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Sociabilità e secolarizzazione negli studi francesi e italiani Marco Fincardi Silvio Lanaro ha lanciato la sfida a cogliere il passaggio dell’Italia alla modernità attra- verso studi sociali sulla secolarizzazione, senza cui sarebbe impossibile fondare su so- lide basi la storia sociale della nostra epoca1. A suo parere, nei decenni postunitari e du- rante la Belle Époque il costume degli italia- ni sarebbe mutato nettamente, più per un imborghesimento della vita privata che per una diffusione delle ideologie laiche risorgi- mentali. Eppure su società e cultura italiane dell’Ottocento e del primo Novecento pre- valgono tra gli storici preconcette immagini di staticità e tradizionalismo. Dall’esame di larga parte degli studi sull’Italia liberale, la politica sembrerebbe l’unico valido elemen- to innovatore in quella società. La scuola crociana, disposta a riconoscere alla sola produzione intellettuale dei ceti dirigenti una funzione culturalmente attiva, condizio- na ancora oggi ad una limitata percezione delle più vaste dinamiche culturali. Questi influssi hanno orientato a lungo gli stessi et- nografi, che spesso hanno rafforzato questa visione arcaicizzante dell’Italia, descrivendo improbabili culture popolari, rimaste immo- bili fino ai processi d’inurbamento dell’ulti- mo quarantennio. Nell’Europa dell’Ottocento, è general- mente osservabile l’adozione popolare di co- stumi che allontanano dalle tradizioni co- munitarie arcaiche. Ma per lungo tempo tale fenomeno non è stato oggetto di significati- ve ricerche da parte degli studiosi italiani. Per riscontrare nell’Italia liberale la rilevan- za a livello popolare dei processi di secola- rizzazione, basterebbe riflettere sul semplice dato della generale diffusione dei negozi aperti e del lavoro durante la domenica e le feste di precetto. Ma tale verifica comporte- rebbe uno spostamento dell’attenzione dalla storia delle istituzioni politiche ed ecclesia- stiche, e dalla storia delle ideologie, alle più fluide — e per l’Italia pressoché inesplorate — storie della quotidianità e del costume. L’affermarsi di una mentalità individualisti- ca, l’intensificarsi delle comunicazioni e il diffondersi di modelli comportamentali ur- bani, anche nei paesi rurali hanno causato profondi rivolgimenti nella vita consuetudi- naria. È questo il panorama percepibile nei capitoli finali dell’Inchiesta Jacini su vita, 1 L ’Italia nuova. Identità e sviluppo 1861-1988, Torino, Einaudi, 1988, pp. 127-129. Già Maurilio Guasco ha fatto notare come Lanaro individui tuttavia il possibile cambiamento di tendenza nell’intraprendere studi sul funziona- mento delle strutture ecclesiastiche, quando tali studi sono già avviati in Italia, e con metodologie non antiquate; tali studi non costituiscono da soli un sufficiente supporto alla storia politica, per coprire la carenza di conoscenze sui processi di secolarizzazione (La vita religiosa nell’Italia repubblicana, “Italia contemporanea”, 1990, n. 181, pp. 652-653; Id., Lo stato degli studi sui parroci e le parrocchie cattoliche tra Otto e Novecento, “Bollettino della Società di studi valdesi”, 1991, n. 169, pp. 103-117). “Italia contemporanea”, settembre 1993, n. 192

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Sociabilità e secolarizzazione negli studi francesi e italiani

Marco Fincardi

Silvio Lanaro ha lanciato la sfida a cogliere il passaggio dell’Italia alla modernità attra­verso studi sociali sulla secolarizzazione, senza cui sarebbe impossibile fondare su so­lide basi la storia sociale della nostra epoca1. A suo parere, nei decenni postunitari e du­rante la Belle Époque il costume degli italia­ni sarebbe mutato nettamente, più per un imborghesimento della vita privata che per una diffusione delle ideologie laiche risorgi­mentali. Eppure su società e cultura italiane dell’Ottocento e del primo Novecento pre­valgono tra gli storici preconcette immagini di staticità e tradizionalismo. Dall’esame di larga parte degli studi sull’Italia liberale, la politica sembrerebbe l’unico valido elemen­to innovatore in quella società. La scuola crociana, disposta a riconoscere alla sola produzione intellettuale dei ceti dirigenti una funzione culturalmente attiva, condizio­na ancora oggi ad una limitata percezione delle più vaste dinamiche culturali. Questi influssi hanno orientato a lungo gli stessi et­nografi, che spesso hanno rafforzato questa visione arcaicizzante dell’Italia, descrivendo improbabili culture popolari, rimaste immo­

bili fino ai processi d’inurbamento dell’ulti­mo quarantennio.

Nell’Europa dell’Ottocento, è general­mente osservabile l’adozione popolare di co­stumi che allontanano dalle tradizioni co­munitarie arcaiche. Ma per lungo tempo tale fenomeno non è stato oggetto di significati­ve ricerche da parte degli studiosi italiani. Per riscontrare nell’Italia liberale la rilevan­za a livello popolare dei processi di secola­rizzazione, basterebbe riflettere sul semplice dato della generale diffusione dei negozi aperti e del lavoro durante la domenica e le feste di precetto. Ma tale verifica comporte­rebbe uno spostamento dell’attenzione dalla storia delle istituzioni politiche ed ecclesia­stiche, e dalla storia delle ideologie, alle più fluide — e per l’Italia pressoché inesplorate — storie della quotidianità e del costume. L’affermarsi di una mentalità individualisti­ca, l’intensificarsi delle comunicazioni e il diffondersi di modelli comportamentali ur­bani, anche nei paesi rurali hanno causato profondi rivolgimenti nella vita consuetudi­naria. È questo il panorama percepibile nei capitoli finali dell’Inchiesta Jacini su vita,

1 L ’Italia nuova. Identità e sviluppo 1861-1988, Torino, Einaudi, 1988, pp. 127-129. Già Maurilio Guasco ha fatto notare come Lanaro individui tuttavia il possibile cambiamento di tendenza nell’intraprendere studi sul funziona­mento delle strutture ecclesiastiche, quando tali studi sono già avviati in Italia, e con metodologie non antiquate; tali studi non costituiscono da soli un sufficiente supporto alla storia politica, per coprire la carenza di conoscenze sui processi di secolarizzazione (La vita religiosa nell’Italia repubblicana, “Italia contemporanea”, 1990, n. 181, pp. 652-653; Id., Lo stato degli studi sui parroci e le parrocchie cattoliche tra Otto e Novecento, “Bollettino della Società di studi valdesi”, 1991, n. 169, pp. 103-117).

“Italia contemporanea”, settembre 1993, n. 192

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lavoro e moralità dei contadini. E le parroc­chie, e in genere le strutture periferiche della Chiesa, sono state scosse nelle loro fonda- menta da questa trasformazione della socie­tà, mentre, parallelamente, l’incameramento dei beni ecclesiastici operato dallo stato libe­rale contribuiva ad impoverire le risorse del clero.

Vescovi, parroci, sinodi, hanno dovuto tenere conto dei mutamenti del costume e della politica, della diffusione dei rapporti capitalistici nelle campagne, dell’insedia­mento dei primi nuclei industriali, definen­do linee pastorali e forme rituali e devozio­nali adeguate a controbattere le novità, o ad adattarvisi. Prima che un anticlericalismo ideologico (spesso intessuto di venature reli­giose), essi hanno dovuto fronteggiare la frammentazione del tessuto sociale ed eccle­siastico costruito nel Seicento e nel Settecen­to. I loro spazi d’intervento — fuori e den­tro le chiese — hanno incontrato crescenti ostacoli nei cambiamenti dei modi di vita collettivi e nell’avversione — in particolare maschile — all’onnipresenza del clero nel vagliare le usanze vecchie e nuove dei laici: un’opposizione pratica, a carattere popola­re, che si è contraddistinta anche come una forte richiesta di autonomia morale. Si è trattato insomma di un distacco sostanziale tra istituzioni ecclesiastiche e società civile, non riducibile ad un temporaneo effetto del­l’incomunicabilità tra il ceto politico che di­rige lo stato nazionale e i vertici ecclesiastici,

per gli strascichi della questione romana2. Tale processo potrebbe essere documentabi­le con raccolte di dati quantitativi, che evi­denzino le trasformazioni dei comportamen­ti collettivi; oppure con storie locali, che consentano di scoprire le lente sequenze di eventi della vita comunitaria, determinanti per il formarsi delle mentalità collettive. In Francia, il primo di questi percorsi di ricerca sulla secolarizzazione è avviato, tra le due guerre mondiali, da studiosi cattolici legati agli indirizzi storiografici delle “Annales” : in particolare da Gabriel Le Bras e dal suo allievo Fernand Boulard. Si tratta di rileva­zioni quantitative di dimensioni imponenti, sollecitate dalla necessità ecclesiastica di orientare in modo efficace la pastorale, in una Francia caratterizzata da una rapida di­scesa della pratica religiosa. Le Bras, in par­ticolare, anima una cerchia di studiosi catto­lici che sposta i propri interessi dalla storia ecclesiastica alla sociologia religiosa, tentan­do — attraverso un enorme lavoro di catalo­gazione delle fonti e inventariazione dei dati — di dare corpo ad una storia della pratica religiosa3. Tale lavoro, che dal 1955 ha come supporto divulgativo e luogo di dibattito la rivista “Archives de sciences sociales des re­ligions”, è giunto solo negli ultimi decenni a bilanci conclusivi, con la pubblicazione di lavori di gruppo coordinati da Fernand Bou­lard. Utilizzando metodi statistici è stato possibile disegnare una cartografia della pratica religiosa nelle chiese francesi, dall’e-

2 Cfr. Daniele Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino, Einaudi, 1993. Menozzi propone una ridefinizione del significato che il termine secolarizzazione ha avuto per i cattolici, sempre restando attento so­prattutto agli aspetti politico-religiosi che hanno caratterizzato il dibattito nell’Europa cattolica degli ultimi due secoli. Di estremo interesse per la sua incisività e accuratezza, ma purtroppo ancora inedito, è uno studio fran­cese sulla laicizzazione delle culture politiche nell’Italia liberale: Jean Pierre Viallet, L ’anticléricalisme en Italie (1867-1915), thèse pour le doctorat d’Etat ès lettres et sciences humaines, Université de Paris, X, 1991 (8 voli.).3 Cfr. Gabriel Le Bras, La chiesa e il villaggio, Torino, Boringhieri, 1979 [ed. orig. 1976]; B. Plongeron, Religion et sociétés en Occident (XVIe-XXe siècle). Recherches françaises et tendances internationales, Paris, Editions du Cnrs, 1979; Gustavo Guizzardi-Enzo Pace (a cura di), Sapere e potere religioso. La rivista “Archives de sciences so­ciales des religions’’, Bari, De Donato, 1981.

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poca della rivoluzione alla prima guerra mondiale4. Gli studiosi cattolici, utilizzando la cartografia per individuare i condiziona­menti sociali del comportamento religioso, sono giunti a considerare il comportamento religioso come un qualsiasi altro oggetto di scienza. L’applicazione sociologica del me­todo quantitativo ha messo in crisi la spie­gazione apologetica del fatto religioso nella storia. La storia religiosa ha così dilatato il proprio orizzonte all’intero campo della storia sociale, confrontandosi strettamen­te anche con gli studi geografici ed econo­mici.

Riscontrato come la mentalità religiosa di una popolazione non fosse modellata esclusivamente da prescrizioni ecclesiasti­che, ma profondamente segnata anche da fattori extraecclesiastici, è venuta sponta­nea la collaborazione tra gli storici della re­ligione e gli storici della mentalità formatisi alla scuola delle “Annales”, per indagare la religione vissuta nella sua dimensione quo­tidiana. È apparsa nettamente l’inadegua­tezza dei criteri teologici per spiegare il ra­dicamento sociale delle credenze popolari. La diffusione delle ricerche etnostoriche e storico-antropologiche negli ultimi decenni — sulla religiosità popolare, sul mutare storico di concetti come aldilà, morte e fe­

sta — è stata stimolata anche da questa collaborazione5. Tuttavia, gli studi sulle credenze popolari tendevano a concentrarsi sul Cinquecento e sul Seicento, arrestandosi alle soglie della modernità, come se l’offu­scarsi dell’orizzonte mentale medioevale, raffermarsi di visioni razionalistiche della realtà e gli inizi della rivoluzione industria­le, facessero scomparire credenze eterodos­se, superstizioni e magia, o sminuissero l’interesse delle rappresentazioni del mondo che esse comportano. Con le ricerche di Christianne Marcilhacy sulla diocesi di Or­léans6, negli anni sessanta la storia delle mentalità inizia ad inquadrare le problema­tiche della secolarizzazione nell’Ottocento. Nella sua analisi appare determinante l’in­cidenza delle strutture sociali e delle carat­teristiche ambientali nel formare le mentali­tà dei diversi gruppi sociali; i grandi eventi nazionali avrebbero perciò un’influenza se­condaria sull’orientamento delle mentalità locali. Pochi anni dopo, le ricerche di Mau­rice Agulhon7 hanno dato un contributo decisivo ad una più nitida individuazione del formarsi dal basso della mentalità laica. La novità del metodo di Agulhon consiste nel mettere a fuoco le funzioni storiche di determinate strutture organizzative del­la socialità. Sarebbero infatti tali struttu-

4 François A. Isambert-Jean Paul Terrenoire, Atlas de la pratique religieuse des catholiques en France, Paris, Fon­dation Nationale des Sciences Politiques, 1980; F. Boulard, Matériaux pour l ’histoire religieuse du peuple français XIXe-XXe siècles, Paris, Editions du Cnrs, Presses de la Fondation nationale des sciences politiques, 1982. In Ita­lia, un dibattito su questa pubblicazione è sviluppato dalla rivista “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1983, n. 23; e 1984, nn. 25-26; nel numero 10 (luglio-dicembre 1976) è riportato in sintesi un seminario su La storia sociale e religiosa dopo Gabriel Le Bras, tenuto da Emile Poulat.5 Di particolare interesse due convegni promossi a Royaumont nel 1966 e a Parigi nel 1977, con una consistente partecipazione del mondo scientifico francese ed europeo: Jacques Le G off (a cura di), Hérésies et sociétés dans l’Europe pré-industrielle. l l e-18e siècles, Paris-La Haye, 1968; La religion populaire, Paris, Editions du Cnrs, 1979. Incoraggia gli studiosi francesi a intraprendere queste ricerche anche l’avere a disposizione il monumentale inventario etnografico messo a punto da Arnold Van Gennep (Manuel du folklore français contemporain, Paris, Picard, 1937-1943, 4 voli.).6 Christianne Marcilhacy, Le Diocèse d ’Orléans sous l’épiscopat de Mgr. Dupanloup (1849-1878). Société française et mentalités collectives, Paris, Plon, 1962; Id., Le Diocèse d ’Orléans au milieu du X IX e siècle. Les hommes et leurs mentalités, Paris, Sirey, 1964.7 La sociabilité méridionale (Confréries et associations dans la vie collective en Provence orientale à la fin du 18e siècle), Aix en Provence, La Pensée universitaire, 1966, 2 vol!.; Pénitents et francs-maçons de l ’ancienne Pro-

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re a trasmettere e a rimodellare opinioni, gu­sti e comportamenti, agendo sui lenti mecca­nismi di mutamento delle mentalità collet­tive.

Funzionali al concreto operare delle isti­tuzioni ecclesiastiche, le metodologie messe a punto in Francia dalla sociologia della re­ligione sono state recepite già nel secondo dopoguerra dagli intellettuali italiani addetti all’elaborazione e alla verifica delle linee pastorali che la chiesa cattolica applica nella società odierna. Gli studi di sociologia reli­giosa, che si sono affermati in Italia soprat­tutto in epoca conciliare, si sono basati, ol­tre che sui metodi di lavoro delle “Archives de sciences sociales des religions”, sulle ri­cerche di sociologi e antropologi americani impegnati a dare nuove definizioni delle di­mensioni del sacro e del profano nella so­cietà moderna.

Non direttamente motivate da esigenze pratiche, generalmente in Italia le ricerche cattoliche di storia religiosa hanno recepito meno di quanto sia avvenuto in Francia le sollecitazioni provenienti dalla sociologia e dalla storia della mentalità, distaccandosi con lentezza dagli studi eruditi sulle istitu­zioni ecclesiastiche, sulle pratiche cultuali e sui rapporti tra Chiesa e Stato. Nonostante ciò, agli inizi degli anni settanta, in un cli­ma di vivace interesse della storiografia ita­liana per le ricerche francesi di storia socia­le della religione8, viene ancora dagli studio­si cattolici la più consistente e durevole ini­ziativa per lo sviluppo in Italia di questa di­

sciplina: la fondazione della rivista “Ricer­che di storia sociale e religiosa”. Mentre la ricerca italiana su religiosità e secolarizza­zione nella società contemporanea ha svi­luppi limitatissimi in ambito laico, è soprat­tutto questa rivista a svolgere funzioni di aggiornamento su tali tematiche, accoglien­do collaborazioni di alcuni dei più autore­voli storici francesi ed impegnandoli nei se­minari internazionali tenuti a Vicenza dal­l’Istituto di ricerche di storia sociale e di storia religiosa. Nel corso degli anni settan­ta, in questo ambiente cattolico si tengono seminari sui mutamenti delle strutture so­ciali e delle mentalità collettive, a confronto con diversi studiosi d’Oltralpe, tra cui Mi­chel Vovelle, Emile Poulat, Fernand Bou- lard, Jean Delumeau, Maurice Aymard e Jacques Le Goff. Proprio nell’ambito di questi seminari in Italia si è descusso per la prima volta il concetto di sociabilità. Un se­minario tenuto nel maggio 1976 da Jacques Revel aveva per tema “Ricerche sulla ‘socia­bilità’ e le organizzazioni sociali nell’età moderna”. Ha suscitato curiosità questo concetto, già da dieci anni dibattuto tra gli storici francesi9. Da allora, però, se ne è fatto un uso modesto tra gli storici cattolici italiani, più interessati al radicamento socia­le delle istituzioni ecclesiastiche che non alla sociabilità non istituzionale, tanto meno se di carattere mondano. Gabriele De Rosa, ad esempio, prendendo in considerazione l’intensa fase di riorganizzazione della vi­ta parrocchiale nell’Italia liberale, ignora

vence. Essai sur la sociabilité méridionale, Paris, Fayard, 1968; La République au village, Paris, Plon, 1970 [trad, it. La Repubblica nel villaggio. Una comunità francese tra rivoluzione e Seconda Repubblica, Bologna, Il Mulino, 1991]; Une ville ouvrière au temps du socialisme utopique. Toulon de 1815 à 1851, Paris-La Haye, Mouton, 1970. Per un inquadramento generale delle opere di Maurice Agulhon, cfr. Giuliana Gemelli-Maria Malatesta, Forme di sociabilità nella storiografia francese contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1982.8 Carla Russo, Studi recenti di storia sociale e religiosa in Francia: problemi e metodi, “Rivista storica italiana”, 1972, n. 3; Franco Rizzi, Storia religiosa in Francia: problemi e tendenze, “Quaderni storici”, 1973, n. 22; Antonio Lazzarini, Studi di storia socio-religiosa, “Quaderni storici”, 1974, n. 26.9 II resoconto, a cura di Annibaie Zambarbieri, è pubblicato in “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1976, n. 10. Già qualche anno prima c’erano stati echi a questo dibattito, su una rivista italiana: Edoardo Grendi, La Provenza diM . Agulhon, “Rivista storica italiana”, 1972, n. 1.

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la sociabilità aconfessionale e inquadra solo genericamente i ruoli di un associazionismo cattolico, che — a fine Ottocento — affian­cando l’attività del clero sul piano economi­co e politico, produce differenti forme di mobilitazione sociale attorno alla parroc­chia, mentre le confraternite tradizionali co­stituiscono una sociabilità endemicamente tendente a rendersi autonoma dalla parroc­chia10 11.

L’inquadramento delle confraternite nelle strutture ecclesiastiche e le funzioni aggrega­tive da esse esercitate nelle comunità sono i temi di un convegno del 1989 su “Sociabilità religiosa nel Mezzogiorno: le confraternite laicali” . Per quanto quasi tutti gli interventi si riferissero all’Italia preunitaria e l’uso del­la sociabilità come categoria d’analisi sia ri­masto in parte relegato ai proponimenti de­gli organizzatori del convegno, dal dibattito sono emersi utili spunti sulla funzione del­l’associazionismo nel veicolare arcaismi e modernità in un determinato ambiente. Svi­luppando le indicazioni di Agulhon sulla so­ciabilità meridionalen , alcune relazioni han­no rilevato un ruolo decisivo delle numero­sissime confraternite del Meridione italiano nell’aggregare dal basso gruppi sociali che, autonomamente dalle autorità religiose e ci­vili, fanno da intermediari tra interessi delle famiglie e clientele dei notabili locali, assol­

vendo quasi funzioni di “partiti” municipa­li12.

Negli anni ottanta un numero crescente di ricercatori laici si è interessato al fenomeno della sociabilità, talvolta saggiando l’appli­cabilità delle metodologie di Agulhon ad ambienti italiani. Raramente però in Italia il concetto di sociabilità è applicato in studi ri­guardanti direttamente le problematiche del­la secolarizzazione, a differenza di quanto avviene in Francia, dove la sociabilità si è ri­velata un concetto storiografico decisivo per affrontare questo tema. La maggior parte degli studi sulla sociabilità nell’Ottocento e nel primo Novecento in Italia ha finora insi­stito sui circoli borghesi cittadini13. Pochi ancora si sono spinti oltre i casi di ristretti ambienti élitari, prendendo in considerazio­ne in modo significativo un’area regionale e l’ambiente rurale. Viene trascurata la di­mensione dei villaggi, ispiratrice di studi ba­silari sulla sociabilità francese, che fonda uno degli aspetti più incisivi della propria in­dagine sulla verifica dei meccanismi di pro­pagazione della modernità nel reticolo abita­tivo rurale. Ciò rende difficoltoso per l’Ita­lia dare valutazioni, se non approssimativa­mente generiche, sui mutamenti delle menta­lità che marcano l’affermarsi della società borghese. Le più recenti fasi del vivace di­battito storiografico sull’associazionismo

10 Gabriele De Rosa-Angelo Michele De Spirito (a cura di), La parrocchia in Italia in età contemporanea, Napoli, Dehoniane, 1982, pp. 23-24. Nello stesso volume, accenni alla sociabilità sono contenuti in Antonio Lazzaretto, Parrocchia e aggregazione socio-religiosa nel Vicentino del primo Novecento.11 In particolare le brevi annotazioni comparative tra area provenzale e Italia del Sud, nelle conclusioni a La socia­bilité méridionale, cit., vol. II, p. 835.12 “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1990, nn. 37-38. Cfr. in particolare l’introduzione di Vincenzo Paglia, e la relazione di Vincenzo Robles, Vescovi e confraternite nel Mezzogiorno: una storia in parallelo. Già Le Bras de­scrive le confraternite come corpi elitari che reclutano solo una parte degli abitanti di una parrocchia e ne veicolano “il bisogno di solidarietà costante e anche le tensioni interne”, divenendo facilmente strumenti delle conflittualità paesane, quando vengono a rappresentare particolari gruppi sociali o professionali (La chiesa e il villaggio, cit., pp. 123-126).13 Cfr. Sociabilità nobiliare, sociabilità borghese. Francia, Italia, Germania, Svizzera XVIII-XIX secolo, a cura di Maria Malatesta, “Cheiron”, 1988, nn. 9-10; Maurizio Ridolfi-Fiorenza Tarozzi (a cura di), Associazionismo e forme dì socialità in Emilia-Romagna fra ’800 e ’900, “Bollettino del Museo del Risorgimento” (Bologna), 1987- 1988; Marco Meriggi, Associazionismo borghese tra ’700 e ’800. Sonderweg tedesco e caso francese, “Quaderni

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professionale, talvolta hanno parzialmente ripreso modelli concettuali utilizzati da Agulhon per studiare Tolone nel primo Ot­tocento14. Descrivendo l’evoluzione ottocen­tesca delle superstiti corporazioni operaie (a sfondo religioso) in società di mutuo soccor­so, taluni di questi studi hanno mostrato una fase cruciale nella laicizzazione delle so­lidarietà professionali e comunitarie. Di par­ticolare efficacia è poi Simonetta Soldani15 nell’esaminare, in un’area regionale, il radi­carsi nelle relazioni urbane e paesane dell’as­sociazionismo mutualistico e della sua am­pia rete politico-finanziaria. La studiosa de­scrive come il fenomeno abbia influito nel modificare le mentalità comunitarie, anche portando una lenta presa di distanza delle solidarietà di gruppo dalle pratiche caritati­ve cattoliche. Relativamente all’Italia libera­le, poi, le categorie proprie degli studi sulla sociabilità sono state applicate alla storia della politica. Con questo taglio Maurizio Ridolfi ha recentemente prodotto diversi saggi sui partiti repubblicano e socialista16. Nella storiografia italiana, attualmente l’in­teresse al concetto di sociabilità è abbastan­za diffuso, per gli apporti che può dare alla storia politica. Vivacemente discusso è il

ruolo da assegnare alle élite, nel processo di discesa delle idee democratiche ai circoli as­sociativi popolari. Alcuni studiosi cercano nella sociabilità il mezzo attraverso cui l’éli­te sociale avrebbe guidato verso la moderni­tà il popolo. Altri valorizzano piuttosto le diverse funzioni ed i diversi contenuti che una forma associativa assume nel trasmet­tersi da un gruppo sociale ad un altro. Que­ste posizioni vivacemente contrastate sono emerse nel marzo 1991 al convegno “Socia- bilité/Sociabilità nella storiografia dell’Ita­lia dell’Ottocento” , organizzato dall’École française de Rome e dal Dipartimento di studi storici dell’Università “La Sapienza” di Roma17.

Gli studi sulla sociabilità in Italia sono an­cora agli esordi. È perciò prematuro che essi possano già delineare peculiarità nazionali o regionali delle trasformazioni della vita col­lettiva. Inoltre, all’infuori dei lavori di Si­monetta Soldani sul circondario di Prato, e in parte di quelli di Franco Ramella sull’area biellese18 mancano definizioni su come habi­tat umano e organizzazione locale delle for­ze produttive modellino varie tipologie di vi­ta associativa. Anche per questa nostra limi­tata conoscenza degli ambienti comunitari,

storici”, 1989, n. 71; Gilles Pécout, Les sociétés de tir dans l ’Italie unifiée de la seconde moitié du XIXe siècle, “Mélanges de l’Ecole française de Rome (Italie et Méditerranée)”, 1990, n. 2; Élites e associazioni nell’Italia del­l'Ottocento, “Quaderni storici”, 1991, n. 77; M. Meriggi, Milano borghese. Circoli ed élites nell’Ottocento, Vene­zia, Marsilio, 1992.14 Cfr. M. Agulhon, Une ville ouvrière au temps du socialisme utopique, cit.; Dora Marucco, Mutualismo e siste­ma politico. Il caso italiano (1862-1904), Milano, Angeli, 1981; Giovanni Assereto, Lo scioglimento delle corpora­zioni, “Studi storici”, 1988, n. 1; Maria Teresa Maiullari (a cura di), Storiografia francese ed italiana a confronto sul fenomeno associativo durante XVIII e X IX secolo, Torino, Fondazione L. Einaudi, 1990; Conflitti del lavoro nel mondo, “Quaderni storici”, 1992, n. 2.15 La mappa delle società di mutuo soccorso in Toscana fra l ’Unità e la fine del secolo, in Maria Pia Bigaran (a cu­ra di), Istituzioni e borghesie locali nell’Italia liberale, Milano, Angeli, 1986.16 M. Ridolfi, Sociabilità democratica e origine dei partiti politici: il “caso” del Partito socialista italiano, in Socia- bilité/Sociabilità nella storiografia dell’Italia dell’Ottocento, sezione monografica della rivista “Dimensioni e pro­blemi della ricerca storica”, 1992, n. 1; Id., La cultura dei repubblicani italiani tra Otto e Novecento, “Italia con­temporanea”, 1989, n. 175 e Id., Il Psi e la nascita del partito di massa. 1892-1922, Roma-Bari, Laterza, 1992.17 I principali interventi sono pubblicati in Sociabilité/Sociabilità, cit. Cfr. Maria Malatesta, La democrazia al cir­colo, introduzione a M. Agulhon, Il circolo e il salotto, Roma, Donzelli, 1993.18 Simonetta Soldani, Vita quotidiana e vita di società in un centro industrioso, in Giorgio Mori (a cura di), Prato, storia di una città. Il tempo dell’industria (1815-1943), Firenze, Le Monnier, 1989, vol. Ili, tomo 2; Franco Ramel-

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diversi studiosi della sociabilità tendono a guardare i processi di secolarizzazione in Italia alla luce dei dati forniti da ricerche tradizionali, verificandovi superficialmente la diffusione delle idee laiche nei circuiti associativi, o la ripartizione degli associa­zionismi tra l’area laica e quella confessio­nale.

Caratteristica degli studi francesi sulla so­ciabilità è invece la verifica delle condizioni ambientali e delle strutture comunitarie che hanno consentito raffermarsi di opinioni laiche. In Pénitents et francs-maçons dans l’ancienne Provence, ad esempio, Agulhon riscontra la diminuita caratterizzazione ari­stocratica delle confraternite, che porta que­sti sodalizi ad integrarsi maggiormente nelle comunità dedicandosi a servizi caritativo-as- sistenziali, piuttosto che alle tradizionali pratiche penitenziali. Ciò ha favorito la tra­sformazione di queste forme associative reli­giose in sodalizi del tutto autonomi dalla Chiesa, o rivaleggianti con questa nel gestire e dare significati alle ritualità comunitarie. Nel suo studio sulle popolazioni rurali del Var19, tutti i fattori socioeconomici ed etno- culturali che nella prima metà dell’Ottocen­to concorrono a trasformare le consuetudini locali vengono considerati elementi intera­genti nel determinare un drastico cambia­mento di opinioni politiche. L’affermarsi della mentalità laica pare il dato storico più sorprendente per i paesi del Var, che fino a metà degli anni trenta non lesinano dimo­strazioni di attaccamento popolare al prete e di rispetto per il sacro, che si esprimono in modo eccezionalmente fervido nei rituali cattolici per invocare protezione dalle cala­mità naturali. Se già negli anni cinquanta nel Var prevale l’indifferenza per la religio­

ne, allo storico si pone l’interrogativo se si tratti di una scristianizzazione provocata o spontanea, per capire quanto il cambiamen­to possa dipendere da un progetto delibera­to per sminuire l’influenza del clero. Agul­hon nota che dopo la Restaurazione la bor­ghesia laica e specialmente la sua ala sini­stra anticlericale guadagnano ascendente popolare. Questo si manifesta soprattutto quando la Chiesa attacca per irreligione al­cuni notabili pubblicamente stimati per vir­tù civiche e filantropia, soprattutto se alla loro morte viene negata dal clero la sepoltu­ra religiosa, surrogata da solenni funerali civili. Attorno a tali conflitti emerge un’au­torità morale e sociale di notabili e intellet­tuali laici, concorrente a quella del clero. Ma, al di fuori dell’ambiente urbano di To­lone, manca una presenza consistente di li­beri pensatori, che possa aver determinato con la propaganda un vasto pronunciamen­to irreligioso. Anche quando ci sono provo­cazioni anticlericali da parte di un borghese (ma i parroci, dopo la Restaurazione, scor­gono un libertino in chiunque abbia con lo­ro motivi personali di attrito), si tratta soli­tamente di una rivalsa personale sulla sog­gezione al clero, non di attività miranti al proselitismo. Per contro, appartengono a situazioni di quotidianità i più frequenti motivi d’attrito tra popolazione e clero20. In pratica, si assiste più ad una crisi interna al rapporto tra Chiesa e popolo, che non ad un’avversione alla religione, indotta dai li­beri pensatori. Poco intaccata da ideologie razionaliste, che restano prerogativa di ri­strette élite, la religiosità popolare — per quanto formale e attratta dall’esteriorità delle pratiche rituali — risulta ben solida nelle comunità, quand’anche queste siano in

la, Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel Biellese dell’Ottocento, Torino, Einaudi, 1984; Id., Aspetti della socialità operaia nell’Italia dell’Ottocento. Analisi di un caso, in Storiografia francese ed italiana a confronto, cit.19 M. Agulhon, La République au village, cit.20 M. Agulhon, La République au village, cit., pp. 172-185.

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rottura col parroco e ne disertino la messa. Ciò è confermato da un fenomeno nuovo per il Var, da Agulhon considerato rivela­tore: l’adesione di comunità e individui cattolici alla chiesa valdese. Anche per il proselitismo protestante Agulhon si pone la questione se l’offerta di un culto alter­nativo al popolo sia stata strumentalmente agevolata dalle élite. Ma — al di là delle difficili soluzioni di tali quesiti — Agulhon rileva una manifesta frattura nel tradi­zionale rapporto solidale tra clero e po­polazioni del Var, importante premessa per la rapida espansione delle idee innova­trici21.

Riflettendo sull’atteggiamento verso la re­ligione del movimento operaio, Eric J. Hob- sbawm riprende ampiamente le considera­zioni sulla discesa delle idee emancipatrici borghesi, che converte reti di influenza in­termedia (associazioni volontarie) e media­tori culturali (in particolare artigiani, piccoli intellettuali e osti) all’antitradizionalismo militante. Anche per Hobsbawm, nella cul­tura del movimento operaio “Il problema non è tanto la positiva forza d’attrazione dell’irreligiosità quanto la debole resistenza della religione”22.

Intuizione di Agulhon è che si possa par­lare di m entalità religiosa collettiva solo fi­no alla Restaurazione. Successivamente, lo storico si trova di fronte ad una serie di opi­nioni, cioè ad una m olteplicità di credenze, idee e com portam enti individuali, in una parrocchia disgregata. Le comunità ante­riormente si identificano integralmente in essa; mentre successivamente cercano altro­ve una possibile coesione. Privatizzate, le credenze religiose non danno efficace legit­

timazione all’ordine politico e sociale, sganciando individui e gruppi da una di­pendenza morale dalle istituzioni gerarchi­che. Abbozzato da Agulhon, questo model­lo interpretativo della religiosità ottocente­sca viene sviluppato più compiutamente da altri studiosi. Jean Faury23 ha studiato la diocesi di Albi nel secondo Ottocento: un’area rurale, mineraria e industriale, at­traversata in quegli anni da intensa politi­cizzazione, scioperi e accesi scontri politici sulle questioni religiose. Faury analizza il conflitto sulla laicizzazione, in uno stretto rapporto tra ciò che avviene a livello istitu­zionale e a livello di sociabilità. La laicizza­zione dello Stato e del ceto dirigente non coinvolge solo istituzioni rappresentative come parlamento e municipi. Si estende a scuole, anagrafe, istituzioni caritative, ospedali, cimiteri, restringendo al clero — inteso come ceto sociale — l’accesso ad im­portanti fonti di reddito e di legittimazione morale (soprattutto nel campo dell’istruzio­ne). Discende alla ritualità collettiva, poiché la defezione dei notabili liberali, delle auto­rità pubbliche e delle rappresentanze muni­cipali da solennità cattoliche, processioni e pellegrinaggi, danneggia notevolmente l’im­magine della chiesa cattolica, assottiglian­done il seguito popolare e le sovvenzioni in denaro dai privati. Benché la gran parte dei laici non sia preconcettualmente ostile alla religione, il clero avverte come una minaccia alla Chiesa la separazione dalla propria sfe­ra di controllo di ambienti laici che si svilup­pano autonomamente con la propria morale e la propria sociabilità. Solo agli ambien­ti più conservatori risulta inconcepibile che fede e morale possano essere scelte indi-

21 M. Agulhon, La République au village, cit., pp. 185-187.22 Eric J. Hobsbawm, Lavoro, cultura e mentalità nella società industriale, Roma-Bari, Laterza, 1984, pp. 41-58. Sull’antitradizionalismo come presa di coscienza individuale e di gruppo, cfr. la prefazione di M. Agulhon a Fran­co Rizzi, La coccarda e le campane, Milano, Angeli, 1988.23 Jean Faury, Cléricalisme et anticléricalisme dans le Tarn (1848-1900), Toulouse, Université de Toulouse-Le Mi- rail, 1980.

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viduali, non dettate dall’autorità all’intera collettività e verificate da un clero che se ne fa garante. Del resto, le mobilitazioni eletto­rali del clero intransigente, a sostegno dei candidati più conservatori, avvalorano l’o­pinione che la fedeltà alla Chiesa sia una scelta di campo, non strettamente inerente la regiliosità. Interessato alle mentalità politi­che, Faury verifica attentamente in ogni ceto sociale, in ogni ambiente professionale e in ogni cultura locale le opinioni correnti in materia religiosa e il coinvolgimento in cir­cuiti laicisti o clericali della sociabilità. An­che col supporto di un discreto apparato cartografico, rileva il peso che hanno le strutture sociali e fondiarie e i rapporti indu­striali nell’orientare opinioni e schieramen­ti24. Constatando che ancora in piena rivolu­zione industriale l’espressività folklorica condiziona la vita e la mentalità collettiva, si sofferma su diversi fenomeni significativi: trasgressioni al sacro più o meno ritualizza­te; feste e processioni laiche; modalità di fu­nerali, battesimi e matrimoni laici; espan­dersi dei carnevali e dei balli, che nelle cam­pagne stemperano l’austerità contadina pro­ponendo divertimenti moderni in un conte­sto tradizionale. Clericalismo e anticlericali­smo sono studiati nelle loro forme pratiche, non nei contenuti ideologici. Faury mette in discussione l’immagine di un Ottocento in cui si ritiene non nascano idee tra il popolo e siano solo le influenze delle élite a farsi vale­re. Mostra innanzitutto il forte ridimensio­namento del clero come ceto intellettuale. Poi, notando il ruolo della massoneria nel formare ideologicamente parte del ceto libe­rale e democratico, dimostra come la forza massonica sia stata fortemente sopravvalu­tata, specie ad opera di un clero propenso ad attribuire il proprio declassamento ad

oscuri complotti. A simili conclusioni giun­ge riguardo alla consistente minoranza pro­testante che abita nel Tarn, a torto ritenuta il principale veicolo delle idee repubblicane. Protestanti eterodossi (aderenti al Risveglio) e massoni agiscono da pionieri dell’anticleri­calismo, ma in modo contraddittorio e con aree d’influenza del tutto insufficienti a de­terminare, dal 1880, il pronunciamento re- pubblicano della maggioranza della popola­zione. A produrre tale risultato sono le mul­tiformi mobilitazioni della piccola borghesia e delle nuove professioni (ad esempio quelle legate ai moderni trasporti), ostacolate nella propria ascesa sociale e negli affari dai vin­coli della morale tradizionale.

La più efficace sintesi tra la sociologia re­ligiosa e il metodo di Agulhon è uno studio di Louis Pérouas sul periodo di più intenso scontro politico attorno alla laicizzazione della società — tra il 1880 e il 1940 — nelle campagne del Limousin25. Tesi di Pérouas è che il generale abbandono del conformismo stagionale sia un distacco dalla Chiesa catto­lica, non una rottura con la cultura cristia­na, che si trova ampiamente occultata nella diffusione dei messianismi politici e in un anticlericalismo che esprime il bisogno di una Chiesa o di un’etica comunitaria diver­sa. I successi dell’evangelizzazione prote­stante e la permanenza di un cristianesimo popolare attaccato ai culti locali e ai santi protettori dimostrerebbero la continuità del bisogno di religione, anche in situazioni di forte avversione popolare per il clero. Il ri­fiuto dei riti di passaggio cattolici e della co­munione pasquale (i principali indicatori statistici della secolarizzazione utilizzati dai sociologi) sarebbero solo il segno del dete­rioramento storico delle relazioni tra le po­polazioni ed un clero convinto di essere in­

24 J. Faury, Cléricalisme et anticléricalisme dans le Tarn, cit., pp. 390-431.25 Louis Pérouas, Refus d ’une religion, religion d ’un refus en Limousin rural. 1880-1940, Paris, Ed. de l’École des hautes études en sciences sociales, 1985.

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sostituibile come ceto intellettuale preposto all’educazione popolare, al controllo della morale ed alla mediazione tra società e co­munità rurali. Nel Limousin, la nuova socia­bilità economico-ricreativa cattolica, finaliz­zata a ricucire gli strappi nei legami parroc­chiali, ha avuto possibilità di sviluppo solo in comunità dove il distacco dalle pratiche rituali cattoliche è stato minoritario. Altro­ve, il radicalismo e il socialismo conquistano le figure emergenti di mediatori culturali e la sociabilità popolare, mentre le ritualità lai­che soppiantano quelle cattoliche. La bor­ghesia ha un ruolo chiave nel produrre ideo­logie e comportamenti che si trasmettono al­l’ambiente popolare, ma ha un ruolo molto controverso riguardo alla laicizzazione: tal­volta sono i riavvicinamenti della borghesia alla Chiesa a radicalizzare l’anticlericalismo popolare. A produrre la frammentazione del microcosmo parrocchiale e a diffondere lar­gamente costumi e opinioni difformi dal cat­tolicesimo è l’emigrazione stagionale nelle città. I numerosissimi emigrati si fanno me­diatori di cultura urbana, che destabilizza la tradizione cattolica e rende l’ambiente po­polare ricettivo delle novità culturali26. L’as­sociazionismo élitario favorisce una politi­cizzazione in senso anticlericale e democrati­co, ma Pérouas ridimensiona l’incidenza dell’attività massonica: le logge hanno vita effimera e scarsamente influente tra le stesse élite sociali, proprio nelle aree del Limousin maggiormente laicizzate.

Secondo Philippe Boutry, un allievo di Agulhon, le difficoltà della Chiesa ottocen­tesca nel comunicare con la società non escludono una modernizzazione dello stesso clero. Già durante la Restaurazione le strut­

ture diocesane recepiscono l’impossibilità di un ritorno all’antico regime e coinvolgono intensamente il clero secolare in una gestio­ne più efficiente delle strutture ecclesiasti­che. Nella prima metà dell’Ottocento, nel dipartimento alpino dell’Ain, la parrocchia rappresenta più che mai l’identità campani­listica dei villaggi che si stanno sviluppando economicamente27. L’espansione di attività commerciali e industriali — creando forti bi­sogni di nuove identità locali e rendendo inadeguate la collocazione o le dimensioni dei luoghi sacri nei paesi — mobilita molti parroci a restaurare o riedificare chiese e so­prattutto campanili (che i parrocchiani vor­rebbero sempre più alti e goticheggianti) e a decentrare i cimiteri da un paese divenuto più profano. Nella seconda metà del secolo i momenti più significativi della sociabilità comunitaria si trasferiscono in ambito laico; il microcosmo parrocchiale si disgrega; nei paesi prevalgono atteggiamenti morali e comportamenti diversificati; anche i sempli­ci popolani rivendicano proprie opinioni e non si adeguano passivamente alla tradizio­nale mentalità comune; il proselitismo pro­testante (effimero, poco consistente sul pia­no quantitativo) avvia nelle campagne una transizione verso la cultura urbana, mo­strando la tradizione cattolica come opzione e non scelta necessaria. Di conseguenza, agli atti sacramentali viene attribuito un valore facoltativo e il mondo maschile diserta il confessionale. Per spiegare la portata stori­ca di queste scelte, Boutry approfondisce il significato della distinzione agulhoniana tra mentalità e opinione e dimostra come gli stessi uomini dell’Ottocento fossero coscien­ti del formarsi di questa dicotomia che

26 Refus d ’une religion, cit., pp. 68-78. Su questo tema, di notevole interesse Serge Bonnet, Les sauvages de Fu- teau, verriers et bûcherons d ’Argonne aux XVIIIe et XIXe siècles, in François Bédarida-Jean Maitron (a cura di), Christianisme et monde ouvrier, Paris, Les Editions ouvrières, 1975.27 Philippe Boutry, Un sanctuaire et son saint au XIXe siècle. Jean-Marie-Baptiste Vianney, curé d ’Ars, “Annales. Economies, Sociétés, Civilizations”, 1980, n. 2; Id., Prêtres et paroisses au pays du Curé d ’Ars, Paris, Cerf, 1986.

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metteva in crisi i modi tradizionali di pensa­re28. Pur spiegando minuziosamente le tra­sformazioni della mentalità collettiva, Bou- try presta attenzione soprattutto alla socia­bilità del clero. Con questa categoria l’ana­lisi della sociabilità viene condotta su di un piano eminentemente sociale, piuttosto che spaziale. In questo modo non viene presa in considerazione la sociabilità religiosa quale si manifesta in un determinato territorio, ma la sociabilità di un gruppo élitario netta­mente definito, che fa corpo in ambito dio­cesano e che dopo il 1840 serra le fila con­tro la crescita di un laicismo che minaccia la sua posizione all’interno della società. La sociabilità tra preti è fortemente soggetta a norme da osservare in ogni momento della vita, ristretta e chiusa all’esterno, ma non priva di scontri intestini. L’ascesa del movi­mento ultramontanista nel secondo Otto­cento, che mette da parte liturgie locali e tradizioni gallicane, e subordina il clero alla curia romana, è letta come processo di poli­ticizzazione avente per veicolo la sociabilità clericale. I meccanismi che spingono le so­ciabilità paesane a mantenere legami con la parrocchia, oppure ad autonomizzarsene o a contrapporvisi, sono destritti con estrema efficacia da Bernard Delpal29, in un’altra diocesi del Meridione francese. L’analisi, condotta anche attraverso l’elaborazione di

un robusto apparato cartografico, rivela — nei loro possibili significati sociali — i più minuti dimorfismi geografici della pratica religiosa. La ricerca giunge così a sezionare gli equilibri politici di villaggi che si stanno modernizzando; e coglie il ruolo che la par­rocchia e il municipio assolvono (anche dal punto di vista spaziale) a favore dei ceti emergenti o dei ceti marginalizzati dallo svi­luppo economico30. Infine, Delpal verifica quanto i fenomeni di medio-lungo periodo (conflitti sociali interni alla comunità, seco­larizzazione, contrapposizioni confessionali tra cattolici e minoranza protestante) abbia­no giocato in una congiuntura politica: l’in­surrezione repubblicana del 1851 e la sua re­pressione.

In Italia mancano ancora studi sulla so­ciabilità in grado di mettere a nudo efficace­mente i meccanismi della secolarizzazione nella moderna società borghese31, fatta ecce­zione per alcune importanti ricerche. Tra queste il lavoro di Simonetta Soldani su Pra­to, in cui il mutamento della sociabilità — preso come parametro della mobilità sociale — è ampiamente riscontrato nella ritualità collettiva, sacra e profana32. Partendo dalla piazza centrale di Prato e da tutte le relazio­ni sociali che vi gravitano intorno in occa­sione dei mercati e della fiera (la più impor­tante della Toscana) viene presa in conside-

28 P. Boutry, Prêtres et paroisses, cit., pp. 641-647.29 Bernard Delpal, Entre paroisse et commune. Les catholiques de la Drôme au milieu du X IX e siècle, Valence, Editions peuple libre, 1989.30 Per uno studio di tipo analogo, cfr. S. Bonnet, Les sauvages deFuteau, cit.31 In una prospettiva diversa da quella degli studi sulla sociabilità cfr. Xenio Toscani, Secolarizzazione e frontiere sacerdotali. Il clero lombardo nell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 1982; Id., Il reclutamento del clero (secoli XVI- XIX), in Storia d ’Italia. Annali 9. La Chiesa e il potere politico, Torino, Einaudi, 1986; Lorenzo Bedeschi, Il com­portamento religioso in Emilia-Romagna, “Studi storici” , 1969, n. 2. In Italia non ha ancora avuto utilizzazioni si­gnificative — ma è tenuto presente anche negli studi sulle strategie delle istituzioni ecclesiastiche per radicarsi nel sociale — un concetto analitico elaborato dalla storiografia tedesca: il disciplinamento sociale, termine che si riferi­sce “all’insieme dei complessi processi di interazione tra istituzioni e società, al tessuto connettivo in cui si formano i modelli di comportamento individuali e collettivi destinati a trasformarsi a loro volta — in un continuo intreccio di elaborazioni e imposizioni, di filtri e di controlli — in strutture” (“Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento”, 1980, pp. 9-10).32 S. Soldani, Vita quotidiana e vita di società, cit.

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razione la vita sociale ottocentesca in tutti i luoghi d’incontro della città e della campa­gna — sia nelle occasioni informali di socia­bilità, sia nelle reti associative istituzionaliz­zate — e vengono analizzati gli effetti pro­dotti nel costume dal generale aumento dei consumi. In questa trasformazione dei qua­dri tradizionali del costume, anche le con­fraternite subiscono un mutamento. Ad una loro perdita d’importanza nell’ambiente ec­clesiastico fa riscontro l’accentuazione, nel contesto urbano, delle loro funzioni di servi­zi nell’assistenza sanitaria ai soci e negli ac­compagnamenti funebri. Il risultato di que­sto processo è il loro dissolvimento, il trasfe­rimento delle loro funzioni ad organismi lai­ci, oppure una loro sopravvivenza di tipo re­siduale. Quelle di campagna invece si svilup­pano — abbinando attività cultuali, solida­ristiche e ricreative — in un rinnovato colla­teralismo con la parrocchia. Anche le pro­cessioni religiose ottocentesche sono sogget­te al medesimo mutamento di contenuti e vengono investite di significati laici, talora politici.

Andreina De Clementi — in un saggio sul­le confraternite ottocentesche nelle campa­gne laziali33 — individua nelle manifestazio­ni patriottiche del 1848-1849 una “cesura antropologica” , che porta al disgregarsi del- l’unanimismo comunitario fondato sul siste­ma simbolico cattolico. Da quel momento, l’associazionismo religioso, epurato dai ca­pipopolo laicizzati, perde autonomia dal cle­ro e perde la vivacità — nella sfera devozio­nale e in quella politica — che anteriormente

lo caratterizzava. Raccogliendo un nucleo poco numeroso e poco influente di uomini, queste confraternite avviate al declino in­contrano l’avversione dei giovani, mentre attraggono un mondo femminile bisognoso di margini d’evasione dalla segregazione fa­miliare. Ciò sminuisce il valore politico che la pratica religiosa e le sue forme aggregati­ve assolvono nell’ambito delle relazioni ma­schili e comunitarie.

Gli studi citati offrono un panorama an­cora sfocato delle ritualità civili risorgimen­tali. Solo recentemente gli studiosi hanno colto l’importanza dei festeggiamenti pa­triottici nel popolarizzare un senso di appar­tenenza nazionale, rivolgendo la propria at­tenzione alle liturgie per la creazione di un moderno culto della nazione e dello Stato34. Prima dell’unità nazionale, in ogni città esi­stevano omaggi spettacolari, musicali, mili­tari, caritativi, in onore delle dinastie re­gnanti; ma a farsi veicolo del culto dello Stato in ogni comunità — anche rurale — era essenzialmente la Chiesa, che radunava solennemente la popolazione per cantare le invocazioni della protezione divina sui so­vrani. Con l’unificazione, una forma asso­ciativa istituzionalizzata — la Guardia na­zionale istituita in tutti i comuni — diventa protagonista delle nuove ritualità civili. Da queste ritualità — dopo iniziali laceranti contrasti — è esentato il clero. Forte è anche l’incentivo che il nuovo cerimoniale civile dà alla costruzione di corpi bandistici munici­pali. Ma la popolarità delle ritualità nazio­nali dura pochi anni35 * *, lasciando presto i ce-

33 Andreina De Clementi, Confraternite e confratelli. Vita religiosa e vita sociale in una comunità contadina, in Subalterni in tempo di modernizzazione, “Annali Fondazione Lelio e Listi Basso - Issoco”, 1985.34 Cfr. George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Bologna, Il Mulino, 1975; Jean Pierre Sironneau, Sé­cularisation et religions politiques, La Haye-Paris-New York, Mouton, 1982; E. J. Hobsbawm-Terence Ranger (a cura di), L ’invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987; Bruno Tobia, Una patria per gli italiani. Spazi, iti­nerari, monumenti nell’Italia unita (1870-1900), Roma-Bari, Laterza, 1991.35 Cfr. S. Soldani, Vita quotidiana e vita di società, cit., pp. 713-725; M. Ridolfi, Il partito della Repubblica, Mila­no, Angeli, 1989, pp. 306-318; M. Fincardi, Feste di Mezza Quaresima: un carnevale padano tra Risorgimento ebelle époque, “Quaderni di teatro”, 1986, n. 32.

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rimoniali ufficiali privi di seguito nelle co­munità: immagine in parte indicativa della percezione più lontana che la provincia ita­liana ha del sovrano, e del minore investi­mento dell’identità comunitaria nella sua fi­gura. Il meno istituzionale culto di Garibaldi — frequentemente connotato in senso anti­clericale — ha funzioni in parte antagoniste e in parte complementari al culto ufficiale sabaudo, producendo pure esso mobilitazio­ni popolari effimere. È con la guerra mon­diale — diventando tra l’altro il terreno per sancire un riavvicinamento tra la Chiesa e lo Stato laico — che i rituali patriottici rigua­dagnano popolarità. Molto citato dagli sto­rici dell’età liberale, ma pochissimo studiato nelle sue strutture e nel suo radicamento so­ciale, è in Italia il fenomeno massonico. Conseguenza di ciò è la confusione tra la reale attività della massoneria ed una sua in­fluenza ingigantita nell’immaginazione, ef­fetto delle demonizzazioni che il clero ha fatto del fenomeno. Occorre quindi la co­stante verifica dai dati forniti dagli archivi massonici, per non continuare ad attribuire arbitrariamente identità massoniche ad ogni liberale o democratico impegnato sul fronte laicista o dedito alla filantropia. Andrebbe dettagliatamente cartografato il fenomeno sul territorio nazionale, per consentire una sua lettura diversificata nelle varie aree, rile­vando parallelamente anche i numerosi altri livelli di associazionismo laicista, non a ca­rattere iniziatico36. Senza puntuali verifiche, costruire ipotesi sproporzionate sul ruolo 38

delle élite iniziatiche nell’innescare e guidare ampi processi di laicizzazione e politicizza­zione nell’Italia liberale, porterebbe forse a risultati deludenti. Un’esemplificazione sommaria di tali possibili contraddizioni è data dalla minima diffusione delle culture laiche in Sicilia: regione in cui la massoneria raccoglieva il massimo delle adesioni. Note­vole interesse può avere una verifica del ruo­lo delle microcomunità ebraiche nell’espan- dere processi di secolarizzazione nelle città e nelle campagne. La loro emancipazione coincide infatti con una loro forte spinta al­la laicizzazione e all’integrazione in ambien­ti aconfessionali, pur mantenendo livelli di sociabilità ancora connotati etnicamente37. Proficua potrebbe poi rivelarsi un’indagine sulla presenza di determinate aggregazioni all’interno delle città e sulla circolazione in­tensa di culture laiche che queste attivano tra città e campagna. Non tanto riferita al­l’insediamento nell’ambiente urbano di nu­clei di emigrati (fenomeno di limitato rilievo in un’Italia scarsamente urbanizzata), ma a quello d’istituti scolastici superiori, universi­tà e caserme: concentrazioni di una massa maschile e giovanile, temporaneamente esente da controlli familiari e della comunità d’origine. Applicando a gruppi sociali com­positi — quali studenti, truppa ed ufficiali — le indicazioni che Boutry offre rispetto al clero, si potrebbero individuare in questi ambienti le forme ed i contenuti specifici di sociabilità goliardiche o militari — poco propense al rispetto del sacro, della morale

38 Nell’ultimo quindicennio, alcuni studi hanno iniziato a muoversi in tali direzioni. Sulla rete dei gruppi intellet­tuali laicisti Guido Verucci, L ’Italia laica prima e dopo l ’Unità. 1848-1876, Roma-Bari, Laterza, 1981. Sul ruolo politico della massoneria italiana Fernando Cordova, Massoneria e politica in Italia (1892-1908), Roma-Bari, La- terza, 1985. Una prima operazione di rilevazione sistematica delle logge italiane è stata compiuta in Jean Pierre Viallet, Anatomie d ’une obédience maçonnique: le Grand-Orient d ’Italie, “Mélanges de l’École Française de Rome (Moyen age-Temps Modernes)”, 1978, n. 1. Per un accurato studio su una rete regionale massonica, interessato an­che ai circuiti della sociabilità, Fulvio Conti, Laicismo e democrazia. La massoneria in Toscana dopo l ’Unità (1860-1900), Firenze, Centro editoriale toscano, 1990.37 George L. Mosse, La sécularisation de la théologie juive, “Archives de sciences sociales des religions”, 1985, n. 60-1.

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religiosa e dell’austerità contadina — desti­nate ad avere riflessi culturali nei paesi d’o­rigine di questi giovani. Ma più in genera­le, le strutture della sociabilità contribuisco­no a costituire i sistemi normativi dell’Ita­lia laica, o ne sono a loro volta condizio­nate. I fattori di secolarizzazione che dal­la fine dell’Ottocento hanno formato i mo­derni costumi dell’Italia, indipendentemen­te dal propagarsi di ideologie élitarie lai­che, sono numerosi. Silvio Lanaro ne pro­pone un’ampia classificazione: la nuova eti­ca sessuale, i nuovi modelli dell’agire eco­nomico, i continui flussi di emigrazione e di mobilità socio-territoriale, i nuovi stan­dard di abbigliamento e moda, ecc.38. È evidente l’interazione tra questi fenomeni e le finalità aggregative, ricreative, economi­che, mutualistiche, di cui si fa carico l’as­sociazionismo volontario nell’Italia liberale. E se gli inventari in atto delle fonti archivi­stiche cattoliche rendono matura la possibi­lità di ricavare da esse una mappa storica del costume, ovvero di peccato e virtù nella società attraverso gli occhi di vescovi e par­roci, questa documentazione consente di ri­cavare informazioni anche sullo sviluppo dei canali della sociabilità, formale e infor­male. Un esempio può essere rappresentato dalla prima lettera pastorale dedicata inte­ramente alla censura del tango: la scrive nel 1914 il vescovo di Ravenna, nella cui dioce­si il ballo è già un divertimento di massa, non più confinato al periodo carnevalesco, ma praticato ogni domenica dell’anno, quaresima compresa38 39.

La piena affermazione di rapporti capita­listici in alcune regioni rurali, la costruzione di una moderna rete di trasporti e l’esten­sione del mercato hanno dunque rivoluzio­nato vita comunitaria e relazioni parroc­

chiali. L’emigrazione — temporanea o per­manente — porta scompensi e riaggiusta­menti negli equilibri socio-culturali. Lo scontro tra avversari e fautori del clericali­smo — ovvero del diritto del clero a regolare la vita pubblica e privata, ad influenzare conflitti sociali e ad ingerirsi in affari politi­ci ed economici — avviene così più su un piano pratico che ideologico. Fino ai primi decenni dell’Ottocento, la religione agisce da struttura che regola l’immaginario collet­tivo attraverso i rituali, svolgendo una fun­zione equilibratrice e integrativa sia tra co­munità locali e società, sia tra i vari gruppi sociali che compongono le comunità. La so­cietà tradizionale ne riceve stabilità, anche in epoche di intensa crisi. Durante la Re­staurazione, però, la comunità tradizionale che si riconosce nella parrocchia e nel cam­panile comincia a disgregarsi. E, nel secon­do Ottocento, la centralità culturale che il primo articolo dello statuto albertino assicu­ra alla Chiesa non basta a compensare il blando sigillo di legittimazione che il cattoli­cesimo in crisi può dare al principio d’auto­rità. Non solo per le rotture tra gerarchia cattolica e ceto politico liberale, ma per una palese difficoltà della religione tradizionale ad erigersi a rappresentazione di un ordine sociale radicalmente mutato. Neanche i rap­porti tra padri e figli sono più gli stessi. Af­fari, mobilità sociale e geografica, consumi, mode, istruzione pubblica laica portano ad una percezione del funzionamento della vita collettiva e ad un apprendistato dei valori ci­vici più efficace di quanto non potesse l’i­struzione catechistica, anteriormente usata anche per alfabetizzare le popolazioni locali alla conoscenza e al rispetto delle gerarchie sociali. La sfasatura tra il lento mutare delle mentalità ed i più rapidi mutamenti politico­

38 S. Lanaro, L ’Italia nuova, cit., p. 128.39 Cfr. Silvio Ferrari, Problemi di metodo nella lettura delle lettere pastorali, “Ricerche di storia sociale e religio­sa”, 1988, n. 34, pp. 198-200.

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economici in particolari momenti di crisi — nota agli studiosi delVancien régime — dalla metà dell’Ottocento si va ridimensionando, e talune congiunture accelerano decisamente la trasformazione delle vecchie concezioni del mondo.

La sociabilità costituisce il canale di dif­fusione privilegiato dei comportamenti mo­derni, e della loro assimilazione — o con­trapposizione — alle usanze tradizionali. Inoltre la sociabilità ricompone vecchi equi­libri comunitari in crisi, producendo nuove identità, perché trasferisce sul nuovo asso­ciazionismo il senso di appartenenza ad una comunità. A mediare culturalmente tra i co­stumi locali e quelli della società borghese europea è sempre meno il parroco-intellet­tuale, arroccato nella difesa da ogni novità proveniente dal mondo laico. Ciò a maggior ragione in Italia, dove il riproporsi della Restaurazione, dopo i radicali rivolgimenti del 1848, accentua reciproche insofferenze tra clero intransigente e nuove forme di so­ciabilità. Nel corso degli anni cinquanta, la riproposizione di rigidi vincoli governativi ad una sociabilità che pareva divenuta in­contenibile, è infatti largamente dovuta al clericalismo intransigente. Il clero più aper­to alla modernità, incalzato dagli intransi­genti, non ha modo d’inserirsi organica- mente nelle nuove forme di sociabilità, pena l’emarginazione dalla Chiesa. Il travagliato allineamento del clero alle direttive della cu­ria romana, spianando molti margini di au­tonomia culturale che anteriormente i preti potevano permettersi nella vita locale, con­tribuisce a distanziare costoro dalla sociabi­lità laica. In tale posizione, nei primi decen­

ni successivi all’Unità, per il clero è difficile praticare nella parrocchia la consueta me­diazione tra cultura urbana e rurale40. La rete parrocchiale non ha così l’occasione di diventare il circuito di una cultura naziona­le avente nel clero il proprio tessuto con­nettivo.

A fungere da struttura culturale interme­dia tra città e campagna e — più in genera­le — tra la società europea in rapida tra­sformazione e le comunità locali, è in parte la nuova rete associazionistica, meno vinco­lata dallo Stato liberale e ostacolata debol­mente da una Chiesa il cui ascendente ha perso spessore. Da questo punto di vista, la crisi dell’universalismo ecclesiastico è in­trecciata all’espandersi della sociabilità. Quest’ultima offre infatti più aggiornate chiavi di lettura della realtà e comporta­menti che permettono di adattarsi in modo meno traumatico al nuovo. E talvolta a da­re ai circuiti locali della sociabilità un respi­ro regionale o nazionale sono reti politiche che riprendono certe suggestioni religiose, nella promessa di un mondo ideale da co­struire, con il superamento degli aspetti ne­gativi di quello esistente41. Questi schemi politici messianici hanno in genere un’im­postazione palesemente laica, orientata al­l’anticlericalismo e hanno per retroterra una sociabilità più portata all’edonismo che all’austerità. Nelle comunità è presente an­che una tendenza a ricostruire da sé un si­stema simbolico tradizionale di carattere re­ligioso, senza la mediazione del clero. Nel­l’Europa cattolica — tra il 1870 e il 1914 — è ricorrente la mobilitazione di grandi folle per apparizioni mariane e miracoli, re-

40 Luciano Allegra, II parroco, un mediatore tra alta e bassa cultura, in Storia d ’Italia. Annali. II. Intellettuali e potere, Torino, Einaudi, 1980.41 Cfr. Christiane Rumillat, Pratiques et modèles républicains de la politique à la fin du X IXe siècle, in Du groupe au réseau. Réseaux religieux, politiques, professionnels, Paris, Editions du Cnrs, 1988; M. Fincardi, Primo Maggio reggiano. Il formarsi della tradizione rossa emiliana, Reggio Emilia, edizione della Camera del lavoro, 1990; M. Ridolfi, Il Psi e la nascita del partito di massa, cit.

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golarmente sconfessati dalla Chiesa42. Si tratta di tentativi esasperati di ristabilire equilibri culturali locali attorno ai simboli di un cattolicesimo popolare. È una resistenza popolare alla secolarizzazione: vasta, ma frammentaria e sotterranea, perché senza appoggi nelle istituzioni ecclesiastiche e pri­va di agganci alle reti associative popolari. Tra questi effimeri fenomeni messianici e la moderna rete associativa popolare si crea ge­neralmente una reciproca barriera di diffi­denza. Pure le conversioni collettive al pro­testantesimo, frequenti anche in Italia, ben­ché di carattere spesso effimero, sono espressione di tensioni comunitarie tese a cercare dalla religione nuove identità. La lo­ro peculiarità è proporre alle comunità evan­gelizzate un cristianesimo non antitetico ai valori della società liberale, inserendole in una rete ecclesiastica alternativa e mante­nendole in contatto con i circuiti della mo­derna sociabilità43.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la chiesa cattolica promuove una propria rete collaterale di sociabilità, per ri­prendere un attivo ruolo di mediazione tra società e comunità locali. Incentivando, at­

torno ad ogni parrocchia, la costituzione di un circuito associativo capillare con finalità solidaristiche, la Chiesa può compensare su un piano politico la perduta egemonia reli­giosa sui fedeli. La pratica religiosa, soprat­tutto in ambienti colonici, diviene insepara­bile dall’adesione ad un associazionismo cattolico che ha come programma di coniu­gare lo sviluppo economico delle micro-im­prenditorialità locali con la salvaguardia di equilibri sociali tradizionali. Si tratta chiara­mente di una ricomposizione delle relazioni parrocchiali che ha un successo direttamente proporzionale all’attaccamento alla pratica religiosa mantenuto dalla popolazione. In­vece, nelle aree dove il distacco dalla pratica religiosa è più consistente, e rafforzato da un radicato circuito associativo laico, in ge­nere l’associazionismo cattolico resta un fe­nomeno poco incisivo e la crisi delle relazio­ni tra il clero e le popolazioni locali non vie­ne superata44. Fin dal 1953, aprendo un in­tenso periodo di ricerche sui movimenti poli­tici cattolici, e per individuare le loro spicca­te caratterizzazioni e differenziazioni locali- stiche, Giorgio Candeloro ha sollecitato a “studiare il problema dell’influenza del cle-

42 Pietro Stella, Per una storia del profetismo apocalittico cattolico ottocentesco, “Rivista di storia e letteratura re­ligiosa”, 1968, n. 4; Aa.Vv., Davide Lazzaretti e il Monte Amiata. Protesta sociale e rinnovamento religioso, Fi­renze, Nuova Guaraldi, 1981; Ph. Boutry, Prêtres et paroisses, cit., pp. 492-522; B. Delpal, Entre paroisse et com­mune, cit., pp. 155-169; Maria Adriana Bernardotti-Nora Sigman, La Madonna dello “snever” o l ’allucinata di Castelnuovo Monti, “Padania”, 1990, n. 8.43 Cfr. Peter M. Jones, Quelques formes élémentaires de ìa vie religieuse dans la France rurale (fin XVIII et XIX siècles), “Annales. Economies, Sociétés, Civilizations”, 1987, n. 1; Jean Bauberot, Conversions collectives au pro­testantisme et religion populaire en France au XIXsiècle, in La religion populaire, cit.; Patrizia Bigi, L ’organizza­zione della vita religiosa in un villaggio alessandrino: cattolici ed evangelici a Bassignana nell’800, “Quaderno 16 degli Istituti per la storia della Resistenza in provincia di Alessandria e di Asti”, 1985-1986; Francesco Pitocco, Tazza rotta, tazza nuova. L ’evangelo in Sabina, in Subalterni in tempo di modernizzazione, cit.; Franco Chiarini- Lorenza Giorgi (a cura di), Movimenti evangelici in Italia dall’Unità ad oggi, Torino, Claudiana, 1990; Le fonti per lo studio della presenza evangelica in Italia dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento (numero monografico del “Bollettino della Società di studi valdesi”), 1991, n. 169.44 Cfr. Liliana Ferrari, Il laicato cattolico fra Otto e Novecento: dalle associazioni devozionali alle organizzazioni militanti di massa, in Storia d ’Italia. Annali. IX. La Chiesa e il potere politico, cit.; Jean-Pascal Bonhotal, Grou­pes et réseaux dans le catholicisme contemporain: le cas de l ’action catholique à l ’aube du XIXsiècle, in Du groupe au réseau, cit.; Angelo Gambasin, Parroci e contadini nel Veneto alla fine dell’Ottocento, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1973.

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ro sulle popolazioni in rapporto allo svilup­po sociale delle singole zone”45. Nei decenni successivi, l’invito a colmare questa lacuna è stato soddisfatto limitatamente al rapporto tra strutture ecclesiastiche ed associazionismi politico-economici collaterali, che hanno trattato diffusamente delle articolazioni re­gionali dei movimenti cattolici e delle loro peculiarità sociali e ideologiche46. Ancora poco curati — sia dagli studiosi cattolici e protestanti, sia dai laici — ora gli studi sulla secolarizzazione possono dare un contributo notevole ad una storia sociale dell’Italia con­temporanea, poiché rivelano fondamentali meccanismi che sono alla base dei mutamenti del costume e della mentalità. La profondità e la completezza degli studi condotti in Fran­cia lo dimostrano ampiamente. E anche in Italia i primi studi in questa direzione stanno aprendo prospettive interessanti, che comin­ciano a mettere allo scoperto alcuni meccani­smi della formazione delle mentalità moder­ne e del differenziarsi delle aree culturali ita­liane. In questi studi, le trasformazioni della sociabilità mostrano le variazioni qualitative più rilevanti nella vita collettiva. Utilizzate abitualmente per la storia ecclesiastica e tal­volta per la storia politica, le fonti ecclesia­stiche possono fornire dati sistematici ad una storia sociale attenta ai fenomeni religiosi e

anche a quelli profani, a cominciare da quel­lo del distacco popolare dalla pratica religio­sa. Importante per la comprensione della cri­si della religione tradizionale nell’Italia libe­rale può essere l’uso incrociato delle fonti cattoliche e protestanti — oltre che, natural­mente, delle fonti civili — rompendo con la prassi invalsa di rovistare solo gli archivi del­la chiesa a cui uno storico appartiene. Dalle annotazioni di parroci e vescovi, infatti, si ri­trova il punto di vista di intellettuali attentis­simi ai meccanismi della vita comunitaria tra­dizionale e allarmati ad ogni suo mutamento. Pastori e predicatori e venditori ambulanti di testi religiosi (colportori) protestanti — per quanto i movimenti evangelici siano stati ef­fimeri o marginali — hanno percorso in lun­go e in largo l’Italia liberale, scrivendo di continuo relazioni sulla propria opera mis­sionaria, diretta a tutte le comunità in cui si manifestassero inquietudini religiose e dis­sensi dal clero. Osservatori esterni — ignari delle culture locali ma specialisti nel cogliere ogni dinamica di cambiamento e di rottura con la tradizione — gli evangelizzatori etero­dossi hanno lasciato annotazioni di estrema sensibilità sulle manifestazioni religiose e di costume delle comunità con cui sono entrati in contatto.

Marco Fincardi

45 Giorgio Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma, Editori riuniti, 1982 (IV edizione), p. 226.46 Di particolare incisività fra questi studi Mario G. Rossi, Le origini del partito cattolico, Roma, Editori Riuniti, 1977.