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SPECIALE Shale Gas

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Una breve introduzione allo Shale Gas, alla situazione italiana, ed alle opportunità e rischi per le industrie dell'acciaio

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Novembre 2013SPECIALE Shale Gas

Rivoluzione. Questo il termine che, negli ultimi mesi ed anni, è stato più spesso accostato allo shale gas. Il gas di scisto, infatti, grazie a nuove tecniche estrattive, è diventato l’assoluto protago-nista di un rinascimento energetico innanzi tutto del Nord America, ma con prospettive enormi per gran parte del mondo. Visto l’in-teresse diffuso per l’argomento, Siderweb ha deciso di realizzare un approfondimento dedicato a questo idrocarburo. Sfogliando le 25 pagine dello «speciale shale gas», si avrà una visione a 360° del tema, dal generale al particolare. Per prima cosa lo shale gas

sarà contestualizzato all’interno del mercato globale dell’energia, successivamente verrà spiegato cos’è lo shale gas, come si estrae, dove si trovano i giacimenti, qual è la posizione italiana (con un’intervista esclusiva al Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando) ed europea sul tema, quali sono le opportunità per il settore siderurgico, quali sono i rischi connessi allo sfruttamento dei giacimenti «non convenzionali» e sarà fatto un accenno allo shale oil, il petrolio «cugino» dello shale gas. Infine, sarà presentato il punto di vista di Giovanni Carlini, storico opinionista che ormai da anni collabora con Siderweb, e si potrà trovare un utile glossario per chiarire i termini e le sigle meno chiare. Il tutto seguendo la filosofia che da sempre caratterizza il lavoro di Siderweb, quella che l’ex presidente della Repubblica Luigi Einaudi aveva sintetizzato nella sua regola aurea «conoscere per deliberare»: solo chi conosce un problema, lo approfondisce e lo analizza, può prendere decisioni corrette per la propria attività e la propria vita.

Buona lettura!

Capire una rivoluzione

Editore: Siderweb spa - via Don Milani, 525020 Flero (Bs)Tel. 030 2540006 - Fax 030 2540041e-mail: [email protected] tribunale n. 11/2004Direttore responsabile: Stefano FerrariIn redazione: Stefano Ferrari, Davide Lorenzini, Fiorenza Bonetti, Gianfranco Tosini, Giovanni CarliniResponsabile pubblicità: Mauro FranchinaProgetto grafico ed impaginazione:Siderweb

Sommario1 - Capire una rivoluzione2 - Energia: alla scoperta dei sei macro trend che rivoluzioneranno il mondo5 - Shale gas: Cos’è? Come si estrae?6 - Il settore Oil & Gas è una calamita per gli investimenti7 - Shale gas: dove si trova?10 - Shale: visione comune europea cercasi (videointervista al min. Orlando)15 - Shale gas un doppio affare per l’acciaio17 - The shale revolution: impatti economici globali delle fonti non convenzionali19 - Fracking: quali rischi?23 - Euforia da gas24 - Shale oil: la nuova frontiera per i Rockefeller del XXI secolo25 - Glossario

La redazione di Siderweb

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Sei trend: incremento della domanda dei Paesi emergenti, la rinascita energetica statunitense, l’aumento delle fonti non con-venzionali, l’uscita dal nucleare di alcuni Paesi, lo sviluppo delle rinnovabili e l’efficienza energetica. Sono questi i fattori che caratterizzeranno l’evoluzione della domanda e dell’offerta di energia nel lungo periodo. Lungo periodo al termine del quale il mondo apparirà radicalmente diverso rispetto ad oggi.Ma guardiamo più nel dettaglio in che direzione andrà il set-tore energetico globale.

Quadro introduttivo Attualmente, sulla Terra, vivono sette miliardi di individui, dei quali 1,2 miliardi sono residenti nei Paesi industrializzati e 5,8 miliardi nei Paesi in via di sviluppo. Il consumo annuale di ener-gia si attesta a circa 12 miliardi di tonnellate equivalenti di pe-trolio, dei quali poco meno del 50% è appannaggio dei Paesi sviluppati. Per l’energia elettrica, invece, la situazione è ancor più sbilanciata, con il 60% della domanda che proviene dai Paesi più avanzati e con ben 1,5 miliardi di persone che non hanno accesso all’elettricità. Questo quadro, però, è destinato a cambiare, con la popolazione mondiale che nel 2050 salirà a 9 miliardi di individui, dei quali 7,8 miliardi nei Paesi in via di sviluppo. Ciò, unito alla crescita economica di molte economie emergenti, porterà ad una forte discontinuità nel quadro ener-getico globale. Come detto in precedenza, i trend di sviluppo saranno sei.

Evoluzione della domanda Il mondo consumerà sempre più energia nei prossimi anni. Da oggi al 2035 l’incremento medio annuo dei consumi sarà dell’1,6%, risultato di una crescita economica e demografica diffusa e di una riduzione dell’intensità energetica. Mentre nei Paesi industrializzati ci sarà un rallentamento dei consumi, nei Paesi in via di sviluppo l’energia richiesta continuerà ad in-crementarsi e nel 2035 questo gruppo di nazioni arriverà ad un consumo del 65% a livello globale, contro il 55% attuale. Cina, India e Medio Oriente saranno le grandi protagoniste di questa corsa, assommando il 60% della crescita mondiale del settore energetico. I combustibili fossili rimarranno i pro-tagonisti del comparto energia, rappresentando nel 2030 il 75% dell’approvvigionamento energetico complessivo, contro

l’81% odierno. Il petrolio sarà il leader dei consumi, seguito da carbone e gas naturale. Per ciò che concerne un segmento del settore energetico, ov-vero la generazione di energia elettrica, i consumi aumente-ranno del 2,5% annuo sino al 2030. Il 50% delle fonti che saranno installate nei prossimi anni si baserà su fonti rinno-vabili, ed un terzo degli investimenti complessivi sarà desti-nato alla sostituzione di impianti obsoleti. Il carbone sarà ancora la fonte primaria per la generazione di corrente elettrica, mentre le fonti rinnovabili peseranno per il 33% del totale ed il nucleare scenderà al 10% dal 12% attuale.

USA: rinascita energetica Gli Stati Uniti ed il nord America svolgeranno un ruolo di pri-maria importanza nel futuro dell’energia. Il governo a stelle e strisce, infatti, ha deciso di puntare su una politica basata sullo sfruttamento di idrocarburi leggeri e sulla riduzione del consu-mo di energia, che permetterà agli USA di rendersi maggior-mente autonomi per ciò che concerne l’approvvigionamento energetico. Gli Stati Uniti, infatti, entro il 2020 contenderan-no all’Arabia Saudita il primato nella produzione di petrolio e diventeranno un esportatore netto di gas. Tutto ciò grazie agli idrocarburi non convenzionali, resi accessibili ed economici da nuove tecnologie messe a punto nel continente americano. L’aumento della produzione statunitense di petrolio e gas non convenzionale, grazie all’impiego di nuove tecnologie per le attività a monte e ad uno spesso tessuto industriale dell’oil & gas che non esiste nel resto del mondo, costituito da centinaia di migliaia di imprese che da sempre sperimentano quo-tidianamente nuove soluzioni per spremere più

Energia: alla scoperta dei sei macro-trend che rivoluzioneranno il mondo

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petrolio e gas dal sottosuolo, ha importanti effetti collaterali. In primo luogo, un sostegno all’attività economica in quanto i prezzi più bassi dei nuovi carburanti conferiscono all’industria statuniten-se un indubbio vantaggio competitivo. In secondo luogo, un cam-biamento strutturale del ruolo del nord America nel commercio mondiale di energia. L’effetto combinato della maggiore pro-duzione di petrolio e gas e delle misure di efficienza energetica adottate nel settore dei trasporti, provocherà una forte riduzione delle importazioni nette di fonti energetiche primarie nel 2025 ed un loro dimezzamento nel 2040.

Fonti non convenzionali Nei prossimi 20 anni circoleranno, nel mondo, 1,7 miliardi di auto-veicoli (oggi sono 850 milioni), che contribuiranno in modo decisivo all’incremento della domanda di petrolio. Quali risorse soddisfe-ranno questa fame di energia? Secondo le principali istituzioni globali, saranno le fonti non convenzionali a fare la parte del leone nei prossimi anni. Grazie al light tight oil, alle sabbie bitumi-nose, allo shale oil, allo shale gas e ad altre fonti, sarà possibile far fronte all’incremento della richiesta. Ulteriori approfondimenti sul tema, in particolare sullo shale gas, saranno il tema portante di questa pubblicazione realizzata da Siderweb.

Addio nucleare? Dopo l’incidente di Fukushima, il mondo si è spaccato in due sul nucleare. Alcuni Paesi, specialmente nella parte economicamente più sviluppata del globo, hanno preso decisioni drastiche o han-no ripensato l’opzione nucleare, fermando del tutto o rallentando gli investimenti in questa tecnologia. Si iscrivono a questo “club” Giappone (dove attualmente solo 2 dei 50 reattori presenti nel Paese funzionano a pieno regime, mentre gli altri 48 sono sot-toposti a test di sicurezza), Germania (con la rinuncia completa al nucleare entro il 2022), Svizzera (previsto lo smantellamento delle 5 centrali entro il 2034) ed Italia (con il no referendario). In altre aree del mondo, invece, si è deciso diversamente. In Eu-

ropa orientale la Russia continua il proprio piano di sviluppo (con 14 centrali pianificate e 30 proposte), in Asia India (17 centrali pianificate), Cina (51), Arabia Saudita (14) ed Emirati Arabi (4) proseguono con decisione sulla strada del nucleare, così come in sud America. La frontiera del nucleare, quindi,si sposta sempre più ad oriente: ciò sta anche portando a dei cambiamenti nell’indu-stria del nucleare, con nuovi costruttori russi, coreani e cinesi che si stanno affacciando al mercato con sempre maggior convinzione ed incisività.

Rinnovabili: investimenti ancora in aumento Oggi le rinnovabili rappresentano la seconda fonte di produzio-ne di energia, con il 16,7% del totale. Inoltre, il 25% della po-tenza totale installata nel settore elettrico è composta da impianti che sfruttano le rinnovabili, i quali forniscono il 21% dell’energia a livello globale. Tra il 2004 ed il 2011 il settore delle rinnovabili è stato attraversato da una vera e propria febbre, con gli investi-menti passati da 40 a 257 miliardi di dollari annui. Attualmente almeno 30 Paesi hanno una quota di energie rinnovabili superiore al 20% del totale dell’energia prodotta, ed almeno 120 Paesi mondiali si sono dati obiettivi di incremento della frazione di rin-novabile nel proprio mix energetico. Ciò si tramuterà in un ingente flusso di spese nel comparto: secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia gli investimenti nel settore ammonteranno a 6.400 miliardi di dollari tra il 2012 ed il 2035, per una media annuo di circa 280 miliardi. La quota più elevata di investimenti andrà nell’eolico (33%), seguito da idroelettrico (24%), solare fotovol-taico (20%), biomasse e geotermico (12%) e biocarburanti (6%). Gli investimenti complessivi sono equamente suddivisi tra Paesi emergenti e sviluppati, i primi però punteranno maggiormente sull’idroelettrico, i secondi sul solare fotovoltaico.

Efficienza energetica Un altro elemento fondamentale per comprendere i trend del settore energetico globale riguarda l’efficienza energetica, un ambito nel quale sono stati fatti notevoli passi avanti negli ultimi 20 anni. Le direttrici di sviluppo di questo segmento vanno sia nell’ottimizzazione della produzione di elettricità e calore, sia nell’efficienza dei consumi finali. L’Ue oggi è l’area più efficiente al mondo, con un consumo di energia per punto di Pil pari alla metà della media mondiale. Per il prossimo futuro il trend di ef-ficientamento dell’economia proseguirà: la Cina punta a ridurre la propria intensità energetica del 16% entro il 2015, l’Ue vuole diminuire i consumi di energia del 20% entro il 2020 ed il Giap-pone del 10% entro il 2030.

Stefano Ferrari

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Lo shale gas o gas da scisti non convenzionale è un gas naturale, in tutto e per tutto simile al metano convenzio-nale, la cui differenza principale è determinata dal suo giacimento. Il gas convenzionale, infatti, risiede general-mente in rocce porose e permeabili, nelle quali è migrato partendo da altre rocce dove si è formato. Lo shale, inve-ce, è trattenuto nelle stesse rocce in cui si è formato: rocce argillose, porose sì, ma per lo più non permeabili, e che quindi intrappolano il gas.L’estrazione dello shale gas è diventata una pratica re-lativamente semplice solo da un lustro, prima infatti le difficoltà tecnologiche o gli eccessivi costi rallentavano lo sfruttamento delle riserve.Le rocce argillose che trattengono il gas si trovano a pro-fondità comprese tra i 2.000 e i 4.000 metri ed il recupero estrattivo si attesta attorno al 30% del gas intrappolato. Inoltre, considerato che lo shale gas si trova nella roccia da cui ha avuto origine, è necessario perforare il bacino orizzontalmente, ovvero alla trivella viene impartita una leggera flessione sfruttando l’elasticità dell’acciaio, così da poter corrompere l’argilla in molteplici punti lungo la sua dorsale e garantire la migrazione del gas verso il pozzo e conseguentemente in superficie.Quindi, viene effettuata una perforazione verticale pro-fonda, seguita da una orizzontale, contemporaneamente alla quale si procede alla messa in sicurezza del foro con pareti di cemento iniettato, così da evitare che i fluidi di trivellazione ed estrazione risalgano all’esterno dell’invo-lucro di contenimento del pozzo e si diffondano nelle fal-de acquifere soprastanti.Per garantire la miglior resa possibile di questa operazio-

ne, si procede successivamente con la fratturazione idrau-lica del terreno (fracking), ottenuta mettendo in pressione la sezione di un pozzo dopo aver processato una scarica esplosiva che frattura la roccia. Il fracking consiste nell’inie-zione ad alta pressione di acqua (dagli 8 ai 15 milioni di litri per ogni singolo pozzo) e sabbia, con l’aggiunta di additivi chimici di vario genere (1% circa del totale), ne-cessari a garantire l’espansione ed il mantenimento delle fratture della crosta. Si parla di oltre 260 additivi, tra i quali naftalene, benzene, piombo, kerosene, formadel-deide, acido solforico, xenon e manganese. Fino all’80% di questi fluidi iniettati per la fratturazione idraulica ritor-na in superficie come acqua di riflusso e viene raccolta in appositi siti in attesa di smaltimento, che generalmente si verifica con lo stoccaggio definitivo in altri pozzi di pro-fondità. Il restante 20% di quest’acqua tossica rimane nel sottosuolo, libera, con possibili implicazioni ambientali.L’estrazione dei gas da scisto è efficiente solo se estrema-mente intensiva. Mentre per l’estrazione di gas convenzio-nale si ha la necessità di realizzare mediamente un pozzo ogni 10 Kmq, la IEA (International Energy Agency) indica, per lo shale, una media ideale di un pozzo per ogni Kmq. In sostanza, l’economia di questo gas dipende dalla pos-sibilità di trivellare il maggior numero di pozzi nel minor tempo possibile.

Mauro Franchina

Shale gas: cos’è? Come si estrae?

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Un fiume immenso di dollari ricoprirà il settore oil & gas nei prossimi anni, riversandosi sulle aziende della filie-ra e, quindi, anche sul comparto siderurgico, che fornirà gran parte del materiale con il quale si realizzeranno le strutture e gli impianti per l’estrazione, il trasporto e la lavorazione degli idrocarburi che saranno estratti dal terreno o dai fondali marini.A fare la parte del leone saranno gli Stati Uniti, dove la corsa allo shale gas è già diventata febbre. Secondo le stime presentate al convegno nazionale di ANIMP da Mauro Montefiore, Chief Business Officer di Technip (Re-gion B), nei prossimi 8 anni ci sono almeno 20 miliardi di dollari annui di potenziali investimenti nel settore gas, per complessivi 156 miliardi di dollari. Il settore oil & gas nel suo complesso, invece, potrebbe arrivare sino a 227 mi-liardi di dollari di investimenti, dei quali 75 miliardi entro il 2015. Anche il Canada, dove lo shale gas è abbon-dante e la produzione di petrolio da sabbie bituminose è massiccia, gli investimenti saranno cospicui: basti pensare che le spese per gli impianti upstream saranno di 15-20 miliardi di dollari annui sino al 2016 e gli investimenti nel solo stato dell’Alberta nel comparto delle sabbie bi-tuminose arriveranno a 180 miliardi di dollari nel pros-simo decennio. Proseguendo la carrellata nel continente americano, in Messico gli investimenti saranno di circa 20 miliardi di dollari annui sino al 2018 (di cui il 20% per impianti downstream), in Colombia di 83 miliardi da qui al 2020, in Perù di 30 miliardi nel prossimo quinquennio, in Venezuela di oltre 200 miliardi entro il 2018, in Ecua-dor di 20 miliardi in cinque anni, in Bolivia di 10 miliardi di dollari entro il 2018 ed in Brasile di 222 miliardi di dollari entro il 2017, dei quali 75 miliardi downstream e 147 miliardi upstream. In Argentina, invece, gli investi-menti saranno limitati.

Cambiando continente, e passando a quello euroasiati-co, la Russia vedrà scorrere 34 miliardi di investimenti da oggi al 2020, mentre i Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti proseguiranno con spese contenute e l’Europa sarà caratterizzata ancora dalla recessione. In nord Africa l’Egitto investirà circa 30 miliardi nei prossimi anni, mentre la Libia rimane in stad-by. Scendendo anche al di sotto dell’Equatore e considerando il continente nel suo complesso, nel 2014-17 ci sarà un incremento degli investimenti upstream africani del 30% rispetto a quelli del quadriennio 2010-2013. Nel Golfo Persico non man-cheranno i progetti: tra il 2013 ed il 2016 saranno asse-gnati lavori per 179 miliardi di dollari. Infine l’Australia sta vivendo un momento di grande vivacità per l’industria dell’oil & gas. Le principali aziende estrattive hanno pre-sentato recentemente 8 megaprogetti, i cui lavori per la realizzazione dovrebbero iniziare entro il 2016, dal va-lore di 190 miliardi di dollari.Come sottolineato da Montefiore, ma anche da Daslav Brkic, Senior Vice President Business and Technology De-velopment di Saipem, i numeri sopraelencati sono però da considerarsi aggravati da una «tara». Gli investimen-ti, infatti, comprendono sì i lavori assegnati o iniziati, ma anche quelli semplicemente annunciati o per i quali è in corso uno studio di fattibilità. Questi ultimi, poi, spesso capita che non vengano realizzati, specialmente nei Paesi del sud America, a causa di intoppi burocratici o di pro-blematiche di altra natura. I progetti che si concretizze-ranno, quindi, saranno sicuramente meno di quelli annun-ciati. Ciò non toglie che, miliardo più o miliardo meno, il settore oil & gas continuerà ad essere un business enorme anche nel futuro a medio e lungo termine.

Stefano Ferrari

Il settore Oil & gas è una calamita per gli investimenti

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Anche se le stime sino ad oggi effettuate potrebbero subire delle variazioni in futuro, la presenza di sha-le gas nel sottosuolo mondiale può essere considerata ingente. Secondo i dati forniti dall’Energy Information Administration degli Stati Uniti, all’interno del report dal titolo «World Shale Gas Resources» e che prende in esame 33 Paesi, la stima totale raggiunge i 206.712 miliardi di metri cubi. Escludendo gli Stati Uniti, sono fondamentalmente quattro le nazioni extraeuropee che, secondo le stime, dovrebbero godere dei maggiori giacimenti di shale gas.

Cina

L’EIA ha stimato che la Cina avrebbe a disposizione 36.103 miliardi di metri cubi di gas di scisto tecnica-mente recuperabili. Il bacino del Sichuan, situato nella zona centro meridionale della Cina, si estende su un’

area di 211.000 chilometri quadrati e rappresenta il 40% delle risorse di scisto. La Cina auspica di produr-re, entro il 2020, tra 60 miliardi e 100 miliardi di metri cubi di shale gas. Royal Dutch Shell ha recentemente firmato il primo contratto di esplorazione finalizzata alla produzione di gas in Cina. Una mossa che va nella direzione imposta dallo stato cinese, il quale intende-rebbe acquisire know-how dall’estero, al fine di poter, in un secondo momento, sfruttare le riserve ancora in-tatte che sono le più ricche del pianeta.

Argentina

All’interno della zona del Neuquèn, limitrofa al confine con il Cile, è presente una riserva di shale gas che prende il nome di Vaca Muerta e che dovrebbe conte-nere al massimo 6.796 miliardi di metri cubi di gas di scisto. ExxonMobil ha recentemen-

In figura i 48 principali bacini di shale gas in 32 Paesi.

Shale gas: dove si trova?

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te stipulato un accordo con l’americana Petrogas per l’esplorazione e la produzione su un’area di 163.500 ettari lordi. Questa zona è inoltre in fase di studio e di sviluppo da parte di Shell, Apache, EOG, Total e Win-tershall. La più grande compagnia energetica argen-tina, la YPF, ha trovato shale oil e gas naturale nella provincia di Mendoza, confermando quindi l’estensione del bacino di Vaca Muerta. Risorse energetiche sono state individuate anche nella provincia che confina con le Ande. Nel complesso, in Argentina, dovrebbero es-serci risorse per 21.917 miliardi di metri cubi.

Canada

Il bacino più importante del Paese si chiama British Co-lumbia Horn River Shale e contribuisce cospicuamen-te alla somma totale di giacimenti, stimati attorno ai 7.079 miliardi di metri cubi. Dal 2008, nove società si sono messe al lavoro nella zona (tra le altre ExxonMo-bil, Apache, Devon Energy e Encana).Il Canada, però, non ha ancora attivato una rete com-merciale di gas di scisto. Encana, una delle più grandi produttrici di energia in Nord America, sarebbe alla ricerca di un solo partner per un sistema di pozzi che includerebbero i giacimenti di Collingwood Shale, Tu-scaloosa, Marine Shale, il Mississippi Lime e il Eaglebi-ne Shale negli Stati Uniti.

Sudafrica

Il sottosuolo sudafricano – in particolare nell’area Ka-roo Supergroup (KSG) - è riconosciuto dai paleontologi come uno dei giacimenti di fossili più fertili al mondo e, allo stesso modo, sembra rappresentare una delle fonti di shale gas più imponenti. Complessivamente, due ter-zi della superficie del Sudafrica dovrebbero contenere 13.734 miliardi di metri cubi di shale gas.

Fiorenza Bonetti

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Lo sfruttamento di risorse energetiche provenienti dall’estrazione di shale gas, in Europa, vede un atteg-giamento fortemente diverso rispetto a quello adotta-to negli Stati Uniti. Sono numerosi, infatti, i movimenti di protesta che, da anni, si oppongono a questa nuova tipologia di energia, oltre ad una posizione che il Par-lamento Europeo ha adottato lo scorso 8 ottobre. La nuova direttiva sulla valutazione d’impatto ambien-tale votata a Bruxelles - attraverso l’approvazione degli emendamenti 31 e 79 - evidenzia che il Parla-mento europeo è possibilista rispetto all’esplorazio-ne e allo sfruttamento di gas non convenzionali, che impiegano la tecnica della «fratturazione idraulica». Le modifiche apportate alla Direttiva 2011/92/UE rappresentano un’importante introduzione normativa di monitoraggio, controllo e verifica degli impatti am-bientali per questa tipologia di sviluppo minerario. Il Parlamento Europeo, con 339 voti favorevoli e 293 contrari, ha così approvato lo schema della nuova di-rettiva sulla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), che dovrà entrare in vigore entro il 2016. La nuova VIA dovrà essere applicata a circa 200 tipologie di progetti pubblici e privati, dai ponti alle autostrade, dai porti alle discariche di rifiuti, fino agli allevamenti intensivi di pollame o suini. Ovviamente anche il gas di scisto dovrà rispondere ai requisiti di tale direttiva, sia per quanto riguarda l’estrazione che l’esplora-zione dei cosiddetti «idrocarburi non convenzionali». Ora il provvedimento dovrà essere oggetto di nego-ziati con Consiglio e Commissione UE. Inoltre, nell’au-dizione delle Commissioni riunite Industria e Politiche

dell’Unione Europea in Senato sostenuta il 30 ottobre, il vice presidente della Commissione Europea, Anto-nio Tajani, ha sostenuto che la sua posizione in merito allo shale gas in Europa è «neutrale», chiedendo, al contempo, che vengano effettuati tutti gli studi e le verifiche necessarie, ma «senza pregiudizi». Secondo le stime fornite, l’Europa godrebbe di riserve di gas non convenzionale pari a 13.308 miliardi di metri cubi. Come evidenziato dalla cartina geogra-fica diffusa dal magazine statunitense «Drilling Con-tractor», 4.190 miliardi del totale è stimato che risie-dano nel sottosuolo polacco, ma pressoché tutti i Paesi dell’Unione hanno un potenziale di shale gas e tight gas. Per quanto riguarda il suolo italiano, i giacimenti principali sono concentrati nella Pianura Padana e, in particolare, in Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.

Le risposte dei singoli governi

I primi stati ad essersi detti contrari al fracking sono stati Francia, Bulgaria e Lussemburgo. Per quanto ri-guarda il Paese transalpino, una legge del 13 luglio 2011 aveva vietato le pratiche di fracking. La mul-tinazionale texana Schuepbach Energy aveva, però, ricevuto licenze di esplorazione a Nant (Aveyron) e Villeneuve-de-Berg (Ardèche) e, per questa ragione, si era appellata al Conseil constitutionnel francese. Lo scorso 11 ottobre, il consiglio costituzionale transalpi-no ha respinto la richiesta della multinazionale texa-na. La legge del 13 Luglio 2011 che vieta il fracking in Francia è costituzionale e quindi resta in vigore il no allo sfruttamento di pozzi di gas e petrolio di sci-sti. In Svizzera, Austria e Svezia i progetti sono stati sospesi. In Germania, ExxonMobil ha iniziato opere di trivellazione dal 2008 e ha completato a gennaio 2011 quattro insediamenti estrattivi. Inoltre, la multi-nazionale ha pianificato investimenti per un totale di 2 miliardi di dollari per i cinque anni successivi (fino al 2015). La regione del Nord Reno – Westfalia ha però instituito una moratoria su ulteriori impianti estrattivi nel marzo del 2011. In Olanda, l’atteggiamento sem-bra essere diverso: la legge dei Paesi Bassi, infatti, definisce che i pozzi di trivellazione sono – per definizione – non temporanei e che, quindi, in caso di accertamento della presenza di shale gas, l’intenzione è quella di

Shale: visione comune europea cercasiOrlando «In Italia zero estrazioni» videointervista

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estrarlo. Questa sentenza crea un precedente contro la società britannica Cuadrilla, minando le certezze delle attività della multinazionale, in quanto, toglien-do la possibilità di usufruire di piani temporanei, è sotto scacco l’effettuazione di test. In Gran Bretagna, invece, è stata ufficializzata lo scorso 22 ottobre una partnership tra Dart Energy e GDF Suez per l’esplo-razione delle regioni dello Cheshire e dell’East Mid-lands e che dovrebbe essere chiusa entro la fine del 2013. Nell’immagine, la zona del Regno Unito interes-sata dai giacimenti. In Irlanda, nel gennaio del 2012, i consigli delle re-gioni di Leitrim, Donegal, Sligo, Roscommon e Clare hanno votato all’unanimità per vietare l’attività di «fracking». Anche nell’Irlanda del Nord, il consiglio della regione di Fermanagh ha votato le attività per-forative. Polonia e Ucraina risultano invece i due sta-ti che stanno attuando la più massiccia operazione di studio e sfruttamento dei giacimenti di shale gas. Il governo polacco, infatti, vede nel gas di scisto la possibilità di ridurre la propria dipendenza energeti-ca dalla Russia, al punto che il primo ministro Donald Tusk ha affermato che entro il 2035 la nazione do-vrà diventare autosufficiente nella produzione di gas naturale. È proprio la Polonia a detenere, secondo le stime, i maggiori giacimenti di shale gas del Vecchio Continente, pari a 4.190 miliardi di metri cubi. I test

nel sottosuolo polacco sono iniziati nel 2007 e nel set-tembre del 2011 sono state 101 le esplorazioni effet-tuate. ExxonMobil ha sei licenze e si sta programman-do un secondo test vicino a Siennica, mentre la società statale PGNiG ha ottenuto 15 concessioni, attuando, nel 2012, sei test. In Ucraina, la prima esplorazio-ne diretta alla ricerca di shale gas è stata condotta dalla Royal Dutch Shell nel settembre del 2011. La società pubblica Naftogaz ha, inoltre, sottoscritto un accordo preliminare con ExxonMobil sull’esplorazione di riserve di shale gas. Il ministro ucraino Yuriy Boyko ha, inoltre, dichiarato che le esportazioni di shale gas potranno essere possibili nei prossimi 7-10 anni. Il 30 ottobre scorso, il presidente della Repubblica di Kiev, Viktor Yanukovich, e l’Amministratore Delegato di Eni, Paolo Scaroni, si sono incontrati per fare il punto sui progetti di Eni nel Paese. Durante l’incontro, Paolo Scaroni ha confermato al Presidente della Repubblica dell’Ucraina il suo interesse a sviluppare le attività nel Paese. Eni, presente in Ucraina dal 2011, possiede il 50,01% e l’operatorship nella compagnia ucraina LLC WSTGASINVEST, che detiene i diritti su 9 blocchi per l’esplorazione e sviluppo di gas non convenziona-le situati nel bacino del Lviv, nella parte occidentale del Paese in prossimità del confine con la Polonia. Il bacino del Lviv è considerato una delle aree a più elevato potenziale d’Euro-

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pa per l’esplorazione di gas non convenzionale. Eni detiene nel Paese partecipazioni anche in due licenze di esplorazione e sviluppo, Zagoryanska e Pokroskoe, situate nel bacino del Dniepr-Doneyz.

E l’Italia?

Nel nostro Paese, l’opportunità di estrarre shale gas non è stata affrontata per lungo tempo. Sono state numerose e diverse le opinioni espresse negli ultimi mesi dalle diverse figure istituzionali, senza che que-ste portassero a definire una reale strategia o posi-zione tricolore. Un punto di ancoraggio è stato invece fissato negli ultimi giorni, con un allineamento di pen-siero rivolto ad un «no». È stato l’ufficio stampa del Mise, lo scorso 6 novembre a precisare che l’Italia non ha alcuna intenzione di produrre gas di scisto. Precisazioni che si sono rese necessarie a seguito di dichiarazioni del ministro per lo Sviluppo Economico,

Flavio Zanonato, a Bruxelles, che avevano scatena-to non poche reazioni. Il Mise ha così specificato che «come stabilito dalla Strategia Energetica Nazionale, il suo sfruttamento non è mai stato preso in conside-razione». Il ministro ha, inoltre, dichiarato la necessità di rilanciare la produzione nazionale di oil&gas tra-dizionale, avendo comunque il ministero recentemente ridotto e meglio definito le aree marine di possibile estrazione. È, invece, chiara e netta la posizione as-sunta dal Ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, in un’intervista concessa in esclusiva ai microfoni di Si-derweb, il quale ha assunto una posizione contraria e irrevocabile rispetto alla pianificazione di bacini di estrazione di gas non convenzionale.

Fiorenza Bonetti

Clicca sull’immagine sottostante per vedere l’intervista esclusiva al ministro Orlando di Stefano Ferrari.

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Maggior domanda di materiale e minori costi energetici. Il sogno per ogni produttore siderurgico, che oggi si trova nella situazione opposta. Un paradiso però che sembra essere per pochi eletti, sia come prodotti che come lo-calizzazione geografica. Stiamo parlando del fenome-no shale gas, che rappresenta un doppio business per l’acciaio. Dopo aver letto le pagine preliminari di questo report, il meccanismo e le nozioni generali su origine, na-tura e tecniche estrattive dovrebbero essere abbastanza chiare. Ciò che tenteremo di capire in questa parte dello speciale saranno invece gli impatti sul settore acciaio di questa nuova fonte di approvvigionamento energetico non convenzionale.

I numeri dell’acciaio nello shale gas

Per capire meglio gli impatti sulla domanda di acciaio entriamo subito snocciolando un po’ di numeri. Quanto e quale acciaio viene utilizzato per la realizzazione dei pozzi di estrazione? A queste domande ha risposto il presidente e ceo della divisione Tmko Ipsco in Illinois Vi-cki Avril, spiegando che «l’incremento nella domanda di tubi per pozzo è dovuta al continuo sviluppo delle nuove tecniche di perforazione orizzontale che necessita di se-zioni più lunghe, facendo levitare il consumo medio annuo di OTCG (Oil Country Tubular Goods) da 3.000 a 4.200 tonnellate per pozzo». Ai tubi però si dovranno aggiun-gere anche gli elementi strutturali necessari a realizzare la torre di perforazione, i cui volumi però risultano minimi rispetto ai chilometri di tubi necessari per il pozzo. Saputo il tonnellaggio per pozzo, ora basta una semplice moltiplicazione aritmetica per capire l’impatto in termini

di domanda complessiva, dopo aver appreso il numero di pozzi attivi. In America, a settembre, ultimo dato disponi-bile che comprende anche gli impianti petroliferi in negli Stati Uniti e Canada, sono attivi 2.586 pozzi, dei quali circa il 45% deputato a shale gas, in calo di 160 unità rispetto a settembre 2012, anche se le aree estrattive per lo shale risultano tutte in crescita. Il che ben spiega come dal 2009 al 2011 il consumo di tubi e tubolari ab-bia subito in America un’impennata da 3,9 milioni di ton-nellate a 7,3 milioni di tonnellate e nei pozzi attualmente attivi sono presenti quasi 11 milioni di tonnellate di tubi OTCG in acciaio. Nel 2012, in accordo con i dati diffusi dal Metal Bullettin, circa il 42% del consumo globale di OTCG è ad appannaggio dei paesi del Nafta, e solo il 23% per la Cina. Il consumo americano si è però spostato sulle qualità più pregiate di materiale, proprio per dare risposta alla necessità di materiali resistenti a pressione e corrosione, necessari per perforazioni e soprattutto per il fracking delle argille. Attualmente l’American Petroleum Institute ha innalzato la qualità minima di materiale utiliz-zabile nei tubi saldati OCTG X65, quindi incrementando la resistenza minima richiesta al materiale per questo uti-lizzo ad una resistenza alla pressione di 65.300 psi. Nel panorama complessivo delle varie qualità di materiale comunque quello utilizzato per i pozzi estrattivi di shale rappresenta all’incirca il 25% del tonnellaggio totale di prodotti scambiati nel 2012. Tra le sfide che i prodotti devono affrontare per questo impiego ci sono innanzitut-to le dimensioni che non possono superare i 3/8”, seguite dalla profondità che comparta la necessità di una altissi-ma resistenza delle giunzioni e infine alla corrosione che porta le qualità verso i livelli più alti di gamma.

Shale Gas: un doppio affare per l’acciaio

Fonte: Presentazione Tenaris del webinar Worl Oil 2013

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Le prospettive per il mercato 2013 sono comunque per una sostanziale stabilità di prezzo e tempi di consegna, con un leggero incremento per i prodotti a maggior spe-cializzazione.

Non solo tubi e non solo carbonio

Flange, raccordi e forgiati. Non ci sono, infatti, solo tubi e laminati nel business d’acciaio dei pozzi di shale gas, ma anche prodotti più sofisticati e delicati. Prodotti per i quali le grandi aziende produttrici di tubi hanno deci-so persino di implementare le proprie divisioni ricerca e sviluppo, in maniera da realizzare dei materiali e tecno-logie dedicate ad affrontare le diverse necessità delle grandi aziende estrattrici impegnate nella corsa all’«oro energetico». Infatti, proprio le giunzioni tra un tubo e l’al-tro rappresentavano una delle difficoltà riscontrate nelle prime trivellazioni dello shale negli anni 2000 a causa sia della grande pressione necessaria per il fracking, sia per le componenti chimiche dissolte nell’acqua utilizzata nel processo che necessariamente innescavano reazioni con il metallo. A preoccupare il mercato americano inol-tre sono i lunghi tempi di consegna per questa tipologia di materiale, che per le flange e i raccordi saldati pos-sono arrivare anche a 32-44 settimane. In aggiunta, ma solo per le grandi centrali di interscambio che verranno realizzate in un prossimo futuro, ad essere utilizzate vi sono anche alcuni particolari tipologie di questi prodotti realizzati in acciaio inossidabile, anche se al momento i quantitativi sono per lo più trascurabili e poco incisivi sul mercato globale.

Nuovi siti produttivi e nuovi investimenti

Il titolo scelto per questo articolo parlava di un doppio business per l’acciaio: se il primo riguardava il consumo, il secondo aspetto dell’«affare» shale gas rappresenta l’abbattimento sostanziale dei costi energetici, in grado di rendere ipercompetitiva la produzione americana nei confronti soprattutto di quella europea. In un recente ar-ticolo pubblicato dal Wall Street Journal, a firma di John W. Miller, è stato sottolineato come ad esempio Us Steel potrebbe risparmiare in un solo anno 133 milioni di dol-lari modificando gli impianti per utilizzare il gas naturale al posto del coking coal. Una prospettiva che al momen-to ha portato anche l’Unione Europea, e la Germania in primis, a valutare la possibilità di concedere aiuti di stato alle industrie energivore europee per non far perdere di competitività all’industria di base del vecchio continente. Un ulteriore elemento è inoltre l’annuncio di numerose re-altà che hanno deciso di aprire nuovi impianti nelle vici-

nanze dei nuovi giacimenti, sia per una migliore catena logistica, che per beneficare di questa energia a basso costo non presente altrove. Tra questi anche Tenaris, che entro il 2016 realizzerà un nuovo impianto vicino a Hou-ston, Benteler che entro il 2015 metterà in funzione la fabbrica a Shreveport (Luisiana) e Jubail Saudi Arabia il cui impianto dovrebbe entrare in funzione nel 2014, la cui location non è però stata resa nota. Inoltre le varie testate economiche americane hanno ri-marcato un crescente fenomeno di reindustrializzazione degli Stati Uniti, con molte multinazionali che avevano delocalizzato in precedenza, pronte a tornare in patria in virtù dei mutati costi produttivi e della migliore mano-dopera rispetto a quella asiatica. A far gola è infine il maxi investimento per gasdotti e per centrali di stoccaggio del gas da fonti non convenzionali, che dovrebbero entrare in funzione entro il 2030, anno in cui gli Stati Uniti puntano ad entrare a far parte dei maggiori esportatori internazionali di gas. L’ammontare complessivo degli investimenti stanziati finora oscilla tra i 133 e i 210 miliardi di dollari nei prossimi vent’anni, con una media di circa 6/10 miliardi di dollari all’anno. Entro il 2030 dovranno inoltre essere realizzati 17.700 chilometri di nuove linee di gasdotto e la capacita gior-naliera di gas processato punta a superare il miliardo di metri cubi. Numeri importanti, che non è escluso possano essere ulteriormente incrementati alla luce della scoperta di nuovi eventuali giacimenti o del miglioramento delle tecniche estrattive.

Davide Lorenzini

Clicca qui per scaricare l’elenco aggiornato delle concessioni estrattive rilasciate dal governo statunitense.

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La domanda di energia nei prossimi anni è destinata ad aumentare a ritmi sostenuti, soprattutto da parte dei pa-esi in via di sviluppo. L’offerta di risorse energetiche tra-dizionali (petrolio, carbone e gas naturale) avrà difficol-tà a soddisfare una domanda in rapida crescita, per cui i prezzi saliranno e si manterranno instabili. I giacimenti oggi in esercizio si esauriranno di anno in anno, renden-do necessaria la scoperta di nuovi giacimenti con una capacità produttiva equivalente a quattro nuove Arabie Saudite, oppure a dieci nuovi Mari del Nord, cioè pari a circa il 50% di quella oggi installata a livello mondia-le. Poiché non sembra che ci siano altre quattro Arabie Saudite ancora da scoprire e da sfruttare in tempi bre-vi (dieci anni, per l’industria petrolifera sono un tempo brevissimo), non resta che decretare la fine dell’era del petrolio e del gas “convenzionale”, relativamente poco costoso, e investire enormi risorse in giaci-menti di difficile accesso e che richiedono tecnologie avanzate di estrazione.Lo sfruttamento dello shale gas e dello shale oil ha preso piede negli Stati Uniti e in pochi anni ha consentito a Washington di togliere alla Russia il primato nella pro-duzione mondiale di gas. Il gas naturale ha così superato il carbone come prima fonte per la produzione di energia elet-trica negli Stati Uniti. Inoltre, gli USA sono ora del tutto autosufficienti per quanto riguarda la fornitura di gas ed hanno incominciato ad esportarlo.Anche il petrolio non convenzionale sta emergendo come un’importante risorsa energetica a costo relativamente basso.L’emergere di un grande potenziale di gas e petrolio non convenzionale rappresenta una grande opportuni-tà e una sfida strategica per l’industria dell’oil & gas e per tutti i governi del mondo, in quanto influenzerà le dinamiche geopolitiche connesse da un lato all’aumento dell’indipendenza energetica per molti paesi, dall’altro alla riduzione dell’influenza dell’OPEC.I paesi produttori di petrolio dovranno attentamente va-lutare il loro attuale portafoglio prodotti ed i progetti futuri rispetto ad uno scenario di prezzi meno favorevole. I previsti minori prezzi del petrolio creeranno dei vantag-gi a lungo termine per una vasta gamma di settori che producono beni e offrono servizi utilizzando il petrolio,

come la petrolchimica, le materie plastiche, il trasporto aereo e su gomma. Non vanno però sottovalutate le potenziali conseguenze ambientali di un aumento della produzione di gas e pe-trolio non convenzionale. La fratturazione del sottosuolo incontra ostacoli difficili da superare, in particolare in Eu-ropa, dove la sensibilità ambientale è da sempre supe-riore a quella americana.In ogni caso, la produzione di petrolio e gas non conven-zionale, di biocarburanti e benzine sintetiche ottenute dal gas naturale e dal carbone cambierà l’intera geografia economica e politica degli idrocarburi a livello globale. Gli Stati Uniti miglioreranno le condizioni dei loro ap-provvigionamenti grazie all’impiego di nuove risorse na-zionali e alle forniture canadesi. I Paesi europei dovranno rivedere e aggiornare le proprie strategie di sicurezza

energetica, integrandole nelle politiche in-terne ed estere, alla luce del fatto che il baricentro del sistema energetico mondia-le si allontanerà dai paesi sviluppati per spostarsi verso quelli emergenti, in parti-colare dell’Asia. Per effetto di questo spostamento, le com-pagnie petrolifere private occidentali per-deranno terreno sulla scena globale, men-tre le compagnie nazionali di molti paesi emergenti, siano essi esportatori o impor-tatori di petrolio, diventeranno via via più

attive in ogni parte del mondo. Tra i paesi petroliferi del Golfo Persico e le emergenti potenze economiche asiati-che ci sono ormai rapporti industriali e commerciali sem-pre più stretti.Lo spostamento del centro di gravità del sistema energe-tico potrebbe portare ad altri cambiamenti, ad esempio per quanto riguarda la formazione dei prezzi e soprat-tutto l’impiego di nuove unità di conto e altre monete, per la progressiva sostituzione del dollaro tanto come unità per la quotazione dei prezzi del petrolio, del gas e del carbone, quanto come moneta principale del mercato stesso. La fratturazione del suolo, insomma, non porterà solo a nuove fonti energetiche, ma, forse, anche alla frat-turazione dell’attuale assetto energetico e geopolitico globale.

Gianfranco Tosini

The shale revolution: impatti economici globali delle fonti non convenzionali

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L’acceso dibattito – spesso sfociato in vere e proprie pro-teste – che, soprattutto in Europa, accompagna il fracking si fonda su una serie di possibili rischi, tanto per l’ambien-te quanto per l’uomo, che andiamo a descrivere.

Rischio sismico

Il primo rischio è di tipo «strutturale». La fratturazione del sottosuolo – che avviene, come già descritto, attraver-so una trivella che, a seguito del tradizionale movimento verticale, devia in orizzontale in direzione del giacimento roccioso e, una volta raggiunto, inserisce dell’esplosivo nel canale che permette la creazione di grosse fessure, nelle quali vengono pompate grandi quantità di acqua, sab-bia e agenti chimici che «liberano» il gas – può renderlo instabile. Lo «sconquasso» inferto nel terreno potrebbe essere causa di terremoti. Lo sostiene, tra gli altri, il sismologo Won–Young Kim, ri-cercatore presso il Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University. Il suo studio si fonda su tale as-sunto: da quando, nel 1776, sono iniziate le registrazioni dei movimenti sismici nella città di Youngstown, nell’Ohio, non è stato segnalato alcun terremoto, fino a quando, nel

2010, il sito estrattivo di Northstar nella vicina Pennsyl-vania, è entrato in funzione. Da allora, e per i successivi 12 mesi, i sismometri hanno registrato 109 terremoti e, il più potente ha raggiunto una magnitudo del 3.9 della scala Richter. Il dottor Won–Young Kim ha affermato in merito: «Negli ultimi anni, è stata registrato un incremento di fratturazione idraulica e del relativo fluido di scarto nel sottosuolo statunitense. I terremoti sono stati innescati da queste iniezioni di fluido in un pozzo a Youngstown dal gennaio del 2011 al febbraio 2012. Abbiamo riscontra-to che l’insorgenza di terremoti era legata all’attività nel sito Northstar. I terremoti, infatti, avevano il proprio epi-centro in faglie sotterranee e vicine al pozzo di iniezio-ne». I sismologi della Columbia University hanno, pertan-to, trovato che l’insorgere – esattamente come il placarsi – dell’attività sismica era strettamente legato all’operosi-tà del sito Northstar 1. Il primo terremoto registrato nella città avvenne 13 giorni dopo l’inizio del fracking, e l’at-tività sismica si è interrotta a seguito della chiusura del pozzo nel 2011 da parte del Dipartimento delle Risorse Naturali dell’Ohio. Inoltre, diminuzioni di attività sismica si sono registrate in occasione del Memorial Day, il 4 luglio, nel giorno della festa del Lavoro e in occasione delle va-

Fracking: quali i rischi?

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canze del Ringraziamento, date che coincidevano con le fermate lavorative al pozzo. All’indomani della chiusura di Northstar 1, Youngstown non è stata interessata da ulteriori fenomeni sismici.

Rischio idrico

Il processo di fracking idraulico richiede l’impiego di in-genti quantità di acqua dolce alle quali vengono ag-giunte anche sostanze chimiche che aiutano ad aprire le fessure nelle rocce per far fuoriuscire il gas. Da queste due caratteristiche derivano i due più grandi rischi: im-piego eccessivo di acqua – in un contesto di progressiva diminuzione di bacini di acque dolci a livello mondiale – e inquinamento di falde acquifere. Per ogni singolo pozzo, secondo le stime raccolte in un rapporto dell’US Depart-ment of Energy del 2009, vengono impiegati 15,2 milioni di litri di acqua per la fase di fratturazione, con ulteriori 320 mila litri per le operazioni di perforazione. Il peri-colo, quindi, è che – vista la densità di pozzi necessari per l’estrazione – si vada a peggiorare un quadro già problematico rispetto al fabbisogno idrico della popola-zione mondiale. L’altro rischio deriva dalle sostanze chi-miche che vengono inserite nell’acqua da pompare nelle fessure create nelle rocce. Il liquido impiegato è formato per il 99,5% da acqua e sabbia e, il restante 0,5% è composto da un mix di fluidi chimici che può essere peri-coloso per la salute. Tra questi compaiono:

• Metanolo (alcol metilico)

• Isopropanolo (alcool isopropilico, propan-2-olo) • Silice cristallina - quarzo (SiO2)

• Butilglicole (2-butossietanolo) • Glicole etilenico • Distillati di petrolio idrotrattati

• Idrossido di sodio

Non tutti questi elementi possono risultare dannosi o can-cerogeni per la specie umana, anche se permane il rischio che, durante le operazioni di trivellazione e di estrazione del gas, avvenga la contaminazione delle falde acquife-re, sia superficiali che profonde. Durante la sua discesa

nelle viscere della terra, la trivella può incrociare vene d’acqua dolce che, a loro volta, possono entrare in con-tatto con i fanghi di trivellazione, col fluido usato per il fracking e con lo stesso gas naturale. È frequente, ne-gli ultimi tempi, vedere dei video pubblicati in rete da cittadini americani che, avvicinando accendini o fiammi-feri all’acqua dei propri rubinetti, la vedano prendere fuoco (clicca qui per vedere un esempio del fenomeno). Ciò può avvenire a causa di metano che, liberato dalle rocce, si insinua sino a raggiungere le falde e, da lì, la rete di distribuzione domestica. Le aziende che operano nell’estrazione di shale gas hanno risposto che i giaci-menti si trovano molto al di sotto delle falde acquifere utilizzate dall’uomo e anche il potenziale rischio di perdi-te nelle porzioni più superficiali dei pozzi è improbabile poiché i pozzi sono completamente rivestiti di cemento (casing, ndr).Inoltre, secondo quanto appreso, pare che il fluido iniet-tato nei pozzi ritorni in superficie per circa l’80% come acqua di riflusso che viene poi raccolta in appositi siti in attesa di smaltimento (che generalmente avviene tramite lo stoccaggio definitivo in pozzi nel sottosuolo). Il restante 20% di quest’acqua rimane nel sottosuolo, con possibili, quanto, ad oggi, incalcolabili ricadute ambientali. Un report datato aprile 2011, e redatto dalla HOUSE OF REPRESENTATIVES COMMITTEE ON ENERGY AND COMMERCE degli Stati Uniti, e dal titolo «Chemical used in hydraulic fracturing» afferma che tra il 2005 e il 2009, le 14 società estrattive all’opera sul suolo statunitense hanno impiegato più di 2.500 prodotti per il processo di fracking idraulico, contenenti 750 sostanze chimiche. Complessivamente, sono stati impiegati circa 3 miliardi di litri di prodotti per il fracking. Gli elementi utilizzati sono una vasta gamma di prodotti chimici, dei quali alcuni sono sostanzialmente innocui (cloruro di sodio, gelatina e acido citrico). Altri potrebbero rappresentare, invece, una minaccia per la salute. A seguito riportia-

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mo una tabella che riassume i componenti chimici iniettati nel periodo di tempo studiato. La sigla HAP significa Ha-zardous Air Pollutants (pericolosi inquinanti atmosferici), mentre quella SDWA sintetizza l’espressione Safe Drin-king Water Act Chemicals (acqua potabile a rischio per agenti chimici). Ha bisogno, invece, di poche spiegazioni la categoria Carcinogen: cancerogeno.

Rischi climatici Come accennato in precedenza, dal canale scavato è possibile che fuoriesca gas metano, ritenuto potenziale causa di surriscaldamento globale decine di volte più for-te rispetto all’anidride carbonica. Inoltre, è presente un problema – comune, però, anche

alle estrazioni di gas convenzionale. Si tratta della prati-ca del flaring: si tratta, cioè, di bruciare il gas fuoriuscito dal pozzo – a canna libera e senza filtri - con l’intento di far esaurire i picchi di pressione ed evitare esplosioni. Se-condo i dati della Banca Mondiale, riportati dall’agenzia Reuters, a causa del boom di estrazioni di shale gas negli USA, le emissioni legate al flaring sono incrementate del 4,5% nel 2011 rispetto al 2010. Concetto, sostanzial-mente, confermato anche dal CEO di ExxonMobil, Rex Tillerson, il quale ha affermato in merito che «chiaramen-te ci sarà un impatto».È, altresì, bene sottolineare che, se lo shale gas diven-tasse il combustibile eletto a sostituire il carbone, si regi-strerebbe un impatto positivo sulle emissioni di anidride carbonica.

Fiorenza Bonetti

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La crisi vista dagli Stati Uniti è completamente diversa rispetto a quanto si vive in Europa. Laddove nel vecchio continente s’inseguono quegli annunci sulla fine della cri-si, che nessuno effettivamente vede o percepisce (meno male che esistono ancora gli ottimisti) in Nord America ci sono gli elementi per crederci.Gli americani sono «autorizzati» a credere a un impor-tante rallentamento della congiuntura negativa, con as-sorbimento della disoccupazione, (che poi rappresenta il cuore della ripresa economica grazie alla sua capacità di spesa) perché hanno attivato dal marzo 2011 politiche di reshoring (rientro in patria d’imprese precedentemente de localizzate) e per la ridotta dipendenza dal petrolio importato. Sono due dati di fatto che permettono di spe-rare in un futuro migliore.La stampa italiana, quella economica, facendo i conti, ha affermato che l’industria automobilistica nazionale è tornata al 1958 per numero d’auto prodotte. Ragionan-doci sopra, la differenza tra gli anni Cinquanta e Sessan-ta italiani, rispetto ad oggi, non risiede solo nel mutato potere d’acquisto. Ora siamo decisamente più ricchi di tutto, a dispetto delle fredde statistiche, ma ci sentiamo anche più arrabbiati, delusi, distaccati dal sociale e poco costruttivi quando, 40 anni fa, con le pezze al sedere e in bicicletta, o alla guida di una 500 Fiat, avevamo una marcia in più: la fiducia.È possibile uscire dalla crisi sfiduciati? Forse, ma non ci sono al momento esperienze tali di poter risollevare dei depressi, se non caricati con un nuovo spirito d’avventura grazie ad amori nuovi o rigenerati, quindi al lavoro o per studi da intraprendere e nuove esperienze di ricerca.Tutto questo negli Usa c’è perché lo shale gas consente di

“gasare” la ripresa (reale o fittizia che sia) suggerendo fiducia. In effetti, sul piano personale, guidando a cavallo tra di-versi stati, in Nord America, con entusiasmo cerco pompe di benzina per carburanti alternativi (come 3 anni fa per quella verde, d’origine vegetale, che costava appena poco meno di quella importata) ma non ne trovo! Imma-gino che il gas estratto sia convogliato nei metanodotti a vantaggio dell’industria.Resta comune a tutti gli americani il mito dell’autosuffi-cienza energetica in grado d’aprire un discorso nuovo: cosa fare con i soldi risparmiati? Nessun commentatore politico è riuscito, sino ad ora, a inquadrare il braccio di ferro tra repubblicani e democratici al congresso sul bilancio pubblico anche in quest’ottica. Sta per aprirsi in chiaro un nuovo interrogativo: i miliardi di dollari rispar-miati dall’import di petrolio, dove investirli? Nella sanità, scuola, case, ricostruendo il paese in un nuovo progetto urbanistico come già fu il New Deal degli anni Trenta, oppure in una nuova generazione di reattori nucleari se-guendo l’esempio della Gran Bretagna di questi giorni? Comunque sia, sarà la scelta degli americani, quando gli europei non hanno scelte, ma solo proclami. In Europa è la politica fiscale «il motore» dell’economia nel tentativo di quadrare i conti. Ovvero, farsi restituire dai cittadi-ni quote di ricchezza eccessivamente goduta negli anni passati. È come dire: abbiamo esagerato e ora torniamo indietro. In effetti la revisione degli stili di vita, in termini più auste-ri è sicuramente un atto di saggezza, ma non è sufficiente per uscire dalla crisi, al massimo è appena sufficiente per gestirla. Gli americani ci insegnano, ancora una vol-ta, che per superare un lungo periodo di stagnazione servono investimenti, energia, industria, posti di lavoro, ri-cerca & sviluppo, idee, aziende non vincolate dal gruppo familiare, nuova tecnologia.Grazie America per averci ricordato l’ovvio, che in Euro-pa si tende a dimenticare: wake up Europa!

Giovanni Carlini

Euforia da gas

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Le rocce scistose non conservano solo un tesoro, il gas, ma anche un «gemello» meno abbondante ma preziosissimo: il petrolio. Parallelamente allo sfruttamento di shale gas, infatti, negli USA si è sviluppata una fiorente industria di estrazione di petrolio di scisto. Da 111.000 barili al giorno nel 2004, la produzione statunitense di shale oil è salita a 550.000 barili nel 2012, facendo scendere l’im-port americano di petrolio al livello più basso degli ultimi 25 anni e con una previsione di un ulteriore -20% entro il 2025. Attualmente non ci sono ancora degli scenari certi sul futuro dell’industria americana dello shale oil: l’Energy Information Administration (EIA) stima che la produzione di shale oil rallenterà nei prossimi anni, prima salendo a 2 milioni di barili al giorno, poi scendendo a 1,2 milioni di barili nel 2035, pari al 12% della produzione totale di petrolio. Questo outlook, però, si scontra con alcune proiezioni degli esperti del mercato, che prevedono che la produzione di shale oil negli Stati Uniti arriverà a 3-4 milioni di barili al giorno nel 2035.Nel medio termine il maggior contributo alla crescita

della produzione di petrolio americana, comunque, verrà dallo shale oil, mentre la quota della produzione di pe-trolio convenzionale rimarrà stabile. Nel lungo periodo, si stima che lo shale oil potrebbe sostituire il 35%-40% delle importazioni di petrolio degli Stati Uniti, con un im-patto rilevante sul prezzo del greggio.A livello mondiale, la produzione di petrolio non conven-zionale potrebbe raggiungere i 14 milioni di barili al giorno nel 2035, pari al 12% della produzione globale, contribuendo a ridurre di circa il 25%-40% il prezzo al barile rispetto al 2012 e ad aumentare di 2,5-3,5 punti percentuali il PIL mondiale. A trarre il maggior vantag-gio da questa situazione saranno i paesi importatori di petrolio, come India, Cina e Giappone, mentre i paesi esportatori di petrolio, come Russia e Medio Oriente in particolare, registreranno un significativo peggioramento della bilancia commerciale e una riduzione del PIL nel lungo termine se non riusciranno a sfruttare le loro riserve di petrolio non convenzionale.

Stefano Ferrari

Shale oil: la nuova frontiera per i Rockefeller del XXI° secolo

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Glossario

Proponiamo infine un bre-ve glossario per capire meglio i termini più tecnici utilizzati nei testi.

Casing: pratica volta a sigillare le fuoriuscite di gas dal foro estrattiva. Generalmente, il foro vie-ne rivestito di tubi in ac-ciaio cementati alla roc-cia, pratica che riduce il diametro del pozzo.

Fracking (fratturazione idraulica): lo sfruttamen-to della pressione di un fluido, in genere acqua, per creare e poi propa-gare una frattura in uno strato roccioso. La frattu-razione, detta in inglese frack job, viene eseguita dopo una trivellazione entro una formazione di roccia contenente idro-carburi, per aumentarne la permeabilità al fine di migliorare la produzione del petrolio o del gas da argille contenuti nel gia-cimento e incrementarne il tasso di recupero.

Gas flaring: è una pratica degli impianti industriali petroliferi, chimici e di gas naturale, nonché nei siti di produzione di petrolio o di gas che hanno pozzi di petrolio, pozzi di gas, impianti di perforazione offshore consistente nella

combustione del gas (sen-za recupero energetico) che genera una fiamma sopra le torri petrolifere. Il gas in eccesso estratto insieme al petrolio, viene quindi bruciato perché ri-sulterebbe troppo costo-so costruire infrastrutture adeguate per trasportar-lo nei luoghi di consumo.

New Deal: letteralmente significa «nuovo corso». Con questa terminologia, però, s’intende il piano di riforme economiche e so-ciali promosse dal presi-dente americano Franklin Delano Roosevelt fra il 1933 e il 1937, allo sco-po di risollevare il Paese dalla grande depressio-ne che aveva travolto gli USA a partire dal 1929.

OCTG (Oil Country Tubu-lar Goods): tubi destinati all’industria petrolifera, tra i quali compaiono aste di perforazione, involucri di tubi, tubi per l’olio.

Olio di scisto (shale oil): greggio estratto da gia-cimenti non convenzionali.

OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries): l’Organizza-zione dei Paesi esporta-tori di petrolio, fondata nel 1960, comprende

attualmente dodici Paesi che si sono associati, for-mando un cartello econo-mico, per negoziare con le compagnie petrolifere aspetti relativi alla pro-duzione di petrolio, prez-zi e concessioni.

OPERATORSHIP: nell’in-dustria petrolifera, rap-presenta il diritto di gestire un pozzo o un gia-cimento.

Reshoring: la traduzione letterale è «rimpatrio», ma, in contesto economi-co, significa rilocalizza-zione della produzione in patria.

Scisto bitumoso: gli scisti bituminosi sono sedimenti di colore nero estrema-mente ricchi di bitume de-rivante dall’alto contenu-to in sostanze organiche. A partire dal 2002 l’OGJ (Oil and Gas Journal) li annovera tra le riserve petrolifere. È infatti pos-sibile estrarvi bitume da cui è poi possibile ottene-re petrolio. Shale (scisto): indica una roccia metamorfica a grana medio-grossa ca-ratterizzata da una tessi-tura scistosa abbastanza marcata, cioè tendente a sfaldarsi facilmente in

lastre sottili. Lo scisto è il risultato della trasfor-mazione di argilla sotto-posta ad alte pressioni e temperature nella quale i cristalli micacei (che rap-presentano generalmente circa il 50% dello scisto) si ordinano in una direzio-ne precisa creando delle falde dette appunto pia-ni di scistosità.

Shale gas (gas di scisto): gas metano estratto da giacimenti non conven-zionali. Il termine viene comunemente usato per indicare il particolare tipo di giacimento non convenzionale da cui vie-ne prodotto questo gas, intrappolato nella micro-porosità della roccia.

VIA (Valutazione di im-patto ambientale): è una procedura amministrativa di supporto per l’autorità decisionale finalizzata a individuare, descrivere e valutare gli impatti am-bientali prodotti dall’at-tuazione di un determina-to progetto.