Settentrinale Sicula n°8 2013

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_Depurati _Unime _Pareri in Comune _Milazzo _Chavez SettentrionaleSicula anno 3_numero 8 _ primavera 2013 free press

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UNI.ME_ _ _"La vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi, scompare una volta che capite quanto di rado pensano a voi" D.F.Wallace

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_Depurat i_Unime_Parer i in Comune_Mi lazzo_Chavez

SettentrionaleSiculaa n n o 3 _ n u m e r o 8 _ p r i m a v e r a 2 0 1 3 f r e e p r e s s

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A . A . A . C E R C A S I S P O N S O Rcol laboratori , inviat i , g iornal ist i , graf ic i , fotograf i , per i l progetto

SettentrionaleSicula

C’èVentosoffia l’informazione libera

Responsabile: Domenico Portaro

Ufficio comunaleTorregrotta, Via Giotto 39

tel./fax 090.9910632e-mail: [email protected]

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Direttore

Mauro Mondello

CaporedattoreEmanuela Sciarrone

RedazioneCettina Casella

Antonino Giorgianni Isidora Scaglione

Rita Lorena Paone Santo Gringeri

Igor Cosimo Mento Cettina Casella

Giuseppe Cassone Antonino Formica

Dario Lo Cascio

Progetto Grafico Nunzio Gringeri

Paolo PinoDaniele D’Agotino

Editore e Stampa

Ass. Centopassi ArciVia XXI Ottobre 419

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“Registrazione n. 11 del 05/12/2011 presso il Tribunale di Messina”.

Primavera 2013 n ° 8

“La vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi scompare una volta che capite quanto di rado pensano a voi.”

D.F. Wallace

L’editoriale

SommarioIl Depuratore non depurante pag. 4

di Isidora ScaglioneUnime-rda pag. 6di Tonino Cannuni

Milazzo: agonia di una gallina dalle uova d’oro pag. 8di Dario Lo Cascio

Tutta l’Italia è paese pag. 10di Emanuela Sciarrone

Anche il Buddha ha il suo da fare pag. 12di Tonino Cannuni

La casa degli Appesi pag. 14di Francesco Villari

Hugo Chavez è morto pag. 1di Mauro Mondello

Post-it pag. 17Fotodrome pag. 19

di Tonino Cannuni

Nel tempio di Apollo a Delfi potevi perdere la testa e conoscere te stesso, proprio come diceva l’iscrizione su in alto; ed attorno le glorie delle città tutte e i tripodi che sfioravano l’universo ed

il viandante che non si trova mai lì per caso, perché il viaggio è simbolo dentro di sé. Quel viandante, circondato da bellezze e

dagli orgasmi crepuscolari del Grande Carro, di abluzioni ne ha viste e ne ha sentito parlare dai saggi ciechi di Chio e da tutti gli

altri che come isole in arcipelago si disponevano.Il viandante di sangue ne ha visto, e la pizia, sbronza di mantiche

vedute, ha parlato all’orecchio sinistro:”Ad ovest del guado e dietro la montagna, vacci e non sperare di trovare qualcosa”.

Il viandante s’incamminò verso ovest fino a quando non arrivò al punto di partenza e nuovamente la pizia: “Ad ovest del guado e

dietro la montagna, vacci e non sperare di trovare qualcosa.”Il viandante s’incamminò verso ovest fino ad arrivare al punto

di partenza. Adesso un uomo in croce dal costato parlava: “Il peccato muore qui con me nel Golgota erboso, vai dove desideri”.

Il viandante capì, prese una scala, salì sulla croce, gli pulì il volto e parlò al suo orecchio sinistro: “Ad ovest del guado e dietro la

montagna, vacci e non sperare di trovare qualcosa, ìχθύς “E così si narra che Scipione Emiliano pianse nel vedere la città di

Cartagine rasa al suolo, poiché stessa sorte un giorno sarebbe toccata alla sua di patria. Lacrime incandescenti lanciate come

bombe ed il mito sembra apparire più veritiero della storia.

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Torregrotta

abitanti. Il primo stralcio relativo alla co-struzione della condotta sottomarina e a una parte dell’impianto di pretrattamen-to è stato collaudato nel 1996 e l’impian-to è stato da quel momento in funzione eccetto che per la frazione di Monforte Marina. L’impianto, previsto di 2° livello, avrebbe dovuto essere adeguato per un livello superiore in seguito all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 152 del 1999 che stabiliva l’inquadramento al terzo livello per i sistemi depurativi che accogliessero i liquami di territori con più di 10.000 abitanti. Il progetto di variante al P.A.R.F., oltre che avere ad oggetto il suddetto adeguamento, ha preso in con-siderazione l’incompletezza dell’impian-to, mancante dei locali servizi, della vasca di miscelazione, dell’impianto elettrico e di illuminazione, degli allarmi, del gene-ratore di corrente per l’impianto e per il sollevamento, dei misuratori di portata, di tutte le opere di sistemazione esterna, delle opere di recinzione e di verde…! Tra le varie modalità d’intervento è stata presa in considerazione la possibilità di inviare i liquami dal depuratore di Torre-grotta a quello di Giammoro. Infatti l’ade-guamento dell’impianto in loco avrebbe comportato l’espropriazione di notevoli superfici in zone prossime ai centri abi-tati, soprattutto nel Comune di Valdina, situazione apparsa incompatibile con la salvaguardia dell’ambiente e con la salute

dei cittadini, perché ogni tanto, sebbene di rado, si pensa anche alla salute dei cit-tadini. La soluzione scelta avrebbe il van-taggio di non richiedere aree di amplia-mento e di avere il più basso costo di co-struzione e gestione. Negli ultimi anni si è cercato un accordo con l’ASI, che già dal 2008 ha dato formale assenso a ricevere i reflui dell’impianto. Nel frattempo però, aspettando i vari pareri tecnici necessari all’adeguamento, il Comune di Torregrot-ta si è trovato più volte in procedura di in-frazione presso la Corte Europea.Un altro problema ha sempre gravato sulle sorti del sistema depurativo: la contestazione della mancata regolarizzazione dell’occu-pazione dell’area demaniale marittima. La richiesta di concessione in sanatoria avanzata dall’amministrazione comunale nel 2006, infatti, risultava non aggiornata in quanto accompagnata da documenta-zione tecnica risalente al 1993.Ad oggi l’impianto depurativo risulta an-cora sotto infrazione comunitaria giac-ché non si è ancora proceduto ai lavori di adeguamento e potenziamento. Pesanti vincoli sono infatti stati imposti dal Mini-stero dell’Ambiente a seguito del ricono-scimento di tutta l’area milazzese quale sito di interesse nazionale in particolare per la caratterizzazione ambientale. È stato evidenziato che, poiché “l’area in oggetto non è stata ancora sottoposta ad una idonea indagine di caratterizzazione

Correva l’anno 1988 quando fu redatto un progetto generale che prevedeva la costruzione di un impianto di pretratta-mento liquami e relativa condotta sotto-marina nel territorio del Comune di Torre-grotta. L’anno seguente il progetto fu ap-provato e si procedette alla costruzione dell’attuale impianto depurativo, ogget-to negli ultimi mesi di un vivace dibattito politico e causa di ingenti multe a carico dell’amministrazione comunale per via

del suo inefficiente funzionamento. Il sistema depurativo, come previsto dal Piano di Risanamento delle acque re-datto dalla Regione Sicilia e dal P.A.R.F., prevedeva che all’impianto pervenissero anche i liquami dei Comuni di Valdina e Venetico e delle frazioni di Cardà e Mon-forte Marina per un totale di circa 18.000

Il depuratore non depurantedi Isidora Scaglione

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da cui è emersa la presenza di notevoli batteri. In particolare pare che i reflui in uscita siano più contaminati rispetto a quelli in entrata, a causa della totale inef-ficienza dell’impianto depurativo. L’Arpa ha inoltre riscontrato che esso risulta sprovvisto dell’autorizzazione allo scari-co dei reflui e del registro di carico e sca-rico su cui annotare le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti prodotti. Per tutte queste mo-tivazioni il Comune di Torregrotta, nelle

persone del sindaco e del responsabile dell’area tecnica, è stato sanzionato con diverse ammende del valore di miglia-ia di euro. Ad oggi, sebbene il comitato Interministeriale per la Programmazione Economica abbia accolto nell’aprile del 2012 la richiesta di finanziamento per la costruzione di un collettore di adduzio-ne dei reflui all’impianto di depurazione dell’ASI di Giammoro per un importo di euro 3.000.000,00, la situazione è rimasta

delle matrici ambientali (suolo, sotto-suolo e acqua di falda) potenzialmente contaminate, possono essere effettuati soltanto gli interventi di ristrutturazione degli impianti esistenti ed a condizioni che gli stessi non interferiscano in alcun modo con le matrici ambientali poten-zialmente contaminate”.Negli ultimi mesi numerosi sono stati i controlli effettuati dall’Arpa e dalla Capi-taneria di Porto di Milazzo all’impianto di depurazione, soprattutto in seguito a denunce effettuate da privati cittadini circa il cattivo funzionamento dell’im-pianto. In particolare è stato denunciato un presunto sversamento di liquami sul torrente Caracciolo. In seguito ai sopral-luoghi effettuati è emersa ulteriormente l’inefficienza dell’impianto. Innanzitutto la linea liquami è caratterizzata da fasi di grigliatura grossolana e da sedimenta-zione primaria. Le vasche in cui avviene la sedimentazione sono risultate inacces-sibili perché interrate e stracolme di fan-ghi solidificati. È stata appurata la totale assenza di sistemi di disinfezione, non-ché la mancanza di misuratori di portata, autocampionatori e siti di alloggiamento degli stessi. Attualmente i reflui fogna-ri provenienti dai Comuni di Torregrot-ta, Valdina e Venetico risultano entrare nell’impianto di depurazione e uscire dal-lo stesso senza subire alcun trattamento se non quello di essere spinti in condot-ta sottomarina per lo scarico a circa 900 metri dalla battigia. Nell’impossibilità di effettuare un campionamento adeguato a causa dell’assenza degli autocampio-natori sono stati eseguiti due campio-namenti istantanei in entrata e in uscita

immutata. Uno dei vincoli fissati per otte-nere il finanziamento sarebbe l’impegno vincolante relativo all’aggiudicazione definitiva delle opere da realizzarsi entro giugno 2013. Nel frattempo in seno all’amministrazio-ne comunale si cerca di trovare soluzioni che possano almeno temporaneamente risolvere l’annosa questione. È infatti in atto una trattativa con una ditta che si occupa della somministrazione di enzimi che andrebbero inseriti nei collettori o di-

rettamente nelle case dei cittadini. Entro un periodo di circa sei mesi dall’utilizzo di tali sostanze le condutture risulterebbero pulite e gli abitanti potrebbero beneficia-re anche della derattizzazione. La miscela enzimatica introdotta nella rete fognaria permetterebbe all’acqua di arrivare al de-puratore in condizioni di irrigabilità.Attraverso interrogazioni al sindaco e manifesti affissi per tutto il paese acceso è stato il dibattito tra l’amministrazione

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Il Magnifico burlone, l’esteta o l’istrione ? Il Rettore Tomasello è condannato in primo grado per il concorso truccato alla Facoltà di Veterinaria. È strano il mondo e strani sono i comportamenti pubblici e privati della gente tutta. Ma quando c’è un prurito come fai a non grattarti e poi spezzare

le croste dell’indignazione e il pane ed il vino, in quella che definisco l’ultima cena dell’Università, sempre meno universale e abulica e corrotta?Difficile stupirsi, specialmente a Messina, ma non limiterei lo stupore a questo

esclusivo evento.La situazione generale è più drammatica. Il dramma è quello pittoresco messo in scena dall’Unime, coacervo di prebende e posti garantiti ad amici di amici, che poi se ci pensi bene i più sono nemici che si scambiano favori. Il nepotismo

impera e il coraggio viene a mancare, perché è la paura di raccontare quello che accade all’interno delle stesse strutture universitarie a garantire l’impunità a strane figure, omuncoli privi di talento, barzellettieri e imperituri garantisti.

UNIME-RDAdi Tonino Cannuni

comunale e la minoranza consiliare circa la gravosa questione dell’impianto di de-purazione. Dinanzi alle accuse avanzate dai consiglieri circa le pessime condizioni manutentive e lo stato di abbandono in cui versa l’impianto, il sindaco Antonino Caselli ha avvertito l’esigenza di palesa-re attraverso apposito manifesto murale “la verità sull’impianto di depurazione di Torregrotta”. Il primo cittadino ha attac-cato la presunta campagna mediatica definita “di inaudita violenza”, ritenendo “ignobile, deplorevole e politicamente scorretto oltre che disgustoso lo sciacal-laggio politico” di chi cerca di vederci più chiaro sulla situazione. Ha ribadito di vo-ler attenzionare gli aspetti manutentivi dell’impianto “spendendo l’indispensabi-le e non sciupando i soldi pubblici per un impianto che in ogni caso sarebbe stato sempre fuori norma e che era entrato in funzione già incompleto nel settembre ‘96”. Essendo ingenti le spese di adegua-mento in loco il sindaco ha affermato di attendere l’invio dei liquami al depurato-re di Giammoro per trovare una soluzio-ne definitiva al problema. Intanto già da mesi è partita una infervo-rata battaglia volta a rivendicare i diritti dei cittadini che si vedono fatturati nelle bollette servizi, quale quello della depu-razione dell’acqua, assolutamente non ricevuti.È difficile stabilire di chi siano le colpe dell’incuria, dell’irresponsabilità, dell’i-nefficienza. Una cosa è certa, ad andarci di mezzo sono sempre e comunque i cit-tadini, ai quali non viene garantita da chi la millanta la condizione di vivibilità nel proprio paese.

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Messinama ne rappresenta una nobile forma, un pilastro tra i tanti, ma pur sempre portante del diritto allo studio.Il Magnifico se ne infischia, e come biasimarlo in quest’epoca di ipocondriaci, di bizzarri mistificatori, di famelici porta bandiere? Sarà meglio fare la valigia e lasciare la mediocrità tra i necrofili dell’Unime? Quanti vanno via e mai più tornano e quanti restano? Qual è l’ultimo baluardo? Mi vengono in mente Giovanni Pascoli e Gaetano Salvemini, accademici dell’Ateneo, che già all’epoca il loro desiderio era quello di fuggire.

È un ritornello che non s’interrompe. Non avrò certo l’autorevolezza che si addice ad un inquisitore, e molto spesso finisco nel coinvolgermi con quel dubbio che mi assilla: esisterà una qualche scala di valori che non sia turbata dal relativismo? Forse un giorno avremo tutti un pezzo di carta, una pergamena, un qualcosa che riesca ad identificare il nostro io. Forse il baratro non esiste, il Magnifico è nel giusto, i concorsi sono truccati per garantire l’accesso ai migliori, il padre ha troppo amore per il figlio e gli asini continuano a volare.

A volte mi metto a riflettere sul coraggio: Majakovskij che si spara un colpo al cuore, Hemingway che si fa saltare le cervella. Per amore si dirà, ma per amore della verità. Il tempio della cultura è dilaniato, il merito va a dottorandi che sono lì per caso, o per il fatto che pecunia non olet, vi sono corsi dove è possibile camuffarsi e fare l’esame al posto del candidato che dovrebbe realmente sostenerlo. Succede nella facoltà di economia, e tutti lo sanno e lo so io perché l’ho visto con i miei occhi. Il lezzo di urina, tuttavia, ci stordisce e viene fuori dalle aule di facoltà.È difficile vivere come si è scelto di vivere, ma un malato può sempre sperare in una guarigione.Il problema è che non siamo neanche in grado di immaginarci qualcosa di migliore. La fenomenologia del raccomandato si riduce al Mister Jones di Bob Dylan: ludico, sorridente ed aspirante suicida, schizofrenico nei modi, amico di tutti per scopo o ragione di profitto, calcolatore all’eccesso, occhi vuoti e palle ridotte a pozzi vuoti.Ma qualcosa sta cambiando, Mister Jones. La società civile ha cambiato pelle, perché non ha più nulla da perdere; ed oltre alla crisi, lo sdegno riduce gli iscritti. Professori dalla cultura scarsa, fondi ridotti all’osso e spesi male. Il Leviatano conduce negli abissi e porta con sé anche il buono che si confonde nella mischia. Non è un J’accuse, neanche uno sfogo, ma un abominio di fatto. Il faro che guida le coscienze è guasto.Non che io creda che l’università sia l’unico modo per raggiungere la conoscenza, intendo quella più astratta, più intima,

Foto di Rita L. Paone

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Milazzo

Milazzo è una piccola perla, una cittadi-na che non avrebbe niente ad invidiare a località ben più blasonate. Una spiaggia lunga chilometri, il Capo e tutti gli scor-ci da quadro che regala, il Borgo Antico, il Castello e tanto altro, un “paesone” di poco più di trentamila abitanti. Sfortu-natamente i turisti che vi si fermano son ben pochi rispetto a quelli che vi transi-tano, in quanto tappa obbligatoria per imbarcarsi per le isole Eolie.La recente ufficializzazione del dissesto finanziario certo non fa ben sperare per il futuro.Si tratta di una vicenda protrattasi per mesi e mesi, esattamente nove, dalla prima ufficializzazione da parte della Regione, all’effettivo commissariamento dell’Ente. Ai primi di giugno una commis-sione decretava la gravissima situazio-

ne finanziaria del Comune, con circa 23 milioni di euro di ammanco, tra debiti e mancate riscossioni. Le vie d’uscita erano dichiarare il dissesto entro 30 giorni o l’in-tervento di un commissario. Da non trascurare che oltre 2 milioni di euro che il Comune aveva con l’Enel por-tavano all’interruzione dell’erogazione di elettricità per l’illuminazione pubblica di interi quartieri.Il Consiglio Comunale però impugnava, quasi sorprendentemente, la decisione della Commissione regionale che aveva decretato il dissesto, appellandosi a un vizio giuridico che voleva, secondo la più recente norma, essere la Corte dei Conti a dichiarare lo status di cui sopra. La cosa funzionò, portando al rinvio della delibera e all’attesa di un giudizio da par-te del Tribunale Amministrativo Regiona-

le. Si apriva quindi un’aspra battaglia tra l’attuale primo cittadino, Carmelo Pino, e la precedente amministrazione guidata da Lorenzo Italiano. Accuse reciproche hanno animato l’intera estate milazzese. Difficile da dimenticare l’insolito comi-zio di Pino del 14 luglio 2012, nel quale il sindaco accusò la precedente Giunta di aver lasciato nelle casse nient’altro che “un osso spolpato”: a tale frase il primo cittadino tirò fuori un vero osso e lo mo-strò ai presenti, per rendere più chiara la metafora. Comparve sul sito del Comune anche una minuziosa relazione dell’as-sessore Pippo Midili, a riprova della pre-sunta “malafede” di chi governava prima di loro la città.Tra un rinvio e l’altro il Comune aveva tentato in qualche modo di risanare par-te del buco di bilancio, mettendo in ven-

di Dario Lo Cascio

Milazzo: agonia di una gallina dalle uova d’oro

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9Foto di Rita L. Paone

dita anche alcuni beni immobili ormai dismessi: il convento dei Cappuccini, la vecchia stazione ferroviaria, il mattato-io in disuso. Tutto vagamente inutile. Lo stesso sindaco Pino aveva iniziato a scon-trarsi con il Consiglio Comunale, che ac-cusava il primo cittadino di “volere il dis-sesto a tutti i costi”, e di non aver cercato vie alternative. Pino parlava di soluzione inevitabile, de-cretata dalla Corte dei Conti e alla quale era impossibile opporsi. Il tentativo di ri-sanamento infatti non aveva funzionato “a causa dei debiti pregressi”. Ai primi di dicembre l’ufficializzazione, la seconda, del dissesto. Poi a gennaio la nomina di Margherita Catalano a commissario e l’annuncio di scioglimento del Consiglio Comunale, che però, ancora una volta, si opponeva. Guidati dal presidente Saro Pergolizzi, un certo numero di consiglieri affermava che sarebbe possibile aggan-ciarsi al decreto Salva Comuni, ed evitare il dissesto. Ennesimo ricorso al Tar, ma sta-volta il parere è negativo: “non sussistono i presupposti” per appellarsi al decreto, si legge nella sentenza dell’1 febbraio. Con-siglio Comunale sciolto e dissesto finan-ziario che, dopo otto mesi di empasse, è “finalmente” ufficiale.Il “finalmente” va tra virgolette perché lo stesso Consiglio ha fatto ulteriormente ricorso al Tar per la nomina della dotto-ressa Catalano a commissario, col dibatti-mento avvenuto a fine febbraio. Puntual-mente respinto anche questo. I consiglieri erano stati sostituiti da un altro commis-sario straordinario, Valerio De Joannon, in via provvisoria a causa della “sospensiva”. Adesso il suddetto commissario ha pre-

so in mano i compiti del Consiglio. Non contestualmente, ma nelle stesse ore, è comunque arrivata una mazzata inaspet-tata: il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha sottratto a Milazzo i fondi per il completamento del Lungomare di Ponente. Un’altra – l’enne-sima – opera incompiuta della città.E adesso? L’amministrazione Pino do-vrebbe decadere nel 2015, quando saran-no indette nuove elezioni. E due anni di commissariamento cosa comporteran-no? Sicuramente, stanti le attuali condi-zioni economiche delle casse, a Milazzo di interventi che non siano finanziati da Stato o Regione non se ne vedranno per un bel pezzo. Basti dire, anche se sembra una cosa di poco conto, che durante le festività natalizie le classiche “luminarie” sono state esposte solo grazie agli eser-cizi commerciali. Non una decorazione è stata realizzata dal Comune, che eviden-temente è talmente in crisi economica da non potersi permettere neanche la bolletta dell’elettricità. Addirittura le ditte che producono asfalto si sono rifiutate di

fornire il materiale per “tappare” almeno qualcuna delle innumerevoli buche che ormai caratterizzano le strade della città. A Milazzo quindi niente di nuovo, almeno per i prossimi due anni, salvo eventuali elezioni anticipate. Più che attribuire una colpa a qualcuno o qualcosa, è preferibile dire che a Milaz-zo manca da troppi anni una “cultura del fare”, un pensiero costruttivo da parte delle varie amministrazioni che si sono al-ternate, che contribuisse allo sviluppo in prospettiva, e non nell’immediato, per un proprio superfluo tornaconto. Quando si è fatto qualcosa, a Milazzo, si è fatta tardi, poco e male, ed è un dato di fatto sotto gli occhi di ogni singolo cittadino. Una città un tempo invidiabile masticata e poi risputata, senza la possibilità, la vo-glia, lo scatto d’orgoglio per difendersi, inopinatamente abusata per anni e anni, peraltro apparentemente senza che i suoi cittadini se ne siano resi – o voluti rendere – conto. Come si può, dunque, arrivare a dover dichiarare bancarotta? E’ un triste e colossale paradosso.

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Pareri in Comune

Vivere in un piccolo paese di provincia non ti rende meno (s)fortunata di chi vive nella capitale.I nostri politici per non farci sentire da meno si impegnano perchè i termini “di-missioni” e “maggioranza” possano al più presto essere rimossi anche dal nostro vocabolario oltre che dal loro.Qualcuno li ha definiti i “sindaci di nessu-no”.Si ostinano a cambiare, ri-voltare, capovolgere, scom-porre e ricomporre una giunta comunale come se fosse fatta da lego, noncu-ranti di un piccolissimo par-ticolare: non hanno la mag-gioranza, baluardo di ogni democrazia rappresentativa che si rispetti.Ciò che demoralizza prima di tutto il pubblico pagante è che anche il più improba-bile dei giovani, anche co-lui che sembra essere il più tenace di una generazione molto poco promettente, venga catturato, o meglio si lasci catturare, da colo-ro che fino al giorno prima

chiamava avversari. I “sindaci di nessuno” sono esemplari tipici del messinese; ne sono stati avvistati nei comuni di Rometta e Spadafora, per esempio.Esaminandoli ci si può rendere facilmente conto della spiccata somiglianza con alcu-ni volti noti della politica nazionale.Abbiamo l’ “uomo rimpasto”, in carica da quattro anni è riuscito con singolare

maestria a nominare ben cinque giunte, l’ultima delle quali a tratti sa di latte; ma possiamo ammirare anche l’ “uomo senza olfatto”: Berlusconi non sentiva la crisi, lui non sente il lezzo di immondizia del suo paese, discarica abusiva più in voga del circondario con la duplice funzione di bar-riera architettonica e di frangiflutto.E’ chiaro, ai nostri supereroi urge un qual-che esempio pratico da seguire.Mi rendo conto, però, che chiedere indi-stintamente ad uno dei due di ispirarsi ad Alcide De Gasperi, Sandro Pertini, Lev

Ttotsky, Franklin Roosvelt, J.F. Kennedy, Giacomo Matteotti, Enrico Berlinguer o Francois Mitterand sarebbe eccessivo utopismo, andrei contro la loro natura di politicanti, lo riconosco.Davanti a ripetute mozioni di sfiducia, a una mancata maggioranza i nostri rappre-sentanti ignorano totalmente la possibilità di rassegnare le loro dimissioni .D’ altra parte il palese falli-mento di un intero manda-to non è una motivazione valida per alzare il deretano da una morbida poltrona in pelle. Non è certo colpa loro se in Italia gli hanno insegna-to così. Eppure in Germania

Tutta l’Italia è paesedi Emanuela Sciarrone

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Karl-Theodor zu Guttenberg, ministro delle difesa del governo Merkel, dopo che la Süddeutsche Zeitung rivela che avreb-be copiato parte della tesi di dottorato, non solo rinuncia al titolo di studio ma im-mediatamente dopo presenta le dimissio-ni; ha dell’incredibile anche la vicenda del senatore repubblicano del Nevada, John Ensign, dimessosi a causa di una tresca con una sua dipendente; Christian Blanc, ministro per lo sviluppo francese, invece, si licenziò in seguito ad una scabrosa par-tita di sigari rimborsati a pie’ di lista.Fortunatamente in Italia il traffico di so-stanze illecite come l’onestà, la dignità, la civiltà e il decoro non è diffuso.Sì, perchè se ti vendi, se conosci il mec-canismo del celebre “voto di scambio”, se salvi una qualche nipote di Mubarak, se hai il totale controllo su almeno due tele-visioni e tre testate giornalistiche, una vil-la a Montecarlo comprata a tua insaputa, elogi Benito Mussolini e hai almeno quat-tro processi in corso e una doppia con-danna per associazione mafiosa hai tutte le carte in regola per rimanere dove sei.Ma c’è di più, perchè se nel tuo “ufficio” non ti limiti ad affiggere il crocifisso ma ci metti anche la foto di Totò Cuffaro sei considerato un uomo di Dio.E se dovesse succedere che qualcuno non ha altra scelta che ritirarsi in buon ordine, basta andare al voto dopo solo un anno e il suo fondoschiena ritorna nuovamente

al caldo.Insomma, inutile specificare il nome del pigmalione per eccellenza dei nostri cari sindaci.Lo imitano come meglio possono, ci ri-escono anche discretamente e come se non fosse tragicamente abbastanza, da perfetti seguaci quali sono, plasmano il loro elettorato come il “caiNano” fa con il suo .E’ la parodia di una farsa. Se fai un giro in paese i malcontenti non cambiano, che a manifestarli sia l’impren-ditore piuttosto che l’operaio: sempre le stesse facce, le false promesse, gli scanda-li, la disoccupazione.Poi, inspiegabilmente, il colpo di scena al momento dello spoglio elettorale: le lasti-me spariscono ma le suddette “facce” no.Sorriso a trentasei denti, abbigliamento distinto, un corteo di loro simili a seguire, vincono ancora loro.Incredula, delusa e nauseata, non mi resta che sperare che suddetta casta, in seguito agli ultimi eventi, scelga una figura poli-tica molto più all’avanguardia: colui che aveva la possibilità di indossare morbidi mocassini Prada ma ha preferito trascor-rere il resto dei suoi giorni in una catapec-chia a Castel Gandolfo con delle anonime pantofole in pelle.Il perchè di tale scelta viene attribuito all’avanzata età del dimissionario, anche se qualche maldestro ha avvallato l’ipo-

tesi che dietro ci sia un qualcosa di più complesso.Qualunque sia la motivazione, un com-mosso Giorgio Napolitano ha definito quello del pastore tedesco “un gesto umano”.Signori politicanti, il termine “umano” ha uno spiccatissimo significato morale.Umano:“Che dimostra comprensione, amore per il prossimo, spirito di solida-rietà”.Vi chiedo pertanto di concentrarvi, fino a quando le vostre eccelse menti ve lo permetteranno, su tale vocabolo e so-prattutto sul bagaglio di dignità che ricevereste optando per la stessa scelta dell’Emerito.Riconosco che la mia proposta non sia allettante quanto un assessorato a 26 anni, una piacevole indennità di carica, oggi nota come “borsa di studio”o un po-sto al senato anche se sei Razzi, ma mi permetto di pensare che in voi risieda ancora quella piccolissima dose di buon senso che vi renderebbe molto meno patetici. Forse chiedo ancora una volta troppo.Lo slogan di un nostro connazionale recitava: “Restate umani” , ma Vittorio Arrigoni è forse il più inarrivabile degli esempi che ho citato.A questo punto penso che l’unica cosa che possiate fare sia sostituire al suo slo-gan “umani” con “a casa”.

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Surreale SiculaAnche Buddha ha il suo da faredi Tonino Cannuni

E’ morto. Sì, il manager Aldo Bennato è morto. Cento trenata chili di superbia bocconiana, un tipo che raramente toc-cava l’insalata. Alcuni suoi amici sosten-gono che fosse un cobra gentiluomo e che avesse un culo di larghe vedute, altri lo ricordano come un uomo avido e con il cuore gonfio di livore e colesterolo. Al di là delle schermaglie, un uomo morto merita sempre un funerale, almeno pri-ma che il suo sorriso sia interamente ri-pulito dai vermi. Tra l’altro, Aldo si è tolto la vita, cicuta con ghiaccio ed ombrellini maya per la dipartita; al mondo sensibile lascia proprietà in paradisi fiscali, dove la mela dei progenitori la trovi a spicchi in scatole cinesi per gole di Adamo e dove Eva gira nuda come lady Godiva al trotto di un caimano nano e privo di umorismo. Al funerale erano tanti i presenti: c’era Braccio di Ferro che indossava tacchi a spillo in maniera apotropaica; Bukowski che scopava una tizia senza una gamba nel giardinetto delle Esperidi, che si tro-vava proprio vicino al cimitero; Louise Ferdinand Celine che, Casse-pipe Casse-pipe, diceva: “La guerra, la guerra! È il nascere che non ci voleva. Buon Dio! Un fagiolo di terra, quello voglio. Vigliacco sputo, puuuu, che vada all’inferno”; c’era Winston Churchill con il suo sigaro alto come il cielo della Cambogia. C’era molta

altra gente, tutta crauti e cravatte. La ceri-monia fu sommessa e sobria, l’unica nota dolente fu la sbronza di Jack La Motta, il quale pisciò sulla tomba e picchiò John Lennon. Le false direzioni della cometa di Betlemme ci portano al dunque, con le banche che creano più danni che uragani a New Orleans. Aldo era un manager di successo, tutto scommesse e puttane, ma era anche un uomo dall’ostia facile prima che diventasse buddista. Si convertì una notte d’autunno a New York quando co-nobbe Richard Gere. In un loft sapiente-mente disadorno, i due parlarono dell’Hi-malaya hippy e di diete vegane, prima di fottersi con gusto al chiaro della Grande Mela e spremute di sudore new age. Di-ciamo che la folgorazione di San Paolo sulla via di Damasco non trova paragoni con tutto ciò: Aldo non scrisse lettere ai corinzi per convincerli dell’arrivo di que-sta brezza ieratica mossa dal vento d’occi-dente, si limitò al suo orto personale.Un mio amico soleva dire che l’unico uomo che l’ha messa nel culo a tutti è l’inventore della supposta, quindi fare una cernita dei meriti e demeriti di Aldo mi risulta pleonastico ed inefficace. È an-che chiaro che se una donna indossa tac-chi alti, non arriverà certo Al Qaeda a farle saltare il culo dalla suola in giù. Il percorso spirituale del manager si

troncò prima di apprendere le nozioni di “karma” e “ciclo delle rinascite”. Niente Gesù Cristo in pastiglia che ti rende gla-bre le palle, doveva avere a che fare con la dottrina che ti getta il guinzaglio al col-lo come il cappio. Ora, l’insipienza delle accolite religiose tende a far avverare le punizioni che sono assegnate ai traditori delle leggi sacre, così se credi che dopo la morte andrai all’inferno, ti assicuro che è lì che andrai. Buon viaggio, amico.Aldo s’incarnò in un vitello bello grosso, allevato per produrre carne. La sua sfor-tuna fu quella di mantenere il senno o meglio la coscienza. “Sono dunque un mago per il fatto di essere un poeta?” chiedeva Apuleio ai suoi detrattori. La ri-sposta non sta nel vitello ma credo che via sia una buona dosa di metamorfosi nelle nostre vite, la vecchiaia ne rappre-senta la consunzione finale. Aldo perse la parola e nulla poteva comunicare al suo padrone che voleva vederlo sempre più grasso. Per sua sfortuna al McDonald non servo-no carne di pagliaccio, quindi niente nasi rossi che s’illuminano più della stella Ke-ats e nessuna ilarità alla deriva, solo grassi aggiunti. Era davvero un problema, ma i bimbi obesi, allucinati d’America, avreb-bero gioito di fronte alle nuove confezio-ni del porco zio Sam. La catena alimenta-

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re si è forse ossidata? No, lo dicono i dieto-logi, ormai alla frutta. Il vitello-Aldo fu portato al macello il tre-dici di un mese qualsiasi. La particolarità di questo macello era la sua forma rettan-golare, come uno stadio di calcio. Vi erano anche le tribune, dove la calca yankee si radunava per assistere all’olocausto ed avevano svastiche al posto delle palle. Carne, sangue e dollaro sono le fonda-menta dello sciovinismo a stelle strisce e le stelle fingono splendore ed Aldo paga il debito della sua esagerata ricchezza ed il pubblico specula su tutto, persino sulla carta igienica.Da manager si trasformò in hamburger,

seguendo così nel suo ciclo tutte le tappe del capitalismo che sbava sulla sottiletta della redenzione. Diventò un Happy Meal per squali gastrici, nel locus amoenus del clown dell’ipocalorica bestemmia, dove il circo copre il cielo che come un rudere è buio e fatiscente. Aldo manteneva ancora un briciolo della sua coscienza, tra patati-ne fritte e bibite zuccherate dai colori-psi-canalisi-subliminali e a volte anali. Sentiva ancora pulsare quel suo piccolo cuore di maionese, batteva piano e mesto si con-torceva sul Buddha sorridente. Eccola la fine, in un attimo i monatti della globa-lizzazione hanno portato via Aldo, giù e su nello stomaco come lo spread. Eccola

la fine, un hamburger digerito e poi sca-ricato nelle fogne, dove battezzammo le Erinni della finanza e a loro consegnam-mo il mondo. Eccola la fine, dalla cloaca all’oceano Pacifico e la piramide alimenta-re d’Egitto ci osserva dalla punta.Aldo mai più si reincarnò, l’onda orfica si era abbattuta sullo scoglio dove le sire-ne dalle code argentate fumano oppio e giocano a dadi col destino. Un manager liquefatto serve a poco e le notti s’intrec-ciano nell’abisso della pineale e le luma-che corrono sulle colonne vertebrali e noi siamo giganti sulle spalle dei nani e il Si-gnore vide che era cosa buona e giusta. Bon Voyage.

illustrazione di Loredana Amenta

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La casa degli AppesiAFFINITA’ ED EMERGENZE DELL’ALACO E NOI (DEL CONSEGUIMENTO DELLA PEGGIORE ETA’)di Francesco Villari

Guardavo le sue acque calme ma della calma c’era solo la parvenza. Bellissima e truffaldina la parvenza. Capace di in-gannarti perché la tua buona fede non è la buona fede che in troppi dividono in due ca-tegorie: quella cattolica della quale non ho voglia di parlare e quella sociale in cui la buo-na fede messa a disposizione si tramuta in un boomerang che ti colpisce alla nuca se non stai attento ai venti con-trari. Ostinato e convinto che la bellezza della natura resista agli uomini, anche ai peggiori della specie, mi ritrovo sereno a fumare del tabacco ai bordi del lago, che qui chiamerò di Lacina. Pensavo ai fatti miei quan-do ad un tiro di sigaretta mi viene in mente la democrazia delle acque, che per natura sono un’occasione per tutti. Pensavo ai fatti miei quando ad un tiro di sigaretta imma-gino la democraticità dell’ac-qua che ho di fronte. Acqua, democrazia, Italia, politica, sogni, Calabria, passioni. Pen-savo ai fatti miei quando ad

un tiro di sigaretta immagino il lago di La-cina come fosse il Parlamento di uno Sta-to in cui i punti della Costituzione sono le

correnti che ne determinano il percorso. “Quale poesia / quale intuizione / qua-si non sia / questa nazione”. Ma lo è. Ed ecco che pur volendomi bagnare le mani mi rendo conto che l’acqua non è quello che mi aspettavo. Uno strano parallelo mi si pone di fronte: l’acqua del lago fi-glio del bacino dell’Alaco è corrotto come la democrazia dello Stato che dovrebbe averne cura? E penso allora che sarebbe bene analizzare la questione: se l’H2O è

da considerarsi alla pari dell’Istituzio-ne, quali sono gli elementi inquinanti? Di certo c’è del Ferro (Fe, in chimica) che ne arrossisce il colore e ne peg-giora il sapore, come i partiti ed i loro simboli ruffiani pronti all’usa e getta di una qualunque tornata elettorale. Non manca il Diossido di Cloro (ClO2), tipico dei trattamenti per la disinfezio-ne delle acque, che mi dà l’impressio-ne di quei residui inquinanti, come fossero le bave a tracciare il percorso intrapreso dai mesterianti della po-litica ad ogni spostamento da banco a banco, da schieramento a schiera-mento, da bandiera a bandiera. Nulla a che fare con gli ideali, per quelli c’è lo sbiancamento ed i cloriti sono qui a dimostrarcelo. Trovo parti di Manganese (Mn) e la sgradevole sensazione dei partiti mi-nori che si giocano il loro poco per-centuale mi assale, come l’olfatto è assalito da un odore acre e sgradevole tipico dell’alterazione delle caratteri-stiche organolettiche dell’agente Mn nelle acque. Comincio a sentirmi male quando penso ai batteri patogeni di origine

foto di Salvatore Federico

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fecale che non possono certo mancare (la formula chimica cercatevela a piacimen-to). E non possono certo mancare perché tutta la cacca scaricata dagli sciacquoni, anche quelli delle migliori famiglie, arri-veranno pure da qualche parte, che credi? È la stessa cacca mediatica che quotidia-namente viene da “lor signori” affermata e poi smentita, confermata e travisata, contestata e poi sedata dall’intervento delle forze dell’ordine che rispondono ai comandi dall’alto per salvaguardare “il bene della comunità”. Ebbene si: anche le istituzioni hanno i bagni, magari sa-ranno dorati e lucidati ogni quarto d’ora da domestici meticolosi offerti dalla casa, ma l’uso, stanne pur certo, rimane quello consueto.Quando poi penso a quegli stronzi dei Trialometani (si può dire “stronzi” sulle rive di un lago, credo di si) frutto della reazio-ne del Cloro (Cl) con i componenti orga-nici dell’acqua nei trattamenti di disinfe-zione, non posso fare a meno di intenderli come le ingerenze dei partiti nella comu-nicazione di massa. Quella che dovrebbe informare ma che invece inforna i cervelli e li serve caldi e croccanti al buffet quoti-diano di un Montecitorio qualunque. Attendo i risultati delle analisi ma sono convinto che ci sarà del Piombo (Pb) in queste acque calme e placide. Al passag-gio di una mano magari potrebbe sfuggi-re perché quest’elemento capace di dan-neggiare il sistema nervoso di un essere umano si nasconde alla vista come d’altro canto il suo surrogato istituzionale: il Pre-sidente. E resti inteso che le controindica-zioni rimangono identiche a prescindere dalla natura della presidenza, fosse quella

di una circoscrizione o di una segreteria politica, quella di una commissione Sa-lute o quella della Repubblica. Il sistema nervoso è sotto attacco, non ci sono dub-bi in merito. Piombo, che anni complessi quelli, anche se per dovere di cronaca e per amore della scienza aspetto le analisi per tornare sull’argomento.“E che sarà mai!”, penso tra me e me men-tre accarezzo con il palmo della mano l’ac-qua, quasi a chiederle scusa. Ma al tatto la viscosità del liquido mi fa pensare che non è solo acqua quella che ho davanti. C’è dell’altro. Sarà petrolio? Saranno deri-vati del benzene? Eppure l’agenzia di pro-tezione ambientale EPA ha fissato il tasso limite di benzene nelle acque potabili a 5 μg/l e per quanto è dato sapere, le istitu-zioni mi dicono di bere l’acqua dell’invaso

dell’Alaco e di farlo senza sbarramenti di sorta, non siamo mica in campagna elet-torale. Non stiamo certo giocando con la vita delle persone, nella fattispecie con la mia. Ma a pensarci un attimo torno alla poesia, torno alla cultura, torno alla natura e tor-no allo spettacolo di una coscienza civile capace di mettermi nella condizione di godere appieno dei beni comuni per poi permettermi di lavorare al bene indivi-duale. E a pensarci ancora un attimo (non si pen-sa mai abbastanza ed un attimo possiamo concederlo al ragionamento): chi si fida delle autorità? Chi si fida di queste auto-rità che a parte aver usurpato la termino-logia istituzionale, di autoritario ed istitu-zionale non hanno davvero niente se non la presunzione, a detta loro legittima, del posto che occupano? La sigaretta è finita e la sensazione che al-meno le informazioni sul pacchetto erano state chiarissime mi induce a pensare di volerci capire di più. La poesia mi aiuterà, questo è certo. Ma per dissetarsi, il mio corpo avrebbe bisogno di un buon bic-chiere d’acqua. Certo è che però adesso ho il voltastoma-co. Ed il turbinio di frasi fatte, di sorrisi falsi come nei manifesti elettorali e di continue presunzioni, mi costringe a rinfrescarmi per superare il momento. Ho sete. Ho tan-ta sete. E mi rendo conto che devo stare atten-to, molto… molto… attento, perchè rin-graziando coloro i quali ringraziano Dio, adesso alla mia fonte anche un sorso d’ac-qua non ha più nulla a che vedere con la democrazia.

foto di Salvatore Federico

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Chávez

Un grande rivoluzionario socialista, secondo alcuni, nient’altro che un dittatore populista ed autoritario, secondo altri. In questo caso la verità non sta nel mezzo.Quest’uomo, dipinto come un diavolo per oltre un decennio da tutti i governi del mondo occidentale, ha infatti avuto un’unica grande colpa, quella di ridare dignità ad un popolo che per anni era stato a guardare di fronte al saccheggio economico e culturale delle sue istituzioni, assoggettate al potere delle ricche democrazie del Nord, Stati Uniti su tutti.Di tante cose è possibile discutere a livello ideologico, ma di certo non si può far finta di niente di fronte all’analisi asciutta di cosa fosse il Venezuela 15 anni fa, quando Hugo Chavez venne eletto per la prima volta presidente, e di quello che è diventato oggi. Assistenza sanitaria, alfabetizzazione, redistribuzione della terra, nazionalizzazione delle risorse petrolifere, riorgazzazione su base popolare dell’accesso alle istituzioni democratiche ed al processo politico, diritti femminili. Senza dimenticare la spinta sociale, l’energia emotiva, che Chavez ha saputo trasmettere a tutto il continente

latinoamericano, posando la prima pietra di quel grande laboratorio di progressismo socialista che è oggi il Sudamerica. Sono solo alcuni dei punti su cui Hugo Chavez ha costruito il suo consenso, trasformando un paese che di fatto per più di 50 anni aveva vissuto nell’oblio di un abbandono veicolato dall’unico interesse mostrato dalla comunità internazionale nei suoi confronti: il petrolio. Oggi il Venezuela è un paese più giusto. E più orgoglioso. Nella storia contemporanea non era mai successo di assistere al rovesciamento di un colpo di stato da parte della popolazione civile. Accadde nel 1999, quando dopo il tentativo di golpe architettato dalle oligarchie industriali del paese con l’appoggio dell’intelligence statunitense, milioni di venezuelani scesero in piazza chiedendo di riavere indietro il loro presidente, Hugo Chavez.

Nessuno lo aveva considerato. Nessuno aveva immaginato che quell’incredibile marea umana avrebbe sfidato il mondo gridando l’unica parola che il mondo non voleva ascoltare: democrazia. Troppo spesso riteniamo che dietro a questo concetto, il concetto di democrazia, non risieda un significato assoluto, ma inconsciamente limitato. Ciò che noi intendiamo per democrazia è infatti veicolato dalla maniera in cui, secondo la nostra logica e la nostra formazione culturale, una democrazia dovrebbe funzionare. Dimenticando che la democrazia è espressione del popolo che la esercita e che non è possibile giudicare, né comprendere, né, evidentemente, esportare, la nostra idea di democrazia in un luogo che avrà vissuto altre storie, altri percorsi, che sarà stato costruito secondo un equilibrio sociale ed economico del tutto differente

Hugo Chavez è morto.di Mauro Mondello

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Post-it

L’homo moderatus deve andare piano piano, a passi ben calibrati, perché la distanza da percorrere sia ben programmata; un’accelerazione improvvisa può far saltare i piani e provocare una caduta dalla quale potrebbe essere abbastanza complicato rialzarsi. Chi ha abbracciato il moderatismo si ferma col giallo al semaforo, non tira le marce, ride a 26-27 denti, conta fino a dieci prima di piangere, veste sempre dicircostanza, capelli pettinati e barba ben rasata. Ad ogni anniversario di matrimonio manda un bel mazzo di fiori alla moglie,le porta il caffè a letto la mattina, la saluta con un bacio sulla fronte e se la trova a letto con l’amante le chiede al massimo il divorzio. Quando va allo stadio siede sempre in tribuna, non  manca alle inaugurazioni con consorte sotto braccio e al ristorante lascia sempre qualcosa nel piatto come segno di moderazione. In una discussione molto animata sceglie il punto mediano e là si posiziona. Segue le regole pedissequemente perché il mostrarsi talvolta flessibile lo potrebbe far pendere verso unestremo o l’altro.

Paradossalmente raggiunge picchi di estremismo, comunque assolutamente moderato, quando non scende mai in spiaggia da solo, non piscia se non c’è una toilette, non dice mai “bona” ad una bella ragazza e non prende un pasticcino con le mani. Ma è in politica che esce la sua schiuma  esistenziale; se è giusto dare i diritti agli omosessuali nel contempo non si deve scontentare il Vaticano, se deve aderire ad uno sciopero prima deve accertarsi che non ci sia la CGIL, se si parla della riforma del lavoro si dice d’accordo solo se viene accettata da Confindustria, l’aiuto di stato può essere accettato se non lede la sacra legge della concorrenza, è contro il razzismo, ma un po’ meno con gli zingari. La sanità deve essere pubblica, ma con ticket intramoenia e “congrue” sovvenzioni ai privati, la scuola meritocratica e con giuste dosi di classismo, l’ecologia solo se non frena la crescita e via moderando. L’Homo Moderatus è l’unica garanzia per le grandi, magnifiche e progressive sorti dell’umanità, l’unico che ci può far sognare in un mondo con lo  spread azzerato ed il pareggio di bilancio.

IL FUTURISTAModello moderato, targa BMFMIUE.

di P. Daveru

dal nostro. Noi italiani lo sappiamo bene, da 20 continuiamo a votare Berlusconi ed all’estero nessuno ci capisce, nessuno comprende come sia possibile, eppure succede, perchè questa è l’Italia e la sua espressione democratica ne riflette perfettamente la composizione civile nella società.Chiamare Chavez “dittatore”, solo perchè non ci piace il modo in cui lavora, solo perchè è distante dalla nostra maniera di intendere il governo di un paese, è un esercizio di pochezza intellettuale che soltanto la nostra società occidentale dominata dal pressapochismo e dalla superficialità può permettersi.La verità, la verità inconfutabile, quella verità dei fatti che con un poco di fortuna resterà scritta nei libri di storia e che i nostri figli e i figli dei nostri figli, se ancora ci sarà un mondo, leggeranno, racconterà di un grande statista che trasformò un paese di cui nessuno conosceva il nome, preda delle peggiori razzie postcoloniali che si ricordino nella storia contemporanea, un paese povero, abbandonato al suo destino, senza speranza, in un posto migliore.Il Venezuela, Chavez, hanno rivoluzionato il significato di democrazia nel nostro tempo, dimostrando che è possibile cambiare le cose dal basso, che non esiste l’ineluttabilità della sconfitta sino a quando gli uomini e le donne continueranno ad esercitare il loro libero arbitrio.

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Post-it

L’estate scorsa, durante una escursione su un vulcano conobbi Martina. Salendo a pochi metri dalle colate laviche, con il sole che scen-deva lento dietro le sabbie nere, osservai il suo profilo, e mi resi conto che mi trasmetteva uno strano senso di calma. Era la stessa sensazione che provavo quando mi immergevo nell’acqua fredda del mare durante lo scirocco, inspiravo profondamente, mi tuffavo velocemente senza chiudere gli occhi e tracciavo una curva verso il largo, sott’acqua, e immaginavo di essere una manta, un diavolo di mare, l’unico animale che è in grado di volare nel mare. Un’azione d’aria e un elemento d’acqua fusi in un’entità vitale. Era forse un tentativo di tornare ai primordi della vita? O semplicemente un modo 22 per isolarsi dal mondo “terrestre” per raggiungere un’altra dimensione? Un gioco, una fuga, una necessità? Non so spiegarlo. Ci sono sensazio-ni e percezioni che non è possibile spiegare. Come quando un sommelier tenta di mettere insieme termini e parole per esprimere gusti ed odori di un vino pregiato, non potrà essere preciso come lo sono i sensi. La voce di Marti-na era lenta e vellutata, e si inarcava lungo una spirale immaginaria, accarezzando appena le parole. Ogni suo gesto si compiva in pochi se-condi, eppure era carico di eleganza. Mi disse che era lì in vacanza, dopo un inverno passato a fare a cazzotti con sé stessa per convincersi che il divorzio non era una idea così malsana, né un passo così difficile da compiere. Disse:

“Sono in vacanza dalla vita”. Io, che avevo pre-notato l’escursione con l’intento di utilizzarla come ispirazione per un articolo su una mo-stra che avevo visto il giorno prima, ero in quel momento immerso nei miei pensieri, ma 23 fui subito colpito da quel richiamo, quasi fosse il canto di una sirena. Spesso, se mi era possibile, prima di esprimere un giudizio su una mostra fotografica, preferivo mettere a nudo le imma-gini direttamente andando a vedere con i miei occhi gli oggetti e i luoghi raffigurati nelle foto. Dopo tre anni di convivenza non avevo più pen-sato a null’altro che al lavoro e a Tania. Quella sera sulle pendici del vulcano mi resi conto che stavo tentando di avvicinare quella donna sco-nosciuta con una forza inaspettata. Dentro di me non c’era una intenzione vera e propria, più una serie di frasi non terminate, l’abbozzo di un quadro, colori che si mischiano senza un ordine stabilito. Improvvisamente mi uscì di bocca un invito a cena, in uno dei ristoranti più rinomati della città alle pendici del vulcano. Nello stesso momento in cui quelle parole mi uscirono da bocca ne fui io stesso sorpreso. Martina accet-tò subito, sembrava che anche lei non ci avesse pensato su due volte. Quella sera sul vulcano non successe nulla di particolare. Ricordo che 24 per farla salire su uno sperone di lava solidificata ma ancora calda, e farle osservare il tramonto, le afferrai una mano, e indugiai qual-che secondo prima di tirarla su. Quel contatto aveva risvegliato dei sensi ormai sopiti. Il battito cardiaco accelerò tanto da farmi credere di po-ter svenire e cadere là tra la roccia neonata e ta-gliente. Lei mi sorrise, ed il suo sguardo era pro-fondo quanto quello di un oceano, i suoi occhi – quelli di una gatta – sembravano voler scavare e rovistare tra le mie intenzioni. Anche la cena

sembrò una pura formalità, almeno credo che questo apparisse alla gente che ci circondava. In realtà c’era qualcosa che strisciava sotto le ap-parenze, una specie di energia invisibile ma pal-pabile, di una forza che ti schiaccia la cassa tora-cica e fa schizzare il cuore su per la gola, come quando ci si immerge in apnea. Parlammo di noi due, dei nostri sogni, delle nostre paure, e delle rispettive vite che ci attendevano al nostro ritorno a casa. Io le raccontai che molte volte avrei voluto 25 provare a scrivere una storia, lei mi confidò che si sarebbe iscritta ad una scuola di tango. Abbandonò la danza quando si sposò e non ebbe più il tempo per riprendere le lezio-ni. Una volta tornata in città, si sarebbe dovuta trasferire in periferia con il suo cane, Dizzy. Io sarei tornato alla mia vita di sempre. Prima di la-sciarci ci scambiammo i nostri recapiti: telefoni, indirizzi, e-mail. Quando tornai a casa, sentivo la presenza di quella donna in ogni passo che facevo, la percepivo come qualcosa di solido, dentro di me. Non esitai un minuto prima di chiamarla. Da allora continuammo a sentirci ed a raccontarci le nostre vite. Il desiderio di lei cresceva giorno per giorno, e per delle strane leggi della natura, il desiderio di Tania, sempre più immersa nel lavoro, si affievoliva con la stes-sa forza e velocità. Ma mai, né io né Martina, ci sognammo mai di oltrepassare quella linea che ci divideva come fosse stata di solido cemento armato. 26 Eppure era una linea di convenzioni sociali, non un vero e proprio muro. C’era sem-pre quella forza misteriosa che strisciava da me a Martina e ritornava a me rafforzata, anche a di-stanza di chilometri, come se fosse davvero una entità liquida ma invisibile. Me ne sto rendendo conto solo ora che, libero da qualsiasi inibizio-ne, sto salendo sul treno che mi porterà da lei.

Il Volo della Mantadi Paolo Pino

Capitolo 4

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Breve sosta per luce e vento (Foto di _Leandro Picarella)

FotodromeDon Bernadrdo Filangeri 2012 (Foto di _Nunzio _Gringeri)

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