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480 11 Sindrome metabolica, iperglicemia e diabete di tipo 2 LIONEL H. OPIE • JURIS MEIER Questo Capitolo inizia con la prevenzione dell’obesità e della sin- drome metabolica, che sono i precursori del diabete di tipo 2 concla- mato. Ne consegue che verrà trattata la gestione complessiva del dia- bete e dei farmaci per il controllo della glicemia, prima di porre l’accento sulle incretine, trattate in modo dettagliato. Seguono poi nuove sezioni sui nuovi farmaci come la bromocriptina e gli inibitori del cotrasporto renale sodio-glucosio. Il Capitolo si chiude infine sotto- lineando la necessità di un intervento multifattoriale. L’obesità è diventata un problema comune nella società occiden- tale ed è un fattore predittivo molto significativo del diabete di tipo 2. 2 Negli Stati Uniti si stima che almeno un terzo della popolazione è a ri- schio di diabete per tutta la durata della propria vita (si calcola che il 9,2% della popolazione italiana abbia difficoltà a mantenere sotto con- trollo la glicemia. Nel 2030 si prevede che le persone diagnosticate con diabete saranno 5 milioni; N.d.C.). Il diabete, a sua volta, predispone ad anomalie cardiovascolari, al punto che i soggetti diabetici senza malat- tie coronariche note (CHD) hanno la stessa prognosi dei soggetti non diabetici ma con diagnosi di malattia coronarica. 3 L’aumento del giro- vita è uno dei cinque criteri di definizione della sindrome metabolica (MetSyn), in aggiunta all’iperglicemia a digiuno, all’aumento della pres- sione arteriosa (PA) e dei trigliceridi circolanti e a una riduzione del colesterolo HDL (lipoproteine ad alta densità). 4 Per formulare la dia- gnosi di sindrome metabolica è necessario che tre di questi fattori siano presenti nel quadro clinico (Fig. 11-1; Tabella 11-1). 5,6 I tre fattori principali correlati al rischio metabolico di malattie cardiovascolari sono l’indice di massa corporea (IMC), la circonferenza addominale, l’insulino-resistenza (IR) con la sua risposta. 7 Tuttavia, la circonferenza del girovita, piuttosto che l’obesità rilevata dall’IMC, è il migliore fattore predittivo del rischio di infarto del miocardio (IM). 8 Il tessuto adiposo addominale è attualmente riconosciuto come un organo metabolicamente attivo ed è considerato come l’anomalia di base della sindrome metabolica dalla International Diabetes Federation. 6 Vi sono stretti collegamenti tra il grasso addominale in eccesso, la circola- zione di acidi grassi liberi (FFA) e le citochine che, ipoteticamente, condu- “L’obiettivo di molti medici che gestiscono il diabete è il raggiungimento di un controllo accurato del livello del glucosio, insieme alla perdita di peso e a un numero di episodi di ipoglicemia che sia il più ridotto possibile.” Bergenstal, Lancet, 2010 1

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11Sindrome metabolica,

iperglicemia e diabete di tipo 2

LIONEL H. OPIE • JURIS MEIER

Questo Capitolo inizia con la prevenzione dell’obesità e della sin-drome metabolica, che sono i precursori del diabete di tipo 2 concla-mato. Ne consegue che verrà trattata la gestione complessiva del dia-bete e dei farmaci per il controllo della glicemia, prima di porre l’accento sulle incretine, trattate in modo dettagliato. Seguono poi nuove sezioni sui nuovi farmaci come la bromocriptina e gli inibitori del cotrasporto renale sodio-glucosio. Il Capitolo si chiude infine sotto-lineando la necessità di un intervento multifattoriale.

L’obesità è diventata un problema comune nella società occiden-tale ed è un fattore predittivo molto significativo del diabete di tipo 2.2 Negli Stati Uniti si stima che almeno un terzo della popolazione è a ri-schio di diabete per tutta la durata della propria vita (si calcola che il 9,2% della popolazione italiana abbia difficoltà a mantenere sotto con-trollo la glicemia. Nel 2030 si prevede che le persone diagnosticate con diabete saranno 5 milioni; N.d.C.). Il diabete, a sua volta, predispone ad anomalie cardiovascolari, al punto che i soggetti diabetici senza malat-tie coronariche note (CHD) hanno la stessa prognosi dei soggetti non diabetici ma con diagnosi di malattia coronarica.3 L’aumento del giro-vita è uno dei cinque criteri di definizione della sindrome metabolica (MetSyn), in aggiunta all’iperglicemia a digiuno, all’aumento della pres-sione arteriosa (PA) e dei trigliceridi circolanti e a una riduzione del colesterolo HDL (lipoproteine ad alta densità).4 Per formulare la dia-gnosi di sindrome metabolica è necessario che tre di questi fattori siano presenti nel quadro clinico (Fig. 11-1; Tabella 11-1).5,6 I tre fattori principali correlati al rischio metabolico di malattie cardiovascolari sono l’indice di massa corporea (IMC), la circonferenza addominale, l’insulino-resistenza (IR) con la sua risposta.7 Tuttavia, la circonferenza del girovita, piuttosto che l’obesità rilevata dall’IMC, è il migliore fattore predittivo del rischio di infarto del miocardio (IM).8

Il tessuto adiposo addominale è attualmente riconosciuto come un organo metabolicamente attivo ed è considerato come l’anomalia di base della sindrome metabolica dalla International Diabetes Federation.6 Vi sono stretti collegamenti tra il grasso addominale in eccesso, la circola-zione di acidi grassi liberi (FFA) e le citochine che, ipoteticamente, condu-

“L’obiettivo di molti medici che gestiscono il diabete è il raggiungimento

di un controllo accurato del livello del glucosio, insieme alla perdita di peso

e a un numero di episodi di ipoglicemia che sia il più ridotto possibile.”

Bergenstal, Lancet, 20101

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SINDROME METABOLICA

HDL g40M 50 W 1,0M 1,3F

TG >150 mg/dL1,7 mmol/L

2

3

Citochine A-II

Opie 2012

vasocostrizione

Pancreas

Muscolo

Insulino

resistenza

FegatoFFAglucosio h

glucosio

FFA

Obesità addominale

PA > 130 85

FPG >100 mg%5,6 mmol/L

4

5

1

h

Figura 11-1 Ipotetica sequenza di eventi che portano da un’eccessiva adiposità addominale alle cinque caratteristiche della sindrome metabolica, di cui tre sono necessarie per la diagnosi. Il tessuto adiposo rilascia gli acidi grassi liberi (FFA) nella circolazione e inibisce l’assorbimento del glucosio da parte del muscolo. Il glucosio nel sangue aumenta e stimola una risposta insulinica. Tuttavia, il pancreas viene danneggiato dagli elevati livelli di FFA e dall’aumento delle citochine. L’effetto netto è un aumento della concentra-zione di glucosio a digiuno (FPG) malgrado l’aumento dell’insulina in circolo (insulino-resistenza). L’aumento degli FFA e del glucosio plasmatici predispon-gono a un aumento della sintesi epatica dei triglicerici (TG) e dei livelli dei TG stessi nel plasma, che a loro volta diminuiscono i livelli del colesterolo dati dalle lipoproteine ad alta densità (HDL). Un aumento del rilascio dell’angio-tensina II (A-II) a causa del grasso addominale provoca una vasocostrizione e aumenta la pressione arteriosa (PA). Per dettagli, si veda Opie LH. Metabolic syndrome, Circulation 2007;115:e32. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

Tabella 11-1

Diagnosi clinica di sindrome metabolica

Fattore di rischio Livello di definizione Livello, unità metriche

Obesità addominale; girovita Uomini .40 poll. .102 cm

Donne .40 poll. .88 cmTrigliceridi $35 poll. $1,7 mmol/LColesterolo HDL $150 mg/dL Uomini , 40 mg/dL ,1,03 mmol/L

Donne 50 mg/dL, ,1,3 mmol/LGlucosio a digiuno $100 mg/dL $5,6 mmol/LPressione sanguigna $130/85 mmHg $130/85 mmHg

HDL, lipoproteine ad alta densità.Per i soggetti già in terapia si veda la Tabella 2 della dichiarazione di AHA/NHLBI.5 Si notino le importanti variazioni etniche e gli standard inferiori relativi al girovita della International Diabetes Federation.6

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cono agli altri quattro aspetti della sindrome metabolica e potrebbero spiegare l’insulino-resistenza (IR).9 Tuttavia, il legame tra il grasso viscerale addominale e l’insulino-resistenza viene messo in discussione e si preferi-sce dare la colpa al grasso sottocutaneo, specialmente quello localizzato nella parte superiore del corpo.10 La sindrome metabolica è di importanza clinica poiché aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e special-mente del diabete di tipo 2.11 Attualmente, un numero crescente di pa-zienti affetti da obesità da sindrome metabolica o diabete di tipo 2 viene trattato dai cardiologi, in stretta collaborazione con i diabetologi.

Rischi della sindrome metabolica. La sindrome metabolica com-prende un gruppo di fattori di rischio cardiovascolare, ciascuno dei quali individualmente può avere un’importanza limitata ma, se com-presenti, indicano un aumento del rischio di sviluppare il diabete conclamato o le malattie cardiovascolari. Le autorità del settore hanno discusso sul valore predittivo della sindrome metabolica per il futuro sviluppo del diabete e sottolineano il ruolo di solo uno dei cinque componenti (il glucosio; Fig. 11-2).12 Altri invece enfatizzano il valore predittivo di due elementi della sindrome metabolica: modesti aumenti del glucosio e pressione sanguigna, responsabili per lo più dell’au-mento del rischio cardiovascolare del 71%, come è emerso in uno stu-dio.13 Per i cardiologi, essere sempre attenti al raggruppamento dei fat-tori di rischio, inclusi obesità addominale, trigliceridi elevati, basso colesterolo HDL, pre-ipertensione e l’iperglicemia, è un importante modo per ampliare la loro visione del problema.5 Il rischio di svilup-pare futuri problemi cardiovascolari è proporzionale al numero dei fattori della sindrome metabolica coinvolti.14 Con quattro o cinque fattori, il rischio di diabete risultava ben 25 volte superiore rispetto alla

130 gfiltrati al giorno

Glucosio

dotto collettoredotto collettore

Primo segmento del tubulo prossimale

Riassorbimento

Segmento distale del tubulo prossimale Nessuna presenza

di glucosio

In condizioni normali, praticamente tutto il glucosio che viene filtrato dai glomeruli viene riassorbito e non è presente nelle urine

SGLT2

SGLT1

circa il 90% del glucosio

circa il 10%

NORMALE FILTRAZIONE RENALE DEL GLUCOSIOOpie 2012

Figura 11-2 Normale filtrazione renale del glucosio. In condizioni normali, praticamente tutto il glucosio che viene filtrato dai glomeruli viene riassorbito, soprattutto nel primo segmento del tubulo prossimale mediante il trasporta-tore sodio-glucosio SGLT2 (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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totale assenza di questi elementi e ancora superiore in presenza di uno solo di essi.15 In un’analisi di 172.573 persone nel corso di 37 studi, la sindrome metabolica è risultata avere un rischio relativo di 1,78 per futuri eventi cardiovascolari; tale associazione permaneva anche dopo la regolazione dei fattori di rischio cardiovascolare tradizionali (rischio relativo [RR], 1,54; intervallo di confidenza [IC], 1,32-1,79).16 Lo studio International Day for Evaluation of Abdominal Obesity ha misurato il girovita di 168.000 pazienti del Pronto Soccorso a livello mondiale, allo scopo di confermare un’associazione tra circonferenza vita e malattia cardiovascolare (RR 1,36) e anche maggiore con il diabete (RR 1,59 negli uomini e 1,83 nelle donne).11

Resistenza all’insulina. La resistenza all’insulina porta alla sindrome metabolica7 e a un aumento degli FFA in circolo e della glicemia (si veda la Fig. 11-1), oltre a una produzione elevata di glucosio da parte del fegato, tutti questi elementi sono i precursori del diabete mellito di tipo 2 (T2DM).17 Esiste un effetto dose-risposta per gli FFA elevati nel plasma sulla base della segnalazione dell’insulina.9 I percorsi dietetici dell’insulino-resistenza sono stati studiati in più di 7000 giovani fin-nici.18 Sono stati rilevati precisi indizi metabolici in circolo, ossia un aumento degli aminoacidi aromatici e della catena ramificata, interme-diari della glucogenesi, corpi chetonici e anomalie degli acidi grassi per ciò che concerne composizione e saturazione. Prese insieme que-ste 20 misure dei metaboliti sono risultate fortemente associate con il modello omeostatico dell’insulino-resistenza (p , 0,0005). Ne conse-gue che anche l’alimentazione dei primi anni di vita già predispone all’insulino-resistenza.

Quando entra in gioco l’obesità? I soggetti obesi hanno livelli ele-vati di FFA nel sangue, cosa che, anche per piccoli aumenti, inibisce la segnalazione dell’insulina9 e stimola il fattore nucleare Kappa B (NFkB) a promuovere l’IR (Fig. 1 in Kim, 2012).19 Il fattore NFkB, a sua volta, stimola i macrofagi a provocare una risposta infiammatoria cro-nica di basso grado (Fig. 2 in Kim, 2012)19 con aumento del livello pla-smatico della proteina C reattiva, delle citochine infiammatorie come il fattore di necrosi tumorale - α (TNFα), l’interleuchina (IL) 6, la proteina chemiotattica dei monociti (MCP) 1, l’IL-8, e le proteine multifunzio- nali chiamate leptina e osteopontina.17 I macrofagi nel tessuto adiposo umano sono i principali ma non gli unici responsabili di questi media-tori infiammatori che stimolano l’IR in più organi.19 Le cellule micro-glie dell’ipotalamo sono macrofage e anch’esse vengono attivate da segnali proinfiammatori che provocano la produzione locale di inter-leuchine e citochine specifiche. La dieta “occidentale” ad elevato con-tenuto di grassi, a livello sperimentale, migliora e aumenta la produ-zione di citochine, mentre l’esercizio fisico la diminuisce.20 La se-quenza complessiva è la seguente:

Obesità → livelli elevati di FFA → NF k B → macrofagi →citochine infiammatorie → resistenza all’insulina

Un semplice attacco terapeutico contro la risposta infiammatoria consisterebbe in un uso elevato di ASA con dosaggi assolutamente non pratici (circa 7 g/die).21

Dalla sindrome metabolica al diabete conclamato e alla malattia cardiovascolareModifiche dello stile di vita per rallentare la comparsa del dia-bete. La transizione dalla sindrome metabolica al diabete vero e pro-prio può essere notevolmente rallentata dall’intervento sullo stile di vita. Ne consegue che camminare per circa 19 km a settimana può portare dei benefici per il trattamento della sindrome metabolica.22 Tuttavia,

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sono necessari interventi più decisi per un reale cambiamento. Tuomile-hto et al.23 hanno studiato un gruppo di soggetti sovrappeso con ridotta tolleranza al glucosio che, mediamente, presentava anche le caratteri-stiche della sindrome metabolica. Ai partecipanti nello studio è stato fornito un piano dietetico e di esercizio fisico individuale. I cinque scopi da perseguire erano: la riduzione del peso, la diminuzione dell’assunzione di grassi, la diminuzione dell’assunzione di grassi sa-turi, l’aumento dell’apporto di fibre e una maggiore durata dell’eserci-zio fisico (almeno 30 minuti al giorno). Di questi 5 obiettivi, l’aumento dell’esercizio fisico è stato ottenuto per l’86% dei partecipanti e per gli altri con minore frequenza. Dopo una durata media di 3,2 anni, il ri-schio relativo di nuovo diabete per il gruppo di intervento sullo stile di vita risultava essere 0,4 (p , 0,001). Nello studio Diabetes Prevention Group24 a soggetti simili era stata assegnata una modifica dello stile di vita o la metformina per una media di 2,8 anni. L’intervento sullo stile di vita era stato molto intenso con un corso di 16 lezioni volto a modi-ficare la dieta, l’esercizio fisico e le modalità di comportamento, inse-gnato da appositi formatori su base uno-a-uno durante le prime 24 settimane successive all’arruolamento. L’intervento sullo stile di vita si è rivelato più efficace della metformina nel ritardare la comparsa del diabete ed entrambi sono stati più efficaci del placebo nel prevenire nuovi casi di diabete. L’esercizio fisico in questi due studi preventivi è stato intenso e non può essere prontamente ottenuto nella pratica cli-nica quotidiana. Si veda l’aggiornamento relativo alla fine prematura dello studio Look-AHEAD, nel quale non vi sono stati cambiamenti per gli esiti cardiovascolari più importanti.

Sostenibilità delle modifiche allo stile di vita. La protezione dal diabete rilevata nello studio Diabetes Prevention Group è continua? Il follow-up su 10 anni dice di no, con un’identica incidenza dei nuovi casi di diabete per il gruppo del placebo, per quello con precedente stile di vita e per il gruppo trattato con metformina. Eppure, cumulativa-mente, l’incidenza del diabete è rimasta più bassa nel gruppo che aveva lavorato sullo stile di vita. Ne consegue che la prevenzione o il ritardo della comparsa del diabete con interventi sullo stile di vita o con la metformina possono persistere per almeno 10 anni.

Perdita di peso a lungo termine indotta dalla dieta. Wadden et al. scrivono: “L’attività fisica è di importanza cruciale per la gestione del peso a lungo termine.”25 Tuttavia, la perdita di peso non è una cosa semplice. Anche in un gruppo motivato che ha ricevuto supporto di-retto per oltre 2 anni, solo il 41% ha perso il 5% o più del proprio peso da una media iniziale di 103,8 kg.26 Da un’eccellente revisione di 21 studi sulle modifiche allo stile di vita,25 solo 4 risultano essere sopra la media: un programma di sostituzione del pasto della durata di 2 anni (–10,4 kg); una dieta chetogenica a basso contenuto di carboidrati con integratori alimentari (–12,0 kg) ma solo per 6 mesi, quando la perdita di peso di solito ha un picco; una dieta in un centro Jenney Craig (–10,1 kg su 12 mesi); infine una dieta Weight Watchers con counseling individuale (–9,4 kg su 12 mesi). Tuttavia, il pattern standard era la riac-quisizione del peso perso dopo 12 mesi, lo stesso delle diete a basso contenuto di carboidrati e grassi e una minore riacquisizione del peso in coloro che praticavano esercizio fisico vigoroso (300 min o più a settimana). Sempre di più, i programmi personalizzati sono condotti elettronicamente.

Disabilità fisica negli adulti con il diabete di tipo 2. La perdita di peso potrebbe ridurre i problemi collegati alla mobilità degli adulti con diabete di tipo 2, che hanno un’elevata prevalenza di disabilità? Lo studio in corso Action for Health in Diabetes (Look AHEAD) ha arruo-lato più di 5000 soggetti sovrappeso o obesi con diabete di tipo 2 e un peso iniziale medio di 100,9 kg.27 Al quarto anno, il gruppo di inter-vento sullo stile di vita aveva avuto una riduzione relativa del 48% del

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rischio di perdita della mobilità (odds ratio [OR], 0,52; CL: 0,44-0,63; p , 0,001). Sia la perdita di peso che il miglioramento del livello di fit-ness (valutato sulla base del test sul tapis roulant) sono stati mediatori significativi di questo effetto (p , 0,001 per entrambi le variabili). Co-loro che soffrivano di maggiore disabilità all’inizio hanno avuto propor-zionalmente meno benefici. I risultati provvisori dello studio Look-AHEAD sono stati deludenti. Lo studio è stato interrotto perché non vi erano differenze rilevanti per gli endpoint cardiovascolari clinici. Per ulteriori informazioni si vedano gli appositi aggiornamenti on line.

Farmaci per la perdita di peso. Sono pochi quelli approvati e senza rischio. Attualmente l’interesse è tutto puntato sulla combinazione nal-trexone a lento rilascio (SR)/bupropione a lento rilascio (SR). Il bupro-pione ha effetti (è un antagonista dei recettori oppioidi μ e inibitore della catecolamina) che portano a una riduzione dell’assunzione calo-rica e a un aumento del consumo delle energie, laddove, invece, il nal-trexone può potenziare questi effetti. Il 2 giugno 2011, la Food and Drug Administration (FDA) ha richiesto un importante studio sul naltrexone prima della sua approvazione: inoltre, sempre la FDA aveva pianificato la creazione di un comitato consultivo per il 2012 con il compito di discutere la necessità della sicurezza cardiovascolare per tutti i farmaci antiobesità.28

La FDA ha ritirato i seguenti farmaci:28 nell’associazione fenter-mina e topiramato (PHEN/TPM), la fentermina induce il rilascio della noradrenalina a livello centrale e promuove la perdita di peso me-diante la riduzione delle quantità di cibo assunte (la fentermina non è vendibile in Italia; N.d.C.), il topiramato ha effetti complessi a livello centrale ed è approvato per il trattamento delle convulsioni e per la profilassi dell’emicrania. Tra le ragioni del rifiuto si annoveravano la depressione e le lamentele relative alle modificate capacità cognitive. Dalla lorcaserina (non disponibile in Italia; N.d.C.), nuovo farmaco se-rotoninergico approvato dalla FDA nel 2012, ci si attendeva un ridotto profilo di rischio per la valvola cardiaca rispetto ai primissimi farmaci serotoninergici, come, ad esempio, la fenfluramina. Tuttavia, nei pazienti trattati con la lorcaserina, gli effetti collaterali di natura neuropsichia-trica e cognitiva si sono verificati con circa il doppio della frequenza. La sibutramina (non disponibile in Italia; N.d.C.) ha proprietà simpato-mimetiche, poiché agisce a livello centrale per il blocco dell’assorbi-mento neuronale della noradrenalina e della serotonina e stimola i recettori β3-adrenergici a indurre il senso di sazietà seppure con un ri-marchevole aumento della pressione sistolica e diastolica e della fre-quenza cardiaca. L’8 ottobre 2010, l’FDA ha richiesto il ritiro volontario della sibutramina dal mercato statunitense, una richiesta che il produt-tore della sibutramina, Abbott, ha accolto immediatamente.

L’orlistat è disponibile senza obbligo di prescrizione negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in Australia. Il comitato di revisione dell’Agenzia europea per i medicinali EMA (13-16 febbraio 2012) ha valutato il rischio di danno epatico per i farmaci contenenti orlistat, giungendo alla conclusione che i benefici dei farmaci per la perdita di peso superano i rischi in pazienti con indice di massa corporea (IMC) superiore a 28 kg/m2.29

Chirurgia gastrica per la perdita del peso. Sebbene manchino studi sui risultati a lungo termine, la sorprendente e spesso costante perdita di peso successiva alla chirurgia di bypass gastrico sembra un modo di ridurre l’obesità ricalcitrante, per coloro che hanno fallito i programmi di perdita del peso.30 Si attendono ulteriori dati.

Pressione sanguigna e stile di vita. Un modesto aumento della pressione sanguigna, un elemento della sindrome metabolica, viene spesso associato al sovrappeso e all’obesità. Nell’impostazione di un intervento comportamentale intensivo per contrastare la sindrome metabolica, la perdita di peso e l’esercizio fisico consentono di ri-

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durre la pressione sistolica di circa 8 mmHg, con piccole, ulteriori riduzioni se si associa un approccio dietetico per arginare l’iperten-sione.31 Tuttavia, in uno studio parallelo, simili riduzioni della pres-sione non sono state osservate a 18 mesi.32 Quando sono necessari farmaci aggiuntivi, i β-bloccanti e i diuretici devono essere conside-rati farmaci di seconda linea ed evitati a meno che non sussistano indicazioni che costringano al loro impiego. Attualmente vi è una controversa ma crescente evidenza che i nuovi casi di diabete pos-sono svilupparsi durante la terapia per l’ipertensione, e maggior-mente con l’utilizzo di β-bloccanti e diuretici piuttosto che con gli ACE inibitori (enzima di conversione dell’angiotensina) e gli ARB (bloccanti dei recettori dell’angiotensina) (Fig. 11-3).33-36 Esistono “prove evidenti che vanno contro l’utilizzo dei β-bloccanti” come prima scelta per i pazienti obesi con ipertensione.37 Una meta-analisi di network ha collegato la terapia con i diuretici e quella con i β-bloccanti ai nuovi casi di diabete in condizioni di ipertensione (Fig. 11-3).38 Di conseguenza, le attuali linee guida europee per l’iperten-sione sconsigliano la terapia iniziale con il β-bloccante in caso di sindrome metabolica.39 Il nebivololo può essere un’eccezione,40 ma mancano studi sugli esiti. Considerato l’aumento del rischio poten-ziale di nuovi casi di diabete con l’uso di β-bloccanti e diuretici nella terapia contro l’ipertensione e, dato che i nuovi casi di diabete sono il rischio principale della sindrome metabolica, sembra prudente preferire la terapia contro l’ipertensione basata sugli ACE inibitori o gli ARB, con diuretici a basso dosaggio (idroclorotiazide da 12,5 a 25 mg) secondo necessità (a meno che non vi siano indicazioni che costringano l’utilizzo della terapia con diuretici e β-bloccanti).

Quali farmaci ostacolano l’evoluzione verso il diabete? La metfor-mina 850 mg 2 volte al giorno, quando somministrata nel corso del Diabetes Prevention Study,24 ha ridotto l’insorgenza di nuovi casi di diabete, anche se meno di vigorose modifiche allo stile di vita. I tiazolidindioni aumentano la sensibilità epatica e periferica all’insu-

Trattamento Odds ratio

BCC 1,05

0,50 0,80 1,00 1,25 2,00

A favore del trattamento A favore del placebo

NUOVE FORME DI DIABETE CORRELATE AI FARMACI

ARB

ACE inibitori

β-bloccanti

Diuretici

0,82

0,89

1,25

1,35

Lam and Andrew, 2007

Figura 11-3 Nuove forme di diabete correlate ai farmaci. Si noti l’effetto protettivo dei bloccanti dei recettori delle angiotensine (ARB) e degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e i deleteri effetti dei bloccanti delle cellule β e dei diuretici. Meta-analisi di rete su 22 studi clinici con 143.153 pazienti e utilizzo di placebo come farmaco di riferimento e comprendente precedenti studi clinici sui diuretici in dosi più elevate. BCC, bloccante del canale del calcio Da Lam SKH, et al. Incident diabetes in clinical trials of antihypertensive drugs. Lancet 2007;369:1513.

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lina mediante l’attivazione dei recettori PPAR-γ (recettori attivati dai proliferatori dei perossisomi-γ). Il rosiglitazone (non disponibile in Ita-lia; N.d.C.) aiuta a limitare l’evoluzione dello stato diabetico in diabete conclamato.41 Tuttavia, comporta il rischio di peggiorare l’insufficienza cardiaca o l’infarto miocardico (si veda più avanti). Nello studio cli-nico ACT NOW, il pioglitazone, confrontato al placebo, ha ridotto il ri-schio di conversione dell’alterata tolleranza al glucosio in diabete mellito di tipo 2 del 72%, ma è associato a un importante aumento di peso ed edema.42

L’acarbosio inibisce l’assorbimento gastrico del glucosio. Sebbene sia spesso scarsamente tollerato a causa dei sintomi gastrointestinali, consente una ben documentata riduzione dell’infarto miocardico e riduce l’incidenza delle nuove ipertensioni (riduzione RR 34%).43 Il rimonabant è un bloccante selettivo centrale dei recettori del canna-binoide-1; inizialmente prometteva molto bene perché riduceva il peso corporeo e i livelli di trigliceridi e glicemia e contrastava l’au-mento dei livelli del colesterolo HDL.44 Tuttavia, gli effetti psichiatrici collaterali hanno portato al rifiuto da parte della FDA e di altri enti (non disponibile in Italia; N.d.C.).

Scelte comparative. Dato che non vi sono studi comparativi tra metformina, acarbosio e tiazolidindioni, è difficile dire con certezza quale tra questi sarebbe il più efficace nella prevenzione della progres-sione dei nuovi casi di diabete, nel caso in cui le modifiche allo stile di vita si rivelassero insufficienti. Tuttavia, la metformina e il pioglitazione dispongono di dati convincenti.

Cosa è possibile ottenere? Affinché lo stile di vita sia efficace di per sé nella prevenzione della transizione al diabete e nella riduzione dell’ipertensione, è necessario attuare modifiche decisive che richie-dono un input intensivo da parte dei professionisti del settore, quali nutrizionisti e fisiologi. Sebbene questa forma di consulenza non sia un approccio ottimale dal punto di vista dei costi rispetto all’effica-cia, se applicata alla popolazione generale è innegabile che si riveli la strategia ideale, perché implica una modifica dei comportamenti di ampia portata che evita poi l’obesità. La terapia farmacologica che previene la transizione al diabete di tipo 2 è sia fattibile che efficace in pazienti selezionati, eppure non ancora applicata con la dovuta ampiezza.

Controllo cardiovascolare nel diabete di tipo 2 In generale, il controllo della pressione e dei lipidi nel sangue migliora le malattie macrovascolari e gli esiti clinici, mentre il controllo glice-mico limita le malattie microvascolari (retina, reni, nervi). Entrambi i tipi di controllo sono gli endpoint di una terapia efficace. La malattia macrovascolare è predominante nel diabete di tipo 2.45 Tuttavia, con la crescente aspettativa di vita dei pazienti affetti da questo diabete, le complicanze microvascolari possono acquisire una crescente preva-lenza. Si noti che farmaci con equivalente proprietà ipoglicemizzanti possono rivelarsi molto diversi nella capacità di migliorare gli esiti cardiovascolari.

Perdita di pesoUn intervento intensivo sullo stile di vita mirato alla riduzione delle calorie assunte e a un incremento dell’esercizio fisico per oltre un anno, ha consentito un migliore controllo del diabete, una diminuzione dei fattori di rischio cardiovascolare quali la pressione sanguigna e i profili lipidici; la media dell’emoglobina glicata A1c (HbA1c) è scesa dal 7,3 al 6,6%.46

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Controllo della pressione sanguignaNello studio prospettico osservativo UKPDS 36 con una durata media di 8,4 anni, la riduzione della pressione sistolica verso 120 mmHg o anche meno è stata associata a una riduzione dell’incidenza di eventi micro e macrovascolari.47 Tuttavia, sono necessari dati prospettici per convalidare questi risultati a livelli così bassi. Nello studio ADVANCE, 48 la pressione sanguigna media in pazienti ad alto rischio di diabete nel gruppo placebo (su trattamento preesistente) risultava essere 140/77 mmHg, ed era stata ulteriormente ridotta a una media di 137/75 mmHg con l’aggiunta di un ACE inibitore, il perindopril, insieme al diuretico indapamide. Nel periodo dello studio la riduzione media della pressione sistolica è risultata essere 5,6 mmHg, mentre la diasto-lica è scesa a 2,2 mmHg. Il rischio di decesso per evento cardiovasco-lare è sceso del 18% (p 5 0,03) e la mortalità per tutte le cause del 14% (RR 0,86; CI 0,75-0,98; p5 0,03), in aggiunta alle forti tendenze di ridu-zione delle malattie micro e macrovascolari. Probabilmente gli studi futuri esamineranno in prospettiva l’ipotesi che l’aggiuntiva riduzione della pressione verso un target sistolico di 120 mmHg porterà anche un’ulteriore riduzione degli eventi micro e macrovascolari. Nel frat-tempo, lo studio ADVANCE ci insegna che una riduzione ancora mag-giore della pressione sanguigna può offrire benefici per i tassi di mortalità.

Controllo della pressione interglomerulare. I calcio-antagonisti di terza generazione, le diidropiridine come la manidipina, inibiscono i canali del calcio del tipo T sulle cellule muscolari vascolari così come quelli localizzati sulle arteriole postglomerulari.49 Nello studio DEMAND, effettuato su 380 soggetti, per una media di 3,8 anni, una terapia com-binata di manidipina e ACE inibitori ha ridotto sia gli eventi macrova-scolari sia l’albuminuria nei pazienti ipertesi affetti da diabete mellito di tipo 2 (T2DM), laddove la terapia con il solo ACE inibitore non vi era riuscita. Un peggioramento dell’insulino-resistenza è stato quasi total-mente prevenuto in coloro che erano in terapia combinata.

Terapia con le statine: impressionanti benefici complessiviI benefici dell’aggiunta dell’atorvastatina (10 mg) nella terapia contro il diabete sono stati evidenziati dallo studio CARDS (si veda il Capitolo 10, pag. 407). I criteri per accedere allo studio erano il diabete di tipo 2 e almeno un altro fattore di rischio cardiovascolare, quale, ad esempio, l’ipertensione, il fumo o le complicanze del diabete stesso. L’atorvasta-tina, 10 mg al giorno, assunta da pazienti con il diabete di tipo 2 ha ridotto il colesterolo LDL da una media di circa 118 mg/dL a circa 72 mg/dL, così come ha diminuito gli eventi cardiovascolari principali, in modo sorprendente, arrivando a una riduzione dell’ictus del 48%.50 Sebbene i livelli di LDL rimangano la principale indicazione per le statine, ci possono essere livelli di colesterolo LDL normali e compre-senza di LDL piccole. Comunque, nella pratica, gli indici standard per la terapia con le statine rimangono validi.51

Diabete indotto dalle statine. Goldfine afferma: “Le statine possono semplicemente smascherare la malattia in soggetti che avevano co-munque un’elevata probabilità di sviluppare il diabete”, quindi anziani, con elevati livelli basali di glucosio a digiuno e altre caratteristiche della sindrome metabolica.52 Sebbene un’approfondita e ampia meta-analisi abbia rilevato un rischio di aumento del diabete incidentale del 9% su un periodo di 4 anni, il rischio con la rosuvastatina appariva es-sere del 18%, sulla base dei risultati dello studio JUPITER e di altri due studi clinici. Appare logico quindi che più potente è la statina, maggiore è il rischio di diabete.53 L’altra meta-analisi confrontava una terapia in-tensiva con statina e una con dosi più moderate in 5 studi con un totale

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di 32.752 persone senza diabete basale. Il valore NNT (number needed to treat/numero necessario da trattare) annuale per il danno era 498 per il diabete di nuova comparsa rispetto allo stesso valore pari a 155 per gli eventi vascolari ridotti. Ne conseguiva un rapporto approssima-tivo di beneficio per il danno per le dosi elevate rispetto alla media di circa 3:1.54

Controllo glicemico: stretto sì, ma quanto? La selezione di farmaci da effettuarsi tra un gran numero di farmaci orali per ottenere il con-trollo glicemico o la scelta di quando utilizzare l’insulina sono deci-sioni che vengono prese con perfetta cognizione di causa se vi è una stretta collaborazione tra diabetologi e cardiologi. Quando il livello del glucosio nel sangue si alza, lo stesso avviene per il rischio cardiovasco-lare e la mortalità totale, come mostrato dall’ampio studio DECODE, effettuato su 29.714 persone per più di 11 anni;55 ne consegue che un abbassamento della glicemia deve avere dei vantaggi per entrambi gli aspetti del problema. In generale, le linee guida consigliano un livello di HbA1c inferiore a 7%,56 perlopiù sulla base della serie di studi effet-tuati nel Regno Unito.57 Le linee guida consigliano un valore inferiore al 6,5%. Tuttavia, “la sicurezza cardiovascolare e l’efficacia delle strate-gie ipoglicemizzanti disponibili rimangono perlopiù incerte.”58 Ne consegue che vi è una crescente necessità di studi clinici relativi agli esiti cardiovascolari e alla mortalità che vadano oltre il controllo glice-mico. Un grosso studio, l’ADVANCE, che puntava a un rilevante abbassa-mento della glicemia mediante un regime a base di gliclazide, ha avuto successo nel ridurre sia gli eventi cardiovascolari, sia il valore dell’emo-globina glicata (HbA1c), portandolo da 7,5 a 6,53.59 Nei pazienti con diabete ad alto rischio cardiovascolare, forse simili a quelli che un cardiologo potrebbe vedere, lo studio ACCORD (Action to Control Car-diovascular Risk in Diabetes) supportato dal National Institutes of He-alth, confrontava appunto un controllo glicemico intenso rispetto a uno standard. I livelli medi della HbA1c erano 6,4% per il braccio di trattamento intensivo e 7,5% nel braccio standard. Inaspettatamente, la mortalità aumentava dopo 3,7 anni pur senza la riduzione dei più im-portanti eventi cardiovascolari quando confrontata con la terapia standard.60 Al termine della terapia intensiva, il livello della HbA1c tar-get risultava essere passato da 7 a 7,9. Malgrado la riduzione degli in-farti miocardici non fatali sui 5 anni, la mortalità sui 5 anni risultava aumentata. I ricercatori dello studio ACCORD scrivono: “Questa strate-gia non può essere consigliata per pazienti ad alto rischio con diabete avanzato di tipo 2.”61 Inoltre, un altro studio prospettico e randomizzato in pazienti affetti da diabete di tipo 2 allo stadio avanzato (VADT) non è riuscito a dimostrare significativi benefici in termini di mortalità per tutte le cause o per eventi cardiovascolari mediante l’abbassamento dell’ HbA1c a 6,9% nel gruppo di terapia intensiva rispetto all’8,4% del gruppo di terapia standard.62

Una meta-analisi di alta qualità ha valutato gli effetti del controllo glicemico intensivo rispetto a quello convenzionale sulla mortalità per tutte le cause e per eventi cardiovascolari, nonché complicanze micro-vascolari e severa ipoglicemia in pazienti affetti da diabete di tipo 2.63 La mortalità per tutte le cause risultava immutata mentre l’infarto miocardico non fatale risultava ridotto (RR 0,85; p 5 0,004; 28.111 par-tecipanti, 8 studi clinici) così come l’esito microvascolare composito (RR 0,88; p5 0,01; 25.600 partecipanti, 3 studi clinici) e la retinopatia (RR 0,80; p5 0,009; 10.793 partecipanti, 7 studi clinici). Tuttavia, dei se-veri test statistici mediante analisi sequenziali degli studi clinici hanno rilevato un’insufficiente evidenza di conclusioni sui benefici ad ecce-zione dell’aumento delle ipoglicemie del 30%.

Le raccomandazioni aggiornate al 2012 dell’American Diabetes Association (ADA) e dell’Associazione Europea per lo Studio del Dia-bete (EASD) dicono di individualizzare i target di trattamento.64 In adulti più anziani, spesso con comorbidità e complicazioni vascolari, si richiede un controllo meno stringente (ad esempio, HbA1c [59-64

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mmol/mol] con valori 7,5-8%); tuttavia, l’obiettivo ideale rimane infe-riore a 7 (,53 mmol/mol) per ridurre la malattia microvascolare.

L’ idea di fondo è che un valore HbA1c compreso tra 7 e 7,9% sia spesso appropriato per i pazienti con problemi cardiovascolari, mentre meno del 7% sia da considerare valido per pazienti più giovani, con diagnosi più recenti.

Insulina. In caso di fallimento della terapia orale, chiaramente l’insu-lina rimane la risorsa rimanente delle linee guida correnti.64 Il pro-blema principale con l’insulina è che il controllo delle iperglicemie si “paga” con le ipoglicemie. Il profilo flat a lunga azione della nuova in-sulina degludec forma un deposito di multiesameri sottocutanei solu-bili da cui l’insulina viene lentamente e continuamente assorbita nel circolo, e così rappresenta non una rivoluzione ma un’evoluzione della terapia insulinica per il diabete di tipo 1 e 2.65 L’aumento del rischio di insufficienza cardiaca, frequentemente presunto, causato dalla riten-zione di liquidi propria del trattamento con insulina, non è stato tra-dotto in un coerente aumento del tasso di mortalità o di ospedalizza-zione per insufficienza cardiaca.66 Complessivamente, la scarsità di studi ben controllati in quest’area non consente nessuna conclusione finale sui potenziali effetti della terapia insulinica su pazienti affetti da diabete o da insufficienza cardiaca.

Metformina. Da sola o insieme ad altri farmaci, la metformina è il trattamento standard per favorire il controllo glicemico. La metformina riduce la produzione di glucosio da parte del fegato e incrementa l’assorbimento del glucosio da parte dei muscoli mediante il trasporta-tore 4 (Fig. 11-4). Inoltre, sopprime l’appetito e risulta inoffensivo per il sistema cardiovascolare nonché sembra apportare benefici se sommi-nistrato a pazienti affetti da diabete e insufficienza cardiaca.66 Nello studio prolungato UKPDS, la metformina è stata il solo farmaco utiliz-zato per ridurre la mortalità da diabete e per tutte le cause.45 Da allora, la metformina è diventata il trattamento di prima linea per pazienti sovrappeso affetti da diabete mellito di tipo 2.

La metformina rispetto ai secretogoghi. In un ampio data-base di ricerca di pratica generale nel Regno Unito, relativo a 91.521 persone, con un follow-up medio di 7,1 anni, la metformina è risultata come avente un rischio favorevole sulla mortalità rispetto alle sulfoni-luree.67 In uno studio relativo al Pronto Soccorso in Germania, le sulfo-niluree risultavano raddoppiare il rischio di ipoglicemia.68

Prima fermata, metformina? Delle 11 linee guida sulla qualità, 7 favoriscono la metformina come farmaco di prima linea.69 Eppure, le linee guida, che normalmente richiedono mesi e anni per essere fina-lizzate, potrebbero non avere preso in considerazione la meta-analisi del 2012 su 13 studi clinici controllati che non mostravano alcuna evi-denza del fatto che la metformina abbia chiari effetti benefici o dan-nosi sulla mortalità per tutte le cause, o sulla mortalità o morbilità car-diovascolare tra i pazienti affetti da diabete di tipo 2.70 In altre meta-analisi, quando utilizzata in combinazione con l’insulina, la metformina ha ridotto la HbA1c dello 0,5% e l’aumento di peso di 1 kg, laddove il dosaggio di insulina si riduceva di 5 U/g.71 Si noti che la metformina rimane il primo farmaco consigliato dalle influenti linee guida di ADA-EASD 201264 nonché la consueta prima scelta della pra-tica clinica.

Metformina e malattia renale. La metformina viene escreta dal rene. Tenendo a mente che le malattie renali da moderate a severe con eGFR inferiore a 60 mL/min si verificano nel 20-30% dei casi di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2, la dose di metformina deve essere ridotta. I valori eGFR soglia suggeriti per la riduzione sono i se-guenti: se oltre 60, nessun problema; se 45-60, utilizzare ma monitorare la funzione renale, se 30-45, non iniziare e, nel caso in cui la sommini-strazione sia in corso, utilizzare con la massima prudenza, diminuire la dose e ripetere l’eGFR ogni 3 mesi; se inferiore a 30, non utilizzare.72

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Nel Regno Unito, la politica è meno stringente e consente l’uso della metformina con il monitoraggio già a 30 mL/min (si veda la referenza 14 in Inzuchi et al., 201264).

La chiara linea di fondo è che una terapia di prima linea ideale, basata su evidenze scientifiche non è ancora stata stabilita. In pratica, poi, la metformina è, e rimane, lo standard per tutti i confronti.

Combinazioni di due o tre farmaci: linee guida 2012. Dopo l’inizio con la metformina, come si prosegue? Per raggiungere il controllo glice-mico, dopo avere iniziato con la metformina, le linee guida del 2012 consigliano le seguenti 5 opzioni: aggiunta delle sulfoniluree, aggiunta dei tiazolidinedioni (TZD; tiazolidindioni), aggiunta degli inibitori della dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4) (per via orale), aggiunta dell’agonista del recettore del peptide glucagone-simile-1 (GLP-1) (iniettabile), o ag-giunta dell’insulina (Tabella 11-2).73 Sono disponibili pochi studi clinici comparativi a lungo termine; ne consegue che non è facile scegliere il migliore farmaco da combinare con la metformina. Le sulfoniluree vengono scelte molto meno oggi rispetto al passato. Piuttosto che le sulfoniluree, le linee guide ADA-EASD consigliano un agonista GLP-1 come previsto dai test nel caso di grossi studi clinici sugli esiti, o addirit-tura l’insulina; più elevato è il valore della HbA1c, maggiore è la neces-sità di insulina. Si notino anche i benefici di una dieta a basso conte-nuto di carboidrati con il liraglutide e la metformina.74 Tuttavia, gli inibitori della DPP-4 sono disponibili per via orale e ampi trials sugli esiti sono in fase di studio. A parte il costo, sono anch’essi utilizzati come

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Figura 11-4 Sito di azione della metformina. Passaggi molecolari che portano dall’aumento degli acidi grassi liberi (FFA) all’insulino-resistenza. Gli FFA in eccesso che entrano nella cellula del muscolo vengono attivati come acil-coenzima A, una catena di lunghezza variabile, che inibisce il percorso di segnalazione dell’insulina in modo che vi sia un minore spostamento delle vescicole trasportatrici di glucosio (glucosio GLUT-4 e GLUT-1) alla superficie della cellula. L’assorbimento del glucosio diminuisce e si favorisce l’iperglicemia. L’aumento dell’assorbimento degli FFA promuove l’accumulo dei metaboliti dei lipidi nei vari organi, tra cui il cuore e il pancreas. La metformina e l’esercizio fisico, stimolando la proteina chinasi attivata dall’adenosin-monofosfato (AMPK), promuovono lo spostamento delle vescicole di trasporto alla superficie della cellula per favorire l’accesso del glucosio e per opporsi all’insulino-resistenza. La proteina-chinasi B, anche detta Akt, ha un ruolo chiave. G, Glucosio; IRS-P, fosfatidile substrato del recettore dell’insulina. (Modificato da Opie LH. Heart Physiology, from Cell to Circulation. 4th ed. Philadelphia: Lippincott, Williams & Wilkins; 2004. p. 313.)

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farmaci di seconda linea, seppure dopo gli antagonisti del recettore del GLP-1.75 L’importanza della valutazione del rischio cardiovascolare viene ulteriormente sottolineata da Gore et al.76 Il paziente viene monitorato per i valori della HbA1c, dell’ipoglicemia, del peso e degli effetti collate-rali maggiori; inoltre, si prendono in considerazione i costi. Successiva-mente, se è necessario, per il passaggio a una combinazione di 3 farmaci dopo circa 3 mesi, le linee guida suggeriscono la scelta tra sulfoniluree o tiazolidindioni o, ancora, uno stimolatore dell’incretina (se non an-cora utilizzato), con l’insulina nel caso in cui il valore HbA1c sia elevato.

Personalizzare l’uso del farmaco sulle esigenze del paziente. I pa-zienti non sono tutti uguali. Un controllo più stringente del valore HbA1c viene proposto a quei pazienti che sono molto motivati, con-formi, capaci di prendersi cura di sé, spesso con una diagnosi recente, con una lunga aspettativa di vita e senza complicazioni vascolari deli-neate (Fig. 1 in Inzucchi et al., 201264). La gestione autonoma del dia-bete di tipo 2, incluso l’evitare le ipoglicemie, è complessa, ma gli effetti della conoscenza di come autogestirsi in modo sicuro non sono an-cora compresi bene. Una scarsa funzione cognitiva aumenta il rischio di una severa ipoglicemia in pazienti affetti da diabete di tipo 2.77 Un’analisi prospettiva delle coorti dei dati provenienti dallo studio cli-nico ACCORD ha incluso 2956 adulti di 55 anni e oltre, affetti da diabete di tipo 2 e altri fattori aggiuntivi di rischio cardiovascolare.78 Dopo un follow-up della durata media di 3,25 anni, un punteggio basale bassis-simo, ossia inferiore a 5, per i test cognitivi è risultato predittivo di un primo episodio di ipoglicemia che richiedeva assistenza medica. Il declino cognitivo su 20 mesi ha aumentato ulteriormente il rischio di successiva ipoglicemia in questi soggetti con una funzione cognitiva basale inferiore (P per interazione: 0,037).

Sulfoniluree. Le sulfoniluree sono secretogoghi dell’insulina che ne stimolano la secrezione inibendo i canali del potassio sensibili all’ade-nosina trifosfato (ATP) delle cellule β. Poiché il recettore delle sulfoni-luree SUR2a viene anche espresso nei cardiomiociti, si è ritenuto per molto tempo che questi farmaci potessero interferire anche con le funzioni cardiache. In effetti, parecchi studi clinici di bassa scala e vari studi sperimentali hanno suggerito un peggioramento della precondi-zione ischemica in presenza di sulfoniluree.79

Oltre a questi potenziali effetti diretti delle sulfoniluree sulle fun-zioni cardiache e vascolari, l’ipoglicemia, come osservata comune-mente durante la terapia con le sulfoniluree, viene associata ad arit-mie cardiache, fornendo così un meccanismo potenziale aggiuntivo di collegamento tra questi farmaci e un aumento degli eventi cardio-vascolari.80

Esistono pochi studi prospettici sugli effetti clinici più importanti a lungo termine di questi farmaci per quel che riguarda gli esiti del diabete di tipo 2. Lo studio UGDP risalente agli anni ’60 suggeriva un’elevata incidenza della mortalità per eventi cardiovascolari in pa-zienti trattati con la sulfonilurea tolbutamide.81

In contrasto con questo, lo studio UKPD rivelò che non vi erano effetti significativi del glibenclamide sulla mortalità o sull’incidenza degli eventi cardiovascolari.57

Ci sono pochi studi prospettici sugli effetti clinici più importanti a lungo termine di questi farmaci per quel che riguarda gli esiti del dia-bete di tipo 2. In un ampio studio di registro prospettico, la monoterapia con gli farmaci più utilizzati, glimepiride, glibenclamide, glipizide e tolbutamide, veniva associata a un aumento della mortalità e del ri-schio cardiovascolare rispetto alla metformina.82 Il gliclazide e il repa-glinide non risultavano essere statisticamente differenti dalla metfor-mina nei pazienti senza e con precedente infarto miocardico. Un regime a base di gliclazide a rilascio modificato insieme a un abbassa-mento della pressione sanguigna per mezzo del perindopril-indapa-mide in 11.140 soggetti affetti da diabete di tipo 2 ha consentito di ri-

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durre il rischio di una nuova o peggiorata nefropatia del 33%, di una nuova comparsa di macroalbuminuria del 54%, e della microalbuminu-ria del 26%, insieme a un 18% di riduzione del rischio di decesso per tutte le cause.83

Tiazolidindioni. I TZD, anche detti glitazoni, sono farmaci che atti-vano il sistema trascrittivo PPAR-γ (gamma) e promuovono quindi il metabolismo del glucosio. I farmaci principali sono il rosiglitazone, ora sospeso in Europa, e il più sicuro pioglitazone.84 La FDA ha ristretto l’accesso al rosiglitazone nel settembre 2010. I tiazolidindioni aumen-tano in modo favorevole l’HDL del 19%, ottenendo quindi potenzial-mente una riduzione dell’LDL dell’8% e, allo stesso tempo, dei triglice-ridi e della glicemia (Fig. 11-5).85 Più specificamente, il pioglitazone procura una riduzione della concentrazione delle particelle di LDL laddove il rosiglitazone la aumenta.86 Entrambi i farmaci aumentano la dimensione delle particelle di LDL ma il pioglitazone ha un effetto

HDL e TG NELLA SINDROME METABOLICA E NEL DIABETE

TG

Opie 2012

HL

VLDL h

Glitazoni

LDL TG

Apo B

CE

TG

CETP

Chilomicroni

Intestini

Fibrati

LPLGlucosio

TG-rLh

Apo Bh

HDL ricche in TG

HDL piccole e dense

Tessuto adiposo

Niacina

Normale CE

ApoA-1

LPL

LDL piccole e dense

LDL e residui

hFFA

CETP

TG CE

TG

Figura 11-5 Proposta di pattern di dislipidemia nella sindrome metabolica e nel diabete di tipo 2. Le caratteristiche correnti sono (si veda a destra della figura) l’aumento dei livelli di trigliceridi in circolazione (TG) e la diminuzione del colesterolo HDL. Il problema fondamentale sta nell’aumento dei livelli delle particelle aterogene: lipoproteine a bassissima densità (VLDL), lipopro-teine a elevato contenuto di trigliceridi (TG-rL) e apoliproteina B (Apo). Le Apo hanno proprietà simili a detergenti che solubilizzano le proteine idrofobe. I livelli di TG-rL e Apo B vengono aumentati da 1) eccessiva sintesi epatica di VLDL, 2) elevate concentrazioni post-prandiali di TG a seguito di pasti ricchi di grassi e 3) bassi livelli di attività della lipoproteina lipasi. Il tessuto adiposo rilascia FFA in eccesso che, combinati con l’iperglicemia, portano a un au-mento della produzione epatica di VLDL. La proteina di trasferimento del co-lesterolo esterificato (CETP) aumenta il trasferimento di TG alle particelle di HDL per formare un HDL ricco in TG, con un simultaneo trasferimento di esteri di colesterolo (CE) dalle particelle di HDL ai TG-rL. L’HDL ricco in TG viene scisso dalla lipasi epatica (HL) per formare minuscole e dense particelle di HDL. Un processo simile conduce all’aumento della formazione di minuscole particelle di lipoproteine a bassa densità, ossia colesterolo LDL. Per ulteriori dettagli si vedano Syvanne and Taskinen, 1997. LPL, lipoproteina lipasi. (Fi-gura © L.H. Opie, 2012.)

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maggiore. Il pioglitazone aumenta la dimensione delle particelle di HDL, diminuite dal rosiglitazone. Il rosiglitazone aumenta molto il li-vello del colesterolo LDL totale mentre il pioglitazone aumenta i livelli di HDL, molto più del primo.87 Il pioglitazone diminuisce i livelli dei tri-gliceridi a digiuno che venivano incrementati dal rosiglitazone.87 Queste modifiche consentono di spiegare perché la monoterapia con rosiglita-zone, ma non con pioglitazone, risultasse associata a un aumento dell’in-farto miocardico88,89 e della mortalità.84 Il pioglitazone ha anche miglio-rato gli esiti clinici del diabete di tipo 2 nello studio PROactive.90 Nello studio clinico ACT NOW, il pioglitazone riduceva il rischio di conversione dell’intolleranza al glucosio in diabete di tipo 2 del 72% ma, e lì si trova la difficoltà, era associato a un significativo aumento di peso e all’edema.42 Complessivamente, sulla base del General Practice Research Database (206.940 pazienti), rischi più elevati di decesso (complessivo e causato da malattia cardiovascolare) e insufficienza cardiaca sono stati rilevati per il rosiglitazone rispetto al pioglitazone. Questi rischi per eccesso erano raddoppiati per la fascia di età 65-74, triplicati per quella 75-84 e addirittura sette volte superiori per le età successive. La decisione presa a livello europeo di sospendere il rosiglitazone risulta supportata da questo studio.84

Il sistema delle incretine. Le incretine sono attualmente al centro di una maggiore attenzione. Sono infatti in corso studi clinici di grossa entità su 73.500 pazienti. Le incretine sono ormoni peptidici gastrointe-stinali che vengono rilasciati durante l’assorbimento dei nutrienti allo scopo di aumentare la secrezione insulinica. Il GLP-1 è un ormone se-creto nella circolazione dalle cellule intestinali L in risposta al cibo ingerito (Fig. 11-6). A parte l’azione sul glucosio del sangue, “prendere di mira l’asse delle incretine potrebbe aiutare a raggiungere il più diffi-cile risultato di trovare un farmaco antidiabetico che migliori anche la malattia cardiovascolare”.91 Nel diabete di tipo 2, il sistema di risposta delle incretine risulta disturbato. L’asse delle incretine include anche l’enzima DPP-4, una serina proteasi che degrada rapidamente il GLP-1 e altre proteine. Ultimamente, questa “scoperta” ha condotto a nuove terapie contro il diabete già approvate: gli analoghi del GLP-1 (exena-tide, liraglutide, e altri) e gli inibitori della DPP-4 (saxagliptin, sitagliptin,

Incretine

Glicogenesi g

Glucosio plasmatico g

GLP-1 GIP

cellule β Inibizione DDP-4

Appetito Cibo

Insulina h

cellule α

GLP-1,GIP inattivi

Tratto GI

Analoghi GLP

Opie 2012

DDP-4

g

Figura 11-6 Sito di azione delle incretine. DPP, dipeptidil-peptidase; GI, gastrointestinale; GIP, polipeptide insulino-tropico dipendente da glucosio; GLP, peptide glucagone-simile (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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e altri).91 Più di 73.000 pazienti sono arruolati in vari studi clinici (Tabella 11-3).

Le terapie basate sul GLP-1 potrebbero in teoria avere come obiet-tivo sia il diabete sia la malattia cardiovascolare.92 Queste terapie rego-lano il metabolismo del glucosio mediante meccanismi multipli e hanno effetti benefici dal punto di vista cardiovascolare, forse indipen-denti dall’attività di abbassamento del glucosio, che includono modifi-che della pressione sanguigna, della funzione endoteliale, del peso corporeo, del metabolismo cardiaco, del metabolismo dei lipidi, della funzione del ventricolo sinistro, dell’aterosclerosi e della risposta al danno da ischemia/riperfusione.

Mimetici delle incretine. I mimetici delle incretine sono gli agonisti dei recettori del GLP-1. Il GLP-1 regola i livelli di glucosio stimolando la secrezione insulinica dipendente dal glucosio e la biosintesi nonché sopprime la secrezione del glucagone, ritarda lo svuotamento gastrico e promuove il senso di sazietà. In vista di risultati in qualche modo deludenti per ciò che riguarda l’aggiunta di sulfoniluree (eccezione: gliclazide) alla metformina e il rischio di insufficienza cardiaca provo-cato con i tiazolidindioni, l’attenzione si sta correntemente spostando alla combinazione della metformina con altre terapie a base di incre-tine.93 Questa combinazione migliora efficacemente la glicemia dei pazienti con diabete di tipo 2 e nell’arco di 16-30 settimane fa registrare una riduzione più pronunciata della HbA1c con gli agonisti recettori del GLP-1 ad azione prolungata (liraglutide e exenatide a rilascio di lunga durata) rispetto agli inibitori della DPP-4, entrambi con un ri-schio molto basso di eventi avversi, compresa l’ipoglicemia.

L’analisi Cochrane riportava che gli agonisti della GLP-1 in uso o in corso di autorizzazione includono exenatide e liraglutide come i più studiati, mentre gli altri sono: albiglutide, dulaglutide, lixisenatide e ta-

Tabella 11-3

Stimolanti del GLP-1 per pazienti affetti da diabete di tipo 2: principali studi clinici con 73.500 pazienti

Farmaco Studio clinico Durata Pazienti (n)

Analoghi del GLP-1

Dulaglutide REWIND 8 anni (2019) 9.600Exenatide LAR EXSCEL 5,5 anni (2017) 9.500Liraglutide LEADER 5 anni (2016) 9.000Lixisenatide GetGoal-Mono 4 anni (2013) 6.000Taspoglutide T emerge 8 2 anni 2.000

Inibitori della dipeptidil-peptidase 4

Alogliptin Examine 4 anni (2014) 5.400Linagliptin CAROLINA 8 anni (2018) 6.000Saxagliptin SAVOR-TIMI 53 5 anni (2015) 12.000Sitagliptin Tecos 5 anni (2014) 14.000

GLP, peptide glucagone-simile.Si ringrazia Troels Munk Jensen, NovNordisk, Danimarca, per il suo prezioso aiuto.Per tutti gli studi clinici si veda: http://clinicaltrials.gov/.Per gli studi clinici sul liraglutide si veda Nauck MA. The design of the liraglutide clinical trial programme. Diabetes Obes Metab 2012 Apr;14 Suppl 2:4-12.Per il lixisenatide in monoterapia si veda Fonseca VA, et al. on behalf of the EFC6018 GetGoal-Mono Study Investigators. Efficacy and safety of the once-daily GLP-1 receptor agonist lixisenatide in monotherapy: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial in patients with type 2 diabetes. Diabetes Care 2012 Mar 19.Per l’alogliptin rispetto al pioglitazone si veda Defronzo RA, et al. Efficacy and tolerability of the DPP-4 inhibitor alogliptin combined with pioglitazone, in metformin-treated patients with Type 2 Diabetes. J Clin Endocrinol Metab 2012 Mar 14.Per il linagliptin si veda Toth PP. Linagliptin: a new DPP-4 inhibitor for the treatment of type 2 diabetes mellitus. Postgrad Med 2011;123:46–53.Per il saxagliptin si veda Scirica BM, et al. The design and rationale of the saxagliptin assessment of vascular outcomes recorded in patients with diabetes mellitus-thrombo-lysis in myocardial infarction (SAVOR-TIMI) 53 study. Am Heart J 2011;162:818–25.

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spoglutide (non disponibili in Italia; N.d.C.).94 Rispetto al placebo, tutti gli agonisti GLP-1 riducevano i livelli della HbA1c di circa l’1%. Sia l’exenatide che il liraglutide hanno portato a una perdita di peso mag-giore rispetto ai più attivi farmaci di confronto. La nausea indotta a li-vello vagale, che può essere considerata come una forma esagerata di soppressione dell’appetito, è un effetto collaterale piuttosto comune degli agonisti GLP-1. Tali eventi avversi erano più forti all’inizio e tende-vano poi a diradarsi. Il funzionamento delle cellule β risultava miglio-rato con gli agonisti del GLP-1 ma l’effetto non persisteva dopo l’inter-ruzione del trattamento. La somministrazione di exenatide 2 mg una volta a settimana e di liraglutide 1,8 mg riduceva rispettivamente la HbA1c dello 0,20% e dello 0,24% più dell’insulina glargina. Importanti studi clinici sugli esiti sono ancora in corso (si veda la Tabella 11-3).

Valutazione dei farmaci a base di incretine. I farmaci a base di incretine sembrano offrire diversi benefici in termini di miglioramento dei fattori di rischio cardiovascolare. Così, oltre a ridurre l’iperglicemia, gli agonisti recettori del GLP-1 e gli inibitori della DPP-4 sono associati a moderate riduzioni della pressione sanguigna e a una certa riduzione dei livelli di trigliceridi.95

Inoltre, durante il trattamento con gli agonisti recettori del GLP-1, il peso corporeo tipicamente diminuisce. D’altra parte, una tendenza coerente verso una frequenza delle pulsazioni più elevata (circa 4-6 battiti al minuto) si è vista con il liraglutide96 e l’exenatide-LAR.97 L’au-mento della frequenza cardiaca potrebbe richiedere una nuova regola-zione dei farmaci per l’angina ma non vi sono studi clinici in proposito.

Questo aumento della frequenza cardiaca è meno ovvio con gli inibitori della DPP-4. Diversi studi su scala più piccola hanno anche suggerito dei miglioramenti della funzione endoteliale in pazienti con il diabete di tipo 2 e la malattia coronarica98 e in quelli con insuffi-cienza cardiaca di III/IV classe.99

Exenatide. L’exenatide è un analogo del peptide GLP-1 resistente alla degradazione (mimetico delle incretine) che riduce il valore HbA1c e produce una moderata perdita di peso; viene somministrato per iniezione. La FDA ha approvato la formulazione a rilascio prolungato per una volta alla settimana come aggiunta alla dieta e all’esercizio fisico per miglio-rare il controllo glicemico negli adulti affetti da diabete di tipo 2. Vi è una segnalazione sul possibile rischio di carcinoma midollare della tiroide (MTC) come ritrovato negli studi sugli animali e la FDA ha richiesto un registro di 15 anni a riguardo nonché su altri rischi come la pancreatite acuta. L’avvertenza dichiara anche che il farmaco è controindicato per pazienti con una storia personale o familiare di MTC e per coloro che sono affetti da neoplasia endocrina multipla, sindrome di tipo 2.

L’exenatide da 2 mg somministrato una volta a settimana risulta ridurre la HbA1c più dell’exenatide da10 mcg somministrato due volte al giorno, il sitagliptin e il pioglitazone.94 Nello studio clinico DURA-TION-2, 514 pazienti che ricevevano la metformina sono stati sottoposti a randomizzazione per ricevere 2 mg di exenatide per iniezione una volta a settimana; 100 mg di sitagliptin orale una volta al giorno; o 45 mg di pioglitazone orale una volta al giorno.100 Dopo 26 settimane, l’aggiunta di exenatide alla metformina una volta a settimana aveva raggiunto l’obiettivo del perfetto controllo del glucosio accompagnato da perdita di peso e un numero minimo di episodi ipoglicemici, più spesso di quanto facesse l’aggiunta del dosaggio massimo giornaliero consentito di sitagliptin o pioglitazone. L’ipoglicemia non è comune ad eccezione dei casi in cui viene effettuata la combinazione con le sul-foniluree (ma non la metformina). L’exanitide è anche cardioprotettivo poiché diminuisce la morte delle cellule indotta da riperfusione.101 Inoltre, ha ridotto la dimensione finale dell’infarto del 30% solo in quei pazienti con un breve ritardo di 132 minuti o meno dal sorgere del sintomo alla riperfusione. Tuttavia, questo dato deve essere confermato in studi più ampi.

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Liraglutide. Liraglutide è un altro mimetico delle incretine, sommini-strato una volta al giorno, anch’esso responsabile della riduzione della HbA1c in combinazione con la perdita di peso. Il liraglutide è un effi-cace farmaco GLP-1 da aggiungere alla metformina, superiore al sita-gliptin per la riduzione della HbA1c, ben tollerato e con un rischio minimo di ipoglicemia.96 Si tratta di un farmaco approvato in combina-zione con la metformina per adulti con il diabete di tipo 2 che richie-dono più di un farmaco per abbassare il livello di glucosio nel sangue. Vi sono avvertenze della FDA e requisiti per la segnalazione di casi di cancro successivi all’immissione in commercio simili a quelli sull’exe-natide, che riguardano il possibile rischio di carcinoma midollare della tiroide e le relative implicazioni. Anche le pancreatiti si sono verificate con maggiore frequenza, sebbene piuttosto raramente in pazienti a cui era stato somministrato il liraglutide insieme ad altri antidiabetici; è quindi necessario sospenderlo in caso di forti dolori addominali. Gli effetti collaterali più comuni osservati con il liraglutide sono stati: mal di testa, nausea e diarrea.

Un piccolo ma importante studio proof-of-concept ha esaminato l’effetto di una restrizione dietetica dei carboidrati in combinazione con il liraglutide e la metformina per il controllo metabolico in pa-zienti affetti da diabete di tipo 2.74 L’insulina o i farmaci antidiabetici orali (ad esclusione della metformina) erano stati interrotti. Dopo 6 mesi di liraglutide e metformina, il peso corporeo era diminuito del 10% e il valore della HbA1c era passato da 9 a 6,7%. Studi sugli esiti più a lungo termine e di maggiore entità potrebbero cementare que-sto approccio.

Inibitori della dipeptidil-peptidase 4. Questi farmaci sono derivati chimicamente, selettivi e competitivi inibitori della dipeptidil-peptidase 4 e possono essere somministrati per via orale. Si noti che non solo il GLP-1 ma anche altri peptidi potenzialmente importanti, come ad esempio il GIP (polipeptide insulinotropico dipendente da glucosio), il peptide natriuretico di tipo B, il neuropeptide Y, il peptide YY e così via sono soggetti al clivaggio della DPP-4, suggerendo così che gli effetti cardiovascolari e metabolici degli inibitori della DPP-4 potrebbero non essere mediati esclusivamente dal GLP-1. Come trattamento di seconda linea, gli inibitori della DPP-4 risultavano inferiori agli agonisti del GLP-1 e simili al pioglitazone per quello che riguarda l’azione di ridu-zione della HbA1c, e non sembravano avere nessun vantaggio rispetto alle sulfoniluree nel corso di una meta-analisi.75 Considerati come gruppo, sono ben tollerati, come accertato in una revisione di 45 studi clinici, e la frequenza dell’aumento di peso e degli eventi gastrointesti-nali avversi o dell’ipoglicemia era minima.102 Questi farmaci si contrap-pongono al degrado del GLP-1 e del GIP plasmatici dopo il pasto. Come gli agonisti del GLP-1, questi farmaci svolgono attività antidiabetica mediante il rilascio di insulina da parte del pancreas e l’inibizione del rilascio di glucagone. Tuttavia, differiscono dagli agonisti del GLP-1 per il fatto che hanno pochi effetti gastrointestinali collaterali, come ad esempio la nausea, e nessuna rilevante inibizione dello svuotamento gastrico. Inoltre, a differenza degli agonisti del GLP-1, sono neutrali ri-spetto al peso piuttosto che promuoverne la perdita.75,103,104 Peraltro, la secrezione di insulina diminuisce se la concentrazione plasmatica di-scende al di sotto di 70 mg/dL, riducendo così il rischio di ipoglicemia.

Dati degli studi clinici. In genere, negli studi clinici randomiz-zati, gli inibitori della DDP-4 hanno raggiunto una riduzione della HbA1c dello 0,6-0,9% e, finora, hanno mostrato un ottimo profilo di sicurezza poiché non sono stati associati a grave effetti secondari. Inoltre, l’incidenza dell’ipoglicemia nei pazienti trattati con gli inibi-tori della DPP-4 negli studi clinici era simile a quella del braccio del placebo e, di conseguenza, significativamente più bassa di quella che si verificava con altri secretogoghi dell’insulina come le sulfoniluree e i meglitinidi. Per queste ragioni e per una maggiore facilità d’uso orale, gli inibitori della DPP-4 vengono sempre più usati nel tratta-

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mento del diabete di tipo 2.105 La nasofaringite era maggiormente prevalente con gli inibitori della DPP-4 che con il placebo, ma la fre-quenza della pancreatite era minore rispetto a quella legata all’uso di altri farmaci antiperglicemici orali.102 Al di là del controllo della gli-cemia, nei modelli sperimentali di ischemia e danno da riperfusione, il GLP-1 risulta avere una funzione cardioprotettiva e di riduzione della morte dei miociti.106

Attualmente, la maggior parte degli inibitori della DPP-4 è stata approvata per la combinazione con l’insulina così come per la mono-terapia in Europa.

L’alogliptin (non disponibile in Italia; N.d.C.) somministrato ai pa-zienti affetti da diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato dalla metformina, in dosi da 12,5 e 25 mg al giorno in combinazione con il pioglitazone, ha fornito un’ulteriore riduzione della HbA1c e ha miglio-rato la funzionalità delle cellule β.107 Tuttavia, non è stato ancora appro-vato dalla FDA.

Il linagliptin ha una struttura unica basata su quella della xantina che, su base empirica, promuove la guarigione delle ferite e quindi ha dei benefici per le ulcerazioni da diabete.108 Si tratta di un farmaco approvato dalla FDA nel maggio 2011. Una nuova opzione di tratta-mento, anch’essa approvata dalla FDA, combina il linagliptin e la metformina in un’unica compressa da prendere 2 volte al giorno per gli adulti affetti da diabete di tipo 2 che richiedono più di un farmaco per abbassare la glicemia. Gli studi clinici di fase 3 su più di 4000 pa-zienti hanno dimostrato l’efficacia del linagliptin come monoterapia o in combinazione con altri farmaci antidiabetici.109 (Linagliptin disponi-bile in Italia come associazione con metformina; N.d.C.)

Il saxagliptin (non disponibile in Italia; N.d.C.) è approvato dalla FDA e dall’Unione Europea per l’uso come monoterapia o in regimi combinati per il trattamento del diabete di tipo 2. Si tratta del farmaco prescelto (5 mg al giorno, 2,5 in caso di moderata o severa insufficienza renale) dal gruppo TIMI con base ad Harvard per lo studio sugli esiti SAVOR-TIMI 53 che punta a esaminare le complicazioni cardiovasco-lari.106 Lo studio prosegue fino all’ottenimento di circa 1040 endpoint primari, una volta assicurata una capacità dell’85% di identificare una riduzione relativa del 17% degli endpoint cardiovascolari primari.

Il sitagliptin dispone della licenza d’uso ma in combinazione con dieta ed esercizio fisico come monoterapia per controllare la glicemia oppure con metformina, tiazolidindioni o sulfoniluree. Il sitagliptin esercita anche effetti diretti indipendenti dal DPP-4 sulle cellule intesti-nali L, attivando il cAMP e la chinasi 1 e 2 (ERK1/2) di regolazione dei segnali extracellulari e stimolando la secrezione totale di GLP-1.110

Il vildagliptin è disponibile in combinazione con la metformina (o in monoterapia; N.d.C.). Si tratta di un farmaco registrato per l’uso in Unione Europea ma non negli Stati Uniti. L’aggiunta di vildagliptin (50 mg 2 volte al giorno) ha avuto la stessa efficacia del glimepiride (fino a 6 mg/die) nella riduzione dei livelli di HbA1c dopo 2 anni di tratta-mento, con un rischio di ipoglicemia significativamente ridotto e nes-sun aumento di peso.111

Analoghi della meglitinide. Gli analoghi della meglitinide, quali il repaglinide e il nateglinide, agiscono sulle cellule pancreatiche β dove, in modo del tutto simile alle sulfoniluree, regolano i canali del potassio dipendenti dall’ATP allo scopo di indurre la secrezione di insulina.112 Questi farmaci influenzano principalmente il primo rilascio dell’insu-lina, riducendo l’iperglicemia post-prandiale, mentre le sulfoniluree migliorano il rilascio tardivo per agire di più sul livello del glucosio a digiuno. La repaglinide ha una licenza della FDA piuttosto simile a quella del sitagliptin. L’abilità di questi secretagoghi dell’insulina a breve durata d’azione di ridurre il rischio di diabete o eventi cardiova-scolari in pazienti con alterata tolleranza al glucosio rimane scono-sciuta. Vi sono pochi studi sugli esiti. Il nateglinide (non disponibile in Italia; N.d.C.) fino a 60 mg 3 volte al giorno per 5 anni non aveva ridotto

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l’incidenza del diabete o degli esiti cardiovascolari compositi e copri-mari nei soggetti affetti da alterata tolleranza al glucosio.113

Bromocriptina. La bromocriptina agisce sull’ipotalamo come agoni-sta del recettore D2 della dopamina. Si tratta del primo della sua classe di farmaci approvato dall’FDA che agisce al livello del cervello. La bromocriptina-QR fornisce un rilascio di dopamina di breve durata ai centri del cervello che regolano il metabolismo periferico delle so-stanze nutritive. Viene somministrata al mattino entro 2 ore dal risve-glio, per aumentare il tono dopaminergico centrale a quell’ora del giorno in cui vi sono picchi del tono nelle persone sane ma non in quelle diabetiche; ne consegue che migliora il controllo glicemico e riduce l’iperglicemia post-prandiale che si ritiene essere un fattore di rischio indipendente per le complicazioni micro e macrovascolari.114

Inibizione del cotrasportatore 2 sodio-glucosio (Fig. 11-7). In pa-zienti con il diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato con la metformina in monoterapia, il dapagliflozin (non disponibile in Italia; N.d.C.) è stato confrontato con il glipizide.115 Malgrado un’efficacia glicemica simile per 52 settimane, il dapagliflozin ha ridotto il peso corporeo e ha prodotto meno ipoglicemie. In pazienti con il diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato da pioglitazone, l’aggiunta del dapagliflozin ha ridotto ulteriormente i livelli di HbA1c e ha mitigato l’aumento di peso correlato al pioglitazone senza aumentare il rischio di ipoglicemia.116 Un effetto collaterale riportato per entrambi gli studi era l’aumento delle infezioni agli organi genitali.

Controllo ideale della glicemia, pressione sanguigna e lipidi: intervento multifattorialeGli studi ACCORD. Gli studi clinici ACCORD puntavano a valutare se una riduzione estremamente intensa dei fattori di rischio cardiovasco-lare poteva migliorare gli esiti clinici. Negli studi ACCORD migliorare l’impressionante controllo basale dei fattori di rischio per i pazienti in terapia standard risultava un compito eccezionale, che consentiva di mostrare gli effetti sinergici del regime di riduzione dei rischi multifatto-riale. I rispettivi bracci di trattamento intenso hanno raggiunto più dell’1% di differenza assoluta per la HbA1c, una pressione sistolica infe-riore di 14,2-mmHg e trigliceridi nel plasma con valore circa 145 mg/dL. Per ciascuna di queste tre diverse questioni ossia un’ulteriore riduzione della pressione, della glicemia o dei trigliceridi, malgrado le terapie più intensive, il risultato clinico primario e composito non è stato significati-vamente ridotto, come valutato in un editoriale su Circulation.117

Ipoglicemia. Evitare l’ipoglicemia e i suoi possibili effetti cerebrali è lo scopo principale di un vigoroso controllo glicemico. Meno conside-rato spesso è il fatto che una carenza cognitiva preesistente può predi-sporre all’ipoglicemia perché una scarsa funzione cognitiva aumenta il rischio di severa ipoglicemia in pazienti affetti da diabete di tipo 2. I medici dovrebbero considerare la funzione cognitiva dei propri pa-zienti al momento di valutare se una sicura autogestione del diabete è realisticamente possibile.118,119

Poiché il controllo della pressione e dei lipidi nel sangue riduce in maniera indipendente gli eventi maggiori e la mortalità nei pazienti con diabete di tipo 2, un obiettivo logico sarebbe un intenso intervento multifattoriale, mediante farmaci per il controllo della glicemia, della pressione e dei grassi, con una modifica importante dello stile di vita, come è avvenuto nello studio Steno-2 che è durato più di 13,3 anni.120 Inoltre, durante lo studio sono stati somministrati gli ACE inibitori o gli

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ARB con lo scopo di prevenire la progressione della microalbuminuria, oltre all’ASA in basso dosaggio come prevenzione primaria. La terapia intensiva rispetto a quella convenzionale ha ridotto il rischio assoluto di morte, l’endpoint primario, del 20%, gli eventi cardiovascolari del 29% e la dialisi del 6,3%. Probabilmente, i benefici principali sono stati raggiunti dalle statine (colesterolo LDL 83 mg/dL) e dai farmaci iper-tensivi (pressione 131/73 mmHg), seguiti dai farmaci ipoglicemizzanti (HbA1c 7,9%) e dall’ASA. Sebbene i dati osservazionali sostengano che per ciascuna riduzione dell’1% del valore HbA1c vi sia stata una riduzione del 14% dell’infarto miocardico, una riduzione del 37% degli eventi microvascolari e del 21% di riduzione dei decessi correlati al diabete,121 gli studi clinici ACCORD e Steno-2 forniscono prove contra-rie a un controllo troppo vigoroso del carico glicemico. Nel diabete di tipo 2 un valore di HbA1c del 7-7,9% sembra ragionevole,122 sebbene in un ampio studio la lenta riduzione al 6,9% risultasse associata a bene-fici sugli esiti, particolarmente se in combinazione con il controllo della pressione (si veda il paragrafo successivo). I benefici di uno stretto controllo del colesterolo LDL sono stati definiti dagli studi Steno-2 e CARDS,123 nonché da meta-analisi.124 ACCORD ci dirà invece se la pressione deve essere abbassata sotto i livelli raggiunti negli studi ADVANCE e Steno-2. Resta quindi ragionevolmente ipotizzabile che il controllo multifattoriale della glicemia, della pressione e dei lipidi sia la soluzione ideale.

Controllo microvascolare. Per ridurre il numero degli eventi microva-scolari, l’obiettivo è uno stretto controllo dell’iperglicemia, che pro-muove complicazioni microvascolari debilitanti agli occhi, ai nervi e ai reni. Nello studio ACCORD, la terapia intensiva non aveva ridotto il ri-

Glucosio

Glucosio

+NaNa+

INIBITORI

Tubulo collettore

Opie 2012

Figura 11-7 Sito di azione degli inibitori del riassorbimento del glucosio. Questi farmaci, non ancora ampiamente disponibili per l’uso clinico, inibi-scono il riassorbimento del glucosio mediante lo scambio sodio-glucosio nel tubulo collettore. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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schio di gravi effetti microvascolari, ma aveva ritardato la comparsa dell’albuminuria e alcuni eventi neuropatici, nonché le complicanze per la vista.125 Inoltre, sempre nello studio ACCORD a 4 anni la fre-quenza di progressione della retinopatia diabetica era passata da 10,4%, con terapia standard a 7,3%,con trattamento intensivo della glicemia, (OR, 0,67; p 5 0,003) con una diminuzione simile a quella ottenuta con il fenofibrato, utilizzato nella terapia intensiva della dislipidemia.126

Controllo micro e macrovascolare. Sia i micro che i macroeventi sono stati l’obiettivo dell’abbassamento della pressione e del controllo intensivo del carico glicemico in pazienti con diabete di tipo 2 di lunga durata.127 La terapia era composta da perindopril-indapamide e un re-gime a rilascio modificato di gliclazide (con HbA1c target , o 5 6,5%) per 11.140 partecipanti con diabete di tipo 2. Il trattamento combinato per l’abbassamento della pressione e il controllo intensivo della glicemia di routine sugli esiti micro e macrovascolari in pazienti con diabete di tipo 2 ha ridotto il rischio di nuove o peggiori nefropatie del 33% (CI 12-50%; p 5 0,005), la nuova comparsa di macroalbuminuria del 54% (35-68%; p , 0,0001), e la nuova microalbuminuria del 26% (17-34%). Il trattamento combinato era associato a una riduzione del 18% del ri-schio di morte per tutte le cause (p 5 0,04). Da tenere presente che questo grado di controllo è stato raggiunto su un periodo di 4,3 anni di follow up mentre l’immediata e disastrosa riduzione improvvisa della HbA1c nello studio ACCORD è avvenuta nel corso di settimane e mesi.

Diabete e malattia coronarica che richiedono un interventoPer ciò che concerne la prevenzione, come già detto, l’enfasi deve essere messa su uno stretto controllo della pressione e dei lipidi nel sangue. Sebbene genericamente consigliato, uno studio suggerisce che l’ASA a basso dosaggio può essere meno efficace di quanto previsto.128 Per quanto concerne l’intervento coronarico percutaneo (PCI), gli studi os-servazionali e di coorte suggeriscono che il diabete è un fattore di ri-schio per la trombosi dello stent, specialmente tra pazienti con malattie multivasali e lesioni complesse.129 In pazienti con diabete e malattia co-ronarica multivasale, il PCI con stent a eluizione di farmaco era risultato meno efficace del graft di bypass aorto-coronarico (CABG),130 invece fra i pazienti randomizzati l’angioplastica con palloncino era risultata infe-riore al CABG, quando si utilizzava un condotto arterioso.131

L’infarto miocardico acuto pone problemi particolari nel caso del paziente diabetico. È stato consigliato lo stretto controllo glicemico sia mediante il glucosio a basso dosaggio di insulina132 sia mediante far-maci orali.133 Lo studio clinico IMMEDIATE, che dava inizio al potassio-insulina-glucosio (GIK) in ambulanza, con dati positivi sugli esiti, sugge-risce che il regime GIK fornisca una protezione specifica per quei pazienti che non hanno il diabete, diminuendo l’entità dell’infarto.134

Diabete e insufficienza cardiacaRitorno del concetto di “adiposi cardiaca”. Uno stile di vita atero-geno può alla fine evocare come conseguenza una “adiposi car-diaca”.135 L’eccessivo tessuto adiposo, il poco esercizio e un eccesso di calorie porta a un aumento del livello degli FFA nel sangue. Questi, a loro volta, provocano una dispersione dell’ossigeno del miocardio136 e possono anche depositarsi nel cuore dei soggetti sovrappeso come trigliceridi.137 Il grasso dei cardiomiociti, ora misurato dalla spettrosco-pia con risonanza magnetica, ha una buona correlazione con l’indice di massa corporea e risulta di un valore alto perfino in caso di obesità senza complicazioni. Il cuore grasso viene associato a un imperfetto

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riempimento diastolico in obesi apparentemente asintomatici ed è più grave in presenza di intolleranza al glucosio o diabete.135 A supporto del legame lipidi-cuore, un marcato aumento degli FFA nel sangue e dei trigliceridi nel miocardio, dopo soli 3 giorni di una dieta a bassis-simo apporto calorico, sono stati associati a una diminuzione della funzione diastolica.138

Steatosi del miocardio. A livello metabolico, negli individui con in-sufficienza cardiaca è presente un aumento della quantità di triglice-ridi del miocardio.139 Ne consegue che i dati complessivi supportano l’esistenza di una cardiomiopatia da diabete con insufficienza car-diaca diastolica nei soggetti affetti da diabete di tipo 2. L’origine è multifattoriale, ma contribuiscono anche ipertensione e malattia coro-narica. Ogni qualvolta viene stabilita un’insufficienza cardiaca, il carico di acidi grassi adrenergici ha ottime possibilità di peggiorare la situa-zione, e, di conseguenza, di richiedere la terapia del β-bloccaggio in-sieme al controllo della pressione sanguigna.140 In contrasto con que-sto, nel diabete di tipo 1, l’influenza dell’ipertensione e della malattia coronarica è molto inferiore, quindi si è in presenza di una cardiomio-patia “puramente” metabolica che deriva dall’aumento degli acidi grassi in caso di diabete scarsamente controllato.141 Quest’ultimo ge-nera un aumento dell’assorbimento degli FFA tossici da parte del miocardio, la dispersione dell’ossigeno mitocondriale e un aumento del rischio di insufficienza cardiaca sistolica. In questi casi, uno stretto controllo del diabete ha una funzione preventiva.139

Prevenzione dell’insufficienza cardiaca? Nel diabete di tipo 2, uno stretto controllo glicemico può prevenire una successiva insufficienza cardiaca? No, dice un’analisi su 37.229 pazienti. 142 Inoltre, un controllo glicemico intensivo con i TZD sembrava addirittura avere aumentato il rischio di insufficienza cardiaca. In modo ancora più sorprendente e inspiegabile, in una piccola coorte affetta da insufficienza cardiaca estremamente avanzata e diabete di tipo 2, un livello più elevato di HbA1c sembrava essere associato a esiti maggiormente protettivi.143

Tiazolidindioni e insufficienza cardiaca. Una serie di meta-ana-lisi66,89,144-147 ha confermato una maggiore incidenza di insufficienza cardiaca congestizia (CHF), che è un effetto secondario dei tiazolidin-dioni ben noto in passato.90 Nello studio ADOPT, il rosiglitazone risul-tava associato a un numero maggiore di eventi cardiovascolari, e speci-ficamente a insufficienza cardiaca e fratture ossee in quantità superiori a quelle da trattamento con il gliburide, appartenente alla famiglia delle sulfoniluree,148 nonché a insufficienza cardiaca in proporzione superiore rispetto al trattamento con pioglitazone.84 Per l’insufficienza cardiaca congestizia è stato proposto il meccanismo secondo cui il PPAR-γ agisce sul nefrone distale per promuovere la ritenzione di sodio e di liquidi.149 Questo fenomeno, in presenza di un’insufficienza car-diaca incipiente indotta da lipidi,137 provoca un peggioramento dell’in-sufficienza cardiaca congestizia.144 Il problema ha procurato ampie e diffuse preoccupazioni, che hanno indotto la FDA a inserire un messag-gio di allerta bene in evidenza sul farmaco, in cui appunto si fa riferi-mento alla possibile insufficienza cardiaca che i tiazolidindioni pos-sono provocare.

Tiazolidindioni e infarto del miocardio. Le meta-analisi di Nissen e Singh,89,147 che si sono concentrate sul rosiglitazone, hanno anche messo in evidenza un incremento dell’infarto del miocardio. Invece, il pioglitazone, sebbene rilevato come responsabile dell’aumento dell’in-sufficienza cardiaca congestizia, è stato associato a una minore morta-lità e a un minor numero di infarti miocardici e di ictus.85,145 Un ampio studio canadese di coorti con controllo dei casi in retrospettiva, ese-guito su un’intera popolazione di adulti molto avanti con gli anni e af-fetti da diabete, ha confermato che la monoterapia con il rosiglitazone,

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piuttosto che il pioglitazone, aumentava l’incidenza di insufficienza cardiaca e infarto del miocardio.88 Allo stesso modo, in un database di ricerca e medicina di base generale del Regno Unito, che compren-deva 91.521 persone con una media di follow-up di 7,1 anni, il pioglita-zone era associato a una riduzione della mortalità per tutte le cause rispetto a metformina e rosiglitazone.67 L’aumento degli infarti miocar-dici da rosiglitazone potrebbe essere correlato ai cambiamenti del profilo lipidico precedentemente rivisti.73,86 Delle 11 linee guida sulla qualità, 10 concordavano sul fatto che i TZD, come gruppo, sono asso-ciati a una maggiore frequenza di edemi e insufficienza cardiaca con-gestizia, rispetto ad altri farmaci di somministrazione orale per il tratta-mento del diabete di tipo 2.69 In uno studio clinico su 224 pazienti affetti da diabete di tipo 2 e insufficienza cardiaca di classe I o II, il ro-siglitazone ha migliorato il controllo glicemico senza compromettere la funzionalità del ventricolo sinistro, pur in presenza di un numero maggiore di eventi correlati ai liquidi (dispnea, edema).150

1. Sindrome metabolica. La sindrome metabolica è un feno-meno in rapida crescita a livello mondiale. Coinvolge il rischio di diabete di tipo 2, nonché di malattie cardiovascolari. Per prevenire la transizione a queste due malattie, la terapia ideale consiste in un cambiamento radicale e intensivo dello stile di vita. In caso di insuc-cesso, e quando indicato, è necessario considerare l’utilizzo di metformina e altri farmaci per controllare l’ìpertensione e la dislipi-demia. In vista dell’aumento del noto rischio di nuovi casi di dia-bete a causa dei β-bloccanti e dei diuretici utilizzati per la terapia dell’ipertensione, e dato che questi nuovi casi di diabete costitui-scono il rischio principale della sindrome metabolica, sembra pru-dente preferire una terapia per l’ipertensione a base di ACE inibitori o di ARB, con un basso dosaggio di diuretici, come necessario, salvo i casi in cui non vi siano stringenti indicazioni per l’utilizzo dei β-bloccanti.

2. Malattia cardiovascolare. Nel diabete di tipo 2 già diagnosti-cato vi è un aumento del rischio delle malattie coronariche e di complicanze cerebrali. La chiave della prevenzione è costituita da uno stretto controllo della pressione e dei lipidi. Il ruolo di uno stretto controllo della glicemia non è ancora ben definito e anzi è piuttosto controverso, per via dell’interruzione di questo braccio dello studio ACCORD. Inoltre, è necessario enfatizzare i vantaggi cardiovascolari della perdita di peso e dei farmaci antidiabetici che la promuovono.

3. Malattia arterio-coronarica multivasale. La malattia arte-rio-coronarica multivasale nel diabete di tipo 2 spesso necessita di una valutazione per l’intervento. Tra i pazienti con malattie multiva-sali e lesioni complesse, l’intervento coronarico percutaneo (PCI) ha meno successo di quanto avvenga per i non diabetici e vi è un ampio margine per il graft di bypass aorto- coronarico (CABG) con utilizzo di un condotto arterioso.

4. Controllo glicemico. Per ottenere il controllo glicemico, le li-nee guida del 2012 suggeriscono di iniziare con la metformina, se-guita da una delle cinque possibili opzioni di scelta per le combina-zioni: sulfoniluree, TZD (tiazolidindioni), inibitori della DPP-4, agonisti del recettore del GLP-1 oppure insulina. Oggi le sulfoniluree vengono scelte molto meno rispetto al passato. Tuttavia, esistono pochi studi clinici comparativi di lungo termine; di conseguenza, non è facile scegliere il migliore farmaco da combinare con l’insu-

RIEPILoGo

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Ringraziamenti Un sentito ringraziamento al Dr. John M. Miles, MD, Mayo Clinic per il suo prezioso aiuto e la sua esperienza.

lina. Tra le combinazioni, le linee guida del 2012 consigliano un agonista del GLP-1 o l’insulina; maggiore è il valore relativo alla HbA1c, più importante è la necessità dell’insulina. Passando al terzo farmaco, uno dei cinque non ancora utilizzati potrebbe essere il passo successivo, ma spesso si preferisce l’insulina.

5. TZD (tiazolidindioni). I TZD migliorano la sensibilità insuli-nica con un costo importante in termini di effetti collaterali: au-mento di peso, edema, fratture ossee e insufficienza cardiaca. Tutta-via, rientrano tra le 5 scelte delle linee guida, dopo la metformina. Mentre il pioglitazone risulta associato a un miglioramento dei pro-fili lipidici, il rosiglitazione ha gli effetti contrari, quindi il suo utilizzo è attualmente ristretto. Per spiegare l’insufficienza cardiaca è stato proposto il meccanismo della ritenzione dei liquidi, in aggiunta a un’insufficienza cardiaca diastolica diabetica causata dal sovracca-rico di grassi. L’attuale proposta per la quale l’eccesso di tessuto adiposo può portare a un’insufficienza cardiaca clinica richiede ulteriori studi, tra cui la convalida da parte di efficaci strategie di trattamento.

6. Agenti che agiscono sul sistema delle incretine. Si tratta di un’area della ricerca estremamente attiva, che, attualmente, vede circa 73.500 pazienti arruolati in ben 9 studi clinici di grossissime proporzioni. Il GLP-1 è un naturale ormone post-prandiale che viene secreto dall’intestino in risposta al pasto. Stimola il rilascio di insu-lina da parte del pancreas. Questi effetti terapeutici vengono poten-zialmente amplificati inibendo la sua scissione da parte degli appo-siti inibitori della DPP-4 o dagli agonisti che agiscono sul recettore pancreatico (exenatide, liraglutide e altri). In pazienti che hanno delle difficoltà a controllare il diabete di tipo 2, che assumono già la metformina o altri ipoglicemizzanti orali, l’aggiunta di questi far-maci presenta un vantaggio sull’insulina. In vista di un migliore controllo del peso e dei lipidi rispetto a quello ottenuto con le sul-foniluree e di una diminuzione dell’insufficienza cardiaca rispetto a quanto avviene con i tiazolidindioni, la tendenza corrente è quella di utilizzare l’exenatide o il liraglutide dopo avere introdotto sostan-ziali modifiche allo stile di vita e avere assunto la metformina. La formulazione di exenatide una volta a settimana ha ricevuto l’ap-provazione della FDA.

7. Controllo glicemico: stretto sì, ma quanto? Gli studi osser-vazionali hanno suggerito riduzioni delle complicazioni diabetiche, sia micro che macrovascolari, mediante uno stretto controllo della glicemia e della pressione sanguigna, con studi sugli esiti che so-stengono un drastico abbassamento del colesterolo LDL. ACCORD si oppone al controllo strettissimo della HbA1c, almeno per quei pa-zienti con diabete diagnosticato e a elevato rischio cardiovascolare. L’abbassamento della pressione sanguigna a meno di 140/90 mmHg viene ampiamente sostenuto da due studi clinici sugli esiti (ADVANCE e Steno-2) ma un controllo estremamente severo della pressione non ha sortito benefici per gli esiti nello studio ACCORD. Le linee guida suggeriscono uno strettissimo controllo per pazienti più giovani alla comparsa della malattia, per prevenire complica-zioni microvascolari. Complessivamente, l’approccio su più fattori rimane quello ideale.

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