Simone Martini

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Roberta Orlando-Silvia Montinaro-Nina MeddaIII°E2006/2007

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Simone Martini

La vita Le opere

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La vitaVissuto tra il 1284 e 1344, Simone

Martini è il pittore che più incarna lo spirito gotico nella prima metà del

Trecento. Conosciuto talvolta anche come Simone Sanese è stato

considerato sicuramente come uno dei maggiori e più influenti artisti della

scuola pittorica senese.

Il distacco dalla maniera bizantina, nei

pittori di stile gotico, si basa su alcune

caratteristiche costanti: l’uso

fondamentale della linea, soprattutto

curva e sinuosa, per costruire

l’immagine e l’apparato decorativo, l’uso

di una grande vivacità cromatica,

l’umanizzazione dei personaggi sacri a

modo di uomini o dame di corte. Questi

stessi parametri li ritroviamo tutti nella

pittura di Simone Martini, pur se il suo

linguaggio pittorico risente spesso

dell’influenza giottesca.

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La sua prima opera datata è la Maestà,

dipinta nel 1313-1315 nella sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena, dove è ancora

visibile. Fin da quest'opera Simone

mostra di differenziarsi dalla pittura a lui precedente per la

squisita commistione di delicatezze e raffinatezze

gotiche

Nel 1314 iniziò il ciclo di affreschi con

le Storie di San Martino

nell'omonima cappella della

basilica inferiore di San Francesco ad

Assisi.

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Nel 1317 venne chiamato a

Napoli da Roberto d'Angiò, che lo

nominò cavaliere (assegnandogli

una pensione annua) e gli

commissionò una tavola

celebrativa, San Ludovico di

Tolosa che incorona il fratello

Roberto d'Angiò, oggi conservato

a Capodimonte, Napoli.

Fra il 1320 e il 1326 dipinse

diverse opere tra cui due polittici

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Lo straordinario affresco raffigurante Guidoriccio da Fogliano

all'assedio di Montemassi, è da datarsi dopo il 1328 e si trova

ancora oggi nella stupenda Sala del Consiglio (detta Sala del

Mappamondo) del Palazzo Pubblico di Siena, proprio di fronte alla

sopracitata Maestà. È certo una delle opere più grandi della pittura

italiana del '300, in cui si mescolano un ambientazione fiabesca con

un ambientazione fiabesca con un acuto senso della realtà.

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Probabilmente coeve sono le molto interessanti, per il trattamento

dello spazio, Storie del Beato Agostino Novello nella chiesa di

Sant'Agostino, a Siena mentre un po' più tardo è il capolavoro di

Simone, la raffinatissima ed enigmatica Annunciazione, eseguita per

la chiesa di Sant'Ansano, sempre a Siena, e oggi visibile agli Uffizi di

Firenze. È questa una delle opere più vicine al gotico internazionale e

alle sue raffinatezze che l'Italia abbia conosciuto.

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Ad Avignone Simone conosce il poeta Francesco Petrarca. Leggenda vuole che proprio il Martini abbia ritratto Laura, e i

versi del sonetto LVII del Petrarca stesso celebrano l'opera, oggi perduta (per amore della completezza: alcuni pensano che essi si riferiscano invece a Simone da Cremona, miniatore attivo a Napoli dal 1335 circa, ma è più probabile l'ipotesi del nostro Simone da

Siena):

"Ma certo il mio Simon fu in paradiso,

Onde questa gentil donna si parte;

Ivi la vide e la ritrasse in carte,

Per far fede quaggiù del suo bel viso"

Poco dopo aver eseguito quest'opera (forse 1336) Simone partirà per Avignone, alla corte di Benedetto XII, dove eseguirà degli affreschi per la chiesa di Notre Dame de Doms, tra i quali ricordiamo quello di San Giorgio e il Drago, oggi perduto, ma

che viene descritto splendido dalle fonti.

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Oltre a ciò Simone minierà per l'amico letterato anche il

frontespizio di un codice con le opere di Virgilio commentate da

Servio (Biblioteca Ambrosiana, Milano).

L'ultima opera datata di Simone (e oggi conservata a Liverpool) è

il Ritorno di Gesù fanciullo dalla disputa nel tempio

(1342), dove compare un tema curioso e inedito: San Giuseppe

che rimprovera il divino fanciullo, dopo la disputa.

Nel 1340, su invito di papa Benedetto XII, si trasferisce presso la

corte papale di Avignone, dove vi rimase fino alla morte,

avvenuta qualche anno dopo.

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Si tratta di una pittura che concede ampio spazio all'ornamento, al

dettaglio prezioso ed alla rappresentazione di oggetti di lusso; in

breve tempo si diffonderà in tutta Europa, nelle corti perlopiù, lo

stile di quest'artista e contribuirà in maniera determinante alla

nascita del Gotico internazionale; infatti se Giotto diede il più

grande contributo ad un radicale cambiamento nella pittura, Simone

elaborò una versione senese delle novità portate da quest'ultimo

che ebbe grande seguito.

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Le opere

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MAESTÀ

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L'opera venne dipinta nella sala del Mappamondo, in quello che

al tempo era il palazzo del potere (Siena era uno dei comuni

toscani, retti in pratica da un'oligarchia, come Firenze): di

conseguenza era destinata ad esser vista da molte persone e

veicolava un chiaro messaggio politico,mentre l'aspetto religioso

era relegato in secondo piano.

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Nell'affresco è raffigurata la Madonna in

trono col Bambino, circondata da uno

stuolo di angeli e santi che sorreggono

un fastoso baldacchino, più che una

scena sacra, come nella Maestà di

Ognissanti di Giotto, sembra l'immagine

di una regina con la sua corte, con i

santi al posto delle dame e dei paggi.

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Se guardiamo più nel dettaglio vediamo che ai piedi del trono stanno

inginocchiati i quattro protettori di Siena: Sant'Ansano, Arcangelo Michele,

San Crescenzio e San Vittore.

angeli

Arcangelo Michele San Crescenzio

Sant‘Ansano San Vittore

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Infine completano il quadro i tondi nella cornice, che alternano agli

evangelisti e ai dottori della chiesa, lo stemma della città; mentre al centro

spicca un tondo col Cristo benedicente

Lex Vestus e

Lex Nova Sant’Ambrogio

Sant’Agostino

San Luca Evangelista

profeta

Isaia

San Marco Evangelist

a

Giacobbe

David

San GregorioSan Girolamo

San Matteo Evangelista

Geremia

profeta

Daniele

San Matteo Evangelista

Isacco Mosè

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Particolare di un angelo

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Accanto alla Madonna con il

bambino troviamo San Giovanni

Battista e San Giovanni

Evangelista.

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Da un punto di vista stilistico il dipinto è eccellente, le figure

hanno il loro volume, sono realistiche, come quelle di Giotto,

ma nello stesso tempo sono più esili, delicate, hanno pose

leggiadre e indossano vesti raffinate, le stesse che

probabilmente l'artista vedeva indosso ai nobili o ai ricchi del

tempo. E' impressionante la cura di certi dettagli decorativi,

che ricordano i virtuosismi di un orefice; certamente Simone

non risparmiò sull'oro che venne distribuito a piene mani in

tutte le figure, particolarmente nei vestiti. In molte

acconciature e in altre parti l'artista aveva poi incastonato

delle gemme, che purtroppo sono in gran parte cadute, mentre

le aureole, dorate anch'esse, sono finemente lavorate, per non

parlare del trono della Vergine che ricorda un'architettura

gotica.

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ANNUNCIAZIONE

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L’Annunciazione che Simone Martini realizzò nel 1333 è

sicuramente una delle più belle opere pittoriche di tutto il

Trecento europeo. In essa si concentra tutta l’eleganza un po’

astratta dell’arte di Simone Martini. L’Annunciazione è uno dei

soggetti più diffusi in assoluto di tutta l’arte di soggetto cristiano.

La rappresentazione si basa essenzialmente sul racconto tratto dal

vangelo di san Luca. L’arcangelo Gabriele si presenta alla

Madonna per annunciarle la futura maternità. La Madonna, che in

quel momento stava leggendo, accolse con stupore e un po’ di

diffidenza l’annuncio dell’arcangelo, ma, dopo un istante di

esitazione, accetta l’imminente nascita di Gesù

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Il soggetto presenta alcuni elementi

iconografici costanti: la presenza dei gigli,

simbolo della verginità della Madonna, la

colomba che simboleggia lo Spirito Santo,

e il libro che, per tradizione, rivela la

dimensione spirituale della Madonna.

Questi elementi sono tutti presenti nella

tavola di Simone Martini, ma qui l’artista

inserisce qualcosa di più e di diverso

rispetto ai canoni del tempo.

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Le ali dell’angelo sono estremamente

allungate; la genialità dell’artista

risiede proprio nell’aver reso queste

ali in un realismo inedito per l’epoca

in cui furono dipinte, raffigurate

nell’attimo precedente al loro

ripiegarsi su se stesse (essendosi

l’arcangelo appena posato sul suolo).

Oltretutto, non se ne vedono le

estremità: (soprattutto dell’ala

“principale”) questo sembra produrre

l’effetto di una lunghezza estrema

senza, però, renderle deformi ai

nostri occhi.

Il mantello dell’angelo segue il

dispiegarsi delle ali, essendo stato

reso, a sua volta, mentre fa i conti

con l’ultimo guizzo d’aria dopo il volo

di Gabriele , ed è come se si servisse

delle ali per cercare l’equilibrio

definitivo.

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Oltre agli splendidi brani di natura

morta vale la pena di concentrarsi

sui gesti dell’arcangelo. Il ramo

che tiene in mano è trattenuto con

la stessa eleganza con cui si

terrebbe un calice, le dita si

piegano in maniera quasi

sensuale. La mano destra, al cui

polso si noti il fuoriuscire sottile

della sottoveste, si contrappone

alla sinistra ed assieme formano

un’apertura magnifica, una

gestualità dall’eleganza assoluta.

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Per apprezzare e sentire la

potenza di quella splendida

dama in veste di Maria il

nostro occhio deve iniziare a

posarsi sul panneggio

lanceolato in basso, che è una

sorta di primo gradino del

gesto di pudicizia che

progressivamente si amplifica

nella parte centrale: il corpo

della Vergine sembra infatti

quasi spezzarsi fra il bacino e

le gambe, il che enfatizza la

sua sorpresa e il sottile

timore. La spalla e il volto

inarcato sono l’ultimo

“gradino” di questa figura che

gradualmente si ritrae tutta in

un insenatura di pudicizia che

allo stesso tempo sembra

quella di una dama corteggiata

da un pretendente.

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Inutile insistere su altri particolari, tra

cui le mani dellaVergine che non fanno

altro che contribuire al crescendo

musicale partito dalle mani

dell’annunciante; infatti, anch’esse si

contrappongono, ma in maniera

decisamente più ansiogena e non

meno elegante. Il gesto dell’angelo è

posato e calcolato, quello di Maria è

frutto d’istinto, ma forse è proprio

questo a renderlo unico. La parte più

commovente delle mani credo siano i

due pollici, che affondano l’uno nel

ventre profondo del libro di preghiere

(come se la pressione esercitata fosse

il segno di una repentina chiusura),

mentre l’altro afferra e tira un lembo

di veste con cui Maria ansiosamente si

copre, chiudendosi in un guscio di

prezioso ed antico candore.

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Il contatto tra i due è inciso a mò di vignetta sul legno e sale dal

basso verso l’alto suggerendoci un’intensità crescente. Il

pavimento sembra fatto del più prezioso dei marmi; il vaso-

fonte che si gonfia è la parte centrale di una bilancia e i tre

archi acuti in alto non riescono più ad inquadrare i personaggi

in modo preciso.

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L’intento è evidente: l’angelo non riesce, ma soprattutto non

vuole stare chiuso nell’arco che lo sovrasta, protende verso

Maria, sconfina nella parte centrale, si intromette in un momento

di vita quotidiana della donna. L’arco centrale è una fase di

passaggio: inquadra tutti i personaggi e terrebbe sotto di sé

anche il volto di Maria se non si fosse ritratta per il sottile

spavento. Lo stesso trono decorato da quei preziosi motivi

miniatori sconfina nella parte centrale: oramai non è più tempo di

tenere i personaggi imbrigliati in rigidi schematismi arcaici ed il

genio di Simone lo sa.

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SAN LUDOVICO

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La grande tavola fu realizzata da Simone Martini nel 1317, durante il

suo soggiorno a Napoli alla corte di Roberto d’Angiò. Il re angioino

aveva ereditato la corona del regno di Napoli grazie alla rinuncia del

fratello maggiore, Ludovico, che scelse la carriera ecclesiastica.

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In questa grande raffigurazione il programma iconografico appare

evidente: mentre san Ludovico viene incoronato da due angeli, egli,

a sua volta, incorona il fratello re di Napoli. In tal modo Roberto

d’Angiò affermava la legittimità della sua investitura reale.

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La tavola ha un evidente gusto gotico,

frutto sia della formazione stilistica di

Simone Martini, sia delle preferenze della

corte angioina che, ricordiamo, era di

provenienza francese.

La costruzione è impostata su una evidente

"prospettiva gerarchica": il santo, pur

collocato in secondo piano nello spazio

dell’immagine, appare di molto più grande

rispetto a fratello Roberto collocato in

primo piano.

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L’incongruenza formale è accentuato dal carattere decisamente

frontale della figura del santo: se si guarda con attenzione si nota

che il braccio sinistro che fuoriesce dal mantello, e che regge la

corona, ha il gomito dietro il fianco: ciò è assolutamente

impossibile nella realtà, e quindi la costruzione dell’immagine non

tiene affatto conto della reale tridimensionalità delle figure.

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In pratica l’immagine ha un valore simbolico che trascende

qualsiasi preoccupazione di verità mimetica di quanto

rappresentato.

Ciò ci dà il senso più preciso di come Simone Martini si muove in

una concezione stilistica di matrice decisamente medievale,

ignorando tutti quei problemi di naturalismo che invece stavano

affrontando Giotto e gli altri pittori fiorentini alla ricerca di un

maggiore verismo.

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Il carattere gotico di questa immagine viene ulteriormente integrato da

altre precise scelte stilistiche: la linea sinuosa e di puro valore decorativo

dei bordi delle vesti e del mantello del santo; la grande decorazione

arabescata delle vesti; la preferenza per i colori intensi e squillanti.

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Ma il carattere gotico dell’immagine principale si perde completamente

nella predella inferiore. Qui, Simone Martini dimostra di saper controllare

la rappresentazione spaziale in maniera non inferiore allo stesso Giotto.

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La predella è suddivisa in cinque scomparti, contornati ognuno da

un arco. Ma questi archi sono quasi come un portico oltre il quale

si vede una sola scena.

Infatti le cinque diverse scene sono unificate da un unico punto di fuga.

Questo crea una sensazione spaziale di grande effetto, facendo sì, che

l’occhio percepisca questa predella inferiore come il piano trasparente

oltre il quale si sviluppano le scene.

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Simone Martini è un pittore gotico sicuramente per scelta,

non per limiti stilistici. Egli, infatti, nelle sue opere

dimostra spesso di aver compreso appieno la ricerca

naturalistica di Giotto e dei suoi seguaci, ma la sua arte si

allinea al gusto gotico forse anche per adeguarsi al gusto

dei suoi committenti, che probabilmente preferivano la

ricchezza decorativa del gotico alla razionale, ma spesso

spartana, immagine dell’arte giottesca.

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POLITTICO

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Dal greco polyptychos (con molte piegature), è un dipinto (ma anche

un rilievo in avorio o terracotta o simili) suddiviso

architettonicamente in più pannelli, destinato in genere all'altare di

una chiesa. Questa tavola di piccole dimensioni costituiva forse la

parte alta di un polittico perduto.

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Al centro sta una tavola principale,

spesso più grande di quelle laterali

che, in numero uguale a destra e

sinistra, rappresentano per lo più

figure di santi. Ogni tavola può

essere sormontata da cuspidi (con

angeli, profeti o santi, per esempio).

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Nella parte inferiore, una tavola lunga e sottile, chiamata

predella, raffigura spesso episodi della vita di un santo o alcuni

misteri della vita di Cristo.

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Il Cristo è raffigurato a mezzo busto, frontale, con la mano destra levata

nel gesto della benedizione e la sinistra poggiante su un libro, secondo un

modello ancora bizantino, ma reso con un linguaggio pienamente senese,

sia nell'eleganza del disegno che nella raffinatezza del colore

Sono rari i polittici giunti integri fino a noi; motivi svariati (non ultimo lo

smembramento per ottenere "più quadri") li hanno nel tempo disgregati.

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GUIDORICCIO DA FOGLIANO

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L'affresco Guidoriccio da Fogliano all 'assedio di

Montemassi (detto anche Guidoriccio da Fogliano

semplicemente) fu realizzato nel 1328dal pittore senese Simone

Martini nella Sala del Mappamondo, all'interno del Palazzo

Pubblico di Siena, proprio di fronte alla Maestà dello stesso

autore. È alto cm 340 per cm 968 di larghezza.

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Alcune parti dell'affresco, tra cui quella del castello e il cielo,

furono ridipinte alla fine del XV secolo

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L'opera mostra il comandante delle truppe senesi durante

l'assalto alla rocca di Montemassi nella Maremma,

avvenuta nel1328.

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Nel 1980, a seguito di restauri eseguiti nell'area in cui era

dislocato il famoso mappamondo che dette il nome alla sala, è

venuto alla luce un dipinto che è in parte sottostante al ritratto del

Guidoriccio a cavallo. Tale scoperta, per le implicazioni che essa

ha avuto ed ha tuttora, ha messo in dubbio l'autenticità e la

paternità del dipinto tradizionale.

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Costituiscono motivo di polemica artistica, non la prima e neppure

l'ultima in un mondo artistico sempre più frenetico e globalizzato,

l'autenticità e la paternità del "Guidoriccio da Fogliano"

rappresentato nel Palazzo Pubblico di Siena, attribuito

tradizionalmente al grande Simone Martini, maestro del Trecento

senese, ma oggi messo in discussione da una serie di tesi

alternative, sostenute da vari critici e storici d'arte che hanno

provato a ridiscutere alcune conclusioni artistiche, prescindendo

da valutazioni preesistenti, in qualche caso anche consolidate,

nella massima libertà di ricerca e di pensiero; non si sa quanto

questo abbia avuto successo e se mai lo avrà.

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Nel 1980, nel corso di un

restauro, venne scoperto un

dipinto di eccelsa qualità, la

cui fascia superiore è

sottostante  al notissimo

"Guidoriccio da Fogliano alla

conquista di Montemassi" e la

cui parte sinistra risulta

tuttora coperta dal ritratto di

un santo patrono di Siena,

risalente al 1530 circa dipinto

dal Sodoma. La scoperta ebbe

un grande clamore nel mondo

dell'arte.

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Tale scoperta fu l'occasione per l'apertura di una controversia,

già latente nel passato e mai sopita, circa la paternità, o meglio

l'autenticità, del noto cavaliere creduto fino ad oggi il Guidoriccio

da Fogliano immortalato da Simone Martini.

Le perplessità trovavano origine soprattutto dal fatto singolare

che Giorgio Vasari, mentre si era soffermato sulla "Maestà" di

Simone Memmi (corretto successivamente in Martini), che

occupa un'intera parete del Palazzo Pubblico di Siena, che

definiva "di tutta perfezione, con molta sua lode e utilità", nulla

accennava al cavaliere con paesaggio, che per dimensioni

gareggia con la Maestà, posto nella parete di fronte, come se

questo non fosse esistito o non fosse appartenuto all'eccellente

"dipintore sanese".

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Presentazione creata dalle Tre Grazie:

Orlando Roberta “Grazia”

Montinaro Silvia “Graziella”

Nina Medda “Grazie a sto c***o”

Classe 3E

Anno scolastico 2006/2007