuazioni rappresentative.

Innanzitutto distinguiamo tra la:

− erogazione E t definita precedentemente, che rappresenta il volume d’acqua che esce dal serbatoio nell’unità di tempo,

− derivazione D t che indica la quantità d’acqua da cedere all’utenza e stabilita per contratto. La derivazio-ne può essere: (a) costante, (b) variabile stagionalmente, ripetendosi più o meno uguale nel corso degli

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anni; (c) al servizio idroelettrico, con resa massima della generazione di energia, che dipende dalla quan-tità di acqua erogata e dal livello di invaso nel serbatoio.

Alla situazione di:

1. razionamento idrico con E t < D t corrisponde un danno;

2. surplus idrico con E t > D t corrisponde o una vendita di un volume di acqua, che essendo più grande di quello contrattuale, sarà pagato a un prezzo inferiore ovvero a uno sfioro di acqua attraverso gli organi di sicurezza della diga, che corrisponde a un mancato introito: di ciò si tiene conto suddividendo la eroga-zione complessiva E t di (3.42a) nelle sue componenti, erogazione contrattuale D t e sfioro U t :

X t = Q t - D t - U t - P t (3.42b)

La regola di gestione del serbatoio “tutto o niente”, che minimizza la durata del periodo di fallanza, eroga sempre la quantità di contratto D t ovvero tutto quello che rimane nel serbatoio. Al contrario, sfiora il surplus in arrivo quando il serbatoio è pieno. Pertanto, in corrispondenza delle condizioni di vincolo rappresentate nella (3.43) dagli operatori min. ovvero max, uscirà dal serbatoio la quantità:

E t = S t-1 + Q t - P t (3.45a)

nel caso di razionamento idrico;

E t = S t-1 + Q t - D t - U t - P t (3.45b)

nel caso di surplus idrico. Questa regola è quasi sempre antieconomica in quanto genera danni concentrati nel tempo ma spesso tanto gravi da essere estremamente penalizzanti.

La regola del filo teso introdotta in Italia dal Conti all’inizio del XIX secolo ottimizza la regolazione del serbatoio distribuendo sul più lungo periodo di tempo possibile il razionamento ovvero lo sfioro di acqua. La regola, che veniva applicata con metodo grafico, si traduce numericamente nei seguenti passi.

a) Con la relazione:

St = St-1 + Q t - D t - P t (3.46)

si individua la successione degli istanti critici { τ i } nei quali si realizza una delle due condizioni di mas-simo locale:

U*i = max [Sτ – C ]

R*i = max [0 - Sτ ]

b) Il surplus U*i ovvero il deficit R*i viene ripartito sull’intervallo di tempo [τ i-1 , τ i ] in proporzione al va-lore della derivazione di contratto.

3.18 LE PIENE FLUVIALI

Il rischio idraulico ammissibile per opere il cui cedimento causa lo sconvolgimento delle attività socio - economiche di un territorio e implica la perdita di vite umane è sempre di opinabile definizione.

Qualora, invece, i danni siano monetizzabili l’analisi economica aiuta a fissare il tempo di ritorno dell’opera; nel caso semplicissimo in cui il danno D di una eventuale esondazione sia indipendente dalla por-tata, il costo dell’opera di difesa, la cui durata economica è di n anni, cresca linearmente con la portata di di-mensionamento Xd:

C = Co + b Xd

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e i massimi annui di piena siano distribuiti secondo la (3.28), il dimensionamento ottimale si ha in corri-spondenza di:

T = n D

b xo β anni (3.47a)

Ricordando la (2.29) si deduce dalla (2.47a) la formula del tempo di ritorno ottimale:

T = n Ds b anni (3.47b)

Per assegnato tempo di ritorno, il pericolo Rn che in n anni l’opera dimensionata su Xd = Xd (T) risulti in-sufficiente, è per l’assioma della probabilità composta:

Rn = 1 – ( 1 - 1T ) n (3.48a)

che, per 1T « 1, diventa:

Rn = nT (3.48b)

La probabilità che almeno un evento con tempo di ritorno di n anni si verifichi in un periodo di n anni è:

Rn = 1 – ( 1 - 1T ) n ≈ 1 – e-1 = 0.632 (3.48c)

Quindi l’opera progettata su una portata avente T = n sarà soggetta a cedimento con probabilità circa 2/3 ogni n anni.

La portata Xd si calcola:

a) con metodi statistici descritti in §3.4, elaborando direttamente le portate di massima piena annua registra-te nella sezione fluviale interessata dall’opera oppure, se non esistono misure dirette, deducendo la desi-derata distribuzione di probabilità delle piene dai dati di corsi d’acqua idrologicamente simili;

b) noto il regime pluviometrico del bacino tributario, determinando con un modello di trasformazione af-flussi - deflussi l’onda di piena originata da una pioggia critica avente assegnata probabilità. La formula razionale è da considerarsi una estrema semplificazione di questo metodo;

c) in mancanza di dati idrometrici o pluviometrici oppure per valutazioni orientative si usano le formule empiriche o semi - statistiche di validità regionale;

Qualora il regime del corso d’acqua presenti due stagioni di piena, può essere conveniente elaborare le massime piene semestrali in luogo delle massime annue, e, se si può ammettere che le piene avvenute in sta-gioni differenti appartengono alla stessa popolazione di variabili casuali, si fa ancora riferimento alle funzio-ni di ripartizione elencate in §3.4.2.

3.19 LA STATISTICA DELLE PIENE

Le elaborazioni statistiche fanno usualmente riferimento alle medie giornaliere delle portate di piena Xg, che sono riportate sulle effemeridi ideologiche; la portata istantanea al colmo Xp , sulla quale usualmente si dimensiona l’opera – cioè Xd = Xp (T) – può essere, per piene repentine, di molto superiore a Xg . Sono per-ciò utili le formule proposte da diversi Autori che correlano il rapporto:

R= Xp Xg

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tra portate Xp e Xg non necessariamente contemporanee, ai parametri morfometrici del bacino o al tempo di ritorno.

In generale, la portata di piena calcolata dalle formule empiriche è paragonabile ai più elevati valori regi-strati nel passato antecedentemente alla definizione della formula stessa senza alcun esplicito legame con prefissati livelli di rischio. Fa eccezione la formula di Tonini, che costituisce un adattamento della relazione di Fuller ai corsi d’acqua italiani e lega Xg al suo tempo di ritorno e a un coefficiente Cp caratteristico del ba-cino versante. Esso varia, nella maggioranza dei casi, tra 0.4 e 1.5 e si trova ampiamente tabulato:

Xg = Cp A0.8 ( 1 + 1.18 Log10 T ) (3.49)

Il metodo delle curve inviluppo delle portate di piena, che legano le massime portate di piena registrate nel passato in una regione idrologicamente omogenea all’area del bacino, ha trovato larga applicazione in tutto il mondo. Per i bacini italiani è di uso corrente la formula di Gherardelli, aggiornata da Marchetti e successi-vamente da Mongiardini, i quali propongono, diversamente da Gherardelli, un’unica relazione per bacini permeabili ed impermeabili. Il CONTRIBUTO DI MASSIMA PIENA al colmo diminuisce con l’area del bacino A in Km2, secondo l’equazione:

u = u100 ( A

100 )-n ( m3

s km2 ) (3.50)

Mentre l’esponente vale ovunque n = 2/3 (n = 0.7 per i bacini impermeabili, n=0.5 per quelli prevalente-mente permeabili, secondo Gherardelli), il valore indice u100 varia notevolmente da regione a regione e tal-volta anche da bacino a bacino. Rimandando per un maggior dettaglio ai lavori originali, diremo che, gene-

ralmente, u100 in ( m3

s km2 ) vale, per i bacini:

− alpini u100 = 4 ÷ 15 ,

− dell’Appennino settentrionale u100 = 7 ÷ 17 ,

− dell’Appennino centrale u100 = 4 ÷ 9 ,

− dell’Appennino meridionale u100 = 3 ÷ 7.5 .

Per alcuni bacini delle isole si raggiungono anche valori vicini a u100 = 10 (m3/s km2) . I valori più bassi valgono per i bacini permeabili, i più alti per quelli impermeabili. La vasta esperienza ormai acquisita nell’applicazione della (3.50) indica che il tempo di ritorno associabile agli usuali valori dell’indice u100 è di un centinaio di anni.

Formule analoghe alla (3.50) sono di uso comune in ogni parte del mondo; ad esempio per una stima pre-liminare della portata di massima piena nei bacini degli Stati Uniti orientali è consigliata la relazione:

Xp = 134 √A (m3/s) (3.51)

Secondo Tonini, l’inviluppo delle capacità specifiche di scarico dei serbatoi italiani è dato dalla relazione:

u = C 1√A (

m3

s km2 ) (3.52)

con C=100 ÷ 150 per l’Italia settentrionale ed insulare.

Anche altre formule empiriche sono tradizionalmente usate per la valutazione delle piene di bacini italiani: queste formule sono da impiegarsi con grande circospezione in quanto danno risultati tra loro molto discor-danti.

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4 GLI SBARRAMENTI DI RITENUTA

4.1 GENERALITÀ

Secondo il Regolamento per la compilazione dei progetti, la costruzione e lo esercizio degli sbarramenti di ritenuta emanato con DPR n.1363 del 1° novembre 1959 e parzialmente aggiornato dalle Norme Tecniche per la Progettazione e la Costruzione delle Dighe di Sbarramento emanate con D.M.LL.PP. del 24 marzo 1982 e la Legge n.584 del 21 ottobre 1994 concernente Misure urgenti in materia di dighe, sono considerate grandi dighe sottoposte al controllo della Direzione generale delle Dighe le strutture aventi:

- altezza, misurata tra il punto più basso del terreno adiacente al paramento e il coronamento: h ≥ 15 m;

- volume invasabile nel serbatoio: C ≥ 1 hm3.

I vari tipi di dighe possono distinguersi in:

a) Dighe murarie o in calcestruzzo: a gravità massicce, a gravità alleggerite, a volta, a gravità flessibile;

b) Dighe in materiale sciolti: in terra, in pietrame (scogliere).

Le dighe murarie sono ben più alte di quelle in materiale sciolti, che solo eccezionalmente possono rag-giungere altezze superiori ai 100m.

La scelta del tipo di diga è subordinata alla conformazione e alla costituzione geologica della località: es-sendo necessario ottenere la massima omogeneità statica fra la struttura geologica locale e la costruzione, si richiede per una diga muraria l’impostazione su roccia sana. Ove non possono adottarsi dighe in muratura, può risultare conveniente ricorrere alle dighe in materiali sciolti. Anche in questo caso la diga deve avere sufficiente analogia costituzionale col terreno di fondazione.

La costruzione di una diga su un corso d’acqua richiede che il luogo dei lavori sia all’asciutto: l’insieme delle opere richieste per la deviazione provvisoria del fiume a volte può assumere un’importanza paragonabi-le a quella della diga vera e propria e può costituire una delle voci maggiori di spesa.

4.1.1 DEFINIZIONI

Le strutture costruite trasversalmente a una valle per sbarrarne una sezione di ridotta larghezza (stretta o gola) con la funzione di trattenere o rallentare il deflusso del corso d’acqua intercettato, sono definite SBAR-RAMENTI DI RITENUTA. La struttura di sbarramento si definisce:

- DIGA quando ha lo scopo di costituire a monte una capacità libera disponibile per l’invaso di un volume idrico sufficiente a consentire la regolazione delle erogazioni in armonia con le richieste dell’utenza;

- TRAVERSA quando ha lo scopo di sostenere il livello idrico a monte per consentire di derivare, solitamen-te a gravità, una portata attraverso un’opera di presa.

L’opera è caratterizzata dalle seguenti quote caratteristiche (fig. 4.1):

- quota di coronamento, del piano sommitale di calpestio esclusi marciapiedi e parapetti,

- quota massima di invaso, massima raggiungibile dallo specchio liquido del serbatoio escluso il sopraele-vamento dovuto al moto ondoso eventuale,

- quota massima di regolazione, al di sopra della quale debbono azionarsi i dispositivi di scarico delle pie-ne,

- quota minima di regolazione, al di sotto della quale non è più possibile la derivazione verso l’utenza,

- quota minima di invaso, pari alla quota del fondo alveo al paramento di monte,

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- quota minima di fondazione, ove termina l’opera avente funzione di sostegno strutturale.

- altezza dello sbarramento, differenza tra la quota del piano di coronamento (esclusi parapetti ed eventuali muri frangionde) e la quota del punto più depresso dei paramenti. Nel caso di traverse prive di corona-mento si fa riferimento alla quota del punto più elevato della struttura di ritenuta,

- franco, differenza tra la quota del piano di coronamento e quella di massimo invaso,

- franco netto, differenza tra la quota del piano di coronamento e quella di massimo invaso con aggiunta la semialtezza della massima onda prevedibile nel serbatoio,

- volume di invaso, capacità del serbatoio compresa tra la quota massima di regolazione e quella del punto più depresso del paramento di monte,

- volume totale di invaso, capacità del serbatoio compresa tra la quota di massimo invaso e quella del pun-to più depresso del paramento di monte,

- volume utile di regolazione, capacità del serbatoio compresa tra la quota massima di regolazione e quella minima alla quale l’acqua invasata può essere derivata verso l’utilizzazione,. Nel caso delle traverse è la capacità compresa tra la quota di sommità delle paratoie e quella inferiore della loro base,

- volume di laminazione, capacità del serbatoio compresa tra la quota di massimo invaso e quella massima di regolazione; per i serbatoi di sola laminazione delle piene è la capacità compresa tra la quota di mas-simo invaso e quella della soglia inferiore dei dispositivi di scarico.

Sono dighe rilevanti nei confronti di un eventuale collasso tutte le opere di cui all'art. 1 del D.L. n. 507/94, convertito con Legge n. 584/94.

Sono dighe strategiche le dighe di competenza statale, la cui funzionalità durante e a seguito di eventi e-stremi assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile e di continuità del servizio pubblico.

4.1.2 CLASSIFICAZIONE DELLE DIGHE.

Si distinguono le seguenti classi strutturali:

A) DIGHE MURARIE, in calcestruzzo ciclopico (non più ammesso dal regolamento) o ordinario:

a) a gravità

a1) ordinarie,

a2) alleggerite (a speroni, a vani interni),

b) a volta

b1) ad arco,

b2) ad arco-gravità,

b3) a cupola,

c) a volte o solette sostenute da contrafforti, in pietrame (tipi non più ammessi dal regolamento)

B) DIGHE DI MATERIALI SCIOLTI:

a) di terra omogenee,

b) di terra e/o pietrame, zonate con nucleo in terra per la tenuta,

c) di terra permeabile o pietrame con manto o diaframma di tenuta di materiali artificiali.

C) DIGHE DI TIPOLOGIA DIVERSA E DI TIPO MISTO

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La struttura della diga deve essere corredata dalle opere idrauliche necessarie per la sicurezza e la funzio-nalità dell'impianto di ritenuta:

- sfioratore di superficie, che può essere regolato o meno,

- scarichi intermedi (di alleggerimento), di fondo e di esaurimento,

- opera di presa.

Le dighe murarie possono essere fondate solo su roccia lapidea, sana, omogenea, dotata di deformabilità elastica prevalente su quella plastica e viscosa, ossia roccia:

- ignea (diabasi, basalto, granito),

- sedimentaria (calcare o dolomia),

- metamorfica (arenaria, marna, quarzite, gneiss, marmo, scisti).

Della roccia di fondazione debbono essere individuate le varie caratteristiche:

- fisiche - omogeneità, - anisotropia, dovuta a giunti, fratture, faglie, - porosità,

- meccaniche - modulo di elasticità di volume e coefficiente di Poisson, - resistenza a rottura per compressione e trazione e al taglio, - coefficiente di attrito, - viscosità,

- tettoniche - discontinuità, - stratificazioni, - fratturazioni,

- idrauliche - permeabilità.

Le rocce di fondazione che non raggiungono le caratteristiche richieste per il posizionamento della diga debbono essere:

- consolidate con rimozione dei materiali scadenti e iniezioni,

- impermeabilizzate con: - schermi di iniezioni, - taglioni, - diaframmi,

- drenate con cunicoli e pozzi drenanti.

Le dighe a gravità hanno asse (longitudinale) circa rettilineo e sono divise da giunti in tronchi staticamente indipendenti. Le dighe a volta hanno asse curvilineo e funzionamento statico monolitico. Nel corpo delle di-ghe di materiali sciolti non possono essere disposte opere idrauliche complementari.

La DEVIAZIONE PROVVISORIA ha il fine di porre all’asciutto la zona dei lavori; al solito essa richiede l’esecuzione di:

- canale o tunnel di deviazione,

- dighe provvisorie di protezione (avandiga e controdiga) e realizzazione della deviazione,

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- chiusura o adattamento ad altro uso dell’opera di deviazione e rimozione o sommersione degli sbarra-menti provvisori.

La conca d’invaso deve avere:

- morfologia adatta per ospitare il serbatoio (capacità d’invaso grande rispetto al volume della diga),

- tenuta contro le perdite per filtrazione,

- stabilità dei versanti.

Il bacino idrografico tributario del serbatoio artificiale deve garantire:

- afflussi idrici sufficienti a soddisfare l’utenza secondo le richieste di progetto,

- afflussi solidi ridotti per evitare il rapido interrimento del serbatoio.

4.1.3 SBARRAMENTI PROVVISORI

Nel caso in cui il corso d’acqua sul quale si deve realizzare l’opera sia importante, con una portata sempre sostenuta anche in periodi di magra, si pongono al costruttore notevoli problemi idraulici che debbono essere superati con un attento esame delle condizioni di progetto. Per prima cosa si deve realizzare il tunnel o cana-le di deviazione; successivamente si procede alla progressiva chiusura dell’alveo che si può realizzare secon-do uno dei seguenti tre classici schemi di lavoro.

La chiusura a partire dalle sponde si realizza gettando una diga di massi di dimensione sufficiente a non es-sere trascinati dalla corrente. Man mano che le teste dei terrapieni si avvicinano tra loro, ossia al diminuire della luce libera, deve aumentare la parte della portata fluviale che si fa passare nell’opera di deviazione ri-spetto a quella che attraversa il restringimento, in quanto, al procedere del restringimento, la corrente attra-verso di esso aumenta la sua velocità e la sua capacità erosiva.

Questo metodo di chiusura è conveniente quando si può realizzare la chiusura definitiva in una zona di bassofondo.

Lo sbarramento esteso a tutta la larghezza dell'alveo è particolarmente valido quando l’assenza di bassi-fondi riduce la convenienza di un’opera del tipo precedente. Anche in questo caso all’aumentare dell’altezza del terrapieno rispetto al fondo si forma una sezione di controllo in corrispondenza del culmine.

Se sul posto non è disponibile roccia che frantumata dia dei massi delle dimensioni adatte alla realizzazio-ne della scogliera si deve ricorrere ad un metodo diverso da quelli descritti: lo sbarramento in materiale fine, al solito ghiaia a granulometria uniforme. Il terrapieno che si sviluppa su tutta la larghezza dell’alveo si fa sufficientemente largo in modo che la corrente che scorre sul terrapieno si trovi in condizioni di incipiente erosione e sia compatibile con la stabilità dell’opera.

4.2 LE DIGHE A GRAVITÀ

La diga a gravità è una struttura isostatica che si oppone alla spinta dell’acqua invasata nel serbatoio in vir-tù del proprio peso. La struttura è di calcestruzzo non armato, che offre una debole resistenza a trazione. Per-tanto la diga deve essere soggetta soltanto a sollecitazioni di compressione.

Poiché si suppone che la struttura si deformi per conci indipendenti, si ipotizza di verificare il concio più sollecitato, corrispondente alla sezione maestra della diga, con spessore di riferimento s = 1 m; l’inclinazione della faccia di monte (paramento interno) rispetto alla verticale è indicata dall’angolo θi e l’inclinazione del-la faccia di valle (paramento esterno) rispetto alla verticale è data da θe.

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4.2.1 DIMENSIONAMENTO DELLE DIGHE A GRAVITÀ

Le attuali dighe a gravità ordinarie hanno un profilo che poco si scosta dall’elementare forma triangolare che è determinato se sono date le scarpe si = tg (θi ) del paramento di monte e se = tg (θe ) del paramento di valle.

Il profilo di riferimento della diga a gravità ordinaria è delineato in modo estremamente semplice nel caso elementare affrontato qui di seguito: per determinare se consideriamo una striscia (profonda un metro) di una diga avente paramento a monte verticale, si = 0, soggetta semplicemente alle sollecitazioni del peso proprio, della spinta idrostatica e della sottospinta. Consideriamo dapprima la condizione che, quando il serbatoio è pieno fino alla quota massima di invaso, la diga non sia sollecitata a trazione e imponiamo che le sue dimen-sioni siano tali da avere la base di appaggio interamente compressa.

Come è ben noto per il legame di antipolarità rispetto all’ellisse centrale di inerzia tra asse neutro e centro di sollecitazione, si ha che se il centro di sollecitazione è interno al nocciolo centrale di inerzia, l’asse neutro è esterno alla sezione e viceversa; nel caso in esame questo equivale a dire che la base rettangolare della diga è soggetta ovunque a compressione solo se la risultante delle forze applicate non esce dal 3° medio. Questa condizione si impone dicendo che il momento di tutte le forze applicate rispetto al limite del 3° medio sia nullo.

Semplificando, consideriamo che, tra tutte le forze esterne elencate in § 4.2.2, siano applicate alla struttura solo la spinta idrostatica, il peso proprio, la sottospinta e troviamo:

S h3 + U

b3 - G

b3 = 0 (4.1)

con le definizioni dei vari termini date nel successivo paragrafo. Per semplicità rispetto alla definizione da-ta dal regolamento (4.6a), poniamo il valore della sottospinta pari a:

U = 12 m γ h b (4.2a)

ove 0 < m < 1 è un coefficiente di riduzione che dipende dalla efficienza dei drenaggi e delle impermeabi-lizzazioni, dalla omogeneità e permeabilità della roccia e altro. La spinta idrostatica è:

S = 12 γ h2 (4.2b)

in quanto il paramento di monte è verticale. Il peso proprio è:

G = γm 12 b h (4.2c)

in quanto la sezione della diga è triangolare. Sostituendo e semplificando, otteniamo:

se = bh =

γ γm - m γ (4.3a)

Il regolamento impone anche che il rapporto tra la somma delle forze orizzontali e la somma delle forze verticali non superi il valore 0.75. Da questa condizione deriva che, al limite, deve essere:

se = bh =

43

γ γm - m γ (4.3b)

Il dimensionamento della struttura sulla più stringente tra le due relazioni (4.3a) e (4.3b);ossia, quando:

γm

γ - m < 169 (4.3c)

la condizione di scivolamento (4.3b) prevale sulla condizione di ribaltamento (4.3a) e viceversa.

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La sezione definitiva della diga comprende anche il sopraelevamento del coronamento sopra la quota di massimo invaso di una quantità pari al franco; inoltre il coronamento deve avere larghezza sufficiente per ospitare una via di transito tra le due sponde percorribile dai mezzi d'opera richiesti per la manutenzione del-la struttura.

Quando il serbatoio è vuoto, il peso della sopraelevazione sposta la risultante verso monte e induce uno sforzo di trazione all'unghia di valle della diga cosiffatta. Si ovvia a questo inconveniente dando una leggera scarpa al paramento di monte: al solito si pone si = 0.03.

Il dimensionamento di una diga a gravità alleggerita non è così immediato come quello visto per la diga a gravità ordinaria ma dipende dalla forma della sezione che dipende da molti parametri geometrici - inclina-zione del paramento di monte, forma della sezione, rapporto vuoto / pieno, ecc. - per cui il progettista deve scandagliare diverse soluzioni progettuali prima di trovare la soluzione economicamente più valida.

4.2.2 CONFRONTO TRA DIGHE A GRAVITÀ ORDINARIE E DIGHE ALLEGGERITE

Mettendo a confronto i vari tipi di dighe a gravità si possono meglio rilevare le rispettive differenza struttu-rali e notare come si può passare da un tipo all’altro di diga attraverso una serie di parziali modificazioni. Il processo di evoluzione, che ha portato ad ideare dighe più complesse della diga a gravità ordinaria, ha segui-to 3 diversi indirizzi: il primo ha condotto alle dighe alleggerite di vario tipo, il secondo alle dighe ad arco-gravità e ad arco, il terzo alle dighe a gravità flessibile.

La stabilità della diga a gravità è affidata essenzialmente al momento stabilizzante del peso del calcestruz-zo che contrasta il momento ribaltante delle altre forze, essenzialmente la spinta dell’acqua nel serbatoio.

Se, come spesso avviene, i giunti trasversali della diga non sono sigillati, questa può considerarsi suddivisa in blocchi che reagiscono indipendentemente l’uno dall’altro ai carichi applicati. Inoltre:

- le aperture dei giunti permettono di drenare l’acqua filtrante nel suolo sotto la diga riducendo così le sot-tospinte, che contrastano la stabilità della diga. Se la diga reagisce come se fosse costituita da tanti bloc-chi indipendenti, è conveniente allargare (nella loro parte centrale) queste fessure onde ridurre ancora di più le sottospinte: è questo il concetto informatore delle dighe a gravità alleggerite;

- il materiale che costituisce la parte centrale del corpo della diga risulta meno sollecitato di quello dispo-sto ai lembi estremi in corrispondenza dei paramenti di monte e di valle. Dunque il calcestruzzo rispar-miato alleggerendo la diga nella parte centrale avrebbe lavorato ad un basso coefficiente di utilizzazione, costituendo dal punto di vista economico un aggravio di spesa che può risultare conveniente eliminare.

La diminuzione del volume della diga, con conseguente perdita di peso stabilizzante, si deve compensare diminuendo la pendenza del paramento di monte onde avere una componente verticale della spinta idrostati-ca che è stabilizzante.

Allargando sempre più le aperture si arriva alla diga a speroni e alleggerendo sempre più la costruzione si arriva da ultimo ad interporre tra gli speroni (o contrafforti) delle lastre o degli archi, giungendo così alle di-ghe a contrafforti e lastre e a quelle ad archi multipli.

Il processo di alleggerimento della diga, ottenuto assottigliando gli speroni e appiattendo, per compenso, il paramento di monte ha comunque un limite fissato in base a considerazioni economiche. Ad esempio se la pendenza del paramento di monte è inferiore a 7/10 (7 verticale su 10 orizzontale) si riscontrano, proprio in prossimità del paramento di monte, sforzi di tensione che dovrebbero essere evitati o sopportati con armatu-re; inoltre man mano che i contrafforti diventano più sottili aumentano le spese per il ferro di armatura e le casseforme.

In definitiva, l’adozione di un tipo di diga alleggerita consente un risparmio di calcestruzzo la cui entità, per varie altezze di ritenuta, si può valutare dai diagrammi riportati sui manuali; dalle valutazioni economi-che fatte su dighe alte fino a 75 ÷ 100m, si possono dedurre le seguenti conclusioni:

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1. le dighe alleggerite con speroni spessi molto spaziati tra loro sono più economiche da costruire di quelle con speroni sottili molto fitti,

2. il costo di una diga a speroni, sottili o massicci, è inferiore a quello di una equivalente diga a gravità or-dinaria.

4.2.3 AZIONI ESTERNE

Per eseguire il calcolo di verifica della stabilità della struttura, il regolamento considera le seguenti azioni esterne agenti su di essa (Fig. 4.2):

- spinta idrostatica perpendicolare alla faccia della diga, il cui modulo vale:

S = 12 γ h L (4.4)

ove: h è il tirante d’acqua contro il paramento di monte corrispondente alla quota massima d'invaso; γ è il peso specifico dell’acqua; L = h /cos (θi) è la lunghezza del paramento di monte a contatto con l'acqua. La spinta idrostatica è perpendicolare al paramento ed è applicata a 1/3 dalla base;

- spinta dei depositi sul fondo, non espressamente prevista dal regolamento, esercitata dai depositi melmo-si che si depositano contro il paramento della diga formando un cumulo di spessore da terminarsi; il peso specifico del materiale è assunto pari a:

γd = 1.4 ÷ 1.5 t/m3

- peso proprio diretto verticalmente e passante per il baricentro della sezione trasversale della diga, che va-le:

G = γm A (4.5)

ove: A è l’area della sezione trasversale; γm ≈ 2.5 t/m3 è il peso specifico del calcestruzzo da assumersi nei calcoli preliminari;

- sottospinta che passa per il baricentro del diagramma delle sottopressioni ed è diretta verso l’alto e per-pendicolarmente alla superficie (usualmente si considera la base della diga) sulla quale si scarica. Suppo-sta la base orizzontale, il suo modulo vale:

U = 12 γ b (h + hv) (4.6a)

ove: b è la larghezza della base della sezione trasversale; hv è il tirante dell’acqua eventualmente presen-te a valle della diga. Nel caso in cui la diga sia dotata di dreni continui posti a distanza bd dall’unghia di monte la sottospinta si riduce a:

U = 12 γ [ bd (h + hd ) + (hd + hv) ( b - bd ) ] (4.6b)

ove hd è la sottopressione (espressa in metri di colonna d’acqua) in corrispondenza dei dreni:

hd ≥ hv + 0.35 ( h - hv ) (4.6c)

- spinta del ghiaccio agente alla quota di massima regolazione sulle dighe poste in quota ove si ritiene che possa formarsi uno spessore di ghiaccio di almeno 20 cm. La spinta è diretta orizzontalmente e vale:

Sg = 15.2 t/m2 (4.7)

- azioni sismiche dovute ai terremoti. In via approssimata le azioni sismiche, che sono dinamiche, possono essere ricondotte a carichi statici equivalenti considerando separatamente:

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azioni inerziali sulla massa strutturale che possono essere, non contemporanemente, orizzontali dovute a sismi ondulatori:

Fh = C G (4.8a)

oppure verticali, per sismi sussultori:

Fv = m C G (4.8b)

ove: C è il coefficiente di intensità sismica che risulta C = 12 nelle zone sismiche di 1a categoria e C = 9 nelle zone sismiche di 2a categoria; mentre il coefficiente riduttivo deve essere m ≥ 5;

azioni inerziali sulla massa liquida i cui effetti, da aggiungersi ai precedenti, sono assimilabili a una di-stribuzione continua di pressioni normali al paramento di monte la cui intensità è:

p = C γ c h (4.9a)

ove: y è l’affondamento del punto generico del paramento sotto il pelo libero del serbatoio (0 < y < h); il coefficiente di intensità sismica è stato sopra definito e la variazionedi pressione è data da:

c = cm2 [

yh (2 -

yh) +

yh (2 -

y h) ] (4.9b)

ove il coefficiente cm va dal massimo cm = 0.74 per paramento verticale al valore minimo cm = 0.30 per paramento inclinato θi ≥ 60°.

4.2.4 VERIFICHE DI STABILITÀ

La stabilità della struttura e la resistenza del calcestruzzo e della roccia di fondazione vengono verificate per due possibili situazioni:

- A SERBATOIO VUOTO, quando agiscono solo le azioni (4.5) e (4.8),

- A SERBATOIO PIENO, quando agiscono tutte le azioni esterne e si considera la peggiore delle due condi-zioni possibili: livello alla quota massima di regolazione oppure alla quota di massimo invaso.

Dimensionato l’elemento (o striscia) di diga dobbiamo verificare con metodi più accurati di quelli descritti in precedenza che esso sia stabile sotto le diverse condizioni di carico e che le tensioni interne non superino quelle ammissibili per il calcestruzzo.

Si possono quindi fissare le seguenti condizioni di stabilità che devono essere necessariamente verificate per ogni tipo di diga a gravità.

CONDIZIONE SULLA POSIZIONE DELLA RISULTANTE. Si deve verificare che, sotto qualunque condizione di carico, non si abbiano su nessuna sezione orizzontale della diga degli sforzi di trazione.

Questa condizione è verificata se la risultante di tutte le forze applicate cade all’interno del nocciolo cen-trale di inerzia (per le dighe massicce, nel 3° medio) di qualunque sezione orizzontale della diga. Inoltre, se tale condizione è rispettata, non si avrà mai pericolo di ribaltamento.

CONDIZIONE DI RESISTENZA ALLO SCORRIMENTO. Secondo il regolamento la resistenza di attrito allo scor-rimento su un piano orizzontale deve essere superiore, sotto qualunque condizione di carico alla somma della forze orizzontali che agiscono al di sopra del piano considerato moltiplicata per un adeguato coefficiente:

FH ≤ f FN (4.10)

ove compaiono:

FH somma delle forze orizzontali

FN somma delle forze verticali

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f coefficiente di attrito statico con: f ≤ 0.75

Si può illustrare il significato della regola su esposta considerando che una azione di taglio superiore alla resistenza del materiale, lo fessura in modo che la parte superiore della diga si sconnette dalla parte sotto-stante e rimane semplicemente appoggiata su questa ultima. Nonostante questo la diga rimarrà in posizione se l’azione tagliante (forze orizzontali) non sufficientemente grande da vincere la resistenza d’attrito che si esercita fra le due facce orizzontali; diversamente si avrà il cedimento completo dell’opera. Evidentemente, a seconda della natura del materiale di fondazione, più o meno resistente, le sezioni più pericolose possono es-sere differenti da quella di appoggio sulla roccia considerata in § 4.2.1.

Il coefficiente di attrito f tra calcestruzzo e calcestruzzo o tra calcestruzzo e buona roccia di fondazione può assumere valori tra 0.6 e 0.75; tale valore si abbassa se la roccia è cattiva ed anzi se tra due strati è inter-posta argilla si può creare una situazione pericolosa per la stabilità dell'opera.

4.2.5 VERIFICHE DI RESISTENZA

A termini di regolamento, la verifica di resistenza è soddisfatta se le tensioni principali nei punti più solle-citati della struttura non superano i valori ammissibili:

- di compressione, inferiore a 1/5 del carico a rottura a 90 giorni del calcestruzzo (che deve superare alme-no i 150 kg/cm2)

- di trazione, ammesse solo in condizioni di serbatoio vuoto, inferiore ai 3 kg/cm2.

La verifica di resistenza richiede pertanto eseguire l'analisi strutturale dell'opera. Tralasciando la trattazio-ne dei modelli della meccanica strutturale che considerano come il complesso struttura e roccia di fondazione reagiscono, in campo elastico e in campo plastico, alle sollecitazioni esterne, richiamiamo il tradizionale e non più applicato metodo di calcolo che ricorre all’ipotesi semplificata di sezioni orizzontali che si manten-gono piane anche dopo la deformazione del corpo diga. Questa ipotesi, che contrasta le evidenze sperimenta-li, consente di semplificare sufficientemente i calcoli dando peraltro risultati di accettabile approssimazione.

Il calcolo risulta estremamente semplice nel caso di diga a gravità ordinaria: infatti, mentre i punti più sol-lecitati di una diga a gravità alleggerita dipendono dalle caratteristiche della struttura e si trovano ove le va-riazioni accentuate della sezione orizzontale provocano forti incrementi delle sollecitazioni, specialmente di taglio, in una diga a gravità ordinaria i punti più sollecitati sono all’unghia di monte e a quella di valle.

Con l'ipotesi di sezione piana, la sollecitazione verticale σY , positiva se di compressione, è calcolata con la formula della pressoflessione:

σY = NA ±

M xJ (4.11a)

ove compaiono:

- N componente verticale della risultante R delle forze esterne,

- M momento di R rispetto al baricentro della sezione orizzontale: M = N e ,

- e eccentricità della forza N,

- x distanza, dalla fibra baricentrica, della fibra per cui si calcola σY,

- J momento di inerzia della sezione rispetto ad un asse baricentrico parallelo all’asse neutro.

Per la sezione rettangolare di una fetta di spessore unitario della diga a gravità ordinaria, dalla (4.11a) si desume il valore di σY al bordo della sezione con la relazione:

σY = Nb ( 1 ±

6 eb ) (4.11b)

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ove b è la larghezza della generica sezione che stiamo considerando.

Le tensioni principali al paramento interno si determinano con l’equilibrio del volumetto di Fig.4.3a. Os-servato che a serbatoio pieno la prima tensione principale è data dalla pressione idrostatica, in quanto è per-pendicolare al paramento:

σ1 = γ h (4.12a)

si scrive l’equilibrio alla traslazione verticale:

σY d A = σ1 d A sen2 ( θi ) + σ2d A cos2 ( θi )

da cui otteniamo con facili passaggi:

σ2 = σY ( 1 + si2) - γ h si 2 (4.12b)

A serbatoio vuoto, essendo σ1 = 0, si ottiene dalla (4.12b):

σ2 = σY ( 1 + si2) (4.12c)

Le tensioni principali al paramento esterno, ove è sempre σ2 =0 in quanto la seconda tensione principale è uguale alla pressione atmosferica, si ottiene scrivendo l’equilibrio verticale del volumetto di fig. 4.3b:

σ1 = σY ( 1 + se2) (4.13)

Da questa ultima relazione si può ricavare la massima altezza raggiungibile dalla schematica diga a sezione triangolare discussa in § 4.2.1.

4.3 CONFRONTO ECONOMICO TRA DIGHE A GRAVITÀ E DIGHE A VOLTA

Incurvando l’asse di una diga a gravità si varia la distribuzione degli sforzi interni: una parte dei carichi è infatti sopportata dagli elementi di arco orizzontale col risultato di diminuire gli sforzi sugli elementi vertica-li a mensola.

Per valutare la convenienza che si ha nel costruire una diga ad arco rispetto ad una a gravità, si possono mettere a confronto diversi progetti studiati per essere realizzati in una medesima località: il progetto A, ri-portato in fig. 4.4a, è di una diga a gravità massiccia, il progetto B, riportato in fig. 4.4b, è di una diga ad ar-co-gravità, il progetto C, riportato in fig. 4.4c, è di una diga ad arco con l’aggiunta di una spalla a gravità.

Negli esempi di fig. 4.4, la diga a gravità A ha una altezza massima di 185m e una lunghezza totale in cre-sta di 730 m ed il volume di calcestruzzo è di 3.2 hm3. La diga ad arco-gravità B, consentendo una migliore distribuzione degli sforzi tra elementi di arco ed elementi di mensola, permette di adottare un paramento di valle più rapido e di ridurre il volume di calcestruzzo a 2.8 hm3 con una riduzione dei costi di solo 5%. Si può dunque considerare che i progetti A e B sono economicamente equivalenti.

Riducendo ancor più i raggi di curvatura e aumentano l’ampiezza degli angoli al centro dei vari anelli di diga si arriva al progetto C; le spalle a gravità che si vedono nella planimetria si sono rese necessarie in quanto la valle ha una forma che male si presta per una diga ad arco.

Per la realizzazione del progetto C sono necessari 2.1 hm3 di calcestruzzo, con una riduzione di circa il 34% rispetto alla diga a gravità. Comunque a causa del maggior costo unitario di costruzione (casseforme più complicate, ecc.) la diga C consente un risparmio molto limitato rispetto alla A.

Invece, qualora il profilo della valle fosse stato più favorevole a una diga ad arco, si sarebbe realizzato un risparmio non trascurabile rispetto la diga a gravità: le situazioni topografiche più favorevoli alle dighe ad arco sono quelle presentate da valli con sezione trasversale a U oppure V molto stretto nelle quali si giunge a costruire dighe ad arco che hanno un volume pari al 25% di quello della equivalente diga a gravità.

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4.4 LE DIGHE A VOLTA

Benché gli sbarramenti a volta costruiti nelle più diverse situazioni topografiche e geologiche abbiano for-me molto differenti tra loro, in quanto questo tipo di struttura consente al progettista di sbizzarirsi nella ricer-ca del progetto ottimale, vedremo come si possono classificare i vari tipi di diga in base ad una teoria estre-mamente elementare. Consideriamo lo sbarramento come se fosse costituito da una sequenza di archi so-vrapposti, ricavati dividendo la diga, mediante piani orizzontali a distanza unitaria (per semplicità), in fette di spessore t costante e indipendenti tra loro. Per giungere a una formulazione elementare pensiamo inoltre di sostituire gli incastri d’imposta con dei carrelli che si spostano radialmente e rendono la struttura isostatica secondo lo schema illustrato in Fig. 4.5. In questo caso, se nel piano orizzontale in cui giace l’arco si prende in considerazione la sola pressione idrostatica, si ricava che la reazione d’imposta N (di sola AZIONE ASSIA-LE) è data dall'equilibrio tra le forze:

2 γ h Re sen θ 0 = 2 N sen θ 0 (4.14a)

da cui:

N = γ h Re (4.14b)

ove γ è il peso specifico dell'acqua, h è l'affondamento dell'arco sotto la superficie dell'acqua nel serbatoio, Re è il raggio di curvatura dell'estradosso e θ 0 è l'angolo tra la sezione di imposta e la sezione in chiave del-l'arco, ossia il semiangolo di apertura dell'arco. Per le ipotesi fatte i vincoli consentono all’arco di spo-starsi rigidamente per cui non intervengono considerazioni sull’elasticità del materiale. Inoltre, es-sendo la sezione dell'arco sottoposta a sola azione assiale, lo sforzo σN è uniformemente distribuito sulla se-zione di area A:

σN = γ h Re

A (4.14c)

Ponendo il valore della sollecitazione σN uguale alla tensione ammissibile per il calcestruzzo, σa , che è una caratteristica del materiale, otteniamo lo spessore t dell'arco di spessore costante e di altezza unitaria:

t = γ h Re

σa =

γ h ‾Rσa - ½ γh (4.15)

ove ‾R è il raggio mediano dell'arco.

Se, per economizzare materiale, vogliamo dimensionare l’arco di minimo volume, imponiamo che sia minimo il volume V dell’arco (di altezza unitaria):

V = 2 θ 0 ‾R t = 2 θ 0 ‾R γ h ‾R

σa - ½ γh (4.16a)

Esprimendo il raggio mediano dell'arco in funzione della larghezza L della valle, che è assegnata topograficamente, otteniamo:

V = 2 γ hσa - ½ γh θ 0 ‾R2 =

γ h L2

2 (σa - ½ γh)

θ 0sen2( θ 0)

(4.16b)

in funzione del solo angolo di apertura; quindi la condizione di minimo:

d V d θ 0

= 0 (4.17a)

ossia:

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tg (θ 0) = 2 θ 0 (4.17b)

consente di ricavare il valore dell'angolo di apertura e del raggio mediano che minimizzano il volume di calcestruzzo:

2 θ 0 = 1.16 rad = 133° 33' (4.18a)

‾R = 0.544 L (4.18b)

4.4.1 TIPOLOGIA DELLE DIGHE A VOLTA

La DIGA A RAGGIO COSTANTE è quella che più si avvicina alla forma tipica ad arco gravità con pianta ar-cuata, sezione trasversale trapezia, paramento di monte cilindrico, paramento di valle conico, come nel caso della diga Hoover, nota anche come diga Boulder, che sbarra il fiume Colorado, al confine tra Arizona e Ne-vada, creando il lago Mead. In forre montane con pareti vericali, la diga a raggio costante corrisponde alla tipica forma di diga ad arco: un esempio carattersistico è dato dalla diga di S. Giustina che, sbarrando il tor-rente Noce, forma il lago della valle di Non (Tn).

Scelto il valore del raggio mediano degli archi, se possibile superiore a quello dato dalla (4.11b); conside-rato che l'imposta deve essere bene immorsata nella roccia; assunto un valore ridotto della tensione ammissi-bile in quanto il calcolo molto semplificato consiglia di procedere a favore di sicurezza; si disegna la diga che meglio si adatta alla forma della valle.

Nel caso della valle di forma trapezia con la larghezza media ‾L , illustrata in fig. 4.6a, per la quale abbiamo assunto ‾R = α ‾L e σa = 20 kg cm-2, otteniamo che il paramento di monte è verticale mentre il paramento di valle ha scarpa che si addolcisce procedendo verso il basso secondo la relazione:

tg (θ e ) = th =

γ α ‾Lσa - ½ γh (4.19a)

e l'angolo di apertura della diga diminuisce con il restringersi della valle valle verso il basso. In definitiva la diga a raggio costante è conveniente per valli piuttosto strette e di sezione circa rettangolare. Conviene a-dottare nel calcolo un valore del coefficiente α leggermente inferiore all'ottimo dato da (4.11b).

Con la DIGA AD ANGOLO COSTANTE (fig. 4.6b) si ottiene il massimo risparmio di materiale. Il disegno si traccia dopo avere calcolato, per le varie quote, i raggi mediani e gli spessori della diga con le relazioni:

‾R = ½ L

sen (θ 0) (4.20a)

t = γ α L h

σa - ½ γh (4.20b)

ove, con valle trapezia larga LC al coronamento ed LB alla base della diga alta H, abbiamo:

L = LC - (LC - LB) hH

Si noti che, per effetto del restringimento della sezione verso il fondo valle, i raggi di curvatura diminui-scono dall’alto al basso e gli spessori aumentano fino a 2/3 dell'affondamento per poi diminuire: nella mag-gior parte dei casi invece di imporre che il paramento di monte della sezione in chiave sia verticale si preferi-sce disporre i centri di curvatura in modo da ottenere uno strapiombo verso monte che, aumentando l’effetto cupola, migliora il comportamento statico della struttura. La forma della tipica diga a cupola approssima la disposizione della diga ad angolo costante.

Poiché questo tipo di diga vincola il progettista nella scelta della forma costringendo in alcuni casi ad avere strapiombi non desiderati, si preferisce nei casi pratici progettare DIGHE A RAGGIO E ANGOLO VARIABILE di Fig. 4.6c, con angoli al centro che decrescono dai 120° ÷ 150° in sommità agli 80° ÷ 90° al piede, la cui for-

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ma è più soddisfacente sia dal punto di vista statico - ad esempio con strapiombi opportuni che provocano tensioni dovute al peso proprio che compensano quelle delle pressioni idrostatica - sia da quello costruttivo.

A termini di regolamento, i carichi ai quali si deve ritenere sottoposto il corpo della diga includono, oltre a quelli già visti escluse le sottopressioni rese trascurabili dalla limitata estensione della base di fondazione, anche gli effetti delle dilatazioni termiche conseguenti a variazioni delle temperatura esterna, del ritiro e dell’esaurimento del calore di presa, che può essere equiparato globalmente all'abbassamento di 5° ÷ 20°C di temperatura.

Poiché le dilatazioni termiche provocano trazioni impossibili da eliminare, il Regolamento consente di ave-re nelle dighe a volta anche sforzi di trazione inferiori ai 5 kg/cm2 (quando non si tenga conto di variazioni termiche) o agli 8 kg/cm2, quando se ne tiene conto; se le zone soggette a trazione sono convenientemente armate i valori visti sono aumentati del 20%. La sollecitazione ammissibile a compressione è quella già vista per le dighe a gravità.

4.4.2 VERIFICA DI RESISTENZA: SCOMPOSIZIONE IN ARCHI INDIPENDENTI

Questo metodo classico di calcolo è alla base del progetto di molte tra le opere oggi esistenti ed è partico-larmente valido per la verifica di sbarramenti snelli per i quali non è molto forte l’irrigidimento nel senso delle altezze. Benché questo metodo sia da considerarsi del tutto superato, la sua applicazione consente di trarre utili informazioni: come al paragrafo precedente, dividiamo la diga in archi indipendenti, per semplici-tà di spessore costante, e consideriamo il generico arco soggetto soltanto alla pressione idrostatica:

p = γ h.

Nelle ipotesi di esistenza della sola azione assiale, l’arco, di spessore costante t , subirebbe soltanto un ac-corciamento senza rotazione delle sezioni trasversali:

ε = σNE =

NE t =

p ‾RE t (4.21a)

ove abbiamo confuso il raggio dell’estradosso con quello mediano. Se l’arco si accorcia, si riducono in proporzione tutte le sue caratteristiche geometriche, i raggi e la distanza fra le imposte; in particolare la corda L subisce un accorciamento:

d = L ε = 2 p ‾R2

E t sen (θ 0) (4.21b)

che nella realtà viene impedito dai vicoli di incastro alle imposte. Quindi ciascun vincolo sarà rappresenta-to, oltre che dalla reazione N anche da una forza iperstatica F, parallela alla corda e con linea di azione pas-sante per il baricentro dei pesi elastici dell'ellisse di elasticità, la quale, per il rispetto della congruenza, sarà tale da provocare un allungamento d della corda senza rotazione (Fig. 4.7).

Il modulo della forza F si calcola con il principio dei lavori virtuali; omettendo di riportare lo sviluppo dei calcoli, scriviamo il risultato:

F = 2 p ‾R 2 p ‾R

C2 + 12 ‾R2

t2 C1

(4.22a)

ove:

C1 = θ 0

sen (θ 0) + cos (θ 0) - 2

sen (θ 0)θ 0

(4.22b)

C2 = (1 + a ) θ 0

sen (θ 0) + (1 - a ) cos (θ 0) (4.22c)

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Il coefficiente a dipende dal fattore di taglio e dai moduli di elasticità, normale e trasversale, del calce-struzzo. Nota la reazione F possiamo calcolare lo sforzo normale nella sezione dell'arco. Considerato l'arco snello, per semplicità, otteniamo il valore dello sforzo normale σe e σi ai lembi estremi, rispettivamente di estradosso e di intradosso, della generica sezione che forma un angolo θ con l'asse di simmetria dell'arco:

σe = p ‾R

t + Ft [- cos (θ ) + 6

Zt ] (4.23a)

σi = p ‾R

t + Ft [- cos (θ ) - 6

Zt ] (4.23b)

nelle quali compare la distanza del centro della sezione dalla linea di azione di F:

Z = cos (θ ) - sen (θ 0)

θ 0 (4.23c)

Dalle (4.23) osserviamo che:

- in chiave e alle imposte dell'arco, ove Z è grande, è prevalente l'effetto del momento flettente che, se suf-ficientemente grande, provoca trazione: all'intradosso in chiave e, viceversa, all'estradosso alle imposte ove, tra l'altro, Z raggiunge il suo massimo valore;

- nei punti intermedi prevale l'azione assiale;

- per archi con angolo al centro 2 θ 0 ≥ 156° non si verificano trazioni qualunque sia il rapporto di snellez-

za ‾Rt e si devono adottare spessori sempre più elevati al decrescere di θ 0 e per 2 θ 0 ≤ 40° non si possono

evitare trazioni qualunque sia lo spessore dell'arco.

Con una procedura del tutto analoga a quella appena vista si calcola lo stato tensionale indotto nell'arco da una variazione di temperatura.

4.5 CENNI SULLA COSTRUZIONE DELLE DIGHE IN CALCESTRUZZO

Gli inerti (ghiaia e sabbia) utilizzati per la costruzione delle dighe in calcestruzzo si possono trarre da de-positi naturali fluviali o alluvionali o da frantumazione e macinazione di materiali di cava. La ghiaia e la sabbia naturali hanno il vantaggio (in confronto al pietrisco frantumato e alla sabbia macinata) di presentare una forma dei granuli arrotondata, che è favorevole per la formazione dell’impasto, invece con la frantuma-zione è più agevole ottenere l’assortimento granulometrico voluto. La ghiaia e la sabbia devono essere pulite, all’occorrenza lavate, e presentare una giusta granulometria.

4.5.1 IL CALCESTRUZZO DELLE DIGHE

La migliore composizione del materiale, cioè quella che richiede per l’impasto minore quantità di acqua, si ha se il materiale comprende granuli di dimensioni convenientemente assortite. Praticamente, per la prepara-zione degli aggregati inerti (ghiaia e sabbia) del calcestruzzo per una diga, non potendosi fissare un numero infinito di intervalli granulometrici, conviene fissarne un numero limitato: da 4 a 6; il più delle volte classifi-cando (e talora denominando convenzionalmente) i materiali ad es. come appresso:

- Classe 1^ da 0.1 a 5 mm (sabbia)

- Classe 2^ da 5 a 10 mm (pietrischetto o ghiaietto)

- Classe 3^ da 20 a 60 mm (pietrisco o ghiaia)

- Classe 4^ da 60 a 80 mm (pietrisco o ghiaia grossa)

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I quantitativi delle varie classi, da assumere per formare 1m3 di impasto, vanno determinati con apposite prove. Le dimensioni massime ammissibili per materiale più grosso dipendono dai procedimenti di posa in opera dell’impasto; per la resistenza ciò ha poca importanza. Quanto al materiale fino, è necessario che esso contenga a sufficienza grani minuti ma non bisogna eccedere nel finissimo, e perciò conviene eliminare la polvere.

L’ingente cubatura della diga conferisce grande importanza a tutti quei problemi che si presentano per l’organizzazione di un grande cantiere, relativamente agli accessi e ai trasporti, agli alloggi, a comunicazioni e servizi logistici,, uffici, magazzini officine e laboratori per prove, distribuzione d’acqua, di energia elettrica e di aria compressa, e agli impianti per confezione e posa in opera del calcestruzzo.

La provvista di ghiaia e sabbia da depositi alluvionali può eseguirsi secondo i casi, con benne o escavatori; spesso con benna trascinata ad argano, dalla quale il materiale è portato a una tramoggia e versato in carrelli, che lo trasportano e poi (mediante un piano inclinato) lo elevano fino all’impianto di vagliature. La provvista da depositi naturali è desiderabile almeno per la sabbia.

Quando non si possano avere ghiaia e sabbia naturali, bisogna eseguire una cava e un impianto di frantu-mazione: possibilmente vicino alla diga e più in alto. Ad esso il pietrame, raccolto da una buona cava (grani-to, gneiss, calcare duro, ecc.) con l’uso di mine ed escavatori, viene portato con locomotori e treni di vago-netti su binari provvisori ( decauville ).

Gli impianti possibilmente si dispongono in modo che le varie operazioni per la preparazione dei materiali si susseguano in ordine discendente. Tuttavia si presenta spesso la necessità di apparecchiature per solleva-mento e trasporto. All’uopo si possono impiegare elevatori a benna, trasportatori a coclea o specialmente a nastro. I frantoi possono essere di due specie, cioè a mascelle o rotativi e possono avere grandezza e costru-zioni differenti, secondo che debbano servire per la prima frantumazione grossolana (pezzatura sino a 70 mm o sino a 20÷30 mm. Nel materiale elaborato dai frantoi scarseggia la sabbia, in confronto alle proporzioni occorrenti (che sono di almeno 1/3 di sabbia per 2/3 di ghiaia e pietrisco). Perciò una parte del materiale frantumato si fa accedere ai mulini di sabbia, che pure possono essere di vari tipi: a due o più cilindri, a sfere, a martelli (per disintegrare pietre tenere o di media durezza). Per separare dopo l’uscita dai frantoi i materiali di varie grossezze servono i vagli. Questi possono essere rotativi (ad asse leggermente inclinato, suddivisi in 3-4 zone con fori di dimensione diverse); oppure a piani oscillanti.

I materiali classificati mediante la vagliatura vengono rispettivamente raccolti in sili, di capacità sufficiente per costituire una adeguata riserva. Le dosature della ghiaia e della sabbia si fanno automaticamente, di pre-ferenza a peso piuttosto che a volume; anche il cemento viene tenuto in appositi sili donde viene prelevato nella quantità occorrente. La quantità di cemento deve essere sufficiente per riempire bene gli interstizi tra i grani di sabbia senza lasciare pori.

Affinché un calcestruzzo risulti sufficientemente impermeabile per essere impiegato nella costruzioni i-drauliche, occorre circa 250 kg di cemento per m3 di calcestruzzo. Il cemento da usarsi è di tipo Portland, a basso calore di idratazione e piccolo ritiro. Le betoniere o impastatrici sono a tamburo girevole (ad asse oriz-zontale), o girevoli e rovesciabili; con palette fissate internamente al tamburo per rimuovere e far ricade i materiali mescolando così l’impasto. Introdotti nella betoniera i vari ingredienti (ghiaia, sabbia, cemento, ac-qua) nella proporzione volute, la rotazione (a circa 20 giri/minuto)si fa avvenire per 1÷1+1/2 minuti; perciò una betoniera (tenuto conto anche dei tempi di riempimento e vuotamento) può compiere 30÷40 operazioni in un’ora. L’acqua per gli impasti deve essere previamente analizzata, per accertare l’assenza di azioni ag-gressive. Il dosaggio dell’acqua è importantissimo per la qualità del calcestruzzo e conviene che sia il mini-mo compatibile col procedimento di lavorazione. Talvolta si aggiunge al cemento una piccola quantità di speciali preparati plastificati o aeranti (Darex, Frioplast, ecc.) per lavorare l’impasto con minore quantità d’acqua.

Il rapporto tra le dosature (in peso) di cemento C e di acqua A influisce molto sulla resistenza meccanica del calcestruzzo e durante la costruzione le caratteristiche del calcestruzzo (peso specifico, resistenza a com-

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pressione e a trazione, impermeabilità, ecc.) vanno sperimentate e continuamente controllate. Con valori del rapporto A/C ≤ 0.4 fra i pesi d’acqua e di cemento si ottiene un impasto detto a consistenza di “terra umida”.

Questo, essendo piuttosto asciutto, può trasportarsi in opera senza pericolo che la gravità e le scosse lo se-lezionino. Esso deve poi essere battuto e dà luogo (dopo consolidamento e stagionatura) ad un calcestruzzo di elevata resistenza meccanica, ma non molto omogeneo ed impermeabile. Con una dosatura d’acqua un po’ maggiore (A/C = 0.4 ÷ 0.6) si ottiene un impasto plastico che è preferibile poiché dà luogo a un calcestruzzo resistente e impermeabile. Il trasporto in opera dell’impasto si effettua generalmente con apposite benne, che, riempite una dopo l’altra dalle betoniere, vengono spostate su carrelli e poi sollevate mediante gru di varie specie – gru mobili a torre, gru girevoli (derrick), gru teleferica (blondin) – e portate nei vari punti dell'opera in costruzione ove si aprono e si vuotano. Per accrescere la compattezza del calcestruzzo è d’uso la vibratura dell’impasto appena gettato che si esegue con appositi vibratori, elettrici o pneumatici, a piatto o che si af-fondano più o meno nell’impasto appena gettato. Con la vibratura si elimina gran parte dell’aria, e quindi della porosità, nonché l’acqua in esubero: l’impasto si costipa durante l’operazione.

Aumentando ancora il rapporto A/C (da 0.6 a 0.8) si ottiene un impasto fluido, adatto per poter essere cola-to, cioè posto in opera mediante distribuzione a torri e canali, che è economicamente conveniente per grandi volumi. In tal caso conviene che gli elementi più grossi non superino dimensioni di 70 ÷ 80 mm e che l’impasto non discenda nei canali troppo precipitosamente, né cada da altezza superiore a 1.5 ÷ 2 m, affinché gli inerti non si selezionino. Ne risulta un calcestruzzo di buona impermeabilità, ma di resistenza meccanica non molto elevata che non si usa più per le dighe. Recentemente è pure applicato il trasporto in opera di im-pasti fluidi o plastici, mediante apposite pompe e tubazioni (del diametro di 12 ÷ 15 cm), fino a distanza di qualche centinaio di metri. Questo sistema può risultare conveniente ed economico, ma evidentemente esige particolari riguardi e interventi nei casi di interruzione. L’esecuzione dei getti avviene entro apposite casse-forme d’acciaio, che possono facilmente essere rimosse e trasferite a quote più elevate col procedere della costruzione.

In qualche caso servono accorgimenti speciali per la lavorare in climi freddi ed evitare una lunga interru-zione stagionale dei lavori: si può allora procedere sia al riscaldamento dell’acqua ed eventualmente degli inerti, sia a quello dei casseri e delle superficie dei getti.

4.5.2 PARTICOLARITA’ COSTRUTTIVE

La forma della fondazione dipende dalla conformazione geologica poiché occorre una solida incassatura, alla base e sui fianchi della diga, nella roccia sana e resistente. È importante considerare la giacitura delle e-ventuali stratificazioni della roccia. È opportuno che la superficie di fondazione sia discendente verso monte comprendendo gradoni o ammorsature della struttura alla roccia: i gradoni vanno preferibilmente profilati in modo che le superfici di contatto risultino prossimamente ortogonali alla direzione della risultante dei carichi esterni.

Inoltre la roccia non deve presentare fessure in conseguenza dell’uso delle mine. Completato lo scavo, la roccia di fondazione deve essere ripulita accuratamente con getti d’acqua ad alta pressione e deve essere im-permeabilizzata con iniezioni cementizie. Queste iniezioni, che hanno largo impiego nella costruzione delle dighe e costituiscono un normale procedimento preventivo di risanamento della roccia più che un provvedi-mento di riparazione quando si constatasse una deficienza di tenuta idraulica della roccia medesima, si ese-guono entro perforazioni del diametro di 5÷6 cm, eseguite di preferenza verticalmente sul fondo e obliqua-mente sui fianchi, raggiungendo pressioni alquanto superiori alla pressione idrostatica prevista a serbatoio pieno.

Appena a valle del paramento interno, è opportuno costruire un taglione o muro profondo per impedire le infiltrazioni, dopo avervi eseguito sotto una o due file di iniezione a vari metri di profondità. Anche la strut-tura in calcestruzzo è dotata di drenaggi e di gallerie d’ispezione: la fondazione viene spesso provveduta di drenaggio a valle del taglione, come si è visto in § 4.2.1 e seguenti.

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Nelle dighe in calcestruzzo è necessario porre giunti strutturali in quanto le deformazioni termiche prodotte dal riscaldamento del calcestruzzo durante la presa e dal successivo suo raffreddamento (ritiro) possono dare aumenti di temperatura di oltre 30° C che scompaiono molto lentamente nell’interno della gran massa di calcestruzzo. Anche le variazioni annuali e giornaliere della temperatura ambiente si fanno risentire con più o meno ritardo all'interno della struttura.

I giunti termici intercalati nella diga a gravità a distanza preferibilmente non maggiore di una quindicina di metri, dovendo sia essere a tenuta sia seguire le deformazioni della muratura, comprendono generalmente una lamiera di rame, incurvata a U o a Z con retrostante riempimento in asfalto compresso, o altre disposi-zioni appropriate. L’esecuzione delle singole parti della struttura procede con blocchi di calcestruzzo anche di 500 ÷ 800m3 di volume. Le inevitabili superfici di ripresa dei getti, orizzontali presso il paramento a mon-te, dovrebbero possibilmente divenire acclivi avvicinandosi al paramento a valle.

I paramenti spesso vengono intonacati a gunite oppure rivestiti con bolognini di pietra per proteggerli dal gelo. Se uno strato notevole di calcestruzzo a ridosso del paramento degrada, la stabilità calcolata in progetto risulta menomata: ogni deterioramento che, col tempo, avesse a determinarsi nella muratura può essere peri-coloso e quindi va accuratamente prevenuto e riparato.

Quando venute d'acqua dai drenaggi e dalle gallerie o altri indizi segnalano che la struttura si sta degradan-do, devono essere eseguite apposite perforazioni di sondaggio e altre indagini per individuarne la causa. È indispensabile che ogni diga venga regolarmente sorvegliata e conservata in ottimo stato. La sorveglianza strumentale delle dighe si esegue con misure e registrazioni sistematiche: delle venute d'acqua, delle altezze idrometriche nel serbatoio, delle temperature esterne e interne in vari punti del corpo diga ove siano stati predisposti appositi apparecchi termometrici, delle deformazioni della struttura, a mezzo di apposite mire e collimatori e di pendoli diritti o rovesci, ecc.

4.6 LE DIGHE IN TERRA

Le DIGHE IN TERRA sono state utilizzate fin dai primi periodi della civilizzazione per realizzare serbatoi a fini irrigui: una diga di questo tipo, completata a Ceylon nel VI secolo a.C., era lunga più di 18 km e alta più di 20 m. Benché queste strutture presentino, per difetti di progettazione o di costruzione, problemi di stabilità più frequenti degli altri tipi di sbarramento, ancora oggi le dighe in terra costituiscono il tipo di sbarramento più comune in quanto sono costruite con materiali al loro stato naturale.

La scelta di questo tipo di diga è quasi sempre suggerita dalle caratteristiche geologiche della valle e dalla disponibilità di materiale idoneo alla costruzione del terrapieno: il materiale, prelevato da cave di prestito ovvero recuperato dagli scavi di fondazione, è portato sul sito della diga con mezzi meccanici, disponendolo in strati dello spessore di qualche decimetro che vengono compattati meccanicamente con rulli meccanici di forma e peso appropriati, dopo che il materiale è stato inumidito per portarlo al contenuto di umidità che ne favorisce la massima compattazione.

I differenti tipi di dighe in terra - dighe diaframmate, dighe omogenee, dighe zonate - sono raffigurati in fig. 4.8.

Il corpo della DIGA IN TERRA CON DIAFRAMMA è per la massima parte costituito di materiale permeabile (sabbia - ghiaia - pietrame) e la tenuta idraulica è affidata a un sottile diaframma di materiale impermeabile. Se lo spessore del diaframma supera i tre metri o il valore dell'affondamento sotto il coronamento della gene-rica sezione, si dice che la diga è di tipo zonato.

L’impiego di diaframmi interni non è generalmente raccomandato in quanto il loro piccolo spessore li ren-de soggetti a rotture e fessurazioni già nel corso della costruzione. Inoltre i diaframmi interni sono difficil-mente ispezionabili e la loro riparazione in emergenza è molto difficile da eseguire. Le dighe con manto im-permeabile sul paramento di monte non sono consigliabili a causa delle difficoltà di costruzione; inoltre il

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manto impermeabile deve essere protetto con uno strato di protezione dall'erosione causata dalle onde nel serbatoio e risulta quindi difficilmente ispezionabile.

Le DIGHE OMOGENEE sono costituite da un solo tipo di materiale con esclusione dei paramenti soggetti ad erosione: il materiale usato per queste dighe deve essere abbastanza impermeabile da formare una idonea barriera idraulica e i paramenti devono avere una piccola pendenza per garantirne la stabilità contro gli smot-tamenti. È inevitabile che l’acqua che si infiltra nel corpo della diga omogenea emerga sul paramento di valle indipendentemente dalla sua ripidità e dalla impermeabilità del materiale se il serbatoio resta invasato abba-stanza a lungo: si stima in prima approssimazione che l'altezza della sorgente sospesa emergente dal para-mento di valle sia nell’ordine di un terzo del tirante d’acqua del serbatoio contro il paramento di monte.

La formazione della sorgente sospesa, potenzialmente pericolosa, è usualmente controllata posizionando filtri inversi di materiale permeabile di vario tipo. L’istallazione di tubi di drenaggio in luogo dei filtri è sconsigliata a causa dei problemi connessi alla loro manutenzione. Il materiale di costruzione di questo tipo di diga non deve essere di granulometria troppo fine, come i limi e le sabbie fini che hanno scarse qualità meccaniche né deve essere propenso a essiccarsi.

La DIGA ZONATA è il tipo più comune di diga in terra: la sezione della diga presenta una parte centrale, det-ta NUCLEO, costituita di materiale impermeabile, sostenuta e protetta da zone, dette SPALLE, costituite da ma-teriale più permeabile ma più stabile: sabbia, ghiaia, ciottoli, pietrisco o miscele di questi materiali.

In particolare, la spalla di valle svolge la funzione di dreno per controllare il processo di filtrazione e per abbassare la superficie freatica: generalmente, a valle del nucleo deve essere disposto un filtro di appropriate caratteristiche per impedire il dilavamento del materiale interno da parte della corrente filtrante. Per control-lare efficacemente la filtrazione verso valle - e anche verso monte che si verifica nel caso di rapido svuota-mento del serbatoio - la permeabilità dei filtri dovrebbe crescere progressivamente dal centro della diga verso i paramenti.

4.6.1 PRINCIPI DI DIMENSIONAMENTO

Uno sbarramento, che sia sicuro e stabile durante la costruzione e la sua vita utile, deve avere le caratteri-stiche seguenti.

1. Il terrapieno, la fondazione e le sponde della valle non devono subire deformazioni inaccettabili quando sono caricate dall’acqua invasata nel serbatoio o dalla azione dinamica del terremoto.

2. La filtrazione attraverso la diga e la fondazione deve essere controllata per prevenire sottopressioni ec-cessive, sifonamento, instabilità e smottamenti, dilavamento per soluzione del materiale della diga, ero-sione.

3. Gli scarichi di piena e di fondo del serbatoio devono avere una dimensione adeguata per garantire la si-curezza della diga contro il sormonto da parte dell’onda di progetto ovvero di un’onda causata dalla ca-duta di una frana nel serbatoio.

4. Il franco deve essere sufficiente per evitare il sormonto del coronamento da parte delle onde che il vento forma sullo specchio liquido del serbatoio.

5. La costruzione deve tener conto dell’assestamento della fondazione e del corpo della diga in quanto il cedimento per assestamento non può essere incluso nel franco.

6. Il paramento di monte deve essere protetto contro l’erosione da parte del moto ondoso mentre il corona-mento e il paramento di valle devono essere protetti contro l’azione del vento e del ruscellamento super-ficiale conseguente a precipitazioni intense.

La fondazione deve sostenere la diga in ogni condizione di saturazione e di carico idraulico e deve ostaco-lare la filtrazione per prevenire eccessive perdite d’acqua: l’importanza di una adeguata fondazione è eviden-

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ziata dal fatto che circa il 40% di tutti gli incidenti e il 12% di tutti i collassi di dighe in terra sono da attri-buirsi a carenze nella fondazione.

4.6.2 IL CONTROLLO DELLA FILTRAZIONE

Spesso, le dighe in terra sono realizzate su strati alluvionali di argille, limi, sabbie e ghiaie, di varia esten-sione e spessore: in generale, i terreni di fondazione più grossolani hanno una buona portanza, cioè hanno cedimenti ridotti e garantiscono una buona stabilità ma hanno cattive caratteristiche idrauliche essendo molto permeabili; al contrario le fondazioni su materiali fini sono deboli dal punto di vista meccanico ma non pre-sentano problemi di filtrazione.

Pertanto la fondazione deve essere preparata rimuovendo lo strato superficiale di terreno alterato fino a raggiungere, se possibile, la roccia sottostante; anche nei casi in cui non sia richiesto un taglione impermea-bile è conveniente inserire una trincea di collegamento tra il suolo di fondazione e il corpo della diga.

Generalmente, le fondazioni su roccia presentano i minori problemi; comunque l’esistenza di diaclasi, fa-glie, zone alterate e disomogeneità strutturali richiedono che la roccia sia rinforzata e impermeabilizzata con iniezioni di boiacca di cemento eventualmente addensata con sabbia fine in modo da formare un manto di protezione contro la filtrazione.

Le fondazioni su depositi alluvionali recenti di sabbia e ghiaia, che sono permeabili, presentano problemi per:

− perdite d'acqua per filtrazione;

− forze esercitate dalla filtrazione.

Se la perdita di acqua per filtrazione sotto la diga può essere trascurata quando gli afflussi al serbatoio sono superiori al necessario, il SIFONAMENTO può portare al collasso della struttura e quindi deve essere sempre impedito.

Il processo che porta al sifonamento si spiega nel modo seguente (Fig. 4.9). L’acqua che percola nel terre-no permeabile esercita una azione di trascinamento sui grani di terreno che, però, sono trattenuti al loro posto dai grani che li circondano e formano lo scheletro della formazione sedimentaria. Invece, alla superficie del terreno appena a valle dello sbarramento ove la corrente sorga all’aria, la corrente di filtrazione assume dire-zione verticale e l’azione di trascinamento contrasta il peso proprio. Poiché lo spostamento dei grani non è contrastato dallo scheletro del terreno, essi sono smossi e portati via dall’acqua quando la forza di trascina-mento supera quella di gravità; in questo modo si forma una fossa la quale provoca una riduzione della resi-stenza. Il fenomeno si autoalimenta e lo scavo si ingrandisce fino a portare al cedimento di una parte della fondazione e della struttura.

Il processo sopra illustrato è tipico dei terreni permeabili fino in superficie. Invece, nel caso di terreni per-meabili ricoperti da uno strato di terreno impermeabile, l’azione di trascinamento esercita il suo effetto dan-noso nei punti di maggiore debolezza dello strato superficiale: ad esempio, dove questo strato è più sottile ovvero dove è fratturato. In questo caso l’acqua, che è in pressione nei pori del terreno sgorga con violenza in atmosfera formando il cosiddetto FONTANAZZO.

4.6.2.1 TECNICHE DI IMPERMEABILIZZAZIONE

Per contrastare la filtrazione, il terreno di fondazione è trattato con tecniche differenti a seconda che questo sia: roccia; materiale a granulometria grossolana (sabbia e ghiaia); materiale a granulometria fine (limo e ar-gilla). Si usano (Fig. 4.10):

1. i TAGLIONI, realizzati scavando nella zona di fondazione una trincea di adeguata larghezza che viene riempita con terreno impermeabile analogo a quello del nucleo della diga. Il taglione che raggiunge il

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sottostante strato impermeabile, ad esempio, di roccia sana, blocca completamente il moto di filtrazione. Invece il taglione che penetra solo parzialmente nello strato permeabile diminuisce la portata filtrante e, allungando il percorso della corrente filtrante, riduce il pericolo di sifonamento;

2. le PALANCOLE METALLICHE, che realizzano un sottile pannello che contrasta il moto di filtrazione. La corretta posa delle palancole metalliche è economicamente conveniente solo nel caso di suoli molto fini; la presenza di ghiaia e ciottoli rende insicuro il corretto posizionamento del palancolato;

3. i diaframmi di terra e cemento miscelati, JET – GROUTING, realizzati con apposite macchine che iniettano nel suolo, cemento ad altissima pressione: il terreno viene smosso e si miscela con polvere di cemento formando colonne di materiale relativamente impermeabile e di buona capacità portante. Le colonne so-no affiancate in modo da compenetrarsi parzialmente e da realizzare una parete continua;

4. i DIAFRAMMI PLASTICI realizzati riempiendo con sospensione di argilla bentonitica una trincea scavata nel terreno di fondazione; il fango bentonitico pompato nella trincea di fondazione, essendo più pesante dell’acqua, impedisce che questa entri nella zona scavata; inoltre, la bentonite tende a infiltrarsi nel ter-reno circostante la trincea formando una pellicola impermeabile. La bentonite miscelata con acqua si i-drata e forma una sospensione tixotropica, cioè assume la consistenza di un gel, quando è lasciata indi-sturbata mentre torna fluida quando viene agitata. Di solito, la bentonite viene miscelata con la frazione fine del materiale di fondazione per renderla più densa e darle la consistenza della malta cementizia. In altri casi la bentonite è mescolata con il cemento per formare un materiale sufficientemente resistente ma anche elastico che si deforma senza rompersi. Generalmente, il diaframma plastico è posto sotto la parte anteriore del nucleo impermeabile; poiché il diaframma sotto il nucleo risulta inaccessibile, alcuni pro-gettisti preferiscono disporlo presso l’unghia di monte del terrapieno, collegandolo al nucleo con uno strato impermeabile orizzontale. Gli assestamenti differenziali dei diversi materiali costituenti il nucleo, il diaframma plastico e il suolo debbono essere controllati con cura per evitare fessurazioni pericolose;

5. gli SCHERMI DI INIEZIONE, che impermeabilizzano il terreno di fondazione con iniezioni di boiacca di cemento, bitume, argilla con additivi chimici e si dimostrano validi per impermeabilizzare suoli di tessi-tura grossolana o roccia fessurata mentre nei suoli di materiale molto fine, gli impermeabilizzanti non riescono a penetrare;

6. i MANTI IMPERMEABILIZZANTI, dello spessore di circa 1.5 m e collegati al nucleo della diga, che ricopro-no la base di appoggio della spalla di monte e il fondo del bacino spingendosi fino a circa 150 o 200 m dal piede della diga; il manto impermeabile, allungando le linee di flusso, riduce la filtrazione. La im-permeabilizzazione superficiale è conveniente quando gli altri dispositivi risultano impraticabili. Il man-to di impermeabilizzazione deve essere protetto con uno strato di pietrame contro l’erosione da parte del-le onde del lago e del ruscellamento della pioggia.

4.6.2.2 FILTRI E DRENI

La parte di valle di una diga posizionata su suolo permeabile è munita di dispositivi adeguati per: 1. ridurre le sottopressioni, 2. raccogliere e scaricare a valle la portata filtrante al di sotto della diga, 3. prevenire il sifonamento 4. garantire un peso sufficiente per contrastare la sottospinta.

Questo risultato si raggiunge con dispositivi che: 1. estendono la porzione di valle della diga per allungare le linee di filtrazione; 2. consentono di raccogliere le acque di filtrazione e di scaricarle senza danno a valle della diga; 3. consentono all’acqua di percolare ma contrastano il sifonamento; 4. appesantiscono la porzione di valle per contrastare la sottospinta.

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Le trincee drenanti sono generalmente istallate in prossimità dell'unghia di valle della diga e sono collegate al corpo della diga con filtri drenanti orizzontali secondo la disposizione indicata in Fig.4.11a. Nella trincea drenante è inserita una tubazione orizzontale forata, avente un diametro compreso tra i 20 e i 50 cm, che rac-coglie l’acqua filtrante dal terrapieno e dalla fondazione e la convoglia verso lo scarico.

Per prevenire i fontanazzi che si verificano quando sotto il terrapieno esiste un acquifero artesiano, si rea-lizzano pozzi drenanti (Fig.4.11b) che riducono la pressione freatica. I pozzi devono penetrare in profondità nello strato acquifero ed essere sufficientemente ravvicinati; i pozzi devono essere realizzati con cura affin-ché non si ostruiscano nel tempo.

Un esempio della copertura del piede della diga disposto per stabilizzare la struttura è illustrato in Fig.4.11c.

4.6.3 IL CORPO DIGA

La sezione trasversale della diga in terra ha forma trapezia e la pendenza dei paramenti deve assicurarne la stabilità in ogni condizione di esercizio del serbatoio; la diga non deve sollecitare eccessivamente il terreno di fondazione e la filtrazione deve essere controllata. Non deve esserci pericolo di tracimazione della diga; i paramenti devono essere protetti contro l’erosione e il corpo della diga deve essere stabile sotto l’azione si-smica.

La stabilità del terrapieno è data dalla sua capacità di resistere agli sforzi tangenziali indotti nel materiale dai carichi esterni, per evitare il franamento dei paramenti: i suoli granulari o non coesivi sono più stabili dei suoli coesivi in quanto la loro resistenza di attrito è maggiore e la loro più grande permeabilità permette una rapida dissipazione delle pressioni idrostatiche che risultano dalla compressione dell’acqua nei pori. Dunque, poiché la capacità di una diga in terra di resistere alle sollecitazione esterne e, di conseguenza, la forma della sua sezione dipendono dalle proprietà fisiche dei materiali con cui è realizzato il terrapieno, le dighe omoge-nee hanno generalmente paramenti meno ripidi di quelle zonate.

Nel 1936, Terzaghi dimostrò che lo sforzo di compressione σ agente perpendicolarmente su un elemento di

superficie interno a un ammasso permeabile è dato dalla somma della pressione efficace _σ , che le particelle

dello scheletro solido si trasmetto tra di loro, e della pressione u dell’acqua contenuta nei pori, detta pressio-ne neutra:

σ = _σ + u (4.24)

Inserita questa relazione nell'equazione di Coulomb si evidenzia che la resistenza di attrito s lungo un pia-no è ridotta dalla pressione nei pori:

s = c' + ( σ - u ) tan φ (4.25)

Nella (4.25), detta anche relazione di Mohr - Coulomb, compaiono: c', coesione detta anche coesione appa-rente, e φ , angolo di attrito interno del materiale. L’analisi di stabilità del terrapieno costituente la diga veri-fica se i paramenti della sezione trasversale più sollecitata sono sicuri contro il franamento in ogni condizio-ne di carico. I metodi abituali di analisi della stabilità considerano l’equilibrio delle forze agenti su possibili, ipotetiche linee di scivolamento del materiale, che hanno forma di arco di cerchio nel cosiddetto metodo sve-dese, o altre forme più generiche. Il fattore di sicurezza al franamento è dato dal rapporto tra la resistenza del materiale allo scivolamento calcolata con la formula di Coulomb e la complessiva forza tangenziale risul-tante dalla azione dei carichi esterni.

Poiché le condizioni di saturazione del corpo della diga variano con l’aumento e la diminuzione del livello dell’acqua nel serbatoio, rapidi abbassamenti del livello del serbatoio possono causare il franamento della porzione di monte del terrapieno come è indicato in Fig. 4.12: per scongiurare questo pericolo, il paramento

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di monte delle dighe omogenee è spesso inclinato più dolcemente di quanto richiederebbe il calcolo di stabi-lità al franamento.

La larghezza del coronamento della diga in terra deve consentire il transito dei veicoli e il ruscellamento delle acque di pioggia deve essere raccolto in canaline.

La sommità della diga deve essere ricaricata in fase di costruzione affinché il franco finale, che si realizza a cedimento esaurito, non sia inferiore al valore richiesto dal regolamento, che va da circa un metro a più di tre metri a seconda dell'altezza delle onde che possono formarsi sulla superficie del lago.

Le facce della diga vanno protette contro l’erosione, dovuta a pioggia, onde, vento, traffico veicolare, con un rivestimento di pietrisco o ghiaia di spessore sufficiente e asfaltando il piano del coronamento. Talvolta il paramento di monte viene rivestito con lastre di calcestruzzo, cemento bituminoso, lamine metalliche, e altri materiali resistenti all'usura.

4.7 LE DIGHE IN PIETRAME

Un DIGA IN PIETRAME o A SCOGLIERA è costituita da pietrame gettato ovvero posato in strati e compattato per sbarrare la valle che si vuole invasare. La tenuta idraulica dello sbarramento è affidata a un diaframma interno al corpo diga ovvero a un manto impermeabile che ricopre il paramento di monte; in particolare le sottopressioni e la eventuale filtrazione di acqua attraverso il pietrame non danno particolari problemi per la stabilità della struttura.

Il ricorso alla struttura in pietrame è conveniente quando risulta difficile mettere all’asciutto il cantiere del-la diga per la brevità della stagione di magra o per il costo della deviazione provvisoria: infatti, la diga in pie-trame può essere posata anche nella stagione avversa e la impermeabilizzazione della fondazione può farsi simultaneamente alla formazione della scogliera.

L’altezza di dighe di questo tipo può essere aumentata piuttosto facilmente anche dopo anni di esercizio dell'impianto di ritenuta.

La diga in pietrame può essere innalzata su un suolo di qualità meccaniche e idrauliche inferiori a quelle richieste per una diga in calcestruzzo; al contrario la diga a scogliera richiede una fondazione migliore di quella richiesta da una diga in terra, in quanto la fondazione deve essere molto poco cedevole per scongiura-re il pericolo di fessurazione o ammaloramento degli elementi di tenuta idraulica causati dai movimenti di assestamento del corpo diga.

La scogliera può essere realizzata con vari tipi di materiale roccioso: esso non deve disgregarsi durante le operazioni di posa e di compattamento e deve essere resistente nel tempo. Il cedimento dell’ammasso di pie-trame viene ridotto irrorandolo con getti d’acqua in modo da distaccare dagli elementi di maggiori dimensio-ni le parti più fini, che vanno a intasare i vuoti lasciati dagli elementi più grossolani. L’esperienza ha dimo-strato che il materiale steso in strati sottili e compattato con rulli vibratori forma un ammasso stabile con ri-dotti cedimenti.

Le dighe in pietrame realizzate correttamente sono molto stabili sotto l’azione sismica e non collassano an-che quando, a causa della rottura del dispositivo di impermeabilizzazione, penetrano nel corpo della diga grandi quantità di acqua.

4.7.1 LE DIGHE CON NUCLEO IMPERMEABILE

Il nucleo impermeabile della diga in pietrame si realizza in terra come è illustrato in Fig. 4.13. Le zone di filtro poste tra le spalle in pietrame e il nucleo di materiale fine evitano il dilavamento del materiale fine del nucleo. In questo tipo di dighe, il pietrame di maggiore dimensione e di migliore qualità va sistemato nelle

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zone esterne e la granulometria del materiale deve essere regolata diminuendo le dimensioni degli elementi andando dall'esterno verso l’interno del corpo diga.

4.7.2 LE DIGHE CON MANTO IMPERMEABILE

La sezione tipica di questo tipo di diga, illustrata in Fig. 4.14, è divisa in 3 zone. La zona C, che occupa la porzione di valle della diga, è costituta dal pietrame di migliore qualità e di maggiori dimensioni essendo ad essa affidata la stabilità della scogliera. Il pietrame utilizzato deve avere una forma compatta e non sono ac-cettati lastroni che si possono rompere facilmente favorendo cedimenti localizzati.

La zona B può essere realizzata con pietrame di minore qualità per minimizzare i costi. La zona A, sulla quale viene steso il manto impermeabile e che deve essere sufficientemente impermeabile per controllare la permeazione dell’acqua nei punti in cui il manto dovesse fessurarsi, è realizzata con pietrisco e ghiaia bene assortiti.

Il materiale nella zona C va da 30 dm3 a circa un metro cubo. La zona B, che deve mantenersi molto per-meabile anche dopo la compattazione del materiale, è realizzata con elementi bene assortiti che giungono fi-no alla dimensione massima di 0.3 m3. La dimensione degli elementi nella zona A deve essere inferiore a 10 cm e contiene anche elementi molto fini (limi).

Il manto impermeabile deve avere le seguenti caratteristiche:

1. Bassa permeabilità;

2. Resistenza meccanica o flessibilità sufficienti per resistere ai cedimenti localizzati dell’ammasso;

3. Resistenza al degrado causato dagli agenti atmosferici.

I manti impermeabili generalmente usati sono:

1. lastre di calcestruzzo armato, che sono le più impiegate per la realizzazione di manti impermeabili;

2. tappeto di calcestruzzo bituminoso con spessore di almeno 20 cm;

3. Lastre metalliche, che hanno il vantaggio di essere posate rapidamente e sopportano grandi movimenti di assestamento della scogliera meglio degli altri due tipi di rivestimento.

I rivesti metallici sono soggetti a corrosione elettrolitica che può essere controllata efficacemente ponendo protezione catodiche su entrambe le facce della lastra metallica. Benché il pericolo di danni al rivestimento metallico sia molto poco probabile, si richiede comunque un’attenta manutenzione e controllo. Le lastre me-talliche devono essere ancorate in profondità nel corpo della diga con barre metalliche per impedirne il di-stacco.

Tutti i manti di rivestimento debbono essere ancorati con cura al taglione posto all’unghia di monte della diga. In questo taglione, costituito da un trave in calcestruzzo di adeguate dimensioni, ci sono fori dai quali partono le perforazioni usate per iniettare la boiacca di cemento che impermeabilizza la fondazione

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5. LA PROGRAMMAZIONE DELLE INFRASTRUTTURE

I grandi enti erogatori di finanziamenti come la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, abbreviata in Banca Mondiale, e le Banche Regionali di Sviluppo come: la Banca Interamericana, la Banca Asiatica, la Banca Africana per lo Sviluppo richiedono che il progetto di una grande infrastruttura sia prece-duto da un preliminare momento di valutazione di convenienza. Anche le agenzie specializzate delle Nazioni Unite - FAO, UNESCO, ILO, UNIDO - assoggettano le proposte di realizzazione di grandi infrastrutture ad analoghe valutazioni preliminari. Anche i fondi europei e le leggi nazionali di programmazione di intervento seguono, in linea generale, la medesima logica.

5.1 LA NORMATIVA ITALIANA

In Italia la redazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche è regolata da leggi emana-te negli ultimi anni che hanno sostituito e aggiornato norme molto vecchie, alcune risalenti addirittura al se-colo XIX, e che recepiscono le direttive emanate dalla Unione Europea. Qui nel seguito, richiamiamo le nor-me più importanti.

5.1.1 LA LEGGE QUADRO DEI LAVORI PUBBLICI

Nel nostro paese, la disciplina dei progetti di opere pubbliche è definita dalla Legge quadro in materia di lavori pubblici e successive modificazioni – Legge 11 febbraio 1994 n. 109 –. Alla legge 109/94 ha fatto se-guito il Regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 21 dicembre 1999. La legge, che si rivolge alle Ammini-strazione dello Stato, ai concessionari di lavori pubblici o di esercizio di infrastrutture, ai privati che per la realizzazione di opere abbiano ricevuto dallo Stato un contributo diretto specifico, stabilisce anche le norme per la progettazione.

L’art. 14 riguarda la programmazione dei lavori pubblici e stabilisce che le Amministrazioni aggiudicatrici approvano il programma triennale dei lavori da eseguire con l’indicazione dei mezzi stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio o disponibili attraverso contributi o risorse dello Stato, delle regioni o di al-tri Enti pubblici. Il programma dei lavori deve essere conforme agli strumenti urbanistici vigenti e deve esse-re reso pubblico per consentire la formulazione di osservazioni e proposte. È consentita la esecuzione dei la-vori per lotti funzionali previa l’indicazione della disponibilità dei mezzi finanziari per la conclusione dei la-vori.

L’art.16 articola l’attività di progettazione secondo tre successivi livelli di approfondimento tecnico:

1. PROGETTO PRELIMINARE. Il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze per soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire. Esso consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta, della soluzione prospettata in base alla valutazione delle alternative possibili, anche con riferimento ai profili ambientali e alla fattibilità amministrativa e tecnica accertata attraverso le indispensabili indagini di prima approssimazione. La valutazione econo-mica deve mettere i costi in relazione ai previsti benefici. La relazione deve essere corredata di schemi grafici per individuare la tipologia e i caratteri funzionali e tecnologici dei lavori da realizzare.

2. PROGETTO DEFINITIVO. Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare nel rispetto di quanto stabilito nel progetto preliminare, e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni. Esso consiste in:

- relazione descrittiva dei criteri utilizzati per le scelte progettuali, delle caratteristiche dei materiali prescelti e dell’inserimento delle opere sul territorio;

- studio di impatto ambientale ove previsto;

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- disegni generali nelle opportune scale descrittive delle principali caratteristiche delle opere; - studi e indagini preliminari geognostiche, idrologiche, sismiche, agronomiche, chimiche, biologiche,

topografiche, condotte a un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture degli impian-ti e lo sviluppo del computo metrico estimativo;

- calcoli preliminari delle strutture degli impianti; - disciplinare descrittivo degli elementi prestazionali, tecnici ed economici delle opere in progetto; - computo metrico estimativo.

3. PROGETTO ESECUTIVO. Il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo previsto e deve essere sviluppato a un livello di de-finizione tale da identificare la forma, la tipologia, la qualità, la dimensione e il prezzo di ogni elemento dell’opera. Il progetto, che è sviluppato sulla base di studi e di indagini di dettaglio, deve essere correda-to dal piano di manutenzione dell’opera e delle sue parti.

L’art.16 chiarisce che il progetto ha il fine di assicurare, nel rispetto dei vincoli esistenti e dei limiti di spe-sa prestabiliti:

a) la qualità dell’opera e la rispondenza alle finalità relative;

b) la conformità alle norme ambientali e urbanistiche;

c) il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario.

L’art.17 definisce le modalità di affidamento degli incarichi di progettazione mentre gli art. 19 e successivi si rivolgono ai sistemi di realizzazione dei lavori pubblici e alle procedure di scelta degli esecutori dei lavori.

La legge quadro dei lavori pubblici presuppone che la decisione di realizzare la infrastruttura da progettare sia già stata presa nel quadro di una più generale fase di programmazione: possiamo dunque dire che la legge 109 norma quasi esclusivamente gli aspetti propriamente tecnici che riguardano la realizzazione dell’opera. In realtà, prima di passare a ciò, l'Amministrazione deve svolgere una preliminare attività di studio e valuta-zione di prefattibilità per decidere come allocare le proprie risorse finanziarie.

Infatti, nei primi articoli del titolo "Programmazione e progettazione" del "Regolamento di attuazione della Legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni", emanato con D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, sono succintamente richiamate le attività di redazione di studi di fatti-bilità per l'elaborazione dei programmi di lavori pubblici: le proposte elaborate dalle amministrazioni aggiu-dicatrici, concorrono all'aggiornamento annuale del programma triennale dei lavori pubblici da inserire nella legge di bilancio annuale che viene annualmente sottoposta alla approvazione del Parlamento.

5.1.2 IL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI

Il D. Leg.vo n.163 del 12 aprile 2006, emanato dal governo a ciò delegato dalla L.62/2005 "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge co-munitaria 2004" e recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, recepisce nell'ordinamento italiano la direttiva europea che disci-plina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti fornitori di servizi di tra-sporto e postali e la direttiva che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi.

Il provvedimento si lega per molti aspetti alla legge quadro dei lavori pubblici in quanto raccoglie in un’unica fonte normativa tutte le disposizione in materia di appalti pubblici, di lavori e di servizi e forniture, ivi compresi quelli dei cosiddetti settori speciali: acqua, gas, energia elettrica, trasporti, telecomunicazioni, ecc.Esso disciplina: gli aspetti organizzativi del mercato degli appalti pubblici e del modo di procedere delle stazioni appaltanti; dell’Osservatorio per i lavori pubblici; dello sportello dei contratti pubblici; della pro-grammazione dei lavori pubblici.

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L’art. 4 del Codice degli Appalti definisce le competenze legislative di Stato, Regioni, Province autonome, riservando allo Stato la disciplina delle procedure di affidamento dei lavori, di vigilanza sul mercato degli appalti, di progettazione e piani di sicurezza.

L’art. 53 definisce tre forme di appalto dei lavori distinguendo tra:

1) appalti finalizzati alla sola esecuzione dei lavori;

2) appalti comprendenti la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base del progetto definiti-vo dell’amministrazione: appalti integrati;

3) appalti comprendenti la progettazione definitiva ed esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base del pro-getto preliminare, completato dal capitolato prestazionale indicante le prescrizioni, le condizioni e i re-quisiti tecnici inderogabili dell’opera. I partecipanti alla gara, offrono il progetto definitivo e il prezzo; il progetto vincitore viene acquisito dalla stazione appaltante.

La legge109/1994 limitava il ricorso all’appalto integrato a lavori di elevata componente impiantistica e tecnologica. Ancora a rispetto alla precedente legge, l’articolo 53 liberalizza la scelta delle amministrazioni tra appalto a corpo e appalto a misura, ampliando le possibilità di applicazione di questa seconda forma di affidamento dei lavori.

Riprendendo la direttiva della Commissione Europea, il Codice stabilisce che le procedure aperte (pubblico incanto) e le procedure ristrette (licitazione privata) sono sempre ammesse, mentre le procedure negoziate (trattativa privata) o il dialogo competitivo sono ammessi solo in alcuni casi.

Il dialogo competitivo, disciplinato dall’art. 58, è una forma di gara nella quale l’amministrazione, attraverso fasi successive, indirizza i concorrenti verso le soluzioni più adatte a soddisfare le sue necessità. Il dialogo competitivo è applicabile agli appalti particolarmente complessi per i quali la stazione appaltante non dispo-ne di sufficienti informazioni relative a:

a) identificazione e quantificazione dei propri bisogni;

b) individuazione dei mezzi strumentali idonei a soddisfare tali bisogni;

c) caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie di tali bisogni;

d) analisi dello stato di fatto e di diritto dell’intervento delle sue eventuali componenti storico-artistiche, ar-chitettoniche, paesaggistiche, di sostenibilità ambientale, socio-economiche, amministrative e tecniche.

In concreto, il ricorso al dialogo competitivo risulta limitato a interventi di elevatissima complessità, per i quali l’apporto creativo e progettuale dei concorrenti è indispensabile già nella fase ideativa.

Per lavori seriali e ripetitivi, come ad esempio gli interventi di manutenzione, il Codice considera la possi-bilità di ricorrere ad accordi quadro. Con questo sistema di gara, l’ente appaltante seleziona un certo di nu-mero di imprese con le quali stipulerà contratti di appalto da eseguire in un determinato periodo.

Il Codice recepisce dalla normativa europea l’istituto denominato avvalimento, che costituisce una novità per la normativa italiana. Con l’avvalimento, un imprenditore (avvalente) partecipante a una gara di appalto ha la facoltà di fare affidamento sulla capacità economica e tecnica di un altro imprenditore (avvalso). L’avvalente deve provare che l’impresa avvalsa intende mettergli a disposizione le sue capacità. Le forme di avvalimento sono due:

1) con riferimento a una singola gara;

2) in sede di qualificazione SOA. Le Società Organismi di Attestazione sono autorizzate (ai sensi del D.P.R. 34/2000) dall'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ad accertare e attestare la qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici in quanto sono in possesso dei requisiti richiesti dalle disposizio-ni comunitarie.

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In questo secondo caso, l’impresa che chiede l’attestazione può avvalersi dei requisiti di un’altra impresa a condizione che entrambe le imprese facciano parte dello stesso gruppo, che l’impresa avvalente dimostri di disporre dei requisiti di idoneità dell’impresa avvalsa per l’intiera durata di validità della certificazione dei requisiti di idoneità. A tal proposito, il Codice impone che l’avvalso condivida in solido le proprie responsa-bilità civili con l’avvalente.

L’art. 81 del Codice assegna alla stazione appaltante la scelta del criterio di aggiudicazione ritenuto più a-deguato all’intervento:

a) criterio di aggiudicazione del prezzo più basso;

b) criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, fondata sulla valutazione di una pluralità di ele-menti tecnici economici.

La Legge 109/94 riservava questo criterio ad appalti di interventi ad elevata componente tecnologica ovve-ro di particolare rilevanza tecnica. La norma consente alla stazione appaltante di non procedere alla aggiudi-cazione se nessun offerta risulta conveniente o idonea a soddisfare il suo fabbisogno.

5.1.3 LA LEGGE OBIETTIVO

La legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cosiddetta LEGGE OBIETTIVO) delega il Governo a individuare le in-frastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese.

Nell’individuare le infrastrutture e gli insediamenti strategici il Governo procede secondo finalità di riequi-librio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, indicando, nella legge finanziaria, le risorse neces-sarie che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati già disponibili.

Il d. leg.vo n. 190 del 20 agosto 2002 recante “Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443 per la rea-lizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale” regola la progettazione, l’approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche, degli insedia-menti produttivi strategici e delle infrastrutture strategiche private e ne disciplina la progettazione e la realiz-zazione.

L’art. 2 del decreto legislativo dispone che il Ministero delle Infrastrutture:

a) formuli la proposta di programma degli interventi sulla scorta delle proposte degli altri Ministeri, delle regioni e delle province autonome;

b) promuova la redazione dei progetti delle infrastrutture da parte dei soggetti aggiudicatori;

c) promuova ed acquisisca il parere istruttorio sui progetti preliminari e definitivi da parte dei soggetti competenti;

d) curi l’istruttoria ai fini delle deliberazioni del CIPE in merito ai contenuti del programma degli interven-ti;

e) provveda all’attività di supporto al CIPE per la vigilanza delle attività di affidamento da parte dei sogget-ti aggiudicatori e della successiva realizzazione delle infrastrutture.

Per lo svolgimento delle suddette attività il Ministero delle Infrastrutture può avvalersi, oltre che di tecnici di altre pubbliche amministrazioni, anche di società specializzate nella progettazione e gestione di lavori pubblici e privati.

È anche previsto che per la sollecita attivazione dei provvedimenti e degli atti necessari alla progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, il Governo, in so-stituzione degli organismi competenti, possa avvalersi di commissari straordinari con i poteri di cui alla L. 135/1997 (cosiddetto decreto “sblocca cantieri”).

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Il progetto preliminare delle infrastrutture è trasmesso dai soggetti aggiudicatori al Ministero delle infra-strutture e trasporti, e, ove competenti, al Ministero delle attività produttive e al Ministero per i beni e le atti-vità culturali, nonché alle regioni o province autonome competenti per territorio. Ove l’opera da realizzarsi sia soggetta a valutazione di impatto ambientale, il progetto preliminare deve essere corredato anche dallo studio di impatto ambientale.

Il progetto preliminare è approvato dal CIPE a maggioranza, con il consenso dei presidenti delle regioni e delle province autonome interessate.

Il progetto definitivo è trasmesso dal soggetto aggiudicatore, dal concessionario o dal contraente generale a ciascuna delle amministrazioni interessate rappresentate nel CIPE e a tutte le altre amministrazioni compe-tenti a rilasciare permessi ed autorizzazioni di ogni genere e tipo. Alla conclusione della conferenza dei ser-vizi, il Ministero valuta le proposte pervenute e formula la sua proposta al CIPE che approva, con eventuali integrazioni e modificazioni, il progetto definitivo, anche ai fini della dichiarazione di pubblica utilità.

La realizzazione delle infrastrutture di cui al programma degli interventi può avvenire tramite:

a) concessione di costruzione e gestione;

b) affidamento unitario a contraente generale.

Nella concessione di costruzione e gestione il prezzo da accordare al concessionario (in aggiunta al diritto di gestire l’opera) e la durata della concessione sono determinati sulla base del piano economico e finanzia-rio, e costituiscono parametri di aggiudicazione della concessione.

Il concessionario può avvalersi, per la realizzazione delle opere, di un contraente generale (ciò significa che il contraente generale può intervenire, per l’attuazione delle opere di cui alla legge obiettivo, sia come affidatario diretto degli interventi, sia come affidatario indiretto a valle del soggetto concessionario). Ove il contraente generale sia un’impresa collegata al concessionario, deve assicurare il subaffidamento a soggetti terzi delle quote che a questi siano riservate in sede di gara di concessione.

Con l'affidamento unitario a contraente generale i soggetti aggiudicatori possono anche procedere ad affi-dare ad un soggetto dotato di adeguata esperienza e qualificazione nella costruzione di opere, nonché di ade-guata capacità organizzativa e finanziaria, la realizzazione con qualsiasi mezzo dell’opera, nel rispetto delle esigenze del progetto preliminare o definitivo posto a base di gara, contro un corrispettivo pagato in tutto o in parte dopo l’ultimazione dei lavori. In queste ipotesi il contraente generale provvede: a) alla progettazione definitiva, se richiesta; b) alla progettazione esecutiva; c) alla esecuzione con qualsiasi mezzo dei lavori e alla loro direzione; d) al prefinanziamento, in tutto o in parte, dell’opera da realizzare; e) alla individuazione, ove richiesto, delle modalità gestionali dell’opera e di selezione dei soggetti gestori; f) all’indicazione al soggetto aggiudicatore del piano degli affidamenti, delle espropriazioni, delle forniture

di materiale e di tutti gli altri elementi utili a prevenire le infiltrazioni della criminalità.

Il soggetto aggiudicatore provvede invece: a) alle attività necessarie all’approvazione del progetto definitivo ad opera del CIPE, ove detto progetto non

sia stato posto a base di gara; b) all’approvazione del progetto esecutivo e delle varianti; c) alla sorveglianza sulla realizzazione delle opere; d) al collaudo delle opere.

Il contraente generale provvede all’esecuzione delle opere direttamente ovvero tramite soggetti terzi. I rap-porti tra il contraente generale e i terzi realizzatori delle opere sono rapporti di diritto privato non soggetti al-le procedure ad evidenza pubblica. Per l’esecuzione della sua prestazione il contraente generale, se composto da più soggetti, costituisce una società di progetto che subentra nel rapporto al contraente generale senza che ciò costituisca cessione di contratto, e quindi i soggetti componenti il contraente generale restano solidalmen-

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te responsabili con la società di progetto, nei confronti del soggetto aggiudicatore, per la buona esecuzione del contratto.

Sul contraente generale grava l’obbligo di costituire la garanzia globale di esecuzione dei lavori. Nel caso di fallimento o inadempienza del contraente generale, può subentrare nel rapporto contrattuale un altro sog-getto idoneo in possesso dei requisiti di contraente generale.

Il decreto contempla anche il possibile intervento della figura del promotore, mutuata integralmente dalla disciplina introdotta con gli art. 37 e seguenti della L. 109/1994. Il Ministero delle infrastrutture pubblica sul proprio sito informatico, nonché nei fogli degli annunzi legali, la lista delle infrastrutture per la realizzazione delle quali il soggetto aggiudicatore vuole usufruire del finanziamento di soggetti privati. Se la proposta è ri-tenuta rispondente al pubblico interesse, il promotore deve integrare il progetto preliminare con lo studio di impatto ambientale. Spetta poi al CIPE la valutazione definitiva della proposta. Se questa non viene ritenuta meritevole di accoglimento, viene trasmessa al soggetto aggiudicatore per una nuova istruttoria e per le even-tuali modifiche.

La gara di cui all’art. 37-quater della L.109/1994 è bandita dopo l'approvazione del progetto preliminare da parte del CIPE ed è disciplinata dalle medesime regole previste per l’affidamento in concessione di costru-zione e gestione. L’aggiudicazione delle concessioni e degli affidamenti a contraente generale avviene, a scelta del soggetto aggiudicatore, mediante licitazione provata ovvero mediante appalto concorso.

Per l’affidamento delle concessioni (anche quelle che seguono alla proposta del promotore) si pone a base di gara il progetto preliminare, mentre per l’affidamento a contraente generale si pone a base di gara il pro-getto preliminare ovvero quello definitivo. In ogni caso per la procedura di appalto-concorso si pone a base di gara il progetto preliminare.

In tabella 3.1 è sintetizzato l'iter approvativo del progetto è descritto nelle diverse fattispecie considerate dalla legge: la tabella 3.2 riporta l'elenco degli interventi promossi dalla Legge Obiettivo.

Al collaudo delle opere si procede con le modalità stabilite dalla L. 109/1994. Per opere di grande rilevan-za, le commissioni di collaudo possono avvalersi di servizi di supporto di specialisti del settore, che non sia-no in alcun modo collegati a che ha progettato, diretto e sorvegliato o eseguito l’infrastruttura.

Il decreto legislativo definisce che:

a) le opere per le quali l’interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale sono le infra-strutture, individuate nel programma, non aventi carattere interregionale o internazionale;

b) i fondi sono le risorse finanziarie – integrative dei finanziamenti pubblici, anche comunitari e privati allo scopo stimati disponibili – che la legge finanziaria annualmente destina alle attività di progettazione, i-struttoria e realizzazione delle infrastrutture inserite nel programma;

c) i soggetti aggiudicatori sono le amministrazioni aggiudicatici;

d) il CIPE è il Comitato interministeriale per la programmazione economica, integrato con i presidenti delle regioni e province autonome di volta in volta interessate dalle singole infrastrutture e insediamenti pro-duttivi;

e) la concessione è il contratto con il quale viene affidata la progettazione e realizzazione di una infrastrut-tura a fronte unicamente del diritto a gestire l’opera ovvero a fronte di tale diritto accompagnato da un prezzo. I concessionari non sono soggetti aggiudicatori;

f) l'affidamento a contraente generale è il contratto con il quale viene affidata la progettazione e realizza-zione con qualsiasi mezzo di una infrastruttura rispondente alle esigenze specificate dal soggetto aggiu-dicatore. I contraenti generali non sono soggetti aggiudicatori.

g) il Ministero delle infrastrutture: - promuove e riceve le proposte degli altri Ministeri e delle regioni o province autonome, formulando

la proposta di programma da approvare con le modalità previste dalle legge delega; promuove e pro-

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pone intese quadro tra Governo e singole regioni o province autonome, al fine del congiunto coordi-namento e realizzazione delle infrastrutture;

- promuove la redazione dei progetti delle infrastrutture da parte dei soggetti aggiudicatori, anche at-traverso eventuali opportune intese o accordi procedimentali tra i soggetti comunque interessati;

- promuove e acquisisce il parere istruttorio dei progetti preliminare e definitivo da parte dei soggetti competenti e, sulla base dei pareri predetti, cura a sua volta l’istruttoria ai fini delle deliberazioni del CIPE, proponendo allo stesso le eventuali prescrizioni per la approvazione del progetto. Per le opere di competenza dello Stato il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, o di altri organi o commissioni consultive, ove richiesto dalle norme vigenti, è acquisito sul progetto preliminare;

- provvede, eventualmente in collaborazione con le regioni, le province autonome e gli altri enti inte-ressati con oneri a proprio carico, alle attività di supporto al CIPE per la vigilanza delle attività di af-fidamento da parte dei soggetti aggiudicatori e della successiva realizzazione delle infrastrutture;

- ove necessario, collabora alle attività dei soggetti aggiudicatori o degli enti interessati alle attività i-struttorie con azioni di indirizzo e supporto, a mezzo delle proprie strutture ovvero a mezzo dei commissari straordinari;

- assegna ai soggetti aggiudicatori, a carico dei fondi, le risorse finanziarie integrative necessarie alle attività progettuali; propone, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze, al CIPE l’assegnazione ai soggetti aggiudicatori delle risorse finanziarie integrative necessarie alla realizza-zione delle infrastrutture, previa approvazione del progetto preliminare e nei liminti delle risorse di-sponibili.

Il Ministero, ove non vi siano specifiche professionalità interne, può:

a) avvalersi di una struttura tecnica di missione composta da dirigenti delle pubbliche amministrazioni, da tecnici individuati dalle regioni o province autonome territorialmente coinvolte, nonché, sulla base di specifici incarichi professionali o rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, da progettisti ed esperti nella gestione di lavori pubblici e provati e di procedure amministrative;

b) assumere, per esigenze della struttura medesima, personale di alta specializzazione e professionalità, previa selezione, con contratti a tempo determinato di durata non superiore al quinquennio rinnovabile per una sola volta;

c) avvalersi, quali advisor, di società specializzate nella progettazione e gestione di lavori pubblici e privati; d) avvalersi della eventuale ulteriore collaborazione che le regioni o province autonome interessate vorran-

no offrire, con oneri a proprio carico; e) avvalersi, della Cassa depositi e prestiti o di società da essa controllata per le attività di supporto tecnico-

finanziario occorrenti al Ministero ed ai soggetti aggiudicatori; f) richiedere al Ministero dell’economia e delle finanze la collaborazione della Unità tecnica finanza di

progetto.

5.2 LE FASI DEL PROGETTO

Nel suo complesso, il ciclo del progetto si realizza attraverso l’elaborazione, la realizzazione e l’esame re-trospettivo dell’intervento. In un ambito generale di programmazione di interventi da finanziarsi, e cioè a li-vello aggregato, la ideazione di un progetto deriva da:

a) piani e strategie nazionali, settoriali o regionali; b) proposte di infrastrutture essenziali per la rimozione di vincoli al processo di sviluppo; c) politiche di correzione di ineguaglianze sociali e regionali ovvero di soddisfacimento dei bisogni fonda-

mentali della collettività; d) strategie nazionali in temi di energia, ambiente, sistema dei trasporti, sviluppo industriale, ecc.

Per quanto riguarda la singola proposta di intervento, e cioè a livello disaggregato, il progetto origina da:

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a) esistenza di risorse umane o naturali utilizzate in maniera non efficiente; b) esistenze di domande o bisogni non soddisfatti; c) esistenza di investimenti in atto da completare o espandere per renderli efficienti.

L'analisi delle proposte progettuali che, come detto, precede il vero e proprio sviluppo tecnico dell'idea progettuale, si articola nelle due fasi:

1. studio di prefattibilità; 2. studio di fattibilità o progetto preliminare.

Lo studio di prefattibilità deve analizzare e, di conseguenza, chiarire:

a) la struttura e gli obiettivi del progetto; b) la composizione della domanda per i prodotti o bisogni che dovrebbe soddisfare; c) i gruppi sociali beneficiari del progetto; d) la disponibilità delle necessarie risorse materiali e umane; e) i pregi e i difetti delle alternative tecnologiche disponibili per il raggiungimenti dei fini del progetto; f) i costi di investimento e gestione e i ricavi e i benefici indiretti e/o indotti; g) gli elementi istituzionali e amministrativi nei quali il progetto è inserito e che lo possono condizionare.

La valutazione preliminare del progetto determina se le informazioni raccolte sono sufficienti per risponde-re ai punti sopra elencati e l’ammontare approssimativo delle spese richieste per la esecuzione dei progetti. A tale riguardo, prima di passare alla elaborazione del successivo studio di fattibilità o progetto preliminare, deve essere stilato uno specifico piano di lavoro con i tempi e i modi della messa in cantiere delle opere.

Nel caso di grandi infrastrutture, all'analisi economica, tecnica, finanziaria, deve aggiungersi anche quella istituzionale che deve definire l’ambito istituzionale adeguato per la realizzazione dell’intervento. Ad esem-pio, questa analisi deve considerare e valutare i pro e i contro di:

a) costituire un Ente ad hoc per l’attuazione e la gestione dell’intervento ovvero di utilizzare, eventualmen-te adeguandolo, un Ente già esistente;

b) centralizzare o decentrare le funzioni e le decisioni dell’Ente realizzatore dell’intervento; c) differenti tipologie di proprietà e di controllo della infrastruttura: pubblica, privata, cooperativa, societa-

ria, nazionale, estera, ecc; d) situazioni di mercato relativamente all’offerta di input e alla distribuzione di output.

Queste scelte sono operate in ambito politico e, con la maggior frequenza, ricorrono a criteri e giudizi di carattere qualitativo e, anche, soggettivo. In ogni caso, i criteri di scelta devono essere illustrati con chiarezza e precisione: poiché la relazione tra gli aspetti tecnici e gli aspetti istituzionali del progetto è solitamente piuttosto stretta, è opportuno che essi siano valutati congiuntamente.

Lo studio di prefattibilità deve identificare i beneficiari del progetto e i gruppi che, invece, sostengono i costi diretti e indiretti del progetto e, infine, i gruppi che possono condizionare la riuscita dell’intervento. Trascurare questo aspetto porta ritardi e diseconomie nell’iter progettuale.

Lo studio di prefattibilità deve valutare se:

1) il settore al quale il progetto si rivolge richiede un aumento degli investimenti e se gli obiettivi intersetto-riali sono tenuti nella corretta considerazione;

2) la proposta progettuale rappresenta l’alternativa meno costosa per il raggiungimento degli obiettivi; 3) i tempi di sviluppo del progetto sono adeguati; 4) la proposta di intervento è tempestiva e, cioè, né prematura né superata.

Da ultimo debbono essere individuati gli impieghi alternativi delle risorse impegnate dal progetto e liberate se questo non viene realizzato.

Come vedremo nel capitolo successivo, l’analisi di prefattibilità deve confrontare la situazione con il pro-getto e la situazione senza il progetto analizzandola secondo diversi punti di vista:

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1) tecnico: considera le alternative disponibili e l’economicità di quella prescelta in termini di minor costo a parità di benefici, eventualmente stabilendo una graduatoria tra le alternative;

2) commerciale: valuta le condizioni di mercato della domanda e dell’offerta dei beni e dei servizi prodotti e utilizzati nel progetto. L’esame considera gli sbocchi del prodotto nel mercato interno ed esterno e la capacità di approvvigionamento della risorsa necessaria. Devono essere presi in considerazione gli even-tuali effetti sui prezzi di mercato, correnti e previsti, dell’input e dell’output del progetto valutando altre-sì l’impatto che questi hanno sulla domanda e sull’offerta totale per non turbare il mercato "senza il pro-getto" se questo è efficiente;

3) istituzionale: definisce la struttura organizzativa del progetto e la divisione funzionale delle responsabili-tà del processo decisionale di attuazione e di gestione;

4) finanziario: considera i costi e i benefici del progetto in termini di flusso di cassa e situazione patrimo-niale delle unità operative interessate alla gestione del progetto. L’analisi finanziaria deve assicurare che il progetto risulti conveniente e sostenibile congruentemente con l’economia di mercato, la massimizza-zione dei profitti delle imprese e il mantenimento di unità produttive patrimonialmente solide. Il risultato viene spesso raggiunto fornendo incentivi e stabilendo norme che inducono gli agenti economici a con-tribuire al raggiungimento degli obiettivi del progetto;

5) economico: rappresenta il momento di sintesi di tutti gli aspetti dell’analisi progettuale sopra elencati e si esprime in termini di analisi costi-benefici o, più in generale, di analisi di efficienza se lo scopo del pro-getto è quello di perseguire il massimo utile economico per una entità nazionale o sopranazionale senza tener conto della redistribuzione dei benefici. Alternativamente, la valutazione economica si definisce come analisi sociale se tiene conto degli effetti distributivi del progetto.

L’attuazione dell’intervento comprende oltre alle fasi di progetto anche altre attività quali: la preparazione dei documenti per le gare di appalto, l’organizzazione delle gare, l’aggiudicazione e l’esecuzione delle com-messe, la mobilitazione delle risorse tecniche, del personale, ecc. Tutte queste attività devono essere attenta-mente programmate per evitare intralci e ritardi.

5.3 L'ANALISI FINANZIARIA

Le tecniche utilizzate per il calcolo della convenienza finanziaria del progetto sono essenzialmente identi-che a quelle impiegate per il calcolo della convenienza economica e sociale e sono organizzate in:

− conto di gestione o economico che analizza l’andamento dei profitti e delle perdite dell’ente esecutore in un prefissato periodo di tempo. Rispetto all’analisi economica, quella finanziaria considera in luogo de-gli ammortamenti annui, il costo totale dei beni durevoli compreso tra i costi del progetto nell’esercizio finanziario in cui questi sono acquistati. Il valore residuo del bene è considerato un beneficio nel- l’esercizio finanziario in cui è eseguita l’opera;

− stato patrimoniale e il bilancio che illustrano la posizione patrimoniale e finanziaria dell’ente a un dato momento. Essa viene incorporata nella valutazione del progetto attraverso la considerazione dei costi di investimento sostenuti o dei valori residui dei beni capitali dell’impresa;

− conto dell’origine e dell’utilizzo dei fondi che integra il conto di gestione con il bilancio: voci investi-mento e spesa vengono apportate al fine di evidenziare come sono state fronteggiate le uscite.

Il tasso di attualizzazione impiegato per calcolare la convenienza finanziaria, riflette il rendimento al quale l’ente deve rinunciare per utilizzare le risorse nel progetto in esame. In generale, il tasso di attualizzazione è calcolato sulla base dei rendimenti finanziari “reali” che l’operatore può ottenere da impieghi alternativi del-le risorse impegnate nel progetto quali gli interessi attivi pagati sui depositi a termine, il rendimenti dei buoni del Tesoro o la redditività di altri investimenti.

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Pertanto risulta chiaro che il giudizio di convenienza economica del progetto differisce da quello finanzia-rio poiché essi valutano i benefici e i costi con differenti sistemi di prezzi e di valori. Inoltre, gli effetti del progetto esterni rispetto all’operatore possono essere interni alla società. Effetti interni al progetto ma non rilevanti rispetto alla società sono costituiti da tasse, imposte e altri trasferimenti ovvero i sussidi al credito che entrano nel calcolo della convenienza finanziaria ma non incidono sulla convenienza economica del pro-getto.

In sostanza, i concetti di benefici e costi economici hanno un significato più vasto di quello delle en-trate e delle uscite dell’analisi finanziaria: mentre nell’analisi finanziaria i beni e i servizi prodotti dal pro-getto sono di norma valutati ai prezzi di mercato (correnti o previsti), l’analisi economica, ricorre a prezzi contabili o prezzi ombra che rispecchiano il valore sociale delle risorse utilizzate e dei beni e dei servizi pro-dotti dal progetto.

Dunque, l’analisi finanziaria e l’analisi economica sono essenzialmente complementari: la prima esamina il progetto secondo l’ottica dell’ente esecutore, la seconda lo considera dal punto di vista della società. Ov-viamente l’intervento è realizzabile solo se la convenienza economica e la convenienza finanziaria sono en-trambe verificate.

Il piano di finanziamento dell’intervento deve considerare sia il tasso generale di inflazione sia le variazio-ni di prezzo degli input del progetto che interverranno durante l’arco della sua vita. Al contrario l’analisi e-conomica viene fatta a prezzi costanti, benché le variazioni di prezzo che riflettono modifiche reali dei fattori di input e di output non debbano essere trascurate.

5.4 L'ANALISI ECONOMICA

La teoria economica classifica come EFFETTI ESTERNI le variazioni di beni e servizi che non hanno merca-to, ad esempio, per la loro imponderabilità ovvero la loro inappropriabilità. Quest’ultima caratteristica è mol-to importante poiché una vasta categoria di beni pubblici non può essere commerciabile e quindi non può es-sere oggetto di produzione privata: tale carenza è una caratteristica prevalente dei servizi sociali ed è tra le ragioni principali che giustificano l’interesse dello Stato negli investimenti in: infrastrutture, tutela dell’ambiente e altri settori di pubblica utilità. Infatti, i più importanti benefici esterni dell’intervento pubbli-co riguardano essenzialmente il miglioramento delle risorse ambientali e della qualità della vita individuale e sociale mentre gli effetti negativi riguardano il peggioramento dell’ambiente e la distorsione, vera o presunta, del mercato che può scoraggiare l’iniziativa privata, ad esempio per le conseguenze generali sui meccanismi dei prezzi. Le difficoltà di valutazione degli effetti esterni sono di due tipi:

a) gli effetti sono di natura intangibile;

b) in assenza di mercato, la determinazione del prezzo è particolarmente difficile: in questo caso, il prezzo può essere determinato con il principio della disponibilità a pagare per eliminare il danno da chi è pena-lizzato dal progetto e, d’altro canto, da parte di chi desidera godere del beneficio che il progetto sarà in grado di fornirgli. Per misurare tali propensioni è necessario ricorrere a sondaggi di opinione, a valuta-zioni in analogia su mercati o casi simili. La differenza tra quanto il consumatore sarebbe disposto a pa-gare e quanto invece paga è un beneficio che gli procura il progetto: esso ha un ruolo importante nella stima dei benefici degli investimenti pubblici. Nella valutazione dei costi e dei benefici del progetto è necessario assicurarsi che non si verifichino casi di conteggio multiplo che distorcerebbero i risultati del-la analisi economica.

Nell’analisi finanziaria, dove il punto di vista della valutazione è quello dell’operatore individuale (pubbli-co o privato), il sistema di prezzi da utilizzare è chiaramente quello di mercato, quando il mercato c’è ed è osservabile, e quello basato su mercati paralleli o su mercati possibili quando invece si tratta di effetti esterni e/o intangibili senza mercato apparente. Quando al punto di vista dell’operatore individuale si sostituisce

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quello nazionale, il sistema di prezzi osservato nei mercati nazionali non è necessariamente quello meglio indicato per la valutazione economica. Le principali ragioni sono tre:

1. il sistema dei prezzi è influenzato dalla imposizione fiscale e contiene perciò dei trasferimenti: per esem-pio, i beni di lusso assoggettati ad un’imposta sul valore aggiunto particolarmente elevata non sono così costosi per la società come sembrano, ma i loro prezzi appaiono elevati per la forte componente fiscale;

2. i prezzi del mercato interno possono non riflettere quello che i consumatori sono disposti a pagare a cau-sa di varie distorsioni attribuibili tanto allo Stato che ai privati; per esempio se un bene è razionato e il suo prezzo fissato dall’autorità pubblica, ci sarà una certa quantità di consumatori che, insoddisfatti a causa della non disponibilità del bene in questione, sarebbero disposti a pagare di più del prezzo fissato;

3. alcuni prezzi del mercato interno non riflettono il valore del bene in funzione degli obiettivi di medio e lungo periodo del Paese.

5.4.1 I PREZZI OMBRA

Il sistema dei prezzi da impiegare nell'analisi economica è detto dei PREZZI OMBRA. Più precisamente dei prezzi di mercato essi riflettono il fatto che le risorse a disposizione del Paese sono scarse e oggetto di com-petizione tanto per il perseguimento di obiettivi di consumo privato quanto di obiettivi di benessere sociale.

Il significato dei prezzi ombra, detti anche prezzi contabili, è illustrato dalla seguente proposizione: “L’analisi benefici - costi non accetta che le entrate private misurino adeguatamente i benefici sociali e che le uscite private misurino i costi sociali. Essa si basa invece sulla premessa che entrate e uscite possono essere corrette in modo che la differenza tra di loro, che è analoga al concetto di utile o profitto privato, rifletta ade-guatamente l’utile o il profitto della società nel suo complesso. I prezzi utilizzati per effettuare gli aggiusta-menti vengono chiamati prezzi contabili sociali o, in breve, prezzi contabili”. I prezzi ombra sono, pertanto, prezzi di stima che riflettono meglio dei prezzi di mercato la valutazione data dalla società al costo-opportunità di beni e servizi. Vengono chiamati prezzi ombra o prezzi contabili proprio in quanto non ven-gono rilevati sul mercato, ma stimati, cioè derivati seguendo metodologie e procedure di stima.

In generale si può dire che i prezzi ombra da utilizzare nell’analisi costi benefici dovrebbe riflettere i rap-porti di scambio che consentono di impiegare nel modo migliore le limitate risorse del Paese per raggiungere gli obiettivi fondamentali della strategia di sviluppo del Paese; comunque, nella definizione di un sistema di prezzi ombra, il mercato resta l’elemento centrale di riferimento.

I progetti che hanno per obiettivo la produzione di servizi pubblici presentano alcune caratteristiche specia-li che richiedono degli adattamenti delle tecniche di derivazione dei prezzi ombra. Le più importanti di tali caratteristiche sono le seguenti:

a) spesso i servizi pubblici (strade, scuole, ospedali) non hanno prezzi osservabili sul mercato che, con le dovute correzioni, possono essere utilizzati per valutare i loro costi e i loro benefici. Nella maggior parte dei casi, inoltre, i servizi pubblici non sono commerciati internazionalmente e possono essere valutati al costo marginale di produzione solo se sono essi stessi input di un progetto;

b) nel caso di servizi pubblici che hanno un prezzo (elettricità, acqua, strade a pedaggio), spesso si tratta di tariffe stabilite in via amministrativa in base a considerazioni in ordine politico. I livelli e le strutture di queste tariffe hanno un ruolo importante nella determinazione della domanda per i servizi in questione;

c) in molti casi, la valutazione dell’opportunità di dar corso a un progetto di investimento per la produzione di servizi pubblici non è tanto un problema di accettazione/rigetto dell’investimento in quanto tale, quan-to piuttosto un problema di distribuzione temporale. Non si tratta cioè di decidere se fare o meno l’investimento, ma quando farlo.

Nella valutazione dei progetti di servizi pubblici gioca quindi un ruolo fondamentale la determinazione della disponibilità a pagare. Per disponibilità a pagare si intende, un prezzo teorico dipendente dalle prefe-

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renze del consumatore che attribuisce un valore soggettivo a una data quantità di merce. Tale valore coincide con quello di mercato nel caso che il mercato esista e non contenga distorsioni (quali per esempio, il razio-namento). Se il mercato non esiste o è distorto, esso è lo strumento principale per la stima del beneficio so-ciale della produzione del bene in questione. Per illustrare i principi generali dei metodi utilizzati per fare queste conversioni, si prenda l’esempio del valore da dare all’elemento tempo – un elemento che appare fre-quentemente nei progetti per servizi pubblici e nei costi opportunità ad essi relativi. Dato che ci si propone di quantificare il valore che, nella funzione di preferenza dell’utente, si deve attribuire all’elemento tempo (ad esempio al tempo per viaggiare da un punto all’altro), lo strumento più naturale e più semplice d’analisi con-siste nell’esaminare situazioni in cui gli utenti possono o debbono scegliere tra utilizzare risorse finanziarie o utilizzare tempo; un caso del genere si pone nella scelta tra un mezzo di trasporto più rapido ma più caro (come un’autostrada con pedaggio) e un mezzo meno rapido ma meno caro (come una strada provinciale). Sulla base di un campione d’osservazioni si può dedurre il valore medio attribuito all’elemento tempo da u-tenti con particolari caratteristiche (di reddito, di livello di istruzione, ecc.).

Questi metodi possono venir utilizzati per stimare la disponibilità a pagare in numerosi campi e settori. Nel settore della sanità, ad esempio, l’analisi delle scelte degli utenti per integrare con assicurazioni private e/o visite a medici privati il servizio sanitario nazionale forniscono informazioni utili sul valore che i beneficiari attribuiscono alle prestazioni delle Aziende Sanitarie Locali e delle altre componenti del servizio sanitario. Nel settore dell’istruzione raffronti analoghi possono essere fatti esaminando la domanda per scuole private con quelle per scuole pubbliche. E così via.

Il principio della disponibilità a pagare deve tuttavia essere utilizzato con cautela poiché la sua applicazio-ne implica un giudizio positivo sulla capacità di pagare degli utenti dei pubblici servizi. Se gli utenti hanno livelli di reddito molto bassi il prezzo che essi sono disposti a pagare per i servizi pubblici può essere anch’esso molto basso, tale cioè da non giustificare la realizzazione del progetto. Sotto il profilo macro-economico del Paese nel suo complesso, la disponibilità a pagare per beni e servizi alternativi è una funzione sia delle risorse (cioè della ricchezza) della società che delle preferenze e dei gusti degli individui che la compongono. Di conseguenza, le scelte tra beni e servizi di interesse pubblico da promuovere variano da Pa-ese a Paese.

La disponibilità a pagare è anche una funzione delle opzioni esistenti all’interno di una regione. Ad esem-pio, il valore del disinquinamento di un fiume dipende dal numero di altri fiumi o canali “puliti” e dalla mi-sura in cui questi fiumi o canali rappresentano delle alternative appropriate a quelli inquinati. In una regione in cui ci sono diverse fonti di acqua pulita, il beneficio marginale di fornire una in più è probabilmente molto più piccolo di quello che si avrebbe in una regione dove ci sono pochissime fonti di acqua pulita e dove fiu-mi e canali sono inquinati. Nel misurare i benefici occorre comprendere la sommatoria delle disponibilità a pagare di tutti i beneficiari, sia che utilizzino o che non utilizzino il miglioramento delle condizioni ambien-tali risultanti dagli interventi.

I progetti per i servizi pubblici comportano spesso l’analisi di complessi problemi tariffari, relativi cioè alla struttura e al livello delle tariffe per la erogazione dei servizi in questione. Quando questi temi vengono esa-minati dal punto di vista dell’ente erogatore dei servizi si tratta essenzialmente di problemi di analisi finan-ziaria: di definire, cioè, quali dovrebbero essere il livello e la struttura delle tariffe per consentire all’ente di coprire i costi finanziari, fissi, di esercizio, di ampliamento e miglioramento dei servizi.

In pratica si adottano politiche tariffarie basate sul costo medio di produzione ma integrate con meccanismi discriminatori per privilegiare certe categorie di utenti rispetto ad altre o per fini distributivi o per rispondere ad obiettivi specifici di programmazione. Nell’analisi economica dei progetti per servizi pubblici è su questi obiettivi specifici che è bene porre l’accento.

L’analisi dei progetti di servizi pubblici presenta problematiche differenti a seconda che i beneficiari siano vecchie o nuove utenze. Mentre per le nuove utenze l’aspetto essenziale è domandarsi se vale la pena effet-tuare l’investimento, per le vecchie utenze l’aspetto essenziale è quando effettuare l’investimento.

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5.4.2 I PARAMETRI NAZIONALI

Mentre i prezzi ombra derivati da prezzi internazionali indicano i costi opportunità al Paese per i singoli beni e servizi, i PARAMETRI NAZIONALI sono lo strumento per tradurre in prezzi ombra gli obiettivi di politi-ca economica a medio termine del Paese.

Di conseguenza i parametri nazionali hanno una valenza politica di rilievo. Non è soltanto per ragioni di convenienza pratico-operativa che i parametri nazionali debbono essere stimati, sulla base di studi ad hoc, dai servizi tecnici degli organi centrali della programmazione, ma anche e soprattutto a ragione della loro va-lenza politica. Poiché l’elaborazione dei parametri rende più trasparenti le scelte di politica economica che altrimenti resterebbero confuse e incerte, le proposte dei servizi tecnici devono essere vagliate attentamente, a livello politico, dagli organi centrali della programmazione. I parametri nazionali debbono essere applicati uniformemente al fine di consentire scelte operative che siano basate su criteri identici per tutti i progetti di un programma d’investimento.

Occorre, comunque, stimare almeno tre parametri:

a. il Saggio di Cambio Ombra (SCO);

b. il Saggio di Salario Ombra (SSO);

c. il Saggio di Sconto Sociale (SSS).

Questi tre parametri nazionali corrispondono ai prezzi ombra della valuta estera, del lavoro e del capitale, tre elementi che entrano nella struttura dei costi e dei benefici di tutti i progetti e che indicano il valore socia-le che il Paese dà agli obiettivi di politica economica relativi alla bilancia dei pagamenti, alla disoccupazione, agli investimenti e ai consumi.

Esistono numerosi metodi per stimare il Saggio di Cambio Ombra, così come è generalmente definito nella letteratura economica. Tali metodi, poiché considerano allo stesso tempo il problema della differenza tra prezzi internazionali e prezzi nazionali e quello della importanza della valuta estera dal punto di vista del Governo e riguardano soprattutto i Paese in via di sviluppo, sono raramente applicabili a Paese industrializ-zati ad economia di mercato; inoltre tendono a creare confusione tra le procedure di determinazione dei prez-zi ombra dei beni commerciati internazionalmente.

Il Saggio di Salario Ombra (SSO) ha rilievo nella preparazione e nelle valutazioni di piano e progetti nei Paesi in via di sviluppo a ragione degli alti tassi di disoccupazione strutturale - palese e occulta - che caratte-rizzano questi Paesi e i loro settori agricoli in particolare. Il SSO è un parametro nazionale che deve essere stimato anche in Italia per certe categorie di lavoro, non soltanto in relazione all’esistenza di sacche di disoc-cupazione strutturale in certe zone e regioni del Paese, particolarmente nel Mezzogiorno, ma anche e soprat-tutto poiché lo sviluppo dell’occupazione in generale, e più specificatamente dell’occupazione nel Mezzo-giorno, è uno degli obiettivi di fondo dell’azione del Governo. Le componenti del SSO possono ridursi a quattro:

a) il prodotto sacrificato nella utilizzazione dell’unità di lavoro nel progetto piuttosto che in impieghi alter-nativi;

b) l’impiego di parte del prodotto sociale in forma di salario e quindi di consumo piuttosto che di investi-mento;

c) la distribuzione di una parte del prodotto sociale a una classe particolare di individui;

d) la remunerazione del lavoratore per il sacrificio che egli compie nel cedere parte del suo tempo libero, modificare il suo stile di vita, il suo paniere di beni, ecc.

Il Saggio di Sconto Sociale (SSS) è il terzo parametro nazionale che deve essere stimato dai servizi tecnici degli organi centrali della programmazione. Nella sua accezione più semplice, il SSS è il saggio da usare per attualizzare i costi e benefici e per calcolare il beneficio netto - il cosiddetto Valore Attuale Netto o “VAN” -

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di un investimento pubblico. In altri termini, è il prezzo ombra che si dà al capitale al fine della valutazione degli investimenti pubblici.

Gli organi di programmazione dei maggiori Paesi ad economia di mercato utilizzano prevalentemente un solo SSS per vagliare i progetti elaborati dai Ministeri ed Enti di spesa proponenti: la principale eccezione sono gli Stati Uniti dove l’Office of Management and Budget utilizza un SSS del 10% per tutti i progetti tranne quello di sviluppo idrico per i quali utilizza invece un SSS del 6,9%. Questa differenza ha ragioni sto-rico-politiche e non tecnico-economiche. Negli altri maggiori Paesi industrializzati, il SSO si pone sul 10%, e varia dal 12% in Canada al 7% proposto in Francia in occasione del IX Piano.

Il SSS inteso come strumento di scelta di progetti nel contesto di un vincolo di bilancio ha il vantaggio di poter essere facilmente compreso anche dal profano, benché dal punto di vista operativo sia tutt’altro che fa-cilmente applicabile. Esso può definirsi come il saggio utilizzato per l’attualizzazione dei costi e benefici di progetti pubblici, che fa in modo che i progetti accettabili richiedano fondi esattamente pari ai fondi del bi-lancio pubblico disponibili per spese in conto capitale. Per definizione, se si sarà fissato un SSS troppo basso i fondi disponibili in conto capitale non saranno sufficienti e si dovrà, di conseguenza, aumentare il SSS (in modo da scoraggiare gli investimenti pubblici) sino a giungere ad un equilibrio tra risorse ed impieghi; natu-ralmente, adotterà il procedimento opposto se si sarà fissato il SSS ad un livello troppo elevato con il risulta-to di non utilizzare tutte le risorse disponibili.

In una situazione in cui i progetti presentati superano gli stanziamenti effettuati, il SSS può essere stimato ex post esaminando i saggi di rendimento interno (SRI) dei progetti marginali (esclusi o inclusi). Il SRI del progetto marginale può essere considerato come una approssimazione del SSS, imperfetta ma utile dal punto di vista operativo. Il SSS può essere valutato nei seguenti modi alternativi:

a) il progetto pubblico è equivalente all’investimento privato che ha spiazzato. In questa accezione, il SSS viene stimato derivandolo dal rendimento marginale degli investimenti nel settore privato al lordo delle tasse e delle imposte. Questo metodo non tiene sufficientemente conto del fatto che i progetti pubblici hanno generalmente una “missione” e obiettivi diversi da quelli degli investimenti privati;

b) i costi del progetto pubblico ricadenti sul settore privato sono in funzione dell’indebitamento del settore pubblico. In questa accezione, il SSS deriva dalla media ponderata; i) dei saggi marginali di produttività del capitale nei vari settori dell’economia; ii) dei tassi di interesse risultanti dall’indebitamento pubblico su diversi settori del mercato dei capitali;

c) i progetti pubblici vengono finanziati tramite il prelievo fiscale e quindi il loro costo opportunità dipende dalle spese private spiazzate dall’imposizione fiscale. Di conseguenza, per derivare il SSS, bisogna esa-minare l’incidenza relativa del sistema fiscale sui vari settori dei consumi e degli investimenti delle per-sone fisiche e giuridiche. I tassi di interesse che prevalgono nei vari settori vengono, poi, ponderati dallo spiazzamento relativo al prelievo fiscale necessario per il finanziamento dei progetti pubblici. Il SSS, in questo modo, è la media del SRI ponderato derivante dalle spese private spiazzate dall’imposizione fi-scale. Al pari della tecnica b), questo metodo di derivazione è molto complesso e tende a non tener conto del fatto che il finanziamento dei progetti pubblici è soltanto un obiettivo, e non necessariamente, il prin-cipale dell’imposizione fiscale e/o dell’indebitamento pubblico;

d) nella quarta accezione, quella accettata più comunemente dalla teoria e nella prassi, il progetto pubblico storna risorse reali dal settore privato a quello pubblico, ma i suoi effetti non sono soltanto di spiazzare investimenti come in a). Dato che stornando risorse dal settore privato a quello pubblico, c’è una ridu-zione sia dei consumi che degli investimenti nel settore privato, occorre rispecchiare questi due tipi di sacrifici nella stima del SSS. Dal punto di vista empirico; per la stima del SSS si parte dal rendimento marginale degli investimenti nel settore privato al lordo delle tasse e delle imposte come in a) a cui si aggiunge: i) l’effetto dell’imposta sui redditi del settore privato; ii) il rapporto tra le imposte patrimoniali ordinarie, ove esistenti, ed il patrimonio tassabile del settore privato; iii) la media ponderata dei premi di rischio nei principali settori. Derivato in questo modo il SSS in termini nominali, si detrae il saggio pre-visto d’inflazione per ottenere il SSS in termini reali da impiegarsi a fini operativi.

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Sulla base di questo metodo, nella accezione che si è riassunta o in alcune sue varianti, negli USA nella se-conda metà degli anni settanta, si dispone di una dozzina di stime del SSS. A seconda dei diversi autori ed escludendo il caso eccezionale del SSS utilizzato per i progetti idrici, vi sono stime del SSS che variano tra l’8,5% ed il 13%. Come si è accennato, gli organi americani della programmazione economica utilizzano un SSS del 10%. A risultati analoghi si è arrivati in altri Paesi industrializzati ad economia di mercato.

Le ponderazioni distributive intertemporali sono inevitabilmente correlate alle ponderazioni distributive in-terpersonali (tra gruppi sociali di differenti categorie di reddito e/o aree geo-economiche; i meccanismi di trasferimento di cui dispone lo Stato possono riassumersi in tre grandi categorie di intervento:

a. al livello dei redditi; b. al livello dei prezzi; c. al livello degli investimenti.

5.5 IL CONFRONTO TRA I COSTI E I BENEFICI

Il raffronto dei costi e dei benefici è il culmine del processo di valutazione di un progetto. Nei primi stadi, ossia quelli della identificazione e della preparazione del progetto, il raffronto ha lo scopo di facilitare l’individuazione dei progetti che meglio rispondono agli obiettivi del Paese e, tra questi, di scegliere le alter-native progettuali che appaiono più valide dal punto di vista tecnico, istituzionale, commerciale, finanziario ed economico. Dopo la decisione di finanziare il progetto, durante lo stadio della realizzazione, il raffronto dei costi e dei benefici consente correzioni di tiro per migliorare la qualità dell’investimento.

Per facilitare il raffronto dei costi e dei benefici durante tutto il ciclo del progetto, le principali organizza-zioni internazionali e i Paesi dove si programma per progetti adottano schede di presentazione di piani e pro-getti che riassumono non soltanto gli indicatori quantitativi ma anche il risultato delle analisi tecniche e di altre verifiche non economiche.

Il raffronto di costi e benefici può essere effettuato attraverso il:

- VALORE ATTUALE NETTO (VAN),

- RAPPORTO BENEFICI COSTI ATTUALIZZATI (RBCA),

- SAGGIO DI RENDIMENTO INTERNO (SRI).

Il criterio più comunemente usato nella valutazione dell’accettabilità o meno di un progetto è il valore at-tualizzato dei benefici netti del progetto; questi ultimi sono definiti in termini incrementali in comparazione con la situazione in assenza del progetto. Tale valore è detto Valore Attuale Netto (VAN): i benefici e i costi non si riferiscono al progetto ma a chi intraprende il progetto: il Paese nel caso dell’analisi economica e l’amministrazione o l’ente o l’azienda nel caso di quella finanziaria. Solo gli incrementi o i decrementi dovu-ti al progetto saranno ad esso imputabili e lo caratterizzeranno. Affinché il progetto venga accettato, dovran-no essere soddisfatte le due condizioni:

- il VAN del progetto, al tasso di attualizzazione prestabilito, non deve essere negativo;

- il VAN calcolato deve essere superiore o almeno uguale al VAN di altri progetti alternativi che, pur avendo le stesse finalità del progetto in esame, prevedono strumenti d’intervento o tecniche diverse e che non sarebbero accettati se il progetto venisse realizzato.

Per tener conto delle alternative bisogna esaminare la situazione “senza il progetto” che deve essere accu-ratamente definita per accogliere la migliore combinazione delle circostanze che si verificherebbero se il pro-getto non venisse realizzato. Occorre, poi, sottolineare che un VAN molto elevato può essere il risultato di una disamina incompleta delle alternative possibili e di una definizione inadeguata della situazione “senza il progetto” piuttosto che una indicazione della validità del progetto stesso.

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I progetti possono essere ordinati secondo valori decrescenti del VAN soltanto quando essi consistono in alternative che si escludono a vicenda. In tutti gli altri casi, seguendo il criterio del VAN, i progetti vengono giudicati validi oppure no. Accettare tutti i progetti che hanno un VAN non negativo può implicare un piano di investimenti superiore al previsto. In tal caso occorre selezionare i progetti ulteriormente, aumentando il saggio di attualizzazione per calcolare il VAN, fino a che l’ammontare di finanziamenti richiesto per i pro-getti prescelti è uguale alle risorse disponibili per il programma d’investimenti.

In pratica, questa procedura iterativa è raramente possibile, quando i progetti vengono valutati a livello pe-riferico e non è possibile stimare il VAN a livello centrale. È necessario, quindi, utilizzare altre tecniche di ripartizione di fondi limitati, che possono essere basati su modelli di programmazione o sull’ordinamento dei progetti a seconda del rapporto VAN/spesa per investimenti , o VAN/fabbisogno di fondi. Si noti anche che in linea di principio il saggio di attualizzazione dovrebbe garantire la coincidenza tra i progetti presentati e il programma d’investimenti per l’economia nel suo complesso e non per ogni singolo settore. Avere pochi progetti in alcuni settori e troppi progetti in altri, può indicare una errata allocazione delle risorse e una ca-rente programmazione per progetti piuttosto che la necessità di mutare il saggio di attualizzazione.

Un secondo criterio di valutazione dell’accettabilità dei progetti è il rapporto tra i benefici ed i costi attua-lizzati (RBCA). Se il VAN è superiore o uguale a zero, il RBCA sarà superiore o uguale ad uno. Tale rappor-to presenta alcuni vantaggi operativi, indicando quante unità monetarie di benefici attualizzati sono generate da ogni unità monetaria di costo attualizzato. Sebbene largamente usato negli studi di fattibilità la sua appli-cazione nell’analisi economica dei progetti presenta un importante inconveniente: infatti il RBCA è partico-larmente sensibile alla definizione delle voci di costi e benefici che si considerano. Si supponga ad esempio che il valore attuale dei benefici e dei costi di una data operazione sia rispettivamente di 100 e 50. Si ha VAN = 100 – 50 e RBCA = 100/50 = 2. Se il valore attuale dei benefici e dei costi fossero ridotti di 20 unità, si avrebbe VAN = 50 e RBCA = 2,7. L’esempio suggerisce che raggruppando i benefici e i costi in modo di-verso si ottengono valori del RBCA sensibilmente diversi mentre lo stesso non si può dire per il VAN. In pratica, il RBCA è influenzato da pratiche contabili relative al trattamento dei costi operativi.

Conseguentemente, il RBCA non può essere utilizzato come criterio per scegliere i progetti migliori tra una serie di alternative che si escludono a vicenda, dal momento che il progetto con il più alto valore del rap-porto non sarà necessariamente quello con il più elevato VAN. Un’alternativa progettuale con benefici pari a 2 e costi ad 1 presenta un VAN inferiore ma un RBCA superiore ad un’alternativa progettuale con benefici pari a 20 e costi pari a 11.

Il saggio di rendimento interno (SRI) è il saggio di attualizzazione per il quale il VAN di un progetto è ze-ro. Quando vengono raffrontati costi e benefici economici, anziché finanziari, il SRI viene detto saggio di rendimento economico (SRE).

5.5.1 ALTRI CRITERI DI RAFFRONTO DEI COSTI E DEI BENEFICI

Nell’analisi dei progetti occasionalmente possono essere applicati altri criteri come il rapporto prodot-to/capitale e il cosiddetto payback period o periodo di restituzione. Questi criteri non si basano su tecniche di attualizzazione dei costi e dei benefici.

Il rapporto prodotto/capitale è il livello di valore aggiunto a regime prodotto dal progetto per unità di capi-tale investito. Alternativamente può essere utilizzato l’inverso di detto rapporto, e cioè il rapporto capita-le/prodotto, noto anche come coefficiente del capitale. Il progetto che presenta il più alto livello del rapporto prodotto/capitale o il più basso coefficiente di capitale viene considerato come il migliore. Tale criterio tutta-via ha lo svantaggio di riflettere solamente la produttività del capitale e non quella degli altri fattori di produ-zione ed è quindi applicabile solo quando il capitale costituisce la risorsa vincolante dello sviluppo del Paese. In caso contrario il rapporto prodotto/capitale tenderà a favorire progetti che implicano l’uso di grandi quan-tità di lavoro al posto del capitale senza però contenere indicazioni relative all’efficienza dell’impiego di questi due fattori.

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Il payback period è uguale al numero di anni necessario per recuperare il costo non attualizzato del capitale e la sommatoria non attualizzata dei ricavi netti. In altre parole, si calcolano quanti anni di guadagni sono ne-cessari per il rientro del capitale investito. Il numero degli anni è detto payback period o periodo di restitu-zione. Il progetto considerato migliore è quello caratterizzato dal minor numero di anni di recupero del capi-tale. Tale criterio discrimina nei confronti di progetti di lunga durata e di lunga maturazione (come messa in funzione di stazioni idroelettriche, la forestazione o le piantagioni di alberi da frutta) che presentano bassi ri-cavi durante i primi anni.

Alternativamente all'analisi costi benefici è stato proposto il metodo degli effetti. Le differenze di fondo tra analisi costi benefici e metodo degli effetti sono le seguenti:

1. l’analisi costi benefici ha l’obiettivo di giungere, attraverso la elaborazione e l'applicazione di un sistema alternativo dei prezzi per l’analisi economica dei progetti, ad uno o più indicatori sintetici di convenienza economica per giudicare se accettare un progetto e procedere alla sua realizzazione;

2. il metodo degli effetti ha lo scopo di facilitare il dialogo tra servizi tecnici ed organi politici della pro-grammazione economica, descrivendo l’impatto di un progetto (o preferibilmente uno o più gruppi di progetti) su un sistema economico.

Essendo un metodo essenzialmente descrittivo, il metodo degli effetti non propone l’impiego sistematico di indicatori sintetici di convenienza economica, anche se si suggerisce l’utilizzazione di alcuni indici di valore progettuale qualora gli organi politici della programmazione richiedano il calcolo degli indici per agevolare i loro compiti decisionale. Inoltre nel metodo degli effetti, si utilizzano i prezzi di mercato interni, correnti e previsti, e non si tenta di elaborare un sistema alternativo di prezzi ombra. I primi vengono ritenuti più ap-propriati di un sistema di prezzi di riferimento teorici in quanto espressione tanto della disponibilità a pagare dei consumatori quale risulta dal mercato, quanto delle scelte di politica economica di medio e lungo termine del Paese.

5.5.2 L'INCERTEZZA E L'ANALISI DI RISCHIO

L'attività di identificazione, preparazione e valutazione di piani e progetti è sempre affetta da incertezza in quanto il lavoro di progettazione si basa su previsioni relative ad avvenimenti futuri oltrechè su stime di quantità e prezzi che si riferiscono a benefici e costi ad alto grado di variabilità e che possono verificarsi con probabilità diverse a seconda delle circostanze. Una valutazione della robustezza del progetto a fronte dei fattori di incertezza è l’analisi di reattività, che, nella sua accezione più semplice, consiste nell’esaminare la variazione degli indicatori di convenienza finanziaria ed economica (comunemente il VAN ed il SRI) al va-riare di alcuni parametri “chiave”dei costi e dei benefici del progetto.

Data questa definizione che può essere estesa a variazioni simultanee di più parametri secondo uno schema prestabilito, l’analisi di reattività ha tre obiettivi:

a) comprendere meglio la struttura del progetto e il suo funzionamento;

b) migliorare la concezione tecnica, finanziaria ed istituzionale del progetto al fine di ottenere benefici netti più elevati;

c) identificare le aree di maggiore rischio e prendere misure atte a minimizzare questi rischi.

Di conseguenza, l’analisi di reattività non deve essere effettuata soltanto al momento della valutazione del progetto. Al pari dell’analisi finanziaria ed economica, è bene effettuarla, pur se in prima approssimazione e basandosi soltanto su un numero limitato di ipotesi, negli stadi iniziali dell’elaborazione del progetto allo scopo di poter influire su scelte tecniche, istituzionali, commerciali e così via. I punti focali da sottoporre ad analisi di reattività sono:

1. l’incertezza relativa ai prezzi ed alle quantità;

2. l’influenza del parametro di variabilità nella determinazione del VAN e del SRI.

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Tra le analisi di reattività, tre sono specialmente importanti e meritano di essere effettuate per tutti i proget-ti di dimensioni significative; esse riguardano: (a) l’utilizzazione della capacità produttiva del progetto, (b) i ritardi nell’esecuzione, (c) l’ottimizzazione temporale.

5.6 GLOSSARIO

Ammortamento: contabilmente identifica la perdita di valore che il capitale subisce in un dato periodo di tempo. Può riferirsi altresì al pagamento periodico o irregolare di un capitale preso a prestito.

Analisi costi efficacia: vedi Analisi della minimizzazione dei costi.

Analisi costi benefici: procedimento di valutazione di un progetto attraverso il confronto tra i costi ed i bene-fici del progetto stesso. I risultati possono essere espressi in diversi modi, tra cui il Saggio di Rendimento In-terno (SRI), il Valore Attuale Netto (VAN) ed il Rapporto Benefici Costi Attualizzato (RBCA).

Analisi della probabilità e dei rischi: studio probabilistico della convenienza economica o finanziaria di un progetto.

Analisi della minimizzazione dei costi: metodo generalmente impiegato per comparare alternative di proget-to qualora i valori dei benefici non possono essere misurati adeguatamente; ad esempio progetti relativi a i-struzione e sanità. Se è possibile supporre che i benefici (non quantizzabili) eccedono i costi, lo scopo dell’analisi diventa la minimizzazione dei costi.

Analisi di reattività: studio degli effetti che variazioni dei costi e benefici o di loro componenti hanno sul SRI e sul VAN di un progetto.

Attualizzare: vedi Scontare.

Beneficio: l’aumento di benessere causato dal progetto. Generalmente è misurato come l’aumento di beni e servizi o di loro valore che si origina come conseguenza del progetto.

Bilancia dei pagamenti: registra le transazioni finanziarie tra un paese ed il resto del mondo. Si compone del-la bilancia in conto capitale (movimenti di capitali) e bilancia in conto corrente (che a sua volta si ripartisce in bilancia commerciale e bilancia delle partite invisibili).

Bilancio: conto che sintetizza la situazione patrimoniale-finanziaria (stato patrimoniale) e l’andamento eco-nomico (conto profitti e perdite o conto economico) di un’impresa al termine di un determinato periodo.

Lo stato patrimoniale raccoglie le attività (beni materiali e immateriali di cui dispone l’impresa per l’esercizio della gestione) e le passività (rappresentanti i diritti sui beni dei creditori e di coloro che sono proprietari dell’impresa). La differenza tra attività e passività rappresenta l’aumento o la diminuzione di mezzi propri (capitale netto) nel periodo di tempo a cui il bilancio si riferisce. Il conto economico raccoglie i ricavi e i costi sostenuti o imputati nel medesimo periodo di tempo. Il risultato d’esercizio rappresenta la dif-ferenza tra le componenti di tale conto.

Capitale: risorse di un individuo, di un’azienda o della società nel suo complesso destinate a produrre benefi-ci nel tempo. Esso è composto dall’insieme dei beni materiali ed immateriali che un’entità economica dispo-ne per la realizzazione di obiettivi produttivi. Spesso definito in termini più generali per includere il capitale umano: cioè l’investimento finalizzato ad aumentare la capacità di produrre e di guadagnare degli individui.

Combinazione di fattori: contributo dei diversi fattori al valore aggiunto nel processo di produzione di un de-terminato bene. Ad esempio, una combinazione di fattori per la costruzione di una strada ad alta intensità di lavoro comprende elmetti e zappe per i lavoratori, mentre una combinazione di fattori per lo stesso progetto se realizzato in base a tecniche ad alta intensità di capitale raggruppa macchinari di cantiere. La combinazio-ne di fattori è sempre un concetto relativo; ad esempio il contributo del lavoro al valore aggiunto in un ce-

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mentificio ad alta intensità di lavoro può essere minore dello stesso contributo al valore aggiunto in un pro-getto di costruzioni residenziali ad alta intensità di capitale.

Commerciabile (sul mercato internazionale): bene che può essere oggetto di commercio internazionale in as-senza di politiche commerciali restrittive. Se un bene è commerciabile dipende dai costi di produzione na-zionale e internazionale e dalle spese di trasporto.

Commerciato (sul mercato internazionale): bene oggetto di commercio internazionale. (Si veda commercia-bile e non commerciato). I beni oggetto di commercio internazionale si suddividono in:

a) esportazione: beni la cui produzione addizionale interna viene completamente commerciata sul mercato internazionale;

b) importazione: beni la cui produzione addizionale interna risulta in una diminuzione delle importazioni senza un incremento nel consumo interno.

Contingente: limite quantitativo all’ammontare di un prodotto che può essere importato (a volte si applicano contingenti all’esportazione nel caso di certi accordi commerciali tra Paesi esportatori o tra questi ultimi e i Paesi importatori).

Conto dell’origine e dell’impiego dei fondi: registrazione di natura extracontabile che individua i fabbisogni di un’impresa in un determinato periodo di tempo e le fonti con cui si provvede alla relativa copertura.

Nell’ambito della pianificazione finanziaria assume valore revisionale sia degli impegni in capitale fisso e circolante connessi alla realizzazione di un progetto sia dei fondi acquisibili (mezzi propri o di terzi) e dei flussi di cassa provenienti dagli esiti di gestione.

Cost, Insurance, Freight (C.i.f.): costo, assicurazione, nolo (costo del trasporto); prezzi di frontiera di un bene di importazione comprensivo delle spese di acquisto all’estero e delle spese relative al trasporto internaziona-le più le assicurazioni necessarie per il trasporto della merce nel porto di entrata e le spese relative allo scari-co della merce sulla banchina.

Costi: corrispettivo (quantificabile o non) che si deve pagare per avere una contropartita; spesa relativa all’acquisto e/o utilizzazione di input tra cui materiali, lavoro, capitali, ecc. Costi come quelli relativi alla protezione dell’ambiente e alla previdenza sociale vengono considerati come esterni e calcolati a parte, dal momento che non rientrano nella contabilità finanziaria del progetto. I costi possono essere a prezzi di mer-cato e a prezzi ombra nel qual caso riflettono l’uso alternativo delle risorse usate per produrre il bene (costi opportunità), nonché gli obiettivi di politica economica del Paese.

Costi e benefici interni delle importazioni: costi e benefici economici addizionali al prezzo (C.i.f.) dei beni di importazione; ad esempio, il costo del trasporto dal porto di entrata al mercato finale in rapporto al costo del trasporto dalla fabbrica al mercato finale o il costo di dover mantenere scorte addizionali per far fronte a ri-tardi e contrattempi nella spedizione, sia per quanto concerne i prodotti nazionali che quelli esteri.

Costo di manutenzione e funzionamento (o di esercizio): costo operativo necessario per il funzionamento e la manutenzione del capitale fisso. Spesso è difficile precisare se i costi di manutenzione sono spese correnti o spese in conto capitale. Tale distinzione non è necessaria quando si utilizza il valore attuale del flusso di cas-sa per esaminare il rendimento di un progetto.

Costo opportunità del valore di rinuncia; ad esempio, il costo opportunità di una giornata di lavoro di un in-dividuo è ciò che avrebbe prodotto se non avesse interrotto la sua occupazione abituale per lavorare al pro-getto. Il costo opportunità di un bene e servizio è ciò che si sarebbe potuto acquistare/ottenere impiegando le risorse in altri beni e servizi.

Costo opportunità del capitale: rendimento del capitale che si sarebbe potuto utilizzare in impieghi alternati-vi. Espresso come percentuale del valore del capitale, cioè come saggio di rendimento. Generalmente si rife-risce alla produttività del capitale, nel significato del rendimento che si sarebbe altrimenti prodotto con il progetto marginale o SRI del progetto marginale.

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Costo fisso: la parte del costo di produzione che non varia al variare della produzione.

Costo in termini di risorse interne: costo dei fattori primari: terra, lavoro e capitale o di quella parte di essi che non è oggetto di commercio internazionale.

Costo marginale: costo di una unità addizionale di produzione. In condizioni di rendimenti di scala decre-scenti è superiore al costo medio se l’impresa opera al livello di pieno impiego dei fattori. Esso tuttavia può essere inferiore al costo medio quando l’impresa opera a livelli non di pieno impiego dei fattori. In tal caso un incremento di produzione genera una riduzione dei costi fissi per unità di prodotto.

Costo variabile: costo che varia al variare del volume della produzione, ad esempio in relazione alle materie prime o al lavoro e alla capacità di produzione. Dato un periodo sufficientemente lungo, naturalmente anche i costi fissi (cioè quelli relativi agli impianti) diventano variabili.

Dazio: tariffa o tassa imposta sui beni di importazione nel porto di entrata. Alcune volte applicata a beni di esportazione. Può essere specifico (€ /t ) o ad valorem (in termini percentuali). Il dazio differisce dalla tassa di produzione che viene applicata su tutti i beni sia di importazione sia usati come prodotti intermedi.

Deflazione:

a) processo di riduzione del valore a prezzi correnti per depurarli dall’effetto dell’inflazione.

b) generale riduzione del livello dei prezzi di mercato, l’opposto, cioè, dell’inflazione.

Dimensione: grandezza del progetto, si veda economie di scala.

Distorsione di mercato: differenza tra il prezzo corrente di mercato e il prezzo ombra. Ad esempio, se il sag-gio del salario del mercato per lavoratori non specializzati è 50 € al giorno mentre, a causa dell’alta percen-tuale di disoccupazione, il valore è soltanto di 10 € al giorno se stimato sulla base del costo opportunità, ci si trova in presenza di una distorsione pari a 40 € al giorno. Tale concetto è importante per due motivi. In primo luogo le distorsioni possono influenzare la scelta delle tecniche da usare, in favore di metodi di produzione che richiedono, ad esempio, meno manodopera dal momento che il costo relativo del lavoro è sensibilmente alto. Dal punto di vista dell’efficienza economica, le distorsioni determinano la remunerazione dei fattori di produzione a livelli superiori o inferiori a quelli dei rispettivi costi opportunità. Esse però non si riferiscono soltanto all’efficienza economica ma anche ad altri obiettivi della società. Ciò vuol dire, ad esempio, che in rapporto alla giustizia sociale può essere perfettamente desiderabile avere un salario medio di mercato che supera di 40 € al giorno il prezzo del lavoro stimato sulla base del solo costo opportunità.

Divisa estera: ogni moneta non interna. Più in generale, ogni risorsa monetaria commerciabile sul mercato internazionale, sia nella forma di moneta estera (carta moneta), sia come oro, lettere di credito su banche straniere, ecc.

Divisa estera convertibile: divisa estera liberamente convertibile in altre divise e su cui non ci sono diritti di prelazione (ad esempio obblighi di rimborso in divisa estera che sia stata presa in prestito).

Domanda: la quantità di un bene o servizio che una data categoria di consumatori vorrebbe consumare in funzione del prezzo e delle circostanze. La domanda è generalmente espressa come una corrispondenza tra quantità e prezzi. Tale corrispondenza, che può prendere la forma di una funzione matematica (funzione di domando o curva di domanda), indica che si domanda di più a prezzi minori che non a prezzi maggiori (si veda offerta).

Economico: nell’analisi costi benefici questo termine, implica un concetto di efficienza per l’economia na-zionale. Nell’accezione di “valore economico” indica il valore di un bene e servizio per la nazione (esclu-dendo considerazioni di distribuzione dei redditi) in contrapposizione al suo valore commerciale e privato.

Economie di scala: generalmente si riferiscono a situazioni in cui, a parità di occupazione, il costo dell’investimento per unità di produzione diminuisce con l’aumento della dimensione degli impianti. Tale concetto può anche riferirsi ai costi operativi o di produzione.

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Elasticità: misura della reattività di una variabile a variazioni di un’altra. Rapporto della percentuale di varia-zione di una variabile alla variazione percentuale di un’altra variabile. Ad esempio, se la domanda diminui-sce di 2% quando i prezzi aumentano dell’1%, l’elasticità della domanda ai prezzi è uguale al rapporto 2/1% o 2. Si distinguono due tipi di elasticità: l’elasticità puntuale, considerata come valore del rapporto in un de-terminato punto della funzione matematica che lega le due variabile e l’elasticità dell’arco, considerata come valore del rapporto tra le due parti.

Elasticità dell’utilità marginale del reddito: tasso al quale l’utilità di un’unità di reddito marginale o addizio-nale declina all’aumento del livello del reddito. Ad esempio se l’utilità marginale del reddito diminuisce del 10% a un incremento del reddito pari al 10%, la sua elasticità n sarà pari a 10/10% o 1, parimenti se l’utilità marginale del reddito decresce del 20% nella stessa situazione, l’elasticità n sarà pari a 2 (i segni negativi vengono omessi per convenzione).

Esame consuntivo: studio dell’evoluzione del progetto dopo la sua realizzazione per determinare se è stato portato avanti secondo i piani per stabilire il suo impatto.

Esternalità: conseguenze di un progetto, sia positive che negative che non sono oggetto di scambio di merca-to. Ad esempio, un progetto può comportare il deterioramento dell’ambiente, rendere più agevole per alcune imprese iniziare una determinata attività e così via; tali effetti non vengono registrati nel conto finanziario del progetto. Per quanto concerne l’analisi economica, tuttavia, può essere importante e necessario conside-rare tali esternalità e stabilirne il valore.

Fattore di correzione: percentuale di aumento o diminuzione da applicare al valore finanziario di un input o output per ottenere il suo valore economico. Può essere applicato a valori futuri, su base annua, o a valori presenti attualizzati. Il fattore di correzione è calcolato come il rapporto tra il valore economico e quello fi-nanziario meno l’unità.

Fattore di conversione: rapporto della media ponderata dei prezzi ombra di un gruppo di beni alla media del loro prezzi di mercato al fine di convertire il prezzo di uno o più beni interni in prezzi ombra.

Fattore produttivo: input della produzione, che generalmente si distingue tra fattori di produzione primari, come ad esempio il capitale, il lavoro e la terra (incluse le risorse minerarie) e fattori di produzione secondari come i materiali e le attrezzature.

Finanziario: si riferisce al punto di vista di una unità “finanziaria” particolare: una impresa, un consumatore, una banca, ecc.

Flusso di cassa (Cash-flow): fondi disponibili e liquidi generati dal progetto in un determinato periodo di tempo dopo che i costi di gestione corrente sono stati dedotti. Il flusso di cassa è generalmente calcolato su base annua tuttavia può essere anche calcolato su base settimanale o mensile per la gestione finanziaria di un progetto. In termini estensivi il cash-flow rappresenta il flusso di tesoreria, che si realizza integrando i risul-tati della gestione corrente con il saldo netto di tutte le transazioni finanziarie.

Fonti e usi del conto dei fondi: si veda conto dell’origine e dell’applicazione dei fondi.

Imposta diretta: imposta sul reddito o sui profitti netti in contrapposizione all’imposta indiretta che colpisce la produzione o un input.

Imposta indiretta: imposta sul prodotto o su un fattore di produzione.

Importabile: bene oggetto di commercio internazionale e che può essere importato.

Indice dei prezzi: indicatore statistico del livello di prezzi in un gruppo di beni o servizi. Un indice tipico è il valore di mercato di un gruppo di beni e servizi ad una certa data (ad esempio 2005) diviso per il valore di mercato dello stesso gruppo di beni ad una determinata data considerata come la base (ad esempio 1980). Sottraendo l’unità dall’indice dei prezzi si ottiene il valore equivalente decimale dell’ammontare percentuale al quale i prezzi variano tra i due periodi di tempo. Un indice di questo tipo viene utilizzato per misurare il tasso di inflazione.

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Indice del costo della vita: indice dei prezzi al consumo (che riflette cambiamenti nel costo della vita misura-ti dal costo finanziario) di un gruppo stabilito o “paniere” di beni e servizi nel quale una persona media (o famiglia) spende il proprio reddito.

Inflazione: aumento generale nel livello dei prezzi di mercato (si veda deflazione).

Input: fattore utilizzato dal progetto in contrapposizione al prodotto, o output, del progetto. Generalmente si riferisce ai fattori fisici usati nel progetto tra cui i materiali, il capitale, il lavoro, ecc. Altri input, come ad e-sempio, qualità dell’ambiente, divise estere, salute dei lavoratori, ecc. sono in genere considerati come ester-nalità.

Input correnti: input di produzione che non sono input in conto capitale; cioè input come il lavoro e i mate-riali che vengono acquistati durante la vita del progetto e il cui uso si esaurisce durante un ciclo di produzio-ne.

Marginale: ultimo, nel senso dell’ultima unità addizionale.

Monetario: ammontare che riflette il prezzo corrente dei beni e servizi (si veda prezzo corrente, prezzi reali e costanti).

Non-commerciabile (internazionalmente): bene che non è oggetto di scambio internazionale perché il suo co-sto interno di produzione è superiore al prezzo di esportazione (F.o.b.) ma più basso di quello di importazio-ne (C.i.f.) (si veda commerciabile).

Non-commerciato (internazionalemente): prodotto commerciabile ma che per ragioni di politica economica non è esportato né importato.

Numerario: unità di conto che rende possibile sommare valori monetari con diversa utilità sociale quali: (i) la spesa per consumi privati, (ii) la spesa per investimenti, (iii) il valore delle divise estere nelle mani dell’autorità pubblica, (iv) la spesa pubblica. A causa della loro diversa valenza sociale, un € speso in una di queste categorie non è equivalente a un € speso in una delle altre. Il numerario permette, quindi, di esprimere tutto in termini di una categoria specifica di spesa il cui valore viene preso come termine di riferimento.

Offerta: disponibilità a fornire un bene o servizio. Dal momento che tale disponibilità varia al variare del prezzo, in teoria economica si descrivono le condizioni in corrispondenza tra quantità e prezzi. La relazione matematica che ne risulta (la cosiddetta curva di offerta) indica che i produttori offrono maggiori quantità in corrispondenza di prezzi maggiori piuttosto che prezzi minori. Tuttavia dove esistono economie di scala, il prezzo di offerta può diminuire in corrispondenza di incrementi nella economia di scala (si veda domanda).

Output: ciò che viene prodotto. Il contrario di input. Si riferisce in genere alla produzione fisica del progetto per la quale può ricevere una contropartita. A volte altri “prodotti” del progetto quali case per i lavoratori, corsi di specializzazione, risparmio di valuta estera, ecc. vengono considerati come esternalità.

Parametri nazionali: prezzo ombra o prezzo contabile identico per tutti i progetti nel Paese e tale da riflettere costi opportunità e obiettivi di politica economica. Il prezzo ombra per la valuta estera, il saggio sociale di sconto, il premio del risparmio sul consumo e il saggio di salario ombra, sono parametri nazionali.

Periodo di recupero: periodo di tempo necessario per coprire i costi del progetto. Impiegato nel passato lar-gamente come criterio di scelta degli investimenti, è ora considerato non adatto dal momento che non tiene in considerazione il rendimento del progetto oltre il periodo di restituzione del costo iniziale di investimento. Utile tuttavia in condizioni di alto rischio doce il rientro del capitale iniziale assume importanza cruciale.

Premio sociale dell’investimento: valore addizionale che il risparmio e l’investimento hanno sul consumo a causa della scarsità di capitale da investire. Tale premio all’investimento esiste ogni qual volta che il rispar-mio non è ottimale, cioè quando il valore del consumo futuro generato dall’investimento è maggiore del va-lore del consumo presente.

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Prezzo alla frontiera: il prezzo di un bene commerciale, rilevato la confine di un Paese o ad un porto di entra-ta. Per beni di esportazione il prezzo F.o.b. per beni di importanza il prezzo C.i.f. forniscono rispettivamente una misura del costo opportunità economico.

Prezzo contabile: generalmente usato come sinonimo di prezzo ombra. Il termine contabile indica che il prezzo non è un prezzo di mercato. Il prezzo contabile, ad esempio, riflette il valore economico di input e output in contrapposizione al loro valore finanziario e di mercato.

Prezzo corrente: prezzo non corretto dall’effetto dell’inflazione.

Prezzo costante: prezzo corretto per tener conto dell’effetto dell’inflazione.

Prezzo di efficienza: si veda prezzo economico.

Prezzo di mercato: prezzo di un bene sul mercato interno ( si veda prezzo economico, prezzo internazionale, prezzo alla frontiera, prezzo sociale).

Prezzo economico: sinonimo di prezzo di efficienza, prezzo che riflette il valore relativo che dovrebbe essere assegnato agli input e agli output se l’obiettivo del sistema economico è quello di massimizzare la produzio-ne. Non contiene alcuna considerazione relativa alla distribuzione del reddito o altri obiettivi che non siano di efficienza (si veda prezzo sociale).

Prezzo internazionale: prezzo al quale un Paese può acquistare e vendere sul mercato internazionale. Nell’analisi costi benefici è il prezzo alla frontiera (si veda prezzo alla frontiera).

Prezzo ombra: prezzo che riflette il valore sociale di un bene o servizio (si veda anche prezzo contabile, prez-zo economico, prezzo sociale).

Prezzo sociale: prezzo che riflette il valore che la società attribuisce a input e output e che considera non solo l’efficienza produttiva ma obiettivi sociali importanti quali la perequazione distributiva, la riduzione del con-sumo di alcool, tabacco, ecc. o l’aumento della produzione di beni per soddisfare bisogni di base (si veda prezzo contabile, prezzo economico e prezzo di mercato).

Produttività marginale del capitale: produttività dell’ultima unità di investimento che sarebbe stato attuato se tutte le alternative di investimento fossero ordinate in ordine decrescente in funzione della loro utilità eco-nomica e i fondi disponibili fossero distribuiti fino all’esaurimento. Utilità del progetto marginale cioè del progetto che dovrebbe ricevere l’ultimo € di investimento.

Progetti che si escludono a vicenda: progetti alternativi che non possono essere attuati simultaneamente; se uno viene realizzato bisogna rinunciare all’altro e viceversa. Le alternative possono escludersi a vicenda o in quanto non si tratta che di tecniche alternative per realizzare lo stesso progetto, o perché i fondi sono limitati o perché se viene scelto un progetto l’altro diventa non più necessario (ad esempio la scelta tra un impianto termico o idroelettrico).

Progetto marginale: si veda produttività marginale del capitale.

Programmazione lineare: procedimento matematico per ottenere un risultato ottimale da un insieme di rela-zioni lineari che specificano: risorse disponibili, relazioni tecnologiche del processo di produzione, obiettivi della società, vincoli più rilevanti per ogni possibile soluzione (in termini di massimizzazione o minimizza-zione degli input e degli output). La soluzione di tale sistema di relazioni attraverso la programmazione line-are produce una stima dell’allocazione ottimale delle risorse, dati i vincoli e considerati gli obiettivi ed un insieme di prezzi ombra che esprimono i costi opportunità delle risorse disponibili in quantità limitata e di altre restrizioni contenute nel sistema di relazioni considerato.

Propensione marginale al risparmio: percentuale di reddito addizionale risparmiato. In contrapposizione alla propensione media al risparmio, che è uguale alla percentuale del reddito totale risparmiato (si veda propen-sione marginale al consumo).

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Propensione marginale al consumo: percentuale di reddito addizionale che viene consumata in contrapposi-zione alla propensione media al consumo che è uguale alla percentuale del reddito totale consumato.

Protezione: protezione dei produttori nazionale contro la concorrenza estera. Può assumere la forma di dazi alla importazione (tariffe) e altre forme di barriere tariffarie. In particolare, la differenza tra i prezzi interni e i prezzi di frontiera di un bene oggetto di commercio internazionale. Diversa dalla tariffa, che rappresenta la differenza contabile o di registrazione dei prezzi. La protezione può essere maggiore della tariffa se vengono imposti anche dei contingenti.

Protezione effettiva: protezione attraverso dazi all’importazione, ecc. in relazione al valore aggiunto interno e in opposizione al valore totale della produzione. La protezione effettiva misura la protezione data al pro-cesso di produzione per sé, e non solamente al prodotto. Spesso è utilizzata per calcolare un indicatore veloce e parziale della accettabilità economica. È generalmente espressa come media annuale e considerata una mi-sura statistica. Non riflette il costo opportunità del capitale e il valore temporale del denaro.

Protezione nominale: protezione attuata attraverso dazi, ecc. espressa come una percentuale del prezzo totale del prodotto, in contrapposizione alla protezione effettiva, che è uguale alla percentuale sul valore aggiunto.

Rapporto benefici/costo attualizzato (RBCA): rapporto dei benefici attualizzati ai costi attualizzati. Deve es-sere calcolato usando un tasso di sconto appropriato. Il rapporto deve essere meno uguale all'unità affinché si possa accettare il progetto. È possibile calcolare più di un valore per lo stesso progetto dal momento che i metodi di calcolo sono diversi:

a) valore attuale di tutti i flussi di cassa positivi diviso per il valore attuale di tutti i flussi di cassa negativi (ambedue su base annuale);

b) valore attuale dei benefici lordi di ogni anno diviso per il valore attuale dei costi annuali, inclusi gli inve-stimenti;

c) valore attuale netto dei benefici operativi o di gestione in rapporto al valore presente dei costi di investi-mento (si veda scontare, saggio di rendimento interno, flusso di cassa scontato).

Rapporto contabile: rapporto tra prezzo contabile di un bene e il suo prezzo di mercato (si veda fattore di cor-rezione e fattore di conversione).

Reale: valore reale che riflette quantità fisiche reali piuttosto che prezzi (si veda monetario, prezzi correnti e prezzi costanti).

Rendimento annuale sul capitale fisso netto di un’operazione: misura convenzionale della convenienza fi-nanziaria pari al profitto annuale diviso per il capitale fisso di un’operazione. Il capitale fisso netto può esse-re definito come il capitale all’inizio del periodo contabile di riferimento al termine come media dei due (si veda saggio di rendimento finanziario).

Redistribuzione: si veda flusso di reddito incrementale.

Ricavo marginale: ricavo ottenuto dall’ultima unità di prodotto venduta. Indica il valore economico del pro-dotto in condizioni ottimali.

Saggio di Salario Ombra (SSO): costo opportunità del lavoro, valore della produzione e del tempo libero a cui si è rinunciato per impiegare nel progetto il fattore lavoro.

Saggio di cambio di mercato: saggio al quale si compra o vende la moneta estera.

Saggio di Cambio Ombra (SCO): saggio di cambio che riflette il valore sociale di un’unità addizionale di va-luta estera (si noti: il punto essenziale è che la valuta estera può valere economicamente di più di quanto venga rispecchiato il saggio ufficiale di cambio a causa di politiche commerciali restrittive come imposizioni di contingenti e dazi e/o ragione del vincolo di parte corrente della bilancia dei pagamenti).

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Saggio di interesse sul consumo: saggio al quale il valore di un € destinato al consumo decresce nel tempo. Generalmente espresso come una percentuale annua in diminuzione, spesso è considerato come dipendente da due fattori:

a) il tasso di crescita del reddito pro-capite, ed elasticità dell’utilità marginale del reddito, dal momento che se il reddito aumenta il valore degli incrementi addizionali di consumo diminuisce;

b) pura preferenza temporale, misura percentuale del premio che si è disposto a pagare per godere dei beni oggi invece che fra uno o più anni.

Saggio di rendimento finanziario: indice della convenienza finanziaria di un progetto. Spesso si riferisce al saggio di rendimento annuale sul capitale fisso netto e sull’investimento. Può anche riferirsi al saggio di ren-dimento interno che viene determinato attraverso l’analisi dei flussi di cassa scontati.

Saggio di Rendimento Interno (SRI): indice della convenienza economica o finanziaria di un progetto basato sull’analisi dei flussi di cassa scontati. Il saggio di rendimento interno è il tasso di attualizzazione che, quan-do applicato al flusso dei benefici e costi di un progetto, eguaglia il valore attuale netto a zero.

Saggio di Sconto Sociale (SSS): saggio di sconto usato per convertire benefici e costi di progetti pubblici nel loro valore attuale. Se il consumo fosse il numerario il saggio sociale di sconto sarebbe rappresentato dalla diminuzione del valore del consumo nel tempo, il tasso di interesse del consumo. Se il numerario è costituito dalla divisa estera nelle mani dell’autorità pubblica, il saggio sociale di sconto è dato dalla diminuzione del valore della spesa pubblica nel tempo, che può essere misurato dalla produttività marginale degli investimen-to pubblici valutata a prezzi internazionali.

Scontare (o Attualizzare): processo di aggiustamento di valori futuri a valori attuali.

Soprappiù del consumatore: valore che il consumatore riceve al di là di quello per cui è disposto a pagare. Si supponga di dividere i consumatori in tre gruppi, quelli rispettivamente che pagherebbero una macchina 50, 30 e 20 mila € e che il prezzo di mercato sia di 30 mila €; chi sarebbe stato disposto a pagare 50 mila € godrà di un surplus uguale a 20 mila €.

Soprappiù del produttore: valore che un produttore riceve al di là del prezzo o a cui sarebbe disposto a pro-durre.

Specifico: relativo di un determinato ammontare (ad esempio dazio specifico di lire 100 per tonnellate di gra-no) (si veda ad valorem).

Tariffa: termine usato per indicare tanto dazi doganali (si veda dazio) quanto il prezzo amministrativo di beni pubblici quali l’elettricità, il telefono, ecc.

Utilità marginale del reddito: il valore o utilità, che si deriva da un’unità addizionale di reddito.

Valore Attuale Netto (VAN): il valore netto di benefici e costi attualizzati alla data in cui si inizia il progetto.

Valore di rovesciamento: il valore (ad esempio la ponderazione relativa alla distribuzione dei redditi per i poveri) che “rovescia” la graduatoria di due progetti alternativi. Ad esempio, il pregetto A produce scarpe con attrezzature molto avanzate e pochi lavoratori, mentre il progetto B consiste di una rete di piccoli calza-turifici che danno lavoro a molti artigiani a basso reddito e impiegano attrezzature molto modeste. Se si attri-buisce una ponderazione inferiore all’1,5% al reddito addizionale dei poveri, il progetto A ha un SRI supe-riore a quello del progetto B. Se invece si attribuisce una ponderazione superiore all’1,5 è un progetto B ad avere un SRI più elevato. In questo caso, 1,5 è il “valore di rovesciamento”.

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Tabella 5.1 - Cronoprogramma delle attivita' di competenza del soggetto aggiudicatore

Ministero delle Infrastrutture Dipartimento per la Programmazione ed il Coordinamento dello Sviluppo del Territorio, il Personale ed i Servizi Generali

Direzione Generale per le Reti OPERE STRATEGICHE PREVISTE DALL' ALLEGATO 3 ALLA DELIBERA CIPE n°121/2001

REGIONE: INTERVENTO: SOGGETTO AGGIUDICATORE: Responsabile del procedimento:

CRONOPROGRAMMA DELLE ATTIVITA' DI COMPETENZA DEL SOGGETTO AGGIUDICATORE FASE PERMESSI E AUTORIZZAZIONI TEMPO PREVISTO (gg)

ITER APPROVAZIONE PROGETTO PRELIMINARE

REDAZIONE PROGETTO PRELIMINARE INOLTRO AL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE, ALLE AMMINISTRAZIONI ED AGLI ENTI INTERESSATI INOLTRO AL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE DI PERMESSI ED AUTORIZZAZIONI

AFFIDAMENTO DEI LAVORI TRAMITE APPALTO CONCORSO PUBBLICAZIONE BANDO GARA AGGIUDICAZIONE DELL'APPALTO

ITER APPROVAZIONE PROGETTO DEFINITIVO REDAZIONE PROGETTO DEFINITIVO INOLTRO AL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE, ALLE AMMINISTRAZIONI ED AGLI ENTI INTERESSATI INOLTRO AL MINISTERO DI PERMESSI ED AUTORIZZAZIONI AVVIO DEL PROCEDIMENTO DI DICH. PUBBLICA UTILITA'

AFFIDAMENTO DEI LAVORI TRAMITE APPALTO INTEGRATO PUBBLICAZIONE BANDO GARA AGGIUDICAZIONE DELL'APPALTO

CRONOPROGRAMMA DELLE ATTIVITA' DEL SOGGETTO AGGIUDICATORE FASE PERMESSI ED AUTORIZZAZIONI TEMPO PREVISTO (gg)

ITER APPROVAZIONE PROGETTO ESECUTIVO

REDAZIONE PROGETTO ESECUTIVO RECEPIMENTO PERMESSI ED AUTORIZZAZIONI APPROVAZIONE PROGETTO ESECUTIVO

AFFIDAMENTO LAVORI IN CASO DI APPALTO DI SOLA ESECUZIONE PUBBLICAZIONE BANDO GARA AGGIUDICAZIONE DELL'APPALTO

ESECUZIONE LAVORI CONSEGNA DEI LAVORI ULTIMAZIONE DEI LAVORI EMISSIONE CONTO FINALE

COLLAUDO DELLE OPERE EMISSIONE CERTIFICATO DI COLLAUDO APPROVAZIONE CERTIFICATO DI COLLAUDO AVVIO ALL'ESERCIZIO Roma li Il responsabile del procedimento

MODELLO DA COMPILARE A PARTIRE DALLA FASE IMMEDIATAMENTE SUCCESSIVA ALLO STATO ATTUALE DI AVANZA-MENTO AMMINISTRATIVO, INDICANDO I TEMPI PREVISTI IN GIORNI SOLARI CONSECUTIVI PER LE SINGOLE FASI DI COM-PETENZA.

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Tabella 5.2 - Elenco dei progetti finanziati dalla Legge Obiettivo

elenco progetti finanziati (aggiornato al 30/11/2006)

intervento regione soggetto aggiudicatore

tipo progetto

costo totale

M euro

finanzia-mento M euro

delibera CIPE

lavori di rifacimento dell'acquedotto gela - aragona

sicilia commissario delegato per l’emergenza idrica

in sicilia. definitivo 89.21 53.57 136 19/12/2002

lavori di rifacimento dell'acquedotto favara di burgio

sicilia commissario delegato per l’emergenza idrica

in sicilia. definitivo 65.90 39.56 137 19/12/2002

adduttore del sinni: ristrutturazione e telecontrollo

basilicata epli (in sostituzione regione basilicata) definitivo 20.00 18.40 138 19/12/2002

acquedotto del frida, sinni, e pertusillo: completa-mento impianto di potabilizzazione di montalbano jonico – 1°lotto funzionale

basilicata acq.lucano spa (in sosti-tuzione regione basilica-

ta) definitivo 16.00 16.00 139 19/12/2002

completamento del riordino ed ammodernamento impianti irrigui ricadenti nel comprensorio destra ofanto � destra rendina in agro di lavello

puglia consorzio di bonifica

del vulture e alto brada-no

definitivo 20.00 20.00 140 19/12/2002

schema idrico sardegna sud-orientale (sist. basso flumendosa): schema 39 2° e 3° lotto

sardegna ente autonomo del flu-

mendosa prelimina-

re 60.50 0,35* 58 25/07/2003

collegamento flumineddu-tirso – utilizzazione dei deflussi del flumineddu

sardegna consorzio bonifica ori-stanese

prelimina-re 39.19 0,16* 59 25/07/2003

interconnessione dei sistemi idrici tirso e flumendosa – campidano e migliore utilizzazione dei bacini val-livi tirso-flumendosa di pabillonis mogoro

sardegna ente autonomo del flu-

mendosa esecutivo 71.50 67.08 60 25/07/2003

lavori di ristrutturazione, risanamento ed ottimizza-zione dell’acquedotto molisano destro

molise regione molise definitivo 30.47 30.47 152 02/12/2005

potenziamento acquedotto del ruzzo dal gran sasso lato teramo

abruzzo regione abruzzo (in so-

stituzione ruzzo reti spa) definitivo 36.81 36.81 47 29/09/2004

utilizzazione irrigua e potabile dei rii monti nieddu, is canargius e bacini minori

sardegna consorzio di bonifica sardegna meridionale esecutivo 52.33 52.33 48 29/09/2004

completamento schema diga sul torrente menta: ope-ra di presa, galleria di derivazione e costruzione poz-zo piezomentrico

calabria regione calabria esecutivo 23.24 23.24 49 29/09/2004

completamento schema diga sul torrente menta: cen-trale idroelettrica e condotta forzata Calabria regione calabria prelimina-

re 20.54 - 154 02/12/2005

completamento schema diga sul torrente menta: di-stribuzione Calabria regione calabria prelimina-

re 79.67 79.67 154 02/12/2005

adeguamento opere di captazione, riefficientamento adduzioni ed opere connesse nelle valli noce e sinni Basilicata regione basilicata definitivo 26.00 26.00 52 29/09/2004

acquedotto dell'agri integrazione condotte maestre e varie Basilicata regione basilicata esecutivo 17.28 17.28 53 29/09/2004

potabilizzatore di conza Puglia aqp s.p.a. definitivo 53.00 39.00 108 29/03/2006

conturizzazione completa utenze civili, industriali, agricole e misuraz. acqua fornita Basilicata regione basilicata definitivo 59.51 59.51 110 20/12/2004

ristrutturazione adduttore idraulico s.giuliano-ginosa Basilicata regione basilicata definitivo 31.87 31.87 113 20/12/2004

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acquedotto montescuro ovest Sicilia commissario delegato per l’emergenza idrica

in sicilia. definitivo 86.20 20.41 88 29/03/2006

irrigazione del basso molise con le acque dei fiumi biferno e fortore - i lotto Molise consorzio di bonifica

integrale larinese definitivo 75.00 75.00 99 29/03/2006

completamento della galleria Pavoncelli bis Campania Puglia

commissario straordina-rio ex l. 135/97 definitivo 149.00 22.9 ** **

completamento schema idrico basento bradano - at-trezzamento irriguo settore g Basilicata regione basilicata definitivo 85.70 75.00 107 29/03/2006

schema idrico molisano centrale ed interconnessione con lo schema basso molise Molise regione molise definitivo 92.96 78.85 62

11525/07/200320/12/2004

* finanziamento assentito sul progetto preliminare per costi di progettazione ** in corso di emanazione nota: conza, basso molise, _basento bradano settore g: le delibere riportate hanno assegnato i finanziamenti in "via programmatica". le delibere di assegnazione definitiva dei contributi sono in corso di formalizzazione.

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6.1. IL PROGETTO

In termini generali, si definisce PROGETTO ogni attività che investa risorse per ottenere un beneficio futuro con la produzione di beni e servizi che aumentano il benessere nazionale o, più semplicemente nel caso di un'opera di ingegneria civile, una attività economica specifica e chiaramente delimitata che richieda un fi-nanziamento di un determinato ammontare per costruire, espandere o modificare una struttura fisica.

Un progetto può avere lo scopo di produrre beni e servizi che possono essere quantificati e valutati in ter-mini monetari, come ad esempio un acquedotto, oppure di portare benefici, come il miglioramento della qua-lità ambientale, il cui valore può essere quntificato solo in maniera indiretta.

La progettazione si sviluppa secondo diversi stadi di sempre maggiore approssimazione e dettaglio che, per il nostro paese sono: progetto preliminare, progetto definitivo, progetto esecutivo; nel caso di interventi complessi, il progetto preliminare è preceduto da studi di pianificazione o di prefattibilità, che definiscono gli obiettivi generali da raggiungere con una serie di interventi e stabiliscono il piano di finanziamento delle o-pere da eseguirsi, e da un progetto di fattibilità, che confronta le alternative progettuali e sceglie quella che megio consente di soddisfare il fine proposto.

L'intervento è composto di più elementi, componenti del progetto, ciascuno dei quali può essere realizzato indipendentemente dagli altri, per lotti temporali e/o lotti tecnici. Nella predisposizione del progetto è, però, indispensabile identificare i LOTTI FUNZIONALI costituiti da ogni insieme di opere che, pur facendo parte del-l'intervento più ampio, abbia una propria operatività funzionale e sia capace di generare benefici parziali ri-spetto a quelli dell'intervento globale, che sarà realizzato su un periodo di tempo più lungo per successivi lot-ti.

Si definisce intervento composito l'intervento costituito da un insieme di componenti ciascuno dei abbia propria autonomia in termini di realizzazione tecnica e di funzionalità, pur concorrendo con gli altri compo-nenti al raggiungimento dell'obiettivo finale. L'ntervento sarà finanziato da un unico soggetto o da più parti concorrenti con un finanziamento congiunto.

Per intervento integrato si intende un intervento connesso all'intervento principale ma autonomo rispetto a questo, sotto l'aspetto della realizzazione e della produzione di benefici che possono riguardare soggetti dif-ferenti; in questo caso i lotti sono finanziati con finanziamento parallelo.

6.1.1. UNIFORMITÀ NELLA VALUTAZIONE DELLE ALTERNATIVE PROGETTUALI Nello studio di fattibilità di un sistema idrico è richiesto l'esame di diverse alternative progettuali, per indi-

viduare la soluzione ottima del problema tecnico.

Il merito di un progetto viene valutato confrontando gli incrementi di benefici da esso procurati con gli in-crementi di costo che esso comporta rispetto ad una situazione convenzionale di riferimento (spesso si sce-glie la situazione che si avrebbe in assenza delle opere progettate).

La migliore tra le diverse alternative progettuali di sistemi di opere idrauliche dovrebbe essere scelta appli-cando corretti criteri di valutazione economica, dopo che il problema sia stato compiutamente definito sotto ogni suo aspetto: economico, sociale, politico, ecc..

L'identificazione degli elementi di progetto è affetta da numerosi fattori di incertezza che, introducendo e-lementi di soggettività nella valutazione del progetto, debbono essere circoscritti e specificati il più possibile. Le incognite riguardano gli obiettivi del progetto, i vincoli imposti dal mondo esterno, la risposta degli uten-ti, i miglioramenti tecnologici che si verificheranno durante la vita del sistema, gli eventi idrometeorologici e quant'altro sia stato considerato in forma statistica al momento del progetto, ecc..

Comunque, affinché le alternative possano essere confrontate in maniera obiettiva, le conseguenze fisiche dei diversi schemi progettuali (costi e benefici che non sono sempre direttamente commensurabili tra loro)

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debbono essere rese in modo uniforme in ordine sia alla loro misura quantitativa sia alla loro distribuzione nel tempo. Infatti occorre ricordare che i valori monetari quantificanti l'appetibilità di un progetto non sono tra loro omogenei quando siano realizzati in tempi diversi: il loro peso diminuisce tanto più quanto più la lo-ro realizzazione è dilazionata nel tempo.

6.1.2. EQUIVALENZA IN VALORE

La scelta di un comune valore monetario sul quale misurare le componenti del progetto non è univoca. In-nanzitutto dipende dal punto di vista di chi valuta il progetto, infatti:

- il finanziatore delle opere considera solo conseguenze del progetto che influiscono sul suo tornaconto;

- la comunità locale, sia essa amministrativa (comune, provincia, regione, ecc.) ovvero rappresentativa di una convergenza contingente di interessi, considera solo gli aspetti del progetto che influiscono sul suo standard di vita;

- la comunità nazionale considera il progetto in termini di interesse generale valutandone tutte le conse-guenze, immediate e mediate.

Molti beni, quali i valori paesaggistici, la sicurezza fisica e il benessere psicologico della popolazione, la redistribuzione del reddito, il prestigio nazionale, ecc. sono difficilmente riducibili a termini monetari senza forzare in modo inaccettabile i risultati dell'analisi economica; nonostante ciò, anche i valori intangibili deb-bono essere identificati e quantificati con la maggior precisione possibile, in quanto al momento della deci-sione il pianificatore deve sapere quale sacrificio economico implica il raggiungimento di un determinato o-biettivo intangibile e quanto, invece, si risparmierebbe se si accettasse un soddisfacimento parziale di questo obiettivo.

In effetti l'obiettivo economico di un progetto specifica solo una parte delle componenti della funzione di efficacia sociale del progetto (FES). Questa aggrega valori tangibili come la massimizzazione del reddito na-zionale raggiunta attraverso la allocazione ottima delle risorse, dei fattori di produzione e del consumo dei beni prodotti, a valori intangibili, quali l'equità nella distribuzione del reddito, il miglioramento della qualità dell'ambiente, la stabilità sociale e la salvaguardia della salute dei cittadini. Comunque, per applicare una qualunque tecnica di ottimizzazione, occorre che la FES sia definita in maniera non equivoca.

Una definizione della funzione obiettivo in senso stretto prevede che il valore complessivo dell'obiettivo da massimizzare si ottenga combinando tra loro i singoli obiettivi specificati con una comune unità di misura (non necessariamente monetaria):

UT = Σ i a i U i Σ i a i = 1 ; (6.1)

essendo UT l'utilità totale del progetto, Ui l'utilità delle singole voci sopra elencate, ai i coefficienti di peso che quantificano l'importanza assegnata dal pianificatore ai singoli obiettivi.

Secondo un'accezione più larga, la FES può essere data nella forma tabulare:

LIVELLO DI SODDISFACIMENTO (%) CON SCHEMI DI PROGETTO

OBIETTIVI ELEMEN-TARI

A B C …

PROGETTO 1 70 20 40 ***

PROGETTO 2 10 80 30 ***

PROGETTO 3 40 20 100 ***

ECC. *** *** *** ***

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Nella tabella sono evidenziati i livelli (percentuali) di soddisfacimento di ognuno degli obiettivi elementari che possono essere raggiunti da ciascuno degli schemi di progetto posti a confronto; le percentuali sono for-mulate, anche in modo empirico o induttivo, rapportando il beneficio ottenibile col dato progetto per il dato obiettivo elementare al beneficio massimo raggiungibile con un progetto che fosse interamente dedicato al soddisfacimento di quell'obiettivo.

Questa procedura consente, innanzitutto, di scartare tutte le soluzioni progettuali che non soddisfano alla condizione necessaria di ottimalità, esposta col criterio di Pareto, secondo il quale deve essere considerato un miglioramento ogni cambiamento che migliora, a giudizio di questi, la situazione di qualcuno pur non es-sendo di danno ad alcun altro e inoltre rende esplicita la preferenza del decisore, politico o tecnico che sia, tra gli obiettivi perseguiti dalle diverse alternative progettuali.

6.1.3. EQUIVALENZA IN TEMPO

I costi e i benefici non si realizzano tutti al medesimo istante bensì si sviluppano nel tempo; il flusso di cas-sa (cash flow) generato da un progetto è ovviamente legato al suo piano di investimento e di realizzo.

Tutte le alternative di progetto debbono essere valutate su un medesimo orizzonte di pianificazione. Questo può essere molto lungo e coincidere con la vita economica del progetto, ma in questo caso la valutazione dei benefici futuri sarà oltremodo opinabile e insicura. Se l'orizzonte è molto breve si ottengono delle stime pes-simistiche in quanto i sistemi di risorse idriche danno benefici notevolmente diluiti nel tempo a fronte di forti costi iniziali.

A seconda dei punti di vista debbono essere distinti:

- la vita fisica del sistema, che termina quando le singole opere cedono oppure non sono più in grado di svolgere la loro funzione;

- la vita economica, che termina quando le spese di gestione superano i benefici correnti per cui conviene rimpiazzare (o abbandonare) le strutture ormai antieconomiche, obsolete o che non rispondono più alle esigenze dell'utenza;

- il periodo di analisi, sul quale si valutano le conseguenze del progetto e che può essere più breve della vita economica onde ridurre gli errori connessi a previsioni troppo lontane nel tempo;

- l'orizzonte di costruzione, che è raggiunto quando in un progetto sviluppato per fasi successive, il siste-ma esistente non è più in grado di soddisfare l'incremento di domanda dell’utenza e quindi deve essere messa in opera la fase successiva.

Per ridurre ad una medesima cifra di merito i flussi di cassa delle varie alternative si utilizzano, nelle tecni-che di attualizzazione, le formule elementari della matematica finanziaria:

P/F ( i , n) = (1+i)-n (6.2)

ove P/F è il fattore di sconto che fornisce il valore presente di una somma disponibile (o impiegata) tra n anni a un saggio di interesse (o, più propriamente, di sconto) i annuo;

F/A( i , n) = (1+i)n -1

i (6.3)

ove F è il montante (futuro) per un investimento su n anni di rate annue A;

A/P( i , n) = A/F . F/P= i(1+i)n

(1+i)n-1 (6.4)

che fornisce il valore annuo del capitale presente.

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6.1.4. LE TECNICHE DI SCONTO

Le tecniche di sconto elementari che consentono di rendere equivalenti i costi e i benefici di differenti flus-si di cassa, introdotte in § 5.5, essenzialmente due in quanto VAN e RBCA richiedono analoghe procedure di attualizzazione. Queste tecniche debbono essere applicate con alcune precauzioni al momento della valu-tazione delle alternative di progetto, affinché non diano risultati discordanti.

Il VALORE ATTUALE NETTO ( VAN ) del progetto è dato dalla somma algebrica attualizzata dei benefici Bt meno i costi Ct calcolata, per un saggio di sconto i prefissato, sugli n anni del periodo di analisi:

Va = ∑1

Nt P/F( i , t ) (Bt-Ct) (6.5)

Osservato che tutte le alternative devono essere valutate sul medesimo periodo di analisi e con il medesimo saggio di sconto e che il valore Va deve essere calcolato per il medesimo anno di calendario, si procede co-me segue:

1. si calcola il valore attuale di ciascuna alternativa e si scartano le alternative con Va ≤ 0;

2. se sono possibili più alternative si sceglie quella che ha il maggiore Va. Tra alternative che offrono i me-desimi benefici (tangibili e intangibili) va scelta quella di minimo costo attualizzato.

E' ovvio che se viene calcolato il valore annuo, applicando la (6.4), in luogo del valore attualizzato, la pro-cedura di scelta non cambia.

Per quanto sia la più semplice e sicura da applicare e la più diretta da interpretare, la procedura (6.5) richie-de la imposizione preliminare del valore del saggio di sconto e ciò consente, in una certa misura, di influen-zare le scelte successive.

Il calcolo del SAGGIO DI RENDIMENTO INTERNO del progetto ( SRI ) ovvia a questo difetto: il SRI è definito come quel valore del saggio di interesse i che rende nullo il valore attualizzato del progetto definito con la (6.5).

Lo sviluppo del metodo di confronto si differenzia alquanto dalla procedura descritta al punto precedente:

1. a parità di ogni altra condizione, si calcola il SRI di ciascuna alternativa e si scartano le soluzio-ni il cui SRI non raggiunge il valore minimo di accettabilità;

2. si fa una classifica in ordine di costo (attualizzato) crescente delle alternative rimanenti e si confrontano le soluzioni a due a due;

3. si parte dalle due alternative a minor costo e si determina il saggio di rendimento della differenza dei co-sti e dei benefici tra le due alternative poste a confronto; se il SRI della differenza (più costoso - meno costoso) è superiore al limite di accettabilità si sceglie la soluzione più costosa perché il maggior inve-stimento è giudicato redditizio, altrimenti si opta per quella meno costosa.

Si ordinano così tutte le soluzioni progettuali, dalla meno conveniente alla più conveniente, ottenendo inol-tre, per ciascuna di esse, una stima della redditività dell'investimento richiesto.

6.2. CONDIZIONI DI OTTIMALITÀ DEL PROGETTO

Almeno in linea di principio si può ipotizzare che il sistema progettato operi in un mercato concorrenziale che tende a produrre e a consumare colla massima efficienza; le semplificazioni che ne derivano sono molto utili ai fini di una descrizione didattica, ma difficilmente possono essere accettate in realtà. Nella pratica so-

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no richiesti degli aggiustamenti e delle correzioni dei risultati onde adeguarli ai vincoli del mondo reale e alle situazioni concrete di concorrenza imperfetta. Le caratteristiche del progetto ottimale sono definite dal con-fronto della curva dei benefici (o di domanda) che rappresenta la domanda dei consumatori del bene-acqua offerto a spese del sistema idrico, con la curva dei costi (o di offerta) sostenuti da quest'ultimo.

Mentre la curva dei benefici, che dipende in generale dalle condizioni di mercato esterne al singolo sistema produttivo, non è influenzata dal modo in cui si realizza il progetto, a meno che questo non sia di eccezionale importanza, la curva di offerta deve essere definita in relazione ad un sistema di produzione che operi con la massima efficienza.

6.2.1. FORMAZIONE DELLA DOMANDA

Spesso il bene offerto dal sistema idrico può essere parzialmente sostituito da altri senza alterare il benesse-re dell'utente. Ad esempio, col diminuire dei volumi irrigui disponibili, l'agricoltore può passare alla coltiva-zione di specie di vegetali meno idroesigenti senza diminuire il suo guadagno se questo gli è consentito da una maggiore meccanizzazione, da poderi di maggiori dimensioni, ecc.; un minor grado di protezione dalle inondazioni può essere compensato da una migliore copertura assicurativa e così via.

La soddisfazione, o utilità, che ciascun utente trae dal godimento di quantità variabili Y1 e Y2 di beni tra lo-ro sostitutivi può quindi rappresentarsi con una famiglia di curve di indifferenza (Fig.6.1): le curve non si in-tersecano, hanno gli assi come asindoti se i beni sono perfettamente sostitutivi e sono parametrate con diversi valori di utilità (B0 < B1 < B2 < ..).

L'utente, che può spendere un reddito R per l'acquisto dei 2 beni sostitutivi, che nell'ipotesi di perfetta con-correnza hanno prezzi P1 e P2 indipendenti da Y1 e Y2, ritrae la massima utilità acquistando le quantità di be-ni definiti in Fig.6.1 dal punto di tangenza della retta:

R= Y1 P1 + Y2 P2

con la curva di indifferenza.

Si dice allora che il saggio marginale di sostituzione dei due beni è uguale al rapporto inverso tra i loro prezzi:

dY2 dY1

= - P1 P2

(6.6)

Volendo costruire la curva di domanda dell'utente di reddito R nei confronti del bene Y1, basterà far variare il prezzo P1 per ottenere, come indicato in Fig.6.1, il comportamento ottimale dell'utente e costruire la curva di domanda del bene:

P1=P1 ( Y1 )

La curva della domanda complessiva si otterrà sommando le quantità di bene (di consumo) richieste dai singoli utenti, a parità di prezzo, ovvero sommando i prezzi (dei servizi) che ciascun utente ritiene giusto pa-gare per assegnato livello di servizio.

Si ottiene, poi, la curva dei benefici totali di Fig.6.2: B = B(Y), essendo, per quanto detto, B = P Y il bene-ficio assegnato al bene da parte dell'insieme dell'utenza. Derivando la funzione dei benefici totali si ricava la curva dei benefici marginali b = b (Y).

6.2.2. PRODUZIONE OTTIMALE

La produzione di beni da parte di un sistema di risorse idriche è limitata dalla disponibilità di ri-sorsa naturale. In generale, quindi, la definizione del sistema ottimale richiede la soluzione di uno o più problemi di massimo (o minimo) vincolato per definire:

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a) gli strumenti più idonei allo sfruttamento ottimale della risorsa,

b) la ripartizione ottimale del prodotto tra i diversi utenti,

c) la quantità di risorsa che deve essere distribuita o, in altre parole, la dimensione ottimale del sistema.

Esaminiamo separatamente queste tre condizioni di ottimalità, applicandole a casi semplici di immediata comprensione.

(a) Se il sistema è composto da più strumenti di produzione (Input) che possono produrre il bene (Output) indipendentemente l'uno dall'altro, differenti combinazioni di dimensioni degli input saranno in grado di for-nire lo stesso livello di output. Il luogo delle combinazioni di input ad assegnato output complessivo costitui-sce una superficie isoquanti. Nel caso di 2 soli elementi produttivi ( X1, X2 ) ci si riduce alle curve isoquanti di Fig.6.3; per assegnato stanziamento, la migliore combinazione (a minimo costo) di input è allora fornita dal punto di tangenza tra la curva isocosto (che degenera in una retta se i costi unitari C1 e C2 di X1 e X2 so-no costanti) e la curva isoquanti. Al variare dello stanziamento totale varia sia la quantità di bene prodotto sia la combinazione ottimale dei mezzi di produzione.

La condizione di ottimalità vale, per il caso di Fig.6.3:

d X2 d X1

= - C1 C2

(6.7)

ossia il saggio marginale di sostituzione dei mezzi di produzione è uguale al rapporto inverso dei loro costi unitari.

(b) Spesso il sistema, detto allora a fini multipli o multipurpose, è chiamato a fornire più output: erogazione irrigua, energia, laminazione di piene, ecc.

In tal caso si deve ricercare la combinazione degli output che, per assegnato input, dia il massimo benefi-cio. Se, per fissare le idee, facciamo riferimento a un sistema produttivo con un input X e due soli outputs Y1 e Y2 possiamo tracciare la curva di trasformazione, che è il luogo di valori Y1 e Y2 (a valore di X assegnato) prodotti da sistemi efficienti.

Produzioni interne alla curva di trasformazione sono, come è ovvio, tecnicamente fattibili ma non auspica-bili; quelle esterne sono, per definizione, infattibili (Fig.6.4a).

I punti di tangenza tra le curve isoricavo, che si ottengono combinando le curve di domanda dei beni Y1 e Y2 a differente valore del ricavo totale, e le curve di trasformazione definiscono le combinazioni ottime delle quantità di bene da produrre e il costo dei corrispondenti sistemi produttivi.

Nel caso in cui siano costanti i valori unitari P1 e P2 dei beni prodotti, come in Fig.6.4b, si ritrova che il saggio marginale di trasformazione tra i prodotti vale:

d Y2 d Y1

= - P1 P2

(6.8)

(c) I risultati conseguiti nei precedenti punti (a) e (b) consentono di definire la funzione di costo del sistema di utilizzazione delle risorse idriche avente la massima efficienza; può così essere tracciata la curva di costo totale in funzione della quantità del bene Y1 di riferimento (o primario) che viene prodotto dal sistema.

A questo proposito si deve avere ben chiaro che, al variare di Y1, in generale variano, col costo del sistema, anche lo schema e le dimensioni relative degli elementi del sistema e i rapporti tra i beni prodotti.

La dimensione finale del sistema si ritrova in corrispondenza del massimo beneficio netto o, se si preferi-sce, dell'incrocio tra le curve dei benefici e dei costi marginali (Fig.6.5) . Se le curve dei valori marginali si intersecano in più punti, tra questi deve essere ricercata la condizione di massimo assoluto.

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6.3 ANALISI COSTI-BENEFICI

L'analisi costi-benefici aiuta a definire in maniera obiettiva la validità di una proposta progettuale evitando l'abuso di argomentazioni economiche non provate che servono per giustificare scelte operate in base a criteri assolutamente diversi da quelli economici e mettendo in luce le ipotesi sulle quali si reggono le stime di pro-getto.

Il miglioramento della conoscenza del problema consentito dall'analisi costi-benefici permette altresì di i-dentificare i beneficiari del progetto rendendo così possibile e meno sgradito il risarcimento al finanziatore del progetto medesimo di parte dei benefici individuali conseguiti dagli utenti.

A questo riguardo conviene osservare che la differenza di comportamento tra l'imprenditore pubblico e l'imprenditore privato (in condizione di concorrenza perfetta) è caratterizzata dal fatto che quest'ultimo, a dif-ferenza del primo, cerca di ridurre il più possibile il beneficio aggiunto dell'utente sottodimensionando il si-stema progettato e aumentando di conseguenza il prezzo di vendita del bene.

Con riferimento alla Fig.6.6a si confrontino le curve dei benefici b = f(Y) e dei costi c = g(Y) marginali (per semplicità, si considerano delle rette): il prezzo di vendita del bene Y è fissato dal valore del beneficio marginale minimo ricavabile dall'utente poichè in caso contrario non sarebbe possibile vendere, a prezzo uni-forme, la quantità voluta del bene prodotto.

Con il progetto di dimensione ottima, per il quale b = c , il finanziatore ha un ricavo netto pari all'area della figura con vertici def mentre l'utente mantiene un beneficio aggiunto pari all'area del poligono fek.

Diversamente chi vuole massimizzare il ricavo della vendita del bene deve far riferimento alla curva dei ri-cavi marginali:

r = f(Y) + Y d f(Y) d Y (6.9)

In tal caso, come mostra la Fig.6.6b, il beneficio aggiunto dell'utente è ridotto all'area abk mentre il ricavo aumenta al valore dcab.

La procedura che porta alla determinazione del progetto ottimo si sviluppa in 4 fasi successive di analisi.

1. Nella prima, di identificazione, vengono definiti i benefici ed i costi delle differenti soluzioni proget-tuali individuate dai progettisti.

2. Nella seconda, di verifica, che procede di pari passo alla prima, le differenti soluzioni vengono sottopo-ste ai test di fattibilità:

− tecnica, per controllare se il progetto è fisicamente in grado di assolvere alla sua funzione;

− economica, per accertare se il beneficio totale procurato dal progetto supera quello che si avrebbe senza il progetto di una quantità superiore al costo del progetto medesimo. E' importante avere ben presente che il confronto va fatto tra le situazioni con e senza progetto e non tra quelle prima e do-po l'esecuzione dello stesso, al fine di non ascrivere al progetto anche i vantaggi dovuti al naturale progresso della società;

− finanziaria, per verificare che esistono i fondi sufficienti a pagare la costruzione e la gestione delle opere progettate tenendo presente che, attingendo a fondi necessariamente limitati, il finanziamento del sistema in progetto dovrebbe essere posto in competizione con quello di opere di natura com-pletamente diversa, quali scuole, ospedali, strade, ecc. ;

− politica, per assicurare il consenso degli organismi politici;

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− sociale, per provare che i potenziali utenti del sistema risponderanno in maniera favorevole alla sua costruzione, in quanto spesso il successo di un progetto dipende dalla propensione degli utilizzatori a mutare il loro modo di vivere e di produrre.

3. Nella terza fase, di ottimizzazione e cioè di scelta del progetto ottimo fra tutti quelli fattibili, l'analisi segue la procedura descritta nelle sue linee di principio in § 6.2.

4. L'approvazione finale sarà conseguita quando anche l'analisi di sensibilità del progetto (§ 6.3.2) sarà stata superata positivamente.

6.3.1. CLASSIFICAZIONE DEI COSTI E DEI BENEFICI

Una classificazione ordinata è essenziale per l'identificazione di tutti gli aspetti e di tutte le implicazioni, economiche e non, del progetto. Ai benefici tangibili, usualmente, viene assegnato il valore monetario detta-to dal mercato; comunque, molte delle conseguenze tangibili di un progetto debbono essere stabilite con un processo deduttivo elaborato secondo le linee date in § 6.2.2 .

I BENEFICI, tangibili e/o intangibili, possono essere:

1 - Primari, quando derivano direttamente da beni o servizi prodotti dal progetto. I benefici primari si sud-dividono ancora in:

1a- diretti: aumento del reddito, del benessere o del consumo degli utenti che sono tra gli obiettivi e-spliciti del progetto.

1b- indiretti: si hanno quando il progetto oltre a quelli diretti procura benefici ulteriori non espressa-mente previsti tra i fini del progetto.

1c- di miglioramento fondiario: quando il progetto consente un aumento di valore del terreno, dovuto ad un uso più produttivo del territorio.

2 - Secondari: contraddistinguono la crescita di valore di quelle attività che sono favorite dalla realizzazio-ne del progetto. Tra questi si hanno i benefici:

2a- derivati: procurati dalla trasformazione industriale e dalla commercializzazione del bene primario prodotto dal progetto.

2b- indotti: procurati dalla produzione e dal commercio dei mezzi e degli strumenti necessari allo svi-luppo delle attività del progetto.

2c- occupazionali e sociali, che debbono sempre essere messi in conto e valutati con attenzione.

Dall'altro canto si debbono considerare i COSTI:

1. di costruzione, progettazione, gestione e quant'altro sia connesso alla realizzazione e alla vita del siste-ma: spese di esproprio, di imposizione di servitù amministrative, ecc.;

2. associati, che conglobano tutte le spese sostenute dagli utenti per utilizzare al meglio i beni o i servizi erogati dal progetto;

3. indotti, connessi alle conseguenze negative del progetto e che spesso si riversano su gruppi che non ri-sentono direttamente dei benefici del progetto.

I benefici e i costi (economici) vanno, ovviamente, valutati a valori monetari costanti, depurando, ad esem-pio, i prezzi dalla generale tendenza inflattiva o deflattiva e considerando soltanto effetti di inflazione diffe-renziale rispetto all'indice dei prezzi, costo dei beni del paniere di riferimento per il progetto.

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Questi prezzi sono altresì normalizzati in quanto sono influenzati solo da fattori generali di variazione del mercato, quali mutamenti provocati da progressiva rarefazione di un bene o a progressi tecnologici, e non ri-sentono di fatti accidentali, siano essi naturali oppure sociali (ad es. alluvioni, scioperi, incidenti, ecc. ) .

6.3.2. ANALISI DI SENSIBILITÀ

Tutte le valutazioni e le stime di progetto sono fatte in regime di incertezza; ad esse dovrebbe essere dato il significato di valore atteso o di valore statisticamente più probabile, assegnando altresì i limiti di confidenza delle stime di proiezione della domanda del bene e del costo di produzione.

Tra le proiezioni più significative sono da annoverare quelle relative alla popolazione servita dal sistema in progetto e alla situazione economica in cui esso si troverà ad operare.

Le proiezioni demografiche possono ricorrere:

− alla estrapolazione della variazione passata della popolazione fino all'eventuale raggiungimento delle condizioni di saturazione dettate dalla legge di crescita in area limitata;

− all'uso degli standard di densità abitative ricavati da rilievi regionali (o nazionali);

− al metodo demografico che determina le frequenze di nascita e di morte e i flussi migratori con correla-zioni, tarate su censimenti e indagini campionarie, tra le diverse classi, per età e sesso, di popolazione;

− a studi socio-economici che definiscono il numero degli abitanti in situazione di piena occupazione.

Le proiezioni economiche possono giovarsi di modelli econometrici, sul tipo del modello input-output di Leontiev. Il modello traduce in un sistema di disequazioni lineari le interrelazioni che, in condizioni di equi-librio economico, legano i centri di produzione alle risorse disponibili, alla intensità di accumulo del capitale, ai produttori - consumatori e al mondo esterno al quale vengono ceduti e/o richiesti beni e servizi. Anche le preferenze del consumatore, che vanno proiettate nel futuro in base ai risultati di analisi di mercato, debbono essere congruenti con i legami tra i vari fattori economici posti in luce dal modello econometrico.

I modelli input-output, detti anche di analisi delle interrelazioni strutturali, ben si prestano, tra l'altro, al-l'applicazione di metodi matematici di ottimizzazione (programmazione lineare) per la pianificazione dell’ambiente economico nel quale il sistema andrà inserito.

Al mutare delle stime dei benefici e dei costi ovviamente possono cambiare le valutazioni di progetto: l'a-nalisi di sensibilità deve controllare l'entità di questi cambiamenti allo scopo di verificare l'attendibilità delle conclusioni raggiunte in fase progettuale.

Il verificarsi di cambiamenti sostanziali nelle opzioni finali del progetto (scelta di una alternativa in luogo di un'altra) al variare delle stime di costi e benefici entro i limiti di errore considerati accettabili, deve rendere molto circospetti nell’adozione delle risultanze dell'analisi economica.

I benefici del sistema progettato si sviluppano con efficacia variabile durante la sua vita (crescono gra-dualmente con la messa in esercizio dopo la costruzione di parte o di tutti i suoi elementi, sono pienamente erogati durante la fase di funzionamento o di maturità, diminuiscono con la sua decadenza) e risentono delle condizioni esterne di mercato.

In linea di principio, anche la data di costruzione del sistema potrà essere ottimizzata in modo che la sua maturità venga raggiunta a tempo debito; il sistema, cioè, non dovrà entrare in esercizio troppo presto, quan-do gli utenti non sono ancora in grado di utilizzarlo pienamente nè troppo tardi per non compromettere il go-dimento di parte dei benefici. Spesso, quindi, risulta conveniente che il progetto venga realizzato per fasi in modo da renderne massimo l'adattamento alle mutevoli caratteristiche della futura richiesta.

In questo caso, il progetto associa al pregio di una maggiore flessibilità anche la possibilità di correggere errori di stima; di converso, sarà più facile che gli obiettivi iniziali vengano nel tempo travisati o persi di vi-

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sta o con maggior difficoltà accettati dall'utenza, che nel frattempo potrà essersi adattata alla situazione tran-sitoria.

6.4. APPROVVIGIONAMENTO IDRICO

Un sistema finalizzato all'approvvigionamento idrico (potabile, industriale, agricolo) è composto essen-zialmente da opere di:

− captazione (senza o con regolazione),

− adduzione esterna,

− distribuzione.

Per grandi utenze è spesso necessario ricorrere all'uso della risorsa superficiale risultando la disponibilità della falda troppo limitata. In questo caso, i deflussi naturali, che seguono le vicissitudini del ciclo idrologi-co, debbono essere regolati per adattarli alle esigenze della erogazione: la realizzazione dell'invaso artificiale a ciò preposto, che è solitamente l'elemento di maggior costo del sistema idrico, richiede una attenta analisi tecnico-economica.

L'adduzione esterna, che collega la presa al luogo dell'utenza può essere realizzata a pelo libero, quando le portate convogliate siano notevoli, come generalmente accade per servizio di irrigazione, ovvero in pressio-ne, se le portate sono ridotte, come nel caso di servizio idropotabile per piccole o medie utenze; comunque anche in questo caso la scelta deve essere guidata dall'analisi economica.

Le stesse considerazioni valgono anche per la rete di distribuzione interna; spesso le caratteristiche tecniche della rete sono in larga misura indipendenti dalla localizzazione della captazione e quindi il suo costo, essen-do costante, può essere stralciato dalla analisi costi-benefici delle differenti alternative.

6.4.1. RISORSE IDRICHE

Ovviamente perchè il sitema di approvvigionamento possa svolgere la sua funzione devono essere disponi-bili delle risorse idriche in misura sufficiente per quantità, qualità e allocazione.

Il limite superiore alla disponibilità della risorsa idrica è dato dal volume di precipitazione media annua caduta sul bacino (superficiale o sotterraneo, a seconda del tipo di risorsa che si considera) sotteso dall'opera di captazione.

Il volume delle risorse idriche naturali dipende, quindi dal regime delle precipitazioni. In Italia, ad esempio, la precipitazione è distribuita in maniera diversa nelle differenti zone climatiche. Si possono individuare i se-guenti quattro tipi pluviometrici:

− tipo continentale nelle Alpi centro-orientali;

− tipo sublitoraneo alpino nelle Alpi occidentali;

− tipo sublitoraneo appenninico proprio dei bacini appenninici a sinistra del Po;

− tipo marittimo proprio dell'Italia centro meridionale.

Ad una diversa distribuzione temporale secondo i tipi pluviometrici corrisponde una diversa distribuzione spaziale delle quantità di pioggia: dei 300.109 m3 all’anno di acqua che cadono annualmente in Italia se ne ha il 41% al Nord, il 22% al Centro, il 24% al Sud, il 13% sulle Isole. Non tutta l'acqua di pioggia, comunque, costituisce una risorsa naturale in quanto in buona parte evapora. Riferendosi all'Italia si ha: Evaporazione 44%, Deflussi superficiali 52%, Deflussi sotterranei 4%.

Dal punto di vista dell'utilizzazione, le risorse idriche superficiali si dividono in:

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1. risorsa idrica naturale: è il volume di acqua che mediamente attraversa in un anno una determinata se-zione di un corso d'acqua superficiale oppure una falda sotterranea;

2. risorsa idrica potenziale: è la parte di risorsa naturale, disponibile in un certo posto, che può essere tec-nicamente utilizzata con mezzi artificiali;

3. risorsa idrica utilizzabile: è invece quella sola parte della risorsa potenziale che può essere convenien-temente sfruttata dal punto di vista economico.

Dal punto di vista economico si può classificare una risorsa idrica di una delle seguenti categorie:

a) risorsa praticamente inesauribile atta a soddisfare compiutamente il fabbisogno e che giunge all'utiliz-zazione per gravità;

b) risorsa, fornita a gravità, ma che risulta di tanto in tanto inadeguata per cui si richiede l'immagazzina-mento nei periodi di abbondanza;

c) come nel caso (a) ma con sollevamento;

d) come nel caso (b) ma con sollevamento.

Oltre alle risorse di tipo convenzionale che, come visto, sono superficiali e/o sotterranee, ve ne sono anche di non convenzionali come quelle rese disponibili dalla desalazione di acque salamastre e dalla rigenerazione di acque inquinate.

Le risorse superficiali sono di qualità molto diverse tra loro e vanno da quelle di sorgente, direttamente pota-bili a quelle salmastre di alcuni fiumi meridionali non utilizzabili nemmeno in agricoltura.

Varia da luogo a luogo anche la quantità di risorsa: mediamente in un anno si ha deflusso superficiale per 155. 109 m3/anno di cui 47 % al Nord, 20% al Centro, 22% al Sud, 11% nelle Isole.

Il grado di utilizzazione delle portate dei corsi d'acqua dipende dalla possibilità di una loro regolazione in quanto molti fiumi, specialmente in Italia, la portata di magra è esigua e talvolta nulla.

Costruendo il maggior numero possibile di serbatoi, si arriverebbe in Italia a un volume di risorsa potenzia-le di 110. 109 m3/anno mentre il volume annuo sicuramente disponibile senza bacini di regolazione si aggira intorno ai 18 . 109 m3/anno (cioè il 16% del precedente).

Le acque superficiali, per essere condotte all'utilizzazione, devono essere captate con opere di presa che so-no di tipo differente a seconda delle caratteristiche del corpo idrico da cui l'acqua viene derivata:

1) serbatoi artificiali o laghi naturali regolati, quando la risorsa richiede immagazzinamento;

2) fiumi sbarrati mediante traverse, quando è necessario stabilizzare il pelo libero per consentire la deriva-zione. In questi casi, e specialmente nel primo, il far ristagnare l'acqua in bacini controllati consente di migliorare la sua qualità (tranne che per serbatoi nuovi) ottenendone la chiarificazione per deposito del-le particelle sospese, la decolorazione per azione dei raggi solari e la coagulazione, con deposito, delle particelle colloidali e riduzione del contenuto di batteri (il deposito per 1-2 mesi rende l'acqua immune da bacilli tifoidi).

Se i serbatoi sono abbastanza profondi si fanno prese a varie profondità (ad es. torri di presa) allo scopo di eliminare:

- microorganismi che vivono presso la superficie e l'acqua troppo calda in estate;

- l'acqua torbida durante i temporali;

- plankton e materia organica che si stabilizza a determinate profondità;

- CO2 e minerali disciolti presenti soprattutto sul fondo.

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3) fiumi il cui deflusso non sia in alcun modo regolato:in questo caso la presa è costituita da una condotta con imbocco raccordato a campana che prende in zone profonde del fiume, abbastanza sotto il pelo li-bero per non aspirare detriti galleggianti ed aria e abbastanza alta sul fondo per non essere ostruita da sabbia o ghiaia.

Anche le risorse sotterranee (12. 109 m3/anno) sono distribuite diversamente su tutto il territorio italiano; si passa da una produttività della falda di 6-20 l/s km2 nella pianura Padana a meno di 1 l/s km2 nel Tavoliere delle Puglie.

È prevedibile che, dato l'alto pregio dell'acqua sotterranea, le utilizzazioni vengano spinte al massimo o-vunque, in modo che la risorsa potenziale venga circa a coincidere con quella naturale. Data la particolare natura di questo tipo di risorsa, il volume di prelievo può facilmente superare quello naturalmente disponibile come è avvenuto in molti casi; a ciò però si accompagnano fenomeni deleteri come abbassamento della falda (nel Milanese), subsidenza (a Venezia), intrusione salina in falda (in Puglia) ai quali si aggiunge il progressi-vo e pericoloso depauperamento della risorsa.

Sarà dunque opportuno, nel futuro, non tanto incrementare gli emungimenti oltre il limite ammissibile ma piuttosto riorganizzare le utenze in modo che le acque sotterranee soddisfino quei fabbisogni che richiedono acqua di elevata qualità.

6.4.2. COSTRUZIONE DELLA CURVA DEI COSTI.

Una alternativa progettuale tecnicamente accettabile deve essere in grado di:

- fornire la risorsa idrica secondo lo schema temporale richiesto dall'utenza,

- mantenere la probabilità di fallanza al di sotto del prescritto limite di affidabilità.

Al crescere del grado di sfruttamento della risorsa si passerà da soluzioni con prelievo in acqua fluente a schemi con serbatoi (interconnessi o meno) o a sistemi con uso integrato della risorsa sotterranea e superfi-ciale: in ogni caso il sistema idrico deve intendersi costituito dall'insieme delle strutture (parte fisica del si-stema) e delle regole di gestione, che in funzione delle prime dovranno essere ottimizzate.

Sarà allora possibile, definite le dimensioni del sistema necessarie per garantire il voluto servizio, analizza-re i costi delle varie opere e tracciare la curva dei costi totali, come in Fig.6.7, in funzione dell'erogazione primaria Qp. Quando anche la risorsa erogabile con una affidabilità inferiore al limite di cui si è detto può es-sere sfruttata dall'utenza si deve correggere la curva dei costi, riducendo l'erogazione secondaria (cioè saltua-ria) in termini di erogazione primaria (cioè sicura) e aggiungendola a quest'ultima, avendo tenuto conto che il valore della risorsa diminuisce in funzione della diminuzione della sua affidabilità (complemento a uno della probabilità di fallanza del servizio PF): come nel grafico di Fig.6.8 dove è riportato il valore relativo della ri-sorsa secondaria rispetto a quella primaria: VS/VP .

Dai risultati di uno o più esempi di gestione del sistema può essere stimata la probabilità di fallanza per di-versi valori di erogazione secondaria PS = P( erog< QS ) e si può così costruire la curva di Fig.6.8. Il valore dell'erogazione secondaria equivalente, per assegnate dimensioni del sistema, si calcola allora direttamente:

QSE = ⌡⌠0

1 QS( p )

VS VP

d p (6.10)

La curva dei costi totali di cui si è già detto viene allora trasformata nella curva tratteggiata di Fig.6.7, dalla quale si può ricavare la curva dei valori marginali.

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6.4.3. FABBISOGNI IDRICI

La risorsa impiegata a soddisfare un dato bisogno, viene in parte:

- consumata: trasformata in vapore o idrogeno e ossigeno, entra in una successiva fase del clclo idrologico evaporando dal suolo o dalla vegetazione; percola nel sottosuolo senza poter essere recuperata e giunge al mare; viene realmente consumata nel processo tecnologico, rimanendo inglobata nel prodotto;

- restituita: cioè resa disponibile durante la fase terrestre del ciclo idrologico per poter essere ancora utiliz-zata ma con caratteristiche diverse dalle originarie.

Circa l'85% dell'acqua precipitata sull'Italia, cioè 260. 109 m3/anno su 300.109 m3/anno, non viene utilizzata.

Possiamo definire:

- il consumo assoluto, la minima quantità di acqua necessaria a soddisfare un certo bisogno;

- il consumo normale, la quantità d'acqua normalmente utilizzata per soddisfare quel bisogno;

- il fabbisogno tecnico, dato dal fatto che per ragioni tecniche è necessario impiegare una quantità d'acqua superiore al consumo normale onde raggiungere il fine desiderato.

La differenza tra fabbisogno tecnico e consumo assoluto costituisce una quantità d'acqua che può esser re-cuperata. Del volume richiesto per il soddisfacimento tecnico circa i 2/3 vengono restituiti.

Il consumo normale per USO CIVILE viene stabilito per via analitica sommando i fabbisogni:

- domestici, che sono dovuti ad usi privati continui, privati discontinui, condominiale e assimilati, varia-no da 105 l/ab x giorno per abitazioni economiche a 245 l/ab x giorno per abitazioni di lusso, con con-sumi assoluti che sono circa il 15% di quelli normali.

- pubblici, di servizi pubblici e impianti a servizio della collettività, che vanno (1° gruppo) da uso di ac-qua per lavatura di fogne e strade, innaffiamento di verde pubblico etc. a (2° gruppo) consumi in im-pianti ferroviari, impianti portuali, parchi di mezzi pubblici, mattatoi ecc.; infine (3° gruppo) si devono considerare i consumi negli ospedali, scuole, caserme, comunità. Inoltre si devono annoverare i consu-mi molto forti dovuti a impianti di condizionamento che sono o impianti a condensazione con acqua di rete che hanno un consumo di circa 48000 l/g per edificio di 1000 m3, considerando otto ore di funzio-namento giornaliero o impianti a circuito semiaperto con torri evaporative consumanti nelle stesse con-dizioni 3600 l/g.

- commerciali (non in rapporto diretto col numero di abitanti), di industrie di modesta entità e attività ar-tigianali e commerciali inserite nel complesso urbano; anche le grosse industrie prelevano parte dell'ac-qua di cui hanno bisogno dagli acquedotti ma esse devono computarsi a parte. Si è stimato che agli usi commerciali è dovuto, in una città di 25000 abitanti, circa il 20% del consumo (in grandi città america-ne tale consumo oscilla tra il 15 e il 65% del consumo totale).

Il fabbisogno tecnico deve tener conto anche delle perdite nelle reti di distribuzione, che vanno dal 15 al 50% e oltre del consumo, degli sprechi e delle perdite negli impianti di potabilizzazione, se esistono, che so-no dell'ordine di 5-10% del consumo normale.

In definitiva, tenendo conto della distribuzione di popolazione a diverso reddito, si è giunti a fissare un fab-bisogno medio tecnico per usi civili che varia grosso modo tra 150 l/ab x g. e 450 l/ab x g.. Da quanto detto risulta che le città più dotate di servizi avranno un consumo pro-capite superiore; si andrà così dai 150-200 l/ab x g. nei comuni ordinari ai 400-500 l/ab x g. per le aree metropolitane. I consumi assoluti variano tra il 25 e il 40% dei valori sopra citati, quindi l'acqua rimanente, degradata in qualità, può in teoria essere riutiliz-zata.

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La domanda pro-capite varia da giorno a giorno e durante le ore del giorno stesso. I giorni di maggior con-sumo sono quelli estivi, specialmente per le richieste degli impianti di raffreddamento e condizionamento e innaffiamento di strade e giardini (con aumenti variabili dal 39 al 77% rispetto ai valori invernali secondo stime U.S.A.).

Le ore di maggior consumo sono quelle del mattino (10-12) e della sera (18-20) quando crescono sia i con-sumi domestici che quelli commerciali: si stima che il max consumo giornaliero risulta pari al 125-250% di quello medio mentre quello orario è 200-400% di quello medio a seconda dei casi (dati americani).

In AGRICOLTURA il consumo assoluto è definito dal deficit idrico potenziale netto che tiene conto dell'eva-porazione potenziale, delle precipitazioni e dei caratteri idropedologici dei terreni: l'acqua fornita alle piante viene infatti consumata essenzialmente per evaporazione nel processo vitale in quanto l'acqua è fissata nel prodotto in quantità del tutto trascurabile (ad es. per i cereali è 1.5% dell'acqua fornita).

I bilanci mensili sono definiti da:

di = ei - Ci pi - ai (mm) (6.11)

ove:

di è il deficit idrico mensile,

ei è l'evapotraspirazione reale che si calcola moltiplicando la evapotraspirazione potenziale mensile (de-finibile ad esempio con la formula di Thornthwaite in funzione della temperatura media mensile e del-la latitudine) per un fattore correttivo che dipende dal tipo colturale considerato,

Ci è il coefficiente di utilizzazione costituito da quella parte di acqua che si infiltra nel terreno ed è utiliz-zabile dalla vegetazione,

pi è l'afflusso meteorico mensile,

ai è la quantità di acqua presente nel terreno all'inizio del mese e utilizzabile dalle piante.

Il valore di ai è difficile da valutare e può variare dai 25 ai 200 mm a seconda delle condizioni del terreno. Come si vede dalla (6.11), dal punto di vista agronomico la siccità, individuata dal deficit positivo, non può indicarsi semplicemente come periodo di mancanza di pioggia, poichè si deve tenere conto sia della richiesta di acqua da parte della vegetazione, che varia nel corso dell'anno, sia dell'umidità (quantità di acqua) dispo-nibile nel suolo.

Il fabbisogno tecnico o fabbisogno irriguo lordo, detto anche deficit reale lordo espresso in volume forni-to/area della regione irrigata, vale:

fi = (1 – Tc ) k

ηc ηa di (mm) (6.12)

ove sono:

Tc rapporto tra tare catastali e superficie irrigabile lorda,

ηc rendimento del sistema di trasporto e consegna della acqua, rapporto tra la quantità d'acqua immessa nella rete irrigua e quella consegnata alle aziende,

ηa rendimento di adacquamento, rapporto tra l'acqua utilmente erogata allo strato agrario e quella fornita alle aziende,

k coefficiente minore di 1 che tiene conto del fatto che non tutta la superficie irrigabile viene utilizzata ogni anno e che l'evaporazione reale è spesso inferiore a quella potenziale.

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Notiamo subito che il moltiplicatore di di dipende fortemente da 1/ηa e cioè dal sistema di adacquamento che può essere per scorrimento e infiltrazione, per aspersione, per sommersione (risaie) ed è valutabile, per il Nord Italia, nei tre casi pari a 2.2; 1.0; 5.9.

Valutazioni sono state fatte dei fabbisogni irrigui lordi medi per l'Italia Settentrionale: 860 mm (8.600 m3/ha), Centrale: 470 mm, Meridionale e Insulare: 580 mm . Nel Nord si hanno fabbisogni maggiori perchè ci sono meno tare irrigue, terreni più permeabili, sistemi di adacquamento meno efficienti, reti più vecchie e perchè in sostanza l'acqua costa meno.

Comunque, solo poca dell'acqua fornita è consumata realmente per evapo-traspirazione, l'altra è dispersa nel terreno (65% al Nord e 35% al Sud) e in molti casi le colature possono essere proficuamente riutilizzate. Come si può dedurre dalla (6.11) la distribuzione dei fabbisogni per l'agricoltura in Italia, è nettamente sta-gionale, limitata cioè al semestre estivo.

Le varie industrie impiegano nei loro cicli tecnologici acqua a vari scopi, sia per fissarla nel prodotto finito sia per raffreddamento sia per allontanare scorie di lavorazione. In alcuni processi si può usare acqua salata (AM), meno costosa, in altri è necessaria l'acqua dolce (AD); i consumi unitari sono diversi a seconda delle industrie, del grado di efficienze degli impianti, della potenzialità, della qualità dell'acqua richiesta.

Si va dalle industrie grandi consumatrici i cui consumi unitari (m3/t) sono: Concerie 443.5 (AD), Tessili 272.6 (AD), Cartiere 328.8 (AD), altre meno consumatrici: Chimiche 159.3 (AM), Acciaierie 25.6 (AM) e Petrolifere 8.4 (AD e AM).

Molti processi industriali però permettono di riciclare l'acqua impiegata, magari dopo parziale trattamento, per cui la quantità effettivamente fornita può diminuire anche notevolmente: ad esempio il coefficiente di ri-ciclo (quantità riciclata/quantità impiegata) è per le raffinerie di Petrolio di 0.83, per cui il consumo effettivo sarà solo il 17% del valore visto sopra, per le Cartiere di 0.44. Non si ha riciclo invece per le industrie con-ciarie, tessili, ecc.

Si nota comunque una tendenza ad aumentare il coefficiente di riciclo per far fronte alle minori disponibili-tà future. In media si ritiene che l'acqua effettivamente consumata sia solo il 5% di quella prelevata, ma il re-stante 95% è in molti casi acqua fortemente inquinata.

Caso a parte è costituito dagli impianti termoelettrici che richiedono acqua per raffreddare e condensare il vapore circolante nelle turbine e restituiscono l'acqua prelevata dolce o salata, con una temperatura aumenta-ta di 8-10°C. I consumi variano a seconda dei processi di raffreddamento.

6.4.4. COSTRUZIONE DELLA CURVA DEI BENEFICI.

In molti progetti, le modalità di impiego della risorsa idrica sono fissate a priori in base a criteri pianificato-ri che prescindono da ogni considerazione sul costo dell'acqua.

In queste situazioni, si ipotizza che la domanda sia rigida per cui la curva dei benefici marginali degenera in una retta verticale che interseca l'asse delle ascisse in corrispondenza del volume totale richiesto dall'uten-za, così come viene calcolato aggregando i fabbisogni unitari.

Dal punto di vista di una corretta analisi economica, però, qualsiasi tipo di domanda viene influenzata dal prezzo del bene offerto. Definita elasticità della domanda E , la tendenza dell'utente a variare la richiesta quantità Q del bene in funzione sia del beneficio marginale b sia del suo valore marginale:

E = - bQ

d Qd b (6.13)

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Si osserva dalla curva dei benefici di Fig.6.2 che una diminuzione del valore (o prezzo) del bene causa una crescita della richiesta in maniera più che proporzionale quando E > 1, mentre succede il contrario per E < 1. Ad una domanda perfettamente rigida corrisponde E = 0.

Ovviamente, qualora la risorsa idrica sia utilizzata come bene strumentale per la produzione agricola o in-dustriale, si deve supporre che il valore dell'elasticità sia ben diverso da zero e che si possa determinare con sufficiente precisione nell'ambito dell'analisi costi-benefici. Comunque, indagini riguardanti l'elasticità della domanda condotta tra l'utenza urbana di alcuni sistemi idrici statunitensi ha mostrato che anche il consumo idropotabile, che generalmente viene considerato assolutamente rigido, ha un certo grado di elasticità. Me-diamente si è trovato che per uso domestico E = 0.23, per usi accessori come l'innaffiamento l'elasticità au-menta notevolmente (E = 0.7 nelle zone secche, E = 1.6 nelle zone temperate).

Se l'elasticità è mantenuta costante, come può essere nel caso di rifornimento idropotabile, si ottiene l'an-damento della curva dei benefici marginali nell'intorno del valore Po fissato con la dotazione idrica Qo stan-dard:

P = Po ( QoQ )1/ E (6.14)

Il punto di incontro tra le curve dei costi e dei benefici marginali dà le dimensioni ottime del sistema (Fig.6.9).

Qualora il sistema sia a fini multipli, la somma (in orizzontale) delle curve dei benefici marginali darà la curva finale delle erogazioni complessive a pari valore marginale; la procedura di ottimizzazione consentirà di fissare la dimensione del sistema e il rapporto tra le erogazioni destinate alle diverse utenze (Fig.6.10).

6.5 CONTROLLO DELLE PIENE

Un sistema di controllo delle piene ha il fine di ridurre e, entro certi limiti, di eliminare i rischi e i danni a beni e persone arrecati dalla esondazione delle acque di piena. In conseguenza dell'azione del sistema ci si deve attendere un beneficio:

B ( Qd ) = ⌡⌠0

∞ [ Ds(Q) - Dc(Q) ] pN (Q) dQ + ∆ V (6.15)

Il beneficio varia con le dimensioni del sistema di controllo, rappresentate dalla portata di dimensionamen-to Qd , ed è dato dalla consistenza dei danni evitati (danni senza difesa Ds meno danni con difesa in atto Dc ) per l'intervento delle opere progettate in occasione di un evento di piena con portate al colmo Q.

I benefici vanno pesati con la probabilità del verificarsi dell'evento di piena con portata Q durante il perio-do di analisi del progetto. La funzione peso è definita come:

pN (Q) = Prob (Q < q ≤ Q + dQ; in N anni). (6.16)

La valutazione dei danni di inondazione, che sono tanto maggiori quanto più è importante la piena, si pre-senta molto difficile e discutibile qualora non siano disponibili valori indice del danno (o funzioni del danno) ricavati da estese e costose indagini e censimenti, che consentono di correlare il danno sofferto dai singoli beni con le caratteristiche idrauliche dell'onda di esondazione.

In generale, nel definire le funzioni di danno Ds e Dc devono essere aggiunti ai danni diretti dovuti alla di-struzione di beni, prodotti, proprietà, ecc., anche i costi di ripristino (evacuazione delle acque stagnanti, puli-tura, ecc.) e i danni indiretti provocati dall'interruzione dei servizi pubblici, delle attività produttive, delle li-nee di comunicazione e così via: nei progetti i danni indiretti sono usualmente computati come percentuale del valore dei danni diretti.

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La perdita di vite umane, il pericolo di epidemie o, genericamente, il peggioramento della situazione sanita-ria provocato dall'inondazione e quant'altro non possa essere valutato efficacemente in termini economici co-stituiscono il danno intangibile.

Anche l'incremento di valore ∆ V delle aree protette dal sistema di controllo contribuisce alla formazione del beneficio dato dalla (6.15).

Le aree protette e le attività che su di esse si svolgono aumentano il loro valore in virtù della diminuzione del rischio di essere inondate; comunque, in una situazione di mercato reale la stima di ∆ V è oltremodo di-scutibile in quanto i valori di mercato sono spesso distorti dal falso senso di sicurezza ingenerato negli abi-tanti dalla realizzazione del sistema di opere di protezione, la cui efficacia può essere esagerata per favorire la speculazione.

I mezzi di difesa dalle piene possono configurarsi in vario modo e vengono solitamente raggruppati in due diverse categorie ben differenziate (sistemi strutturali e sistemi non-strutturali) dal punto di vista dell'analisi costi-benefici.

Nei SISTEMI STRUTTURALI rientrano le opere idrauliche di grandi dimensioni e di costo ragguardevole, fi-nanziate per intero (o quasi) dalla comunità nazionale e che difendono vaste porzioni di territorio. I danni so-no nulli fino a che le opere di difesa si mantengono efficienti ovvero, come di solito si ipotizza, finchè:

Q < Qd (6.17)

Sono mezzi di difesa strutturali:

- serbatoi di laminazione o, come più spesso accade, invasi a fini multipli che prevedono anche la scol-matura delle piene;

- vasche di laminazione o casse di espansione, che possono assumere talvolta l'aspetto di opere idrau-liche complesse come le strutture realizzate dalla AIPo, ex-Magistrato per il Po, sul Parma, sul Sec-chia e sul Panaro;

- arginature, che costituiscono senza dubbio il più antico sistema di difesa messo in opera dall'uomo;

- canali scolmatori o deviatori, che deviano parte della portata di piena del fiume verso un altro corpo i-drico;

- canali diversivi, che aggirano la zona da difendere e restituiscono a valle di questa la portata prelevata a monte;

- sistemazioni d'alveo, realizzate con aumento della sezione bagnata, della pendenza di fondo, riduzione scabrezza del contorno;

- sistemazioni montane, che mirano a ridurre la portata di piena ed il trasporto di materiale solido eroso con la stabilizzazione dei pendii e l'aumento dell'infiltrazione.

I SISTEMI NON-STRUTTURALI richiedono opere ingegneristiche di limitate dimensioni, proteggono solamen-te singole proprietà o beni oppure strutture di particolare interesse e possono, per il contenuto impegno fi-nanziario richiesto, essere poste in opera con i mezzi delle comunità locali o, anche, dei privati. A differenza delle difese strutturali le difese non strutturali non garantiscono mai una protezione completa nemmeno in concomitanza di inondazioni di limitata entità essendo il loro fine precipuo quello di contenere i danni entro limiti tollerabili piuttosto che di eliminarli. Sono mezzi di difesa non strutturali:

- flood proofing: semplici dispositivi, quali porte a tenuta, sopraelevazione dei parcheggi, ecc., che ren-dono le costruzioni meno sensibili agli effetti delle inondazioni;

- piani di protezione civile, ai quali è affidato il compito essenziale di minimizzare i danni intangibili;

- regolamentazione urbanistica, che dovrebbe impedire l'uso improprio di aree inondabili;

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- assicurazioni, che non eliminano il danno ma lo ripartiscono su tutti gli utenti che sono soggetti al peri-colo di inondazione.

6.5.1 COMBINAZIONE DI SISTEMI DI DIFESA.

La stima del costo degli elementi strutturali di difesa non presenta alcun aspetto degno di nota; parimenti, almeno in linea di principio, è semplice la scelta della miglior combinazione di mezzi strutturali.

Se, per fissare le idee, facciamo riferimento ad un sistema di difesa realizzato con un serbatoio di lamina-zione e con arginature, osserviamo che, come nel grafico di Fig.6.11, per l'assegnata portata Qd al colmo del-la piena in arrivo a monte della zona del progetto, l'altezza (e il costo) degli argini diminuisce con l'aumenta-re del volume del serbatoio. Il costo di quest'ultimo aumenta, ovviamente, con le dimensioni dell'invaso. La combinazione di costo minimo dà la soluzione ottimale, avendo supposto che i benefici offerti dalla prote-zione non variano con il tipo di soluzione adottata.

Questa ipotesi non regge quando ad essere tra loro combinati siano mezzi strutturali e non strutturali; per quanto detto al paragrafo precedente le curve dei benefici marginali attesi avranno andamento sostanzialmen-te diverso come si vede in Fig.6.12. Si segue allora il criterio di massimizzare il beneficio a costo assegnato.

Con riferimento alla Fig.6.13 si consideri una difesa strutturale avente un costo Co. Il beneficio offerto da questa difesa può essere confrontato con quello dato dalla combinazione di una difesa strutturale di costo:

Co* = Co - C* (6.18)

e di una difesa non strutturale di costo C*. Variando il costo C* si ottiene la combinazione ottima (C*, Co*) che massimizza il beneficio del sistema di costo globale Co. Ripetendo il calcolo per diversi valori di Qd si determinano sia la curva di costo dei sistemi di protezione ottimale che la corrispondente curva dei benefici. Il dimensionamento finale del sistema, per il valore Qd ottimale, è definito dal confronto dei costi e dei bene-fici marginali (Fig.6.14).

6.6. SISTEMI DI DRENAGGIO

I sistemi di drenaggio, che hanno lo scopo di allontanare le acque in eccesso dalla zona di interesse per le attività antropiche, si dividono in due categorie:

1. le reti di drenaggio urbano (consideriamo qui le sole fognature di acque piovane, dette bianche) che e-vitano il ristagno delle acque piovane sui suoli urbanizzati;

2. le reti di bonifica che, eliminando le acque ristagnanti e abbassando la superficie freatica della falda acquifera, consentono la formazione della fascia di terreno aerata al di sotto della superficie del suolo nella quale può svilupparsi l'apparato radicale della vegetazione e, di conseguenza, permettono la mes-sa a coltura del suolo agricolo.

Anche nelle zone a clima arido, ove le colture sono irrigue, il suolo deve essere drenato per evitare il rista-gno di umidità che danneggia la produzione e per prevenire la salinizzazione dei terreni dovuta all'accumulo dei sali depositati dalle acque infiltrate e quindi evaporate.

6.6.1. COSTRUZIONE DELLA CURVA DEI COSTI.

L'insieme delle opere di drenaggio è costituito:

- dai dreni secondari (che nel loro tratto iniziale sono privati e poi diventano pubblici o consortili) che versano nei collettori;

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- dai dreni principali e collettori che raccolgono le acque dai dreni secondari;

- dalle opere idrauliche (impianti di sollevamento, impianti idrovori, chiaviche, scaricatori di piena, ecc.) che consentono lo scarico delle acque di scolo nel corpo idrico ricettore.

Di norma i drenaggi, che dovrebbero sempre funzionare a pelo libero, nelle fognature sono dei condotti chiusi e interrati, per ragioni igieniche e di salvaguardia ambientale, mentre sono canali a sezione aperta nel-le bonifiche; talvolta, specialmente con terreni limosi o argillosi che sono molto poco permeabili, sono usati dreni di campo interrati o pozzi emungenti per abbassare il livello della falda.

Per un assegnato livello di servizio reso dal sistema di drenaggio, l'insieme delle opere idrauliche che lo co-stituiscono deve essere progettato in modo che abbia il costo (investimento + gestione) minimo: ad esempio può essere conveniente costruire bacini di invaso (detti anche vasche di espansione, ecc.) al fine di ridurre le dimensioni e il costo del collettore finale, dell'impianto di sollevamento e, se le acque raccolte sono inquina-te, dell'impianto di trattamento dei reflui.

Il costo di manutenzione costituisce solitamente una parte significativa del costo delle reti di bonifica: la legge italiana ha previsto l'esistenza di appositi enti (Consorzi di Bonifica) che imponendo tributi agli utenti della bonifica e fruendo di contributi dello Stato e delle Regioni assicurano la gestione della rete.

6.6.2 VALUTAZIONE DEL LIVELLO DI SERVIZIO RICHIESTO

Consideriamo separatamente i due casi.

SISTEMA DI DRENAGGIO URBANO: riduce i danni e i disturbi causati dal ristagno delle acque piovane. I be-nefici, primari e secondari, ad esso connessi sono di difficile valutazione in quanto i danni eliminati, che consistono di solito in un disturbo delle attività antropiche, solo in pochi casi sono direttamente misurabili.

Per quantificare il livello ottimo di servizio richiesto si possono usare i seguenti criteri:

- migliorare l'esistente sistema di drenaggio solo quando la pressione sociale di chi lo richiede diventa molto forte: solo nelle aree da urbanizzare la imposizione degli oneri di urbanizzazione dovrebbe esse-re proporzionata al livello del servizio garantito mentre la generica imposizione fiscale non consente al cittadino di legare il carico fiscale da lui sostenuto al servizio ricevuto (specialmente in Italia ove la ca-pacità impositiva delle Amministrazioni locali è limitata);

- considerare i benefici della fognatura come intangibili e definire il livello di servizio sulla base dell'e-sperienza del progettista;

- costruire un curva (funzione dell'altezza dell'acqua ristagnante sul terreno) dei benefici dovuti alla eli-minazione dei disturbi alle singole attività svolte sul territorio e procedere come si è visto a proposito dei sistemi di protezione dalle piene.

I primi due metodi sono altamente soggettivi e non garantiscono una risposta uniforme al problema; il terzo metodo richiede al progettista uno sforzo non indifferente in quanto non esistono in Italia standard di valuta-zione.

RETE DI BONIFICA: i suoi benefici sono uguali all'aumento e al miglioramento della produzione agricola e alla riduzione dei costi sostenuti per ottenerla. Qualora la destinazione di uso del terreno non sia agricola il beneficio è dato dall'incremento del valore complessivo del suolo bonificato: la stima viene basata sul valore dei terreni che già hanno la medesima destinazione d'uso. La valutazione dei benefici della bonifica può pro-cedere nella seguente maniera:

1. determinazione della resa delle colture in assenza di bonifica:

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a. individuazione da parte dell'agronomo delle principali colture per le varie classi di suolo del com-prensorio che in assenza della bonifica sono assicurate dall'esistente franco di coltivazione,

b. valutazione della produzione di ogni singola coltura,

c. redazione del bilancio aziendale da parte dell'economista agrario per valutare la redditività delle varie colture individuate al punto precedente,

2. determinazione, su tutto il comprensorio, del guadagno totale per ogni singola coltura e, quindi, divi-dendo per la superficie coltivata, calcolo della resa unitaria (€ / ha) per tipo di suolo;

3. ripetizione della procedura 1. nella ipotesi di garantire ovunque un franco minimo di coltivazione pari a 60 cm; in aggiunta ai benefici primari diretti vanno considerati anche i benefici di altro tipo;

4. ripetizione della procedura aumentando ogni volta lo spessore del franco di coltivazione;

5. costruzione della curva dei benefici totali e dei benefici marginali in funzione del franco minimo garan-tito.

Infine ricordiamo che l'analisi economica deve considerare gli effetti della bonifica su:

- sicurezza idraulica dei terreni posti a valle e destinati a ricevere piene più gravi di quelle precedenti;

- ambiente naturale e sopratutto la vita acquatica che vengono in larga parte alterati dalle nuove opere: l'uso sociale e ricreativo dell'ambiente va tenuto in conto;

- riserve idriche che vengono di norma ridotte in quanto l'allontanamento delle acque limita la ricarica della falda acquifera.

6.7. NAVIGAZIONE INTERNA.

La navigazione interna, che consente il trasporto di passeggeri e merci in aree interne, lontane dalla costa, ha costituito l'unico e più diffuso sistema di trasporto fino all'avvento della strada ferrata: nella pianura pada-na una vasta rete di corsi d'acqua navigabili e di canali artificiali collegava fin dal XV secolo le principali cit-tà con i porti marittimi e con le zone di produzione delle materie prime.

A causa del mancato adeguamento delle vie navigabili, la navigazione padana ha perso gran parte della sua importanza; in altri paesi europei come la Germania, la Francia, il Belgio e l'Olanda la navigazione interna mantiene una notevole importanza. Nella Russia e negli Stati Uniti (che hanno quasi 30000 miglia di vie na-vigabili), come anche in tutti i paesi danubiani, il traffico fluviale è favorito dalla presenza di grandi fiumi che agevolano l'impiego di naviglio di grande stazza. La navigazione per vie d'acqua interne dovrebbe essere coordinata:

1. con i trasporti marittimi, sia nel caso che il naviglio marittimo possa proseguire nei corsi d'acqua interni sia nel caso che si debbano realizzare porti di accesso;

2. con il sistema globale dei trasporti per valutare la convenienza della navigazione rispetto agli altri tipi di trasporto e per predisporre un efficiente sistema di scali fluviali.

Gli elementi di un sistema di navigazione interna sono:

1. la VIA D'ACQUA che può essere naturale o artificiale. Il canale navigabile viene realizzato per agevolare la navigazione riducendo la velocità della corrente ed eliminando le curve strette, abbreviare i percorsi, ridurre i costi di manutenzione per dragaggio dei fiumi, evitare i problemi di pescaggio durante le magre fluviali, ecc. Se la navigazione avviene in un corso d'acqua naturale, il suo alveo di magra deve essere sistemato per garantire un tirante d'acqua sufficiente per navigare nel maggior numero di giorni all'anno (di un fiume vengono sistemati secondo criteri diversi l'alveo: di magra - con riferimento al tirante -, or-

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dinario - con riferimento al trasporto solido -, di piena - con riferimento alla portata di piena) oppure il fiume può essere bacinizzato disponendo delle opere di sbarramento (traverse o sostegni);

2. il PORTO FLUVIALE che costituisce il punto di scambio tra i vari sistemi di trasporto ed è formato da: ca-nale di accesso, aree esterne di ormeggio, bacino di evoluzione, banchine, armamento ( per carico e sca-rico);

3. la FLOTTA FLUVIALE che può essere costituita da motonavi oppure da convogli di chiatte con spintore (più raramente con rimorchiatore); in Europa abbiamo diversi tipi di imbarcazioni: gli standard sono le navi fluviali di IV Classe con stazza lorda di 1350 t e dimensioni di 97.5 x 9.7 m con 3.0 m di pescaggio e le navi fluviali di V Classe.

Il progetto dell'adeguamento di un sistema di navigazione fluviale, le cui strutture debbono essere tutte di-mensionate rispetto alla medesima classe di natanti, ha lo scopo di definire l'insieme delle opere che ne mas-simizza il beneficio netto.

Le curve dei costi e dei benefici marginali, utilizzate per il confronto costi-benefici, espressi in € / t km op-pure in € / t movimentata lungo la via d'acqua, sono in funzione del volume annuo di merce movimentata.

6.7.1 COSTRUZIONE DELLA CURVA DEI COSTI

Il costo totale Ct del trasporto fluviale:

Ct = ( Cc + Cm ) + ( Cp + Cs ) (6.19)

è dato dalla somma dei costi, espressi nella medesima unità di misura:

- Cc di costruzione del canale e delle opere connesse,

- Cm di movimentazione delle merci lungo il canale,

- Cp di costruzione del porto,

- Cs delle attività portuali.

Assegnato un volume annuo di merce movimentata, le dimensioni delle opere ( capacità portuale e capacità della via d'acqua ) debbono essere tali che il loro costo totale (6.19) sia minimo.

Il volume annuo di merce movimentabile dal porto, considerando anche le condizioni avverse di clima e di operatività (come scioperi e altro), viene detto capacità portuale. Usualmente la capacità portuale risulta limi-tata da un collo di bottiglia che deve essere individuato e rimosso.

Assegnato un volume annuo di merce movimentabile, con l'aumento della dimensione delle strutture por-tuali, che implica aumento di Cp , diminuisce Cs in quanto le navi possono accedere alle operazioni di carico e scarico più rapidamente, riducendo le code e quindi i tempi morti e i ritardi nelle consegne.

Il volume annuo di merce trasportabile lungo il canale, considerando anche le condizioni avverse di clima, viene detto capacità del canale. Si noti che il traffico effettivo è di norma inferiore al 25% della capacità.

Il costo Cm diminuisce quando:

- la sezione del canale aumenta, per cui diminuiscono le resistenze all'avanzamento e inoltre si possono usare navi più grandi;

- il canale è rivestito, per cui le navi possono procedere a maggiore velocità senza erodere le sponde con le loro onde;

- le conche di navigazione sono più complesse e costose in quanto permettono di ridurre i tempi di concata dati dalla somma dei tempi di: entrata, ormeggio, chiusura delle porte, riempimento o svuotamento, aper-tura delle porte, uscita e allontanamento.

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Anche in questo caso, la capacità che minimizza il costo totale si trova con il criterio di Fig.6.14.

6.7.2 BENEFICIO RITRAIBILE DAL TRASPORTO FLUVIALE.

Il beneficio è dato dalla riduzione del costo di trasporto di una data merce (dal punto di spedizione a quello di consegna) consentita dal sistema fluviale in progetto. Il risparmio è:

R = Ca - (Cm + Cs) - Cv (6.20)

ove compaiono, oltre ai già visti Cm , Cs :

- Ca il meno costoso tra i sistemi di trasporto alternativi alla navigazione,

- Cv il premio che lo spedizioniere è disposto a pagare per il miglior servizio reso dal mezzo di trasporto altenativo. La navigazione è troppo lenta per certe merci che, per tale ragione, vengono spedite con altri mezzi.

Tutte le merci con R > 0 dovrebbero essere trasportate per via d'acqua ma è bene fare una indagine tra gli spedizionieri per verificare che non ci siano ragioni contrarie al trasporto fluviale; si deve notare che, di soli-to nei grandi sistemi fluviali, 10 o 20 tipi di merce costituiscono il 95% del volume di traffico.

Stimati i volumi da trasportare sulla base della domanda esistente e delle proiezioni economiche a scala re-gionale, si costruisce la curva di Fig.6.15 ove sono riportati, disposti in ordine decrescente, i risparmi con-nessi ai beni trasportabili: l'area evidenziata in Fig.6.15 è il beneficio diretto ritraibile da un sistema di capa-cità V: al beneficio diretto si debbono aggiungere i benefici di altro tipo.

6.8. PRODUZIONE IDROELETTRICA

La generazione di energia elettrica in alcuni ben definiti siti di produzione e la sua praticamente istantanea trasmissione su tutto il territorio in case, uffici e industrie ove essa viene trasformata in energia meccanica, calore o luce costituisce uno dei più importanti aspetti della moderna società industriale.

Le fonti di energia utilizzabili per generare elettricità sono:

- l'ENERGIA POTENZIALE resa disponibile da una corrente d'acqua tra due punti del suo percorso;

- l'ENERGIA TERMICA rilasciata nella fase di raffreddamento del ciclo del vapore. Quest'energia si differen-zia a seconda del combustibile utilizzato per generare calore:

- negli impianti termoelettrici viene utilizzato combustibile fossile: carbone o petrolio o gas natura-le; in alcuni casi il combustibile fossile viene utilizzato per azionare impianti diesel o turbine a gas che non dipendono dal ciclo del vapore;

- negli impianti nucleari vengono utilizzati in reattori di vario genere metalli radioattivi come ura-nio, torio, plutonio o loro composti;

- l'energia geotermica: nelle centrali geotermiche viene utilizzato il vapore ad alta temperatura che proviene dal sottosuolo;

- le energie alternative come quelle prodotte da vento, maree, irraggiamento solare.

In molti paesi la produzione elettrica avvenne inizialmente per generazione termica in quanto le centrali temoelettriche potevano essere costruite vicino ai siti di utilizzazione evitando le notevoli perdite di energia provocate inizialmente dalle inefficienti linee di trasmissione elettrica.

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Il miglioramento dei sistemi di trasmissione dell'elettrica portò all'incremento della produzione idroelettri-ca; in seguito, il miglioramento dell'efficienza degli impianti termici e la scarsità di nuovi siti ove costruire centrali idroelettriche ha restituito importanza alla generazione termoelettrica.

Negli ultimi decenni in molte nazioni è stata sviluppata la produzione in impianti nucleari che risultano competitivi rispetto agli impianti termici tradizionali.

6.8.1 LA DOMANDA ELETTRICA.

La generazione di energia elettrica deve seguire nel tempo l'andamento della domanda (Fig.6.16) in quanto l'energia elettrica non può essere immagazzinata in maniera economica ma deve essere istantaneamente con-sumata. Il grafico del CARICO ELETTRICO richiesto alla produzione è costituito da un carico di base e da valo-ri di picco di potenza.

Gli impianti idroelettrici hanno, rispetto agli altri, il grande vantaggio di poter variare pressoché istantane-amente, con la regolazione della portata che giunge alle macchine, la potenza prodotta adattandosi alle ri-chieste della rete.

I grandi impianti termoelettrici debbono essere portati all'appropriata temperatura per realizzare la trasfor-mazione energetica attraverso il ciclo del vapore: di conseguenza risulta molto costoso variare il regime di produzione di questi impianti. Quando è necessario utilizzare impianti termici per sopperire alle richieste di punta risulta meno costoso l'impiego di motori diesel o di turbine a gas che hanno una minore efficienza ma che richiedono minor impiego di capitale per la loro costruzione.

Attualmente gli impianti termici sono realizzati per soddisfare la richiesta di base - servizio continuo - men-tre gli impianti idroelettrici vengono utilizzati per produrre energia nelle ore di maggior richiesta -servizio di potenza -.

Qualora non sia possibile installare impianti idroelettrici di potenza sufficiente per garantire potenza duran-te i picchi di richiesta vengono utilizzati gli impianti di pompaggio: questi usano energia a basso costo duran-te le ore di scarsa richiesta per pompare acqua in serbatoi dai quali l'acqua viene rilasciata nelle ore di picco per generare energia pregiata. È conveniente disporre gli impianti di pompaggio nei luoghi dove sono già di-sponibili due serbatori disposti a quota molto diversa tra loro per sfruttare il forte salto.

La scelta tra i due sistemi di produzione di energia elettrica, termico e idraulico, è influenzata da numerosi fattori.

Gli impianti idroelettrici hanno:

- un più alto costo di costruzione in quanto richiedono la realizzazione della diga, delle opere idrauliche accessorie, l'esproprio di vaste aree per la realizzazione dell'invaso artificiale e lo spostamento delle strutture esistenti che verranno sommerse dalle acque del serbatoio;

- un costo di gestione molto minore in quanto possono essere operati con poco personale oppure, anche automatizzati per operazioni a distanza; il costo dell'acqua è molto basso in quanto essa non viene con-sumata ma può essere riutilizzata da altri utenti;

- un più alto costo di trasmissione in quanto essi sono realizzati in siti isolati che richiedono lunghe linee di trasmissione per portare l'energia nei luoghi di utilizzazione;

- un danno paesaggistico che è maggiore per gli impianti idroelettrici che sono costruiti spesso in zone di notevole bellezza naturale.

Gli impianti termici hanno un maggiore impatto sull'ambiente in quanto essi:

- sono grandi consumatori di acqua utilizzata per il raffreddamento dei condensatori; a seconda del sistema di raffreddamento adottato, l'acqua può essere realmente consumata oppure restituita a un corpo d'acqua ricettore. In questo secondo caso l'aumento della temperatura risulta dannoso per la vita acquatica e ridu-

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cendo il contenuto di ossigeno disciolto nel corpo idrico naturale ne limita la capacità di assimilare i re-flui degradabili;

- emettono fumi inquinanti l'atmosfera con i prodotti della combustione (incompleta) dei combustibili fos-sili;

- producono rifiuti solidi che debbono essere portati in discarica: il problema dello stoccaggio dei rifiuti della combustione nucleare si presenta di estrema importanza e di onerosa soluzione.

6.8.2 CLASSIFICAZIONE DEGLI IMPIANTI IDROELETTRICI

E' abituale proporre la seguente classificazione. Con riferimento alla possibilità di regolazione dei deflussi si hanno:

1. impianti ad acqua fluente che utilizzano la potenza della corrente resa disponibile dalla riduzione delle perdite di carico subite dalla corrente naturale. Ciò può essere ottenuto diminuendo la velocità della corrente con l'aumento della sezione liquida rispetto alla sezione naturale attraverso la costruzione di uno sbarramento, fisso o mobile, che crei un opportuno rigurgito. La riduzione delle perdite di carico naturali può essere ottenuta anche realizzando un canale di derivazione con sezione di caratteristiche idrauliche più favorevoli di quelle dell'alveo naturale, con minore scabrezza di contorno e minore lun-ghezza;

2. impianti con serbatoio (invaso) di regolazione che consente di modulare la erogazione della portata in modo da produrre solo la potenza richiesta dalla rete indipendentemente dal regime delle portate natu-rali. La regolazione del serbatoio può essere giornaliera, settimanale, stagionale o pluriennale a seconda del rapporto tra il volume dell'invaso e il volume di deflusso annuo nel corso d'acqua alla sezione di de-rivazione.

Con riferimento alla caduta si hanno:

a. impianti a bassa caduta se Hd < 30 m;

b. impianti a media caduta se 30 < Hd < 400 m;

c. impianti ad alta caduta se Hd > 400 m.

Un impianto idroelettrico è caratterizzato dai seguenti elementi (Fig.6.17 ):

SALTO (m):

- naturale (o caduta ) Hn : dislivello tra le quote del pelo libero del serbatoio (o del punto più a monte del rigurgito provocato dall'opera di sbarramento o di presa) e del pelo libero del recapito naturale, a valle delle opere di restituzione;

- disponibile (o salto utile lordo) Hd : dislivello tra il pelo libero a regime del pozzo piezometrico (o della vasca di carico se l'adduzione è a pelo libero) e il pelo libero del recapito. Differisce dal salto naturale per la somma delle perdite incontrate nella adduzione fino all'imbocco della condotta forzata ed even-tualmente per le perdite nelle opere di restituzione. Il salto legale a norma del Testo Unico del 1933 si assume uguale al salto disponibile;

- motore (o salto utile netto) Hm : dislivello effettivamente utilizzato dalla turbina.

PORTATA ( m3/s ):

- naturale Q: portata istantanea del corso d'acqua alla sezione di derivazione in assenza delle opere idrauli-che connesse all'impianto;

- massima derivabile Qmax : portata massima che può essere derivata attraverso le opere di presa e di ad-duzione;

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- derivabile (o disponibile) Qd : portata effettivamente derivabile in relazione alla portata del corso d'ac-qua;

- utilizzabile Qu : portata massima che può attraversare le macchine della centrale.

POTENZA (kW):

- legale (o di concessione) WL : potenza media teoricamente sviluppabile in un anno con le portate di cui è ammessa la derivazione e con i valori del salto legale;

- effettiva WE :

WE = 9.81 ηt ηg Qu Hm (6.21)

ove:

ηt = 0.85÷0.93 rendimento della macchina idraulica,

ηg = 0.95÷0.97 rendimento del macchina elettrica.

Introducendo il rendimento delle condotte forzate ηc = 0.93÷0.98 si ha:

WE = 9.81 ηc ηt ηg Qu Hd (6.22)

- installata Wi : somma delle potenze di targa delle macchine idrauliche (potenza idraulica installata) ed elettriche (potenza elettrica installata) complessivamente presenti in centrale, ivi comprese le eventuali riserve. La potenza installata deve essere superiore alla massima potenza richiesta per prevenire condi-zioni di fuori servizio: dobbiamo ricordare che la potenza prodotta dipende dal carico e quindi con lo svuotamento del serbatoio, qualora questo esista, si deve aumentare la portata per mantenere costante la potenza.

ENERGIA (kWh): l'energia viene prodotta in un tempo T pari a 1 giorno, 1 mese, 1 anno misurato in ore. Si distinguono:

- energia teorica Et : energia ritraibile con le portate derivabili e i salti utili lordi istantaneamente disponi-bili:

Et = 1

3600 ⌡⌠0

T 9.81 Qd Hd dt (6.23)

- energia effettiva EE che differisce dall'energia teorica per i rendimenti delle condotte forzate e delle mac-chine:

Ee = ηc ηt ηg Et (6.24)

L'energia generata (kWh) è rappresentata dall'area sottesa dal diagramma della potenza di Fig.6.16.

Il FATTORE DI CARICO (o load factor ) è il rapporto tra l'energia effettivamente prodotta e l'energia prodotta nel caso in cui l'impianto funzionasse sempre alla potenza di punta. Si distinguono nella produzione di un impianto idroelettrico:

- la potenza primaria che è la massima potenza che può essere generata dall'impianto senza alcuna interru-zione nemmeno durante i periodi di magra. Gli utenti civili e commerciali usano potenza primaria;

- la potenza secondaria che non può essere sempre garantita ma è comunque disponibile per almeno metà del tempo: l'energia secondaria è usualmente venduta a un prezzo inferiore rispetto all'energia primaria a quegli impianti idustriali che trovano meno costoso sospendere la produzione durante le sospensioni del-l'erogazioni che non pagare il prezzo intero dell'energia primaria. L'energia secondaria viene prodotta turbinando una portata più grande di quella strettamente necessaria tutte le volte che il serbatoio si sta riempiendo oppure quando si prevede che arriverà al serbatoio un afflusso sufficientemente grande per riempirlo: in sintesi, è preferibile produrre energia a basso prezzo piuttosto che sprecare acqua attraverso

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lo sfioratore di piena. Con il mercato comune dell’enegia, consentito dalla interconnessione delle reti e-lettriche, la suddivisione tra produzione primaria e produzione secondaria dipende dalle operazioni pre-viste sull'intera rete di distribuzione elettrica: la combinazione di impianti idroelettrici con impianti ter-moelettrici ha lo scopo di rendere primaria tutta l'energia prodotta dagli impianti idroelettrici. Inoltre la gestione dell'intero sistema consiglierà il tipo di energia da produrre con l'inserimento di un nuovo im-pianto in una rete estesa;

- la potenza di scarto è disponibile per meno della metà del tempo: questo tipo di energia è venduta a prez-zi molto bassi a industrie che possono consumare grandi quantità di energia per tempi ridotti.

In aggiunta alla efficienza meccanica e idraulica viene definita anche la efficienza economica degli impian-ti idroelettrici con pompaggio. La efficienza economica è il rapporto tra il valore monetario dell'energia uti-lizzata per il sollevamento diviso per il valore monetario dell'energia generata. L’efficienza economica è data dal prodotto delle efficienze meccaniche ed idrauliche per il rapporto tra il prezzo dell'energia prodotta diviso il prezzo dell'energia consumata. In un impianto di pompaggio l'efficienza economica normalmente raggiun-ge il valore di 4 ÷ 6.

6.8.3 COSTRUZIONE DELLA CURVA DI OFFERTA

Le definizioni date nel paragrafo precedente fissano il valore della produzione di energia primaria e di e-nergia secondaria di un impianto ad acqua fluente di nota potenza installata. La produzione di energia idroe-lettrica cresce se l'impianto è servito da un serbatoio. In tal caso l'energia prodotta dipende da:

- capacità del serbatoio,

- regime idrologico del corso d'acqua che alimenta il serbatoio, che può essere in certi casi influenzato an-che dai diritti di prelievo degli altri utenti e dalla richiesta di rilascio del DEFLUSSO MINIMO VITALE a val-le dello sbarramento,

- salto disponibile, che varia con il grado di riempimento del serbatoio.

Il calcolo della produzione dell'energia elettrica per assegnata capacità del serbatoio, fornisce l'andamento dell'energia prodotta in funzione del volume del serbatoio; tenendo conto del rapporto tra i prezzi dell'energia secondaria e dell'energia primaria è possibile tracciare anche la curva dell'energia totale (espressa in kWh equivalenti di energia primaria ) con procedura analoga a quella illustrata in Fig.6.8. La figura mostra che al crescere della capacità del serbatoio diminuisce la produzione di energia secondaria.

Osserviamo che dai serbatoi al servizio di impianti idroelettrici non è conveniente prelevare acqua quando il salto disponibile diminuisce al di sotto di un valore limite, per lo svuotamento dell'invaso. Siccome l'im-pianto deve garantire la disponibilità continua dell'assegnata potenza con la quale produrre energia primaria è ovvio che la diminuzione del salto disponibile porta all'aumento della portata da turbinare in modo che la po-tenza generata sia costante. Ciò implica che l'impianto (condotte, macchine, ecc.) deve essere sovradimen-sionato e che, funzionando in queste condizioni, il serbatoio si svuota molto rapidamente. Diversamente, con basso livello nel serbatoio l'impianto produrrebbe soltanto energia secondaria in quanto non sarebbe in grado di soddisfare la domanda.

Per tali ragioni si preferisce non utilizzare parte del volume di invaso piuttosto di sovradimensionare l'im-pianto per fargli produrre una quantità lievemente più grande di energia primaria.

Il valore limite di cui si è detto viene stabilito con una procedura economica di ottimizzazione: in sostanza la dimensione complessiva delle opere (comprendenti invaso utile e invaso inutilizzabile) viene fissata in modo che l'energia annua sia prodotta con l'impianto di minimo costo complessivo.

In definitiva, noti i costi di costruzione viene ricavata, come si è detto, la curva che fornisce in funzione dell'equivalente di energia primaria prodotta (kWh/anno) il costo annuo di generazione. Derivando questa curva si ottiene la curva dei costi marginali.

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6.8.4 CURVA DI DOMANDA.

La curva di domanda di energia elettrica può essere definita correggendo, come si è visto in § 6.4.4, il prez-zo base dell'energia per il coefficiente di elasticità della domanda. Comunque osserviamo che nel caso di va-lutazione di un singolo progetto inserito in un sistema complesso la curva di domanda è essenzialmente oriz-zontale con prezzo pari al prezzo di vendita corrente in quanto il singolo progetto è troppo piccolo per in-fluenzare il prezzo dell'elettricità: in altre parole la elasticità della domanda ha valore circa infinito.

Qualora invece il progetto influenzasse il mercato dell'energia del Paese dovrebbe essere condotta un'anali-si di mercato per definire il prezzo futuro in funzione degli usi dell'energia, degli sviluppi della società e dei previsti miglioramente tecnologici.

Osserviamo che in un settore industriale come quello della produzione elettrica che ha per sua natura le ca-ratteristiche di monopolio il mercato non raggiunge automaticamente le condizioni di equilibrio tra la do-manda e l'offerta: ciò implica che lo Stato deve regolamentare i prezzi dell'energia. In molte nazioni la pro-duzione di energia elettrica è riservata a imprese statali o a società a prevalente partecipazione statale.

Anche negli Stati Uniti la proprietà delle società produttrici è largamente pubblica: circa il 20% della capa-cità totale di generazione è gestita da enti locali (stati, comuni, enti governativi), il 38% da società private e il 42% dal governo federale, così ripartito: USACE 50%, USBR 32%, TVA 18%.

In Fig.6.18a è evidenziato il significato di una riduzione del prezzo dell'energia elettrica rispetto al valore di mercato. Se i sussidi statali riducono il prezzo dal punto a al punto b della curva risulta che l'area A rappre-senta l'entità del sussidio statale (finanziato attraverso le tasse) agli utilizzatori di energia elettrica, mentre l'area B rappresenta il costo sociale degli sprechi.

Nella condizione di monopolio privato di Fig.6.18b il prezzo dell'energia cresce da a a c: in tal caso avremo un profitto monopolistico indicato dall'area D e un costo sociale della politica di monopolio (che riduce i consumi) indicato dall'area C.

Il confronto tra costi e benefici indicato in Fig.6.19 definisce la dimensione ottimale dell'impianto.

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7 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Natale L. (2007) Idraulica Applicata - Appunti del corso. http:www.unipv.it/webidra

http://sirsi.infrastrutturetrasporti.it

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8 ELENCO DELLE FIGURE

2.1 Equazione dei laghi 2.2 Equazione di Bernoulli 2.3 Abaco di Nikuradse 2.4 Abaco di Moody 2.5 Brusco allargamento 2.6 Perdite di carico nei pezzi speciali 2.7 Schema di impianto idroelettrico 2.8 Schema di impianto di sollevamento 2.9 Diaframma 2.10 Boccaglio 2.11 Venturimetro 2.12 Contatori volumetrici 2.13 Profilo di pelo libero 2.14 Risalto 2.15 Stramazzo Bazin 2.16 Solido di portata 3.1 Il ciclo idrologico 3.2 Curve di possibilità pluviometrica del pluviografo di Piubega per il tempo di ritorno T = 50 anni 3.3 Curve regolarizzatrici della distribuzione del massimo annuo di portata del Tevere a Ripetta 3.4 Curva di durata delle portate del Chiese a Bondone 3.5a Calcolo della capacità di regolazione del lago di Como: metodo del serbatoio infinito 3.5b Calcolo della capacità di regolazione del lago di Como: metodo del serbatoio semi-infinito 4.1 Sbarramento di ritenuta: definizioni

4.2 Azioni esterne sulla diga a gravità

4.3 Calcolo delle tensioni principali ai paramenti della diga a gravità ordinaria

4.4 Confronto tra dighe di differente tipologia

4.5 Schema della diga ad archi indipendenti e scorrevoli

4.6a Diga a raggio costante

4.6b Diga ad angolo costante

4.6c Diga a raggio e angolo variabili

4.7 Reazioni iperstatiche all'incastro dell'arco di spessore costante

4.8 Tipi di dighe in terra

4.9 Generica linea del flusso di filtrazione

4.10 Dispositivi di impermeabilizzazione della fondazione

4.11 Filtri e dreni

4.12 Saturazione del corpo diga in situazione ordinaria e di rapido svuotamento

4.13 Sezione tipo di diga in pietrame con nucleo impermeabile

4.14 Sezione tipo di diga in pietrame con manto impermeabile

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6.1 uso combinato di beni sostitutivi: curve di indifferenza e curve isoreddito

6.2 curva dei benefici totali e curva dei benefici marginali

6.3 uso combinato di mezzi di produzione sostitutivi: curva isoquanti e curva isocosto

6.4a spazio di fattibilità tecnica: curva di trasformazione

6.4b combinazione ottima di beni prodotti

6.5 dimensionamento ottimo del sistema: curva dei benefici marginali e curva dei costi marginali

6.6a approvvigionamento idrico: massimizzazione del beneficio sociale

6.6b approvvigionamento idrico: massimizzazione del ricavo del produttore

6.7 determinazione del valore equivalente della erogazione secondaria da un invaso idrico

6.8 correzione della curva dei costi dell'impianto di ritenuta considerando l'erogazione secondaria

6.9 analisi costi benefici: costruzione della curva dei benefici marginali dalla elasticità della domanda

6.10 combinazione ottima della distribuzione idrica multiutente

6.11 controllo delle piene: combinazione ottima di invaso di laminazione e dimensione degli argini

6.12 confronto tra curve di danno per protezione: (a) senza, (b) non strutturale, (c) strutturale

6.13 costruzione della curva dei costi per combinazione di mezzi strutturali e non strutturali

6.14 controllo delle piene: confronto costi - benefici

6.15 navigazione interna: determinazione del beneficio marginale del trasporto di più merci

6.16 diagramma di carico giornaliero della rete

6.17 elementi dell'impianto idroelettrico

6.18 effetto del sussidio pubblico

6.19 confronto costi - benefici dell'impianto idroelettrico