Simmetria-rivista 19 2013 a5

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SIMMETRIA Associazione Culturale - Via Muggia 10 00195 Roma e-mail: [email protected] N.19 Marzo 2013 In questo Numero: Santa Prassede: Il pozzo e il simbolismo cristiano depoca carolingia di C.Lanzi Selezione di articoli, commenti, riedizioni, estratti e segnalazioni relative alle attività di Sim- metria. La rivista on-line, agile e di poche pagine, si affianca alla rivista cartacea di Simmetria, ha lo stesso comitato di- rettivo ed editoriale e sviluppa temi particolari, prescelti fra quelli di maggiore interesse fra i nostri lettori. Ha un carattere aperiodico e viene inviata gratuitamente a tutti i soci ed amici che ne facciano richiesta.

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In questo Numero:

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Selezione di articoli, commenti, riedizioni, estratti e segnalazioni relative alle attività di Sim-

metria.

La rivista on-line, agile e di poche pagine, si affianca alla rivista cartacea di Simmetria, ha lo stesso comitato di-

rettivo ed editoriale e sviluppa temi particolari, prescelti fra quelli di maggiore interesse fra i nostri lettori.

Ha un carattere aperiodico e viene inviata gratuitamente a tutti i soci ed amici che ne facciano richiesta.

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Rivista n.19 – Marzo 2013

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Santa Prassede:

Il pozzo e il simbolismo cristiano

d’epoca carolingia. (Visita guidata del 9 Marzo 2013)

Premessa

In questo breve articolo che segue

la visita del 9 Marzo, dopo aver ri-

chiamato alcuni riferimenti storici

universalmente accettati, ci consenti-

remo, secondo una ormai consueta e

trasgressiva abitudine, delle “escur-

sioni” mitostoriche che difficilmente

possono trovar spazio nell’ufficialità

dell’interpretazione canonica. Ov-

viamente abbiamo cercato di evitare

scivoloni millenaristici, spingendoci

invece in una breve navigazione su

quel territorio di confine, tra il misti-

co e l’alchemico, in cui stanno sco-

modi tutti, compreso il sottoscritto

ma, non essendo vincolati ne biso-

gnosi di alcun riconoscimento uffi-

ciale, sfrutteremo… l’età, che ci con-

sente di esser liberi da angustie refe-

renziali e da approvazioni accademi-

che.

Iniziamo dalla pianta (Fig. 1) che

ha subito numerosi rifacimenti nei

secoli. Mi sono limitato ad indicare i

particolari che, in qualche modo, so-

no collegati a questa relazione.

Brevissimi cenni storici

Prassede e Pudenziana erano figlie

di Pudente, un senatore romano citato

da S. Paolo al termine della seconda

lettera a Timoteo. Analogamente ad

altri esponenti dell’aristocrazia e della

classe senatoria romana, Pudente de-

stinò una zona della sua ampia villa

alla nascente comunità cristiana, costi-

tuendo un titulus (cioè uno spazio ri-

servato ai cristiani che portava il nome

del donatore).

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Questo aspetto è assai importante e

ormai consolidato, e confuta, qualora

ce ne fosse ancora bisogno, quel fi-

lone di pensiero moderno che ancora

insiste sulla diffusione popolare e

militare anziché su quella senatoria e

intellettualmente raffinata del proto-

cristianesimo.

Tale aspetto diventa, a mio avviso,

assai esplicito se ci si sofferma sulla

struttura potentemente misterico-

realizzativa delle prime correnti cri-

stiane, assai più forte di quella me-

ramente “devozionale” (che conside-

riamo assai più recente e che si svi-

luppa lentamente e progressivamen-

te, soprattutto dopo il mille).

Sotto un certo aspetto, e tanto per

innestare in queste note una piccola

provocazione che può essere total-

mente oppugnabile e che meriterebbe

ben altri approfondimenti, ci sembra

che l’osmosi fra il paganesimo e il

protocristianesimo sia stata assai fe-

conda nei primi secoli, al di la delle

rappresentazioni formali che ce ne

danno gli agiografi o gli storici (così

come si può ampiamente vedere dal-

le decine di ipogei di recente scoper-

ta, dove le correnti pagane, pitagori-

che, cristiane, convivono felicemente

nelle stesse dimore).

E’ evidente come la proliferazione

di culti misterici (mitriaci, dionisiaci,

isiaci e cristiani) contrassegni la frattu-

ra definitiva fra il senato e gli impera-

tori barbari. E non dimentichiamo che

il senato accoglieva equamente espo-

nenti di differenti filosofie religiose.

La disperata necessità dell’impero di

una rifondazione su quelli che oggi

chiameremmo “valori” o “principi”

scatenò quelle persecuzioni verso le

religiosità misteriche, che erano forse

assai più determinate dalla necessità di

ritrovare una fondazione cultuale sta-

bile su cui reggere la “polis” che dalla

preoccupazione per la perdita di prin-

cipi sacrali condivisi.

Una volta scelta (assai politicamen-

te) la soluzione costantiniana, il cri-

stianesimo assume stabilmente la dop-

pia veste, politica e religiosa e perde, a

livello della gerarchia ecclesiale ed

imperiale, la potente connotazione mi-

sterica per entrare nella pompa della

liturgia imperiale ormai snaturata. Ma

l’aspetto gnostico e mistico, restano

sempre occulti e presenti nei primi se-

coli, e diventano sistematici nel me-

dioevo (basti pensare a quei fari di sa-

pienza della mistica renana).

Sempre a mio modesto avviso, nel

rinascimento e nell’illuminismo ven-

gono invece progressivamente tagliati

i contatti con il Vero mistero (e qui

concordiamo con alcune valutazioni

sia di Canseliet che di De Lubicz) svi-

luppando, tre filoni a volte in feroce

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contrasto fra loro: quello intellettua-

le-teologico, quello magico e quello

puramente devozionale.

Sul totale disastro che è avvenuto

in epoca moderna rimandiamo ai

numerosi articoli scritti sul tema. La

frattura, ancorata all’illuminismo è

diventata baratro e il contatto con il

messaggio proto-cristiano, tutt’altro

che semplice, tutt’altro che ingenuo,

si è completamente perso.

Si potrà obiettare che tutto può de-

rivare dalle due visioni, quella plato-

nica e quelle aristotelica, presenti fin

dalle origini nella filosofia cristiana,

la prima legata ad Agostino e poi agli

esponenti più alti del monachesimo e

l’altra a Tommaso ed ai teologi di

scuola domenicana.

Resta il fatto che il problema della

“lettura” di testi o reperti archeologi-

ci di duemila anni fa, alla luce di un

pensiero “moderno” snatura il senso

dei testi medesimi e dell’apparato i-

conografico.

Questa piccola premessa ci serve

per comprendere che, se noi entria-

mo nella cappella di San Zenone con

un atteggiamento meramente “classi-

ficatorio” o, peggio storicistico, nes-

suno dei simboli sparsi a profusione

in quel piccolo spazio, sarà in grado

di comunicarci qualcosa.

Abbiamo tratto alcune delle notizie

che qui riporteremo da un bel volume

del 1725, proveniente dalla biblioteca

di famiglia, legato in pergamena con

ben 544 pagine (fig. 2). L’autore del

volume è il dotto Benigno Davanzati,

abate di Vallombrosa e membro

dell’Accademia d’Arcadia. Oltre a no-

tizie agiografiche l’autore ci da alcune

informazioni “numeriche e geometri-

che”, assai interessanti, che ho par-

zialmente trasferito in queste note.

Il suddetto testo inizia con

un’accurata descrizione dei cosiddetti

“viaggi di San Pietro”, tratti in buona

parte da San Girolamo ma non manca

di mettere in luce le contraddizioni.

Alcuni vogliono che Pietro stazionasse

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prima a Pisa, altri a Napoli, altri che

partisse a piedi dalla Calabria, ecc.

ecc.. Da tali notizie, in buona parte

agiografiche, sappiamo che il mo-

mento in cui San Pietro arriva a Ro-

ma vi trova, come noto, un quasi suo

omonimo, certo Simone Mago Sama-

ritano che “non solo stimavano come

uomo d’insigne santità e virtù ma ri-

putandolo una deità gli ossequi al

solo e vero Iddio gli attribuivano,

conforme appariva nella Statua che

nell’isola tra i due ponti eretta gli fu

(ndr: Isola Tiberina), colla seguente

iscrizione portata da S. Giustino

Martire nella sua apologia ad Anto-

nino Imperatore a pro dei Cristiani”:

“Simoni Deo Sancto”.

Simone Mago aveva una compagna

di nome Selene (ovviamente definita

donna impudica, ma in questo caso,

l’agiografia chiarisce assai bene il

rapporto “operativo” fra elementi

solari ed elementi lunari nel proto-

cristianesimo). Ovviamente Simone

Samaritano sfida Pietro in una “pro-

va di miracoli” (e questo ci ricorda

l’analoga prova di Mosé presso il Fa-

raone).

La prova risulta assai interessante

in quanto, effettivamente, Simone

Samaritano riesce a resuscitare un

fanciullo morto ma, dopo un po’ il

medesimo si accascia di nuovo a ter-

ra. Ovviamente San Pietro lo solleva,

in nome di Gesù Nazzareno, e quello

“s’alzo’ libero a vista di tutto il Popo-

lo”.

La seconda prova consiste nel volo:

Questa volta l’operazione riesce assai

bene. Simone inizia a solleversi e, par-

tendo dal Campidoglio si dirige verso

l’Aventino sospeso nell’aria. Ma Pie-

tro, prostrato in terra inizia ad operare

attraverso una preghiera affinché la

prova fallisca. Effettivamente Simone

inizia a vacillare, precipita e viene

raccolto dai suoi e portato ad Ariccia

dove morirà dopo alcuni anni. E quivi

restò sepolto in compagnia delle sue

magie, dice con un certo sussiego pa-

dre Davanzati.

Abbiamo riportato questo episodio

in quanto si inquadra bene nel clima

della Roma del primo secolo, dove la

pratica magico-schamanica era assai

diffusa e spesso confusa, a livello po-

polare, con quella misterica.

L’ingresso massiccio delle religioni

orientali aveva enormemente incre-

mentato la proliferazione d’imbonitori

d’ogni sorta (come ricorda ironica-

mente lo stesso Petronio unitamente a

tanti altri scrittori Romani). E un certo

nervosismo sia da parte della classe

senatoria come da quella delle antiche

“gens” romane, è facilmente compren-

sibile.

San Pietro comunque chiese ospitali-

tà al senatore Punico Pudente dove

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venne accolto generosamente e mes-

so in grado di iniziare il suo aposto-

lato. Baronio aggiunge che “non a-

pud Judeos permissust est agere, sed

a Pudente Senatore, qui Cristo cre-

didit in domum suam exceptus est”

Pudente dunque è il primo, di una

lunga serie di senatori e nobili roma-

ni che, accostatisi al primitivo mes-

saggio Cristiano, ne resta affascinato

e si converte insieme alla moglie Pri-

scilla.

Il nostro testo insiste molto sia sul

fatto che Pietro sia stato il primo Cri-

stiano che abbia creato, nel 44 d. C.

una comunità cristiana in Roma sia

sul fatto che dalla comunità di Pu-

dente sia stata elevata la prima co-

struzione dedicata al “culto”. Per

molti capitoli viene dimostrato che

altre chiese antichissime, da Santa

Pudentiana, a san Pietro in Vincoli e

tante altre non possono vantare lo

stesso primato.

Prassede, ereditato il “titulus”, alla

morte del padre, avrebbe costruito,

insieme alla sorella all’interno del ti-

tulus un fonte battesimale. Si può

presupporre quindi, che al disotto

della basilica, esistesse

un’importante vena d’acqua per ali-

mentare i consueti “battesimi a im-

mersione”. E la “vena d’acqua” sot-

terranea è una caratteristica che ac-

comuna sia i Mitrei come le prime

costruzioni cristiane. Forse si tratta di

una delle tante sorgenti che alimenta-

vano il rione Monti e la circostante

Suburra. Tale ipotesi è comprovata

dalla menzione di un Palazzo delle

Terme, forse di proprietà dello stesso

Senatore Pudente, installate proprio

nello spazio del colle Viminale, fra le

chiese di Santa Prassede e santa Pu-

denziana. Tali terme, secondo San

Damaso (304) avevano il nome di Ti-

motine e Navoziane (dai nomi dei figli

di Pudente) fin dai tempi del Papa Pio

I.

La Basilica attuale, ricostruita

nell’817, dopo le minacce di crollo

della precedente, sorge nelle vicinanze

delle terme e di tale titulus che però

non è mai stato identificato con preci-

sione e si appoggia su un imponente

terrapieno di riporto. Assai presto

venne attribuito a tale chiesa il nome

di Basilica. Benigno Davanzati, citan-

do certo Filippo Rondinini dice: “Ae-

dificium, quod duplici aut quadruplici

columnarum ordine mediana testudi-

nem, hoc est mediam navim simplici,

aut duplici hinc, atque inde porticu

cingebat”

Forse il nome di Prassede deriva da

praxis, pratica (termine che, come

sappiamo, nell’uso arcaico si collega a

techné a pratiké e quindi all’aspetto

conoscitivo ed operativo

dell’esperienza stessa). Vorrei perciò

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ipotizzare che non si tratti di una

scelta casuale.

Un’altra particolarità, anzi, una

quasi unicità di questa basilica (nota-

ta fin dai primi secoli della sua edifi-

cazione) è costituita dal fatto che,

nonostante l’importanza per il fatto

che stabilisce uno dei più arcaici in-

sediamenti cristiani, e la frequenta-

zione di personaggi famosissimi, non

può essere “vista” dall’esterno ed è

completamente sommersa dalle case

circostanti: la facciata stessa, così

come il cortile come buona parte del-

le mura perimetrali sono inglobati

nell’edilizia delle costruzioni medie-

evali adiacenti, che ho contrassegna-

to con apposita campitura nella fig.

1, mentre l’ingresso è generalmente

possibile solo dalla navata destra.

Una delle caratteristiche della chie-

sa è quella di aver raccolto moltissi-

me reliquie (opera iniziata diretta-

mente da Pudenziana e poi prosegui-

ta dalla sorella e, nei secoli, da tutti

vescovi titolari della cattedrale).

Pasquale I, in epoca Carolingia, è

colui che attua il programma di deco-

razione musiva absidale, con una fi-

losofia della distribuzione delle luci

straordinaria, simile a quella bizanti-

na ma con una sua originalità antici-

patrice, a nostro avviso, dei criteri

del gotico. Oggi, buona parte di

quest’opera è stata distrutta, ma

quanto resta ha un valore straordina-

rio. All’inizio, infatti, la luce illumina-

va fortemente solo la navata centrale

mentre quelle laterali erano comple-

tamente buie. Ciò favoriva l’impatto

straordinario con la cappella di San

Zenone che rappresentava (come rap-

presenta tuttora) il “centro metafisi-

co”, il cuore “pulsante” della chiesa).

La chiusura delle finestre e la suc-

cessiva suddivisione della pianta at-

traverso tre arconi trasversali mortifi-

cò il progetto di Pasquale I, la cui

tomba dovrebbe essere proprio

all’interno della cappella di Zenone

ma che non è mai stata trovata.

Un altro aspetto particolare di Santa

Prassede è la residenza dei monaci

Vallombrosiani fin dal 1198. Tale or-

dine, come noto, venne fondato da San

Giovanni Gualberto seguendo una re-

gola molto simile a quella benedettina.

Essi sono ancora assegnatari della ba-

silica, evento abbastanza straordinario

nella storia degli ordini monacensi e

che deve far riflettere.

Nel 1564 una grande influenza sulle

ristrutturazioni la ebbe il famoso Car-

dinale Borromeo (quello dei Promessi

Sposi) che, a quanto pare (come dimo-

strò, ad esempio, anche nei confronti

dei Gambara a Villa Lante di cui ab-

biamo parlato nell’apposito libretto)

era già assai distante sia

dall’ermetismo di molti dei suoi con-

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temporanei, come dalla religiosità

misterica dei secoli intorno al Mille.

Perciò intervenne …a gamba tesa

nella ristrutturazione, distruggendo

una buona parte dei lavori musivi

dell’abside per privilegiare

l’esposizione delle reliquie in apposi-

te edicole poste ai fianchi

dell’abside. (Nella fig. 3 abbiamo ri-

portato la vista generale, compresi,

sullo sfondo, i tre arconi che prece-

dono l’abside e una vista parziale

della conca dell’abside stessa e sotto

la pala d’altare).

Ma nella storia degli sconvolgi-

menti della chiesa vorremmo segna-

lare un evento moderno che ci ha

sempre stupiti. E cioè il rifacimento,

avvenuto nel 1918, della pavimenta-

zione in stile neo-cosmatesco che ha

sostituito i mattoni settecenteschi

(fig. 4). Pur essendo un “falso” ideo-

logico clamoroso possiamo dire che

si tratta di un ottimo falso d’autore.

Probabilmente non è stata rispettata

la sapienziale numerologia geometrica

dei Cosmati e la suddivisione in parti

rispondenti al “Corpus Christi” (come

abbiamo cercato di mostrare in altri

lavori, ad esempio in “Sedes Sapien-

tiae”) ma la disposizione delle tessere

secondo tassellati assai complessi e la

perpetuazione del duplice 8 danno una

ottima eleganza all’insieme e ripristi-

nano, per lo meno dal punto di vista

meramente estetico, un certo “clima”

medioevale. Inoltre c’è da segnalare

che il mosaico con il grande cerchio in

porfido rosso dovrebbe contrassegnare

il punto dove era costruito il vecchio

“pozzo-fonte battesimale”, di cui par-

leremo in seguito.

E’ probabile che nel 1300, prima

delle dei numerosi interventi più o

meno cruenti sull’architettura basilica-

le da parte del Borromeo e successori,

esistesse un importante lavoro dei Co-

smati al pari di quanto presente nella

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maggior parte delle basiliche roma-

ne. Ne da, a mio avviso, ampia te-

stimonianza la parte frontale

dell’altare presente nella cripta, tra-

sportato davanti all’icona della Ver-

gine durante gli interventi per il rifa-

cimento del protiro dove è stato rico-

struito. Unico (e splendido) elemento

cosmatesco originale (Fig. 5).

Il Presbiterio.

L’intera zona del presbiterio venne

sconvolta nel 1728 su indicazione del

Card. Ludovico Pico della Mirando-

la (che, a nostro avviso, non avrebbe

ricevuto un grande apprezzamento da

parte del suo più famoso antenato ma

che seguiva, più o meno consape-

volmente, una tradizione consolida-

ta) per ricercare le reliquie al disotto

dell’altare maggiore. Il lavoro archi-

tettonico curato da Francesco Ferra-

ri a cui dobbiamo le scale, il baldac-

chino e il nuovo ingresso alla cripta,è

scenograficamente affascinante ma

purtroppo ha in buona parte distrutto i

mosaici dell’abside. Sopra le colonne

del baldacchino compaiono quattro

angeli che reggono i segni della pas-

sione e dietro le colonne dell’altare, a

copertura dei precedenti mosaici com-

pare la pala d’altare di Domenico Ma-

ria Muratori che rappresenta Santa

Prassede intenta a conservare, in un

pozzo, il sangue dei martiri, secondo

l’antica agiografia di questa santa.

Anche se non riusciamo proprio a

digerire gli interventi rinascimentali e

barocchi quando i medesimi stravol-

gono i progetti originali, frutto della

visione misterica del medioevo, dob-

biamo prendere atto che il lavoro ef-

fettuato intorno all’altare maggiore

non rinnega il simbolismo dei misteri

cristiano, anzi. In particolare nella pala

del Muratori appare la santa affaccen-

data a versare il sangue, sotto

l’influenza e la grazia di una torcia e

degli angeli festanti che sorreggono i

segni della salvezza tramite il martirio,

secondo quella “esasperazione” for-

male caratteristica del secolo.

Il rapporto tra il pozzo e il fonte bat-

tesimale che rappresenta “l’initium”

della storia della basilica viene enfa-

tizzato proprio dalla pala d’altare in

cui coesistono due spazi e due tempi:

il primo quello della ricerca dei martiri

e dell’omaggio alle salme, il secondo

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quella della conservazione del san-

gue ricavabile dai resti dei martiri.

Questa opera, apparentemente maca-

bra, ha un risvolto sapienziale pro-

fondo: il sangue dei martiri, simile a

quello che scende dalla Croce e si

sparge nei quattro fiumi (cosa a cui si

allude specificamente nell’arco absi-

dale) attraverso il pozzo disseta la

terra dei fedeli, trasforma le anime e

ne consente la rinascita spirituale: vi

avviene una trasformazione simile a

quella operata nelle nozze di Cana.

Ovviamente questo “atto” così crudo,

infonde maggior valore, soprattutto

nel proto-cristianesimo, al potere

delle reliquie che, fino a tutto il

1700, venivano conservate non solo

nelle chiese ma anche nelle case pri-

vate, quale potente viatico taumatur-

gico e supporto alla preghiera ed alla

meditazione.

Se, ovviamente, ci si limita

all’aspetto “terapeutico” delle reli-

quie si rischia di confinare la devozio-

ne verso tali oggetti nell’ambito della

superstizione. Ho già trattato in molti

articoli le ragioni attraverso le quali,

per secoli e secoli veniva incrementata

questa esorbitante collezione, quasi

maniacale, delle reliquie dei martiri.

La stessa mania venne stranamente ri-

volta all’accumulo di pietre dure, sia

pagane che cristiane, che contagiò

buona parte della storia del Cristiane-

simo Carolingio fino a tutto il 1500.

Bisognerebbe, forse, indagare con

più accortezza e rispetto per

l’intelligenza medievale sulle modalità

con le quali principi e vescovi conser-

vavano queste testimonianze. Non è

soltanto un omaggio a ciò che resta

del “santo” ma un vero e proprio anel-

lo di congiunzione fra la dimensione

terrena e quella iperurania.

La reliquia non è soltanto un oggetto

che opera per contagio “magico” ma

un talismano perenne, una parte di

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qualcosa o qualcuno che cela al suo

interno il ponte verso l’eterno. Il

“Sanctus” infatti, cioè l’intangibile, è

colui che ha toccato, convertendo e

trasformando “alchimicamente” se

stesso, ciò che con mani volgari non

si può toccare. Così, reliquia supre-

ma e farmaco universale diventa il

rosso del sangue effuso nel martirio.

Questa breve considerazione forse ci

aiuta a capire meglio il famoso gesto

della copertura delle mani (che ve-

dremo altrove rappresentata) quando

si tocca qualcosa che conduce verso

il sacro e che trae origine dalla tradi-

zione sacerdotale della Roma paga-

na.

Il pozzo assume perciò la veste di

novello fonte battesimale attraverso

cui rinasce l’anima, così come dal

calice sorge l’ostia, sole ardente del-

la nuova vita.

Da tener presente che il normo-

gramma dell’agnello pasquale (Fig.

8) (Victima Pascalis) oltre a ricorda-

re il nome del papa (Pascal) che ha

edificato la chiesa, viene rappresen-

tato, quale chiave di volta, nell’arco

che sovrasta il presbiterio. Ne deriva

che l’opera rinascimentale ed in se-

guito barocca che ha invaso e poi…

artisticamente devastato il lavoro dei

mosaicisti medievali, è comunque ri-

uscita a conservare, anche se con mi-

nor sapienza e immediatezza, il sen-

so metafisico delle reliquie.

Benigno Davanzati, con il quale, in

questa versione scritta, abbiamo inte-

grato alcuni commenti che sono stati

fatti durante la visita, ci propone alcu-

ne considerazioni di sapore “vitruvia-

no”, (tratte da altri autori come il Du-

rando o Clemente o Tertulliano) ma

anche assai fervide di quella mistica

controriformista che agita i primi anni

del XVII secolo:

“ autem Ecclesiae materialis modum

umani corporis tenet. Caricellas nac-

que, sive locus ubi Altare est, caput

representat, Crux ex utraque parte

brachia, et manus: relinqua pars ab

Occidente, quidquid scorpori superas-

se videtur.

Sicché noi ricaviamo che le chiese

erano formate a similitudine del corpo

umano, il cui Capo, come la parte più

nobile fra la tribuna e l’Altar Maggio-

re o Santuario, le braccia son le nava-

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te collaterali, il corpo la nave di

mezzo ed i piedi la porta, o

l’ingresso”.

Notare che questa modalità di di-

stribuzione delle membra del corpo

non prevede tanto l’estensione nel

transetto come nelle antropometrie di

Cattaneo o in quelle più antiche me-

dievali, ma è più “sanguigna” in

quanto (come mostrato in altra sede)

il flusso dei fedeli lungo i percorsi

segnati nelle tre navate assomiglia

parecchio alla circolazione del san-

gue.

Riguardo all’orientamento risulta

interessante citare Vitruvio a propo-

sito dei templi pagani:

“Signum, quod erit in Cella collo-

catum, spectet ad vespertinam Coeli

regionem, ut hi, quiadierint Aram

immolantes, aut sacrificio facientes,

spectent ad partem Coeli Orientis, et

simulacrum, quod erit in Aede, et ita

vota concipientes, contueantur Ae-

dem, et Oriens Coelum”.

Ritengo particolarmente sentita

questa espressione del Davanzati

che, trovandosi di fronte a chiese,

anche molto antiche non orientate

verso il sorgere del sole afferma

quanto segue: “Io però dico che sic-

come le nostre preci non sono indi-

rizzate verso il Sole creato…..ma so-

no rivolte a Dio (n.d.r. Sole increato),

Solis lucis aeternae, così essendo egli

per tutto; perciò dovunque siano o-

rientate le chiese per tutto ritroviamo

Dio…”

L’Abside

Il catino absidale (Fig. 9) è caratte-

rizzato da un Cristo in piedi, la destra

aperta con le linee della mano a for-

mare una X (per alcuni) per altri un al-

fa. La sinistra tiene un rotolo chiuso

(quindi non svelato). Cristo porta una

tunica clavata ed ha un aureola carat-

terizzata da una croce blu. Sopra la te-

sta una mano sbuca dalle nuvole e,

passando all’interno della corona (co-

me in San Clemente e altre cattedrali

romane) porge una corona laureata e

gemmata. A sinistra S. Pietro tiene per

le spalle la sorella di Prassede, Santa

Pudenziana (che tiene in mano una co-

rona)e la presenta al Cristo. Sulla de-

stra San Paolo presenta invece Santa

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Prassede. Entrambe osservano

l’abitudine la velatura delle mani per

non contaminare il dono. Tale velo

rappresenta anche il diaframma tra

ciò che è tangibile e ciò che è assolu-

tamente ineffabile.

Entrambe le sante hanno degli abiti

di tipo bizantino.

Alla destra di Santa Prassede tro-

viamo finalmente il Papa “fondatore”

cioè Pasquale I che si riconosce

chiaramente in quanto il suo dono

(presentato sempre con le mani co-

perte dalla casula dorata) consiste

nella Basilica stessa. Il nimbo qua-

drato indica che il donatore è tuttora

vivente.

Ai lati abbiamo le palme della vit-

toria, dell’annuncio pasquale (cosa

che amplifica il senso del mono-

gramma), dell’ascesi, dell’immor-

talità.

Ma l’elemento più interessante

(Fig. 10) è la fenice rappresentata su

uno dei rami delle palme e con la testa

esattamente al centro di un sole ra-

diante. Non è frequente una rappresen-

tazione del genere. Tale uccello. em-

blema di Cristo-sole-oro e della rina-

scita dalle ceneri, ha dei forti riflessi

nel simbolismo ermetico già allora in-

nestato negli ambiti monacensi, so-

prattutto in quelli con maggiori contat-

ti con l’oriente da dove proviene tale

mito.

Nella parte inferiore del catino

dell’abside l’Agnello è appoggiato su

un piccolo prato verde al disotto del

quale sgorgano i 4 fiumi (e questo, in-

vece, è un simbolo assai più frequen-

te). Ai lati di tale agnello dodici peco-

re convergono verso di lui provenen-

do da Gerusalemme e da Behtlemme

(per altri da Roma e Gerusalemme). Al

disotto ancora, in un fondo blu, risal-

tano le lettere dorate della dedicazione

della Chiesa da parte di Pasquale I.

Arco absidale

Partiamo, come per la conca

dell’abside, dal centro (Fig. 11). Di

nuovo abbiamo il tema dell’Agnello,

sormontato dalla Croce e che siede in

un trono ricchissimo di gemme al di-

sotto del quale è il libro con sette Si-

gilli. Questo ci fa capire che Papa Pa-

squale sta affrontando il tema

dell’Apocalisse.

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L’agnello può o non può aprire il

libro dunque la sua posizione è una

promessa di speranza o… una mi-

naccia. Ai fianchi dell’agnello ab-

biamo rispettivamente 3 candelabri a

sinistra e 4 a destra. / luci, ovvero le

7 chiese (o comunità) cristiane nello

spazio e nel tempo. Messaggio que-

sto di portata universale, collegato a

questo straordinario numero dalle in-

finite proprietà, che ritroviamo in tut-

to il simbolismo cristiano. Gerarchi-

camente, all’esterno dei candelabri,

abbiamo 4 angeli e ancora più distan-

ti i simboli animali degli evangelisti

(è questa una delle raffigurazioni più

arcaiche) o del tetramorfo ma raffi-

gurati a mezzo busto e dotati ognuno

di 6 ali.

Sotto tale fila e disposti in gruppo

di 12+ 12 ci sono i 24 “vegliardi”.

Anche costoro offrono all’Agnello

corone d’oro. Troviamo il numero 24

come sommatoria dei Patriarchi e

degli Apostoli. Ad esempio tale sim-

bolismo verrà rappresentato efficace-

mente intorno al rosone della cattedra-

le di Orvieto (che abbiamo esaminato

in altro articolo) Sotto l’agnello e

all’interno di un motivo floreale ab-

biamo il monogramma di Pasquale I

che, non per nulla, si pone in relazione

con la vittima pasquale sopra rappre-

sentata.

Arco Trionfale

Questo è il terzo arco che “protegge

il protiro” (Fig. 12).

Iniziamo nuovamente dal Centro.

Questa volta abbiamo Cristo vestito di

porpora ed oro, segno di regalità su-

prema, con il rotolo e la mano aperta

di fronte al cuore. Ai lati ci sono due

angeli con le ali aperte (soffio-spirito).

Subito sotto Maria, Santa Prassede, e

San Giovanni e, ai lati una serie di al-

tri santi. Alle estremità della fila Elia e

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Mosè.

Tutti costoro sono all’interno delle

mura della Gerusalemme Celeste che

ha le porte aperte ma custodite da

due angeli.

Al disotto una folla si accalca (gli

eletti: 12x12= 144 mila) e attende di

poter essere ammessa nel recinto. Il

resto del mosaico, come già detto è

stato distrutto dal Cardinale Borro-

meo.

Cappella di San Zenone

Sarebbe interessante capire di qua-

le Zenone si tratta. Difficile che si trat-

ti di San Zeno, vescovo di Verona, di

cui l’agiografia ci ha tramandato mol-

tissime informazioni. Questo sembra

esser stato un martire romano proba-

bilmente sepolto nella cappella stessa

che in realtà è stata realizzata da Pa-

squale per sua madre Teodora. Nel Li-

ber Pontificalis sappiamo che tale

straordinaria cappella fu chiamata da

subito Hortus Paradisi e abbinata alla

invocazione Sancta Maria Libera nos

inferni.

L’ingresso a tale cappella si presenta

con una piccola porta sormontata da

un architrave, sorretto a sua volta da

una colonna di serpentino ed una di

granito nero con screziature bianche

(fig. 13). Non ci soffermiamo sui par-

ticolari delle decorazioni lapidee ma

non possiamo non notare la grande ur-

na cineraria che sormonta l’architrave.

Non è solo un’allusione alla tomba ma

il vaso, con le orecchie e coperchio ri-

corda quel calice da cui si risorge. Due

archi con un mosaico straordinario

circondano l’urna. Al centro, questa

volta troviamo la Vergine con il bam-

bino (che giustifica il “Sancta Maria

libera nos inferni”). Gli altri due clipei

ai lati raffigurano due santi e, ai lati ci

sono solo volti di 8 sante. In tutto ab-

biamo 10 clipei di Santi e la Vergine

che però, con il bambino, raggiunge il

numero di 12 personaggi. Nell’arco

più esterno ci sono invece i 12 aposto-

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li con al centro il Cristo. In alto ci

sono altri due clipei che forse raffi-

gurano Mosé ed Elia mentre in basso

ci sono due mosaici ottocenteschi

che, a parte la scarsa compatibilità

estetica con gli altri) non aggiungono

senso alla raffigurazione (forse due

papi).

Ma la meraviglia di tale piccola

nicchia è costituita dalla sinfonia

cromatica dell’interno (fig. 14). Il

soffitto è una meraviglia di mosaici

dorati al centro dei quali troneggia

un Cristo anch’esso avvolto in una

tunica dorata e reggente un rotolo tra

le mani. Ci troviamo realmente nel

Giardino del Paradiso. Infatti quattro

angeli con aureole blu, fanno da me-

diatori fra cielo e terra e poggiano i

piedi su quattro colonne con capitelli

corinzi. L’effetto è tale che la parte

musiva sembra in rilievo, e non si

riesce quasi a distinguere da quella

tridimensionale costituita dalle co-

lonne stesse.

Il visitatore accorto si accorgerà che

nel pavimento esiste un onphalos che

si trova in perfetto allineamento verti-

cale con il clipeo del Cristo sul soffit-

to. Ritengo che perfino la Margherita

Haak, messa in questo straordinario

axis mundi, potrebbe sospettare di non

essere soltanto un animale evoluto. Di

tale straordinaria cappella abbiamo

provato anche l’acustica elevando due

brevi strofe di “canto romano” e la co-

sa è stata particolarmente interessante

per tutti.

Dietro la facciata troviamo la croce

in trono (Etimasia) che rappresenta

l’attesa per il secondo avvento del Cri-

sto sulla terra (fig.15) e ai lati abbia-

mo san Pietro e San Paolo che pog-

giano i piedi su due particolari quadra-

ti con dei fiori, forse ad indicare

l’odore della santità “sicut incensum”

(Fig. 16).

Dando le spalle alla porta abbiamo

poi Santa Agnese, Santa Pudenziana e

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Santa Prassede. Tutte quante con ric-

chi ed eleganti ornamenti bizantini e

con le mani velate, ad offrire corone.

In basso, in una nicchia, abbiamo

l’Agnello (fig. 17) con i cervi che si

dissetano sui 4 fiumi (simbolismo

che troviamo assai efficacemente an-

che nella basilica di san Clemente). E

sotto ancora Pudenziana, Prassede la

Vergine e Teodora (madre di Pasqua-

le col nimbo quadrato delle persone

viventi).

Particolare attenzione merita la

nicchia con la Deesis, o “icona

dell’intercessione” (questa è la parte

che ha fatto maggiormente pensare

all’influsso o all’esecuzione bizantina)

(fig. 18). Vi è la Vergine con il Bambi-

no, entrambi allineati alla maniera Ca-

rolingia (con la testa del Redentore e-

sattamente all’altezza del cuore della

Vergine). Il che forse ridurrebbe

l’ipotesi di una influenza bizantina. Il

Bambino reca il cartiglio con la scritta

“Ego sum lux” ed è adorato da Santa

Prassede e Pudenziana.

Sulla parete di destra abbiamo inve-

ce San Giovanni con il suo vangelo

con 5 sigilli e Andrea e Giacomo con i

loro rotoli (fig. 19).

Tutti hanno le mani velate ma Gio-

vanni le copre di oro mentre gli altri

due di lino.

Al disotto, nella lunetta, abbiamo di

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nuovo Cristo fra due santi.

A destra infine abbiamo la Sacra

Colonna portata da Giovanni Colon-

na a Roma nel 1223.

Colonna era stato in Siria per molti

anni come legato Apostolico e non

sappiamo come e dove raccolse que-

sta reliquia che, fino al 1940 aveva

una enorme considerazione. Infatti

venivano celebrate le “feste della Sa-

cra Colonna ogni quarta Domenica di

Quaresima.

Indipendentemente dall’attendibi-

lità storica del ritrovamento (si tratta

comunque di un cippo, di quelli bassi

a cui erano legati i condannati alla

flagellazione e quindi potrebbe avere

una credibilità anche di tipo “scienti-

fico”) tale oggetto meriterebbe ben

più grande attenzione, non tanto per

l’aspetto pietistico-devozionale

quanto per l’aspetto legato alla virtù

della “Forza” e al corrispettivo con

l’axis mundi (fig. 19). Ho dedicato a

tale aspetto diverse pagine nel mio

“Misteri e Simboli della Croce” dove

ho cercato di mostrare i paralleli fra

tale oggetto e l’asse verticale della

Croce. Non per nulla nel 1699 il Car-

dinale Lancetta decise di spostarla dal

sacello dove si trovava. Averla portata

in una cappella che, da sola, assolve il

compito di una colossale spiegazione

metafisica delle concezioni del tempo

e dello spazio nel cristianesimo me-

dievale, mi sembra realmente geniale.

C’è da notare che, nel secondo Libro

del già citato Davanzati, appaiono una

serie di considerazioni particolari nel

libro secondo, dedicato al tema “Della

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Forma e delle parti delle Chiese an-

tiche”.

Dice il Nostro “Di più piacque a

Dio che s’innalzassero le chiese per-

che essendo la Chiesa

un’aggregazione di Fedeli come

scrisse il Mellifluo nella Cantica:

Ecclesie nomine non tantum una A-

nima, sed multarum unitas designa-

tur, o come più espressamente dice

San Gregorio: Sancta Ecclesia con-

sistit in unitate fidelium, sicut corpus

in unitate membrarum”-

Ma lo straordinario collegamento

che Davanzati pone fra il luogo

sanctus (così come illustrato dalle

numerose raffigurazioni musive che

portano gli officianti a celebrare con

mani velate in Santa Prassede) si e-

stende a consigliare: “come il Signo-

re a Mosé che si nudasse i piedi, per-

ché quanto maggiore era la Santità

del luogo, tanto più singolare fosse

la venerazione che gli si deve porta-

re: appropries, inquit, huc: solve

calcaementum de pedibus tuis: locus

enim in quo flas, Terra Sancta est”.

Ed in questo modo sembra che a tut-

to il 1700, si praticassero le principa-

li funzioni in Santa Prassede.

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