Smool 19 2007

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Provincia di Modena - Progetto TED N° 19 - Marzo 2007

Cracovia - Cinema Kiev, Silvia Facchini (p. 1); Un treno per Auschwitz, Redazionale (p. 2); La neve c’era davvero, Giuliano Albarani (p. 4); La mia lacrima, Linda Lorenzi (p. 5); Non puoi fare altro che pensare, Domiziana Gianfelici (p. 6); Umano… troppo umano…,

Marco Andreotti (p. 8); A passi lenti, Ilenia Guerra (p. 9); Anche il sinto cantava, Vincenzo Imperato (p. 10); Soli nella moltitudine, Silvia Serafini (p. 11); Mi dissero che

c’era mia madre, Silvano Campanale (p. 12); 27 gennaio, Giada Cingi (p. 12); La paura e la rabbia, Cuan Sommacal (p. 13); In treno con Carlo Lucarelli, Adragna Elisa (p. 14); Quattro passi col ministro, Benedetta Donati, (p. 16); Ricordi… ed inquiete risate, Federica Sorato (p. 17); Mai più, i ragazzi dell’IIS “Galilei” (p. 18); Abbiamo visto…,

Valentina Panini (p. 19); Fessure, Bonacci Jessica (p. 20); Terra Gelida, Bonacci Jessica (p. 20); Numeri, Libertini Francesca (p.20)

www.ted.scuole.provincia.modena.it/smool Provincia di Modena - Progetto TED - Rif.PA 2003-0004/Mo - D.G. 127/2003 Cofinanziato da:

In questo numero:

Speciale: Un treno per Auschwitz

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ria, quindi, ma soprattutto un progetto didattico e formativo, perché centrale è il ruolo della scuola, della conoscenza, del sapere. In questo viaggio, guardando gli sguardi di questi ragazzi, ripenso spesso a quello che dice Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è ne-cessario”. Ebbene, io spero ci sia anche una stra-da per cominciare a comprendere e penso che questa strada stia nel sentimento, inteso come il nostro sentire, nel “come sento”. Se indispensabile nella formazione dei nostri gio-vani è la ricerca storica e intellettuale, il sapere, la conoscenza fondamentale, oggi più che mai nei percorsi di crescita dei nostri ragazzi dobbiamo prestare attenzione affinché l’intelligenza non si sviluppi disgiunta dal sentimento. Dobbiamo curaci di più, noi adulti per i ruoli che rivestiamo, prima di tutto come genitori e inse-gnanti, ma anche come amministratori e politici, della qualità del sentimento che in loro si sta for-mando, di quello che nel loro intimo stanno co-struendo, altrimenti si possono sviluppare intelli-genze anche altissime ma fredde, lucide, poten-zialmente ciniche e distruttive: l’abbiamo visto e lo vedremo ad Auschwitz e Birkenau. Questo è il sapere che la scuola deve ma soprat-tutto, credo, vuole costruire: un sapere che attra-verso il sentimento costruisca tensione morale, coscienza critica, consapevolezza del proprio ruo-lo e delle proprie responsabilità. In questo percorso noi siamo a fianco della scuo-la. Questa tensione l’ho vista crescere fra i ragazzi l’anno scorso e quest’anno in treno. Essa ci con-

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Cracovia - Cinema Kiev

Saluto di Silvia Facchini Assessore all’Istruzione e Formazione Professionale

della Provincia di Modena Sabato 27 gennaio - Cracovia, Cinema Kiev. Buonasera a tutti e un grande abbraccio a questi ragazzi che oggi, ancora una volta, per il terzo anno consecutivo, sono qui con noi ad Auschwitz. Due anni fa erano 80 solo da Carpi, l’anno scorso erano 250, e quest’anno sono 630, e vengono dalle scuole superiori di tutta la provincia. Un abbraccio anche ai ragazzi delle Marche che questa sera si sono aggiunti a noi. Ma soprattutto un grazie immenso, caloroso e, consentitemi, un abbraccio da parte di questi gio-vani al Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, che ha deciso di essere con noi questa sera, in questa giornata della memoria, e domani ad Auschwitz e Birkenau. Quest’anno a Modena siamo tutti molto felici e orgogliosi perché abbiamo raggiunto due risultati molto importanti e simbolici: portare ad Au-schwitz 630 ragazzi dalle scuole superiori di tutta la provincia, e 630 sono veramente tanti, e af-fiancare a questo progetto, alla scuola, tutte le istituzioni, proprio tutte. Ad accompagnare e sostenere questi ragazzi e i loro docenti, sotto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica, del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, insieme alla Regione Emilia Romagna e alla Provincia di Modena, c’era-no tutti i Comuni, tutte le Scuole Superiori; ci hanno sostenuto anche le quattro Fondazioni Bancarie della provincia. Ma il cuore di questo progetto, l’anima senza la quale tutto questo non sarebbe stato possibile, resta la Fondazione ex campo Fossoli di Carpi. Siamo partiti giovedì da Carpi, a due passi dal campo di Fossoli, da cui più di 60 anni fa partì Primo Levi e partirono tanti giovani non tanto di-versi dai nostri giovani. Questi, Ministro, sono i nostri giovani, quelli cui vogliamo dare voce, volti, immagini, suoni, colori. Sono partiti in treno con i loro docenti, preparati e consapevoli, perché è da ottobre che si prepa-rano con percorsi formativi, con itinerari e labora-tori didattici, e alle loro spalle ci sono insegnanti preparati e motivati che si aggiornano, studiano, ricercano si confrontano, che non si risparmiano. A loro va riconosciuto il merito di aver dato infor-mazioni, conoscenze, competenze e saperi, ma soprattutto di aver sollecitato domande, curiosità, voglia di capire, di andare sempre oltre e di non accontentarsi mai. Non solo un viaggio della memoria e nella memo-

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Un treno per Auschwitz

Redazionale Da Carpi ad Auschwitz, ripercorrendo in treno lo stesso viaggio compiuto più di sessanta anni fa da migliaia di deportati ebrei ed oppositori politici del vicino campo di concentramento di Fossoli: è l’e-sperienza che hanno vissuto 630 studenti degli istituti superiori della provincia di Modena dal 25 al 30 gennaio 2007. Come è noto, l’iniziativa è stata promossa dalla Fondazione ex campo Fossoli con la quale hanno collaborato il ministero della Pubblica istruzione, la Regione Emilia-Romagna, la Provincia di Mode-na, i Comuni di Carpi, Castelfranco Emilia, Finale Emilia, Mirandola, Modena, Pavullo, Sassuolo e Vignola e le Fondazioni Cassa di Risparmio di Mo-dena, Carpi, Mirandola e Vignola. Il progetto, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Senato e della Camera dei Deputati, non è solo un tradizio-nale viaggio della memoria, ma un “contenitore” di proposte didattiche per studenti ed inse-gnanti, dove il viaggio rappresenta il momento più significativo sia sul piano della conoscenza che su quello emotivo. Le scuole partecipanti han-no intrapreso questo per-corso già dall’ottobre scorso con laboratori di-dattici ed incontri forma-tivi, un percorso che si concluderà alla fine dell’-anno scolastico. Come nelle precedenti edizioni, anche quest’an-no in treno con i ragazzi c’erano musicisti, scritto-ri, giornalisti, studiosi, testimoni, la cui presenza ha arricchito ulteriormen-te il progetto. In partico-

lare sono partiti da Carpi l’ex leader del gruppo musicale ‘Modena City Ramblers’ ‘Cisco’ Bellotti e il giallista Carlo Lucarelli, oltre al gruppo musicale salentino ‘Après la classe’ e all’attore Pino Petruz-zelli, che proprio a Cracovia ha tenuto uno spetta-colo teatrale sul tema della deportazione di Rom e Sinti. Allo spettacolo ha partecipato anche il Mini-stro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni che il giorno dopo ha visitato i campi di Birkenau e Auschwitz con una delegazione di studenti. I veri protagonisti dell’iniziativa comunque sono stati i ragazzi. Ed è per questo che SMOOL ha deciso di dedicare un numero speciale al viaggio e agli scritti di viaggio. Come si è visto, il numero si apre con l’intervento dell’Assessore Silvia Facchini che ben sintetizza lo spirito dell’iniziativa; ospita quindi gli articoli di Giuliano Albarani e di Domiziana Gianfelici che ripercorrono l’evento da punti di vista diversi. E si arricchisce via via di contributi dei ragazzi che - in maniera ora più immediata e sintetica, ora più riflessiva ed articolata - fissano col cemento delle parole i loro pensieri e le loro emozioni. Per non dimenticare.

segna giovani portatori di memoria, giovani che si caricano sulle spalle una testimonianza non facile da portare, nella speranza, ancora di Levi, che ciò che è accaduto non ritorni, perché, non va dimen-ticato, “le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”. Al ritorno nessuno di noi potrà far finta di non sapere.

Grazie ragazzi, questo è il vostro treno. Noi, per quanto ci compete, continueremo ad accompa-gnare nei prossimi anni da Fossoli ad Auschwitz studenti e docenti. Riportando a casa, con loro, testimonianze e memorie, conoscenze e senti-menti.

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La neve c'era davvero

Giuliano Albarani

Prologo g iovedì 25-1-2007, ore 11.45, da "[email protected]" a "direttore voce" Caro Direttore, ti mando la rubrica per la prossi-ma settimana… oggi pomeriggio mi imbarco sul "Treno per Auschwitz"… può interessare una spe-cie di reportage di viaggio? a presto, g.a. giovedì 25-1-2007, ore 12.03, da "direttore voce" a "[email protected]" Grazie per la rubrica. Sulla "specie di reportage" vedi tu... Buon viaggio. f.m. Giovedì 25 Gennaio - Partenza da Carpi "Chi sono? Barzini? Kapuscinski? Ettore Mo? Un reportage di viaggio? Chi l'ha mai fatto? Come mi è venuto in mente?". Mi aggiro nell'atrio della sta-zione di Carpi, fra capannelli (educatissimi e si-lenziosi) di studenti e pendolari straniti, non tutti edotti dell'origine dell'insolito affollamento. Alle 17 circa parte il Treno per Auschwitz, edizione 2007 (la terza), con quasi 600 ragazzi delle scuo-le superiori della provincia di Modena. Ostento aria senatoriale. "Io c'ero anche nel 2005 - mi capita di dire - primo tentativo, tre scuole e ot-tanta studenti, metà li ho portati io". Manca solo che mi batta il petto. Abbraccio vigoroso con Ci-sco, anche lui viaggiatore della prima ora. Nessu-na remora nell'annuncio, inconsapevolmente tra-gicomico, del convoglio: "Il treno diretto ad Au-schwitz è in partenza dal binario 1". Venerdì 26 Gennaio - Arrivo a Cracovia Si è tirato tardi nella carrozza-ristorante, e tutta la notte è stata scandita dai numerosi ma cordiali controlli di frontiera. Solita atmosfera "comunitaria" sul treno, con un viavai di persone di varia estrazione (ci sono studenti, insegnanti, presidi, amministratori, musicisti, attori e scritto-ri) e di imprecisata destinazione (molto gettonato lo scompartimento di Carlo Lucarelli). Mattatori della prima serata sono stati Vladimiro e Charlie, i due amici sinti - meglio, come dicono loro: italiani di etnia sinta - ospiti del Treno per Auschwitz. Al Porrajmos, l'Olocausto "zingaro" (forse 500.000 le vittime), è idealmente dedicato il nostro viaggio. Si discute sulla denominazione adatta per questa esperienza: "viaggio nella memoria", "pellegrinaggio civile", "treno della vita". Per a-desso è una bella gita, fosse diversamente puzze-rebbe di falsità. Arrivati. La stazione di Cracovia

sembra uscita da un film di Kaurismaki, ma l'al-bergo è un Novotel, a ricordarci che viviamo nel XXI secolo. Sabato 27 Gennaio - Visita ad Auschwitz Auschwitz I è un palinsesto di tragedie della Se-conda Guerra Mondiale. Vi sono transitati prigio-nieri polacchi, militari sovietici, deportati politici, ebrei. Un campo di concentramento, formalmen-te, che si affaccia sullo sterminio: torture, fucila-zioni, impiccagioni, tassi di mortalità altissimi, prime sperimentazioni dello Zyklon B poi utilizza-to a Birkenau. Ma anche un ibrido fra luogo di memoria e museo: si passeggia fra i blocchi, si entra nel crematorio I, si scorge la forca del fami-gerato comandante Höss, qui giustiziato nel '47. Ma quasi ogni baracca è allestita internamente. Vige per lo più il principio di nazionalità - c'è an-che il blocco dedicato agli italiani. Io mi infilo al numero 13. Governo polacco e aziende tedesche hanno omaggiato la memoria degli "zingari" con un'esposizione ricca e scrupolosa. Ci sono i ritratti dei nomadi provenienti dallo Zigeunerlager di Bir-kenau che Mengele commissionava prima degli esperimenti. A dominare sono, però, le immagini fotografiche. Mai visto sguardi tanto interrogativi e disorientati. Alla sera Pino Petruzzelli, fra gli applausi e la commozione, mette in scena il suo "Zingari: l'olocausto dimenticato". Chissà, se al ritorno, agli incroci o davanti al supermercato, ce

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ne ricorderemo. Domenica 28 Gennaio - Visita a Birkenau A Birkenau non c'è la neve. C'è, almeno a tratti, la bufera. Espressioni smarrite. Il luogo fisico dà pochi appigli alla vista e all'orientamento, l'unico elemento di riferimento rischia di essere il filo spinato. Le guide - molto preparate - indulgono, con malcelato effettismo, su aspetti macabri di sevizie e gassature. Non ce n'è bisogno. Ciò che serve è una parola sobria, che dia un senso a ciò che stiamo vedendo. Improvvisiamo letture itine-ranti. Benedetto Primo Levi, quanto nitore e quanta sofferenza ne "I sommersi e i salvati". La fiaccolata parte dal monumento alle vittime del lager. Il suo aspetto solido e granitico sembra voler ricordare che solo qui, non sulla piana pagi-na scritta, la storia prende volume e spessore. Lunedì 29 Gennaio - A spasso per Cracovia Scorci del nostro soggiorno, prima del treno del ritorno. Cracovia è un'accogliente città mitteleu-ropea, e ha ben poco di polacco, ammesso che questo voglia dire qualcosa. Guai a dare adito a

pregiudizi e visioni stereotipate. In pullman si grida all'architettura "tipicamente" socialista, per poi scoprire che si tratta di casermoni-alloggio per universitari, non diversi dagli studentati di mezza Europa. Sarebbe come dire che Carpi ha un passato da comunismo albanese dopo averne visto l'edificio delle Poste. Sortita lampo nel vec-chio ghetto ebraico. Senza dimenticare che i nazi-sti, dopo l'invasione, ne fecero costruire uno ad hoc, oltre Vistola. Parola d'ordine, anche prima di Auschwitz: sradicare. Martedì 30 Gennaio - Carpi, stazione di Carpi Siamo partiti per una gita, ritorniamo da un viag-gio. Si sprecano parole di elogio per l'organizza-zione, perfetta. All'arrivo applausi e abbracci. Ma guai a crogiolarsi in questa pienezza esperienzia-le. Leggo, inquieto, da una deposizione dell'ago-sto '44 di Leon Werth: "E già sentiamo arrivare l'oblio. La guerra va ad aggiungersi ad altre guer-re del passato (...) Scorderemo anche quanto c'era di incredibile nell'atrocità? Sì, come il resto. Che cosa fare per non dimenticare?". Per gentile concessione della “Voce” di Carpi

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La mia lacrima Linda Lorenzi, IPSSCT Elsa Morante

La mia lacrima, che fino a prima avevo cercato di trattenere con orgoglio, è scesa quando ho visto quella gambetta di legno che non poteva che ap-partenere ad un bambino di due o tre anni. Il legno un po’ mangiato dal tempo e dalle per-cosse subite, la calzina azzurra un po’ lisa, lo scarponcino nocciola tutto impolverato e la cin-ghia di cuoio con le fibbie. Ho deciso di non fare foto nel campo. Riesco a intravedere l’andatura zoppicante di quel piccolino, ma non il suo volto, perché in quell’or-rore nessuno ce l’ha. A nessun bambino, mai per nessuna ragione, va tolta la capacità di sognare. Prima di arrivare ad Auschwitz tutti i sogni di quel fanciulletto stavano in quel pezzo di legno che lo rendeva capace di correr loro incontro. Perché mai più nessun uomo commetta gli stessi errori, vai anche tu a cercare quella gamba, e lì davanti dedica una preghiera a quello che ora è l’angelo custode di qualcuno, magari il tuo.

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Non puoi fare altro che pensare

Domiziana Gianfelici, Liceo San Carlo Auschwitz… campo di concentramento tedesco nella Polonia sud-occidentale occupata. Prima della seconda guerra mondiale il complesso situa-to vicino alla città di Oswiecim era una caserma dell’esercito polacco. Il campo concentrazionario di Auschwitz svolse un ruolo fondamentale nel progetto di “soluzione finale della questione e-braica” diventando in bre-ve tempo il più grande ed efficiente centro di stermi-nio. I lager principali era-no: Auschwitz I, Auschwitz II - Birkenau, Auschwitz III - Monowitz. Oggi quel che resta di que-sto luogo è patrimonio del-l’umanità, un luogo dedica-to alla memoria delle vitti-me che lì vennero uccise. Carpi… 25 Gennaio 200-7, 630 studenti pronti a ripercorrere gli stessi km che sessant’anni anni fa migliaia di uomini, donne e bambini facevano all’oscuro di tutto, all’oscuro del loro destino, all’oscuro della malvagità che l’uomo può arrivare a raggiun-gere. Non so cosa mi abbia spinto a fare questa “magnifica” esperienza, per quanto possa essere magnifica una cosa del genere, forse per superare le mie paure, le mie ansie davanti a così tanto orrore; avevo paura di pentirmene, di non resi-stere di fronte a quello che avrei visto, ma di una cosa ero certa: se avessi perso una tale opportu-nità me ne sarei sicuramente pentita. E non mi sbagliavo… Nelle 22 ore di treno che ci dividevano da Cracovia abbiamo scherzato, giocato, chiacchie-

rato, conosciuto nuovi ragazzi, nuovi profes-sori, abbiamo parlato di come sarebbe stato questo viaggio, delle nostre aspettative, abbiamo ascoltato le conferenze di Carlo Lucarelli e cantato le canzoni di Cisco (ex cantante dei Modena City Ramblers), che ci

hanno accompagnato in questo viaggio… E senza neanche es-serci accorti delle ore che passavano, final-mente siamo arrivati a Cracovia. Già dalla sera stessa siamo entrati nel clima della shoah, ascoltando una conferenza di Sarah Kaminski che

purtroppo data la mancanza di rispetto di alcune persone non ha avuto la partecipazio-ne che probabilmente meritava. Ed eccoci alla mattina del 27 gennaio, giornata della memoria, visita al campo di Auschwitz I. Poche ore prima di oltrepassare quel famoso cancello con la scritta “ARBEIT MACHT FREI – IL LAVORO RENDE LIBERI”, che tante volte abbiamo visto sui libri di scuola o in tv, ci stavamo lamentando sull’o-

rario della sveglia di quella stessa mattina; ma una vol-ta lì, smetti di pensare e l’unica frase che ti passa per la testa “NON PUÒ ESSERE ESISTITO TUTTO QUESTO” ti accompagna fino all’uscita dal campo. Sei lì con -10°, con la ne-ve che scende solo quando metti piede fuori dall’hotel, con cappelli, sciarpe, guanti,

scarponi… che attraversi quelle vie coperte di ne-ve e non puoi fare altro che pensare che neanche tantissimi anni fa nello spazio di terra dove ora ci sei tu, c’erano migliaia di uomini, anche se allora non erano considerati tali, con una misera divisa, con anche 30° sotto lo zero, e pro-prio lì, almeno uno di loro moriva. Entri nelle barac-che, ascolti la guida, guardi foto, valige e continui a restare sen-za parole… ma vai avanti e vedi intere stanze piene di scar-pe, capelli, tessuti fatti con questi ultimi e vai an-cora avanti… entri nella baracca dove nei sotter-ranei si facevano i primi esperimenti sullo zyclon-B, dove si passavano le ultime ore di vita prima di essere fucilati su un muro lì accanto, e la rabbia inizia a diffondersi dentro di te.

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Un tuo amico ti chiede spiegazioni su qualco-

sa che non ha capito, e tu non riesci nean-che a rispondergli, in te c’è qualcosa di stra-no, non sai cos’è, ma ti senti diverso, arrab-biato, triste e sconvol-to allo stesso tempo, fin quando non ti trovi davanti ad un enorme villa. È la villa di Rudolf

Hoss, il comandante del campo che viveva “tranquillamente” con la sua famiglia a qualche metro dal fino spinato dello stesso campo e a qualche centinaio di metri dai forni crematori. Vorresti esplodere, ma sai che è inutile e l’unica cosa che ormai vorre-sti fare è uscire di lì... perché ora tu puoi farlo. Poi ci ripensi, e capisci che quello che provi non è inuti-le, è un altro motivo che ti spinge ad andare avanti, a rac-contare ai tuoi amici, ai tuoi genitori le sensazioni che trasmette quel posto, per fare in modo ancora una volta di ricordare quello che è stato e per far si che cose del genere non accadano più. E ricordare è stata anche la parola protago-nista di quella serata, quando abbiamo assisti-to allo spettacolo di Pino Petruzzelli: “ZINGARI: L’OLOCAUSTO DIMENTICATO”. Lui ci ha fatto ri-cordare che non sono morti solo sei milioni di e-brei, ma altri due milioni tra zingari, asociali, pri-gionieri politici… e purtroppo di loro, la maggior parte delle volte, non se ne parla. Sinceramente non so spiegare come mai, forse perché sui libri di scuola non se parla abbastanza, o forse perché le persone sono attratte da numeri sempre più grandi; e quindi si ricorda solo la prima cifra sor-

prendente tra tante che vediamo. E in seguito abbiamo ascoltato l’intervento del ministro dell’istru-zione Fioroni, che con alcuni di noi il giorno dopo ha visitato i cam-pi di Auschwitz I e Bir-kenau. La mattina seguente

siamo andati al campo di Auschwitz II – Bir-kenau, dove ti trovi davanti a 167 ettari di neve circondati da filo spinato. Non è rimasto quasi niente se non i binari dei treni che entravano dal-l’entrata principale del campo, un settore con del-

le baracche, i resti dei camini di queste ulti-me, e le macerie di uno dei complessi delle camere a gas e forni, distrutti dai tedeschi prima dell’arrivo dell’-Armata rossa. È questo lo scenario che ti trovi davanti; vedi la deva-stazione, il vuoto… In alcuni momenti ti sembra di sentire la presenza di tutte le persone che sono pas-

sate di lì, soprattutto quando entri in una delle baracche ancora in piedi, e guardan-do fuori da una finestra ti sembra quasi di poterli vedere. Quante volte abbiamo sentito la frase “Non ci sono parole per descriverlo”? Tante… ed è proprio così; sei in mezzo a tutta quella neve e hai quasi paura di es-sere tornato indietro nel tempo.

Il pomeriggio siamo tornati al campo per la fiaccolata, anche se le candele accese saranno state la metà a causa del vento. È stata molto toccante… come poi tutto il resto, ma forse la co-sa su cui rifletti di più è quando parti dal monu-mento di Birkenau, sali sui binari e inizi a cammi-nare verso l’uscita, un‘uscita che hanno attraver-sato in pochissimi. E così è finita la no-stra visita in due dei tanti campi di concen-tramento e di stermi-nio che l’umanità è riuscita a creare. Il viaggio di ritorno verso Carpi e Mode-na, dopo aver visitato la Cracovia ebraica ed il centro della città, ovviamente non è sta-to come quello dell’an-data. Ti soffermi di più a pensare, a riflettere, rivedi davanti a te delle immagini che probabil-mente ti porterai dietro per sempre, riguardi le centinaia di foto che hai fatto, ti rendi conto di che esperienza sei riuscito a fare e ne sei “orgoglioso”.

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Umano... Troppo umano…

Marco Andreotti, Liceo San Carlo

Un Treno per Auschwitz, 30 gennaio 2007 Molto probabilmente quasi nessuno fra coloro che oggi si recano in visita ad Auschwitz-Birkenau, o in qualunque altro campo di sterminio nazista, vi arriva in una condizione di estraneità storica alla Shoah. Tutti conoscono la storia, tutti hanno letto libri o visto film, tutti hanno ascoltato testimo-nianze. Andare ad Auschwitz significa dunque recarsi fisicamente nel luogo dello sterminio e ricevere da questa esperienza un’impressione decisamente più forte e travolgente di quella che può derivare dalla lettura di qualunque libro. Tuttavia Auschwitz non è un luogo “a porta-ta d’uomo”, pur essendo stato reso possibile da uomini. È l’effetto causato da una folle volontà di sterminio che ha avuto seguito nell’immanenza della storia, dunque è un fatto “umano”, anche se “disumano”. È qualcosa che dobbiamo cono-scere – tutti dobbiamo sapere e testimoniare – ma che non possiamo comprendere del tutto, né forse dobbiamo comprendere, come spiega Primo Levi, dal momento che “comprendere” (anche etimologicamente) significherebbe “contenere in sé stessi”, quindi anche “identificarsi” con i carne-fici. Quando ho visitato i campi di Auschwitz e Birkenau, ho avuto l’impressione di trovarmi all’interno di qualcosa troppo grande per me, troppo grande per qualsiasi uomo. Nel momento del primo impatto sono stato pervaso da un senti-mento di profonda angoscia: avevo come la sen-sazione di essere all’interno dell’idea assoluta di Male piombata sulla terra. Mi rendo conto, però, che provavo dolore non per degli individui e la perdita dell’unicità di ognuno di loro preso singo-larmente, ma per un gruppo di uomini, donne e bambini talmente grande da risultare informe, senza un volto, o meglio senza i volti. Carlo Lucarelli dice che dieci persone uccise sono una tragedia, cento una strage, mille una catastrofe, ma un milione diventano una statisti-ca, ovvero qualcosa di incomprensibile, senza più un’identità, proprio secondo l’intenzione dei nazi-sti. Per questa ragione, ha spiegato Lucarelli, quando andiamo ad Auschwitz, dobbiamo cercare di foca-lizzare il nostro sguardo su un particolare che su-

sciti in noi una specifica emozione e ci coinvolga nella dimensione umana della drammaticità della Shoah, quella del dolore e dell’annientamento dei singoli individui. Se spostiamo la nostra attenzione su un in-dividuo, uno dei tanti volti immortalati nelle foto-grafie ad Auschwitz I, e su la tragicità della sua scomparsa, cominciamo ad interessarci a lui, a tentare di conoscerlo e, allo stesso tempo, ci commuoviamo in modo forse più autentico, più “a portata d’uomo”. Diversamente da Birkenau, che mi ha provoca-to un sentimento di angoscia fortissima, sia per-ché è evidente che lì nulla è cambiato e tutto è stato mantenuto com’era al momento della libe-razione, sia perché si avverte la sensazione di essere nel luogo dello sterminio efficacemente portato a termine e della cancellazione umana perfettamente riuscita, il campo di Auschwitz I con le sue baracche in muratura restaurate sem-bra quasi un museo. Esposti vi sono oggetti e cimeli terribili, co-me ammassi di scarpe, giocattoli, occhiali, vestiti, tonnellate di capelli umani. Come dice Primo Levi, tutto questo è uno spettacolo miserando, «ma pur sempre qualcosa di statico, riordinato, mano-messo», quindi in qualche modo mediato. Ciò che mi ha atterrito maggiormente, infatti, sono state le fotografie dei prigionieri, i volti delle vittime, volti con la morte negli occhi, per lo più

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rassegnati, volti che raramente guardano fissi chi passa loro accanto, ma soprattutto volti uno di-verso dall’altro, di individui unici ed irrepetibili. Vedere queste facce è stato un po’ come en-trare nella mia “stanza 101”, direbbe George Orwell, l’autore di “1984” citato da Lucarelli, ov-vero individuare il “punto di rottura” di massimo coinvolgimento emotivo all’interno dell’esperienza di visita ai campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Di tante persone qui scomparse non è rima-sto che una scarpa, un paio di occhiali o una fo-tografia. Di tanti bambini morti in questo luogo non ci resta che qualche vestitino.

Quando si vedono ammassati in questo mo-do tanti oggetti di vita quotidiana, oggetti che sono parte della vita di una persona, si arriva a pensare che forse si dovrebbe ricordare in tutti i particolari ogni singolo oggetto, per rendere giu-stizia alla memoria di individui così follemente eliminati dal mondo. Questo, però, non sarebbe possibile, anche se mai va dimenticata l’identità personale tolta alle vittime della Shoah, ridotte a numeri, a non-uomini, perché proprio questo voleva fare la fero-cia sterminatrice razzista: ucciderli senza lasciare le tracce della loro umanità e di tutto ciò che li rendeva uomini e cittadini non diversi dagli altri.

A passi lenti

Ilenia Guerra, Liceo Sigonio Confusione totale. Bianco in cielo, bianco in terra. Bianco intorno. La neve così intensa mi isola dal gruppo. Sono sola, fuori come dentro, ma mi cerco. Cerco dall’alto della torretta la fine del campo. Non la trovo e mi innervosisco, mi arrabbio. Il male non ha un confine, non ha né un inizio né una fine: come Birkenau. A passi lenti cammino tra baracche di legno, è strano siamo circa in 20 ma ognuno è solo. La baracca dei bambini. Vuota e nuda. 230000 bambini. Tubercolosi. Esperimenti scientifici. Tutti escono, io resto immobile. Ho freddo ma non mi muovo. All’improvviso non riesco a capire. Bambini? Perché?… Tra questi brandelli di legno è stata negata l’infanzia. Son morto con altri cento, son morto ch’ero bam-bino… Cammino e cammino. Dei forni crematori non rimane molto, qualche pietra è fuori posto, la ne-ve copre tutto. La odio, lei copre, nasconde, dissi-mula e io voglio vederci chiaro. Impossibile. Ritorno ad Auschwitz I con occhi diversi, lucidi ed arrabbiati. Vedo capelli, occhiali, valige, pentole, vestiti,

scarpe, bastoni… ho bisogno d’aria. Foto, foto e ancora foto. Occhi sgranati, occhi pazzi, occhi abbassati, occhi vuoti. Noi non siamo numeri. Una di queste foto contorna il viso di una donna bellissima, rasata; forse i suoi capelli sono ancora qui ad Auschwitz tra quelli esposti al museo. Sulla cornice è posata una rosa rossa brillante.

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Anche il sinto cantava, nella sua lingua

Vincenzo Imperato, Liceo Muratori

Il sinto dalla pelle scura sedeva nella hall dell’albergo, calda, profumata di pulito. Vedeva una dozzina di ragazzi e di belle ragazze seduti su un tappeto intorno a un vecchio amico che canta-va. Ecco che uno si accendeva una sigaretta con un fiammifero, e presto il fumo si mischiava alle note, si intrecciava alla voce pastosa e calda del grosso cantante seduto sul divanetto. Tutti, anche il sinto, avevano addosso ancora gli stralci della neve e del vento che quella mattina aveva guidato i loro piedi, sferzando tra le barac-che del campo di Birkenau. Alcuni conoscevano le canzoni a memoria, altri seguivano il tempo battendo un piede per terra, altri ancora guardavano il cantante con pal-pebre a mezz’asta dopo una serata passata a bal-lare in un locale di Cracovia. Il sinto, invece, aveva calcato il cappello su-gli occhi, forse per nascondere qualche lacrima impossibile da fermare anche per la sua volontà temprata dagli anni.

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Era la sua natura passionale, il suo nome zingaro, che non poteva controllare, come non era riuscito a controllare la stessa mattina mentre contava i propri passi sui binari innevati. La piana razionale e spietata del campo, insieme a orrori che a raccontarli non paiono possibili, affollavano la mente dei giovani, distrutti da gior-nate passate in mezzo alla neve, esposti al vento della Storia. Anche il sinto cantava, nella sua lingua, una canzone che lui stesso aveva insegnato al musici-sta; cantava piano, commosso. Gli altri si lascia-vano cullare dalla musica, avvicinando piano il bicchiere di birra alla bocca, facendo attenzione a non fare rumore. Il giorno dopo li aspettava un viaggio este-nuante, eppure quella notte nessuno aveva inten-zione di dormire. Il musicista diede la buona not-te con un ultimo pezzo nel quale infuse tutta la sua passione. Nessuno avrebbe dimenticato quel-la serata, e nemmeno quella favola dove i cattivi erano alti biondi e dagli occhi azzurri, mentre i buoni erano sporchi, capelli di terra e occhi di pol-vere. Il sinto allora si alzò, non visto tra le chiac-chiere dei giovani, attraversando quello sfondo fragile, ed uscì dall’albergo, calcandosi bene il cappello in testa.

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Soli nella moltitudine Silvia Serafini, Liceo Muratori Eccomi, sono tornata... 6 giorni via da casa, 2 in treno e 4 in Polo-nia... una gran bella esperienza... anche se forse "bella" non è la parola più adatta per descrivere questo tipo di cose... importante però sì... Abbiamo visitato il "luogo del male as-soluto", così lo hanno descritto... e tuttora le tracce di questo male sono presenti e indelebili, ti lasciano un segno dentro, che penso sarà per sempre. Le visite ai campi... non abbiamo provato minimamente quello che provavano i de-portati... è vero, il luogo era lo stesso, però noi eravamo ben coperti sotto la neve, a-vevamo le nostre giacche invernali, maglio-ni, scarponi, non solo un vestito di cotone e degli zoccoli; avevamo fatto un'abbondante colazione e avevamo dormito in un albergo caldo e comodo... anche noi eravamo in tanti, ma non così tanti... e sopratutto quello che ci differenziava era la ragione del trovarsi lì... E’ difficile descrivere questa esperienza... si rischia di dire troppo poco o le cose sbagliate… o in modo sbagliato… I dati riguardo la shoah si sanno o sono co-munque reperibili sui libri… le emozioni no... è per questo che il viaggio fatto di persona in questi luoghi è così unico e irripetibile. Mi sembra di scrivere cose banali, quindi concludo con quello che mi ha colpita di più e mi è rimasto più impresso: ad Auschwitz, la foto di una donna, liberata il 27 gennaio 1945 magrissima, era solo uno sche-letro ricoperto di pelle, ci hanno detto che era entrata nel campo di 75 kg e ne era uscita di 25, per avere un'idea… ma quello che colpiva era il suo sguardo... gli occhi scuri, forse neri (la foto non era a colori), uno sguardo che perforava l'o-biettivo e che mi guardava, era quasi come averla davanti, incombente... esprimeva tutta la soffe-renza e il dolore che doveva aver provato, non c'era la gioia di essersi salvata... probabilmente date le sue condizioni era già praticamente morta come persona, anche se non biologicamente... L'altro momento è stato a Birkenau, verso la fine della fiaccolata... per un breve periodo mi sono

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trovata da sola lungo la ferrovia, distanziata dai miei amici e dagli altri ragazzi… in questo momento ho provato la solitudi-ne… guardavo il campo, che si allargava stermi-nato da entrambi i lati… prima una striscia di ne-ve, non ancora calpestata, poi il filo spinato, una fila di baracche e poi un'altra e un'altra, non sa-prei dire quante fossero... fino al punto in cui non vedevo la fine del campo, ma solo che non riusci-vo più a distinguere il limite tra cielo e terra, il bianco scuro della neve di sera e il grigio del cie-lo… erano una cosa unica e infinita... in quel mo-mento ho avuto paura... non sono riuscita a rima-nere lì da sola a lungo e sono andata a cercare la compagnia degli altri ragazzi... Chissà, forse era questa una delle cose di cui i deportati sentivano la mancanza e che contribui-va al loro sfinimento, al loro annullamento… l'as-senza di altre persone, l'essere lonely, non alone, l'essere soli nella moltitudine nel fronteggiare questi momenti terribili... o forse non avevano il tempo o le forze per pensare a questo e l'unico obiettivo era sopravvivere, salvare il corpo e, se possibile, anche lo spirito…

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Mi dissero che c’era mia madre

Silvano Campanale, ITG Guarini

Mi dissero che c’era mia madre. Mi dissero che mi aspettava. Che le sue braccia erano tese verso di me. E poi c’era la neve che era magnifica e rendeva tutto così speciale, ma c’era la mamma. Le andai incontro, correvo. Loro me lo chiesero se la volessi vedere. Come rinunciare? Forza, forza. Non puoi dir di no. La mamma ti aspetta! Allora corsi, corsi ancora più forte, ancora più veloce. … Mamma eri così fredda, così scura, così… Mi ricordo che il tuo braccio mi circondava e mi scaldava. Mi ricordo che mi amavi. E ora ti sento così gelida. Mi abbracci con braccia lunghe. Talmente lunghe che mi hanno completamente avvolto. Mia mamma aveva un nome lontano, un nome senza tempo. Mamma, perché ti chiamano MORTE? Questa poesia mi è stata ispirata dalla storia vera dei bambini a Auschwitz II – Birkenau. Ai bambini, rinchiusi nelle baracche senza genitori, veniva detto che le loro madri li stavano aspettando fuori. Tal-volta la donna che li accudiva ne lasciava uscire qualcuno. Uno di loro uscì pieno di felicità verso la “mamma”. Fu ucciso. Un’altra “mamma” lo accolse.

27 gennaio

Giada Cingi, Liceo Sigonio 27 gennaio. Giorno della memoria. 62 anni fa finiva quella che è stata la guerra più crudele e devastante che abbia direttamente coinvolto il nostro paese. 62 anni fa le città, alcune da poco ricostruite dal regime fascista, erano distrutte, sgretolate. Aerei e bombe tracciavano splendidi disegni nei nostri cieli, prima di distruggere le nostre case e le nostre vite. Milioni di persone sono state rinchiuse e sterminate nei campi di concentramento. Milioni uccise per le strade, contro un muro, dietro una trincea. Le famiglie dilaniate accettavano piangendo la morte di figli o fratelli. E noi ricordiamo. Sono poche le persone che possono ricordare. Sono pochi quelli che l’hanno vissuta. Pochi quelli

che sono sopravvissuti a loro stessi. Sono pochi quelli che sentono il bisogno di ricordare. Eppure a noi basta poco per dire di ricordare: un foglietto sulla cattedra che riporta le parole di Levi, sempre le stesse ogni anno, il suono di una campana che scandisce il doveroso minuto di silenzio per ricordare, e si ricorda ridendo dell’espressione del professore. Ma noi cosa ricordiamo poi? Il genocidio degli ebrei. Ebreo. Pronunciandolo oggi sembra di parlare di un antichissimo popolo vissuto chi sa come in qualche posto nel mondo. Sì milioni di ebrei sono stati uccisi nei campi. Ma solo questo va ricordato? Va ricordato perché non accada di nuovo? Eppure in tanti paesi si consumano in questo istante stermini, selezioni e pulizie etniche. È importante ricordare. Ma solo ricordare?

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La paura e la rabbia

Cuan Sommacal, Liceo San Carlo

…genocidio... milioni di morti... campi di sterminio... camere a gas... forni crematori… odio Queste sono forse le cose a cui pensavo con più insistenza da quando avevo scelto di partire per la Polo-nia e che forse avevano contribuito a mettere in agitazione le persone che mi stavano intorno, che mi dicevano che avrei fatto male ad andarci... che avrei visto troppi orrori e che non sarei riuscito a regger-li. All’inizio non mi preoccupavo di queste parole... era troppo forte il desiderio che avevo di vedere quanto in là poteva arrivare la stupidità e la crudeltà dell’uomo... volevo sapere, conoscere, vedere. Questo desiderio mi ha poi permesso di partire con relativa tranquillità, senza timori... ma mi permette-va anche di riflettere su dove stavo andando e durante il viaggio qualcosa si faceva lentamente strada nel mio cuore... un qualcosa che è esploso sull’autobus che ci stava portando ad Oswiecim... vedevo il campo dopo ogni curva, dietro ogni collina e quando finalmente lo si è visto in lontananza l’emozione e l’angoscia hanno preso il sopravvento… Sentimenti che però hanno ben presto lasciato spazio alla meraviglia che provavo di fronte alla perfetta organizzazione dei campi... dove nulla era lasciato al caso... tutto era già deciso, predisposto… all’incre-dulità delle storie che sentivo... storie dove esseri umani non provavano nessun sentimento nell’uccidere uomini, donne e bambini... ad utilizzarli per i loro esperimenti… a sfruttarli anche dopo morti... Ma queste sono cose che si conoscono senza aver bisogno di visitare i campi di concentramento... se qualcuno mi chiedesse cosa mi ha colpito dei due campi risponderei: la tranquillità e la perfezione di Auschwitz I e la vuota immensità di Birkenau... il freddo e il vento… la paura e la rabbia…

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In treno con Carlo Lucarelli

Elisa Adragna, Liceo Sigonio Da grande voglio fare la criminologa. Intanto di-voro libri gialli e neri, m’incanto davanti alla TV che indaga sui grandi misteri, saccheggio le rivi-ste scientifiche che trattano – sia pur di striscio – di investigazioni scientifiche e medicina legale. Potete dunque comprendere la debordante eccita-zione che mi ha colpito quando ho saputo che a condividere con noi l’intensa esperienza del Tre-no per Auschwitz c’era anche Carlo Lucarelli. Carlo Lucarelli è il nostro più grande autore di noir, ma se la cava egregiamente anche nelle sue energiche incursioni nei campi del giallo puro, dell'horror, del poliziesco storico… All'attività di fine narratore, affianca quella di conduttore televisivo (Blu notte, Rai Tre), gior-nalista, commediografo, sceneggiatore di fumetti e videoclip, autore di storie per ragazzi, docente di scrittura creativa… Nei giorni della nostra avventura in Polonia non ho quindi perso occasione per avvicinarmi al mio idolo: l’ho osservato, spiato… Ho ascoltato tutte le sue conferenze… L’ho persino fotografato… E alla fine, grazie alla complicità dei miei insegnanti e della splendida organizzazione, sono riuscita addi-rittura ad intervistarlo. Il colloquio è avvenuto nella pacata atmosfera dello scompartimento n° 101, mentre il treno con il suo lento incedere al ritmo di blues offriva la colonna sonora ideale alla quieta chiacchierata. Qual è l’incubo ricorrente della sua infanzia? Ne avevo uno, da piccolino, che poi ho utilizzato per un racconto. Mi perdevo da qualche parte e poi cercavo di raggiungere quello che dovevo rag-giungere e mi ritrovavo sempre all’ultimo piano. Con una scala che andava giù. Io allora andavo giù con la sensazione che prima o poi avrei incon-trato qualcosa, o qualcuno. Nella mia immagina-zione era quasi sempre una specie di vecchia ve-stita di nero con una specie di scialle sulla testa… Ed ha mai incontrato la vecchia? No, l’incubo finiva sempre prima. Chissà cosa c’e-ra dopo… Ha detto che l’incubo ha ispirato un suo rac-conto, quale? A dir la verità questo sogno ha ispirato vari miei racconti, in particolare: L’uomo che uccideva i sogni. Attualmente le capita di subire l’incursione di qualche incubo? No, no.. ultimamente non ho incubi ricorrenti.

Provi a delineare con pochi termini il suo profilo di studente. Ero uno studente senza infamia e senza lode… uno nella media, che prendeva mediamente set-te, tranne in italiano dove andavo piuttosto bene. Era un discolo, un ribelle? No, no… ero uno studente tranquillo. Allora non ha mai desiderato assassinare un suo insegnante! No… Però mi è successo un episodio gustoso. Nel-la nostra scuola c’era un’insegnante di un’altra sezione che veniva spesso a farci delle supplenze. Era molto dura, vessatoria, antipatica… E un bel giorno ci siamo ritrovati a ruolo invertiti: io ero l’insegnante – si trattava di un corso di scrittura creativa - e lei era l’alunna… Non è successo nulla di particolarmente eclatante, ma è stata una bella soddisfazione… Con chi andrebbe volentieri a cena fra i suoi colleghi scrittori, vivi o defunti? Di colleghi vivi non ne cito, perché in effetti mi capita spesso di andare a cena con loro. La comu-nità degli scrittori, adesso, è piuttosto viva… An-che perché ci sono eventi meritori – come il Festi-val della Letteratura di Mantova – che ti permet-tono un sacco di incontri, anche conviviali. E quindi, fra vivi, ci conosciamo più o meno tutti e ci si trova volentieri anche a cena. Se potessi andare a cena con un collega defunto, inviterei volentieri Giorgio Scerbanenco, uno scrit-tore di gialli e non solo. Mi intriga molto il suo modo di vedere la realtà, e avrei proprio tante curiosità, tante domande da fargli. Sì, con Giorgio sarebbe proprio un bell’incontro.

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Quali sono i tre libri che l’hanno intrigata di più? Il primo che mi viene in mente è Il silenzio del mare di Vercors, pseudonimo resistenziale di Je-an Bruller. Una bellissima storia, dal respiro lento e sereno. Sono rimasto proprio folgorato. Anche il film di Melville, del 1947, è altrettanto affascinan-te. Il secondo libro che mi viene in mente è… Natura morta con custodia di sax di Geoff Dyer, un libro che mi ha preso soprattutto per lo stile, per come è scritto. Il terzo… beh, il terzo non può che essere Cuore di tenebra di Conrad. Nessun autore italiano? Me ne verrebbero in mente almeno cento… Però, se proprio ne devo citare uno… direi Cesare Pave-se. Ci elenca le tre cose per le quali vale la pena di non morire? Ce ne sono tante…. Comunque, per stare al gioco direi che vale la pena di non morire per sapere cosa succederà domani: mi dispiacerebbe morire oggi perché domani poi non so cosa succede. La seconda cosa è rappresentata dalle persone. Mi dispiacerebbe non poter frequentare tutte le altre persone che conosco e che potrei conoscere. La terza è… raccontare. Raccontare storie. È più credibile lei o la sua caricatura fatta da Fabio De Luigi… Devo ammettere che ogni tanto mi capita di in-contrare qualcuno che mi dice: “Ma lo sai che as-somigli tremendamente alla tua imitazione?” Quindi può essere che sia più credibile la mia ca-ricatura. In effetti devo dire che loro sono stati molto bravi a sintetizzare esattamente con alcune espressioni e con alcuni tormenentoni verbali – come PAURA!!! - il mio ruolo, lo scopo che mi prefiggo con la mia trasmissione… Un libro dei suoi al quale lei è più affeziona-to. Uno scrittore si affeziona a tutti i suoi parti creati-vi… Quello però cui sono probabilmente più lega-to – forse perché è ancora il libro più irrisolto – è Un giorno dopo l’altro. È un libro che vorrei fosse un po’ più letto e un po’ più commentato. Poi naturalmente sono affezionato a L’isola dell’-Angelo caduto, Almost Blue... Perché un lettore di S.MO.O.L. dovrebbe leg-gere un suo libro? [risata ironica] Potrei dire: perché sono belli. Non è ovviamente un problema di presunzione, ma solo perché uno crede in ciò che ha fatto. Per cui a me sono pia-ciuti e vorrei che piacessero anche agli altri. Però alla fine il motivo per cui si legge un libro – a

parte quando lo si fa per dovere, per motivi di studio – è la curiosità. Ecco: un ragazzo dovrebbe leggere un mio libro semplicemente perché lo incuriosisce. Perché legge le prime tre righe, si incuriosisce e continua a leggere… E, per finire, una domanda sull’esperienza che stiamo vivendo assieme: quali sono le sensazioni di un esperto dell’orrore quando si trova in un posto come Birkenau, che del-l’orrore è l’epicentro? Per cogliere intensamente l’orrore di un fatto co-me quello accaduto a Birkenau, occorre passare dalla fredda logica dei numeri ad un qualche par-ticolare che ti coinvolga emotivamente. Ed anche per un giallista, per un esperto dell’orrore, ci sono sempre sensazioni nuove, emozioni che non hai previsto e che ti colpiscono. La prima volta che sono andato a Birkenau, ad esempio, è stato duro, commovente e sconvol-gente vedere la nebbia. La nebbia mi impediva di intravedere o comunque di intuire – non li avrei visti comunque perché sono lontani - i confini del campo. E così ho avuto la netta percezione di es-sere capitato in un luogo che non finiva più. Di essere capitato dentro un lager infinito. E allora mi è venuto in mente che magari chi è stato de-portato lì – ovviamente in una condizione ben diversa dalla mia - ha fatto lo stesso pensiero. Probabilmente ho provato un po’ del suo sgomen-to. Quest’anno l’emozione più forte l’ho provata da-vanti alla teca che custodisce gli abiti dei bambini. Naturalmente li avevo già visti anche durante l’al-tra visita, ma li avevo in qualche modo archiviati nella mente come uno dei tanti documenti che comunque mi aspettavo di vedere. Nel frattempo, però, ad una mia carissima amica sono nati due gemelli, che adesso hanno sei mesi. E io sono andato un paio di volte nei negozi per bambini a comprare dei vestitini. Vestitini molto simili a quelli custoditi nelle teche di Birkenau. E allora l’emozione è stata forte, dirompente. Perché quei vestitini facevano leva sulla mia esperienza per-sonale. È la miccia dell’emozione che ci fa andare oltre la freddezza dei numeri e dei documenti, e ci fa ve-dere la grande storia come una storia di persone che sono come noi e che come noi possono soffri-re. Rivivere attraverso le parole di Lucarelli la deva-stante visita a Birkenau ha raffreddato per un lungo attimo l’ovattata accoglienza di quello scompartimento. Ed anche il blues suonato dal-l’incedere sincopato del treno si è fatto improvvi-samente più amaro e struggente. Ci siamo salutati, con altri sorrisi ed altre strette di mano ed il calore complice di chi ha condiviso l’emozione di un’esperienza estrema.

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4 passi col ministro

Benedetta Donati, Liceo San Carlo Quando il primo giorno di viaggio ho accettato di far parte della delegazione di studenti che avreb-be visitato Birkenau con il ministro dell’istruzione Fioroni, pensavo che avremmo svolto un ruolo semplicemente rappresentativo, al fine di dare un aspetto più eterogeneo a quella che altrimenti sarebbe stata una delegazione di soli adulti in un viaggio organizzato per le scuole. Ma andiamo con ordine. Il ministro Fioroni è giunto a Cracovia la se-ra del 27 gennaio e ci ha raggiunto al cinema Kiev dove ha tenuto un discorso nel quale ha ri-badito l’importanza del ruolo della scuola nel for-mare cittadini attenti e vigili, anche nella quoti-dianità, ai segnali di violenza nella nostra società, richiamando in particolare la nostra attenzione sui recenti fatti di bullismo. Il giorno successivo di buon mattino, e, per l’oc-casione, con meno ritardo del solito, noi, i “ventisette del ministro”, abbiamo preso il pul-lman 14 e ci siamo recati a Birkenau per la visita del campo. L’impatto è stato fortissimo. Birkenau è qual-cosa di indescrivibile, tanto vasto da non riuscire a indovinarne i confini e così desolato da mandare in confusione l’occhio che non riesce più a distin-guere dove finisca la terra e cominci il cielo. Tutto è attutito dal rumore del vento e dalla neve, sem-bra che la natura stessa voglia coprire gli orrori passati. Il momento più toccante della mattinata è stato però quello della deposizione dei “sassi della memoria” - donati dagli alunni della scuola e-braica di Roma “Primo Levi” - ai piedi del monu-mento commemorativo, accompagnata dal suono del corno rituale e da una preghiera ebraica. Al termine della cerimonia la delegazione si è di-retta al campo di Auschwitz I che il ministro non aveva ancora visitato. Durante il tragitto l’or-ganizzazione mi ha comunicato che avrei potuto fare qualche domanda al ministro. Inizialmente ero un po’ emozionata: in fondo non capita tutti i giorni di intervistare il ministro dell’i-struzione. Ma l’atmosfera abbastanza informale che si respirava mi ha fatto sentire più a mio a-gio. Per prima cosa ho chiesto al ministro come mai tra tutti gli studenti che quest’anno si sono

recati ad Auschwitz aveva scelto di condividere quest’esperienza proprio con noi della provincia di Modena. Ha risposto dicendo che la scelta è rica-duta naturalmente su quelli che da più lungo tem-po portavano avanti questa “tradizione” con la volontà non solo di ricordare, ma anche di testi-moniare. La seconda domanda - più personale - riguar-dava le emozioni che un posto come Birkenau ha suscitato in lui. Il ministro ha detto che nessuno che entri a Birkenau ne esce uguale a prima: l’in-contro diretto con questi orrori, ben diverso dalla visita di un museo o dalla visione di un film, cam-bia profondamente l’individuo e il suo modo di concepire il rispetto della persona e dei suoi diritti e questa secondo lui è la più grande emozione. Non posso che concordare con il ministro. Non dimenticherò mai le emozioni provate nell’infinito campo della follia umana. Birkenau mi ha reso una persona diversa: più adulta, più consape-vole, pronta non solo a ricordare, ma anche a testimoniare. Ed anche la maratona con il Ministro è stata posi-tiva: anche grazie a questa piccola intervista, non mi sono sentita lì solo per una mera questione di immagine.

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Ricordi… ed inquiete risate

Federica Sorato, Liceo San Carlo Cracovia- venerdì 26 gennaio 2007 Dopo 24 ore di treno ed una breve sosta in hotel per la cena, ci rechiamo al teatro Kiev per assi-stere alla conferenza di Sarah Kaminski. L’evento è stato emozionante, intenso ed interessante… a parte uno spiacevole episodio che in un tale con-testo non avrei mai neanche potuto immaginare. Sarah Kaminski, ebrea di origine polacca, ha parlato dell’esperienza vissuta in campo di concentramento dai suoi amici e parenti durante la Seconda Guerra Mondiale, divagando di tanto in tanto per raccontare cosa succedeva anche al di fuori del suo microcosmo in quel particolare momento storico. Accanto a lei era presente Pieralberto Mar-chè che recitava le poesie che Sarah Kaminski aveva scelto per rendere più coinvolgente e com-prensibile ciò di cui stava trattando. A pochi minuti dall’inizio, proprio mentre l’attore recitava una delle prime poesie, i ragazzi delle ultime file danno il via ad una catena di risa-tine. Non so ancora cosa abbia spinto questi ra-gazzi a comportarsi in questo modo: un professo-re ha cercato di giustificarli dicendo che probabil-mente non erano stati sufficientemente informati sull’argomento; un’altra ragazza ha, invece, affer-mato sicura che era solo una questione di ri-spetto e che questi ragazzi non ne avevano avu-to. Io, personalmente, condivido molto di più la se-conda teoria, perché la Shoah è un argomento sempre vivo e non bisogna avere chissà quale laurea per sapere cos’è successo, per sapere quanti milioni di persone hanno perso la vita da un giorno all’altro senza un motivo. Credo che solo tra film, documentari, libri e scuo-la l’argomento sia stato trattato da ogni punto di vista e che sia impossibile essere totalmente e-stranei a tutto ciò. Sì. Impossibile. Anche se c’è chi dice che non lo crede. In ogni modo, uomini, donne e bambini, come voi che ora state leggendo questo articolo, hanno perso tutto, vita, dignità, amori… Per sapere questo non è necessario averlo vissuto in prima persona o essere storici im-portanti, è sufficiente solo un minimo di interesse e di rispetto per chi ha avuto la sfortuna di vivere questi momenti terribili e per chi, adesso, fa tutto quello che è in suo potere per far conoscere e per

far sì che genocidio, shoah, razzismo, discrimina-zione e sopraffazione diventino vocaboli legati ad un buio periodo di storia antica. Ma se tutti puntano sui giovani, che sono il futu-ro, e i giovani di fronte ad una tale opportunità non riescono la cogliere la grandezza dell’evento, siamo poi davvero sicuri che tutto ciò non si ripe-ta? Magari questi ragazzi stavano ridendo per una battuta fatta dal “simpaticone” del gruppo e non per la recitazione dell’attore. Ma allora cosa li spinge a non voler dedicare pochi momenti della propria vita ad un evento per il quale si spendono tante belle parole? Sono convinta che ci sia un’indifferenza ser-peggiante, un falso interesse non veramente sentito, che manchi un vero coinvolgimento emo-tivo. Ma perché? Forse perché il dolore è stempe-rato dal passare del tempo? O perché, come per la Guerra dei cent’anni e per la Peste del ‘600, con il tempo ne è rimasto solo un capitolo dei libri di storia per la stragrande maggioranza di noi? Ma gli orrori del nazismo sono ancora così vicini a noi, e il campo minato della nostra storia contemporanea ha ancora tanto bisogno che gli uomini di domani siano sinceri portavoce di quegli ideali di uguaglianza e fratellanza che, tra l’altro, sono concetti comuni in tutte le religioni e socie-tà, almeno quelle di mia conoscenza.

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Mai più

I ragazzi dell’I.S.S. “G. Galilei” Dal 25 al 30 gennaio 630 studenti della provincia di Modena hanno partecipato all’iniziativa “Un Treno per Auschwitz 2007”. 24 i rappresentanti dell’I. S. G. Galilei di Mirandola. Giovedì 25, ore 17.00, Stazione FF.SS. di Carpi Ben consapevoli della nostra destinazione, carichi di bagagli e in preda a infinite emozioni partiamo: DESTINAZIONE AUSCHWITZ! Il nostro pensiero va immediatamente a tutti co-loro che più di 60 anni fa percorsero questo stes-so tragitto, inconsapevoli del loro tragico destino. Venerdì 26 , ore 15.00, Arrivo a Cracovia Una bella doccia… una minestra calda… un morbi-do letto… Ecco quello che desideriamo di più al termine di questo lungo viaggio. Qualcuno sospira a mezza voce: ”E loro?” Sabato 27, Giornata della Memoria, Campo di Concentramento Auschwitz I Oltrepassiamo il cancello del campo. La scritta “Arbeit macht frei”- Il lavoro rende liberi - incom-be inquietante su di noi. I blocks dei prigionieri sono intatti: i nazisti non sono riusciti a bruciarli prima di scappare, incalzati dai Russi. Tutto come allora! Dalle pareti tappezzate di foto occhi di uo-mini, donne e bambini ci fissano intensamente, interrogandoci. Gabriele è colpito dal volto di una donna anziana che gli ricorda la propria nonna; Marika invece nota negli sguardi dei bambini la mancanza della felicità tipica dell’infanzia. Tor-nando in albergo, riflettiamo sul duplice significa-

to della scritta posta all’inizio del campo: in che senso “Il lavoro rende liberi”? Ma soprattutto che significato assumeva la parola libertà? Domenica 28, Campo di Sterminio Auschwitz II - Birkenau Binari innevati attraversano il campo. Invano ci sforziamo di vederne la fine. Su questa banchina, proprio dove ora ascoltiamo le parole della nostra guida polacca, milioni di persone hanno affrontato la selezione: madri e figli, mogli e mariti,… intere famiglie sono state separate per sempre. Ci stringiamo più vicini gli uni agli altri. Sotto una fitta nevicata che attutisce ogni voce, con la fiac-cola accesa in mano rendiamo omaggio alle vitti-me dell’intolleranza e della discriminazione razzia-le. Il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fio-roni, che ci ha raggiunto insieme al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, ci invita ad essere vigilanti affinché questo orrore non si ripeta: “Lasciate il mondo migliore di come l’avete trova-to!”. Lunedì 29, Cracovia, quartiere ebraico Di 70.000 ebrei che vivevano qui, ora ne riman-gono solo un centinaio. La guida ci indica dove il regista Spielberg ha girato le scene della deporta-zione dal ghetto del suo film “Schindler’s List”. Film e libri sono importanti per conoscere il pas-sato, ma questo viaggio è altro: vediamo coi no-stri occhi, tocchiamo con mano, respiriamo la “stessa” aria! Martedì 30, carrozza 701, destinazione Carpi Avvicinandoci al termine del viaggio si continua a riflettere su ciò che abbiamo visto: ordinate file di baracche, strumenti di morte efficienti ed econo-mici, dati anagrafici ordinatamente schedati. Mi-

chele ripensando a Birkenau non riesce ad accettare che questa meticolosa organizza-zione sia stata concepita per lo sterminio di milioni di persone. Ma del resto, come scrisse Pri-mo Levi, “Se comprendere è impossibile, conoscere è neces-sario”. A partire dal nostro piccolo è chiaro che dobbiamo impegnar-ci per costruire una realtà più giusta. Di fronte alla violenza e all’odio è facile girare lo sguar-do per non vedere. Ma se l’in-differenza è oggi il pericolo più grave, per noi che torniamo da questo viaggio è un dovere morale assumerci le nostre re-sponsabilità nell’affermare sempre e comunque il valore della dignità di ogni uomo.

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Abbiamo visto...

Valentina Panini, I.I.S. Meucci Giovedì 25 Gennaio insieme a due mie compa-gne di classe e ad altri studenti delle scuole supe-riori della provincia di Modena siamo partiti per la Polonia: meta del viaggio Auschwitz e Cracovia. Ero agitata, e consapevole che il viaggio sarebbe stato un’esperienza molto forte e unica perché avremmo ripercorso il tragitto originale affrontato dai deportati e dagli internati del campo di Fosso-li. Una volta saliti sul treno, la tensione si è un po’ allentata perché molti studenti sono tornati alla “normalità” scherzando tra di loro e parlando del più e del meno. Per me non è stato cosi perché pensavo a quello che avrei potuto vedere e ne avevo un po’ timore. Oggi nell’Europa unita non ci sono più confi-ni, ma quando siamo arrivati al Brennero ho pen-sato alle parole di Primo Levi che, con profonda nostalgia, faceva notare che quel treno si stava allontanando dall’Italia, e non sapeva di potervi ritornare, e cosi è stato per le altre frontiere. Arrivati a Cracovia abbiamo raggiunto l’hotel e ci siamo sistemati. La mattina dopo ci aspettava la visita ad Auschwitz: è impossibile per me descri-vere lo stato d’animo che ho provato appena sia-mo arrivati: vedere tutti questi blocchi, e sapere che lì, proprio dov’ero io, 60 anni fa sono state massacrate migliaia di persone. Per me è stato sconvolgente il solo pensiero di cosa potesse aver rappresentato quel luogo per tanta gente... Abbiamo visitato diversi blocchi, abbiamo visto i dormitori in cui stavano ammassati i prigionieri, la camere a gas dove i prigionieri venivano gettati a migliaia, i forni crematori… La cosa che più mi ha colpito e che mi ha fatto davvero riflettere è stato vedere le cose concrete; gli oggetti personali dei prigionieri; enormi muc-chi di occhiali, i vestiti, le scarpe, le pentole, gambe di legno, lacci, cinture elastiche, 2 tonnel-late di capelli... per non parlare dei filmati, delle fotografie, delle testimonianze dei sopravvissuti… Vedere tutto questo mi ha davvero fatto riflettere. Il giorno seguente invece siamo andati a visitare Auschwitz II (o Birkenau). Questo campo è alme-no 3 volte più grande di Auschwitz I, più di 300 baracche, segno di tanta crudeltà e violenza. An-che questo campo mi ha davvero impressionato, forse più di Auschwitz I: vedere questa distesa di baracche marroni mi ha trasmesso angoscia e tanta tristezza. Nel primo pomeriggio abbiamo fatto la fiaccolata sui binari di Birkenau. Per me questo gesto ha avuto un significato notevole, per qualcuno invece può sembrare solo una camminata lungo semplici binari, ma per me non è stato cosi... per me è

stato rappresentativo camminare lungo quei bina-ri, proprio su quei binari, dove arrivavano i “treni del terrore” che trasportavano quella povera gen-te che non aveva la certezza di tornare indietro sana e salva. Le nostre visite ai campi erano terminate, ma dentro di me qualcosa era cambiato, non ci sono parole adatte per descrivere questo viaggio, ma sono solo in grado di dire che per quanto sia stato duro e triste visitare quei luoghi, sono stata con-tenta di averlo affrontato. Essere proprio lì, in quel luogo del quale prima sentivo parlare solo attraverso libri, giornali e televisione, mi ha dav-vero cambiata in qualche modo. Mi ha arricchito. Mi sono chiesta se tutti i ragazzi che hanno par-tecipato a questo viaggio con me si siano resi conto fino in fondo di quello che stavamo facen-do. E non so se tutti l’hanno capito. Per alcuni di noi sicuramente è stato un viaggio in più. Nient’-altro. Non so se una volta usciti da quei campi di concentramento si siano sentiti angosciati, rifles-sivi, dubbiosi. Non so a quanti di noi è venuta voglia di urlare, e far sentire a tutto il mondo quanto ci ha fatto star male essere lì e toccare con mano quanto l’uomo può non essere più de-gno di portare questo nome. Spero, perchè posso solo sperare, che in tutti gli altri ragazzi si sia formata questa coscienza. Perché non accada MAI PIU’! Si fanno docu-mentari, film, iniziative, minuti di silenzio... ma perché non accada più davvero bisogna ritrovare umanità e sensibilità che forse, a volte qualcuno perde di vista.

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FESSURE FESSURE Macerie, Fessure di Respiri tagli nella pelle Un dubbio fuori luce o buio? (Jessica Bonacci - IIS Formiggini) TERRA GELIDA Oggi ho sentito un canto d’inverno Auschwitz Oceano di pantano Crateri riempiti di ossa e ciglia di ghiaccio Campi di concentramento Vorrei scavare la terra gelida, con le mie mani nude per sentire, toccare, fare mia la pena. Provare a sentire Deve pure servire a qualcosa (Alice Cabri - IIS Formiggini)

Numeri Un numero, Solo un numero, La vita perde. Lacrime di Sole, Di bambini e bambine Che contano i numeri per vivere, La vita perde. Sogni, speranze, negati; La vita perde. Un oceano Di fiori imputriditi Di barattoli vuoti La vita perde (Francesca Libertini - IIS Formiggini)

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Redazione: Agati Mario, Astarita Claudia, Casagrande Gabriele, Cingi Giada, De Villaris Maria Elena, D'Elia Giulia, Gazzoletti Eugenia, Lazzaretti Milena, Luppi Giacomo, Pelligra Valerio, Petracca Linda, Raimondi Sara, Sacchetti Caterina, Tomasina Matteo, Visconti Giacomo

Immagini: Mario Agati (pp. 1-8; 12-20) e Silvia Serafini (pp. 9-11). Tutte le fotografie sono state rea-lizzate durante il viaggio. I volti riprodotti nelle pp. 5 e 12 derivano da istantanee di fotografie esposte a Birkenau (l’immagine di p. 5 è stata poi sottoposta ad un fotomontaggio).