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Newsletter 2/2012

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COMITATO SE NON ORA QUANDO

Centro “Bruno Cavalletto” Via Tezze,6/A MANTOVA

Newsletter n.02 – 11 giugno 2012

In questo numero:

• Legge 194 : l’autodeterminazione delle donne ancora sotto attacco! di Claudia Forini • ….Una riflessione proposta da Barbara Cassinari… DONNE A RISCHIO

POVERTA’?

• ….Pensieri sparsi di Nadia Albertoni

• CHIAMATEMI STREGA…..monologo scritto per Franca Rame

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Legge 194 : l’autodeterminazione delle donne ancora sotto attacco! di Claudia Forini

Mentre In Italia non ci sono politiche a favore delle donne tanto che gli indici negativi permangano! secondo il Global Gender Gap Report 2011 il nostro paese è in 74esima posizione per pari opportunità dopo paesi come Burundi, Mozambico e Bangladesh, la Legge 194 è di nuovo sotto attacco, a difesa della vita. Ma di quale vita stanno parlando? E della vita delle donne non interessa nessuno? Della loro salute? Del loro lavoro? Delle dimissioni in bianco che sono costrette a firmare? In Italia una donna ogni due giorni viene uccisa per mano maschile. Violenze e stupri sono diventati nel nostro paese un dato agghiacciante, di cui pochi si sta occupando! Che importa se i centri antiviolenza stanno chiudendo per mancanza di fondi? quando invece da direttive europee ci dovrebbe essere un posto nucleo ogni 7500 abitanti con personale pagato e formato?, Che importa se la gravidanza fosse frutto di uno stupro?, Che importa se le donne perdono il posto di lavoro a causa di una gravidanza, a causa della mancanza di politiche favorevoli alla conciliazione famiglia, lavoro? Che importa se tutto il lavoro di cura è sulle spalle delle donne?, Che importa se i servizi per l’infanzia sono praticamente inesistenti? Che importa se una gravidanza a volte può comportare un rischio per la salute della madre? che importa se, altre volte, l’aborto è dovuto al menefreghismo dei padri (o futuri) nell’assumersi la propria responsabilità?. Molti sono i motivi che possono portare una donna a scegliere di interrompere una gravidanza, ma è un diritto all’ autodeterminazione e come tale va rispettato! La Relazione 2010 sull’applicazione della legge 194 del Ministero della Sanità ha confermato il sempre minor ricorso all’IGV: nel 2009 i casi complessivi sono stati 116.933, ovvero il 3,6% in meno rispetto al 2008. Quasi la metà delle interruzioni è praticata su donne che lavorano regolarmente, solo 11,9% degli aborti fra italiane sono eseguiti da donne disoccupate o in cerca di lavoro. In Italia settentrionale si registra il maggior numero di aborti, 56.148 interventi nel 2008, nella sola regione Lombardia ci sono il 20 % delle IVG. Il 91.9% degli aborti è effettuato in strutture sanitarie pubbliche, solo 8.1% degli interventi avviene in cliniche private. La legge 194, approvata il 22 maggio del 1978 e confermata dal volere popolare con il referendum del 1981, è una legge che in trent’anni ha consentito l’abbattimento del 60% di aborti e soprattutto ha rappresentato la possibilità di salvare la vita a tutte quelle donne che prima erano costrette a ricorrere agli aborti clandestini, così come ha permesso di riequilibrare una situazione di ingiustizia di fatto, per cui le persone facoltose potevano ricorrere alle cliniche dei “cucchiai d’oro”, mentre le altre dovevano arrangiarsi con le mammane o con il fai-da-te e spesso morivano dissanguate o di setticemia. Chi combatte la legge 194, ipocritamente, è indifferente all'eventualità di un ritorno all'aborto clandestino. Per una donna interrompere una gravidanza non è una scelta indolore, è molto spesso un dramma, fisico e psicologico; ma solo le donne possono e debbono avere su questo la prima e l’ultima parola, perché è nel loro corpo e nella loro anima che questo dramma si consuma. E come possono i paladini pro-life, gridare al rispetto della vita, quando si tratta di aborto, e non proferire parola quando una donna viene uccisa! la prima violenza contro le donne è limitarne l'autodeterminazione, la libertà, è volerne controllare il corpo e la volontà.

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…qualcosa d’altro dalla Redazione….. A 34 anni dalla promulgazione della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza (era il 22 maggio 1978), i dati del Ministero della Salute mettono bene in evidenza quanto la norma sia disattesa: la media nazionale di ginecologi obiettori supera il 70%, arriva in alcune regioni al 90, e rende estremamente difficile la garanzia del servizio. In questi giorni, peraltro, in Parlamento si discute un testo ambiguo e pericoloso, un testo che gioca sull’ambiguità dei significati: che cosa intendiamo infatti per obiezione di coscienza e cosa c’entra con la libertà individuale e con la libertà di coscienza? Nell’estate 2010 Christine McCafferty, parlamentare del partito laburista inglese, ha presentato al Consiglio d'Europa un report sulla regolamentazione dell’obiezione di coscienza, “Women’s access to lawful medical care: the problem of unregulated use of conscientious objection”. Il report fotografa la situazione europea e propone alcune linee guida per limitare i danni di un esercizio illegittimo dell’obiezione di coscienza. McCafferty non abbraccia una posizione estrema, non critica cioè la possibilità di ricorrere alla obiezione, ma sottolinea che i diritti delle donne e dei pazienti vengono prima della coscienza del personale medico. È necessario un bilanciamento tra la coscienza personale e la responsabilità professionale altrimenti si finisce per ledere lo stesso diritto dei pazienti di ricevere cure e assistenza, sostituite da una predica moralistica. Quali sarebbero le condizioni per l’esercizio legittimo della obiezione di coscienza? Possono ricorrervi i singoli direttamente coinvolti nella procedura medica e non le strutture sanitarie. Il personale sanitario ha l’obbligo di fornire tutte le informazioni sui trattamenti previsti dalla legge, di informare tempestivamente il paziente della propria obiezione di coscienza, di metterlo in contatto con un altro medico e di assicurarsi che riceva il trattamento richiesto. Se è impossibile trovare un altro medico o in caso di emergenza non c’è coscienza che tenga: il personale sanitario è obbligato a eseguire il trattamento richiesto o necessario nonostante le proprie posizioni personali. Il documento si sofferma spesso sugli effetti discriminatori soprattutto per le donne più in difficoltà, perché vivono in condizioni economiche difficili o in aree isolate o per altre ragioni.

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Il Consiglio d'Europa, però, ha approvato anche un altro documento: “The right to conscientious objection in lawful medical care” (Resolution 1763 (2010)). Qui l’aspetto più grave è la possibilità di invocare l’obiezione “for any reason”: sembra verosimile inferire che ci si possa astenere anche nei casi in cui è a rischio la vita della donna o la sua salute. Se una donna rischia di morire o di subire gravi danni alla salute nessun medico è obbligato ad assisterla. Se una donna scopre di avere una patologia, e curarsi significherebbe mettere a rischio l’embrione, nessun medico è obbligato a curarla. Come risposta a questo assurdo si possono usare le parole di Ingrida Circene, del Partito popolare europeo. In un emendamento al documento McCafferty aveva scritto: “Il ricorso abusivo, diffuso e ingiustificato alla obiezione di coscienza di fatto svuota di sostanza la legge e priva le donne dell’assistenza che la legge attribuisce loro. [...] Credo che il ricorso alla obiezione di coscienza dovrebbe essere fortemente limitato, considerando che la pratica volontaria della medicina e la libera scelta di una specializzazione implica l’accordo a eseguire le procedure mediche prescritte dalla pubblica autorità. Quelli che non vogliono eseguire aborti dovrebbero scegliere di non lavorare nei dipartimenti specializzati in ginecologia, ostetricia o addirittura chirurgia. Sarebbe ammissibile per un soldato professionista invocare l’obiezione di coscienza per evitare di partecipare a operazioni militari? [...] Se le donne non possono esercitare il loro diritto a un aborto legale perché la maggior parte dei dottori rifiuta di eseguire questa procedura, richiamandosi alla obiezione di coscienza, che parliamo a fare dei diritti delle donne?”.

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Ondata di femminicidi in corso. Donne uccise a pugni oppure strangolate. Donne uccise a coltellate. Donne uccise a martellate. Ma è troppo “femminista” occuparsi di donne morte ammazzate da uomini (scientemente, deliberatamente, consapevolmente). Molto meglio rivoltare la frittata e sottolineare che la donna – oggi come oggi – non è vittima, ma carnefice. Infatti, lo slogan che va di moda è “donne assassine”: esattamente, gridato a Roma durante la manifestazione contro la legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Quindi, 13 maggio 2012 d.C, momento di déjà vu medioevale con atmosfera da rogo di streghe, meravigliosamente condita dalla presenza di Alemanno, ottavo re di Roma. Le streghe son tornate? Le streghe van bruciate. Ma forse Alemanno & Co. non sanno che la legge 194 non è una legge ammazza feti. Infatti, tra le altre disposizioni, la Legge stabilisce la possibilità di IVG solo nei primi 90 giorni di gestazione e solo per motivi di natura terapeutica. Ma forse Alemanno & Co. avevano bisogno di questa manifestazione per tentare di dare un’aria serissima-dignitosa-conservatrice all’allegro partito dei bunga-bunga. Tentativo fallito.

….una riflessione proposta da Barbara Cassinari… DONNE A RISCHIO POVERTA’? In Italia a essere più povere quando si separano, sono le donne. A dirlo è l'Istat che nel suo ultimo studio ha fatto i conti: una donna su quattro, nei primi due anni dopo la separazione, è a rischio povertà, in un rapporto di uno a sei per gli uomini. A fronte di padri che per dare i soldi alla ex moglie vanno a dormire in macchina, l'Istat precisa che le donne separate maggiormente a rischio sono quelle che pagano affitto ma anche quelle non avevano occupazione durante il matrimonio. Per l'esercito dei padri "nuovi poveri" a causa del mantenimento dei figli, che in Italia sarebbe il 13,8% della popolazione, c'è stato l'affido condiviso che - introdotto in Italia nel 2006 - ha offerto, oltre alla possibilità di attuare la giusta bigenitorialità, anche la breccia di affidi con domiciliazione presso il padre, intervento economico diretto e assegnazione della casa, perché se fino a poco tempo fa un minore non veniva allontanato dalla madre se non per gravissime ragioni, adesso capita sempre più spesso di sentire casi in cui il minore

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viene sottratto alla madre e messo in casa famiglia, o addirittura presso il padre teoricamente abusivo. Cosa è successo quindi in Italia? Il movimento dei padri separati, originariamente nato per denunciare il fenomeno delle sottrazioni internazionali di bambini in seguito a divorzi, è diventato un movimento che è arrivato, attraverso una fitta campagna svolta sul web e sui blog, a tacciare le donne che si occupano di diritto di famiglia, minori, violenza di genere, di nazifemminismo. Padri separati con all'attivo processi per maltrattamenti coniugali, che inneggiano a un movimento maschile i cui cavalli di battaglia sono due: la "falsa accusa" - ovvero che la maggiornaza delle violenze di genere sono false e che le donne ci marciano - e la Sindrome di Alienazione Parentale (Pas), che fa passare abusi e maltrattamenti in famiglia come invenzioni o esagerazioni del genitore che denuncia abusi in casa e che è, nella stragrande maggioranza, la madre. Ma "rivendicare l'affido di un figlio da parte di un padre che ha come obiettivo non l'accudimento ma la risoluzione di un problema economic o che lo coinvolge, non è giusto", dice Rossella Santi, avvocata esperta di diritto di famiglia presso lo sportello della Casa delle donne di Roma. Per chi non conoscesse questo acronimo, Pas sta per Parental Alienation Syndrome ed è una malattia inventata dallo psichiatra americano Richard Gardner che, oltre a essere un falso professore universitario morto suicida, sosteneva che "c'è un po' di pedofilia in ognuno di noi". Secondo Gardner la sindrome è "il risultato di una programmazione (brainwashing) effettuata da un genitore indottrinante e del contributo in proprio offerto dal bambino alla denigrazione del genitore bersaglio. Il contributo del bambino alla vittimizzazione del genitore bersaglio rappresenta l'elemento chiave che legittima la diagnosi di Pas". Cioè se un figlio o una figlia non vuole vedere uno dei due genitori, significa che l'altro/a ha manipolato il minore fino a farlo ammalare di Pas. Una sindrome che viene oggi spesso usata in maniera acritica nei tribunali per le consulenze tecniche d'ufficio (CTU) fatte da psicologi incaricati dal giudice di fronte a contrasti sull'affido dei figli, malgrado questa malattia, in realtà, non esista. La Pas è stata negli ultimi dieci anni sottoposta a rigorose verifiche scientifiche, sia di parte psichiatrica sia di parte giuridica, e già nel 2002 la professoressa Carol Bruch, docente di discipline giuridiche all'Università Davis della California, concluse che la Pas non ha "né basi logiche né tantomento scientifiche", mentre nel 2009 le psicologhe Sonia Vaccaro e Consuelo Barea nel loro libro "El pretendido Síndrome de Alienación Parental - un instrumento que perpetúa el maltrato y la violencia", rilevarono come la Pas sia solo un "costrutto pseudo-scientifico" che, utilizzato in ambito giudiziario, genera "situazioni di alto rischio per i minori e provoca una involuzione nei diritti umani di bambine e bambini e delle madri che vogliono proteggerli". Qui in Italia, invece, il passaggio dal rivendicare il sacrosanto diritto alla frequentazione dei figli e alla bigenitorialità, alla restaurazione del pater familias, è stato un attimo. Martedì 5 giugno alle 14.30, la Commissione giustizia del Senato ha discusso il ddl 957 che oltre a reintrodurre il concetto di patria potestà (cancellata dalla normativa sul diritto di famiglia del '75) - modifica che recita "Se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili" (Art. 316, Esercizio della potestà dei genitori) - introdurrà la Pas come norma di legge per cui "il comprovato condizionamento della volontà del minore, in particolare se mirato al rifiuto dell'altro genitore attivando la sindrome di alienazione genitoriale, costituisce inadempienza grave, che può comportare l'esclusione dall'affidamento". Se è vero che in Italia e in Europa, il 70% dei femmicidi è legato a violenza domestica, il non riconoscere questa violenza nei tribunali, e anzi consegnare in mano del genitore abusante i bambini, significa mettere a rischio una fetta importante della popolazione con tanto lascia passare legale timbrato dallo Stato.

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Il diritto di protezione di donne e minori viene prima del diritto alla bi-genitorialità: le donne rischiano la vita nella violenza intrafamiliare e i minori rischiano, se non la vita, la loro integrità psico-fisica. La conseguenza che questa legge avrebbe nei tribunali rispetto alle donne che già si vedono sottrarre i figli portati in case famigli o direttamente ai padri, è che le madri non denunceranno più comportamenti genitoriali di abuso, violenza e molestie, perché avranno paura di non essere credute". Perché di solito sono proprio i genitori abusanti e maltrattanti che, respingendo le accuse, lanciano il dubbio che il minore sia affetto da Pas, trovando terreno fertile in psicologi che la diagnosticano senza sapere che non ha alcun fondamento scientifico.

….pensieri sparsi di Nadia Albertoni Nei giorni scorsi in occasione dei tanto discussi festeggiamenti della Repubblica Italiana ho letto un bellissimo articolo di Matilde Baroni, che accosta il 2 giugno alle matite copiative e non alle armi. Mi ha colpito e l’ho subito riletto una seconda volta, come per assaporarlo meglio, per avvalorare con la lettura, la genialità del paragone. Eppure l’evento delle donne al primo voto è data che conosciamo benissimo,come sappiamo di altri terremoti che forse non ci hanno colpito di persona, come in questa occasione, ma che pur sempre hanno lasciato un segno indelebile nel nostro vissuto. Questo vissuto, noi mantovani lo stiamo vivendo ancora, e c’è tanto silenzio nella mia città, un bisogno di assenza di suono, come quando si pensa profondamente o si attende qualcosa che deve venire. Non è semplice convivere con questo senso di provvisorietà, con questa continua sensazione di precario equilibrio, che avverto anche ora mentre scrivo, sarà solo la sedia che dondola come ha sempre fatto negli anni, ma le sensazioni hanno mutato direzione. La stampa, i media locali e nazionali inoltrano costantemente messaggi di aiuto dalle zone vicine, maschere di dolore e rassegnazione di chi ha perso ogni cosa, di chi ha appeso le illusioni al chiodo, di chi ha speso sogni che non si potranno più avverare. La precarietà del vivere ha varie tonalità di colore e diversi pesi da sopportare, mi ricordano le parole di Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato….Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza….certo è che ho mal vissuto la parata militare del 2 giugno intervallata dai servizi dalle zone terremotate, il sapere che ne è seguito un banchetto sontuoso con 2000 invitati, forse perché vivo sempre molto male tutto ciò che è militare, legato alle guerre ed agli armamenti.E’ vero, come dice di seguito Milena

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Baroni, che questo terremoto non c’entra nulla , spesso siamo portate a trovare scuse plausibili per la nostra insofferenza intellettuale, L’arma di massa che sconfisse Casa Savoia e instaurò la Repubblica Italiana non furono né le bombe né i carrarmati ma matite; un esercito di matite copiative con cui il 2 e 3 giugno 1946 12.998.131 di donne (ammesse per la prima volta ad un voto politico) e 11.949.056 di uomini segnarono su schede la propria volontà. L’esercito in tutto questo non c’entrò nulla, fu una battaglia civile che indicò un modo non violento di derimere i conflitti in seguito sancito anche dalla Costituzione. Se vogliamo festeggiare la nascita della Repubblica Italiana (che in realtà nacque il 18 giugno 1946) partecipiamo donne e uomini magari con una romantica nonviolenta matita in mano o con gli attrezzi da lavoro ma anche con ruspe, benne, trattori, erpici….. Ma non con i soldati e i carrarmati ( non penso al costo del carburante ma al simbolo dei militari a piedi a cavallo di corsa o comunque sia). Perché proprio ora scrivere e far girare queste riflessioni? Questo terremoto non c’entra perché anni fa ce ne sono stati altri altrettanto luttuosi. E’ che ora attraverso internet è possibile comunicare e scambiare dati e opinioni, e perché da un anno con forza il Movimento di noi donne è tornato a farsi visibile a tessere una rete di informazioni e i movimenti delle donne da sempre e in tutto il mondo amano poco le guerre, gli eserciti e la mentalità patriarcale dei militari. Se poi le forze armate hanno voglia di mostrare la loro efficienza la loro potenza lo facciano in una data che abbia qualche attinenza con una guerra, una vittoria, un armistizio ma non con il 2 giugno 1946. Ci somigliano più le matite dei mitra.

CHIAMATEMI STREGA…..monologo scritto per Franca Rame Non importa chi sono. Non importa come mi chiamo. Potete chiamarmi Strega. Perché tanto la mia natura è quella. Da sempre, dal primo vagito, dal primo respiro di vita, dal primo calcio che ho tirato al mondo. Sono una di quelle donne che hanno il fuoco nell’anima, sono una di quelle donne che hanno la vista e l’udito di un gatto, sono una di quelle donne che parlano con gli alberi e le formiche, sono una di quelle donne che hanno il cervello di Ipazia, di Artemisia, di Madame Curie. E sono bella! Ho la bellezza della luce, ho la bellezza dell’armonia, ho la bellezza del mare in tempesta, ho la bellezza di una tigre, ho la bellezza dei girasoli, della lavanda e pure dell’erba gramigna! Per cui sono Strega. Sono Strega perché sono diversa, sono unica, sono un’altra, sono me stessa, sono fuori dalle righe, sono fuori dagli schemi, sono a-normale…. sono io!

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Sono Strega perché sono fiera del mio essere animale-donna-zingara-artista e ….. folle ingegnere della mia vita. Sono Strega perché so usare la testa, perché dico sempre ciò che penso, perché non ho paura della parola pericolosa e pruriginosa, della parola potente e possente. Sono Strega perché spesso dò fastidio alle Sante Inquisizioni di questo strano millennio, di questo Medioevo di tribunali mediatici e apatici. Sono Strega perché i roghi esistono ancora e io – prima o poi – potrei finirci dentro.

Redazione Newsletter – SNOQ Mantova Nadia Albertoni , Barbara Cassinari, Claudia Forini N.2 – 11 giugno 2012 Avete ricevuto questa e-mail in quanto iscritti al servizio di Newletter del Comitato Se Non Ora Quando di Mantova. Se non desiderate ricevere più altre comunicazioni via posta elettronica, nemmeno saltuarie, potete segnalare la volontà di essere cancellati dal servizio rispondendo alla presente e-mail