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A partire dal 1970, l’industria mondiale del petrolio e del gas è stata trasformata da una serie di enormi cam- biamenti che hanno interessato il contesto economico, politico e tecnologico. L’adattamento a queste forze ester- ne ha comportato mutamenti di rilievo nelle strategie delle imprese operanti nel settore degli idrocarburi. L’im- patto di questi mutamenti risulta evidente se si confron- tano le principali imprese dell’industria nel 1970 e nel 2004 (tab. 1). Nel 1970, dominavano le Sette Sorelle, 1 le più importanti compagnie petrolifere statunitensi ed euro- pee, pioniere nello sviluppo dell’industria per gran parte del 20° secolo. Cinque di queste erano americane: Exxon (allora Standard Oil New Jersey), Mobil, Chevron (allo- ra Standard Oil California), Texaco e Gulf Oil; le restan- ti due europee: Royal Dutch/Shell Group, joint venture anglo-olandese, e British Petroleum (BP). Il dominio sta- tunitense nella classifica delle principali imprese petro- lifere si estendeva anche oltre le Sette Sorelle: 12 delle 20 più grandi compagnie petrolifere avevano sede negli Stati Uniti. È degno di nota il fatto che tutte le compa- gnie non statunitensi (eccetto Royal Dutch/Shell Group, PetroFina e Nippon Oil) fossero completamente o par- zialmente di proprietà pubblica. Tutte le principali impre- se nel 1970 erano verticalmente integrate e caratteriz- zate da una distribuzione internazionale delle loro atti- vità. Faceva eccezione la Nippon Oil le cui principali attività erano concentrate nelle fasi a valle del ciclo petro- lifero e localizzate all’interno del Giappone. Nel 2004, le Sette Sorelle erano diventate quattro: ExxonMobil, Royal Dutch/Shell Group, BP e Chevron- Texaco. A queste si erano aggiunte la Total (che si era fusa con Elf Aquitaine e PetroFina) e la ConocoPhillips, arrivando così a creare un gruppo leader costituito da 6 supermajors. Tuttavia, nonostante il persistente dominio da parte di un piccolo gruppo di major localizzate in Occidente e integrate, la lista delle prime 20 imprese nel 2004 era profondamente diversa da quella di 35 anni pri- ma. Il cambiamento più importante è stato l’ampliamento della varietà internazionale delle principali imprese. Le nuove entrate nelle fila delle più grandi compagnie del petrolio e del gas erano soprattutto imprese di Stato loca- lizzate nei principali paesi produttori di petrolio (Pemex in Messico, Statoil in Norvegia, PDVSA in Venezuela, Gazprom in Russia) o nei maggiori paesi consumatori (China Petroleum & Chemical e PetroChina in Cina, SK Corporation nella Corea del Sud e Indian Oil in India). A dire il vero, il nostro elenco sottostima grossolana- mente l’importanza delle compagnie petrolifere nazio- nali di diversi paesi produttori che non pubblicano i loro conti finanziari. Facendo una stima delle loro entrate, Saudi Aramco e National Iranian Oil Corporation ver- rebbero certamente incluse nella lista del 2004 delle prime 20 imprese. 5.2.1 Le forze che guidano i cambiamenti nell’industria Fattori politici Il fattore più importante che ha causato un cambia- mento nella struttura dell’industria e nelle strategie delle imprese petrolifere e del gas è stato il mutamento del quadro politico internazionale. La fine degli anni Ses- santa e l’inizio degli anni Settanta hanno visto la cre- scente presa di coscienza da parte dei paesi produttori di petrolio del potere economico e politico loro conferito dal fatto di possedere riserve petrolifere. Sebbene l’Or- ganizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) sia stata fondata nel 1960, sono state le rinegoziazioni delle concessioni petrolifere da parte della Libia nel 1970 e dell’Iran nel 1971, seguite dalla guerra arabo-israeliana 301 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI 5.2 Le strategie delle compagnie petrolifere dal 1970 a oggi 1 Il termine Sette Sorelle è stato coniato da Enrico Mattei, il fondatore della compagnia energetica italiana Eni, ed è stato poi divulgato da Anthony Sampson con il suo libro The Seven Sisters (1975).

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Page 1: 5.2 Le strategie delle compagnie petrolifere dal 1970 a oggi · A partire dal 1970, l’industria mondiale del petrolio e ... attività erano concentrate nelle fasi a valle del ciclo

A partire dal 1970, l’industria mondiale del petrolio edel gas è stata trasformata da una serie di enormi cam-biamenti che hanno interessato il contesto economico,politico e tecnologico. L’adattamento a queste forze ester-ne ha comportato mutamenti di rilievo nelle strategiedelle imprese operanti nel settore degli idrocarburi. L’im-patto di questi mutamenti risulta evidente se si confron-tano le principali imprese dell’industria nel 1970 e nel2004 (tab. 1). Nel 1970, dominavano le Sette Sorelle,1 lepiù importanti compagnie petrolifere statunitensi ed euro-pee, pioniere nello sviluppo dell’industria per gran partedel 20° secolo. Cinque di queste erano americane: Exxon(allora Standard Oil New Jersey), Mobil, Chevron (allo-ra Standard Oil California), Texaco e Gulf Oil; le restan-ti due europee: Royal Dutch/Shell Group, joint ventureanglo-olandese, e British Petroleum (BP). Il dominio sta-tunitense nella classifica delle principali imprese petro-lifere si estendeva anche oltre le Sette Sorelle: 12 delle20 più grandi compagnie petrolifere avevano sede negliStati Uniti. È degno di nota il fatto che tutte le compa-gnie non statunitensi (eccetto Royal Dutch/Shell Group,PetroFina e Nippon Oil) fossero completamente o par-zialmente di proprietà pubblica. Tutte le principali impre-se nel 1970 erano verticalmente integrate e caratteriz-zate da una distribuzione internazionale delle loro atti-vità. Faceva eccezione la Nippon Oil le cui principaliattività erano concentrate nelle fasi a valle del ciclo petro-lifero e localizzate all’interno del Giappone.

Nel 2004, le Sette Sorelle erano diventate quattro:ExxonMobil, Royal Dutch/Shell Group, BP e Chevron-Texaco. A queste si erano aggiunte la Total (che si erafusa con Elf Aquitaine e PetroFina) e la ConocoPhillips,arrivando così a creare un gruppo leader costituito da 6supermajors. Tuttavia, nonostante il persistente dominioda parte di un piccolo gruppo di major localizzate inOccidente e integrate, la lista delle prime 20 imprese nel2004 era profondamente diversa da quella di 35 anni pri-ma. Il cambiamento più importante è stato l’ampliamento

della varietà internazionale delle principali imprese. Lenuove entrate nelle fila delle più grandi compagnie delpetrolio e del gas erano soprattutto imprese di Stato loca-lizzate nei principali paesi produttori di petrolio (Pemexin Messico, Statoil in Norvegia, PDVSA in Venezuela,Gazprom in Russia) o nei maggiori paesi consumatori(China Petroleum & Chemical e PetroChina in Cina, SKCorporation nella Corea del Sud e Indian Oil in India).A dire il vero, il nostro elenco sottostima grossolana-mente l’importanza delle compagnie petrolifere nazio-nali di diversi paesi produttori che non pubblicano i loroconti finanziari. Facendo una stima delle loro entrate,Saudi Aramco e National Iranian Oil Corporation ver-rebbero certamente incluse nella lista del 2004 delleprime 20 imprese.

5.2.1 Le forze che guidano i cambiamenti nell’industria

Fattori politiciIl fattore più importante che ha causato un cambia-

mento nella struttura dell’industria e nelle strategie delleimprese petrolifere e del gas è stato il mutamento delquadro politico internazionale. La fine degli anni Ses-santa e l’inizio degli anni Settanta hanno visto la cre-scente presa di coscienza da parte dei paesi produttori dipetrolio del potere economico e politico loro conferitodal fatto di possedere riserve petrolifere. Sebbene l’Or-ganizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC)sia stata fondata nel 1960, sono state le rinegoziazionidelle concessioni petrolifere da parte della Libia nel 1970e dell’Iran nel 1971, seguite dalla guerra arabo-israeliana

301VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI

5.2

Le strategiedelle compagnie petrolifere

dal 1970 a oggi

1 Il termine Sette Sorelle è stato coniato da Enrico Mattei,il fondatore della compagnia energetica italiana Eni, ed è statopoi divulgato da Anthony Sampson con il suo libro The SevenSisters (1975).

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del 1973, a porre le condizioni per l’aumento dei prez-zi del petrolio attuato dall’OPEC nel 1973-1974.

Il potere e la determinazione dei paesi produttori dipetrolio si sono anche manifestati attraverso un più aggres-sivo approccio nei confronti delle major petrolifere inter-nazionali. Dal 1960 in poi (ancora prima nel caso del-l’Iran), molti paesi produttori hanno nazionalizzato neisettori del petrolio e del gas le società controllate dalleimprese straniere e quelle in regime di joint venture loca-lizzate all’interno dei loro confini, dando così vita a com-pagnie statali responsabili dello sfruttamento delle riser-ve nazionali di idrocarburi e della conclusione di accor-di con le compagnie petrolifere occidentali (tab. 2). Ildesiderio dei paesi produttori di appropriarsi di una quotamaggiore del valore delle loro risorse petrolifere non è

stato altro che una manifestazione della volontà politicae degli obiettivi di sviluppo economico dei paesi in viadi sviluppo e dei paesi non allineati. Parimenti, i nuovipaesi produttori di petrolio del mondo industrializzato(in particolare Norvegia e Regno Unito) hanno volutomassimizzare a beneficio di se stessi lo sfruttamentodelle loro riserve. La messa all’asta delle licenze di esplo-razione e produzione, gli accordi di partecipazione enuove tasse sul petrolio non erano azioni limitate ai solipaesi politicamente aggressivi dell’OPEC. Alcuni deitentativi più ambiziosi e incisivi da parte dei paesi pro-duttori di appropriarsi degli introiti derivanti dalle lororisorse petrolifere sono stati realizzati dai governi nor-vegese e britannico in relazione allo sfruttamento delpetrolio del Mare del Nord.

302 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GLI ATTORI DELL’INDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI E LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

tab. 1. Le prime 20 compagnie petrolifere e del gas classificate in base alle vendite negli anni 1970 e 2004

* Valore stimato.** La Total allora era chiamata Compagnie Française des Pétroles.Fonti: Rapporti annuali delle compagnie; «Fortune» e «Forbes», 1970 e 2004.

CompagniaVendite

nel 2004 (109 $)Compagnia

Venditenel 1970 (109 $)

BP (Regno Unito) 285,1 Exxon (Stati Uniti) 16,6

Royal Dutch/Shell Group(Paesi Bassi/Regno Unito)

265,2Royal Dutch/Shell Group (Paesi Bassi/Regno Unito)

10,8

ExxonMobil (Stati Uniti) 264,0 Mobil (Stati Uniti) 7,3

ChevronTexaco (Stati Uniti) 142,9 Texaco (Stati Uniti) 6,3

Total (Francia) 131,6 Gulf Oil (Stati Uniti) 5,4

ConocoPhillips (Stati Uniti) 118,7 Chevron (Stati Uniti) 4,2

Eni (Italia) 79,3 British Petroleum (Regno Unito) 4,1

Pemex (Messico) 70,0 Amoco (Stati Uniti) 3,7

Valero Energy (Stati Uniti) 54,6 Atlantic Richfield (Stati Uniti) 2,7

Statoil (Norvegia) 50,1 Phillips Petroleum (Stati Uniti) 2,3

China Petroleum & Chemical (Cina) 49,8 Sun Oil (Stati Uniti) 1,9

Repsol-YPF (Spagna) 48,0 Eni (Italia) 1,8

Marathon Oil (Stati Uniti) 45,1 Unocal (Stati Uniti) 1,8

PDVSA (Venezuela) 42,6* Elf Aquitaine (Francia) 1,5

PetroChina (Cina) 36,7 PetroFina (Belgio) 1,3

SK Corp (Corea del Sud) 33,8 Continental Oil (Stati Uniti) 1,3

Petrobras (Brasile) 33,1 Getty Oil (Stati Uniti) 1,2

Nippon Oil (Giappone) 30,4 Nippon Oil (Giappone) 1,0

Gazprom (Russia) 28,9 Total** (Francia) 0,9

Indian Oil (India) 26,1 Petrobras (Brasile) 0,9

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Tuttavia, la nuova forza dell’OPEC ha fatto ben pocoper assicurare la stabilità dei prezzi. Uno dei problemicruciali del periodo 1970-2005 è stata la maggiore vola-tilità del prezzo del greggio. Se il primo shock petroli-fero è stato il frutto del potere dell’OPEC, il secondo,che è seguito alla rivoluzione iraniana del 1979, ha dimo-strato la forza del mercato mondiale nel rispondere acambiamenti nell’offerta globale. Dall’inizio degli anniOttanta, il greggio ha toccato i minimi di 8 dollari al bari-le nel 1986 e di 10 dollari nel 1998, e i massimi di 31dollari nel 1990 (in seguito all’invasione del Kuwait) edi 60 dollari nel 2005 (Verleger, 1991).

Il secondo fattore politico di cambiamento è stato ilcrollo del comunismo e l’ondata di liberalizzazioni cheha aperto agli investimenti esteri molti grandi paesi pro-duttori di petrolio, ha portato alla privatizzazione di diver-se compagnie prima pubbliche e ha incoraggiato all’in-ternazionalizzazione diverse imprese energetiche sostan-zialmente imperniate sulla realtà nazionale.

ConcorrenzaLa crescente competizione nell’ambito dell’industria

petrolifera è stata resa evidente dal declino della supre-mazia delle principali compagnie petrolifere durante ilperiodo considerato. Fino all’inizio degli anni Settanta,l’industria petrolifera mondiale era dominata da un pic-colo gruppo di grandi compagnie integrate, le sopra men-zionate Sette Sorelle. L’esiguità di questo gruppo e lo stret-to legame che lo caratterizzava (quattro sorelle erano ex

membri della Standard Oil Trust) avevano incoraggiatoun ‘deliberato parallelismo’nel loro comportamento con-correnziale. Dopo il 1970, le Sette Sorelle hanno perso laloro posizione dominante all’interno dell’industria: duran-te il periodo 1973-1987, la loro quota sulla produzionemondiale di greggio scese dal 29,3% al 7,1% e la loroquota sulla capacità di raffinazione mondiale dal 25,5%al 17% (Verleger, 1991). Questo declino è stato il risulta-to di due fattori chiave. Primo, la nazionalizzazione di unalarga parte delle attività petrolifere delle major a partiredal 1972. Secondo, l’espansione di operatori più piccoli,tra cui le imprese di Stato dei paesi produttori (alcune for-matesi dalla nazionalizzazione delle attività petroliferedelle major) e le compagnie petrolifere originariamentelocalizzate nei propri territori nazionali (per esempio, ElfAquitaine, Nippon Oil, Neste e Repsol) che sono cresciutea livello internazionale. Ne è derivata una riduzione delpotere economico e politico delle major petrolifere.

Le pressioni concorrenziali sono state esacerbate dal-l’emergere di un eccesso di capacità. I due shock petro-liferi hanno depresso la domanda di prodotti petroliferiincentivando il risparmio energetico e la sostituzionedel petrolio con fonti alternative. L’intensità petroliferadell’economia statunitense2 si è dimezzata tra il 1970 eil 1990. Dal lato dell’offerta, la capacità produttiva di

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LE STRATEGIE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE DAL 1970 A OGGI

tab. 2. La costituzione di imprese petrolifere nazionali da parte dei paesi OPEC (Tetreault, 1985)

* Nel 1974 il governo saudita ha acquisito la maggioranza di Aramco che nel 1988 è stata rinominata Saudi Aramco.

Paese Compagnia Data della costituzione

Algeria SONATRACH 1963

Ecuador CEPE 1972

Gabon PetroGab 1979

Indonesia Pertamina 1971

Iran National Iranian Oil Corp. 1951

Iraq Iraqi National Oil Corp. 1964

Kuwait Kuwait Petroleum Corp. 1976

Libia NOC 1968-1970

Nigeria Nigerian National Petroleum Corp. 1977

Qatar QGPC 1974

Arabia Saudita* Petromin 1962

Emirati Arabi Uniti ADNOC 1971

Venezuela PDVSA 1975

2 Misurata rispetto al PIL ed espressa in Btu (British ther-mal units)/PIL in dollari a prezzi costanti.

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greggio a livello mondiale è cresciuta in ragione dei mag-giori sforzi nelle esplorazioni e delle nuove tecniche diesplorazione e produzione. L’eccesso di capacità di raf-finazione è stato poi aggravato dagli investimenti rea-lizzati dai molti paesi produttori di petrolio. Il risultatoè stato un eccesso di capacità in ogni fase della catenadel valore dell’industria.

TecnologiaLe sfide fisiche poste dall’esplorazione e dalla pro-

duzione (E&P) offshore e dal trasporto del gas naturaleverso i paesi consumatori; gli incentivi economici all’u-tilizzo di greggi pesanti e alla loro conversione in distil-lati più leggeri; le possibilità tecnologiche rese disponi-bili dai progressi della scienza e della tecnologia infor-matica hanno determinato una innovazione senzaprecedenti nella tecnologia petrolifera. La complessità ei costi delle nuove tecnologie hanno avuto diverse impli-cazioni, tra cui l’esternalizzazione di diverse attivitàtecniche da parte delle principali imprese di petrolio egas. All’inizio del 21° secolo, alcuni dei più importan-ti attori dell’industria sono divenute le compagnie diingegneristica e parapetrolifere (fornitura di serviziintegrati all’industria petrolifera) come Schlumberger,Halliburton, Baker Hughes e Kerr McGee.

I costi di investimento dei principali progetti sonocresciuti enormemente. Sviluppare un grande giacimentodi petrolio o di gas, costruire un oleodotto, una raffine-ria o un grande impianto di liquefazione del gas natura-le richiede spese di investimento dell’ordine di diversimiliardi di dollari. Inevitabilmente, sono divenute sem-pre più importanti le joint ventures e altre forme di col-laborazione.

5.2.2 Le major del petrolio e del gas:il modello tradizionale

Nel 1970, le principali compagnie petrolifere avevanoraggiunto una configurazione di strategia, struttura esistemi di gestione che, per la maggior parte di loro, erail risultato di oltre mezzo secolo di sviluppo. In terminidi strategia, le caratteristiche principali delle major eranola grande dimensione, l’integrazione verticale e la pre-senza a livello mondiale. Nonostante le diverse attivitàoriginarie delle compagnie – la Exxon (come la Stand-ard Oil) aveva le sue radici nella raffinazione, la Shellnel trasporto e nel commercio, Royal Dutch, Texaco eBP nell’E&P – le loro strategie convergevano verso unmodello di business comune. Erano tutte verticalmenteintegrate dalla fase iniziale di esplorazione fino alla ven-dita al dettaglio dei prodotti raffinati. La logica centra-le che le guidava era quella di limitare il rischio massi-mizzando l’autosufficienza (in questo modo le attività avalle garantivano sbocchi sicuri ai rischiosi investimenti

delle compagnie nelle fasi di esplorazione e sviluppo).Anche la maggior parte delle fasi intermedie veniva gesti-ta dall’interno: le compagnie provvedevano alla maggiorparte dei loro servizi ingegneristici e parapetroliferi ederano alcune delle più grandi proprietarie mondiali dinavi. Tutte le major avevano poi avviato importanti atti-vità petrolchimiche.

Le economie di scala, combinate all’integrazione ver-ticale e all’espansione internazionale, consentivano allemajor petrolifere di essere tra le più grandi corporazio-ni industriali a livello mondiale. Nel 1970, sette delleventi maggiori compagnie statunitensi (classificate inbase alle vendite) erano imprese petrolifere, la più altarappresentanza di settore rispetto a qualsiasi altra indu-stria. Ancora, durante gli anni Settanta, le major rag-giunsero la loro massima dimensione in termini di nume-ro di occupati; dalla fine di quel decennio, invece, que-sto numero ha cominciato a scendere (tab. 3).

Una caratteristica chiave dell’organizzazione delleimprese era il loro alto grado di centralizzazione deci-sionale, insolito per compagnie della loro dimensione ediversità di prodotti e attività. Tutte avevano strutturedivisionali, di norma basate su una combinazione di tredimensioni: aree geografiche, funzioni, gruppi di pro-dotti. Tuttavia, rispetto ad altre corporazioni industriali,erano state più lente nell’adottare strutture multidivisio-nali (Chandler, 1962) e hanno continuato a mantenereuna proporzione insolita di poteri decisionali presso lasede centrale.

La concentrazione del potere nelle mani di pochirifletteva l’alta interdipendenza delle attività delle com-pagnie petrolifere. Il tradizionale modello multidivisio-nale, con la caratteristica separazione dei poteri deci-sionali strategici da quelli operativi, non era applicabilealle principali compagnie petrolifere a causa della stret-ta interrelazione sia in senso verticale, tra le loro prin-cipali attività (esplorazione, produzione, raffinazione edistribuzione/marketing), sia in senso orizzontale, tra iloro diversi prodotti finali. Sebbene la maggioranza delleimprese avesse adottato una struttura divisionale per regio-ni, a livello geografico il decentramento era limitato dallanecessità di coordinare i flussi di greggio dai paesi pro-duttori con le attività a valle nei paesi consumatori. Que-ste esigenze di coordinamento avevano portato le majorpetrolifere a sviluppare sistemi economici di pianifica-zione amministrativa altamente sofisticati. Invece didecentralizzare la gestione operativa a livello divisiona-le, la sede centrale dell’impresa era responsabile non solodelle decisioni strategiche e dell’allocazione delle risor-se, ma anche della pianificazione operativa.

Il modello di pianificazione amministrativa che carat-terizzava le major petrolifere enfatizzava il ruolo del mana-gement nell’ottimizzare il coordinamento all’interno diun sistema essenzialmente chiuso. Un’elevata integra-zione verticale teneva al riparo le imprese petrolifere dalla

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GLI ATTORI DELL’INDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI E LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

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volatilità e dall’incertezza dei mercati intermedi. Que-sto isolamento dall’incertezza del mercato richiamava iltema centrale del testo di J.K. Galbraith, The new indus-trial state (1968): dove gli investimenti di capitale sonoingenti e di lunga durata, le grandi compagnie integratee competitive che esercitano un significativo potere dimercato forniscono un isolamento dai rischi insiti nellaconcorrenza e nella instabilità dei mercati. La gestionedi queste organizzazioni è tecnocratica, richiede capa-cità di previsione, pianificazione e coordinamento sup-portate da sofisticati sistemi di informazione e da pro-cessi decisionali basati sulla scientificità.

Il problema per le compagnie petrolifere, evidenzia-to nella teoria di Galbraith, consisteva nel fatto che que-ste non erano capaci di sopprimere e controllare le forzedi mercato che i loro sistemi amministrativi avrebberodovuto sostituire. A seguito della maggiore concorren-za e volatilità del mercato, e dei grandi shock economi-ci e politici, la struttura e i sistemi di gestione delle cor-porate petrolifere venivano sottoposti a sforzi sempremaggiori. L’aumentata turbolenza dell’ambiente esternorendeva la centralizzazione dei poteri decisionali sem-pre più inefficiente: i sistemi gerarchici fronteggiavanoun sovraccarico di informazioni e i tempi di reazionedella struttura organizzativa erano troppo lenti per sod-disfare le esigenze di efficienza dinamica richieste daambienti esterni in rapido mutamento.

Questo portò alla ricerca di strutture e sistemi capa-ci di rispondere velocemente al cambiamento esterno, diincoraggiare la ricerca imprenditoriale del profitto, mache allo stesso tempo avrebbero consentito di pianifica-re e investire nello sviluppo a lungo termine.

5.2.3 La diversificazione e la ricercadelle riserve (1974-1984)

Il primo shock petrolifero del 1973-1974 aveva indebo-lito il modello di pianificazione amministrativa dellemajor in due modi. Primo, esse avevano perso il loro tra-dizionale controllo del mercato a vantaggio di un nuovoprotagonista: l’OPEC. Secondo, non possedevano piùgran parte delle loro riserve di idrocarburi a seguito deiprocessi di nazionalizzazione attuati dai governi dei paesiproduttori. Le loro risposte al nuovo contesto economi-co in cui si trovavano a operare sono state, inizialmen-te, quella di mantenere le strutture verticalmente inte-grate cercando riserve in nuove aree geografiche e, suc-cessivamente, quella di tentare di crescere attraverso ladiversificazione (Grant e Cibin, 1996).

La ricerca del petrolioIl nuovo status di acquirenti di petrolio aveva ali-

mentato nelle major la determinazione a mantenere unalto grado di integrazione verticale. Durante la secondametà degli anni Settanta, gli investimenti nelle fasi amonte erano cresciuti in modo sostanziale, specialmen-te nei giacimenti petroliferi politicamente sicuri del Maredel Nord e del North Slope in Alaska. L’esplorazione fusviluppata in entrambe le succitate regioni petroliferemature ed estese a comprendere regioni di ‘frontiera’:principalmente il Mare d’Irlanda, il Mar Cinese Meri-dionale, il Golfo del Messico, l’offshore dell’Africa occi-dentale e l’offshore tra l’Indonesia e la costa nord-occi-dentale dell’Australia. La tab. 4 mostra la crescita degliinvestimenti nell’upstream dopo gli shock petroliferi del

305VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI

LE STRATEGIE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE DAL 1970 A OGGI

tab. 3. L’occupazione nelle compagnie petrolifere in diversi anni (numero di occupati)

* ExxonMobil.** Comprende Amoco e Arco.*** ChevronTexaco.Fonte: Rapporti annuali delle compagnie; «Fortune Global 500», 1970-2004.

1970 1980 1985 1990 2000 2004

Exxon 143.000 176.615 146.000 104.000 106.000* 85.800*

Mobil 75.600 81.500 71.100 67.300 – –

Royal Dutch/Shell Group 158.000 161.000 142.000 137.000 128.000 114.500

BP 105.000 118.200 129.450 116.750 112.150** 102.900**

Amoco 47.551 56.401 48.545 54.524 – –

Atlantic Richfield (Arco) 31.300 53.400 31.300 27.300 – –

Eni 76.000 128.000 129.000 82.700 80.178 70.948

Texaco 73.734 66.745 54.481 39.199 19.011 –

Chevron 44.610 40.218 60.845 54.208 36.490 67.569***

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1973-1974 e del 1979-1980. I maggiori investimenti nellefasi a monte erano in parte responsabili della conver-genza delle compagnie verso una più omogenea espan-sione internazionale delle loro attività. L’espansione degliinvestimenti in America Settentrionale era una prioritàstrategica per le due compagnie petrolifere europee, men-tre le imprese fortemente incentrate sugli Stati Uniti,principalmente Amoco e Atlantic Richfield, hanno sem-pre di più cercato il petrolio oltreoceano.

Tuttavia, nonostante l’accresciuta attività di esplora-zione e le grandi scoperte nel Mare del Nord, in Alaska ealtrove, non si poteva più recuperare la situazione pre-1973. Nel 1975, le major internazionali del petrolio e delgas soddisfacevano meno della metà del proprio fabbiso-gno complessivo di greggio tramite le loro stesse riserve;il resto veniva acquistato dalle compagnie nazionali di pro-duzione dotate di un potere sino ad allora sconosciuto.

DiversificazioneUna domanda di greggio e di prodotti petroliferi pres-

soché piatta e l’emergere di un eccesso di capacità inquasi tutte le fasi della catena del valore delle compagnieerano conseguenza del drastico aumento dei prezzi delpetrolio e del ristagno dell’economia globale avvenuto

tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottan-ta. Tuttavia, le major petrolifere erano rimaste impron-tate alla crescita e, incentivate dai consistenti flussi dicassa generati dal rialzo dei prezzi del petrolio, si eranoorientate verso la diversificazione come strumento dicrescita preferenziale.

Nel 1970, quasi tutte le compagnie si concentravanosu tre attività: petrolio, gas e petrolchimica. Nel 1984,percorsi molto simili di diversificazione le avevano orien-tate verso fonti energetiche alternative (principalmentecarbone, ma anche energia solare, nucleare, e idrocar-buri non convenzionali come sabbie e argille bitumino-se) e verso i minerali come metalli non ferrosi, fosfati,zolfo e cemento. Altre aree di diversificazione erano pre-valentemente una conseguenza del desiderio di sfrutta-re le risorse tecnologiche e le capacità gestionali svi-luppate internamente: a titolo di esempio, la produzio-ne di cibo per animali da parte di BP e Amoco; l’attivitànel segmento dei detergenti della Shell; la generazioneelettrica per Exxon e Texaco. Amoco, Atlantic Richfield,BP, Exxon, Shell e Texaco avevano creato società di ven-ture capital col fine di portare sul mercato le tecnologiesviluppate internamente e di acquisire nuove piccolecompagnie technology-based. Non poche compagnie si

306 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GLI ATTORI DELL’INDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI E LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

tab. 4. Media annua delle spese per investimenti nell’industria del petrolio e del gassostenute dalle imprese selezionate, 1970-2004 (106 $)

* Dati consolidati di ExxonMobil dopo il 1995.** Dati consolidati di BP, Amoco e Arco dopo il 1995.*** Dati consolidati di Chevron e Texaco dopo il 1999.Fonte: Conti finanziari delle compagnie.

1970-1973 1974-1978 1979-1982 1983-1986 1987-1990 1991-1994 1995-1999 2000-2004

Exxon* upstream 981 3.040 6.371 6.955 4.870 6.322 8.016 10.005downstream 897 1.114 1.365 1.264 1.438 1.660 2.664 2.508

Mobil * upstream 426 863 2.106 1.548 1.208 1.214 – –downstream 557 502 832 811 726 1.104 – –

Shell upstream 470 1.477 4.507 4.052 3.215 4.677 6.377 8.516downstream 1.083 1.006 2.296 1.541 2.486 2.551 2.614 3.108

BP** upstream 306 780 3.387 2.974 2.401 3.620 4.998 10.118downstream 430 422 696 961 886 937 1.421 4.830

Amoco** upstream 595 1.206 2.258 2.567 2.390 2.956 – –downstream 242 289 563 542 451 548 – –

Arco** upstream 232 678 2.210 2.877 1.559 2.380 – –downstream 267 591 433 286 556 545 – –

Chevron*** upstream 302 889 2.560 2.712 1.805 1.663 3.386 6.505downstream 413 678 1.132 803 731 662 908 1.180

Texaco*** upstream 673 927 1.560 1.467 1.295 1.544 2.318 –downstream 433 416 567 826 604 588 864 –

Eni upstream 332 981 2.104 2.150 2.531 2.431 2.992 4.808downstream 145 246 368 260 628 501 544 596

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erano poi diversificate in modo più ampio: Exxon e BPnella tecnologia informatica, Mobil nella distribuzione(Montgomery Ward) e nel packaging. La tab. 5 mostrail processo di diversificazione di alcune delle principa-li major del petrolio e del gas.

5.2.4 La ristrutturazione internaper conseguire efficienza e flessibilità (1985-1994)

Il cambiamento degli obiettivi di impresaDurante gli anni Ottanta, le principali compagnie del

petrolio e del gas sono state sottoposte a crescenti pres-sioni. Dopo aver raggiunto un picco nel 1981, i prezzidel petrolio avevano seguito un brusco trend di ribassoe, parallelamente, erano scesi anche i profitti dell’indu-stria (Al-Chalabi, 1991).

Tra il 1985 e il 1994, pressoché tutte le major ave-vano annunciato consistenti iniziative di ristrutturazio-ne che includevano estesi disinvestimenti di attività, ridu-zione della forza lavoro, riformulazione delle propriestrategie operative. Un elemento scatenante era stato ilprecipitoso declino dei prezzi del petrolio nel 1986, quan-do l’incremento produttivo dell’Arabia Saudita si tra-dusse in un calo delle quotazioni al di sotto dei 9 dolla-ri al barile. Questo aveva indotto le principali compagniepetrolifere a mettere in discussione le proprie strategiee strutture organizzative.

Alla base di questi processi di ristrutturazione vi eral’affermazione della capacità da parte delle imprese dicreare profitto e della creazione di valore per gli azioni-sti come obiettivi primari. Negli anni Settanta, le dichia-razioni degli obiettivi aziendali avevano sottolineato l’im-portanza della crescita e degli obiettivi operativi, comeil rimpiazzo delle riserve, l’espansione geografica, ilmiglioramento dell’efficienza e il progresso tecnologi-co. Negli anni Ottanta, questi obiettivi sono diventatisecondari rispetto al profitto e al ritorno per gli azioni-sti. Erano tipiche le seguenti dichiarazioni:• «Il nostro primo obiettivo è quello di migliorare il

valore dei vostri investimenti sia nel breve che nellungo termine» (Mobil, 1987);

• «Il nostro scopo negli ultimi anni è stato e rimanequello di massimizzare il profitto delle nostre atti-vità» (BP, 1988);

• «Noi siamo fortemente consapevoli che vi aspettatedi ricevere un ritorno pienamente competitivo suivostri investimenti [….] ed è quello che intendiamodarvi. La nostra regola [….] è diventare non solo unadelle compagnie più ammirate nel mondo dell’indu-stria ma anche una delle più apprezzate dagli azio-nisti» (Texaco, 1989);

• «La compagnia attribuisce la massima priorità almiglioramento dei risultati finanziari e al rendimento

degli investimenti dei suoi azionisti» (Chevron,1989).La ricerca di maggiori introiti per gli azionisti è stato

il filo conduttore sotteso ai cambiamenti strategici e orga-nizzativi del periodo 1985-1994. Un’evidente indica-zione del riorientamento degli obiettivi di impresa dallacrescita alla creazione del valore per gli azionisti è statal’introduzione del riacquisto di azioni, finalizzato a incre-mentare gli utili per azione attraverso la riduzione delnumero delle azioni in circolazione. In questo, come inaltri aspetti del processo di ristrutturazione in corso,Exxon è stato il leader: solo tra il 1984 e il 1986 ha speso6 miliardi di dollari in riacquisto di azioni proprie. Anchetutte le altre major si sono mosse in modo analogo: inve-ce di destinare il denaro liquido in eccesso in investi-menti diversificati, lo restituivano ai loro azionisti.

Dalla diversificazione alla rifocalizzazioneL’aspetto più evidente del cambiamento strategico

durante la metà e la fine degli anni Ottanta è stato lasempre più diffusa dismissione delle attività che esula-vano dal core business delle imprese. Nel 1990, le prin-cipali compagnie petrolifere avevano pressoché intera-mente eliminato le attività in cui si erano diversificatenel periodo precedente. Le prime a essere abbandonatesono state le diversificazioni non correlate, quasi tutterisultate senza successo, come l’attività della ExxonOffice System, l’incursione della Mobil nella grandedistribuzione, l’avventura di BP nel software e nelle tele-comunicazioni; perfino Eni, di gran lunga la più diver-sificata tra le principali compagnie del petrolio e delgas, cominciava a eliminare alcune delle attività che esu-lavano dal core business.

Successivamente si è verificata la dismissione di quasitutte le iniziative più significative di diversificazione neisettori correlati. In particolare, le principali compagniehanno liquidato le loro controllate dedite all’estrazionedei metalli. All’inizio degli anni Novanta, solo la Shellaveva conservato una controllata di questo tipo (vendet-te la Billiton nel 1993). Nel 1994, la sola major alla qualerimanevano ancora interessi sostanziali al di fuori del-l’energia e della chimica era la Elf Aquitaine con le sueattività nel settore benessere ed estetica (prodotti far-maceutici e cosmetici). Alcune compagnie si erano spin-te anche oltre nella loro determinazione di rifocalizzar-si sul core business (Arco e Texaco avevano eliminato lamaggior parte delle loro attività chimiche sollevando laquestione se il legame tecnico tra raffinazione del petro-lio e petrolchimica fosse di per sé sufficiente a giustifi-care il continuo coinvolgimento nella chimica da partedelle major).

Le imprese avevano ridefinito i loro obiettivi anchein relazione alla distribuzione geografica delle loro atti-vità. A valle, tutte le imprese avevano circoscritto la loropresenza a livello geografico. Nel 1990, nessuna delle

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LE STRATEGIE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE DAL 1970 A OGGI

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308 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GLI ATTORI DELL’INDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI E LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

tab. 5. La diversificazione attuata da Shell, Exxon, Mobil e BP (1974-1984)

Fonte: Rapporti annuali delle compagnie.

ROYAL DUTCH/SHELL GROUP

1974 Acquisizione di NV Billiton, compagnia di esplorazione e produzione di metalli e minerali1975 Realizzazione di investimenti aggiuntivi in reattori nucleari refrigerati a gas1976 Acquisizione di carbone via mare per 123 milioni di dollari

Costruzione di un impianto di gassificazione del carbone in GermaniaCostituzione della Scallop Coal a New York dedita al commercio di carbone

1977 Acquisizione di Crows Nest Industries (produttore di carbone)1979 Investimenti in silvicoltura in Nuova Zelanda e Cile

EXXON

1975 Costituzione della Exxon Nuclear International1977 Costituzione della Exxon Minerals USA e della Exxon Minerals International1979 Acquisizione di Reliance Electric Co., per 1,2 miliardi di dollari 1980 Costituzione di Exxon Office Systems ed Exxon Information Systems1981 Avvio di un progetto di generazione elettrica a Hong Kong del valore di 2,5 miliardi di dollari

Acquisizione del 16% della American Solar King (energia solare)1984 Avviamento della produzione di carbone a Cerrejon, in Colombia

MOBIL

1974 Acquisizione, per 883 milioni di dollari, della Marcor, che controllava la casa madre della Montgomery Ward (retail )e Container Corp.

1975 Investimenti nell’estrazione di carbone e nel settore immobiliare1977 Acquisizione di Mt. Olive e Staunton Coal Company per 47,5 milioni di dollari1978 Acquisizione di W.F. Hall Printing per 50,5 milioni di dollari

Acquisizione di Electro-Phos Corporation (raffinazione del fosforo) e di Rexene StyrenicsInvestimenti nell’immobiliare a Hong Kong

1980 Acquisizione di compagnie che producono materie plastiche, fosforo, fertilizzantiInvestimenti in energie alternative come metanolo (Nuova Zelanda), impianti per la lavorazione delle argillebituminose (Utah), impianti di trattamento dell’uranio (Stati Uniti) e impianti coal-to-liquids (Kentucky)

1982 Costituzione della Mobil Diversified Businesses dedita alle attività diverse dal petrolio e dalla chimica 1983 Avviamento di progetti sul carbone in Australia e Indonesia

Acquisizione di Baggies, compagnia che produce borse di plastica, dalla Colgate-Palmolive1984 Acquisizione dell’attività della DuPont nel can coating (rivestimento di lamiera per imballaggi, barattoli e tubi)

BRITISH PETROLEUM

1976 Costituzione della BP Nutrition Ltd (proteine e cibo per animali)Costituzione della Sonarmarine Ltd (rilevamenti topografici sott’acqua)

1977 Acquisizione del 50% della Clutha Development (estrazione di carbone in Australia)1978 Acquisizione della R. McBride Ltd (ingegneristica e costruzioni)

Acquisizione della Bakelite Xylonite Ltd (materie plastiche) dalla Union Carbide1979 Acquisizione del 25% di Ruhrgas (raffinazione e distribuzione del gas in Germania)1980 Acquisizione della Selection Trust Ltd (compagnia finanziaria con interessi nell’estrazione di metalli)1981 Acquisizione della Systems Control Inc. (sistemi informatici)

Acquisizione della Kennecott Corp. per 1,77 milioni di dollari (attraverso la Sohio)Acquisizione della Verdugt NV (chimica delle specialità)Costituzione della BP Detergents InternationalAcquisizione del 49% della Brascan Resoursos (stagno)Acquisizione del 49% del progetto Olympic Dam (estrazione di metalli in Australia)Partecipazione al 49% della Mercury Communications (telecomunicazioni)

1983 Acquisizione della NANTA (compagnia spagnola produttrice di cibo per animali)1984 Acquisizione della NORIA/UFAC (compagnia francese produttrice di cibo per animali)

Costituzione della BP Energy Management (sistemi di gestione dell’energia)

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compagnie operava sul mercato dei 50 Stati degli USA,e la maggior parte aveva rifocalizzato le operazioni inEuropa, venendo via dai paesi in cui la loro quota di mer-cato era inferiore al 10%. Una tendenza simile si era veri-ficata anche nell’upstream. Alla fine degli anni Ottantae all’inizio degli anni Novanta, la maggior parte dellecompagnie aveva ridotto il numero di paesi in cui svol-geva attività di esplorazione e produzione al fine di otte-nere migliori economie dall’uso delle infrastrutture edella conoscenza.

La descrizione dell’approccio utilizzato da Chevronin questo processo di rifocalizzazione è esemplare:«Abbiamo osservato con occhio critico il dispiegamen-to delle nostre attività per definire quanto ognuna di essesi inserisca adeguatamente all’interno del piano strate-gico dell’impresa. Come risultato, abbiamo eliminatodiverse aree geografiche e attività al fine di concentra-re le nostre risorse laddove esiste un vantaggio compe-titivo. E questo processo sta continuando. Adesso stia-mo vendendo attività nella chimica agricola, nel campodei fertilizzanti e in alcune attività commerciali legate aiminerali. Negli Stati Uniti sono stati venduti siti di pro-duzione marginale per il valore di circa 400 milioni didollari e pianifichiamo di continuare a venderne nel1991» (Chevron, 1990).

Tutte le strategie delle compagnie sono state gui-date sempre più da rigorose analisi finanziarie sui ritor-ni del capitale e sull’impatto in termini di ricchezza pergli azionisti. La BP ha descritto il suo approccio flessibi-le alla gestione di portafoglio con l’espressione activeasset management. L’ex Amministratore delegato, PeterWalters, si è espresso a questo proposito nel seguentemodo: «Noi cerchiamo di assicurare che le nostre ope-razioni soddisfino pienamente i criteri di eccellenza selet-tiva: ciò significa essere tra i migliori; e di massa criti-ca, che significa avere una dimensione sufficiente percompetere con successo sul mercato […]. All’internodei nostri criteri strategici, riesaminiamo continuamen-te tutte le attività della BP, sia quelle basate sugli idro-carburi sia quelle di altro genere. Se per qualsiasi moti-vo alcune operazioni valgono di più per gli altri che pernoi, o se non rispondono più pienamente ai nostri requi-siti ed evidenziano scarse prospettive di riuscirvi in fu-turo, siamo pronti a ritirarci da esse o a venderle. Activeasset management è un’efficace espressione che sinte-tizza questa strategia» (BP, 1988).

La vendita da parte di BP delle attività nel segmen-to dei minerali ha spiegato la nuova impostazione adot-tata: «Questi grandi sviluppi aumenteranno e protegge-ranno il valore della vostra impresa aiutando BP a rifo-calizzarsi in modo crescente sul suo business principaleo core business […] Perché stiamo abbandonando que-sta attività considerati i buoni profitti generati da BPMinerals? [...] Avendo acquisito, alimentato e sviluppatoil business dei minerali per diversi anni, abbiamo previsto

in futuro un incremento dei prezzi delle commodities.Ciò nonostante stiamo ricevendo da RTZ, in contropar-tita alla cessione di BP Minerals, un valore netto che,riteniamo, confermi le nostre aspettative di positivo anda-mento delle future entrate. Non solo stiamo ottenendoun buon prezzo, ma stiamo altresì accumulando denaroda investire in migliori opportunità in altre aree d’affa-ri» (BP, 1988).

La ricerca di efficienzaIl riorientamento delle strategie verso la creazione di

valore per gli azionisti ha accentuato l’importanza del-l’efficienza in termini di costi. Exxon è stata la più espli-cita nell’esprimere la sua intenzione di diventare la «piùcompetitiva in termini di efficienza in tutti i nostri busi-ness: nel petrolio, nel gas, nella chimica e in ogni altraattività» (Exxon, 1983).

Tradizionalmente, quando si parlava di efficienza sifaceva riferimento all’efficienza statica: per esempio, losfruttamento delle economie di scala nelle raffinerie,nelle navi, nella rete di distribuzione e in altri impiantiindivisibili, assieme alla pianificazione operativa deiflussi di prodotto per ottimizzare la programmazionedelle raffinerie e minimizzare le scorte e i costi di tra-sporto. In condizioni di mercato instabili, l’efficienzadinamica è diventata sempre più importante: adeguarela capacità alla domanda, adeguare il mix di input e dioutput in relazione al mutamento dei differenziali di prez-zo, e in generale minimizzare i costi massimizzando laflessibilità e la capacità di risposta. Le misure di ridu-zione dei costi includevano:• l’adeguamento della capacità attraverso la chiusura

delle raffinerie, della capacità di stoccaggio e dellestazioni di rifornimento al dettaglio, nonché la ven-dita e rottamazione di navi cisterna (tab. 6);

• la riduzione dei costi in eccesso, specialmente in ter-mini di tagli a livello di quadri intermedi e di attivitàdella sede centrale. Diverse compagnie hanno attua-to una riduzione degli impiegati a livello di gruppo.Alla BP tagli di oltre 2.500 impiegati della sede cen-trale ridussero il personale da 3.000 a 380 (in aggiun-ta, 700 posti di lavoro nei servizi aziendali sono statitrasferiti fuori dalla sede principale). In tutto sonostati soppressi 1.150 posti di lavoro a livello di grup-po. Presso la sede centrale di Exxon, il personale èstato ridotto da 1.500 a 300 unità. Questi tagli era-no spesso accompagnati dal trasferimento delle se-di centrali delle imprese: la Exxon si è spostata daNew York a Dallas, in Texas; la Mobil da New Yorka Fairfax, in Virginia; la BP si è trasferita due volteall’interno di Londra, mentre la Shell ha venduto piùdella metà del suo Shell Centre londinese;

• lo sviluppo e l’applicazione di tecnologie miranti aridurre i costi. Nonostante la crescente parsimonia negliinvestimenti di capitale, si è verificato un sostanziale

309VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI

LE STRATEGIE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE DAL 1970 A OGGI

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aumento delle spese per lo sviluppo e l’acquisizionedi nuove tecnologie in grado di ridurre i costi di capi-tale e aumentare l’efficienza operativa. Le analisisismiche e la modellistica dei giacimenti realizzatedai computer, le piattaforme di perforazione legge-re, le nuove tecniche di perforazione (compresa laperforazione orizzontale e direzionata) e il miglio-ramento delle tecniche di recupero dei campi hannosostanzialmente ridotto i costi di rimpiazzo delle riser-ve durante gli anni Ottanta e i primi anni Novanta;

• la crescente flessibilità e capacità di risposta è stataun’altra fonte di vantaggio di costo. La flessibilitàincludeva miglioramenti tecnici nella raffinazione el’outsourcing di molte attività e funzioni.

Allineare la strategia commerciale con le risorse e le competenze

Le accresciute pressioni concorrenziali e una mag-giore attenzione al profitto hanno incoraggiato un signi-ficativo riorientamento delle basi su cui poggiava la stra-tegia aziendale. Piuttosto che imitare le iniziative stra-tegiche altrui, l’accento si è spostato verso la ricerca diun vantaggio competitivo che, inevitabilmente, com-portasse la messa a frutto da parte delle imprese delleloro risorse e capacità distintive.

Esempi di sfruttamento di risorse e capacità distin-tive sono i seguenti:• la Mobil ha combinato il suo forte orientamento al

marketing con le sue tradizionali risorse tecniche nelcampo dei lubrificanti per svilupparne un businesssu scala mondiale. Nel suo segmento petrolchimi-co, ha sfruttato le competenze nel marketing e nella

gestione del prodotto per integrarsi a valle nella pro-duzione di prodotti di plastica;

• mentre la maggior parte delle major stava vendendoi giacimenti maturi localizzati negli Stati Uniti, i pro-gressi della Texaco nel settore delle avanzate tecno-logie di recupero l’hanno indotta a focalizzarsi sulloro sfruttamento;

• l’Arco ha utilizzato i suoi due punti di forza del petro-lio a basso costo dell’Alaska e del forte orientamen-to al marketing per aumentare la sua quota di mer-cato sulla costa occidentale degli Stati Uniti, attra-verso una strategia di vendita al dettaglio basata sullaleadership di prezzo nel segmento della benzina esulla differenziazione attraverso l’offerta di un’am-pia gamma di prodotti e di servizi di ristorazione fastfood presso le sue stazioni di servizio;

• la Exxon ha puntato sulle sue enormi forze finan-ziarie e ingegneristiche;

• l’Eni ha utilizzato la sua esperienza nella gestionedelle relazioni in situazioni politiche complesse pernegoziare accordi con i paesi del Nord Africa, conl’Unione Sovietica prima e con gli Stati post-sovieti-ci poi; nonché, fondandosi sulle sue competenze nelsettore del gas naturale, per dar vita a una major ope-rante nel mercato del gas, verticalmente integrata;

• la BP, con la sua lunga tradizione di scopritrice di‘elefanti’ (giacimenti di grandissime dimensioni), siè focalizzata sull’esplorazione di nuovi grandi gia-cimenti in regioni di frontiera, oltre che sulla suavocazione di innovatore strategico, ovvero di pionieranell’identificare e nell’avviare grandi cambiamentistrategici nell’industria petrolifera.

310 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GLI ATTORI DELL’INDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI E LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

tab. 6. Riduzione di capacità da parte delle compagnie petrolifere negli anni Ottanta (Cibin e Grant, 1996)

* I dati indicano le variazioni nella capacità di raffinazione avvenute tra l’inizio del primo anno menzionato e la fine del secondo annomenzionato.

** Variazione nel numero di navi.*** Solo nell’America Settentrionale.

Variazionenella capacità di

raffinazione operativa*

Variazionenella portata lorda

della flotta cisterniera*

Variazionenel numero dei puntivendita al dettaglio*

Exxon (1982-1987) �28% �58% �24%

Royal Dutch/Shell Group (1981-1986) �33% �54%** �16%

BP (1982-1986) �27% �63% �18%

Mobil (1986-1988) �1% �18% �30%

Texaco (1986-1989) �36% �12% �65%***

Chevron (1986-1989) �33% �28% �28%

Amoco (1986-1990) �5% �21% �19%

Arco (1985-1987) �63% �13% �55%

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5.2.5 Cambiamenti nella strutturaorganizzativa

I cambiamenti a livello di strategia sono stati accompa-gnati da cambiamenti nella struttura organizzativa. I prin-cipali cambiamenti nella struttura organizzativa e neisistemi di gestione nel periodo considerato sono stati iseguenti.

Cambiamenti nella struttura divisionale. I cambia-menti delle compagnie nelle strutture divisionali sonostati di due tipi: 1) si sono sempre più spostate da unastruttura divisionale basata sulle aree geografiche a unabasata sui settori; 2) hanno ridotto il numero delle divi-sioni facenti capo direttamente alla sede centrale. Nel1991, il modello organizzativo predominante prevedevauna grande centrale direzionale e tre divisioni operativeprincipali: upstream, downstream, chimica. Tuttavia,all’interno del nostro modello tipico esistevano diversevarianti: Exxon manteneva una struttura geografica conExxon USA distinta da Exxon International e da Imper-ial Oil of Canada; anche la struttura di Texaco era in partegeografica; mentre la Royal Dutch/Shell Group (com-posta da oltre 200 sussidiarie nazionali) costituiva unesempio unico di massima decentralizzazione.

La tendenza delle compagnie a riorganizzarsi in unminor numero di divisioni era il risultato della dismis-sione delle attività diversificate avvenuta tra il 1985 e il1990, del trasferimento di diverse funzioni di servizio edi coordinamento dalla sede centrale al livello divisio-nale, e del desiderio di ridurre le spese amministrativegenerali laddove possibile. Il passaggio da una strutturadivisionale geograficamente definita a una struttura divi-sionale definita intorno a gruppi di prodotti è coerentecon le tendenze osservate in altre diversificate compa-gnie multinazionali (Stopford e Wells, 1972).

Deintegrazione verticale. Le strutture centralizzatetradizionali delle compagnie erano una conseguenza del-l’integrazione verticale: fino a quando produzione digreggio, trasporto, raffinazione e distribuzione necessi-tavano di essere coordinate, la sede centrale mantenevaun ruolo importante nella pianificazione operativa. Conlo sviluppo di mercati efficienti del greggio e dei pro-dotti petroliferi, e con la maggiore volatilità all’internodi essi, i costi di transazione connessi all’uso dei mer-cati diminuivano, mentre i costi del trasferimento inter-no aumentavano. La Shell fu la prima impresa a solle-vare le proprie raffinerie dall’obbligo di acquistare greg-gio all’interno del gruppo. Tra il 1984 e il 1988, tutti icomponenti il nostro modello avevano riconosciuto auto-nomia operativa alle loro divisioni a monte e a valle, eimpostato le transazioni interne sulla base delle condi-zioni e del prezzo prevalenti. Le divisioni a monte eranoincentivate a vendere petrolio a qualsiasi cliente offris-se il prezzo migliore, mentre quelle a valle erano incen-tivate ad acquistarlo dalle fonti a più basso costo.

A metà degli anni Ottanta, le major petrolifere sta-vano emergendo come principali attori nei mercati a pron-ti e a termine del greggio e dei prodotti raffinati; tutteavevano costituito divisioni dedite al commercio petro-lifero, la cui funzione era quella di soddisfare le neces-sità di transazione delle divisioni di produzione e lavo-razione, e di scambiare in modo profittevole il petroliosui mercati. Del greggio totale acquistato da Shell Inter-national Trading Group nel 1994, il 65% proveniva dal-l’esterno del gruppo Shell e il 45% delle vendite era rivol-to a terzi. Texaco Trading and Transportation non solosoddisfaceva i bisogni interni di Texaco ma si impegna-va anche in consistenti scambi con terzi e nel 1988 acqui-stava il 9% di tutto il greggio prodotto negli Stati Uniti.

La nuova logica era stata chiaramente espressa daBP: «Una caratteristica importante dell’industria petro-lifera negli ultimi anni è stata la tendenza alla deinte-grazione, vale a dire la separazione delle fasi a monte diproduzione del greggio da quelle a valle di raffinazionee marketing. In questo modo ogni parte del businesspetrolifero è in grado di autosostenersi, il che consentedi misurarne la performance in base al valore dei suoiprodotti sul mercato internazionale. Ne è conseguito losviluppo all’interno dell’industria di un quadro moltopiù chiaro dei costi e della profittabilità reale delle ope-razioni petrolifere a valle» (BP, 1983).

Cambiamenti nei sistemi di gestione. Nuove strate-gie e nuove strutture implicavano anche mutamenti neisistemi con cui le compagnie venivano gestite. In parti-colare:• le principali major smantellarono i loro sistemi di

pianificazione aziendale centralizzati, basati sulleprevisioni, a favore di approcci meno formali e piùconcentrati sui risultati per elaborare una strategiavia via più focalizzata sul business delle singole divi-sioni. Questi cambiamenti comportavano l’elimina-zione o il ridimensionamento dei dipartimenti azien-dali di pianificazione e il trasferimento di responsa-bilità di elaborazione strategica a livello di dirigentioperativi;

• una minore integrazione verticale permetteva unmaggiore decentramento dei processi decisionali. Ildecentramento comportava il trasferimento del pote-re decisionale dai livelli direzionali ai livelli divi-sionali e dalle divisioni alle singole unità operative.Gli obiettivi erano velocizzare il processo decisio-nale, incoraggiare l’imprenditorialità e l’iniziativa,ridurre i costi;

• il decentramento del processo decisionale comporta-va la riduzione dei livelli gerarchici (destrutturazione).Alla Texaco, il numero di livelli gerarchici tra l’am-ministratore delegato i supervisori di prima linea ven-ne ridotto da 14 nel 1987 a 6 o 7 nel 1990. L’Ammi-nistratore delegato raccontava: «Dalla ristrutturazio-ne della Texaco sta emergendo una nuova dinamica

311VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI

LE STRATEGIE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE DAL 1970 A OGGI

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compagnia. Negli uffici e sul campo, il personaledella Texaco è impegnato nella sfida di produrre risul-tati, di essere creativo, di diventare imprenditore nelvero senso della parola. E queste persone stannorispondendo. Lavorando in una compagnia decen-trata, le persone capaci e motivate che operano nel-l’attività di prima linea della Texaco si stanno assu-mendo consapevolmente quei rischi calcolati che con-ducono a una maggiore redditività» (Texaco, 1988).All’Amoco il decentramento è stato ancora più radi-cale: le principali divisioni dell’impresa (upstream,downstream, chimica) sono state suddivise in 17 unitàdistinte, ciascuna delle quali riferisce direttamentealla sede centrale;

• tutte le compagnie hanno attribuito maggiore impor-tanza al controllo budgetario e ai risultati economi-ci di breve e medio termine (controllo finanziario egestione dei risultati). Questo rifletteva l’accresciutapriorità data alla profittabilità e alla responsabilitàfinanziaria di ciascuna divisione e unità operativa,e trovava sostegno nel crescente ricorso a premi col-legati al profitto e all’uso di stock options per incen-tivare i dirigenti. In questo modo, Texaco identifi-cava se stessa come «un’attività imprenditorialeorientata al profitto». La sua nuova struttura decen-trata consentiva di monitorare mensilmente ognidivisione con «gli utili rivisti alla fine di ogni anno».Un analista ha così commentato: «Gli impiegati dellaTexaco sono incoraggiati a cambiare la loro menta-lità burocratica, tipica delle grandi compagnie petro-lifere, e ad assumere il rischio come farebbe unimprenditore» (Texaco [...], 1989). Una maggioreresponsabilità finanziaria significava anche una mag-giore pressione sui manager affinché conseguisse-ro obiettivi di profitto impegnativi. Come ha osser-vato Eugene McBarayer, Presidente della ExxonChemical: «Sento di avere un cappio al collo. Senon rendo, manderanno qualcun altro al posto mioche lo farà»3.

5.2.6 Il consolidamento: l’ondata delle fusioni (1995-2002)

Le fusioni e le acquisizioni prima del 1998Le fusioni e le acquisizioni hanno rappresentato per

lungo tempo una caratteristica centrale delle strategieaziendali delle principali major operanti nel mercato delpetrolio e del gas. Molte di queste sono state create attra-verso fusioni: la Mobil è nata dalla fusione della Stand-ard Oil of New York (Socony) con la Vacuum Oil Com-pany; l’Atlantic Richfield fu costituita a seguito dellafusione della Richfield Oil Corporation e della AtlanticRefining Company; Eni è stata creata dalla fusione diAgip, Snam e di diverse altre compagnie energetiche

italiane; la Royal Dutch/Shell Group era una joint venturetra la Royal Dutch Petroleum e la Shell.

Durante la fine degli anni Settanta e negli anni Ottan-ta, le major usavano le acquisizioni come strumento didiversificazione in un certo numero di nuovi settori indu-striali. Dalla metà degli anni Ottanta, le acquisizioni eranoprincipalmente orizzontali, vale a dire che gli obiettividell’acquisizione erano prevalentemente altre compa-gnie operanti nel settore degli idrocarburi, e i motivi chevi stavano alla base erano soprattutto la costituzione dimassa critica nei mercati esistenti, l’espansione del campogeografico di azione, e l’acquisizione di riserve di idro-carburi. Significative acquisizioni sono state: a) l’ac-quisizione della Gulf Oil da parte della Chevron (1984);b) l’acquisizione della Getty Oil da parte della Texaco(1984); c) l’acquisizione da parte della BP e della RoyalDutch/Shell Group delle azioni circolanti delle loro affi-liate statunitensi, Sohio (1987) e Shell Oil (1984), rispet-tivamente; d) l’acquisizione da parte della BP della LearPetroleum e della Britoil nel 1988 e della Burmah Oilnel 1989; e) l’acquisizione della Dome Petroleum (1987)da parte di Amoco.

La creazione delle supermajor Durante la metà degli anni Novanta, capacità in ecces-

so e bassi margini di profitto stavano esercitando pres-sioni per la realizzazione di fusioni nel downstream. Nel-l’ottobre del 1996, Shell, Texaco e Star Enterprise (unajoint venture tra Texaco e Saudi Aramco) annunciaronola fusione delle loro attività di downstream all’internodegli Stati Uniti al fine di creare la più grande compa-gnia americana dedita alla raffinazione e al marketing.Pressioni simili erano evidenti anche in Europa dove BPe Mobil fusero le loro attività a valle in una singola jointventure.

Tuttavia, l’evento scatenante che innescò fusioni eacquisizioni su più vasta scala fu la fusione di BP conAmoco (cui ha fatto velocemente seguito l’acquisizionedi Arco, una delle più piccole tra le major internaziona-li). Le manovre della BP segnarono l’inizio di una straor-dinaria ondata di fusioni e acquisizioni in tutto il setto-re, in conseguenza della quale si ebbe il più intenso perio-do di concentrazione dell’industria degli idrocarburi maiverificatosi dai tempi della crescita della Standard Oilnegli anni Ottanta.

Nell’ambito della nuova ondata, l’annuncio più signi-ficativo fu quello dell’accordo di fusione tra Exxon eMobil verso la fine del 1998. È stata la più grande fusio-ne della storia e ha portato alla creazione della corpo-ration industriale più grande del mondo. Era una chia-ra indicazione per le altre principali compagnie del

312 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GLI ATTORI DELL’INDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI E LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

3 Per ulteriori approfondimenti sulla politica di ristruttu-razione delle major, si veda Cibin e Grant, 1996.

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petrolio e del gas che le fusioni si stavano distinguendoin due categorie: le supermajor rappresentate da Exxon-Mobil, BP-Amoco-Arco e Royal Dutch/Shell Group, ele altre (tab. 7).

I vantaggi della dimensioneMentre i mercati azionari premiavano queste fusio-

ni e acquisizioni con più alti quozienti di valutazione, laportata dei reali vantaggi economici non era chiara. Lamotivazione primaria sembrava essere il desiderio di cre-scita, soprattutto quando i bassi prezzi del petrolio ridu-cevano le entrate4.

Appena iniziata, l’ondata di fusioni venne sostenu-ta dal timore delle compagnie di essere relegate allo sta-tus di appartenenti al ‘secondo gruppo’ all’interno del-l’industria. La reazione positiva del mercato azionarioalle fusioni era sorprendente, poiché secondo studi appli-cati ad altre industrie, soltanto una ristretta minoranzadelle fusioni raggiungeva risultati concreti, come unamaggiore produttività, più alti profitti o un più alto prez-zo delle azioni, nel lungo termine. La risposta risiedenegli enormi costi di capitale e negli enormi rischi asso-ciati all’esplorazione e alla produzione di petrolio: soloimprese ad alta capitalizzazione possono sperare di pro-sperare, in quanto sono grandi abbastanza da potersipermettere di spendere tempo e denaro e di assumersi

il rischio insito in questo mercato aleatorio. Poiché laposta in gioco è così alta, trovare il giacimento di gran-dissime dimensioni (‘elefante’) è diventata l’ossessio-ne dell’industria.

Le argomentazioni a favore della dimensione sonostate trattate da Thierry Desmarest, Presidente della Totale artefice della fusione con PetroFina e Elf Aquitaine,come segue: «In futuro, le più grandi compagnie petro-lifere e del gas saranno quelle maggiormente in gradodi soddisfare con successo i bisogni dell’industria. Saràla significativa dimensione che darà loro:• la necessaria forza finanziaria per portare a termine

grandi progetti;• il controllo di tecnologie d’avanguardia e di abilità

manageriali distintive; • un adeguato potere di negoziazione con i governi;• l’indispensabile buona elasticità e flessibilità ai cam-

biamenti ambientali;• la pazienza e una visione di lungo termine per svi-

luppare grandi progetti che richiederanno importan-ti progressi nella tecnologia o nello sviluppo del mer-cato» (Desmarest, 2002).

313VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI

LE STRATEGIE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE DAL 1970 A OGGI

tab. 7. Le principali fusioni e acquisizioni nell’industria del petrolio e del gas, 1998-2002(acquisizioni solo di compagnie che superano 1 miliardo $)

Fonte: Rapporti annuali delle compagnie.

Principali compagniedel petrolio e del gas, 1995

Ricavi nel 1995(109 $)

Datadella fusione

Principali compagniedel petrolio e del gas, 2002

Ricavi nel 2002(109 $)

Exxon 123,92 ExxonMobil Corp. 182,47 Mobil 75,37 1999

Royal Dutch/Shell Group 109,87 Royal Dutch/Shell Group 179,43 Enterprise Oil 1,18 2002

British Petroleum 56,00 BP Amoco 178,72 Amoco 28,34 1998Arco 15,82 2000

Chevron 31,32 ChevronTexaco 92,04 Texaco 35,55 2001

Total 27,70 Total 96,94 PetroFina – 1999Elf Aquitaine – 2000

Conoco 14,70 ConocoPhillips 58,38 Philips Petroleum 13,37 2002Tosco – 2001

Eni 35,92 Eni 46,33

Repsol 20,96 Repsol-YPF 34,50YPF 4,97 1999

4 Nel dicembre del 1998, i prezzi scesero al di sotto dei 10dollari al barile.

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Desmarest ha addotto i seguenti esempi di crescentedimensione dei progetti che venivano intrapresi dalla Total:a) il giacimento di Elgin Franklin nel Mare del Nord peril valore di 2,5 miliardi di dollari; b) il progetto Sincor da4,3 miliardi di dollari in Venezuela per convertire greggiomolto pesante in greggio sintetico a basso contenuto dizolfo; c) il progetto da 2,6 miliardi di dollari del giacimentoGirassol nell’offshore dell’Angola a una profondità d’ac-qua di 1.350 metri; d) lo sviluppo del giacimento di gasSouth Pars in Iran per il valore di 2 miliardi di dollari.

Egli ha anche parlato della capacità di distribuire irischi intraprendendo grandi progetti multipli in diffe-renti regioni del mondo. In questo modo, relativamenteal Gas Naturale Liquefatto (GNL), la Total ha investitoin cinque impianti localizzati in Indonesia, Nigeria, Qatare Abu Dhabi. Un altro vantaggio della grande dimen-sione è rappresentato dalle maggiori opportunità diapprendimento che derivano dal perseguire progetti mul-tipli. Più progetti di uno stesso tipo una compagnia intra-prende (per esempio, la perforazione in mare aperto nel

314 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GLI ATTORI DELL’INDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI E LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

tab. 8. Le maggiori compagnie del petrolio e del gas quotate in Borsa, 2004(classificate in base al valore del mercato azionario, 109 $)

Compagnia Paese Vendite Profitti AttivoCapitalizzazione

di Borsa

Exxon Mobil Stati Uniti 263,99 25,33 195,26 405,25

BP Regno Unito 285,06 15,73 191,11 231,88

Royal Dutch/Shell Group Paesi Bassi/Regno Unito 265,19 18,54 193,83 221,49

Total Francia 131,64 8,84 98,69 151,13

ChevronTexaco Stati Uniti 142,90 13,33 93,21 131,52

PetroChina Cina 36,70 8,41 64,23 111,03

Eni Italia 79,31 9,89 82,25 104,71

ConocoPhillips Stati Uniti 118,72 8,13 92,86 76,54

Gazprom Russia 28,88 5,84 90,29 69,90

Petrobras Brasile 33,11 6,15 46,43 48,38

China Petroleum & Chemical Cina 49,75 2,61 48,16 44,97

Schlumberger Paesi Bassi 11,61 1,22 16,04 44,42

Statoil Group Norvegia 50,06 4,11 40,91 39,44

Repsol-YPF Spagna 48,00 2,54 46,68 33,32

EnCana Canada 10,93 2,52 24,11 30,75

Surgutneftegas Oil Russia 7,67 0,66 18,32 29,76

Lukoil Holding Russia 23,14 3,87 26,46 28,52

Oil & Natural Gas India 9,78 2,16 19,18 27,86

BG Group Regno Unito 7,83 1,74 16,49 27,80

Occidental Petroleum Stati Uniti 11,51 2,57 21,39 27,74

CNOOC Honk Kong/Cina 4,96 1,40 8,88 23,83

Devon Energy Stati Uniti 9,19 2,19 29,74 22,65

Apache Stati Uniti 5,33 1,67 15,50 20,59

Halliburton Stati Uniti 20,47 0,98 15,80 19,41

Burlington Resources Stati Uniti 5,62 1,53 15,74 19,25

Fonte: «Fortune», 2004; Hoovers.com.

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Mare del Nord, nel Golfo del Messico e nell’offshoredell’Africa occidentale), maggiori sono le opportunitàdi imparare, innovare e di condividere le pratiche miglio-ri. La maggiore dimensione e il maggior rischio asso-ciati ai grandi progetti realizzati nell’upstream sono evi-denti nell’esperienza della Shell con il suo immenso pro-getto gas offshore Sakhalin-2, al largo delle coste dellaSiberia. Al 2005, il costo stimato del progetto era salitoa 20 miliardi di dollari, con uno sforamento dei costi di10 miliardi di dollari (Shell [...], 2005).

In generale, tuttavia, l’evidenza di significative econo-mie di scala associate al fatto di essere una supermajorpiuttosto che una major è difficile da trovare. Nelle fasi avalle, ci sono significativi vantaggi di costo e di potere dimercato associati alla quota di mercato detenuta nei sin-goli mercati nazionali e regionali, ma poche economie discala a livello globale. Nelle fasi a monte, la dimensioneaumenta il potere contrattuale e permette di diversificare

il rischio, ma le principali economie di scala riguardanosoprattutto l’utilizzo delle infrastrutture che è specificodi particolari regioni o bacini di idrocarburi.

5.2.7 L’attuale orientamento strategico

Le compagnie del petrolio e del gas nel 2005Le tabb. 8 e 9 mostrano i principali attori mondiali

nel settore degli idrocarburi rispettivamente al 2004 e al2003. La tab. 8 classifica le più grandi compagnie quo-tate in Borsa. Tuttavia, è importante notare che alcunedelle più grandi e importanti compagnie operanti neimercati del petrolio e del gas a livello mondiale sonocompagnie di produzione di proprietà statale. Molte diqueste non pubblicano esaustivamente i loro conti, mala loro importanza è evidente dai dati operativi. La tab. 9

315VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI

LE STRATEGIE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE DAL 1970 A OGGI

tab. 9. Le prime 20 compagnie del petrolio e del gas classificate in base alle riserve (2003)

* Yukos è controllata dallo Stato dal 2005.Fonte: «Petroleum Intelligence Weekly», 2003.

Compagnia Paese Proprietà statale (%) Riserve (109 $/bbl)

Saudi Aramco Arabia Saudita 100 249

NIOC Iran 100 126

INOC Iraq 100 115

KPC Kuwait 100 99

PDVSA Venezuela 100 78

Adnoc Emirati Arabi Uniti 100 55

Libya NOC Libia 100 23

NNPC Nigeria 100 21

Pemex Messico 100 16

Lukoil Russia 8 16

Gazprom Russia 73 14

Exxon Mobil Stati Uniti 0 13

Yukos Russia * 12

PetroChina Cina 90 11

Qatar Petroleum Qatar 100 11

Sonatrach Algeria 100 11

BP Regno Unito 0 10

Petrobras Brasile 32 10

Chevron Stati Uniti 0 9

Total Francia 0 7

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riporta le più grandi compagnie a livello mondiale in ter-mini di riserve; la maggioranza sono imprese petrolife-re nazionali di proprietà pubblica (National Oil Compa-nies, NOCs). Sebbene ExxonMobil, Shell e BP siano trale più grandi corporazioni mondiali, in termini di riser-ve (e anche di produzione di greggio) esse sono schiac-ciate dalle principali NOCs: le riserve della ExxonMo-bil sono circa 1/10 di quelle della National Iranian OilCompany e inferiori a quelli di Pemex, la compagniapetrolifera nazionale del Messico.

La presenza di due tipologie di imprese tra loro moltodiverse nel settore del petrolio e del gas risulta in quel-lo che «The Economist» descrive come «il paradosso dibase» del business petrolifero: «Il petrolio è la sola indu-stria in cui gli asset più grandi e migliori (in questo casole riserve di petrolio e gas) non sono nelle mani delleimprese più efficienti e ad alta capitalizzazione (le majoroccidentali), ma delle compagnie petrolifere nazionali.I due terzi delle riserve mondiali di petrolio sono loca-lizzate nel Golfo Persico, dove le imprese estere non sononella maggior parte dei casi benvenute. Exxon può dete-nere la più alta valutazione azionaria tra le imprese quo-tate ma è schiacciata dalla Aramco, compagnia sauditanon quotata, le cui riserve di petrolio sono 20 volte piùgrandi e non accessibili per gli stranieri». Come vedre-mo, questa asimmetria sta al centro delle difficoltà stra-tegiche che affrontano le major del petrolio e del gas.

Come indicato nella tab. 8, le major internazionali ele compagnie petrolifere nazionali non sono gli unicisignificativi attori dell’industria petrolifera mondiale.

Una caratteristica chiave dell’evoluzione dell’industriadai giorni del dominio delle Sette Sorelle è stata la cre-scente diversità nelle tipologie di imprese che la compon-gono. Le compagnie indipendenti che operano nelle fasia monte – come Apache, Devon Energy e BurlingtonResources – hanno conquistato un ruolo sempre piùimportante. Molte di queste sono state pionieristichenello scoprire e sviluppare riserve di petrolio e di gasin regioni di frontiera. La specializzazione verticaleè anche evidente in altre fasi della catena del valore.Schlumberger e Halliburton sono specializzate nella for-nitura di tecnologie e di servizi parapetroliferi, special-mente perforazioni, rivolti alle compagnie di petrolio egas. Gli specialisti delle fasi a valle (raffinatori e distri-butori) tendono a essere più piccoli e attivi ciascuno inun’area circoscritta.

Altri nuovi attori sulla scena internazionale sono lecompagnie che operano nelle fasi a valle della filieradel gas. Nonostante la bancarotta della sciagurata Enron,un certo numero di altre imprese di marketing e distri-buzione del gas (in particolare British Gas, Gaz de Fran-ce ed Eon) si sono integrate a monte nell’esplorazionee produzione e si sono anche espanse a livello interna-zionale. La fig. 1 mostra i principali gruppi strategici didiverse tipologie di compagnie che caratterizzano l’in-dustria del petrolio e del gas in relazione al loro posi-zionamento in termini di integrazione verticale ed esten-sione geografica delle loro attività. In questo modo,mentre le supermajor hanno attività che vanno dall’e-splorazione alla vendita al dettaglio e sono presenti a

316 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GLI ATTORI DELL’INDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI E LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

compagnie diraffinazione e

marketing(per es., SK,

Reliance, Cepsa,Nippon Oil)

compagniepetrolifere nazionali

(per es., Gazprom,Saudi Aramco, PDVSA,

Pemex, KuwaitPetroleum)

compagnie del gasspecializzate nel downstream (per es., BG, Gaz de France,

E.ON AG)

compagnie internazionalispecializzate nell'upstream (per es., Burlington, Apache,

EnCana)

major(per es., Eni, Repsol,

Petrobras)

impresaspecializzata

impresaintegrata

nazionale estensione geografica globale

grad

o di

inte

graz

ione

ver

tica

le

compagnie parapetrolifere(per es. Schlumberger,

Halliburton)

supermajor(per es., Exxon, Shell, BP, Chevron,

Total, ConocoPhillips)

fig. 1. Gruppi strategici dell’industria mondiale del petrolio e del gas.

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livello mondiale, altre compagnie operano solo in pochefasi della catena del valore e sono concentrate princi-palmente in un solo paese.

La performance d’impresaUna delle caratteristiche principali dell’industria del

petrolio e del gas è stata la sua forte performance finan-ziaria. Nel periodo 2002-2004, l’industria è stata parti-colarmente profittevole, con la maggior parte delle majorche ha riportato un ritorno sul capitale netto più che dop-pio rispetto al loro costo del capitale (tab. 10).

La recente redditività delle compagnie petrolifere èstata sicuramente il risultato degli alti prezzi del petro-lio e del gas. Tuttavia, se osserviamo la performancefinanziaria dell’industria negli ultimi 20 anni, troviamoche la profittabilità (che la si misuri in termini di rendi-mento sul capitale netto, ritorno sul capitale impiegatoo reddito operativo rispetto al fatturato) è stata notevol-mente al di sopra della media rispetto agli altri settoriindustriali. Si deve alle strategie delle compagnie se dallametà degli anni Ottanta i loro profitti nella maggior partedei casi sono rimasti positivi anche durante periodi dibassi prezzi del petrolio (per esempio, alla fine degli anniNovanta). Questo mette in evidenza l’efficacia dei pro-cessi di ristrutturazione, del ridimensionamento, dellenuove tecnologie nel taglio dei costi e nella rifocalizza-zione delle compagnie attorno alle loro attività più pro-fittevoli.

Fonti primarie di profittabilità sono state l’esplora-zione e la produzione (alti prezzi del petrolio nel perio-do 2003-2005 hanno ulteriormente gonfiato gli alti ritor-ni tradizionalmente associati alle attività a monte). Percontro, le attività a valle non sono state redditizie pergran parte degli ultimi 30 anni (risultato dell’eccesso dicapacità e di una feroce concorrenza tra commodities).Nel periodo 2000-2005, le condizioni economiche delsettore downstream si sono trasformate: la carenza di

capacità di raffinazione a livello mondiale ha spinto inalto i margini della raffinazione, mentre le stazioni diservizio specializzate nella vendita al dettaglio si sonosempre più trasformate in negozi di alimentari e casa-linghi che offrono un’ampia gamma di beni e servizi.

Le strategie attualiIl settore del petrolio e del gas è una delle poche indu-

strie in cui i principali prodotti offerti sono rimasti difatto immutati per molti decenni. La concorrenza si gioca,quindi, sull’accesso alle risorse e sul raggiungimentodell’efficienza nell’estrazione, nel trasporto, nella lavo-razione e nella distribuzione. Le priorità strategiche dellemajor sono rimaste in gran parte le stesse negli ultimi20 anni e sono state comuni a tutte le maggiori imprese.In particolare, è la principale linea guida sottostante allestrategie aziendali (la ricerca delle riserve di idrocarbu-ri) a rimanere invariata.

Tuttavia, mentre l’obiettivo strategico primario restalo stesso, il modo in cui viene perseguito è cambiato. Lacrescente importanza del gas, le relazioni con i paesi pro-duttori e con le loro compagnie petrolifere nazionali, ilmutamento delle basi del vantaggio competitivo, il cre-scente ruolo della tecnologia e di altre forme di cono-scenza sono tutti elementi che hanno influenzato le stra-tegie delle compagnie. Vengono di seguito indicate alcu-ne delle principali tendenze osservate nelle strategie dellemajor petrolifere.

La ricerca delle riserveL’aumento dei prezzi del petrolio a partire dal 2000

ha fatto rivivere la secolare paura dell’esaurimento delleriserve mondiali di petrolio. Nel 2004, l’Agenzia Inter-nazionale per l’Energia (AIE) ha stimato un fabbisognomondiale di investimenti pari a 3.000 miliardi di dolla-ri per i successivi 25 anni al fine di soddisfare l’attesadomanda petrolifera globale. Circa la metà della nuova

317VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI

LE STRATEGIE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE DAL 1970 A OGGI

tab. 10. Risultati finanziari delle major internazionali del petrolio e del gas (2002-2004)

Fonte: Rapporti annuali delle compagnie.

CompagniaVendite (109 $) Reddito netto (109 $) Ritorno

sul capitale netto(media in %)2004 2003 2002 2004 2003 2002

BP 285,1

ExxonMobil 270,8 213,2 182,5 25,33 21,51 11,46 21,1

Royal Dutch/Shell 268,7 201,7 179,4 18,18 12,61 9,58 18,0

Total 152,6 131,6 107,7 11,96 9,07 6,25 23,4

Chevron 148,0 112,9 92,0 13,33 7,23 1,13 17,7

ConocoPhillips 121,7 99,5 58,4 8,13 4,74 �0,30 10,9

Eni 74,2 64,7 50,3 9,05 7,74 5,49 21,7

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produzione dovrebbe provenire dalle riserve esistenti; larestante da un recupero intensivo dei giacimenti, dallenuove scoperte e dalle fonti non convenzionali. Per lemajor, la difficoltà principale risiede nel fatto che granparte della loro produzione proviene dai grandi giaci-menti del Nordamerica (principalmente Alaska e Golfodel Messico) e del Mare del Nord. Questi residui dellaprima grande ondata di esplorazione nei paesi non OPECsi stanno assottigliando.

Come risultato, le principali compagnie stanno cer-cando altre fonti di approvvigionamento non OPEC comel’Africa Occidentale, il Caspio, la Russia e le acque profon-de del Brasile. Le loro più grandi speranze tuttavia sonoriposte nella Russia, che ha aperto la porta all’investi-mento privato nel settore petrolifero sotto Boris El’tsin,riportando un incremento in investimenti e produzione.Tuttavia, lo sfruttamento di queste fonti di petrolio è dif-ficile sia per le difficoltà tecniche che comporta, sia perla minore predisposizione dei paesi menzionati ad aprir-si agli investitori occidentali: il governo russo, per esem-pio, ha proibito una partecipazione straniera di maggio-ranza in molte nuove concessioni di risorse naturali.

Anche altri paesi produttori di petrolio, OPEC e nonOPEC, sono diventati meno accessibili alle major occi-dentali. Dopo i processi internazionali di liberalizzazio-ne degli anni Ottanta e Novanta, i paesi dell’AmericaLatina e del Medio Oriente hanno posto crescenti restri-zioni alle compagnie energetiche estere. Siamo in unperiodo di rinnovato ‘nazionalismo delle risorse’da partedei paesi produttori.

Un altro aspetto del nazionalismo delle risorse è ilruolo internazionale crescente delle compagnie petroli-fere nazionali. Durante gli anni Ottanta, Saudi Aramco,Kuwait Petroleum e PDVSA hanno operato nel settoredownstream negli Stati Uniti e in Europa. Negli annirecenti, le compagnie petrolifere e del gas di Russia,India e Cina sono diventate attori internazionali di primopiano. Con l’aiuto delle compagnie parapetrolifere comeHalliburton e Schlumberger, le NOCs hanno accesso allemoderne tecnologie e sono meno interessate a instaura-re partnership con le major occidentali. In misura sem-pre maggiore, stanno concorrendo con le major del petro-lio e del gas per le concessioni d’oltreoceano. La batta-glia per l’acquisizione di Unocal tra Chevron e CNOOCnel 2005 ha illustrato questa tendenza.

Le strategie per lo sviluppo del settore del gas naturale

Un’altra grande area di crescita per le major è il gasnaturale. Per la maggior parte del 20° secolo, il gas eraconsiderato inutile e veniva sprecato più che sfruttato.«Trovi gas una volta e sei perdonato; lo trovi due voltee sei licenziato», citava un vecchio adagio dell’industria.Dagli anni Ottanta in avanti, il gas è diventato semprepiù importante per le principali compagnie petrolifere.

Nel 1982 il consumo di gas (espresso in barili equiva-lenti di petrolio) ammontava al 15,8% del consumo dipetrolio; nel 1992 era salito al 56,9%; mentre nel 2002ha raggiunto il 74%. I vantaggi del gas risiedono nelcosto (storicamente è almeno il 30% più economico delpetrolio), nel suo migliore impatto ambientale e nellasua disponibilità. Se il 20° secolo era l’età del petrolio,il 21° secolo è stato definito da alcuni osservatori comel’era del gas. La più rapida fonte di consumo che ha deter-minato la crescita della domanda è stata la veloce espan-sione nella costruzione di impianti di generazione elet-trica alimentati a gas tra il 1990 e il 2002.

La difficoltà per le major petrolifere è quella di con-vogliare il gas naturale fino al consumatore. Il gas è moltopiù difficile da trasportare del petrolio; deve essere tra-sportato o tramite pipeline o liquefatto e i costi capitalidello sfruttamento dei giacimenti di gas che sono distan-ti dai principali mercati sono immensi. Tra il 2000 e il2005 sono stati avviati diversi progetti di costruzione digrandi gasdotti: le condotte Bluestream e Greenstreamdi Eni che trasportano il gas dalla Russia e dalla Libia;i 3.300 km della pipeline Nabucco che porterà il gas dalCaspio all’Europa centrale; i 5.000 km del progetto dipipeline in Alaska. Ingenti investimenti in impianti diliquefazione del gas sono stati fatti in Qatar, Nigeria,Indonesia e in diversi altri paesi. Poiché il gas è menotrasportabile del petrolio, i mercati internazionali per ilgas non si sono sviluppati quanto quelli petroliferi. Laconseguenza è stata che le strategie di integrazione ver-ticale sono state molto diverse per il petrolio e per il gas.

Le strategie di integrazione verticaleCome già notato nel paragrafo 5.2.5, un elemento

cruciale delle strategie delle major petrolifere durantegli anni Ottanta e Novanta è stato lo smantellamento dellestrutture verticalmente integrate che avevano rappre-sentato il cardine del loro modello organizzativo tradi-zionale. Due aspetti erano alla base della deintegrazio-ne verticale: 1) le compagnie avevano eliminato semprepiù lo stretto legame operativo tra le loro attività verti-calmente collegate; 2) erano diventate sempre più selet-tive nella scelta delle fasi della filiera produttiva in cuioperare. In questo modo, la maggior parte delle compa-gnie affidava a terzi i servizi parapetroliferi, il traspor-to marittimo, la tecnologia informatica e diverse aveva-no liquidato le loro attività nella chimica. Ciononostan-te, tutte le major mantenevano la loro presenzanell’esplorazione, produzione, raffinazione e marketing(anche se l’enfasi era sempre più spostata sulle attivitàdi upstream e poco si fece per assicurare una stretta coor-dinazione tra attività di upstream e di downstream).

La debole integrazione verticale nel settore petrolife-ro non era adatta a gestire le attività delle major nel setto-re del gas. L’efficace sfruttamento delle loro riserve di gasnelle fasi a monte richiedeva investimenti in trasporto,

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GLI ATTORI DELL’INDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI E LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

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stoccaggio, liquefazione, distribuzione e marketing. Ilcresciuto coinvolgimento nelle attività a valle fu facili-tato dalla liberalizzazione dei mercati all’ingrosso e aldettaglio del gas durante gli anni Novanta. Shell, Exxon,Mobil e Total ebbero un ruolo di primo piano nell’in-ventare strategie sul gas verticalmente integrate, sebbe-ne nessuna di esse avesse raggiunto lo stesso grado diintegrazione a valle dell’Eni, che era un caso unico trale major, poiché sin dalla sua fondazione era più orien-tata sul gas che sul petrolio.

L’integrazione verticale nel settore del gas naturaleportò le imprese a guardare oltre lo sfruttamento in sensostretto del gas. Nel 2005 le principali compagnie petro-lifere erano tutte importanti attori nella generazione elet-trica. Per esempio, alla fine del 2004, la ExxonMobilpossedeva una capacità di generazione pari a 3.700 MWe aveva investito nelle sue attività elettriche circa 2 miliar-di di dollari. Anche per la Shell la generazione e la ven-dita di elettricità erano state attività in crescita, sebbenenell’aprile 2005 abbia annunciato la vendita della suaIntergen, joint venture nella generazione elettrica con laBechtel, a un gruppo finanziario privato.

La gestione della tecnologia e delle conoscenzeLa ricerca di riserve ha portato le major petrolifere

nell’Artico e nelle profondità dell’oceano; ha incoraggia-to le compagnie a sviluppare tecniche avanzate di estra-zione al fine di allungare la vita dei giacimenti ormai matu-ri; ha spinto verso la produzione di greggi sintetici otte-nuti da greggio pesante e solforoso, da carbone, e da sabbiee scisti bituminosi; ha tenuto alto l’impegno nelle tecno-logie gas-to-liquids per produrre benzina da gas naturale.

Il risultato è stato una maggiore dipendenza dellecompagnie dalla tecnologia. Tuttavia, i notevoli miglio-ramenti nell’efficienza e nelle capacità delle major delpetrolio e del gas non sono semplicemente il frutto del-l’applicazione di conoscenze scientifiche scaturite dallaricerca di laboratorio. Le accresciute capacità tecnichee operative delle imprese sono il risultato della maggio-re attenzione, non solo alla conoscenza scientifica, maalla conoscenza più in generale.

Nel 2005, tutte le principali compagnie occidentalihanno adottato alcuni appositi programmi di gestionedella conoscenza. L’entusiasmo delle compagnie versola gestione della conoscenza è il risultato del riconosci-mento che le attività del petrolio e del gas sono basatesulla conoscenza e che il vantaggio competitivo dipen-de dalla capacità dell’impresa di sfruttare il suo baga-glio cognitivo in modo più efficace dei suoi concorren-ti. Alcuni dei più straordinari progressi nella gestionedelle conoscenze si sono avuti nella tecnologia infor-matica. La tecnologia web, l’informatizzazione diffu-sa, le connessioni internet/intranet hanno trasformato lacollaborazione e i processi decisionali dell’industria,specie nelle fasi a monte. Le compagnie parapetrolifere

(specialmente Schlumberger e Halliburton) sono stateall’avanguardia nell’applicare avanzati sistemi di gestio-ne di database, software interattivi e modelli di simula-zione avanzati nelle attività di esplorazione e produzio-ne (perforazione in particolare). Tuttavia, le più grandidifficoltà nella gestione della conoscenza basata sullatecnologia riguardano il fattore umano. L’ammontare didati generati e la sofisticazione del software per analiz-zarli supera le capacità umane di interpretarli. Tentatividi fare a meno dell’interfaccia umana usando l’intelli-genza artificiale (‘perforazione intelligente’, ‘campipetroliferi intelligenti’) sono stati deludenti. Quindi, l’im-pulso chiave agli attuali sviluppi consiste nel migliora-re l’interazione tra le persone e l’informazione attraver-so la progettazione di portali avanzati, migliori motoridi ricerca, una maggiore standardizzazione, la riproget-tazione sistematica e un miglioramento della qualità del-l’informazione.

I tentativi di migliorare la condivisione e l’utilizzodi tacite conoscenze empiriche sono stati ben più impor-tanti della gestione dell’informazione. Le Comunità diPratica, gruppi informali di dipendenti che svolgonomansioni affini o che sono impegnati in attività simila-ri e condividono il loro know-how aiutandosi nella solu-zione dei problemi, si sono rivelati di grande utilità. Piùin generale, le major hanno conseguito considerevolirisparmi in termini di costi e di tempo quando hannofacilitato la condivisione delle conoscenze dei singoli.

L’incentivare la condivisione e l’utilizzo della cono-scenza può richiedere significativi cambiamenti nel modoin cui le imprese sono organizzate e gestite. Sotto la Pre-sidenza di John Browne, la BP si è spinta oltre qualsia-si altra compagnia del petrolio e del gas nel fare del-l’apprendimento organizzativo il tema centrale della pro-pria strategia aziendale: «L’apprendimento è il cuore dellacapacità della compagnia di adattarsi ad un ambiente chemuta rapidamente. È la chiave per essere capaci sia diidentificare opportunità che gli altri possono non scor-gere, sia di sfruttare queste opportunità pienamente evelocemente. Questo significa che al fine di generare unvalore aggiunto per gli azionisti, una compagnia deveapprendere più dei suoi rivali e applicare quella cono-scenza in tutte le sue attività più velocemente e in manie-ra più ampia di quanto non facciano loro. Dal nostropunto di vista, chiunque all’interno dell’organizzazionenon è direttamente responsabile della realizzazione delprofitto dovrebbe essere coinvolto nella creazione e dif-fusione delle conoscenze che l’impresa può usare pergenerare profitto» (Browne e Prokesh, 1997).

Gli elementi chiave su cui poggia la creazione daparte di BP di un’organizzazione basata sull’apprendi-mento sono stati tre:• gruppi virtuali: Collaborativa condivisione delle cono-

scenze tra dipendenti con interessi affini all’internodell’impresa;

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LE STRATEGIE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE DAL 1970 A OGGI

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• assistenza reciproca: incontri e seminari dove i dipen-denti che non sono direttamente coinvolti in un pro-getto si riuniscono per rivedere le procedure, risolve-re i problemi e suggerire ulteriori aree di indagine;

• revisioni a posteriori: procedura adottata dall’eserci-to statunitense che comporta la discussione e revisio-ne dei successi e dei fallimenti di un progetto nell’otti-ca di trarre conclusioni da applicare ai progetti futuri.

5.2.8 Adattarsi a un futuro incerto

Il passato insegna che le major del petrolio e del gasattuano i cambiamenti in modo più veloce ed efficacequando sono sotto pressione, in particolare quando i loroutili sono inficiati dalla caduta dei prezzi dell’energia.Uno dei pericoli della congiuntura attuale caratterizza-ta da alti prezzi e ampi margini è che fornisce poco sti-molo al cambiamento.

Eppure, le major affrontano tremende incertezze circai loro ruoli futuri. Qualunque sia il futuro andamento deiprezzi del petrolio, la realtà è che le imprese dipendonoper la loro sopravvivenza dal ritrovamento di nuove riser-ve di petrolio. Date le difficoltà di rimpiazzare le riservenon OPEC, è inevitabile che i paesi OPEC conterannoper una quota crescente della produzione mondiale. Inquesti paesi, la presenza delle compagnie petrolifere nazio-nali limita l’accesso delle major occidentali alle riservepetrolifere. Anche in alcuni dei principali paesi produt-tori non OPEC, Russia in particolare, la tendenza è versoil protezionismo e la creazione di ‘campioni nazionali’come Gazprom. Stessa situazione per Cina e India, paesiimportanti perché potenzialmente rappresentano i due piùgrandi consumatori mondiali di energia, che sembranofavorire lo sviluppo di compagnie energetiche nazionali.

Una strada da seguire per le principali compagnieoccidentali è concentrarsi sempre di più sul gas natura-le, settore ad alta intensità tecnologica e di capitale checonferisce loro un vantaggio rispetto alle NOCs. Unesempio di progetto grande e complesso in cui le com-pagnie occidentali possono offrire le necessarie risorsee competenze finanziarie, tecnologiche e geopolitiche èil progetto Sakhalin-2 guidato dalla Shell. Esso includelo sviluppo di un giacimento di gas sotto il mare dellaRussia, la liquefazione del gas, poi il trasporto via navedel GNL verso Giappone e Cina. Il GNL verrà anche tra-sportato in California attraverso un nuovo terminale dirigassificazione del GNL collocato in Messico.

Seguendo una logica simile, un altro approccio perle major potrebbe essere quello di ridefinire i loro rap-porti con le NOCs, per esempio intervenendo semprepiù come partner aventi il ruolo primario di fornire espe-rienza tecnica e commerciale e di offrire l’accesso aimercati occidentali. Tuttavia, rappresenta un problemail fatto che le major del petrolio e del gas abbiano in

maniera sempre crescente affidato a terzi la tecnologia,specialmente nelle fasi a monte. Come risultato, i leaderdella tecnologia in esplorazione e produzione e le com-pagnie di servizi parapetroliferi, Schlumberger in parti-colare, hanno preso il sopravvento in questo campo. Nelcorso degli ultimi dieci anni si è contratta la spesa delleprincipali compagnie per la ricerca e lo sviluppo, espres-sa in termini di percentuale sulle vendite. L’attività diricerca e sviluppo della Shell è scesa da 701 milioni didollari nel 1998 a 553 milioni di dollari nel 2004. Il chesignifica un calo delle spese per la ricerca e lo sviluppoespresse in percentuale sulle vendite dallo 0,58% allo0,21%. Quindi, uno dei rischi principali che le major sitrovano ad affrontare è quello di essere scavalcate; lanaturale combinazione di risorse e competenze comple-mentari vede, da un lato, le NOCs, con le loro vaste riser-ve di idrocarburi e, dall’altro, le compagnie parapetroli-fere con la loro esperienza tecnica. È probabile che, alfine di ottenere l’accesso alle riserve di petrolio dei paesiproduttori, le major dovranno sempre di più creare part-nership con le NOCs e rimettersi a schemi di sviluppointegrati e di ampio respiro che combinino trasporto,lavorazione, petrolchimica ed energia elettrica.

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