Simmetria-rivista 13 2012

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Συμμετρια N.13 – Marzo 2012 N.13 – Marzo 2012 In questo Numero: Pletone e la rinascita del Platonismo Pletone e la rinascita del Platonismo in Italia in Italia di A.Bonifacio Selezione di articoli, commenti, riedizioni, estratti e segnalazioni relative alle attività di Sim- metria. La rivista on-line, agile e di poche pagine, si affianca alla rivista cartacea di Simmetria, ha lo stesso comitato di- rettivo ed editoriale e sviluppa temi particolari, prescelti fra quelli di maggiore interesse fra i nostri lettori. Ha un carattere aperiodico e viene inviata gratuitamente a tutti i soci ed amici che ne facciano richiesta. SIMMETRIA Associazione Culturale - Via Muggia 10 – 00195 Roma e-mail: [email protected]

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Συµµετρια

N.13 – Marzo 2012N.13 – Marzo 2012

In questo Numero:

Pletone e la rinascita del PlatonismoPletone e la rinascita del Platonismoin Italiain Italia

di A.Bonifacio

Selezione di articoli, commenti, riedizioni, estratti e segnalazioni relative alle attività di Sim-metria.

La rivista on-line, agile e di poche pagine, si affianca alla rivista cartacea di Simmetria, ha lo stesso comitato di-rettivo ed editoriale e sviluppa temi particolari, prescelti fra quelli di maggiore interesse fra i nostri lettori.

Ha un carattere aperiodico e viene inviata gratuitamente a tutti i soci ed amici che ne facciano richiesta.

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I platonici rinascimentali hanno pro-prio questo fine e oltre alla rigenerazione spirituale in Dio, che comporta la diviniz-zazione, accolsero anche le dottrine della rigenerazione della civiltà e dell’umanità nella loro origine aurea. Perciò la rina-scita è ritorno, riacquisizione dello stato originario, non la riattualizzazione di un’antichità passata, ma di uno stato del-l’essere immutabile e immodificabile, del-lo stato originario, nel quale l’uomo pre-sentava la sua perfezione.

(L.M.A.Viola)

I maestri pagani, attraverso l’esercizio della virtù, giunsero a una conoscenza così elevata da discernere ogni virtù con chiarezza e precisione maggiore di quella di san Paolo e di tutti i santi nel loro pri-mo rapimento.

(Meister Eckart)

Alla Gemaldegalerie dello Staatliche museum Berlino si conserva una significa-tiva tela (un tondo) del pittore Domenico Veneziano rappresentante la visita dei tre Magi al Re nascituro. La tela, aldilà del suo elevato valore storico-artistico, segna un momento fondamentale nella vicenda della ripresa del pensiero platonico in oc-cidente, esperienza dello spirito umano forse a tutt’oggi non adeguatamente valo-rizzata. In essa il pittore rappresenta i Magi e il loro corteo raffigurati con abbi-gliamenti sontuosi e inusuali in quanto ispirato da modelli di costume inaspettati, quali aveva sotto gli occhi in quegli anni a Firenze.

Negli anni che vanno dal 1434 e il 1443 la città gigliata fu teatro di un evento politi-co e culturale estremamente significativo e al contempo spettacolare ossia la convoca-zione di un concilio ecumenico tra le Chiese di Roma e di Bisanzio e per questo la curia di Eugenio IV venne stabilmente collocata presso il convento di Santa Maria Novella fornendo così più d’una occasione per com-missionare opere artistiche che si rivelarono d’altissimo rango, tra cui si annovera ap-punto l’opera di Domenico Veneziano.

L’intento del concilio era di ricercare un accordo tra la Chiesa di Roma e quella d’O-riente al fine di arginare la minaccia dell’in-vasione dei turchi nei territori bizantini ma, in questa prospettiva, nonostante il numero degli incontri registrato, l’assise fiorentina non conseguì grandi risultati, anzi, il fragile accordo raggiunto fu infranto appena dopo il termine dei lavori. Se quindi in ambito ec-clesiale il concilio può essere considerato un fallimento, diverso fu il risvolto in altri contesti (tra cui quello artistico cui si è fatto cenno).

La presenza a Firenze di dotti orientali, come Gemisto Pletone e Giovanni Bessario-ne, segnò per l’umanesimo italiano la possi-bilità di consolidare i contatti diretti con la cultura greca e in particolare con il Platoni-smo di Mistrà, riagganciandosi così a quelle sezioni della filosofia classica che erano sta-te amputate (le unghie e capelli della “schiava” secondo l’espressione di Pier Da-miani) dal cristianesimo per adeguarli ac-conciamente e ancillarmente ai contenuti della religione rivelata.

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Il platonismo è risorto più volte nel tempo e in luoghi diversi. A Roma si affer-mò con la scuola di Plotino di cui fece parte Porfirio. A questa corrente si deve il tentativo di ripresa della tradizione plato-nica innestata nella politica imperiale pri-ma a opera di Galliano, poi di Giuliano. Si trattò di lampeggiamenti di “paganità”che non ebbero alcun successivo esito politico. Poi, per rimanere all’essenziale, rinacque nella scuola di Atene, centro ormai cultu-ralmente defilato rispetto a quello che or-mai era il cuore politico dell’epoca e insie-me il motore del cristianesimo trionfante e cioè Roma. La scuola sopravvisse con vari scolarchi per circa di mezzo secolo, fino a che la sua riservata attività non fu stronca-ta dalle disposizioni repressive contenute nell’editto di Giustiniano. Questo centro superstite si espresse nel suo tempo a li-vello altissimo con Plutarco, Siriano, Pro-clo. Proprio quest’ultimo tracciò una pre-cisa catena divina di tramandamento della Prisca Theologia, che scorreva da Hermes Trismegistos a Orfeo, da Orfeo a Pitagora, da Pitagora infine a Platone operando in un flusso provvidenziale ininterrotto.

E’ noto da studi recenti che, nonostante questa chiusura (che seguiva quella di Delfi il più celebre santuario della classici-tà), mai si interruppe il filo sapienziale della tradizione platonica, e la dottrina ebbe occasione di riemergere carsicamente nel divenire storico per mostrare infine il suo volto dottrinale ancora pienamente vi-goroso, dopo circa nove secoli dalle vicen-de che qui si sono accennate, nella scuola di Mistrà, località sita nei pressi di Sparta, dove agirà il rappresentante più autorevole della ripresa platonica, ovvero Giorgio Gemisto detto Pletone.

La presenza in Italia di Pletone nella cir-costanza descritta determinerà un orienta-mento specifico degli studi umanistici, già rifioriti in Grecia, dove si generò un florido periodo denominato rinascimento ellenico. Cosimo de Medici per l’impressione che de-stò in lui e nei suoi contemporanei il filoso-fo greco non esitò a definire Pletone un Pla-tone redivivo, ovvero una nuova manifesta-zione della sapienza apollinea determinata dall’azione della Provvidenza universale.

Fig .1 Il tondo di Domenico Veneziano che è for-temente ispirato agli sfarzosi e bizzarri costumi orientali dei rappresentanti della Chiesa d’Orien-te intervenuti a Firenze per il Concilio, tra i vari elementi spiccano i bizzarri cappelli

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Il destino di Pletone del resto si legherà per sempre all’Italia, infatti, malgrado il suo rimpatrio nel suolo natio, avvenuto quasi immediatamente dopo la conclusio-ne dei lavori a Firenze, egli si ritrovò nel nostro paese per circostanze davvero sin-golari. Negli anni appena successivi alla sua morte, avvenuta a Mistrà quando or-mai lui era quasi centenario, il paese fu in-vaso dai Turchi e per questo i suoi resti fu-rono pietosamente trafugati, per essere composti in Italia dove riposano nel Tem-pio Malatestiano di Rimini.

Fig.2a-2c La Casina del Cardinal Bessarione a Roma, nella decorazione parietale della sala regia si conservano alcuni elementi che, secondo alcuni osservatori, hanno forti similitudini simboliche con le illustrazioni del libro di Francesco Colon-na. Immagine dei decori interni.

Lasciamo quindi ora Domenico Venezia-no alle sue primeve elaborazioni prospetti-che, che troveranno compiuta affermazione in Pietro della Francesca, e rivolgiamo la nostra attenzione alla coppia formata da Pletone e Bessarione.

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Fig. 2d Immagine del cardinale Bessarione che mai dismise gli abiti dell’ordine di appartenen-za, sopra la tomba del medesimo che è collocata nella basilica dei Santi Apostoli a Roma.

Era quella l’epoca in cui i dotti rinascimen-tali guardavano con crescente interesse e ammirazione al passato e all’epoca classica e in cui iniziavano a ricomparire le opere di Platone e di quei neoplatonici di cui si è menzionato fugacemente qualche illustre nome in precedenza. Oltre a ciò, questi ri-cercatori avevano finalmente a disposizione migliori traduzioni di Aristotele, il cui pen-siero aveva costituito l’impalcatura del si-stema filosofico medievale, ossia l’epoca immediatamente precedente agli eventi che qui si narrano. Le menti di quegli uomini non erano allora per nulla sopraffatte dal mito profano contemporaneo dell’evoluzio-ne (semplicemente perché tale mito non esi-steva) e, guardando al passato, crederono di rintracciare delle linee di trasmissione di una sapienza originaria che, scaturendo da un centro di elevatissima spiritualità, si di-panasse sapientemente nei secoli, manife-standosi ogni volta “avaticamente” in per-sonalità pressoché divine. Per costoro Plato-ne era ritenuto il più perfetto discepolo di Pitagora, colui che costituì l’Accademia ini-ziatica dedicata al culto di Apollo e delle Muse (secondo Guénon Pitagora è un nome che si riferisce a un “attributo” d’Apollo in quanto significa “colui che conduce la Pi-zia”). Da questo atto fondativo primigenio si sarebbe sviluppata la vera tradizione au-rea fondata sulla riattualizzazione della co-noscenza metafisica totale, pienamente pre-sente nel principio dell’età aurea, una cono-scenza che il maestro restaurò appunto in accordo alle nuove condizioni dell’umanità.

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Tutto questo viene meglio compreso se si considera che gli insegnamenti che di-spensavano queste scuole ai loro adepti erano di natura iniziatica e quindi andava-mo ben oltre il limite dello sterile appren-dimento mentale. Tali insegnamenti erano quindi in grado di condurre i discepoli qualificati, dopo un’accurata opera di puri-ficazione interiore, verso stati sovraordi-nati di coscienza, come del resto è testi-moniato dalla vita di Plotino che in vita ebbe diverse estasi. L’omaggio fatto da Proclo al suo maestro Siriano è il suggello perfetto di questo efficace tramandamento:” …quest’uomo ci ha reso partecipi non solo dell’intera filosofia di Platone, ma anche ci ha dato comunica-zione di dottrine venerande…ci ha resi compagni nel santo coro d’una verità iniziatica relativa ai divini misteri”.

Tra gli uomini del Rinascimento che percorrevano dopo tanti secoli i sentieri della prisca theologia fu il cardinal Bessa-rione che divenne il mentore italico di Ge-misto Pletone. Egli lo considerò ben di più del “suo” maestro, dal momento che riten-ne di scorgere in lui una vera e propria manifestazione teofanica apollinea, come dimostra l’orazione funebre che il cardina-le volle dedicargli e che può essere consi-derata il “manifesto” delle idee che circo-lavano in certi cenacoli rinascimentali del-l’epoca. Si tratta di espressioni che appa-iono decisamente lontane da ciò che si considera “dottrina cristiana” coniate da una limpida personalità che presumibil-mente non divenne (purtroppo) pontefice proprio a cagione della sua dirittura mora-le. Sarebbe qui interessante riprodurre in-teramente tale documento, tuttavia due stralci del medesimo saranno sufficienti a evidenziare i pensieri del loro autore.

“Ho appreso che nostro padre e maestro comune ha deposto ogni elemento terrestre e se n’è andato in cielo, al soggiorno senza mescolanza, per danzare lo Iaccos mistico con gli dei olimpici…” e successivamente “…in modo che se si accetta la dottrina di Pitagora e di Platone sulla periodicità re-golare dell’ascesa e discesa delle anime, non si rifiuterà di aggiungere che è l’ani-ma di Platone, obbligata a servire i decreti irrefragabili di Adrastea e ad adempiere al suo ritorno necessario, che è stata inviata sulla terra per prendere il corpo di Gemi-sto e la vita con lui..” Non stupisca dopo aver letto tali affermazioni di scoprire che, nella sala Regia della Casina del Cardinale a Roma, una villa rustica, purtroppo attual-mente non più visitabile e piacevolmente in-globata nella bella zona archeologica del-l’Appia antica, siamo presenti delle decora-zioni parietali piuttosto peculiari anche per la disposizione volutamente asimmetrica di questi “ornamenti” e per la presenza di alcu-ne figure dai tratti enigmatici. Esse ben pos-sono testimoniare le frequentazioni del car-dinale e le idee che all’epoca circolavano anche in ambienti ecclesiastici. Questi dise-gni inducono a un raffronto con l’iconogra-fia dell’Hypnetoromachia Poliphili (“Il So-gno di Polifilo”, ossia “L’amoroso combatti-mento onirico dell’amatore di Polia”) che è un vero monumento del sapere rinascimen-tale intorno ai temi della filosofia classica. Questa edizione è il capolavoro a stampa del tipografo veneziano Aldo Manuzio, pub-blicata nel 1499, ma già completata nel 1467 secondo le conclusioni di Jean Sezdec. Si tratta quindi di un prodotto letterario di prolungata interiore ruminazione e per con-seguenza di lunghissima gestazione, attri-buito concordemente al frate Francesco Co-lonna (il nome dell’autore parrebbe codifi-cato nell’opera che si presenta in forma ano-nima). Il volume è meravigliosamente ador-nato da numerose e preziosissime xilografie

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(sono circa 170), che costituiscono il pun-tuale corredo illustrativo alla complessa narrazione (tanto che ha fornito lo spunto per il film “La Nona porta” di Polansky). Il sogno di Polifilo è rilevante per le nostre conclusioni in relazione ai caratteri total-mente eterodossi di cui la narrazione è in-trisa, in cui non è presente neanche un’on-cia di pensiero cristiano (da qui la necessi-tà di anonimato del nostro frate) e nono-stante indubbie e profonde affinità struttu-rali con l’opera dantesca massima, esso appare irriducibile alla matrice cristiana propria del capolavoro dell’Alighieri.

Fig.3- La copertina del libro François Masai dedicata a Gemisto Pletone. Si può notare la scelta di riprodurre la facciata del tempio mala-testiano a sottolineare lo stretto legame che in-tercorreva tra il filosofo greco e Sigismondo Malatesta

Il tema è classicamente pagano, mutuato da Apuleio, ovvero si è di fronte a un viag-gio di “ricerca” e stavolta l’oggetto della queste è la donna amata (Polia), cui ci si po-trà accostare solo dopo aver compiuto un’o-pera una profonda purificazione, premessa per una indispensabile conversione interiore in un percorso scandito in tre tappe. Si tratta quindi di una realizzazione che si compie sotto l’egida di Eros e di Venere (argomenti dell’amor cortese mutuati anche da Andrea Cappellano e per nulla estranei all’autore).

La sapienza dell’opera è profondissima e per questo i commenti che la riguardano sono davvero dottissimi, riportiamo qui uno stralcio di quello di Mino Gabrielli verso cui particolarmente conveniamo per la sot-tolineatura che lo studioso pone in ordine alla presenza della componente immaginale nella strutturazione della narrazione onirica:

“il sogno di Polifilo per i profondi conte-nuti mistico filosofici, cosmologici e pneu-matici, per l’eccezionale veste verbale e iconologica che li dissimula, va considera-to, oltreché il più alto monumento lettera-rio-figurativo del Rinascimento, anche mo-dello insuperato di creazione immaginale”.

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Questo il clima nel quale si muoveva la cultura dell’epoca soprattutto nella corte fiorentina di Cosimo il Vecchio il quale fu da questi iniziato ai misteri platonici. Que-sto incontro, con quel che ne conseguì, lo spinse a costituire in Firenze un’accade-mia dedicata al maestro ateniese, un pro-getto che si concretizzò alcuni anni dopo, quando Cosimo scelse per la fondazione del prestigioso nuovo centro il giovane fi-losofo Marsilio Ficino, ordinato successi-vamente sacerdote, al quale assegnò i testi di Platone e Plotino per compierne una de-finitiva traduzione. L’accademia, nata nel 1460, si collegò direttamente a Pletone per mezzo di Cosimo, divenendo un centro la cui importanza può essere ben evidente a chiunque solo se si considera la connes-sione “linfatica” con il maggior “esperto” di platonismo disponibile. All’interno del-l’accademia platonica fiorentina ricompar-vero le oscurate dottrine relative alla Sa-pienza eterna universale, e l’origine di ri-velazione fu ricondotta a Hermes Trimegi-stos, mentre a Platone fu attribuita l’arti-colazione definitiva della stessa. L’impor-tanza del Trismegisto nella Firenze lauren-ziana ci è nota dagli scritti di Frances Ya-tes, che nei suoi studi sottolinea come Co-simo avesse intimato a Ficino di sospende-re la traduzione dei filosofi greci per pro-cedere a quella dei libri ermetici procurati-gli dal monaco Leonardo da Pistoia al ter-mine di un’inesausta ricerca. L’altra costo-la di questo sapere iniziatico deriva dal contributo di Pico della Mirandola che compì profondi studi sulla cabala, quale esoterismo dell’ebraismo e dello stesso cristianesimo, restando al contempo soler-te allievo di Ficino. Entrambi, per opposte derivazioni, sostenevano la totale compati-bilità delle dottrine degli antichi con il cri-stianesimo. La sintesi di queste due linee di pensiero ha una precisa segnatura ico-nografica che si presta a una lettura icono-

logica: si tratta del celebre disegno posto al-l’ingresso del duomo di Siena dove sono stati accostati in un’unica composizione Er-mete Trismegisto e Mosè, quest’ultimo vi-sto come l’ancestrale detentore di un’altra linea di trasmissione di sapienza, stavolta d’origine biblica, scaturente da una tradizio-ne primordiale e conosciuta come Cabala.

Non sfuggirà una certa contigua coerenza operativa tra queste due linee. Se abbiamo evidenziato come nelle scuole platoniche e neoplatoniche esistessero delle discipline di metodo per giungere a distacchi dalla com-ponente psicocorporea culminanti in estasi, anche nella cabala “fiorentina” possiamo evidenziare significative convergenze sul-l’argomento. A tale proposito ci focaliz-ziamo su un caratteristico tema talmudico evidenziato da Pico nei suoi scritti relativo all’espressione della “morte per bacio”. Il cabalista ebreo Maimonide nella sua Guida ebbe a scrivere:”A questo stato i dottori hanno fatto allusione parlando della morte per mezzo del bacio di Mosè, di Aronne, di Miriam dicendo che tutti e tre morirono per un bacio”. Il bacio separa infatti l’ani-ma dal corpo, “ora dunque che l’anima è stata liberata dalla sua sede solida, può sentirsi dotata di una luce a lei infusa”. E’ questo lo stato estatico come ben si legge in un altro testo cabalistico “…chi opera me-diante quabballah senza la presenza di al-cun estraneo, se si eserciterà a lungo mori-rà nell’estasi”.

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Fig.4- Sarcofago funebre di Pletone le cui spo-glie furono trafugate da Mistrà dopo un’audace incursione compiuta da un manipolo di soldati sotto la direzione di Sigismondo per sottrarlo ai Turchi ormai padroni del paese. La gloria po-litica del condottiero era ormai alla fine, dopo la scomunica comminatagli dal papa, ma il rap-porto devozionale di Sigismondo per colui che considerava il suo maestro non venne meno no-nostante le avversità del presente.

A queste espressioni può accostarsi la riflessione di Platone che suggerisce la possibilità di “condensare” in un’unità l’a-nima, mentre essa è “dispersa” nel corpo-reo: “la purificazione consiste nel sepa-rare il più possibile l’anima dal corpo e nell’abituarla a raccogliersi e concen-trarsi sola in sé stessa, a prescindere da ogni parte del corpo, e a dimorare, per quanto è possibile, in presente e in futuro, sola in sé stessa, quasi sciolta dalle cate-ne del corpo”.

Il Tempio malatestiano di Rimini

Come detto in precedenza le spoglie di Pletone sono tornate in Italia trafugate “dal-l’arca della somma filosofia”, ossia la for-tezza di Mistrà, durante un’incursione co-raggiosa orchestrata da Sigismondo Malate-sta, che si considerò discepolo diretto del grande maestro e che per questo volle con-servarne le reliquie nella sua incompiuta cit-tadella filosofica, ovvero il Tempio malate-stiano, caduta ormai la città ellenica in mano ai turchi.

Facciamo un passo indietro. Nel 1450 Si-gismondo Malatesta fece voto di riedificare il duomo di Rimini, e operò secondo una modalità assai inconsueta, ossia incapsulan-do la chiesa cristiana di San Francesco al-l’interno di questo nuovo edificio progettato principalmente da Leon Battista Alberti e mai portato a termine. Questa fagocitazione architettonica possiede ai nostri occhi un elevato valore simbolico, in quanto il ruolo che assume la filosofia classica, e segnata-mente Platone, nei rapporti con il cristiane-simo viene ora a invertirsi. E’ infatti la filo-sofia che riprende il ruolo primaziale e ac-corda alla dottrina cattolica un ruolo legitti-mo nella misura in cui essa concorre (o può concorrere) alla concordia universale delle religioni. Del resto la stessa “Stanza della Segnatura” affrescata da Raffaello e sita nel cuore del Vaticano segna la celebrazione del platonismo e dei suoi misteri nel centro stesso della cristianità, quale vivificazione stessa del cristianesimo (almeno secondo l’interpretazione del filosofo cattolico Gio-vanni Reale).

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Scrive L.M.A. Viola: “la visione politi-ca tradizionale prevede la comprensione unitaria delle religioni, non la loro tolle-ranza, come modernamente si suole dire, ma una comprensione unitaria, fondata su una sapienza di ordine metafisico”. Non è quindi certo per caso che la struttura del Tempio (si noti il termine) era contraddi-stinta da una cupola simile a quella del Pantheon che com’è noto è stato il “tem-pio di tutti gli dei”. Questa cupola avrebbe dovuto costituire la struttura principale dell’edificio e la chiesa doveva svolgere quasi una funzione d’ingresso, una via d’accesso “religiosa” alla comprensione di un “mistero” interpretabile platonicamen-te. La cosa fu tanto evidente a Aby War-burg che questi ebbe a affermare: “I miste-ri pagani rinascimentali furono concepiti per iniziati: richiedono quindi una’’inizia-zione” .

Le intenzioni “pagane” di Sigismondo del resto sono ben evidenti nelle porzioni di Tempio realizzate, in cui la tematica cri-stiana è talmente ridotta e defilata da sem-brare pressoché assente.

Forse è per questo che il grande avver-sario politico di Sigismondo Malatesta, papa Pio II, così descrisse l’edificio nei suoi Commentari: “Aedificavit tamen no-bile templum Arimini in honorem divi Francisci; verum ita gentilibus operibus implevit ut non tam Christianorum quam Infidelium daemones templum esse videre-tur". “Costruì un nobile tempio a Rimini in onore di San Francesco; ma lo riempì di tante opere pagane che non sembra un tempio di cristiani ma di infedeli adorato-ri dei demoni”.

Fig. 5 - L’attuale stato del Tempio in cui è eviden-te la sua incompiutezza e l’immagine della meda-glia di Matteo de Pasti che riproduce la forma che il Tempio malatestiano avrebbe dovuto assumere al termine dei lavori, in questa struttura la chiesa di San Francesco si sarebbe ridotta a una sorta di pronao dell’edificio.

In verità Pio II manifestò ben altra indul-genza verso se stesso, quando, col nome se-colare di Enea Silvio Piccolomini, non si fece scrupolo di accumunare i più venerandi nomi della Chiesa con quelli dell’Olimpo, né la veste porporale impedì a questo mora-lista di inchinarsi, in un commento delle Metamorfosi, al letterato Ovidio.

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Fig.6a-d - I rapporti del cristianesimo con l’a-strologia nel Rinascimento sono assai complessi e meriterebbero uno studio a sé, tuttavia non possiamo non menzionare alcuni esempi di ga-gliarda persistenza del pensiero astrologico al-l’epoca. Così nella sala di Galatea alla Farnesi-na l’ordine delle figure riproduce esattamente la posizione che gli astri avevano a Roma il 1 dicembre 1466, giorno natalizio di Agostino Ghigi, ancora la sua cappella, posta a Santa Maria del Popolo a Roma, appare quasi la tra-duzione pittorica del poemetto astrologico “Ura-nia” di Giovanni Pontano. Allo stesso modo nel-la Sacrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, come nella Cappella Pazzi di Santa Croce, si rinviene sopra l’altare, una cupola con le figure mitiche delle costellazioni la cui collocazione è in esatto riscontro con la posizione degli astri nel cielo di Firenze alla data del 9 luglio 1422, ovverosia il giorno di consacrazione dell’altare. Un discorso a sé merita lo straordinario ciclo pittorico della Camera di San Paolo dipinta a Parma dal Correggio tra il 1518 e il 1519. Il vi-sitatore si trova di fronte ad una complessa nar-razione mitologica nella totale assenza di ogni simbolo cristiano. Ciò è particolarmente stupe-facente nella considerazione che l’ambiente era parte degli appartamenti della badessa Gioan-na.

La lettura simbolica dell’apparato del Tempio non si presenta affatto agevole in quanto le fonti letterarie ispiratrici delle im-magini sono molteplici e tutte riconducibili, secondo l’interpretazione del perspicuo stu-dioso del Warburg Institute Charles Mit-chell, a protagonisti del platonismo che egli individua in Macrobio, Platone, Porfirio, Giamblico e infine anche l’amico e maestro di Sigismondo ovvero Gemisto Pletone. Fu Roberto Valturio, membro della corte illu-minata che circondava il Malatesta e suo personale consigliere, a svolgere un ruolo prioritario nella definizione dei temi da rap-presentare. Questi affermò nella sua opera De re militari che il Tempio era colmo di “simboli tratti da’ nascosti penetrali della filosofia atti ad attrarre fortemente i cono-scitori delle lettere e del tutto alieni al vol-go”. Elemire Zolla c’introduce, con il suo pastoso linguaggio, a un esemplare tentativo ermeneutico di lettura della cappella di San Girolamo ivi presente. Scrive: “Quivi è il bassorilievo del giro zodiacale dell’anno, perché San Girolamo aveva spiegato nella lettera a Fabiola, il Pettorale del sommo sacerdote,‘i cui quattro colori indicano i quattro elementi che costituiscono ogni cosa: terra, acqua, aria, fuoco. La trama d’oro dei quattro colori significa il calore vitale, la provvidenziale forza divina che penetra nell’universo, le dodici pietre inca-stonate, i dodici mesi dell’anno’. Un noc-chiero spaventato tra i flutti della vita (Por-firio spiega che la barca è l’involucro che porta lo spirito sulle acque del mondo, del-la generazione), sta all’inizio dell’ascesa nel settenario, la quale tocca via via la Luna, la mediatrice che fa salire le stelle, Mercurio, dio di musica e di conoscenza; Venere o bellezza; il Sole o splendore profe-tico; Marte o giustizia come perfezione in-teriore; Giove come amore; Saturno come saggezza”. Nel Palazzo Schifanoia della vi-cina Ferrara è presente un sapiente zodiaco,

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diviso per decani, alla cui realizzazione concorsero notevoli artisti dell’epoca e pur tuttavia esso si trova in una dimora priva-ta, e non in un edificio templare, il che na-turalmente non è privo di significato. Tut-tavia questa nuova manifestazione apolli-nea, per usare ancora l’espressione di L.M.A. Viola, era presto destinata a esau-rirsi. Prescindendo dall’amara conclusione della vicenda dei Malatesti a Rimini, gli stessi platonici ellenici furono crudelmen-te perseguitati in patria. Fu il patriarca Gennadio, già acerrimo avversario di Ple-tone al concilio di Firenze, che invitò i Despoti (dirigenti nobili) a "togliere di mezzo" gli allievi di Pletone e tutti gli El-lenisti, cioè coloro che volevano tornare all'educazione e alla cultura ellenica. Per questo i libri di Pletone furono bruciati e i suoi seguaci ridotti al silenzio. Gennadio, in una sua lettera inviata a un despota lo-cale, Emanuele Raul, dopo l’uccisione di un allievo di Pletone, Juvenalio, trova que-ste parole per congratularsi: "Ave soldato di Cristo e difensore della sua gloria, ave mani sante. Gli irrispettosi e buoni a nulla Ellenisti,con ferro e fuoco e acqua e con ogni modo fate uscire da questa vita… ..Picchia, tortura, dopo taglia la lingua , dopo taglia la mano e se nonostante tutto rimane cattivo, buttalo in fondo al mare".

Evidentemente i tempi in cui Ficino scriveva; “la predetta opinione (intorno a Dio) de’ Mercuriali (seguaci di Ermete Trismegisto) et Platonici philosophi è in tucto quella che i teologi Cristiani defen-dono” erano ormai tramontati per sempre.

Antonio Bonifacio

Bibliografia

• Ivan Clounas: Lorenzo Il magnifico voll1,2, Il Giornale, Biblioteca Storica.

• G. Hancock, R. Bauval: Talismano, Corbaccio

• Nuccio d’Anna: Il neoplatonismo, Il Cerchio

• François Masai. Pletone e il platonismo di Mi-strà, Victrix

• François Secret: I cabalisti italiani nel Rinasci-mento, Arkeios

• Marsilio Ficino. Teologia Platonica, Bompiani

• a cura di Ilaria Ramelli, Corpus Hermeticum, Bompiani

• Giovanni Reale. Le stanze della segnatura, Bompiani

• Francesco Colonna: Hypnotoromachia Poliphi-li, Adelphi

• Elemire Zolla: Le meraviglie della natura, Bompiani.

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