Sindrome da lisi tumorale - progetto ROL · efficace metodica d’imaging, con elevata sensibilità...

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Pagina 1 di 54 Sindrome da lisi tumorale Descrizione della patologia - Serie di anormalità metaboliche che derivano dalla distruzione acuta delle cellule neoplastiche con il conseguente rilascio delle sostanze intracellulari nel circolo, come acido urico, potassio e fosfati, in seguito a trattamento oncologico. A seconda dei fattori di rischio del paziente e del tipo di neoplasia, l’incidenza della TLS può variare dal 3 al 20%. Le complicanze più serie della TLS sono l’insufficienza renale, con una incidenza riportata del 25-38%, e la morte, nel 5-14% dei casi. - Si verifica soprattutto in neoplasie bulky altamente chemio sensibili come linfomi ad alto grado, leucemie con alte conte di blasti, tumori germinali, microcitomi e sarcomi). Fattori di rischio dell’insorgenza della TLS, oltre all’istotipo ed all’estensione della malattia oncologica (carico della massa tumorale >10 cm), sono il riscontro di elevati valori pretrattamento di acido urico, LDH, creatinina, urea e potassio oppure di PH urinario acido in campione urinario concentrato.. Principali squilibri metabolici e sintomi - Iperuricemia per aumentato catabolismo di RNA e DNA, conseguente all’apoptosi cellulare indotta dai chemioterapici. L’iperuricemia è l’anomalia metabolica più comune nella TLS. La precipitazione dell’acido urico in eccesso nell’ambiente acido dei tubuli renali distali può essere causa di insufficienza renale acuta. L'iperuricemia può provocare anche episodi acuti di gotta e sintomi di letargia, nausea e vomito.; - Iperfosfatemia per rilascio di fosfati da parte delle cellule neoplastiche, inizialmente compensata dall’aumentata escrezione renale degli stessi. All’aumentare della concentrazione, i fosfati si combinano con il calcio e precipitano nei tubuli renali e nei tessuti molli con conseguente sviluppo di insufficienza renale; - Ipocalcemia che clinicamente si può manifestare con agitazione, tetania e dolore osseo. Anche la precipitazione di cristalli di fosfato di calcio nei reni può provocare vari gradi di disfunzione renale, aumento dell’azotemia, oliguria e anuria. - Iperpotassiemia dovuta al rilascio del potassio in circolo dalle cellule lisate. Rappresenta lo squilibrio metabolico più pericoloso dal punto di vista clinico, per la comparsa di aritmie cardiache anche gravi con rischio di morte del paziente. Elevati livelli sierici di potassio si accompagnano anche a sintomi gastrointestinali, letargia, debolezza muscolare e parestesie. Tali squilibri metabolici, che complicano il trattamento di tumori a rapida velocità di proliferazione, chemiosensibili e con vasta estensione di malattia, possono causare come evento finale insufficienza renale grave e morte. Trattamento Trattamento profilattico risulta essere l’atteggiamento terapeutico più importante prima dell’inizio della chemioterapia, dopo identificazione dei pazienti a rischio per sindrome da lisi tumorale. Il trattamento comprende: - allopurinolo (inibitore della xantinossidasi che blocca la trasformazione delle xantine e delle ipoxantine in acido urico). La terapia deve essere iniziata almeno 24 ore prima dell’avvio del trattamento citotossico, effettuando comunque un’abbondante idratazione per evitare la formazione a livello tubulare di cristalli di xantina. Riduce la secrezione di chemioterapici (purine) quali la 6-mercaptopurina e l’azatioprina, con la necessità di ridurre il dosaggio di tali farmaci se somministrati in contemporanea. L’allopurinolo deve essere somministrato per via orale alla dose di 300 mg 1 cp/die. - idratazione per via endovenosa, abbondante. Devono essere infusi nelle 24 ore almeno 2000 cc di soluzione fisiologica 0.9%, con stretto monitoraggio del bilancio urinario, al fine di ottenere un abbondante flusso urinario che permetta l’escrezione di acido urico e fosfati attraverso l’aumento del volume intravascolare, del flusso sanguigno a livello renale e della filtrazione glomerulare. L’utilizzo dei diuretici può essere necessario per mantenere un’adeguata diuresi, ma l’utilizzo di tali farmaci è controindicato in caso di ipovolemia o di uropatia ostruttiva. - alcalinizzazione delle urine (pH 7.0 - 7.5) con sodio bicarbonato che aumenta la solubilità dell’acido urico e riduce la precipitazione intratubulare di urati. L’alcalinizzazione delle urine non aumenta in modo sostanziale la solubilità delle xantine e delle ipoxantine. Nei casi in cui tali metaboliti siano abbondanti,

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Sindrome da lisi tumorale

Descrizione della patologia - Serie di anormalità metaboliche che derivano dalla distruzione acuta delle cellule neoplastiche con il conseguente rilascio delle sostanze intracellulari nel circolo, come acido urico, potassio e fosfati, in seguito a trattamento oncologico. A seconda dei fattori di rischio del paziente e del tipo di neoplasia, l’incidenza della TLS può variare dal 3 al 20%. Le complicanze più serie della TLS sono l’insufficienza renale, con una incidenza riportata del 25-38%, e la morte, nel 5-14% dei casi. - Si verifica soprattutto in neoplasie bulky altamente chemio sensibili come linfomi ad alto grado, leucemie con alte conte di blasti, tumori germinali, microcitomi e sarcomi). Fattori di rischio dell’insorgenza della TLS, oltre all’istotipo ed all’estensione della malattia oncologica (carico della massa tumorale >10 cm), sono il riscontro di elevati valori pretrattamento di acido urico, LDH, creatinina, urea e potassio oppure di PH urinario acido in campione urinario concentrato..

Principali squilibri metabolici e sintomi - Iperuricemia per aumentato catabolismo di RNA e DNA, conseguente all’apoptosi cellulare indotta dai chemioterapici. L’iperuricemia è l’anomalia metabolica più comune nella TLS. La precipitazione dell’acido urico in eccesso nell’ambiente acido dei tubuli renali distali può essere causa di insufficienza renale acuta. L'iperuricemia può provocare anche episodi acuti di gotta e sintomi di letargia, nausea e vomito.; - Iperfosfatemia per rilascio di fosfati da parte delle cellule neoplastiche, inizialmente compensata dall’aumentata escrezione renale degli stessi. All’aumentare della concentrazione, i fosfati si combinano con il calcio e precipitano nei tubuli renali e nei tessuti molli con conseguente sviluppo di insufficienza renale; - Ipocalcemia che clinicamente si può manifestare con agitazione, tetania e dolore osseo. Anche la precipitazione di cristalli di fosfato di calcio nei reni può provocare vari gradi di disfunzione renale, aumento dell’azotemia, oliguria e anuria. - Iperpotassiemia dovuta al rilascio del potassio in circolo dalle cellule lisate. Rappresenta lo squilibrio metabolico più pericoloso dal punto di vista clinico, per la comparsa di aritmie cardiache anche gravi con rischio di morte del paziente. Elevati livelli sierici di potassio si accompagnano anche a sintomi gastrointestinali, letargia, debolezza muscolare e parestesie. Tali squilibri metabolici, che complicano il trattamento di tumori a rapida velocità di proliferazione, chemiosensibili e con vasta estensione di malattia, possono causare come evento finale insufficienza renale grave e morte.

Trattamento Trattamento profilattico risulta essere l’atteggiamento terapeutico più importante prima dell’inizio della chemioterapia, dopo identificazione dei pazienti a rischio per sindrome da lisi tumorale. Il trattamento comprende: - allopurinolo (inibitore della xantinossidasi che blocca la trasformazione delle xantine e delle ipoxantine in acido urico). La terapia deve essere iniziata almeno 24 ore prima dell’avvio del trattamento citotossico, effettuando comunque un’abbondante idratazione per evitare la formazione a livello tubulare di cristalli di xantina. Riduce la secrezione di chemioterapici (purine) quali la 6-mercaptopurina e l’azatioprina, con la necessità di ridurre il dosaggio di tali farmaci se somministrati in contemporanea. L’allopurinolo deve essere somministrato per via orale alla dose di 300 mg 1 cp/die. - idratazione per via endovenosa, abbondante. Devono essere infusi nelle 24 ore almeno 2000 cc di soluzione fisiologica 0.9%, con stretto monitoraggio del bilancio urinario, al fine di ottenere un abbondante flusso urinario che permetta l’escrezione di acido urico e fosfati attraverso l’aumento del volume intravascolare, del flusso sanguigno a livello renale e della filtrazione glomerulare. L’utilizzo dei diuretici può essere necessario per mantenere un’adeguata diuresi, ma l’utilizzo di tali farmaci è controindicato in caso di ipovolemia o di uropatia ostruttiva. - alcalinizzazione delle urine (pH 7.0 - 7.5) con sodio bicarbonato che aumenta la solubilità dell’acido urico e riduce la precipitazione intratubulare di urati. L’alcalinizzazione delle urine non aumenta in modo sostanziale la solubilità delle xantine e delle ipoxantine. Nei casi in cui tali metaboliti siano abbondanti,

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come dopo terapia con allopurinolo, è possibile che precipitino cristalli di xantina a livello dei tubuli renali, con una conseguente uropatia ostruttiva da xantine. Il quantitativo di bicarbonati è di almeno 150 mEq da infondere in infusione continua nelle 24 ore. I bicarbonati possono essere o aggiunti nell’idratazione di base o infusi separatamente in 500 cc di soluzione fisiologica 0.9%. Occorrerà un monitoraggio del pH urinario almeno due volte al giorno. La dose definitiva di bicarbonati dipenderà dal pH urinario. - rasburicase (Fasturtec) un urato ossidasi ricombinante in grado di convertire l’acido urico nella più solubile allantoina. Deve essere utilizzato in caso di sviluppo di iperuricemia in corso di trattamento con allopurinolo, oppure in pediatria. Ottiene una più rapida riduzione dell’acido urico rispetto ad allopurinolo e idratazione. Viene solitamente somministrato al dosaggio di 0.2 mg/kg/die una volta al giorno per via endovenosa. Possibile innalzamento degli enzimi epatici. Nel corso del periodo iniziale ad alto rischio - monitorare nel sangue i valori biochimici (creatinina, urea, sodio, potassio, fosfati, LDH, acido urico) ogni 24 ore - monitorare il bilancio idrico (fino a ogni 8 ore in caso di bulky mediastinici o presenza di patologie concomitanti come la sindrome della vena cava superiore o pazienti anziani o cardiopatici) - monitorare il peso corporeo quotidianamente In caso di iperpotassiemia iniziare trattamento con: - calcio gluconato, per ridurre il rischio di fibrillazione atriale (10 ml. di una soluzione al 10% in 3 - 5 min. e.v., ripetibile dopo 5 min in caso di potassiemia > 7 ed evidenti variazioni nell’ecg). Il calcio gluconato non è da usare assolutamente in caso di terapia o tossicità digitalica perché il Ca può aumentare gli effetti deleteri della digossina sul cuore. - insulina e soluzione glucosata, per facilitare l’assorbimento del potassio e del glucosio a livello intracellulare (10 U. di insulina regolare in 500 ml di soluzione glucosata al 10% in 60 min. oppure Insulina regolare 10 U.+ glucosio 50% 20 ml. e.v. in 5 min.). La durata d'azione e' di 4-6 ore. Se la glicemia e' elevata non e' necessaria la somministrazione di glucosio. - agonisti dei beta2-adrenergici, che promuovono il riassorbimento intracellulare del potassio. L’inalazione di un beta-agonista ad alte dosi come l'albuterolo (da 10 a 20 mg) in 10 minuti (a una concentrazione di 5 mg/ml) si è dimostrato efficace e sicuro nel trattamento dell'iperkaliemia. L'inizio dell'azione si verifica entro 30 minuti. La durata dell'effetto è di 2-4 h. - diuretici, che causano la perdita di potassio a livello renale - resine a scambio ionico, che promuovono lo scambio tra potassio e sodio a livello del tratto gastrointestinale (Kayexalate sospensione, 1 o 2 cucchiaini per os ai pasti o15 g in sorbitolo 1 o 2 volte die come clistere) L’utilizzo di agenti alcalinizzanti quali farmaci in grado di causare il passaggio temporaneo del potassio dall’ambiente extracellulare a quello intracellulare (somministrati in corso di sindrome da lisi tumorale anche per aumentare la solubilità dell’acido urico), è stato recentemente messo in discussione. In caso di insufficienza renale grave e/o di iperpotassiemia non responsiva al trattamento medico, può essere indicata la terapia dialitica.

Bibliografia Howard SC, Jones DP, Pui CH. The tumor lysis syndrome. N Engl J Med 364: 1844-54, 2011. Coiffier B, Altman A, Pui CH et al. Guidelines for the management of pediatric and adult tumor lysis syndrome.: an evidence based review. J Clin Oncol 26: 2767-2778, 2008. Pession A, Masetti R, Gaidano G et al. Risk evaluation, prophylaxis and treatment of tumor lysis syndrome: Consensus of an Italian Expert Panel. Adv Ther 28: 684-697, 2011. Cairo MS, Coiffier B, Reiter A et al. Recommendations for the evaluation of risk and prophylaxis of tumor lysis syndrome (TLS) in adults and children with malignant disease: an expert TLS panel consensus. Br J Haematol 149: 578-586, 2010.

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Howard SC et al. N Engl J Med 2011

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Sindrome della vena cava superiore

Descrizione della patologia - La sindrome della vena cava superiore (sindrome mediastinica) deriva dalla presenza a livello del mediastino di una lesione occupante spazio, che, in virtù dell’effetto massa, può interferire con la normale funzione degli organi ivi presenti. Tale quadro clinico può manifestarsi in modo differente a seconda delle dimensioni della lesione che ne è la causa e della sua velocità di crescita. In genere si osservano segni e sintomi di tipo compressivo, derivanti cioè dalla compressione esercitata dalla lesione sui diversi organi e strutture. In particolare si verifica un aumento della pressione venosa centrale nella parte superiore del corpo, dovuta all’ostruzione della vena cava superiore. - Le patologie oncologiche che più frequentemente causano una sindrome della vena cava superiore sono il microcitoma, il carcinoma del polmone non a piccole cellule, i linfomi, i tumori germinali, il carcinoma della mammella, i timomi, alcune forme di sarcomi. - La compressione della vena cava in corso di patologia tumorale è di solito dovuta allo sviluppo di masse a livello della parte centrale o anteriore del mediastino (linfoadenomegalie paratracheali destre o precarenali, tumori che si sviluppano a livello del bronco lobare superiore destro). - L’aumento della pressione venosa a livello della vena cava superiore causa la formazione di circoli collaterali, come vie alternative di scorrimento del flusso sanguigno, a livello delle vene azygos, intercostali, mediastiniche, paravertebrali, emiazygos, toracoepigastriche, mammarie interne, toracoacromioclavicolari e toraciche anteriori. - La severità dei sintomi è correlata al grado di ostruzione, alla possibilità di sviluppare circoli collaterali di compenso (prognosi peggiore per ostruzioni al di sotto dell’insorgenza delle vene azygos) ed alla rapidità d’insorgenza dell’ostruzione. - La sindrome della vena cava superiore è caratterizzata dalla comparsa di edema con aspetto “a mantellina”, confinato cioè alla parte alta del torace, al collo ed al volto. Si associa spesso alla comparsa di turgore giugulare (congestione delle grosse vene del collo che appaiono francamente dilatate) e di circoli venosi superficiali di aspetto reticolare confinati ai fianchi o nella stessa sede dell’edema. - Solo nelle forme più severe si assiste alla compromissione dell’attività cardiaca, con perdita della normale ritmicità del battito e della funzione di pompa del cuore. Si dice allora che il cuore “si scompensa” in quanto non più in grado di fornire all’organismo una quantità sufficiente di sangue per far fronte alle sue necessità.

Sintomi

Sindrome di Horner (ptosi palpebrale, enoftalmo, miosi, anidrosi)

Dispnea

Gonfiore facciale e senso di testa pesante

Tosse

Gonfiore alle braccia

Dolore toracico

Disfagia

Disfonia

Segni

Turgore delle vene giugulari

Dilatazione delle vene toraciche

Edema a mantellina

Cianosi cutanea

Pletora della faccia

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Valutazione e diagnosi per immagini - Esame fisico per la verifica dei sintomi che classicamente tendono a peggiorare a paziente supino (soprattutto il gonfiore facciale e la pletora). - Ecografia addome e torace da parte del medico d’urgenza. L’ecografia del mediastino rappresenta una efficace metodica d’imaging, con elevata sensibilità rispetto alla radiografia tradizionale in pazienti con masse mediastiniche ed è inferiore solo alla TC per certi compartimenti come il mediastino posteriore e la regione paravertebrale. Permette inoltre di valutare la presenza di versamento pleurico e/o pericardico. La biopsia eco guidata può essere una reale alternativa a quella TC guidata ed ancor più a quella eseguita in corso di mediastinoscopia. - TC del torace/addome/pelvi con contrasto esame fondamentale che permette di valutare la causa, il livello e l’estensione dell’ostruzione e la presenza di circoli collaterali. Inoltre, l’esame può permettere di identificare la sede più accessibile per la biopsia al fine di avere la diagnosi istologica. In caso di ostruzione significativa della vena cava superiore, l’esame permette anche di fornire un’indicazione al posizionamento di uno stent cavale. - RMN da effettuarsi solo nel caso non sia possibile somministrare il mezzo di contrasto iodato della TC, al fine di studiare il torace e le vene mediastiniche in pazienti che non possono essere sottoposti a TC con contrasto.

Trattamento - Il trattamento della sindrome della vena cava superiore dovuta a patologia oncologica dipende dall’eziologia del tumore, dall’estensione della malattia, dalla severità dei sintomi e dalla prognosi del paziente. - La terapia comprende sia trattamenti per il tumore che trattamenti volti a ridurre i sintomi da ostruzione che devono essere utilizzati dai curanti in modo flessibile tanto da permettere il miglioramento delle condizioni generali del paziente.

Trattamento sintomatico

Riconoscimento di sintomi gravi

- Se presenza di sintomi suggestivi di compromissione delle vie aeree (stridore respiratorio con evidenza TC di edema laringeo o ostruzione tracheale), posizionamento di tubo endotracheale per garantire la pervietà delle vie aeree. Compressione ab estrinseco delle vie aeree superiori, possono talvolta meglio giovarsi di una tracheotomia in cui il paziente continua a ventilare spontaneamente ma ha le vie aeree tenute pervie dalla protesi tracheostomica. - Se presenza di sintomi da edema cerebrale, mettere in atto tecniche rianimatorie con utilizzo dei di diuretici osmotici (mannitolo) e della sopraelevazione del capo. L’iperventilazione non è più raccomandata come trattamento di un edema cerebrale. Trattamento sintomatico standard - ossigenoterapia Al fine di ridurre la pressione a livello della parte superiore del corpo - diuretici (trattamento d’efficacia non comprovata da studi) come furosemide 1 fiala iv bolo una o due volte/die - posizionamento della testa sollevata rispetto al corpo - trattamento steroideo (efficace soprattutto in caso di linfoma o timoma) per ridurre l’edema e i sintomi associati. Solitamente utilizzato desametasone 8-12 mg in 100 cc soluzione fisiologica iv 30 minuti - trattamento anticoagulante indicato esclusivamente in presenza di accertata trombosi o compressione franca ab estrinseco della massa neoplastica: eparina a basso PM 100 U/Kg sottocute ogni 12 ore (la dose deve essere adattata in caso di rischi di sanguinamento). La somministrazione di eparine frazionate deve essere accompagnato da un controllo seriato delle piastrine ogni 2-3 giorni per 15-20 giorni al fine di evidenziare precocemente una trombocitemia indotta da eparina.

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In casi di sintomatologia grave, e/o in presenza di malattia neoplastica chemio resistente o in presenza di un trombo ostruente, indicazione a posizionamento di stent per via percutanea a livello dell’ostruzione della vena cava superiore. Dopo diagnosi istologica e la valutazione dell’estensione di malattia, indicazione frequente a trattamento della patologia neoplastica tramite chemioterapia e/o radioterapia. Radioterapia - deve essere effettuata nei casi di rischio di compressione/ostruzione completa della vena cava superiore e/o istologia chemio resistente. - efficace nel migliorare i sintomi in circa i ¾ dei pazienti con microcitoma ed in circa 2/3 dei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule. - risposta evidenziabile dopo 7-15 giorni, anche se primi segni di risposta dopo circa 72 ore. - rappresentando la sindrome della vena cava superiore un’urgenza, il trattamento radiante può essere avviato anche se il medico radioterapista non è ancora in possesso dell’esame istologico, previa valutazione collegiale della verosimile natura neoplastica della malattia mediastinica (per esempio, in presenza di marcatori tumorali specifici di patologia tumorale oncologica francamente patologici, come AFP, NSE, Beta-2-microglobulina). - l’avvio del trattamento è comunque esito di una discussione mutidisciplinare tra oncologo e radioterapista. - dose, frazionamento e volume da trattare vanno valutati dal medico radioterapista in funzione delle caratteristiche cliniche individuali. In caso di pregressa irradiazione mediastinica o toracica, la valutazione in merito alla fattibilità di un ritrattamento deve essere fatta caso per caso e deve prevedere adeguata conoscenza dei parametri tecnici della radioterapia precedentemente eseguita Chemioterapia - effettuata soprattutto in caso di neoplasie altamente chemiosensibili quali i linfomi, i tumori germinali ed il microcitoma, patologie nelle quali si ottiene un’elevata percentuale di risposta con una veloce e cospicua riduzione dimensionale della massa tumorale. - utilizzare gli schemi terapeutici previsti per le specifiche patologie, cercando di evitare, se possibile, una sindrome da lisi tumorale - l’aggiunta di radioterapia concomitante alla chemioterapia va discussa caso per caso (può essere effettuata, per esempio, nei microcitomi dopo un ciclo di chemioterapia). - Indicazione a trattamento radioterapico sequenziale va discussa sulla base dello stadio e dell’istologia (neoplasie germinali, linfomi) Bibliografia Wilson LD, Detterbeck FC, Yahalom J. Superior vena cava syndrome. with malignant causes. N Engl J Med 356:1862 – 1869, 2007 Mc Curdy MT, Shanholtz CB. Oncologic emergencies. Crit Care Med 40: 2212 – 2222, 2012. Wan JF, Bezjak A. Superior vena cava syndrome. Hematol Oncol Clin N Am 24: 501-513, 2010. Halfdanarson TR, Hogan WJ, Moynihan J. Oncologic emergencies: diagnosis and treatment. Mayo Clin Proc 81: 835-848, 2006.

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Wilson LD et al. N Engl J Med 2007

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Ipercalcemia

Descrizione della patologia

Definizione Si definisce ipercalcemia la condizione in cui i livelli sierici di calcio totale superano i 10.5 mg/dL (o quelli del calcio ionizzato 5.5 mg/dL).

Epidemiologia In generale l’ipercalcemia può essere riscontrata nel 10-20% di tutti i pazienti neoplastici. Il riscontro di ipercalcemia in un paziente oncologico deve essere posto in diagnosi differenziale con le altre cause comuni di ipercalcemia (iperparatiroidismo primitivo, uso di diuretici tiazidici, malattie granulomatose ecc.) (Tab 1). La neoplasia ematologica che più frequentemente induce ipercalcemia è il mieloma (20-40%), accanto ai linfomi (in particolare la leucemia/linfoma a cellule B dell’adulto), e si può osservare anche durante il decorso delle leucemie acute (nelle fasi avanzate di malattia ematologica l’ipercalcemia può manifestarsi nel 30-40% dei casi) (Tab.1). I tumori associati ad ipercalcemia umorale sono generalmente estesi e riscontrabili facilmente (con l'eccezione di neoplasie neuroendocrine come i tumori insulari e il feocromocitoma). Tab.1 - Comuni cause di ipercalcemia

- Iperparatiroidismo

- Neoplasie maligne

- Diuretici tiazidici

- Immobilizzazione

- Sarcoidosi

- Ipercalcemia ipocalciurica familiare

- Tireotossicosi

- Intossicazione da vitamina D

- Insufficienza surrenale

- -

Ipotiroidismo Trapianto di rene

Sindrome latte/alcali

Eziopatogenesi Esistono diversi modelli eziopatogenetici, a seconda della causa dell'ipercalcemia in corso di neoplasia. Nei pazienti con metastasi ossee lo sviluppo di ipercalcemia è determinato dal rilascio di calcio e fosfati nelle sedi di osteolisi (in particolar modo nei linfomi). La causa più comune di osteolisi e ipercalcemia nei pazienti oncologici è la produzione di proteine correlate al paratormone (parathyroid hormone-related pepide, PTHrP) da parte delle cellule tumorali (ipercalcemia umorale), più frequentemente in caso di carcinoma polmonare a cellule squamose e mammario. Più rara è la produzione ectopica di paratormone. L’attivazione di recettori nucleari fattore K ligandi (RANKL) permette la differenziazione, l’attivazione e la sopravvivenza degli osteoclasti e ha un ruolo nell’assorbimento mediato del paratormone da parte del tessuto osseo. Nuovi farmaci (denosumab) sono a disposizione per il blocco di tali recettori.

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In corso di mieloma multiplo il rimaneggiamento osseo avviene attraverso la produzione da parte delle cellule neoplastiche di Osteoclast Activating Factor (OAF), che promuove l’attività osteoclastica; altri fattori che promuovono tale meccanismo sono IL1-beta, TNF-alfa, TNF-beta, IL6, il recettore solubile di IL6. Nelle neoplasie vi può essere inoltre un aumento del calcitriolo, che stimola l’assorbimento del calcio a livello intestinale.

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Tab.2 - Tipi di ipercalcemia oncologica

Tipo Frequenza (%) Metastasi ossee

Agente causale Neoplasie tipiche

Ipercalcemia osteolitica locale

20 Comuni, estese

Citochine, chemochine, PTHrP

Cancro mammario, mieloma multiplo, linfoma

Ipercalcemia umorale neoplastica

80 Minime o assenti

PTHrP Carcinoma a cellule squamose (es. della testa, del collo, esofago, cervice uterina, polmone), cancro renale, ovarico, endometriale, mammario, linfoma HTLV-associato

Linfomi secernenti 1.25(OH)2D

<1 Variabili 1.25(OH)2D Linfomi

Iperparatiroidismo ectopico

<1 Variabili PTH Variabili

PTHrP= parathyroid hormone-related pepide, PTH=parathyroid hormone, 1.25(OH)2D=1,25diidrossivitaminaD,

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Quadro clinico Dipende dai livelli di calcio e dalle modalità di insorgenza. Un aumento rapido dei livelli di calcemia frequentemente provoca sintomi neurologici che vanno dai disturbi di personalità (agitazione psicomotoria iniziale, depressione, letargia, sonnolenza) al coma. I pazienti anziani con preesistenti disfunzioni neurologiche o cognitive possono presentare un severo peggioramento con ipercalcemia moderata. La somministrazione di sedativi o narcotici può peggiorare la risposta neurologica all'ipercalcemia. Un aumento più lento invece provoca sintomi quali nausea, vomito, poliuria, polidipsia, perdita della memoria e riduzione dell’intervallo QT all’ECG. Un aumento rapido della calcemia o un’esposizione cronica dei tubuli renali ad aumentati livelli sierici di calcio possono determinare una riduzione della filtrazione glomerulare e del flusso ematico renale, risultanti in un’insufficienza renale acuta. La comparsa di uno qualunque di questi sintomi deve far sospettare al presenza di ipercalcemia; il medico in emergenza dovrebbe in ogni caso porre particolare attenzione a quei pazienti neoplastici con letargia, disturbi mentali o simil-psichiatrici. I pazienti possono inoltre presentare sintomi di condizioni che possono essere causate direttamente o indirettamente dall'ipercalcemia (ad esempio dolore addominale associato a pancreatite acuta, colica ureterale secondaria a calcoli renali o pseudogotta associata a condrocalcinosi). Tab 3 - Segni e sintomi acuti più frequentemente associati ad ipercalcemia

Apparato/sistema

Segni e sintomi

Cute Prurito

Nervoso Astenia, debolezza muscolare, agitazione psicomotoria, psicosi, allucinazioni, deliri, letargia, iporeflessia, apatia, disturbi sensitivi, stupore, coma

Urinario Poliuria, polidipsia, insufficienza renale, colica ureterale

Gastro intestinale

Anoressia, nausea, vomito, costipazione, dolore addominale

Cardio vascolare

Ipertensione, aritmie (bradicardia, blocco AV), arresto cardiaco improvviso

Muscolo scheletrico

Artrite acuta (pseudogotta)

Diagnostica di laboratorio La diagnosi è confermata da elevati livelli sierici di calcio totale (>10.5 mg/dL) o di calcio ionizzato (>5.5 mg/dL). Sopra i 14 mg/dL è considerata ipercalcemia severa. Il 45% del calcio sierico è legato alle sieroproteine (albumina e globuline); la forma ionizzata, metabolicamente attiva, rappresenta il 55%. Nei pazienti con ipoalbuminemia i valori di calcemia sono da correggere in base all’albuminemia. Esistono formule per il calcolo del calcio ionizzato anche se non sempre precise ed attendibili: Aggiungere 0.8 mg per decilitro al livello di calcio totale per ogni 1 g per decilitro di albumina sierica al di sotto del livello di 3.5 g per decilitro Aggiungere (40 – albumina sierica) X 0.025 ai livelli di calcio totale sierico Molto meglio è ottenere valori di calcio ionizzato direttamente calcolato dal laboratorio.

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Poiché una quota di calcio è legata alle globuline plasmatiche (anche se con minore affinità rispetto all'albumina), in alcuni casi di mieloma può essere riscontrata una falsa ipercalcemia. Una calcemia superiore a 14 mg/dL costituisce un’emergenza medica. Nei casi di ipercalcemia cronica è possibile riscontrare livelli sierici di calcio superiori a 15 mg/dL, ma associati a sintomi lievi; viceversa in caso di rapido aumento della calcemia è possibile vedere pazienti in coma con livelli compresi tra 12 e 13 mg/dL. Pazienti con ipercalcemia resistente, con o senza localizzazioni ossee, possono presentare livelli misurabili di PTH; alcune caratteristiche possono suggerire la presenza di secrezione ectopica di PTH (calcemia 14 mg/dL, bassi livelli di 1,25-diidrocalciferolo, nefrolitiasi), tuttavia l'iperparatiroidismo ectopico è estremamente raro, mentre non lo è la forma primitiva, anche nei pazienti oncologici. Altri esami di laboratorio utili sono il dosaggio degli elettroliti sierici, inclusi fosforo e cloro, e della fosfatasi alcalina (come marcatore di turnover osseo); il PTHrP può essere richiesto nei casi in cui l'percalcemia umorale tumorale non sia diagnosticabile in base al quadro clinico o quando la causa dell'ipercalcemia sia oscura; il dosaggio del 1,25(OH)2D deve essere effettuato nel sospetto di malattia granulomatosa, o di linfoma 1,25(OH)2D-secernente.

Trattamento I principi generali comprendono il trattamento della patologia sottostante, una corretta idratazione, la stimolazione dell'escrezione urinaria di calcio, la riduzione della mobilizzazione del calcio dal tessuto osseo e la riduzione dell'introito di calcio (Tab 4). Devono essere sospesi farmaci potenzialmente ipercalcemizzanti (diuretici tiazidici, litio, calcitriolo, anti-infiammatori non steroidei), narcotici, sedativi.

Idratazione I pazienti si presentano tipicamente disidratati per difetto del riassorbimento tubulare renale con la conseguente perdita di liquidi e/o per assunzione di un ridotto introito di liquidi per via orale,. L'idratazione costituisce quindi il primo intervento. Nei pazienti asintomatici con calcemia <12.5mg/dL può essere sufficiente un aumento dell'idratazione orale (2-4 litri al dì). Nei pazienti sintomatici con calcemia >12.5 mg/dL è necessario monitoraggio elettrocardiografico e idratazione tramite somministrazione parenterale di liquidi (125-300 ml di soluzione fisiologica per ora). Diuretici dell’ansa L'idratazione parenterale va associata a somministrazione endovenosa di diuretici dell'ansa per stimolare l'escrezione urinaria di calcio (es. furosemide al dosaggio di 20-80 mg ev ogni 6 ore), con controllo dei livelli di magnesio e potassio (per possibile ipokaliemia e ipomagnesiemia da diuresi forzata). Fosfati

Si somministrano fosfati per os nei casi di ipofosfatemia ( 3.0 mg/dL). L’ipofosfatemia si riscontra facilmente in corso di ipercalcemia (per l'utilizzo di diuretici dell’ansa, l'effetto fosfaturico del PTHrP, il trattamento con la calcitonina e con gli antiacidi). La presenza di ipofosfatemia rende più difficoltoso il trattamento dell’ipercalcemia. Glicocorticoidi L'utilizzo di prednisone (1-2 mg/Kg/die) può ridurre il riassorbimento osseo di calcio nel caso di mieloma multiplo e linfomi; l'effetto si attua nel giro di alcuni giorni. Calcitonina Il trattamento con calcitonina è efficace rapidamente alla dose di 100-400 UI/sc ogni 6 ore. Tale effetto spesso è transitorio; può insorgere tachifilassi. Difosfonati Le molecole più utilizzate sono: il pamidronato (30-90 mg/die ev in 2 ore ogni 3 settimane), il disodioclodronato (300-600 mg/die ev in 3 ore per 5 giorni, seguiti da somministrazione di 100 mg im una volta la settimana), lo zoledronato (monosomministrazione di 4 mg ev in 15 min), con lieve maggiore efficacia ma di maggiore costo.

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Emodialisi Se la diuresi è ridotta e non si ottiene l'effetto previsto entro alcune ore, il trattamento di scelta è l'emodialisi presso un centro specializzato. Il bagno dialitico deve essere senza calcio o con piccole dosi, a seconda della gravità del paziente. Va inoltre attuata nei casi di ipercalcemia non responsiva ad altri trattamenti, che mettono a rischio la vita del paziente. Altro Mitramicina e nitrato di gallio sono terapia attualmente in disuso per il rischio elevato di insufficienza renale e, nel caso della mitramicina, di trombocitopenia e riduzione dell'aggregazione piastrinica. Tab. 4 – Trattamento farmacologico dell'ipercalcemia oncologica

Terapia Dose Effetti avversi

Soluzione fisiologica ev 200-500 ml/h a seconda dello stato cardiovascolare e renale

Scompenso cardiaco

Furosemide 20-40 mg ev, dopo idratazione

Disidratazione, ipokaliemia

Fosforo per os (fosforemia

3.0 mg/dL)

250 mg per os 4 volte/die Insufficienza renale, ipocalcemia, anomalie della conduzione cardiaca, diarrea

Pamidronato 60-90 mg ev in 2 ore in 200 cc sol. Fisiologica

Insufficienza renale, sindrome parainfluenzale transitoria (artralgie, brividi, febbre)

Zoledronato 4 mg in 15 min in 100 cc sol. Fisiologica

Insufficienza renale, sindrome parainfluenzale transitoria (artralgie, brividi, febbre)

Glicocorticoidi Prednisone 1 mg/Kg per os/die per 10 giorni

Ipokaliemia, iperglicemia, ipertensione, sindrome di Cushing,immunosoppressione

Calcitonina 4-8 IO/Kg sc o im ogni 12 ore

Flushing, nausea

Bibliografia Selby PM, Adams PH. The investigation of hypercalcemia. J Clin Pathol 47: 579-84, 1994. Carlson HE. Metabolic complications. In: Manual of clinical Oncology, Ed Lippincott Williams & Wilkins 27: 546- 50, 2005. Gentiloni Silvieri N, Pagano L. Crisi ipercalcemica: approccio in emergenza. In: Manuale di Medicina di emergenza e Pronto Soccorso, CIC edizioni internazionali 79:1523-8, 2012 Stewart AF Hypercalcemia associated with cancer. N Engl J Med 352: 373-379, 2005.

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Neutropenia febbrile

Descrizione della malattia Definizione : - Febbre: riscontro con singola misurazione di temperatura orale al di sopra dei 38.3°C o riscontro di

temperatura orale ≥ 38 °C della durata di almeno un’ora.

- Neutropenia: conta dei neutrofili < 500/mmc o conta che ci si attende possa scendere < 500 mmc nelle successive 48 ore. Si definisce neutropenia grave/profonda” una conta assoluta di neutrofili < 100 mmc. Il termine "neutropenia funzionale" si riferisce a pazienti ematologici con difetti qualitativi dei neutrofili (inefficacia di killing o fagocitosi); questi pazienti devono essere considerati a rischio di infezioni, nonostante una conta di neutrofili "normale". Epidemiologia, eziologia e mortalità: - Emergenza oncologica solitamente correlata ad un trattamento chemioterapico con farmaci leucopenizzanti. - Il 10-50% dei pazienti con neoplasie solide e più dell’80% dei pazienti con neoplasia ematologica presenta un episodio di neutropenia febbrile durante uno o più cicli di chemioterapia. - Nella maggior parte dei pazienti non viene identificata una precisa eziologia infettiva - Infezioni documentate clinicamente si rilevano nel 20-30% degli episodi febbrili: le sedi più frequenti di infezioni sono il tratto intestinale, il polmone e la cute. - Una batteriemia viene rilevata nel 10-25% di tutti i pazienti e la maggior parte dei casi nel sottogruppo di pazienti con prolungata e severa/profonda neutropenia (conta assoluta di neutrofili < 100 /mmc). - La frequenza delle batteriemie da gram-positivi è del 57%, quelle da gram-negativi del 34% e quelle da associazioni microbiche del 9%. - Attualmente l’agente infettivo più frequentemente isolato in corso di batteriemia è lo Staphylococco coagulasi-negativo; le enterobacteriaciae (ad es Enterobacter species, Escherichia coli e Klesbiella species) e i bacilli gram negativi quali Pseudomonas aeruginosa vengono isolati meno frequentemente. - Le batteriemie da gram-negativi sono associate a maggiore mortalità (18%) rispetto a quelle da gram-positivi (5%) - I funghi raramente sono identificati come causa del primo episodio febbrile nel paziente neutropenico a basso rischio; generalmente un’infezione fungina viene riscontrata dopo una settimana di neutropenia prolungata e di terapia antibiotica empirica.

- tra i fattori di rischio per infezione:

a) grado, rapidità d’insorgenza e durata della neutropenia. b) basso performance status ed età anziana del paziente c) patologia neoplastica non in remissione, soprattutto se con infiltrazione

midollare d) catetere venoso centrale o catetere vescicale in sede e) precedente episodio di neutropenia febbrile f) effetto dei trattamenti sulle barriere mucose g) utilizzo di anticorpi monoclonali che inducono immunosoppressione (es.

Rituximab) - la mortalità globale per neutropenia febbrile si è costantemente ridotta negli ultimi anni, ma rimane comunque elevata:

a) mortalità globale del 5% in pazienti con tumore solido (1% in quelli a basso rischio) b) mortalità globale dell’11% in neoplasie ematologiche

Valutazione del paziente con febbre e neutropenia Definizione del rischio per serie complicanze infettive: determina il tipo di terapia antibiotica empirica da somministrare (orale o endovenosa), luogo di trattamento (domicilio o ricovero) e durata della terapia antibiotica

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Distinzione tra pazienti ad alto rischio e a basso rischio di complicanze infettive Alto rischio che devono essere necessariamente ricoverati e trattatati con terapia empirica antibiotica per via ev: neutropenia anticipata e attesa prolungata (> 7 giorni) neutropenia grave (< 100 mmc) presenza di significative condizioni cliniche quali :

ipotensione

mucosite orale o gastrointestinale (diarrea)

sintomi gastrointestinali: dolore addominale, nausea o vomito, diarrea

polmonite

sintomi neurologici e/o alterazione dello stato mentale

evidente infezione di CVC evidenza di insufficienza epatica o renale Basso rischio che possono essere candidati a una terapia empirica antibiotica orale: neutropenia anticipata di breve durata (< 7 giorni) assenza di significative condizioni cliniche normale e stabile funzione epatica e renale In alternativa può essere utilizzato il MASCCC prognostic index ideato dalla Multinational Association for Supportive Care in Cancer che definisce ad alto rischio i paziente con score < 21 e a basso rischio quelli con score ≥ 21 : nessuno o lievi sintomi per la neutropenia febbrile 5 sintomi moderati per la neutropenia febbrile 3

non ipotensione (pressione sistolica > 90 mmHg) 5 non broncopneumopatia cronica ostruttiva 4 tumori solidi o ematologici senza precedenti inf. fungine 4 non disidratazione 3 paziente ambulatoriale al momento di insorgenza neutropenia febbrile 3 età inferiore ai 60 anni 2 Per un MASCC score > 21 è stata valutata una percentuale di mortalità del 3%, mentre per un MASCC score < 15 la mortalità sale al 36%.

Valutazione iniziale ed esami da effettuare:

- attento esame obiettivo (segni e sintomi di infiammazione sono spesso ridotti o assenti nel paziente neutropenico) - dettagliata raccolta anamnesi - esami ematochimici completi comprendenti : emocromo completo con formula esami funzionalità renale: azotemia, creatinina, elettroliti esami funzione epatica: GOT GPT bilirubina - almeno due serie di emocolture da vena periferica e da CVC se presente - Colture di ogni sede sospetta per infezione: coprocoltura in caso di diarrea con ricerca Clostridium, urinocoltura, esame colturale di lesioni cutanee sospette, escreato etc. - RX torace se clinicamente indicato, in caso di presenza di sintomi respiratori. - Markers sierici di infiammazione (PCR , procalcitonina)

Trattamento empirico: i seguenti criteri generali devono necessariamente considerare il profilo individuale di resistenza/colonizzazione ed i dati di epidemiologia locale

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Paziente ad alto rischio: - è richiesta l’ospedalizzazione - monoterapia con: cefalosporine ad ampio spettro (cefepime, ceftazidime) carbapenemico (meropenem o imipenem-cilastina) piperacillina-tazobactam - altri antibiotici (aminoglicosidici, chinolonici e/o vancomicina) possono essere aggiunti alla terapia iniziale per il trattamento di complicanze (es. ipotensione e polmonite) o nel caso venga sospettata o provata antibiotico resistenza - L’uso di vancomicina o altri farmaci attivi su cocchi aerobi gram positivi non è raccomandato come terapia standard iniziale antibiotica in presenza di neutropenia febbrile.Va considerato in caso di infezione sospetta del CVC, infezione dei tessuti molli o cute, polmonite o instabilità emodinamica. - Nei pazienti allergici ai beta lattamici utilizzare combinazioni di vancomicina + aztreonam oppure ciprofloxacina + clindamicina - Modificazione della terapia empirica iniziale può essere considerata nei paziente clinicamente instabili o in quelli in cui le emocolture fanno sospettare infezioni da batteri resistenti quali lo Staphyloccocco meticillino-resistente (MRSA) (glicopeptidi, linezolid o daptomicina), Enterococco vancomicina-resistente (VRE) (linezolid o daptomicina), Klesbiella pneumoniae carbapenemase-producing (KPC) (tigeciclina, colistina). - La terapia antifungina empirica può essere considerata nei pazienti con neutropenia prolungata (>7 gg) e febbre persistente/ricorrente dopo 4-7 gg di terapia antibiotica empirica. In alternativa può essere accettabile una terapia "preventiva" basata su criteri clinici, strumentali (Tc seni, polmone) o sierologici (Mannano/antimannano, β (1-3)-D- glucano, Galattomannano) Paziente a basso rischio: - trattamento antibiotico orale: ciprofloxacina + amoxicillina/ac. clavulanico ciprofloxacina + clindamicina - I pazienti in profilassi con fluorochinolonici non devono ripetere una terapia empirica orale con un chinolonico - in casi selezionati il paziente può essere trattato a domicilio ma il ricovero deve essere prontamente effettuato in caso di febbre persistente o in caso di comparsa di segni o sintomi che indicano un peggioramento dell’infezione per iniziare un trattamento antibiotico parenterale ad ampio spettro. - non è raccomandata la terapia antifungina empirica

Uso terapeutico G-CSF

Non è raccomandato di routine in associazione alla terapia antibiotica anche se può essere considerato nei pazienti ad alto rischio. Riduce la durata della neutropenia e della ospedalizzazione, ma la mortalità correlata all’infezione appare influenzata solo marginalmente Bibliografia NCCN Clinical Practice Guidelines in Oncology. Prevention and treatment of cancer related infections. Version 2. 2009. http://www.oralcancerfoundation.org/treatment/pdf/infections-NCCN.pdf

NCCN Clinical Practice Guidelines in Oncology: Prevention and treatment of cancer-related Infections.

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Sepsi severa e shock settico Definizioni

La sepsi è un processo infettivo noto e documentato microbiologicamente o clinicamente fortemente

sospetto associato ad una eterogenea sindrome definita SIRS (Sindrome da Risposta Infiammatoria

Sistemica ) che risulta da una complessa interazione tra difese dell’ospite e patogeno invasore.

La SIRS è caratterizzata da almeno 2 delle seguenti condizioni:

- Temperatura 38oC o 36 o C

- Frequenza Cardiaca 90 battiti/min

- Frequenza respiratoria 20/min, paCO2 < 32mmhg

- Leucociti 12,000/mm3 o 4,000/mm3 o >10% neutrofili immaturi.

La sespi severa è caratterizzata da ipotensione arteriosa associata ad almeno 1 insufficienza d’organo:

- Renale (oliguria)

- Respiratoria (ipossiemia PaO2 < 72 mm Hg)

- Epatica (iperbilirbunemia)

- Ematologica (DIC)

- Sistema Nervoso Centrale (alterazione dello stato di coscienza)

- Acidosi metabolica (aumento dei lattati)

Lo shock settico è uno stato di insufficienza cardio-circolatoria acuta caratterizzata da ipotensione

arteriosa persistente da almeno un’ora non spiegabile da altre cause e che non risponde alla

somministrazione di liquidi e vasopressori.

L’ipotensione è definita come Pa < 90 mmHg o 40 mmHg inferiore alla pressione abituale del paziente.

Test diagnostici della sepsi

Nessuno dei markers sierologici disponibili è specifico per sepsi e devono necessariamente essere

integrati con gli aspetti clinici suggestivi per sepsi.

I più utilizzati nella pratica clinica come marcatori di stati infiammatori sistemici (SIRS), sepsi, sepsi

severa o di shock settico sono le proteine della fase acuta: PCR (Proteina C reattiva) e PCT

(Procalcitonina)

Procalcitonina: In caso di sepsi severa, la concentrazione plasmatica di procalcitonina è direttamente

proporzionale alla gravità del quadro clinico

- Prodotta dalle cellule C della tiroide e da cellule neuroendocrine extratiroidee (polmone, intestino,

fegato)

- Emivita di 25-30 h

- Prodotta selettivamente in risposta ad infezioni batteriche (stimolo più potente è l’endotossina

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batterica) e in corso di MOF (Multi Organ Failure).

- Non aumenta (se non in modo poco significativo) nelle infezioni fungine, virali, in malattie

autoimmunitarie e neoplasie

- individuo sano: indosabile o < 0.1 ng/mL

- paziente infetto: 1-1000 ng/mL NB: mancano cut-off

- Si eleva anche in corso di: politrauma, post-operatorio, infarto miocardio, arresto

cardiocircolatorio,ustione.

PCR: Ottimo marker di infiammazione, è più aspecifica:

- si eleva sia in corso di infezione virale che batterica

- non sembra essere correlata con l’entità della sepsi (raggiunge i suoi massimi livelli anche nelle

sepsi meno gravi, oppure rimane elevata per poco tempo rispetto alla severità della prognosi del

paziente).

Una meta-analisi (Simon et al. 2004), ha evidenziato come la PCT sia un marker più accurato rispetto alla

PCR nella distinzione fra infiammazione batterica e quella di origine non infettiva:

sensibilità dell’88% vs 75% e specificità dell’81% vs 67%

Trattamento

Una volta sospettato/identificato il quadro di sepsi severa o shock settico, va contattato il rianimatore e

comunque è prognosticamente importante procedere immediatamente con:

1. Iniziale “resuscitazione”

2. Riconoscimento sede infezione

3. Antibioticoterapia empirica

4. Controllo glicemico

5. Steroidi

6. Proteina C ricombinante attivata

1. Resuscitazione

Infusione rapida (in 30 minuti) di liquidi:

cristalloidi 500 ml (reidratante, soluzioni Ringer) o colloidi 300 ml (Emagel, Gelplex, Voluven) ogni 30’.

Nella scelta dei liquidi da infondere non ci sono differenze significative dimostrate tra cristalloidi e colloidi,

tuttavia l’infusione di cristalloidi impone l’utilizzo di volumi maggiori e quindi di tempi di infusione più

prolungati. Inoltre l’infusione di colloidi artificiali potrebbe essere preferibile in presenza di gravi alterazioni

della permeabilità capillare o in caso di cardiopatie che aumentino il rischio di scompenso cardiaco.

Se non si riesce ad ottenete il controllo pressorio, bisogna iniziare l’infusione di vasopressori.

Da precisare che la dopamina a basse dosi (< 4 mcg/Kg/min) non è considerata un vasopressore ed è

ormai controindicata anche nella prevenzione dell’insufficienza renale. Il dosaggio pressorio di questa

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ammina prevede la somministrazione di almeno 25 ml/h (0,35 ml/kg) di soluzione fisiologica 500 ml + 2

fiale Revivan.

Ossigenazione: flussi di 4 -12 l/min, in modo da portare la SpO2 > 90 % (saturimetro) o la PaO2 > 60

mmHg (EGA)

Emotrasfusione per mantenere livelli di Hb tra 7-9 gr/dl (Hct > 30) allo scopo di garantire adeguata

ossigenazione a tutti i tessuti

2. Riconoscimento sede infezione

Colture appropriate dovrebbero sempre essere effettuate prima dell’inizio dell’antibioticoterapia:

- almeno 2 emocolture sia da vena periferica che da CVC se in situ da > 48h

- colture di ogni possibile sede sospetta per localizzazione di processo infettivo (urine, escreato e/o BAL,

liquido cefalo-rachidiano, liquidi da drenaggio, diarrea, etc)

Diagnostica per immagini quando clinicamente indicato ( Rx torace, eco addome, TC)

3. Antibioticoterapia empirica

Iniziare quanto prima (entro 1 ora) una terapia antibiotica empirica per via parenterale.

Sulla base del quadro clinico, della possibile sede del focolaio sepsigeno e dei rispettivi agenti patogeni,

nonchè dell’epidemiologia locale in termini di antibiotico-resistenza, lo schema terapeutico empirico deve

comprendere molecole ad ampio spettro d’azione.

Una volta disponibile l’agente eziologico, è indicato impostare una terapia antibiotica mirata

L’inadeguatezza della terapia antibiotica empirica è correlata in maniera statisticamente significativa ad

un outcome peggiore

4. Controllo glicemico

Mantenere i livelli di glicemia compresi tra 80 e 110 mg/dl, sia nel paziente diabetico che non, si associa

ad una minore morbidità e mortalità

Si raccomanda pertanto l’utilizzo di insulina sc o ev sulla base di controlli seriati della glicemia mediante

glucostick.

5. Steroidi

L’impiego di steroidi è ancora controverso. L’impiego di steroidi ad alte dosi è da evitare

(es.METILPREDNISOLONE 30 mg/Kg) nei pazienti che, con adeguata terapia infusionale e

vasopressoria, risultano emodinamicamente stabili

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6. Proteina C ricombinante attivata

Primo agente anti-infiammatorio dimostratosi efficace nel trattamento della sepsi riducendo il tasso di

mortalità dal 30.8% dei trattati al 24.7% dei non trattati. Viene somministrata in infusione continua di 24

μg/kg/h per 96 ore.

Terapia empirica della sospetta sepsi da fonte non definita in paziente NON

NEUTROPENICO

1) Possibilità di scelta tra:

· Cefalosporina di 3a generazione: Ceftazidime 2g EV ogni 8 ore

· Cefalosporina di 4a generazione: Cefepime 2g EV ogni 8-12 ore

· Piperacillina-tazobactam: 4.5g EV ogni 6 ore

· Ticarcillina-acido clavulanico: 3.2g EV ogni 4-6 ore

· Imipenem-cilastatina: 500 mg EV ogni 6 ore/1 g EV ogni 8 ore

· Meropenem: 1g EV ogni 8 ore

+

· Aminoglicoside: Gentamicina 5-7 mg/Kg EV nelle 24 ore o Amikacina

15-20 mg/Kg (max. 1.5g) EV nelle 24 ore

· Fluorchinolone: Ciprofloxacina 400 mg EV ogni 8-12 ore o

Levofloxacina 750-1000 mg EV nelle 24 ore.

2) In caso di allergia agli antibiotici beta-lattamici possibilità di scelta

tra:

· Glicopeptide: Vancomicina 500 mg EV ogni 6 ore o 1 gr ogni 12 ore o Teicoplanina 400 mg ogni 12 ore

per 3 volte, poi 400 mg ogni 24 ore

+

· Aminoglicoside: Gentamicina 5-7 mg/Kg EV nelle 24 ore o Amikacina

15-20 mg/Kg (max. 1.5g) EV nelle 24 ore

+

· Fluorchinolone: Ciprofloxacina 400 mg EV ogni 8-12 ore o

Levofloxacina 750-1000 mg EV nelle 24 ore.

Qualora l’Aminoglicoside non possa essere praticato per insufficienza renale, si consiglia l’associazione

Glicopeptide + Fluorchinolone.

La durata della terapia non deve essere inferiore ai 10-14 giorni.

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Terapia empirica della sospetta sepsi da fonte non definita in paziente NEUTROPENICO

1) Monoterapia

Possibilità di scelta tra:

· Cefalosporina di 3a generazione anti-Pseudomonas: Ceftazidime 2g EV ogni 8 ore

· Cefalosporina di 4a generazione: Cefepime: 2g EV ogni 8-12 ore

· Piperacillina- tazobactam: 4.5g EV ogni 6 ore

· Imipenem-cilastatina: 500 mg EV ogni 6 ore/1 g EV ogni 8 ore

· Meropenem: 1g EV ogni 8 ore.

2) Terapia di associazione (due farmaci) senza glicopeptide

Possibilità di scelta tra:

· Cefalosporina di 3a generazione anti-Pseudomonas: Ceftazidime 2g EV ogni 8 ore

· Cefalosporina di 4a generazione: Cefepime 2g EV ogni 8-12 ore

· Piperacillina-tazobactam: 4.5g EV ogni 6 ore

· Ticarcillina-acido clavulanico: 3.2 g EV ogni 4-6 ore

· Imipenem-cilastatina: 500 mg EV ogni 6 ore/1 g EV ogni 8 ore

· Meropenem: 1g EV ogni 8 ore

+

· Aminoglicoside: Gentamicina 5-7 mg/Kg EV nelle 24 ore o Amikacina

15-20 mg/Kg (max. 1.5g) EV nelle 24 ore

2) Terapia di associazione con glicopeptide (٭)

Possibilità di scelta tra:

· Cefalosporina di 3a generazione anti-Pseudomonas: Ceftazidime 2g EVogni 8 ore

· Cefalosporina di 4a generazione Cefepime 2g EV ogni 8-12 ore

· Piperacillina-tazobactam: 4.5g EV ogni 6 ore

· Ticarcillina-acido clavulanico: 3.2g EV ogni 4-6 ore

· Imipenem-cilastatina: 500 mg EV ogni 6 ore/1 g EV ogni 8 ore

· Meropenem: 1g EV ogni 8 ore

+

· Glicopeptide: Vancomicina 500 mg EV ogni 6 ore o 1 gr ogni 12 ore o Teicoplanina 400 mg ogni 12 ore

per 3 volte, poi 400 mg ogni 24 ore

±

· Aminoglicoside: Gentamicina 5-7 mg/Kg EV nelle 24 ore o Amikacina

15-20 mg/Kg (max. 1.5g) EV nelle 24 ore

Situazioni che richiedono l’inclusione del glicopeptide nella terapia (٭)

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empirica iniziale:

· sospetto clinico di severa infezione CVC-correlata (es. batteriemia, cellulite…)

· colonizzazione nota con S. pneumoniae resistente a penicilline ecefalosporine o con S. aureus

meticillino-resistente

· positività delle emocolture per batteri Gram-positivi in attesa dell’identificazione finale e

dell’antibiogramma

· chemioterapia intensiva ad alte dosi

· recente profilassi con fluorchinoloni, prima dell’insorgenza della febbre, in pazienti neutropenici apiretici.

La durata della terapia va stabilita in base alla persistenza o meno della febbre e della neutropenia

nonché alla stima iniziale del rischio, rivalutando il paziente a 3-5 giorni.

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Iponatriemia e SIAD Descrizione della patologia - L’iponatremia, definita come un eccesso di acqua rispetto al sodio presente nei fluidi extracellulari, è il più comune disordine elettrolitico nei pazienti ospedalizzati, definito da una concentrazione plasmatica < 136 mmol/l. - Una iponatremia lieve (135>Na+>130 mmol/l) è presente nel 15-30% delle persone ospedalizzate ed una moderata (130>Na+>125 mmol/l) nel 7%; una iponatremia con Na+ < 125 mmol/L è presente nel 4% dei pazienti con tumore. - L’iponatremia è importante clinicamente per l’alto rischio di mortalità nelle forme acute sintomatiche e per il rischio di insorgenza della sindrome da demielinizzazione osmotica (o mielinolisi centrale pontina) da correzione troppo rapida delle forme croniche. Valori < 120 mmol/L determinano infatti un incremento esponenziale della mortalità. - L’iponatremia può essere: a) iso-osmolare o pseudoiponatremia (osmol. plasmatica 280-295): iperprotidemica, iperlipidemica. b) iper-osmolare (osmol. plasmatica >295): iperglicemica, per somministrazione di mannitolo, glicerolo, sorbitolo, immunoglobuline ev in soluzione di maltosio al 10% c) ipo-osmolare (osmol.plasmatica <280) a sua volta classicamente distinta in: ipovolemica, euvolemica e ipervolemica - La sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico (SIADH) è la causa più frequente di iponatremia (30-40% di tutti i casi) ed è definita come una condizione nella quale l’organismo sviluppa un eccesso d’acqua e una carenza nella concentrazione del sodio come risultato di impropri segnali di omeostasi chimica dell’organismo, in assenza di una patologia del rene o di qualsiasi stimolo identificabile non osmotico a rilasciare ADH. - Normalmente l’organismo mantiene un controllo molto stretto tra l’ammontare totale d’acqua e la concentrazione del sodio. L’ormone antidiuretico o arginina-vasopressina, viene secreto dalla ghiandola pituitaria ed esercita una funzione molto importante sull’omeostasi sodio/acqua. La ghiandola pituitaria rilascia ADH nel sangue quando i recettori presenti in vari organi (reni, cuore, ghiandole surrenali, tiroide) indicano una carenza d’acqua o una troppo alta concentrazione di sali e causa una ritenzione di acqua libera da parte del rene. - Esistono molteplici cause di SIAD (tab 2) - In alcuni casi la SIAD è la conseguenza della produzione e secrezione di ADH da parte del tumore (soprattutto in caso di microcitoma). In alcuni pazienti, le mutazioni del recettore per la vasopressina regolanti i canali dell’acqua causano un’aumentata concentrazione delle urine in assenza di ADH. Siccome non tutti i pazienti con tale sindrome hanno aumentati livelli di ADH circolante, è stato proposto il termine di sindrome da inappropriata antidiuresi (SIAD) e non da inappropriata secrezione di ADH (SIADH).

Sintomi e segni

I sintomi dell’iponatremia sono prevalentemente neurologici, sono correlati all’entità e alla velocità della riduzione della concentrazione plasmatica del sodio e sono espressione della disfunzione indotta dall’edema cerebrale. - L’ iposodiemia severa (Na+<125 mmol per litro), soprattutto se a sviluppo rapido (insorta entro 48 ore) può causare una sintomatologia grave:

a) confusione mentale b) allucinazioni c) convulsioni d) coma e) erniazione cerebrale f) arresto respiratorio e morte

- L’iposodiemia cronica può essere relativamente asintomatica o manifestarsi con sintomi lievi e aspecifici:

a) cefalea

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b) difficoltà di concentrazione c) deficit mnemonici d) crampi muscolari e) astenia f) disgeusia g) deficit della deambulazione con facilità alle cadute soprattutto negli anziani

Diagnosi Elementi essenziali - osmolarità plasmatici effettiva < 275 mOsm/kg d’acqua (osmolarità effettiva o tonicità = osmolarità misurata – urea plasmatica / 2.8) - osmolarità urinaria >100 mOsm/kg d’acqua in presenza di ipotonicità plasmatica e inappropriata per valori normali di pOsm - euvolemia clinica:

a) non segni clinici di deplezione del volume dei fluidi extracellulari (ipotensione ortostastica, tachicardia, ridotto trofismo della cute, secchezza delle mucose)

b) non segni clinici di eccessivo volume dei fluidi extracellulari (edemi o ascite) - sodio urinario >30 mmol/litro con normale introito di sale con la dieta - normale funzione tiroidea e surrenalica - non uso recente di diuretici. Elementi supplementari - acido urico plasmatico < 4 mg/dl - urea plasmatica < 10 mg/dl - escrezione frazionata del sodio > 1%; escrezione frazionata dell’urea > 55%. - mancata correzione dell’iponatremia con infusione di soluzione fisiologica allo 0.9% - correzione dell’iponatremia tramite restrizione dell’introito di fluidi. - anormali risultati del test da carico d’acqua (escrezione < 80% di 20 ml d’acqua per kg di peso corporeo in un periodo di 4 ore) o inadeguata diluizione urinaria (<100 mOsm/Kg di acqua) - elevati livelli plasmatici di arginina-vasopressina, nonostante la presenza di ipotonicità e la presenza di euvolemia clinica.

Trattamento L’unico trattamento definitivo della SIAD è l’eliminazione della causa sottostante (sospensione del farmaco responsabile, trattamento efficace della neoplasia causale ecc.) - In caso di iponatremia acuta (insorta entro 48 ore) o con presenza di gravi sintomi neurologici, indipendentemente dalla durata che spesso non è nota, il trattamento consiste nell’ infusione di soluzione fisiologica ipertonica al 3% alla velocità di 1 o 2 ml per Kg di peso corporeo all’ora per ottenere un incremento della sodiemia, rispettivamente, di 1 o 2 mmol/l all’ora; in presenza di coma o convulsioni si può utilizzare una velocità di infusione doppia (2-4 ml per kg al’ora) per la prime 2-4 ore, mentre nei pazienti con sintomatologia lieve può essere utilizzata una velocità di infusione di 0.5 ml per kg all’ora. La sodiemia deve essere controllata ogni 2-3 ore e la velocità di infusione della soluzione salina modificata di conseguenza. Un’alternativa alla infusione continua di soluzione salina ipertonica, nei pazienti gravemente sintomatici, è rappresentata dall’iniezione di un bolo di 100 ml di soluzione fisiologica al 3% ripetibile dopo 10 minuti per un massimo di 3 volte. Alcuni autori raccomandano di associare all’infusione di soluzione salina l’uso di furosemide (20-40 mg ev) perché promuove l’escrezione di acqua libera e previene l’espansione del volume extracellulare, mentre altri autori ne consigliano l’uso solamente in presenza di segni di sovraccarico di volume. Secondo gli esperti, anche in caso di iponatremia acuta e sintomatica, la correzione della sodiemia non deve essere maggiore di 8-10 mmol/l nelle prime 24 ore e di 18 mmol/l nelle prime 48 ore. Il trattamento in acuto deve essere interrotto una volta raggiunto uno qualunque dei seguenti obiettivi: 1) risoluzione dei sintomi da iponatriemia; 2)un livello sicuro di [Na], (generalmente ≥ 120 mmol/l);

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3) una correzione totale della [Na] di 18 mmol/l. - La correzione troppo rapida dell’iponatriemia cronica (insorta ≥ 48 ore) è assolutamente da evitare perché gravata dal rischio di insorgenza della sindrome da demielinizzazione osmotica. Questa complicanza, che può comprendere sia una mielinolisi centrale pontina che una mielinolisi extrapontina, da segno di sè (di solito dopo un iniziale miglioramento dei sintomi da iponatremia) inizialmente con sintomi quali letargia e cambiamenti dell’affettività e successivamente con disartria, disfagia, quadriparesi spastica, paralisi pseudo bulbare. La prognosi è pessima e il danno neurologico è spesso irreversibile. - Nei pazienti con iponatriemia cronica pauci- o asintomatica la correzione deve essere molto graduale. Il trattamento di prima scelta è in genere rappresentato dalla restrizione dell’introito di fluidi: 1) tutti i fluidi, non solo l’acqua, devono essere inclusi nella restrizione;

2) l’entità della restrizione richiesta dipende dalla diuresi (generalmente l’introito di liquidi deve essere 500 ml al di sotto della diuresi nelle 24 ore precedenti, di media 800 ml/die) 3) sono necessari diversi giorni per avere un aumento significativo dell’osmolarità plasmatica; 4) il massimo apporto di fluidi tollerato è proporzionale al carico osmotico assunto per via orale, cosicchè un adeguato apporto di proteine e sali con la dieta deve essere incoraggiato. Il limite principale di questo regime è rappresentato dalla scarsa compliance dovuta a un intatto meccanismo della sete.

Spesso è perciò necessario un trattamento farmacologico: - Il trattamento con urea (30 g al giorno) incrementa l’escrezione di acqua libera da soluti. Efficace nel trattamento a lungo termine, con effetto protettivo sulla mielinolisi ed il danno cerebrale, ma è mal tollerato per il suo sapore sgradevole ed è controindicato nei pazienti con cirrosi poiché in grado di generare o peggiorare i sintomi dell’encefalopatia. - Demeclociclina (da 300 a 600 mg due volte al giorno) derivato della tetraciclina agisce provocando un diabete insipido nefrogeno. L’effetto si manifesta dopo 2-5 giorni dall’inizio della terapia con un profilo tossicologico che comprende fotosensibilità cutanea e nefrotossicità. - Antagonisti dei recettori per la vasopressina o Vaptani: Conivaptan (Vaprisol, Astellas Pharma) antagonista dei recettori per la vasopressina V1a e V2, inibendo quindi il riassorbimento di acqua dal dotto collettore. Disponibile solo in preparazione parenterale e quindi somministrabile esclusivamente in ospedale, è approvato dalla FDA per la terapia dell’iponatremia euvolemica ed ipervolemica, specialmente nello scompenso cardiaco congestizio. Vista la scarsa selettività del farmaco, che blocca anche i recettori V1 della vasopressina inducenti vasocostrizione, vi è il rischio di indurre ipotensione da trattamento. Tolvaptan (Samsca, Otsuka Pharmaceutical Europe Ltd. OPEL), antagonista del recettore per la vasopressina V2, disponibile per via orale, è stato approvato dalla FDA nel maggio 2009 e dall’Unione Europea nell’agosto dello stesso anno per il trattamento della SIADH. La sua efficacia e sicurezza a lungo termine con effetti collaterali assolutamente minimi è convalidata inoltre dagli studi “EVEREST” del 2007 e “SALTWATER” del 2010. È necessario sospendere l’infusione di soluzione fisiologica ipertonica in corso di trattamento con Vaptani, idratando il paziente in modo appropriato.

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Tabella 1: Cause di iponatriemia in base alla volemia

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IPOVOLEMICA

EUVOLEMICA

IPERVOLEMICA

Perdita renale di sodio con ritenzione di acqua Deficit di glucocorticoidi

Scompenso cardiaco congestizio

Nefropatia con perdita di sali Ipotiroidismo Cirrosi

Terapia con diuretici SIADH Insufficienza renale acuta e cronica

Perdita di sali da causa cerebrale (Cerebral salt wasting): traumi, interventi neurochirurgici

Eccessivo introito di birra associato a ridotta assunzione di cibo (Beer potomania)

Sindrome nefrosica

Bicarbonaturia, chetonuria, glicosuria Dieta con contenuto proteico molto ridotto

Deficit di mineralcorticoidi

Perdita extrarenale di sodio con ritenzione di acqua

Perdite gastroenteriche (vomito, diarrea)

Sudorazione profusa (esercizio fisico prolungato)

Perdite nel terzo spazio (pancreatiti, ustioni, occlusione intestinale,traumi muscolari)

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Tabella 2: Cause di SIAD NEOPLASIE

MALATTIE POLMONARI

MALATTIE DEL SNC

FARMACI

ALTRE CAUSE

Neoplasie polmonari: -carcinoma a piccole cellule -mesotelioma

Infezioni (batteriche, virali, tubercolosi, ascessi)

Infezioni (meningiti, encefaliti, ascessi, AIDS)

Farmaci che stimolano il rilascio di ADH: -clorpropamide -inibitori del reuptake della serotonina -antidepressivi triciclici -clofibrato -carbamazepina -nicotina -narcotici -antipsicotici -antineoplastici (vincristina, ifosfamide, ciclofosfamide) -FANS -Ecstasy

Ereditaria

Carcinomi dell’orofaringe

Stato asmatico

Lesioni emorragiche/masse: -ematoma subdurale -emorragia sub aracnoidea -accidenti cerebrovascolari -neoplasie cerebrali -trauma cranico -idrocefalo -trombosi del seno cavernoso

Analoghi dell’ADH: -desmopressina -ossitocina -vasopressina

Idiopatica

Carcinomi del tratto gastro-enterico: -stomaco -duodeno -pancreas

Fibrosi cistica

S. di Guillain-Barrè

Transitoria (nausea, dolore, stress, anestesia generale, esercizio fisico prolungato)

Carcinomi del tratto genito-urinario:uretere,vescica,prostata, endometrio

Sclerosi multipla

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Timoma endocrino

Linfomi

S. di Shy-Drager

Sarcomi (S. di Ewing)

Delirium tremens

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Figura 1: algoritmo per il trattamento della iponatremia severa

Bibliografia

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[Na] <125 mmol/L

Insorgenza acuta (< 48 ore) o coma, convulsioni

Insorgenza di durata non nota, sintomi moderati

asintomatica

Infusione immediata di soluzione fisiologica 3% 1-2 ml/kg/h sino a miglioramento dei sintomi oppure bolo di 100 cc ogni 10 min sino a

un massimo di 3 volte Controllo della sodiemia ogni 2 h e

aggiustamento della velocità di infusione

Valutazione diagnostica

Valutazione diagnostica Escludere deplezione del volume

extracellulare (2L di sol. Fisiologica 0.9% in 24 ore)

L’obiettivo è aumentare [Na] di 0.5-2 mmol/l/h

Controllo della sodiemia ogni 2-4 h e aggiustamento della velocità di

infusione Considerare furosemide o vaptani

Interrompere quando [Na] aumenta di 8-10 mmol nelle prime

24 h

Valutazione diagnostica

Trattamento dei fattori correggibili

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Coagulazione intravascolare disseminata Descrizione della patologia - la coagulazione intravascolare disseminata (CID) è una sindrome caratterizzata dall’attivazione sistemica della coagulazione, con formazione intravascolare di fibrina e conseguente frequente occlusione trombotica di vasi di piccolo e medio calibro che può compromettere la perfusione degli organi con scompenso funzionale. - la CID può complicare una varietà di patologie quali sepsi, traumi, neoplasie (tumori solidi soprattutto mucinosi, leucemia). - clinicamente la CID associata a neoplasia ha generalmente una presentazione meno drammatica rispetto alla CID che complica la sepsi o i traumi. Una più graduale, ma anche più cronica attivazione sistemica della coagulazione può progredire in maniera subclinica.

Presentazione clinica e diagnosi La CID può associarsi a sanguinamento da piastrinopenia, da consumo dei fattori della coagulazione e da iperfibrinolisi. - il sanguinamento, talvolta di grado severo, è solitamente la prima e più frequente manifestazione clinica indicante la presenza della CID, dovuto ad un esaurimento di piastrine e fattori della coagulazione da parte del processo coagulativo in atto, con evidenza agli esami ematochimici di piastrinopenia, ipofibrinogenemia ed alterazione dei test emocoagulativi. - se la funzionalità epatica non è compromessa, l’aumentata sintesi di proteine della coagulazione potrebbe mascherare il sottostante consumo di fattori ed in questo caso la piastrinopenia è il segno più prominente di una CID sottostante. - la misura dei markers correlati alla fibrina come la fibrina solubile e i prodotti di degradazione della fibrina possono essere utili a stabilire la diagnosi in un ambito di routine, tuttavia la specificità di tali tests nella CID correlata al cancro non è stata stabilita. - non possiamo a tutt’oggi avvalerci di un singolo test di laboratorio in grado di stabilire o escludere la diagnosi di CID. Sono stati proposti score diagnostici che combinano segni clinici e parametri di laboratorio anche se rimane difficile stabilire la loro reale applicabilità ed affidabilità dal momento che l’evidenza disponibile è scarsa. Pur tuttavia, in pazienti con sospetta CID si suggerisce l’ uso dello score dell’ International Society of Thrombosis and Haemostasis per effettuare la diagnosi. Tale score prevede una valutazione iniziale del rischio che un paziente con una data patologia possa incorrere in una CID: si utilizzano poi dei test coagulativi quali il tempo di protrombina (TP), il dosaggio del fibrinogeno e dei prodotti della degradazione del fibrinogeno-fibrina (D-Dimero) ed il conteggio delle piastrine assegnando ad un dato valore un punteggio.

Piastrine > 100 mmc = 0; < 100 = 1; < 50 = 2.

D-Dimero v.n.= 0; fino a 10 volte la norma = 1; superiore a 10 volte la norma = 2.

PT <1.25 = 0; tra 1.25 e 1.50 = 1; > 1.50 = 2. Un punteggio uguale o superiore a 5 è compatibile con la diagnosi di CID.

Levi M et al. Intern Emerg Med 2012

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Levi M et al. Intern Emerg Med 2012 Trattamento - la terapia più importante nel tentativo di controllare una CID è il trattamento della patologia che ne ha causato l’insorgenza. - una terapia si supporto (plasma, piastrine, crioprecipitato) è frequentemente necessaria allo scopo di correggere le alterazioni emo-coagutative indotte dalla CID: Piastrine Valori bassi di piastrine e dei fattori della coagulazione possono accrescere il rischio di sanguinamento. Tuttavia la terapia sostitutiva non deve essere istituita solo sulla base di risultati di laboratorio, ma è indicata: - in pazienti con sanguinamento in atto, - in quelli che richiedono una procedura invasiva - in quelli che siano di per sé a rischio di sanguinamento. La soglia per trasfondere piastrine dipende dallo stato clinico del paziente. In generale la trasfusione di piastrine viene riservata a pazienti che sanguinano e che hanno un numero di piastrine inferiore a 50 x109/L. Nei pazienti che non sanguinano si trasfondono piastrine a una soglia di 10-20 x109/L. Plasma Per correggere il difetto della coagulazione potrebbe essere necessaria una dose iniziale di plasma fresco congelato pari a 15 ml/kg anche se c’è evidenza che una dose pari a 30 ml/kg possa produrre una miglior correzione del livello dei fattori della coagulazione. Crioprecipitato Se i livelli di fibrinogeno circolante sono inferiori a 1 g/L si suggerisce la somministrazione di crioprecipitato o concentrato di fibrinogeno.

Non si suggerisce l’uso di Eparina non frazionata o a basso peso molecolare ad esclusione della profilassi del tromboembolismo venoso nella CID senza sanguinamento

Non si suggerisce l’uso dell’antitrombina.

Non si suggerisce l’uso di dermatan solfato

Non si suggerisce l’uso routinario di fattore VII attivato ricombinante; solo nel caso di sanguinamento non controllato da precedenti misure terapeutiche si suggerisce l’uso del fattore VII ricombinante alla dose di 90 microgrammi/kg

Non si suggerisce l’uso di gabesato

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In generale non si suggerisce l’uso di agenti antifrinolitici; in pazienti con CID che è caratterizzata da uno stato iperfibrinolitico primario e che si presentano con un sanguinamento severo potrebbero essere trattati con ac. tranexamico (es. alcuni casi di leucemia promielocitica o tumore della prostata).

Levi M et al. Intern Emerg Med 2012 Bibliografia Levi M, Toh CH, Thachil J et al. Guidelines for the diagnosis and management of disseminated intravascular coagulation. Br J Haematol 145: 24-33, 2009. Levi M, Van der Poll T. Disseminated intravascular coagulation: a review for the internist. Intern Emerg Med 2012. Gando S. The utility of a diagnostic scoring system for disseminated intravascular coagulation. Crit Care Clin 28: 373-388, 2012. Di Nisio M, Baudo F, Cosmi B et al. Diagnosis and treatment of disseminated intravascular coagulation: guidelines of the Italian Society for Haemostasis and Thrombosis (SISET). Thrombosis Research 129: e177-e184, 2012.

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Compressione midollare da localizzazione metastatica Descrizione della patologia - Definita come compressione del midollo spinale o della cauda equina, dovuta alla compressione diretta da parte della neoplasia e/o dal crollo o instabilità vertebrale indotte dalla malattia metastatica o dall’estensione diretta della neoplasia, che si teme possa causare o che già causi disabilità neurologiche. - E’ una grave complicanza che riguarda il 5-10% dei malati neoplastici. - Fondamentale per aumentare le possibilità di cura di questi pazienti è effettuare un trattamento precoce di questa complicanza, laddove viene frequentemente descritto in letteratura un ritardo dal momento della comparsa dei primi sintomi al momento nel quale vengono messe in atto le appropriate terapie. - Circa la metà dei pazienti con compressione midollare da neoplasia non è in grado di camminare al momento della diagnosi; di questi la maggior parte (circa il 67%) non ottengono il recupero funzionale ad una valutazione ad 1 mese. - La capacità di camminare autonomamente al momento della diagnosi viene mantenuta nella maggior parte dei casi (circa 81% dei casi) dopo un mese dall’inizio delle cure. - La capacità di camminare autonomamente al momento della diagnosi risulta significativamente correlata alla sopravvivenza globale dei pazienti.

Sintomi e segni - sensazione di tensione spinale localizzata. - dolore radicolare - dolore alla colonna: è il sintomo più caratteristico di compressione midollare. Tale dolore può essere progressivo o acuto e difficilmente controllabile (come in caso di collasso vertebrale). Tale dolore viene accentuato dallo sforzo o da manovre tipo il tossire, lo starnutire, lo sforzarsi per andare di corpo. - deficit sensoriali - ipostenia a livello degli arti - difficoltà nel camminare - disfunzioni degli sfinteri vescicali ed anali

Diagnosi - la risonanza magnetica nucleare della colonna in toto deve essere effettuata in tempo utile, a meno che non esistano specifiche controindicazioni alla sua esecuzione. - deve essere effettuata entro una settimana in caso di dolore alla colonna sospetto per metastasi alla colonna ed entro 24 ore nel caso di dolore alla colonna e sintomi o segni neurologici suggestivi per compressione midollare. Talvolta la RMN deve essere effettuata immediatamente se esiste evidenza clinica per un intervento chirurgico d’urgenza nel tentativo di preservare la funzionalità d’organo.

Trattamento - I paziente con dolore severo suggestivo per instabilità della colonna o con qualsiasi sintomo o segno neurologico suggestivo per compressione midollare, dovrebbe essere posizionato in maniera idonea su una superficie piana e con mezzi di contenimento in modo da ottenere un allineamento della colonna in posizione neutrale fino a quando sia assicurata una stabilità dell’osso e neurologica. - Effettuare trattamento steroideo - Iniziare il trattamento definitivo (chirurgia, radioterapia), se possibile, prima di qualsiasi segno di peggioramento neurologico e comunque, idealmente, entro le 24 ore dalla conferma della diagnosi di compressione midollare. - Pianificare la chirurgia per massimizzare la possibilità di preservare la funzione neurologica, nel caso non esista eccessivo rischio per il paziente, tenendo conto delle sue condizioni generali, della sua prognosi e di cosa egli preferisca fare. - Assicurarsi un accesso urgente (entro 24 ore) e la disponibilità di un trattamento radioterapico,.

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Trattamento radioterapico

- Esiste indicazione al trattamento radiante solo se i sintomi neurologici non sono consolidati e non è fattibile un trattamento chirurgico. - L’avvio del trattamento deve avvenire entro 24 ore dalla prescrizione espressa dal medico radioterapista. - Dose frazionamento e volume da trattare vanno valutati dal medico radioterapista in funzione delle caratteristiche cliniche individuali. Bibliografia Mitera G, Swaminath A, Wong S et al. Radiotherapy for oncologic emergencies on weekends: examining reasons for treatment and patterns of practice at a Canadian cancer center. Current Oncology 16: 55–60, 2009. Loblaw DA, Perry J, Chambers A et al. Systematic review of the diagnosis and management of malignant extradural spinal cord compression: the Cancer Care Ontario Practice Guidelines Initiative’s Neuro-Oncology Disease Site Group. J Clin Oncol 23: 2028 – 2037, 2005. Rades D, Huttenlocher S, Dunst J et al. Matched pair analysis comparing surgery followed by radiotherapy and radiotherapy alone for spinal cord compression. J Clin Oncol 28: 3597-3604, 2010. Lee K, Tsou I, Wong S et al. Metastatic spinal cord compression as an oncology emergency – getting our act together. Intern J Qual Health Care 19: 377 -381, 2007. National Institute for Health and Clinical Excellence. Metastatic spinal cord compression – Diagnosis and management of adults at risk of and with metastatic spinal cord compression. NICE clinical guideline 75, November 2008.

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Porpora trombotica trombocitopenia (PTT) Descrizione della patologia - definita come disordine della coagulazione che causa una microtrombosi estesa dei piccoli vasi di tutto il corpo (microangiopatia trombotica). - la maggior parte dei casi insorge per l’inibizione dell’enzima ADAMTS13, una metalloproteasi responsabile del clivaggio dei multimeri del fattore di vonWillebrand (vWF) in unità più piccole. In presenza di grossi multimeri del vWF, si verifica un aumento dei fenomeni coagulativi. - esiste una forma di PTT idiopatica, di natura autoimmune, dovuta all’inibizione dell’enzima ADAMTS13 da parte di autoanticorpi, una rara forma ereditaria, la sindrome di Upshaw-Schulman, dovuta al deficit dell’enzima e una forma secondaria correlata a diversi fattori:

a) tumori b) trapianto di midollo c) gravidanza d) uso di farmaci (quinine, inibitori dell’aggregazione piastrinica come la ticlopidina ed il

clopidogrel)

e) immunosoppressori (ciclosporina, tacrolimus), ed immunostimolanti (interferone-) f) chemioterapici (mitomicina, gemcitabina) g) infezione da HIV-1 h) casi di microangiopatia trombotica sono stati correlati a trattamenti con nuovi farmaci a

target molecolare (bevacizumab, sunitinib, imatinib, immunotossine)

- nelle forme secondarie il meccanismo eziopatogenetico è poco compreso; l’attività dell’enzima ADAMTS13 non è generalmente depressa come nella forma idiopatica e non sono solitamente presenti in circolo inibitori dell’enzima. - difficoltà nella diagnosi differenziale tra PTT e sindrome uremica emolitica (SUE). Entrambe sono caratterizzate da una anemia emolitica microangiopatica e da trombocitopenia, ma la sintomatologia neurologica è più facilmente associata alla PTT mentre l’insufficienza renale alla SUE (anche se in entrambe le patologie possono esserci nessuno o entrambi i sintomi). Nella PTT esiste frequentemente un deficit severo dell’attività dell’enzima ADAMTS13, cosa che non si verifica in caso di SUE. Bambini nei quali si evidenzia un’anemia emolitica microangiopatica, trombocitopenia ed insufficienza renale, tipicamente dopo un periodo di diarrea, sono considerati affetti da SUE. In caso di SUE il plasma exchange non è considerato trattamento standard. - la sintomatologia è dovuta al ridotto flusso sanguigno dovuto alla trombosi a livello degli organi irrorati, con presenza di danno d’organo. Il passaggio dei globuli rossi attraverso i microcoaguli causa una emolisi intravascolare con danneggiamento della membrana cellulare e formazione di schistociti.

Sintomi e segni Insorgenza acuta o subacuta di sintomi correlati a disfunzione neurologica, insufficienza renale, anemia e piastrinopenia. Classicamente le seguenti cinque caratteristiche sono indicative di PTT anche se, nella maggior parte dei casi, non sono tutte presenti: - sintomi neurologici: allucinazioni, comportamenti strani, stato mentale alterato, mal di testa, stroke, deficit neurologici focali fluttuanti. - insufficienza renale - febbre - trombocitopenia causante ematomi o porpora - anemia emolitica microangiopatica I sintomi di PTT possono essere inizialmente assai sfumati con evidenza esclusivamente di malessere generale, febbre, mal di testa e, qualche volta, dolore addominale e diarrea. Con la progressione della microangiopatia trombotica si manifestano i sintomi emorragici (porpora, ecchimosi, sanguinamento soprattutto di naso e gengive) ed i sintomi dovuti a deficit del flusso sanguigno a livello di alcuni organi, soprattutto rene ed encefalo.

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Data l’alta mortalità della PTT quando non trattata, una diagnosi presuntiva di PTT deve essere fatta in presenza anche solo di anemia microangiopatica e piastrinopenia.

Esami di laboratorio - Emocromo completo con piastrine

a) piastrinopenia spiccata (solitamente PLT 20000 – 50000 per microlitro) b) emoglobina moderatamente ridotta (solitamente 8-9 g/dl) c) globuli bianchi normali o solo lievemente ridotti

- Vetrini di sangue periferico: Schistociti. Considerati da alcuni la “conditio sine qua non” per la diagnosi, possono non essere presenti nelle fasi iniziali della coagulopatia - Coagulazione (PT ed aPTT) sono solitamente normali o solo lievemente allungati - D-dimero (indicatore di attivazione della trombina e di fibrinolisi) normale o solitamente solo lievemente aumentato - Fibrinogeno tipicamente alto/normale - Azotemia e creatinina elevata in caso di danno renale - Latticodeidrogenasi elevata (non raramente sopra 1000 IU/L) - Bilirubina indiretta elevata - Emoglobinuria con urine scure L’esecuzione dei test di coagulazione risultano importanti nel differenziare PTT e SUE dalla CID. Altri esami che possono avere una valenza clinica sono: - Test di Coombs diretto negativo (se positivo più facilmente anemia emolitica autoimmune) - Test HIV nelle PTT di nuova diagnosi, vista possibile correlazione con il virus La misurazione dell’attività dell’enzima ADAMTS13, non disponibile di routine, non possiede un’utilità clinica dimostrata.

Trattamento - Plasma exchange con plasma fresco congelato. Solo in caso di non immediata disponibilità della procedura, si ricorre alla semplice infusione di plasma, stando attenti a non sovraccaricare il circolo, fino al momento in cui sia possibile effettuare il plasma exchange. - Di solito almeno 5 procedure di plasma exchange sono effettuate nei primi 10 giorni - In caso di SUE è talvolta necessario sottoporre il paziente a dialisi. - La comparsa di ipotensione è l’effetto collaterale più frequente della procedura. - I criteri per definire una risposta completa sono la scomparsa dei sintomi neurologici, la normalizzazione di emoglobina, piastrine, LDH, bilirubina e creatinina. - Nei pazienti refrattari al plasma exchange è possibile ottenere efficacia utilizzando plasma “cryopoor” o “cryosupernatant”, plasma fresco congelato dal quale viene rimosso il crioprecipitato, in questo modo ottenendo la deplezione dei multimeri ad alto peso molecolare del fattore von Willebrand che hanno un valore patogenetico fondamentale nell’insorgenza della PTT (la maggiore efficacia del plasma supernatant rispetto al plasma fresco congelato normale deve essere comunque ancora dimostrata in studi randomizzati). - In casi di malattia refrattaria al plasma exchange, viene talvolta associato trattamento immunosoppressivo con steroidi, vincristina, ciclofosfamide, ciclosporina o rituximab. Mancano evidenze scientifiche forti che indirizzino in maniera più precisa all’utilizzo delle varie terapie immunosoppressive. - Le trasfusioni piastriniche devono essere evitate se non in presenza di emorragie pericolose per la vita del paziente (soprattutto a livello del SNC).

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Bibliografia George JN. Thrombotic Thrombocytopenic Purpura. N Engl J Med 354: 1927-1935, 2006.

Cataland SR, WU HM. Practical issues in ADAMTS13 testing and emerging therapies in Thrombotic

Thrombocytopenic Purpura. Sem Hematol 48: 242-250, 2011.

Blake-Haskins JA, Lechleider RJ, Kreitman RJ. Thrombotic microangiopathy with targeted cancer agents. Clin Cancer Res 17: 5858-5866. 2011. Niu J, Mims MP. Oxaliplatin-induced Thrombotic Thrombocytopenic Purpura: case report and literature review. J Clin Oncol 30: 312-314, 2012.

Westwood JP, Webster H, Guckin SM et al. Rituximab for thrombotic thrombocytopenic purpura (TTP): benefit of early administration during acute episodes and use of prophylaxis to prevent relapse. J Thromb Haemost 2012 (Epub ahead of print).

Shortt J, Oh DH, Opat SS. ADAMTS13 antibody depletion by Bortezomib in Thrombotic Thrombocytopenic purpura. N Engl J Med 368: 90-93, 2013. Scully M, Hunt BJ, Benjamin S et al. Guidelines on the diagnosis and management of thrombotic thrombocytopenic microangiopathies. Br J Haematol 1-15, 2012.

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Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare Descrizione della patologia

- La trombosi venosa profonda (TVP) è l'ostruzione parziale o completa di una vena della circolazione venosa profonda da parte di un coagulo di sangue o trombo. Maggiormente interessati sono gli arti inferiori (90% dei casi), ma può interessare tutto il sistema venoso, localizzandosi più frequentemente alla vena cava, alle vene iliache, alla vena femorale superficiale, alla vena poplitea, alle vene tibiali anteriori e alle vene tibiali posteriori. L’embolia polmonare (EP), complicanza della TVP, è l'ostruzione acuta, completa o parziale, di uno o più rami dell'arteria polmonare da parte di materiale trombotico proveniente dalla circolazione venosa sistemica. Pertanto viene anche meglio definita tromboembolia polmonare (TEP). - Il tromboembolismo venoso rappresenta una delle più importanti e frequenti cause di morbidità e mortalità nei pazienti oncologici con un’incidenza dello 0.8-8% in questi pazienti.

Esistono fattori di rischio in pazienti con tumore:

Generali: a) neoplasia attiva b) stadio avanzato c) sede (pancreas, stomaco, tumori ginecologici, vescica, polmoni, encefalo, linfoma, patologie mieloproliferative, rene) d) masse linfonodali determinanti compressione vascolare estrinseca. e) Ipercoagulabilità acquisita f) sindromi trombofiliche congenite g) patologie mediche associate (infezioni, malattie renali, malattie polmonari, scompenso cardiocircolatorio, tromboembolismo arterioso)

In corso di chemioterapia:

a) tipo di neoplasia b) conta piastrinica pre-chemioterapia > 300.000/mcL c) leucociti pre-chemioterapia > 11.000/mcL d) emoglobina < 10 g/dL e) uso di fattori stimolanti l’eritropoiesi f) indice di massa corporea > 35 Kg/m2 g) precedenti episodi di tromboembolismo venoso

Legati al trattamento

a) chirurgia maggiore b) catetere venoso centrale; catetere venoso c) chemioterapia d) Altri trattamenti oncologici

Bevacizumab Talidomide/lenalidomide con desametasone ad alte dosi

e) terapia con estrogeni (Dietilstilbestrolo) f) terapia ormonale sostitutiva g) contraccettivi h) Terapia con antiestrogeni (Tamoxifene/Raloxifene)

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Altri fattori di rischio

a) allettamento b) immobilizzazione di un arto (gesso) c) fumo d) obesità e) ridotta attività fisica

Fattori di rischio specifici per mieloma

a) picco monoclonale > 1.6 g/dL b) malattia in progressione c) iperviscosità (soprattutto in Waldenstrom).

Diagnosi di trombosi venosa profonda o superficiale Sospetto clinico

edema di un’estremità

senso di peso ad un’estremità

dolore spontaneo o evocato alla dorso flessione del piede

persistente inspiegabile crampo ad un polpaccio

edema al volto, al collo ed allo spazio sovraclaveare

malfunzionamento di CVC

Riscontro radiografico in pazienti asintomatici

Accertamenti Esame emocromocitometrico completo con conta piastrinica

PT

aPTT

Didimero (falsi positivi in corso di malattia neoplastica o infezioni in atto)

Eco-color Doppler venoso

Compressive Ultrasound (l’ecografia compressiva della vena femorale, compreso l’across safeno-femorale, e della vena poplitea, ha un elevatissimo valore predittivo nel confermare o escludere la presenza di trombi nel distretto venoso degli arti inferiori)

In caso di negatività, con sospetto persistente Ripetizione di eco-color Doppler venoso

TAC con mdc

Flebografia RM

Diagnosi di embolia polmonare Sospetto clinico

Trombosi venosa profonda in atto o recente

Dispnea, dolore toracico, tachicardia, tachipnea, oppressione toracica inspiegabile

Ipotensione non altrimenti spiegabile. Sincope

Accertamenti

Esame emocromocitometrico completo con conta piastrinica

PT

aPTT

Didimero

ECG

Emogasanalisi (valutazione della desaturazione di O2)

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Ecocardiogramma

Compressive Ultrasound (l’ecografia compressiva della vena femorale, compreso l’across safeno-femorale, e della vena poplitea, ha un elevatissimo valore predittivo nel confermare o escludere la presenza di trombi nel distretto venoso degli arti inferiori).

Angio-TC

Scintigrafia polmonare perfusionale eventuale.

Terapia della trombosi venosa profonda ed embolia polmonare Fase acuta - Eparina a basso peso molecolare (EBPM) Dosi fisse aggiustate al peso corporeo 200 U/Kg 1 volta/die (nadroparina o dalteparina) 100 U/Kg 2 volte/die (enoxaparina) - Eparina non frazionata (ENF)

Bolo iniziale di 5000 UI. Infusione endovenosa continua di dosi variabili (in genere circa 30.000 U/24 ore) per ottenere e mantenere aPTT compreso tra 1.5 e 2.5 volte il basale.

Tale trattamento è attualmente effettuato sempre meno frequentemente per la maggior sicurezza e maneggevolezza del trattamento con eparine a basso peso molecolare. - Antagonisti della vitamina K Embricatura tra trattamento eparinico e trattamento con antagonisti della vitamina K. Al raggiungimento del range terapeutico, mantenuto per almeno 2 giorni consecutivi, si sospende la terapia con eparina. NOTA: il fondaparinux è un altro farmaco approvato per la fase acuta della terapia della trombosi venosa profonda. Le dosi giornaliere raccomandate, da somministrare sottocute una volta al giorno, sono:

5 mg per pazienti con peso < 50 kg

7.5 mg per pazienti con peso compreso tra 50 e 100 kg

10 mg per pazienti con peso > 100 kg.

Il farmaco è controindicato in pazienti con creatinina clearance < 30 ml/min, e deve essere usato con cautela in pazienti con creatinina clearance compresa tra 30 e 50 ml/min, o con peso < 50 kg o con età > 75 anni - Terapia trombolitica Da considerare in specifici sottogruppi di pazienti come casi di embolia polmonare con severa disfunzione ventricolare destra, o con trombosi iliaco-femorale massiva a rischio di gangrena dell’arto, quando è richiesta una rapida decompressione venosa con un ripristino del flusso. Durata del trattamento anticoagulante La terapia va mantenuta almeno tutto il tempo in cui la malattia è in fase attiva, o sono in corso terapie antitumorali (fatte salve le controindicazioni). Terapia a lungo termine I pazienti neoplastici con tromboembolia venosa, durante il trattamento con anticoagulanti orali sono esposti a rischio significativo sia di recidive trombotiche sia di complicanze emorragiche. La terapia con Warfarin è spesso di gestione complessa:

è difficile mantenere INR entro il range terapeutico soprattutto in caso di:

Vomito Inappetenza Dieta obbligata Alterazioni dell’assorbimento e/o della funzionalità epatica

sono frequenti le interazioni farmacologiche

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è spesso necessario interrompere il trattamento per l’esecuzione di procedure mininvasive (toracentesi, biopsie) o per piastrinopenia intercorrente.

La terapia con EBPM è considerata oggi lo standard nella profilassi secondaria della trombo embolia venosa. La dose di EBPM raccomandata è pari al 75-80% di quella iniziale. La durata del trattamento anticoagulante per la prevenzione delle recidive non è stata espressamente studiata. Si considera necessario proseguire la terapia fino a quando vi è evidenza di malattia attiva. In assenza di malattia attiva (ad esempio, in pazienti in trattamento adiuvante) si prosegue il trattamento per sei mesi (un mese alla dose per la fase acuta, cinque mesi alla dose di mantenimento). In caso di embolia polmonare viene consigliato un trattamento per 6-12 mesi. Terapia delle recidive

Se la recidiva si verifica in corso di terapia con anticoagulanti orali con INR al di sotto del range, occorre adeguare la dose per riportare INR entro il range (2-3);

Se la recidiva si verifica in corso di trattamento con anticoagulanti orali con INR entro il range terapeutico, si considera il raggiungimento di un range terapeutico superiore (3.5) o il passaggio ad ENF o ad EBPM;

Se la recidiva si verifica in corso di terapia con EBPM alla dose di mantenimento (75-80% della dose della fase acuta), si somministra nuovamente EBPM alla dose piena;

Utilizzo del filtro cavale

pazienti ad alto rischio di estensione della trombosi venosa prossimale

pazienti con embolie polmonari ricorrenti nonostante un trattamento anticoagulante adeguato

pazienti in cui la terapia anticoagulante sia controindicata

sanguinamento attivo (> 2 U trasfuse in 24 ore) non controllato emorragia cerebrale attiva lesioni intracraniche o spinali a rischio di sanguinamento pericarditi ulcera peptica o altre ulcere gastrointestinali ipertensione arteriosa severa, non controllata o maligna sanguinamento cronico clinicamente significativo piastrinopenia < 50.000 disfunzione piastrinica severa recente intervento ad alto rischio di sanguinamento.

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Khorana AA et al. J Clin Oncol 2009

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Khorana AA et al. J Clin Oncol 2009 Bibliografia Khorana AA, Streiff MB, Farge D et al. Venous thromboembolism prophylaxis and treatment in cancer: A consensus statement of major guidelines panels and call to action. J Clin Oncol 27: 4919-26, 2009. Mandalà M, Falanga A, Rolla F. Venous thromboembolism in cancer patients: ESMO Clinical Practice Guidelines for the management. Ann Oncol 21 Suppl 5: v274-v276, 2010. Streiff MB, Bockenstedt PL, Catalnd SR et al. Venous thromboembolism. J Natl Compr Canc Netw 9: 714-777, 2011. Farge D, Debordeau P, Beckers M et al. International clinical practice guidelines for the treatment and prophylaxis of venous thromboembolism in patients with cancer. J Thromb Haemost (Epub ahead of print).

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Anafilassi da farmaci anti-neoplastici Virtualmente tutti i farmaci utilizzati nelle chemioterapie possono provocare reazioni avverse di ipersensibilità. Conoscere le reazioni di ipersensibilità ai chemioterapici e distinguerle dai più frequenti effetti collaterali degli stessi è fondamentale in quanto permette di indirizzare il paziente oncologico al protocollo terapeutico più adeguato. Non sempre infatti è necessario sospendere la terapia e sostituirla, quanto piuttosto è talvolta possibile agire modificando le modalità di somministrazione e la velocità di infusione, associare la somministrazione di premedicazioni a base di anti-istaminici e corticosteroidi, oppure, più raramente, approntare protocolli di desensibilizzazione. Si tratta di accorgimenti che permettono al paziente di ricevere le cure più adeguate e mirate alla sua patologia di base.

Introduzione

Le reazioni di ipersensibilità a farmaci sono definite come reazioni non prevedibili, non dovute all’azione farmacologica o al profilo di tossicità della molecola in causa, e sono in genere mediate da un meccanismo immunologico. Virtualmente, quasi tutti i chemioterapici possono provocare reazioni di ipersensibilità, ma in letteratura è descritto come alcune classi di farmaci presentino un rischio più elevato di altre: in particolare si tratta dei derivati del platino (cisplatino, carboplatino e oxaliplatino), dei taxani (paclitaxel e docetaxel), le asparaginasi, le epipodofillotossine (etoposide/VP16, temiposide/VM16) e gli anticorpi monoclonali. Le reazioni di ipersensibilità possono essere causate direttamente dal principio attivo, dai suoi metaboliti oppure dal solvente. Fattori di rischio per le reazioni di ipersensibilità ai chemioterapici:

Pregressa esposizione più di 12 mesi prima Numero di somministrazioni effettuate (derivati del platino) Età <70 anni Regime chemioterapico Radioterapia associata Storia di atopia o pregresse reazioni di ipersensibilità a farmaci Via di somministrazione Tipo di farmaco (es. non pegilato) Presenza di eccipienti (es. Cromophor) Altre terapie concomitanti Velocità di infusione

Le manifestazioni cliniche osservate sono estremamente eterogenee e possono coinvolgere cute (orticaria, angioedema, rash, prurito, eritema palmare), apparato respiratorio (broncospasmo, dispnea), apparato gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea, dolore addominale), sistema cardiovascolare (alterazioni della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, angina), fino a forme severe quali l’anafilassi, che può condurre il paziente all’exitus. Le reazioni di ipersensibilità nei confronti di tali farmaci possono riconoscere una patogenesi Ig-E mediata, ovvero, previa iniziale sensibilizzazione nei confronti della molecola farmacologica antigenica, tramite produzione di IgE che rimangono sulla superficie di mastociti e basofili; successivamente alla riesposizione all’antigene, si determina la degranulazione di tali cellule, con rilascio di istamina ed altri mediatori vasoattivi e proinfiammatori responsabili delle manifestazioni cliniche. In altri casi, il chemioterapico sembra agire da superantigene o da istamino-liberatore aspecifico, inducendo, mediante l’attivazione del complemento o tramite stimolazione diretta delle cellule effettrici, il rilascio degli stessi mediatori, con manifestazioni cliniche analoghe. Il National Cancer Institute ha proposto una classificazione delle reazioni di ipersensibilità in base alla gravità dei sintomi:

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Grado Descrizione

1 Eritema transitorio, Temperatura corporea <38°C

2 Rash, eritema, orticaria, dispnea, febbre >38°C

3 Broncospasmo, orticaria, edema/angioedema, ipotensione

4 Anafilassi

5 Morte

Questo tipo di classificazione risulta particolarmente utile nella pratica clinica, in quanto pazienti con reazioni di grado 1 o 2 possono generalmente proseguire la chemioterapia senza variazioni, pazienti con reazioni di grado 3 devono sospendere il trattamento oppure, qualora il farmaco risulti indispensabile, devono modificare la velocità di infusione, utilizzare la premedicazione con steroidi o anti-istaminici, oppure, molto più raramente, essere sottoposti a protocolli di desensiblizzazione. Nei pazienti con reazioni di grado 4 è invece obbligatorio sospendere la terapia e sostituire il farmaco responsabile. Sali di platino

Sono considerati i chemioterapici a maggior rischio di scatenare reazioni di ipersensibilità. I principi più utilizzati nella pratica clinica sono: cisplatino, carboplatino ed oxaliplatino. L’incidenza di reazioni di ipersensibilità al cisplatino è relativamente bassa, variando dall’1 a 5%. La maggior parte delle reazioni di ipersensibilità si manifesta pochi minuti dopo l’inizio dell’infusione e più spesso dopo la somministrazione di 6 o più cicli ben tollerati. Le reazioni al cisplatino sono state ampiamente studiate, grazie anche al suo più largo utilizzo nella pratica clinica. Il principale fattore di rischio per il loro sviluppo sembra essere il numero di cicli somministrati: non più dello 0.92% dei pazienti a cui sono stati somministrati meno di 5 cicli sviluppa manifestazioni avverse, mentre l’incidenza aumenta con il numero di cicli fino ad arrivare al 20% nei soggetti sottoposti all’ottavo ciclo di terapia. Altri fattori di rischio sembrano essere rappresentati da una pregressa storia di farmaco-allergia o stato atopico, rapida velocità di infusione, radioterapia associata e somministrazione del cisplatino dopo un intervallo superiore a 12 mesi. Riscontri analoghi sono stati osservati per il carboplatino: anche per questo farmaco il rischio di reazioni di ipersensibilità sembra aumentare con il numero di cicli somministrati. E’ stato inoltre riscontrato come l’utilizzo di una premedicazione con anti-istaminici possa ridurre il rischio di reazioni avverse di tipo allergico. L’oxaliplatino è un composto di terza generazione, sempre più ampiamente utilizzato nel trattamento del carcinoma colon-rettale metastatico. L’incidenza di reazioni avverse da ipersensibilità oscilla tra il 12 e il 15%, ma solo tra lo 0.5 e il 2% di queste reazioni è grave (grado 3-4). Anche in questo caso sembrano rappresentare un importante fattore di rischio il numero di cicli somministrati e la dose complessiva. E’ stato inoltre osservato che pazienti sottoposti a pregressi regimi chemioterapici presentino un rischio raddoppiato di sviluppare reazioni avverse. E’ stato inoltre dimostrato come una riduzione dalla velocità di infusione da 2 a 6 ore riduca significativamente l’incidenza delle reazione avverse, mentre l’utilizzo di premedicazione non sembra influire in questo senso. Le reazioni di ipersensibilità ai Sali di platino sembrano essere frequentemente IgE mediate, essendo quindi necessaria una iniziale sensibilizzazione. Le manifestazioni cliniche sono di tipo lieve (grado 1 e 2) nella maggiore parte dei pazienti (60-70%), mentre in un 30-40% dei casi possono risultare gravi e potenzialmente fatali. Le manifestazioni cliniche possono insorgere durante l’infusione, poco dopo il termine o anche a distanza di giorni dalla somministrazione (reazioni ritardate).

Gestione clinica del paziente con ipersensibilità nei confronti dei sali di platino

Eventuale premedicazione Variazione della velocità di infusione Test cutanei Desensibilizzazione Passare ad altro sale di platino previa esecuzione di test cutanei

I pazienti che sviluppano reazioni lievi con sintomi esclusivamente cutanei non presentano in genere controindicazioni alla prosecuzione del trattamento. E’ prevista la somministrazione di anti-istaminici e

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corticosteroidi e, dopo la completa risoluzione delle manifestazioni cliniche, sarà possibile riprendere la terapia. Nei pazienti che abbiano sviluppato reazioni di ipersensibilità moderate-gravi (grado 3), la successiva riesposizione al farmaco dovrà invece essere attentamente valutata caso per caso, in base alla gravità con cui si è sviluppata la reazione e in base alla disponibilità di alternative terapeutiche. Nel caso in cui sia strettamente necessario proseguire la somministrazione del farmaco, sarà possibile ricorrere a premedicazione con anti-istaminici ed eventualmente corticosteroidi, che tuttavia nel caso dei derivati del platino non si è rivelata particolarmente efficace, rallentare la velocità di infusione oppure ricorrere a protocolli di desensibilizzazione. Qualora anche nonostante questi accorgimenti il paziente sviluppi nuovamente una reazione avversa moderata-grave, sarà tassativo interrompere la terapia. Un’altra soluzione possibile è quella di somministrare un derivato del platino alternativo. Nel caso delle reazioni all’oxaliplatino la possibilità di ricorrere ad un composto alternativo sarà limitata dalla chemio -sensibilità del tumore, mentre sono stati descritti numerosi casi in cui è stato possibile trattare con cisplatino pazienti che avevano sviluppato reazioni di ipersensibilità nei confronti del carboplatino. Nonostante l’incidenza di reattività crociata tra i composti del platino non sia stata valutata, sono stati descritti casi di soggetti che hanno sviluppato reazioni avverse, anche gravi, a più composti. Pertanto, prima di sostituire un farmaco con uno alternativo, è indicata l’esecuzione di test cutanei. Protocollo di premedicazione consigliato dallo Sloan-Kettering Cancer Center :

Desametasone 20 mg per os la sera prima e prima dell’inizio dell’infusione Difenidramina 50 mg ev prima dell’infusione Ranitidina 50 mg ev prima dell’infusione Eventualmente ridurre la velocità di infusione da 30 minuti a 3 ore.

Test cutanei con i Sali di platino

I test cutanei con i Sali di platino, da eseguirsi sotto stretto controllo medico in ambiente ospedaliero, in caso di difficile sostituibilità del farmaco con altro tipo, trovano principalmente due indicazioni: i) valutazione dei pazienti con pregressa reazione di ipersensibilità al farmaco e ii) identificazione dei pazienti con test cutanei positivi da sottoporre eventualmente a protocollo di desensibilizzazione. Non devono invece essere utilizzati come screening, dal momento che presentano un elevato valore predittivo negativo ma, in caso di positività senza una storia clinica suggestiva a supporto, la loro interpretazione rimane dubbia. Alcuni autori tuttavia eseguono i test cutanei prima della somministrazione della settima o ottava dose del farmaco e, in caso di negatività, anche in caso di pregressa reazione avversa è possibile continuare la terapia. Si segnala comunque che reazioni di ipersensibilità alla risomministrazione del farmaco sono possibili anche in caso di test cutanei negativi. In genere è consigliato eseguire i prick test con il farmaco indiluito e le intradermoreazioni con dosi crescenti da 10^-3 a 10^-1 di farmaco. Questi test risultano utili nei soggetti che abbiano sviluppato reazioni immediate nei confronti dei derivati del platino (< 3 ore) mentre non sono diagnostici per le reazioni ritardate (>3 ore). L’utilizzo dei patch test con tali farmaci non è stato valutato. E’ buona norma testare tutti e tre i composti per valutare l’esistenza di cross-reattività. Uno dei protocolli più utilizzati prevede di eseguire prick test con cisplatino (1 mg/ml), carboplatino (10 mg/ml) e oxaliplatino (5 mg/ml). In caso di esito dubbio dei prick test può essere utile ricorrere alle intradermoreazioni con dosi scalari di cisplatino (0.01, 0.1 e 1 mg/ml), carboplatino (0.1, 1 e 10 mg/ml) e oxaliplatino (0.05, 0.5 e 5 mg/ml). Test cutanei con i Sali di platino

Farmaco Test cutaneo e relativa concentrazione

Cisplatino Prick test 1 mg/ml Intradermoreazione 0.01, 0.1 e 1 mg/ml

Carboplatino Prick test 10 mg/ml Intradermoreazione 0.1, 1 e 10 mg/ml

Oxaliplatino Prick test 5 mg/ml Intradermoreazione 0.05, 0.5 e 5 mg/ml

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Protocolli di desensibilizzazione ai sali di platino. I protocolli di desensibilizzazione si basano sulla reintroduzione graduale del farmaco in piccole dosi e in un intervallo di tempo prolungato (4-12 ore), fino al raggiungimento della dose terapeutica. Questo dovrebbe permettere di ottenere una temporanea tolleranza del farmaco, permettendo la prosecuzione delle cure nei pazienti che non dispongono di alternative terapeutiche. I meccanismi immunologici non sono del tutto noti, si pensa che la somministrazione graduale e a basse dosi permetta di saturare le IgE presenti sulla superficie di mastociti e basofili senza indurne la degranulazione, così che successivamente possano essere tollerate dosi sempre maggiori di farmaco. Esistono diverse varianti dei protocolli di desensibilizzazione nei confronti dei Sali di platino. La maggior parte prevede l’utilizzo di tre soluzioni standard da somministrare in dodici step, aumentando ogni volta gradualmente la velocità di infusione e la concentrazione del farmaco in un periodo complessivo di 6-8 ore. La prima volta che il paziente viene sottoposto ad un protocollo di desensibilizzazione deve essere ricoverato in una Unità di Terapia Intensiva e strettamente monitorato. In caso di desensibilizzazioni successive sarà possibile effettuare la procedura anche in Day Hospital ma sempre sotto stretta sorveglianza medica. Si riporta di seguito un esempio di protocollo standard di desensibilizzazione.

Esempio per una dose complessiva di 500 mg

Volume solvente

Concentrazione soluzione

Dose complessiva soluzione

Soluzione A 250 ml 0.02 mg/ml 5 mg (1/100)

Soluzione B 250 ml 0.2 mg/ml 50 mg (1/10)

Soluzione C 250 ml 2 mg/ml 500 mg (indiluito)

Step Soluzione

Velocità infusione (ml/h)

Tempo (minuti)

Dose somministrata (mg)

Dose cumulativa (mg)

1 A 2 15 0,010 0,010

2 A 5 15 0,025 0,035

3 A 10 15 0,050 0,085

4 A 20 15 0,100 0,185

5 B 5 15 0,250 0,435

6 B 10 15 0,500 0,935

7 B 20 15 1,000 1,935

8 B 40 15 2,000 3,935

9 C 10 15 5,000 8,935

10 C 20 15 10,000 18,935

11 C 40 15 20,000 38,935

12 C 75 184.4 461,065 500,000

Tempo totale 5,82 ore

Dose totale 500 mg

Dose totale 500 mg

Taxani

I principali taxani utilizzati nella pratica clinica sono paclitaxel e docetaxel. L’incidenza di reazioni di ipersensibilità nei confronti di questi farmaci è relativamente alta, arrivando ad interessare fino al 30% dei soggetti trattati. Tuttavia, la somministrazione concomitante di una premedicazione a base di anti-

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istaminici (anti-H1 e anti-H2) e corticosteroidi riduce significativamente il tasso delle reazioni avverse fino al 2-4%. A differenza dei Sali di platino le reazioni di ipersensibilità nei confronti di questi farmaci si sviluppano precocemente, già alla somministrazione della prima o seconda dose. I taxani non sembrano causare reazioni allergiche propriamente IgE-mediate, pertanto non è necessaria l’iniziale sensibilizzazione e l’evento avverso può manifestarsi già in occasione delle prima somministrazioni. Sembra infatti che i taxani agiscano da istamino-liberatori aspecifici causando direttamente la degranulazione di basofili e mastociti (reazione anafilattoide). I taxani sono inoltre composti idrofobi che necessitano di appositi solventi per la somministrazione per via parenterale. Nel caso del paclitaxel si utilizza il Cremophor (Limburgerhof, Germania) e nel caso del docetaxel il polisorbato 80. Il Cremophor è stato chiamato in causa nelle reazioni da ipersensibilità al palcitaxel, dal momento che possiede proprietà istamino-liberatrici. E’ stata quindi introdotta sul mercato una formulazione di paclitaxel in cui il farmaco è solubilizzato in albumina, ed è stata osservata una riduzione nel numero di reazioni avverse (Abraxane; Windsor, UK). Si sottolinea tuttavia come le reazioni avverse a docetaxel, che non contiene Cremophor, siano sovrapponibili per incidenza a quelle del paclitaxel. Tra i fattori di rischio di sviluppare reazioni di ipersensibilità identificati sembrano rilevanti una pregressa storia clinica di allergia/atopia e la velocità di infusione del farmaco: l’aumento da 1 a 3 ore per la somministrazione sembra ridurre significativamente l’incidenza di eventi avversi.

Gestione clinica del paziente con ipersensiblità nei confronti dei taxani

Premedicazione Variazione della velocità di infusione Eventuale passaggio a paclitaxel senza Cremophor Desensibilizzazione

Nella maggior parte dei pazienti che abbiano sviluppato una reazione lieve-moderata dopo la prima somministrazione di paclitaxel, è in genere possibile proseguire il trattamento, una volta ottenuta la completa remissione delle manifestazioni cliniche, senza recidive. Questo riscontro potrebbe dipendere da una saturazione dei recettori sulla superficie di mastociti e basofili da parte del farmaco alla prima somministrazione, che non risultano quindi accessibili nel corso di successive infusioni. I soggetti che invece sviluppano una reazione grave oppure una seconda reazione avversa dopo la reintroduzione del farmaco, sono candidati alla desensibilizzazione in caso il farmaco sia difficilmente sostituibile con altro. Anche nel caso dei taxani sono numerosi i protocolli di desensibilizzazione, in genere sviluppati in dieci-dodici step da somministrare nell’arco di 6-7 ore, portati a termine con successo. In caso di recidiva durante o dopo la desensibilizzazione sarà invece tassativo sospendere la somministrazione del farmaco e proporre uno schema terapeutico alternativo. Un’alternativa possibile nei pazienti che sviluppano reazioni gravi al paclitaxel è la sostituzione con docetaxel. In letteratura sono presenti dati incoraggianti, anche se la reattività crociata tra i due farmaci è stimata in circa il 90% nell’unico studio ad oggi disponibile. Questo dato supporta tra l’altro il ruolo attivo del principio farmacologico nello sviluppo della reazione di ipersensibilità rispetto al solvente, dal momento che i due farmaci vengono diluiti in soluzioni diverse. Nel caso si sospetti un ruolo eziologico del solvente è possibile ricorrere al palclitaxel senza Cremophor, che tuttavia presenta costi elevati e sono ancora limitati gli studi sulla sua efficacia clinica. Premedicazione nelle reazioni avverse a Taxani (Piccart et al J Clin Oncol 1997, Markman J Clin Oncol 1997).

Paclitaxel clorfenamina 1 fl + ranitidina 1 fl + desametasone 20 mg 30’ prima dell’infusione

Docetaxel desametasone 8 mg per os per 5 giorni (-1 +3) clorfenamina 1 fl + ranitidina 1 fl 30’ prima dell’infusione

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L-Asparaginasi

Si tratta di un agente enzimatico anti-neoplastico di origine batterica utilizzato nel trattamento della leucemia linfoblastica acuta. Tale principio può essere derivato da E. coli (Kydrolasi; Limonest, Francia) o Erwinia chrysantemi (Erwinasi; Salisbury, UK). Esiste inoltre un composto di L-asparaginasi pegilata con immunogenicità ridotta ed emivita prolungata (Oncaspar; Amburgo, Germania). Le reazioni di ipersensibilità sono frequenti, con un’incidenza tra 6 e 43% ed i casi di anafilassi grave arrivano al 10% dei casi. Tali eventi avversi si verificano con maggior frequenza in caso di somministrazione endovenosa, rispetto alla somministrazione intramuscolo o sottocute, ed è stato riscontrato un incremento delle reazioni di ipersensibilità in caso di un intervallo tra le somministrazioni superiore ad una settimana, rispetto alle somministrazioni quotidiane. Altri fattori di rischio sono la pregressa esposizione al farmaco, la somministrazione di dosi superiori a 6000 UI/m2/die e la somministrazione in monoterapia. Le reazioni avverse tendono a manifestarsi dopo la somministrazione di alcuni cicli di terapia ed entro poche ore dall’assunzione. Il meccanismo patogenetico non è completamente chiarito, sono stati dimostrati casi di sensibilizzazione IgE mediata, ma è ipotizzato anche una possibile azione istamino-liberatrice aspecifica, probabilmente legata all’attivazione del complemento. E’ stato dimostrato come pazienti che sviluppano reazioni di ipersensibilità alla L-asparaginasi derivata da E.coli possano essere sottoposti a trattamento con il derivato da Erwinia o la forma pegilata, senza sviluppare reazioni avverse, anche se sono stati comunque descritti casi di reattività crociata. Un’altra opzione è quella di sottoporre il paziente ad un protocollo di desensibilizzazione, in caso non ci siano alternative terapeutiche. E’ stato proposto un protocollo per l’esecuzione di test cutanei con L-asparaginasi che prevede l’esecuzione di prick test con il farmaco indiluito e l’intradermoreazione con 0.1 ml di una diluizione di 20 IU/ml, tuttavia sono numerosi i casi di falsi negativi.

Variare la via di somministrazione (da ev a im o sc) Variare lo schema terapeutico (somministrazioni quotidiane) Variare il preparato (da e. coli a Erwinia asparaginasi o asparaginasi pegilata) Eventuale premedicazione Eventuali test cutanei Desensibilizzazione

Epipodofillotossine

L’incidenza delle reazioni da ipersensibilità all’etoposide è stimato essere del 6% e sembra essere implicato anche il solvente, il polisorbato 80. Sono frequenti le reazioni avverse alla prima somministrazione e pertanto sembra ipotizzabile l’induzione diretta della degranulazione mastocitaria. Le reazioni all’etoposide somministrata per os sono estremamente rare. La premedicazione con corticosteroidi ed anti-istaminici, così come la riduzione della velocità di infusione, si sono rivelate misure utili nella prevenzione di tali reazioni avverse. Sono inoltre disponibili protocolli di desensibilizzazione.

Premedicazione Riduzione della velocità di infusione Somministrazione per os Desensibilizzazione

Anticorpi monoclonali

Gli anticorpi monoclonali di maggior interesse in ambito oncologico sono: rituximab, trastuzumab, cetuximab, bevacizumab e panitumumab. Gli anticorpi monoclonali sono in genere meglio tollerati e meno frequentemente implicati nelle reazioni di ipersensibilità rispetto ai chemioterapici tradizionali. La loro immunogenicità sembra almeno in parte dipendere dalla struttura molecolare. In particolare, rituximab e cetuximab sono anticorpi chimerici, trastuzumab e bevacizumab sono anticorpi umanizzati e il panitumumab è completamente umano. In genere le reazioni di ipersensibilità nei confronti di anticorpi monoclonali sono lievi o moderate (grado 1 e 2) e varia da un farmaco all’altro (77% per il rituximab, 40% per il trastuzumab, 19% per il cetuximab, 1-3% per bevacizumab e panitumumab). Le reazioni gravi sono estremamente rare. Nel caso del rituximab l’incidenza di reazioni di ipersensibilità si riduce con le somministrazioni successive, passando dal 77%

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alla prima infusione al 30% alla quarta e al 14% all’ottava. In genere le reazioni si verificano al primo o secondo ciclo di infusione, entro 30 minuti-2 ore dall’inizio della somministrazione. Il meccanismo patogenetico non è del tutto chiarito: le reazioni IgE-mediate sono possibili, ma più frequentemente sembrano forme anafilattoidi da attivazione diretta di mastociti e basofili o dal rilascio di citochine, cosa che spiegherebbe la maggior frequenza di reazioni avverse alla prima somministrazione. La strategia di prevenzione delle reazioni da ipersensibilità causate da questi farmaci consiste nella premedicazione con corticosteroidi ed anti-istaminici e nella riduzione della velocità di infusione, da aumentare gradualmente durante le successive somministrazioni. In pazienti con reazioni gravi, in cui non sia disponibile un’alternativa farmacologica, sono proposti anche in questo caso schemi di desensibilizzazione.

Premedicazione Riduzione della velocità di infusione all’inizio Desensibilizzazione

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