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Piano di Emergenza Interno ed Evacuazione – Rev.1 – Edizione 2014

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INDICE

1 - PREMESSA 2

2 – EVENTI NATURALI 5

2.1 – RISCHIO SISMICO 5

2.2 – RISCHIO IDROGEOLOGICO 11

2.2.1 – ANALISI RISCHIO IDROGEOLOGICO ZONA OSPEDALIERA 12

2.3 – RISCHIO VULCANICO 18

2.3.1 – ZONA ESPOSTA A RICADUTA DI LAPILLI E CENERE (ZONA GIALLA) 22

2.3.2 – VULNERABILITA’ DELLE COPERTURE AL CARICO DI MATERIALE

PIROCLASTICO

23

2.3.3 – SIMULAZIONE DEI DEPOSITI DI RICADUTA E STIMA DEI COLLASSI

DELLE COPERTURE

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2.3.4 – MAPPA DI RISCHIO 26

2.3.5 – SCENARI DI DANNO 27

2.4 – PERICOLOSITA’ SISMICA 31

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1 - PREMESSA

L’emergenza è un fenomeno dannoso (incendio, terremoto, inondazione, esplosione, rilascio di

una sostanza pericolosa, ecc.) che può verificarsi in ogni luogo di lavoro. Questi fenomeni possono

essere:

Prevedibili

quando è possibile prevedere, con un certo anticipo, il loro manifestarsi, sono di origine

meteorologica, climatica o comunque connessi all’ambiente naturale:

- Nevicate e gelate eccezionali;

- Eventi idrogeologi (alluvioni e frane);

- Trombe d’aria;

- Mareggiate e allagamenti del litorale;

- Ondate di calore.

Imprevedibili

quando non è possibile prevedere il loro manifestarsi:

- possono essere causati dall’azione dell’uomo, anche involontaria, che funge da innesco, come nel

caso di incendi, incidenti rilevanti di origine industriale, incidenti nel trasporto di sostanze

pericolose, blackout elettrici, incidenti nucleari, contaminazioni dell’acqua potabile;

- oppure sono eventi naturali, quali i terremoti o le eruzioni vulcaniche, dove però, lo stato attuale

della ricerca non permette l’individuazione di eventi anticipatori.

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Una situazione di emergenza può essere quindi definita come la situazione in cui, per errore

umano, o un guasto ad apparecchiature o impianti, cataclisma naturale o altra circostanza negativa,

vengono a mancare, parzialmente o totalmente, le condizioni normali che consentono la gestione in

sicurezza della struttura ospedaliera. Può essere:

• Estesa quando interessa più punti dei luoghi di lavoro (ovvero si verifica in più locali o in

tutti) e quindi necessita della mobilitazione di gran parte o di tutti i lavoratori;

• Limitata quando interessa un solo punto dei luoghi di lavoro (ovvero si verifica in un solo

locale) e quindi necessita della mobilitazione parziale dei lavoratori, cioè solo quelli presenti

sui luoghi di lavoro e quelli incaricati della gestione delle emergenze.

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Le condizioni di sicurezza consistono nello stato di piena efficienza delle protezioni fisiche,

degli impianti e dei dispositivi, ossia nello svolgimento dell'attività sanitaria governata da personale

preparato ed in grado di gestire le normali attività e le eventuali situazioni di emergenza.

Il piano di emergenza consiste in un insieme di misure tecnico-operative predisposte per

fronteggiare un’emergenza sul luogo di lavoro, con il fine di fornire ai lavoratori istruzioni

comportamentali adeguate a gestire una situazione di pericolo. Esso può essere:

• Esterno (PEE): è il piano di emergenza che deve essere predisposto solo dalle aziende a

rischio di incidente rilevante (raffinerie, deposito di materiali infiammabili, stabilimenti

industriali etc); esso tratta le situazioni di pericolo che possono realizzarsi all’esterno di

questi luoghi di lavoro e che possono dar luogo a gravi sinistri, che potrebbero coinvolgere

vaste aree geografiche e insediamenti abitativi. Tale piano viene gestito da un gruppo di

esperti, coordinati dal Prefetto;

• Interno (PEI): è il piano di emergenza che tratta situazioni di pericolo che possono accadere

all’interno dei luoghi di lavoro di un’azienda e viene redatto dal datore di lavoro

dell’azienda stessa.

Successivamente analizzeremo eventi, quali i terremoti, dissesti idrogeologici ed eruzioni

vulcaniche, definendone l’esposizione a questi rischi dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione

Pascale di Napoli.

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2 - EVENTI NATURALI

2.1 - RISCHIO SISMICO

Un terremoto o sisma, può definirsi come una rapida serie di movimenti della crosta terrestre che,

propagandosi in tutte le direzioni sotto forma di onde, determina improvvise oscillazioni e

vibrazioni del terreno e dei manufatti. Il rischio sismico viene stimato con la relazione:

Rischio sismico = Pericolosità sismica x Vulnerabilità x Esposizione

- il termine pericolosità sismica indica la probabilità che un sisma si verifichi in una data area in un

determinato tempo;

- con vulnerabilità si intende la predisposizione, da parte di persone, cose, o attività a subire danni o

ad essere modificati nella loro efficienza al verificarsi di un terremoto;

- il termine esposizione indica la dislocazione, la consistenza, la quantità ed il valore dei beni delle

attività che possono essere influenzati dall'evento.

La valutazione della pericolosità sismica di un’area si basa sull’esame della frequenza e

dell’intensità dei terremoti avvenuti in passato, nonché sull’esame delle caratteristiche dei suoli e

della loro risposta alle sollecitazioni sismiche.

Il terremoto è un fenomeno non prevedibile e generalmente di breve durata (qualche decina di

secondi), ma che può avere effetti devastanti. L'impossibilità di prevedere i terremoti determina,

ancor più che per gli altri rischi, la necessità di un'accurata ed estesa opera di monitoraggio e

prevenzione. Le scosse sismiche, che accompagnano un terremoto, giungono per lo più inattese e

non è noto alcun sistema di previsione di questo evento, non è pertanto possibile prendere

precauzioni preliminari ma bisogna cercare di fronteggiare l’emergenza, non appena si verifica.

Gli eventi sismici non possono essere evitati, pertanto, per mitigare o ridurre i danni alla

popolazione ed agli insediamenti abitativi e produttivi, è necessario agire preventivamente con una

pianificazione urbanistica e territoriale attenta al problema: una efficace prevenzione in materia di

terremoto, infatti, dipende soprattutto dalla corretta applicazione delle leggi che regolano l’edilizia

pubblica e privata e della normativa tecnica antisismica. Al verificarsi di un sisma, in base al

sistema di competenze previsto dalla legge 225/92, gli Enti coinvolti per fronteggiare tale tipo di

rischio sono il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile, la Regione, la Provincia, la Prefettura, i

Comuni e tutte le strutture operative nazionali.

Il territorio italiano si estende su più placche tettoniche, il cui movimento reciproco genera

periodicamente dei terremoti. Per tale motivo l’Italia è ad alto rischio sismico. La zona ad elevata

sismicità più vicina al territorio napoletano è l’Appennino Campano: le aree del Matese, del Sannio

e dell’Irpinia in particolare, sono quelle a più elevato rischio sismico. Tuttavia, sebbene Napoli non

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ricada tra le zone maggiormente esposte, il patrimonio edilizio, soprattutto nel Centro Storico, risale

ad epoche antiche, quando ancora non si conoscevano le tecniche di costruzione antisismica, ed è

per questo particolarmente vulnerabile.

Come riportato nella pagina seguente, secondo la Classificazione sismica del territorio nazionale

(ordinanza PCM n. 3274/2003), la zona del Comune di Napoli (aggiornamento 2012) è da

inquadrare nella zona sismica 2 ( zona in cui possono verificarsi terremoti abbastanza forti).

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Classificazione sismica del territorio nazionale (ordinanza PCM n. 3274/2003)

Per ridurre gli effetti del terremoto, l’azione dello Stato si è concentrata sulla classificazione del

territorio, in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato, e sull’applicazione di speciali

norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche. La legislazione antisismica italiana,

allineata alle più moderne normative a livello internazionale prescrive norme tecniche in base alle

quali un edificio debba sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e senza crollare i

terremoti più forti, salvaguardando prima di tutto le vite umane.

Sino al 2003 il territorio nazionale era classificato in tre categorie sismiche a diversa severità.

I Decreti Ministeriali emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1981 ed il 1984 avevano

classificato complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, che corrispondono al

45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione.

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Nel 2003 sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati

sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia

sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo

(generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo.

A tal fine è stata pubblicata l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20

marzo 2003, sulla Gazzetta Ufficiale n. 105 dell’8 maggio 2003. Il provvedimento detta i principi

generali sulla base dei quali le Regioni, a cui lo Stato ha delegato l’adozione della classificazione

sismica del territorio (Decreto Legislativo n. 112 del 1998 e Decreto del Presidente della

Repubblica n. 380 del 2001 - "Testo Unico delle Norme per l’Edilizia”), hanno compilato l’elenco

dei comuni con la relativa attribuzione ad una delle quattro zone, a pericolosità decrescente, nelle

quali è stato riclassificato il territorio nazionale.

Zona 1 - E’ la zona più pericolosa. Possono verificarsi fortissimi terremoti

Zona 2 - In questa zona possono verificarsi forti terremoti

Zona 3 - In questa zona possono verificarsi forti terremoti ma rari

Zona 4 - E’ la zona meno pericolosa. I terremoti sono rari

Di fatto, sparisce il territorio “non classificato”, che diviene zona 4, nel quale è facoltà delle

Regioni prescrivere l’obbligo della progettazione antisismica. A ciascuna zona, inoltre, viene

attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di

accelerazione massima su roccia (zona 1=0.35 g, zona 2=0.25 g. zona 3=0.15 g, zona 4=0.05 g).

L'attuazione dell'ordinanza n.3274 del 2003 ha permesso di ridurre notevolmente la distanza fra la

conoscenza scientifica consolidata e la sua traduzione in strumenti normativi e ha portato a

progettare e realizzare costruzioni nuove, più sicure ed aperte all’uso di tecnologie innovative.

Nel rispetto degli indirizzi e criteri stabiliti a livello nazionale, alcune Regioni hanno classificato il

territorio nelle quattro zone proposte, altre Regioni hanno classificato diversamente il proprio

territorio, ad esempio adottando solo tre zone (zona 1, 2 e 3) e introducendo, in alcuni casi, delle

sottozone per meglio adattare le norme alle caratteristiche di sismicità. Qualunque sia stata la scelta

regionale, a ciascuna zona o sottozone è attribuito un valore di pericolosità di base, espressa in

termini di accelerazione massima su suolo rigido (ag). Tale valore di pericolosità di base non ha

però influenza sulla progettazione. Le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto

Ministeriale del 14 gennaio 2008), infatti, hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica

aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e quindi territorio comunale – precedentemente veniva

fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico da utilizzare per il

calcolo delle azioni sismiche.

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Mappa Classificazione Sismica 2012 Italia - Protezione Civile

Mappa Classificazione Sismica 2012 Campania - Protezione Civile

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Dal 1 luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per

ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla

base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera.

Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, su una

maglia quadrata di 5 km di lato, indipendentemente dai confini amministrativi comunali.

La classificazione sismica rimane utile solo per la gestione della pianificazione e per il controllo del

territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio civile, ecc.).

INT Fondazione Pascale di Napoli - Google Maps

Analisi Vulnerabilità Sismica Edilus Ms

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2.2 - RISCHIO IDROGEOLOGICO

Il termine dissesto idrogeologico definisce i fenomeni causati dalle acque, siano esse superficiali (in

forma liquida o solida) o sotterranee. Le manifestazioni più tipiche di fenomeni idrogeologici sono

costituite dalle frane e dalle alluvioni, seguite dalle erosioni costiere, dalle subsidenze (ovvero da

lenti abbassamenti del suolo o rapidi sprofondamenti) e valanghe. Anche la siccità, che può

determinare un’emergenza idrica sul territorio, rientra nella categoria dei dissesti idrogeologici.

Frane ed alluvioni possono dipendere da fattori naturali, connessi principalmente alla

conformazione geologica e geomorfologica del territorio. Il dissesto idrogeologico può tuttavia

risultare fortemente condizionato dall’azione dell’uomo e dalle continue modifiche del territorio che

contribuiscono ad incrementare la possibilità di accadimento dei fenomeni: il disboscamento,

l’abusivismo edilizio, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, l’estrazione di

materiali dalle cave, di fluidi (acqua e gas) dal sottosuolo, la mancata manutenzione dei costoni, dei

versanti e dei corsi d’acqua, possono infatti aggravare l’instabilità e la fragilità del territorio.

Il concetto di rischio idrogeologico esprime il numero atteso di perdite di vite umane, di feriti, di

danni a proprietà, di distruzione di attività economiche o di risorse naturali, dovuti ad un particolare

evento dannoso. Il rischio, in cioè, è il prodotto della probabilità di accadimento di un evento per le

dimensioni del danno atteso.

In termini analitici, il rischio idrogeologico è espresso dalla formula:

Rischio = Pericolosità x Vulnerabilità x Esposizione

La pericolosità è la probabilità che si verifichi un evento franoso o un dissesto idraulico entro un

certo intervallo di tempo in una determinata area esposta (che prende il nome di area suscettibile o

sensibile). La pericolosità è dunque funzione della frequenza dell’evento.

La vulnerabilità invece esprime il grado di perdita di un dato elemento (popolazione umana, edifici,

servizi, infrastrutture, etc.) o di una serie di elementi risultante dal verificarsi di un fenomeno di una

data intensità, espressa in una scala da zero (nessun danno) a uno (distruzione totale).

L’esposizione, è il valore (che può essere espresso in termini monetari o di numero o quantità di

unità esposte) della popolazione, delle proprietà e delle attività economiche, inclusi i servizi

pubblici, a rischio in una data area soggetta ad evento calamitoso.

Il prodotto della vulnerabilità per il valore esposto indica quindi le conseguenze derivanti all’uomo,

in termini sia di perdite di vite umane, che di danni materiali agli edifici, alle infrastrutture ed al

sistema produttivo.

La valutazione del rischio comporta non poche difficoltà per la complessità e l’articolazione delle

azioni da intraprendere ai fini di una adeguata quantificazione dei fattori che lo definiscono.

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Il rischio idrogeologico, infatti, è talvolta prevedibile, poiché deriva da possibili effetti di eventi

meteorici rilevanti, dalla dinamica dei corsi d’acqua, dall’instabilità dei versanti o dagli effetti

indotti da eventi vulcanici o sismici. In certi casi (come per le alluvioni) è possibile quindi stimare,

con una approssimazione accettabile, la probabilità di accadimento di un determinato evento in un

determinato intervallo. In altri casi, come per alcuni tipi di frane, tale stima è di gran lunga più

difficile. Spesso, inoltre, il rischio aumenta non a causa di un reale incremento del numero e

dell’intensità degli eventi calamitosi, ma per una crescita sensibile del valore esposto (presenza di

beni e persone) in aree vulnerabili.

E’ da evidenziare che il territorio della Campania è particolarmente suscettibile al dissesto

idrogeologico ed in particolare per le diverse tipologie di frana, per la presenza di cavità sotterranee,

per fenomeni alluvionali, per le intense erosioni dei versanti e delle aree costiere.

Le principali problematiche per la mitigazione o l’eliminazione dei fattori di rischio connessi al

territorio napoletano riguardano gli interventi da realizzare alla rete fognaria e drenante, alle cavità

sotterranee, alle opere di sostegno, ai costoni tufacei ed ai pendii in terreni sciolti.

In base al sistema di competenze previste dalla legge 225/92, gli Enti coinvolti per fronteggiare tale

tipo di rischio sono il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile, la Regione, le Autorità di

Bacino, il Commissariato Sottosuolo, il Comune.

Il D.L. 11 giugno 1998, n. 180, convertito il legge con modificazioni dalla Legge 3 agosto 1998, n.

267 recante "Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone

colpite da disastri franosi nella regione Campania", è stata introdotta l’obbligatorietà dello

strumento di pianificazione comunale almeno per i comuni interessati dalla perimetrazione di aree

ad elevato rischio idrogeologico.

2.2.1 - ANALISI RISCHIO IDROGEOLOGICO ZONA OSPEDALIERA

L’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale di Napoli, come sarà meglio evidenziato nelle

successive tavole grafiche del Piano Generale di Emergenza di Protezione Civile del Comune di

Napoli, adottato con delibera di Giunta Comunale n. 566 del 13/07/2012, risulta essere ubicato in

una zona con basso rischio idrogeologico. Fenomeni più rilevanti potrebbero eventualmente

coinvolgere l’area della Collina di Capodimonte a partire dalla collina dell’Ospedale Cardarelli

verso la zona di Materdei.

Lo scenario di riferimento riguarda in particolare:

1. dissesti associati a fenomeni di trasporto idraulico superficiale, a scala temporale ristretta (eventi

di classe I) con flussi detritici e allagamenti localizzati per insufficienze della rete di drenaggio

artificiale o naturale secondaria.

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Lo scenario di rischio ipotizza il dilavamento di acqua mista a fanghi a valle della Collina di

Capodimonte lungo i declivi e nei canali rappresentati dallo Scudillo, Via San Gennaro dei Poveri,

Corso Amedeo di Savoia, Via Irolli, Via Arena alla Sanità, Via Cristallini, Salita Miradois, Via

Piazzi e sul versante più a Est, Via Ponti Rossi e Via Carlo de Marco fino a Calata Capodichino.

Fenomeni analoghi possono interessare le aree collinari del promontorio dell’Ospedale Cardarelli,

da cui si dipartono il Vallone Gerolomini, la Via del Serbatorio e il Vico due Porte all’Arenella, e

quelle delimitanti Calata Capodichino (Via Feo, Via Marigliano).

Lo scenario di rischio ipotizza il verificarsi di frane che a partire dalla sommità, ove è ubicato il

Parco di Capodimonte, verso il piede della collina, attraverso le aree dell’Osservatorio Astronomico

e lungo quelle sottostanti segnate, tra gli altri, dai canali corrispondenti alla Salita Capodimonte, del

Moiariello e di Via Miradois, possono raggiungere la zona di Sant’Eframo e le aree al piede dei

Ponti Rossi a Est, quella della Sanità e dei Miracoli a Ovest. Ancora, sono possibili frane innescate

a partire dalla collina dell’Ospedale Cardarelli verso la zona di Materdei, dal declivio di

Capodichino verso Calata Ottocalli, ovvero dissesti ai muri di sostegno e fenomeni di instabilità dei

costoni tufacei sul fronte dello Scudillo e di San Gennaro dei Poveri verso la zona pedemontana

delle Fontanelle, in tutte le aree della Sanità e nelle zone di Sant’Eframo e della Veterinaria.

Nelle figure successive: Via Camaldolilli, rottura condotte idriche per frane e smottamenti del

versante da Via Sant’Ignazio di Loyola. Sono visibili alcuni scarichi abusivi di liquami innestati

direttamente nel vallone. L’evento (febbraio 2004) ha determinato l’interruzione della fornitura

idrica della Zona Ospedaliera e l’invasione della sede stradale della sottostante carreggiata della

Tangenziale.

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Tav 1 Inquadramento Piano Generale di Emergenza di Protezione Civile del Comune di Napoli

Tav 2 Piano Generale di Emergenza di Protezione Civile del Comune di Napoli

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Tav 3 Edifici strategici Piano Generale di Emergenza di Protezione Civile del Comune di Napoli

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Tav 4 Pericolosità idraulica Piano Generale di Emergenza di Protezione Civile del Comune di Napoli

Tav 6 Carta del Rischio Piano Generale di Emergenza di Protezione Civile del Comune di Napoli

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Tav 7 Individuazione esposti Piano Generale di Emergenza di Protezione Civile del Comune di Napoli

Tav 8 Quadro sinottico Piano Generale di Emergenza di Protezione Civile del Comune di Napoli

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2.3 - RISCHIO VULCANICO

I vulcani sono apparati naturali attraverso i quali le materie fuse (materiale solido, liquido e gassoso

ad alta temperatura) provenienti dall'interno della Terra (magma), raggiungono la superficie.

Le eruzioni vulcaniche possono avvenire da un unico camino (es. Vesuvio) o da più condotti che si

aprono in punti diversi (es. Campi Flegrei) e possono emettere volumi di magma molto variabili. In

base alla loro violenza, le eruzioni vulcaniche possono essere suddivise in: effusive, caratterizzate

da una bassa esplosività e dall'emissione di colate di lava che scorrono lungo i fianchi del vulcano

ed esplosive, caratterizzate da estrema esplosività e da un'alta colonna eruttiva che si espande verso

l'alto formando una nube di cenere. Le eruzioni esplosive più violente possono mutare

completamente la morfologia di un luogo: se da un lato accumulano grosse quantità di materiale,

dall'altro esse demoliscono l'apparato vulcanico preesistente. In alcuni casi, la rapida emissione di

magma e il vuoto che viene a crearsi in profondità possono provocare lo sprofondamento di vaste

aree che prendono il nome di caldere.

Il Rischio vulcanico è definito come il prodotto:

Pericolosità vulcanica x Vulnerabilità x Esposizione

dove la pericolosità è la probabilità che una data area sia soggetta ad un determinato evento

vulcanico distruttivo; la vulnerabilità è il valore percentuale delle vite umane (o beni) a rischio in

conseguenza di un dato evento e l’esposizione è data dal numero di vite umane, oppure dal valore in

beni immobili, a rischio in un'area vulcanica.

Con questa definizione di rischio si cerca di tener conto del fenomeno naturale e della probabilità

con cui si ripete nonché degli effetti che esso può determinare sull'ambiente umano.

Gli effetti disastrosi di un'eruzione sono tanto maggiori quanto maggiore è l'urbanizzazione dell'area

circostante al vulcano e quanto maggiore è la probabilità di avere fenomeni di tipo esplosivo.

Nelle valutazioni della pericolosità, l'elemento di maggiore difficoltà nella stima del rischio, è

proprio la valutazione della probabilità di eruzione del vulcano, dal momento che la vita di un

vulcano abbraccia periodi di tempo dell'ordine delle decine o centinaia di migliaia di anni e per

ricostruire la sua storia eruttiva bisogna ricorrere a metodologie in grado di coprire spazi temporali

così vasti rispetto alla durata della vita umana.

La vulnerabilità è stimata invece sulla base della relativa pericolosità dei differenti eventi vulcanici.

Diversi sono infatti i fenomeni pericolosi connessi all'attività vulcanica: colate di lava, caduta di

materiali grossolani (bombe e blocchi), caduta e accumulo di materiali fini (ceneri e lapilli), colate

piroclastiche, emissioni di gas, colate di fango, frane, maremoti (tsunami), terremoti, incendi.

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Nell'Italia meridionale si trovano concentrati numerosi vulcani attivi ed i loro effetti sull'ambiente

sono stati particolarmente rilevanti nel passato. Il territorio napoletano è interessato dalla presenza

di due tipi diversi di vulcano: il Vesuvio, ad apparato centrale, ed i Campi Flegrei, a campo

vulcanico con diversi centri di emissione.

A causa dell'elevata urbanizzazione sviluppatasi alle sue falde, il Vesuvio è oggi uno dei vulcani a

rischio più elevato al mondo. La sua ultima eruzione iniziò nel pomeriggio del 18 marzo 1944

Eruzione del 1944 ripresa dagli aerei

anche questa volta con forti colate laviche che giunsero fino a Cercola, dopo aver invaso e

parzialmente distrutto gli abitati di Massa di Somma e di San Sebastiano, uno dei paesi più colpiti

dall'evento.

Il 22 marzo mutò lo stile eruttivo del Vesuvio. Raggiunta la nube eruttiva un'altezza di 5km, ai lati

del cono si verificarono valanghe di detriti caldi e piccoli flussi piroclastici. L'intera giornata fu

accompagnata inoltre da un'intensa attività sismica fino al mattino del 23 marzo, giorno in cui

l'attività eruttiva si ridusse alla sola emissione di cenere.

Il 24 marzo andò scemando l'attività eruttiva con le esplosioni che gradualmente si ridussero fino a

scomparire il giorno 29, e con la persistenza delle soli nubi di polvere che fuoriuscivano dal cratere,

che nel pomeriggio sparirono del tutto.

I paesi più danneggiati dai depositi piroclastici da caduta furono Terzigno, Pompei, Scafati, Angri,

Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Pagani, Poggiomarino e Cava; mentre gli abitanti di San

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Sebastiano al Vesuvio, Massa di Somma e Cercola, furono costretti all'evacuazione. La città di

Napoli, invece, fu favorita dalla direzione dei venti che allontanarono dalla città la nuvola di cenere

e lapilli

L’eruzione del Vesuvio non sarà tuttavia improvvisa, ma sarà preceduta da una serie di fenomeni

precursori identificabili già diverso tempo prima, attraverso la rete di monitoraggio

dell'Osservatorio Vesuviano, che controlla lo stato del vulcano 24 ore al giorno.

Per fronteggiare l’evento, è stato redatto un piano nazionale d'emergenza (attualmente in fase di

revisione) sulla base dei fenomeni precursori attesi, che, oltre a suddividere l’area vesuviana in tre

differenti zone (rossa, gialla e blu) sulla base del rischio calcolato, individua tre livelli di allerta

successivi: attenzione, preallarme, allarme, ai quali corrispondono fasi operative successive.

I Campi Flegrei sono una caldera vulcanica attualmente in fase di riposo e, come il Vesuvio,

presentano un rischio molto elevato per la presenza di numerosi centri abitati nell’area e per la loro

immediata vicinanza alla città di Napoli.

Come per il Vesuvio, il Piano Nazionale d'Emergenza dei Campi Flegrei, redatto nel 1995 e

aggiornato in alcune parti nel 2001, identifica un’area rossa, potenzialmente soggetta allo

scorrimento dei flussi piroclastici, e un’area gialla, potenzialmente interessata dalla ricaduta di

ceneri e lapilli.

L’area dei Campi Flegrei è caratterizzata inoltre dal fenomeno del bradisismo, che consiste in un

lento movimento di sollevamento e abbassamento del suolo probabilmente dipendente da variazioni

del sistema vulcanico, che producono un aumento di temperatura e di pressione nelle rocce del

sottosuolo. Una crisi bradisismica tuttavia, non è necessariamente il primo segnale di un’eruzione,

sebbene gli sciami sismici che ne conseguono possono causare danni agli edifici e disagi alla

popolazione.

Le principali difese dall’attività vulcanica consistono nelle attività di monitoraggio e prevenzione.

Le attività di monitoraggio sono affidate all’Osservatorio vesuviano che dispone di una rete di

stazioni sismiche progettata per monitorare continuamente le aree vulcaniche attive della Campania

(Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia) e fornire informazioni relative alla loro sismicità.

Il 14 febbraio 2014 è stata firmata la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri che

stabilisce definitivamente la nuova zona rossa per l’area vesuviana, cioè l’area da evacuare in via

cautelativa in caso di ripresa dell’attività eruttiva, e individua i gemellaggi tra i Comuni della zona

rossa e le Regioni e le Province Autonome che accoglieranno la popolazione evacuata.

A differenza di quella individuata nel Piano del 2001, la nuova zona rossa comprende oltre a

un’area esposta all’invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) anche un’area soggetta ad elevato

rischio di crollo delle coperture degli edifici per l’accumulo di depositi piroclastici (zona rossa 2).

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L’area da evacuare preventivamente è stata individuata sulla base del documento elaborato dal

gruppo di lavoro “Scenari e livelli d’allerta” della Commissione Nazionale, istituita nel 2003 per

provvedere all’aggiornamento dei piani di emergenza per l’area vesuviana e flegrea. Questo studio

ha rappresentato il punto di partenza per una revisione completa del Piano di emergenza per il

Vesuvio. Sulla base delle indicazioni della Comunità scientifica, il Dipartimento e la Regione

Campania, hanno dunque avviato la revisione del Piano di emergenza, ridisegnando i confini della

zona rossa con il coinvolgimento dei comuni. L’area comprende i territori di 25 comuni della

provincia di Napoli e di Salerno, ovvero 7 comuni in più rispetto ai 18 previsti dal Piano di

emergenza del 2001. Alcuni comuni della nuova zona rossa sono stati considerati interamente, sulla

base dei loro limiti amministrativi; per altri, i Comuni stessi, d’intesa con la Regione, hanno

individuato solo una parte di territorio. La direttiva del 14 febbraio 2014 prevede anche che, entro

45 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il Dipartimento, d’intesa con la Regione

Campania e sentita la Conferenza Unificata, dia indicazioni alle componenti e strutture operative

per aggiornare le pianificazioni di emergenza in caso di evacuazione della zona rossa. Per farlo,

queste avranno quattro mesi di tempo. Questo dossier è dedicato all’aggiornamento del Piano

nazionale di emergenza per il Vesuvio e sarà costantemente modificato per raccontare tutte le fasi

che porteranno alla sua ridefinizione. La prima pagina ripercorre il percorso di lavoro della

Commissione Nazionale dal 2003 ad oggi; la seconda spiega in sintesi il contenuto del nuovo

documento sugli scenari e livelli di allerta; la terza dettaglia la ridefinizione della zona rossa e dei

gemellaggi.

Zona esposta a flussi piroclastici (zona rossa)

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2.3.1 - ZONA ESPOSTA A RICADUTA DI LAPILLI E CENERE (ZONA GIALLA)

La ricaduta sottovento di lapilli e ceneri da una colonna sub-Pliniana causa disagi di varia natura e

comprende la possibilità di accumulo del materiale disperso dal vento fino al possibile collasso

delle coperture degli edifici. Spessori di deposito maggiori di 10 cm possono coprire aree di 300-

1000 Km2 a distanze di 20-50 Km dal vulcano. Fino a distanze di alcuni chilometri la ricaduta di

frammenti pesanti rappresenta un pericolo concreto per le persone che si trovano all’aperto, nonché

per le coperture che possono essere seriamente danneggiate dalla caduta ad alta velocità di blocchi

rocciosi. È opportuno ricordare che, oltre al problema del collasso dei tetti, le condizioni in queste

zone, pur non immediatamente pericolose per la vita umana, saranno molto pesanti (oscurità,

atmosfera irrespirabile, intasamento delle fognature, inquinamento delle acque, avvelenamento dei

pascoli, difficoltà di circolazione, interruzione di linee elettriche e di comunicazione, possibilità di

arresto di motori, ecc.) per cui potrà essere necessario provvedere all’allontanamento delle 16

persone almeno dalle zone più pesantemente colpite. Nella Tabella 4.1 sono indicati i problemi

principali che possono essere causati da depositi di cenere vulcanica di diverso spessore.

Nel precedente Piano di emergenza il limite della zona gialla era stato fissato ad un carico del

materiale piroclastico di ricaduta di 300 Kg/m2 e la forma della zona era stata rappresentata in

modo da tener conto della direzione prevalente del vento ad alta quota. Tale rappresentazione si

prestava a equivoci, pur essendo chiaramente detto nel Piano che solo una parte della zona stimata,

attorno al 10%-15% del totale, sarebbe stata effettivamente colpita in caso di eruzione.

I nuovi risultati riguardano i seguenti temi:

• Vulnerabilità delle coperture

• Simulazioni dei depositi di ricaduta di cenere da eruzione sub-Pliniana, per diverse direzioni del

vento

• Stima dei probabili collassi delle coperture

• Elaborazione di una mappa di rischio.

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2.3.2 - VULNERABILITÀ DELLE COPERTURE AL CARICO DI MATERIALE

PIROCLASTICO

Rispetto alle valutazioni di vulnerabilità contenute nel precedente Piano, grazie a studi recenti si

sono meglio definite le tipologie strutturali più diffuse delle coperture presenti nell’area esposta al

pericolo di ricaduta di materiale piroclastico. Il territorio è stato discretizzato mediante una griglia

radiale con centro nel cratere; ciascuna cella ha superficie costante pari a 50.000 m2 sino ad una

distanza di circa 12 Km dal cratere (corrispondente approssimativamente alla zona rossa) per poi

assumere la dimensione di 200.000 m2 per la zona più esterna (Figura 4.2). Alla cella vengono

associati i dati relativi agli elementi a rischio che ricadono in quell’area (cioè caratteristiche

tipologico-strutturali, popolazione etc.); ciò consente di eseguire analisi di impatto mediando i

risultati sull’insieme degli elementi a rischio della cella.

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2.3.3 - SIMULAZIONE DEI DEPOSITI DI RICADUTA E STIMA DEI COLLASSI DELLE

COPERTURE

L’Osservatorio Vesuviano ha fornito 16 simulazioni della distribuzione a terra del materiale

piroclastico prodotto da un’eruzione sub-Pliniana, assunta come evento di riferimento, avente le

stesse caratteristiche (altezza della colonna = 18 Km, massa totale eruttata = 5 x 1011 Kg) ma con

direzione variabile del vento. Per ognuno dei 16 settori considerati è indicata la probabilità (desunta

dai dati NOAA per il decennio 1991-2000), che la direzione del vento porti il centro di massa del

deposito di ricaduta all’interno del settore. I dati confermano che le probabilità più alte si hanno per

i settori ad Est del vulcano, in accordo con la direzione di dispersione dei depositi di ricaduta delle

eruzioni storiche del Vesuvio. La probabilità che il vento soffi verso Ovest, portando le ceneri di

ricaduta ad investire la città di Napoli, è molto bassa, risultando sempre inferiore all’1%. Per

ciascuna simulazione è stato adottato il profilo reale di velocità del vento più vicino alla media del

settore. Rispetto alla rappresentazione della zona gialla contenuta nel precedente Piano, l’attuale è

preferibile perché consente di valutare gli effetti per uno specifico scenario eruttivo, per il quale

viene anche fornita la probabilità di accadimento. Vi sono alcune discrepanze rispetto alle curve di

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carico utilizzate per il Piano precedente. Queste discrepanze dipendono dal fatto che le simulazioni

attuali sono basate su una nuova e più attendibile legge di caduta delle particelle, che utilizza anche

una migliore stima della loro distribuzione granulometrica.

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Per ogni settore viene mostrata una prima mappa che descrive le linee di eguale spessore (isopache)

del deposito di ricaduta fino a 1 mm. Queste mappe individuano le zone esterne, a distanza anche di

molte decine o centinaia di chilometri dal vulcano, che possono essere interessate (con diversa

probabilità) da caduta di cenere i cui spessori, se sono troppo ridotti per causare crolli delle

coperture, possono comunque creare seri problemi ai pascoli, agli animali, alle vie di

comunicazione, ai motori, alle linee elettriche e telefoniche, agli acquedotti e alle fogne. Le persone

residenti in quelle zone (anche in quelle più esterne) dovranno essere educate a proteggere le vie

respiratorie e gli occhi. E’ possibile, comunque, che le condizioni di vita anche all’interno di questa

fascia esterna, almeno di quella più vicina alla zona rossa, divengano impossibili e che sia

necessario allontanarvi almeno le persone più esposte al pericolo (anziani e bambini). La seconda

mappa riportata per ogni settore indica i collassi attesi delle coperture degli edifici in ciascuna delle

celle di discretizzazione del territorio prima descritte. Queste mappe sono state ottenute

sovrapponendo le curve di carico del deposito di ricaduta (pure indicate nelle mappe) fornite dalle

simulazioni, con i dati di vulnerabilità delle coperture. In ciascuna Tavola è riportata anche una

Tabella che riepiloga i danni attesi, in termini di numero di collassi e di senzatetto, per ogni

Comune del Settore interessato dalla ricaduta di cenere. Viene anche indicato se il Comune è

compreso nella zona rossa o è esterno ad essa (zona gialla).

Per facilitarne l’identificazione sulle mappe ad ogni Comune è stato assegnato un numero.

Ovviamente ogni Comune può essere investito da ricaduta di cenere per venti che la disperdono in

settori vicini. A tale scopo in allegato è riportata la Tabella A che elenca in ordine alfabetico tutti i

Comuni dove potrebbe aversi almeno un collasso delle coperture da carico di cenere. Per ogni

Comune sono indicati i settori che potrebbero interessarlo, la probabilità di accadimento e il numero

dei collassi che potrebbero prodursi per ricaduta piroclastica in quel settore. Sono questi i dati che

ogni Comune deve considerare per valutare gli effetti più pericolosi (collassi delle coperture), che

un’eruzione sub-Pliniana del Vesuvio può produrre sul proprio territorio.

Mappa di rischio

L’indice relativo di rischio per collasso delle coperture, nelle celle al di fuori della zona rossa, è

riportato nella successiva Figura, rapportato al valore 1 assunto per la cella con il maggiore numero

di collassi. Questa mappa tiene ovviamente conto sia della probabilità che il vento provochi la

ricaduta di cenere in un determinato settore, sia del numero degli edifici vulnerabili presenti in ogni

cella di quel settore. Questo spiega perché nella zona di Napoli, pur con probabilità di accadimento

inferiore all’1%, il numero elevato di edifici con coperture ad alta vulnerabilità determini valori di

rischio non trascurabili. A scanso di equivoci, si precisa che in caso di eruzione solo una piccola

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parte dell’area intorno al vulcano, corrispondente ad un settore analogo a quelli indicati nelle

Tavole allegate, verrà investita dalla ricaduta di cenere.

Scenari di danno

Le mappe delle Tavole allegate e le Tabelle riassuntive sui collassi delle coperture, indicano che

nelle zone esterne, ma vicine al limite della zona rossa, si può avere un numero elevato di crolli

delle coperture. Per questi motivi si è presa in considerazione la possibilità di disporre anche per

queste zone, come per la zona rossa, un’evacuazione almeno degli edifici più vulnerabili al

momento della dichiarazione dello stato di allarme per eruzione imminente. Un’analisi fornita

dall’Osservatorio Vesuviano indica tuttavia che la probabilità che il vento mantenga la stessa

direzione, diminuisce rapidamente con il passare del tempo e al terzo giorno è già solo di circa il

10%. Si conferma pertanto che misure di prevenzione per queste zone sono possibili solo ad

eruzione iniziata, quando si conoscerà l’effettiva direzione del vento e quindi il settore interessato.

Come si evince dalle mappe allegate, non solo tutto il territorio della Regione Campania è

interessato, pur con diverse probabilità di accadimento, ma anche le Regioni vicine (Abruzzo,

Basilicata, Calabria, Lazio, Molise, Puglia) possono essere investite da ricaduta di cenere emessa

dal Vesuvio, anch’esse con diversa probabilità di accadimento, indicata nel settore che le riguarda.

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2.4 - PERICOLOSITÀ SISMICA

L’area vesuviana è classificata in seconda categoria nella nuova zonazione sismica del territorio

nazionale ciò comporta una PGA di riferimento di 0.15-0.25 g con probabilità del 10% di essere

superata in 50 anni. Nel considerare però l’attività sismica del Vesuvio, bisogna tener conto che

nelle strutture vulcaniche la distribuzione temporale e spaziale del rilascio di energia sismica è

fortemente condizionato dalle alte temperature crostali, dalla bassa rigidità delle rocce legata alla

elevata fratturazione del mezzo e dalla dinamica intracrostale del magma. Pertanto i terremoti

vulcanici si generano in volumi contenuti, superficiali e sono associati a faglie di piccole

dimensioni; la distribuzione caratteristica degli eventi è a sciami costituiti da moltissimi eventi di

magnitudo moderata. In particolare l’attività sismica recente del Vesuvio (post 1972) è limitata ad

una profondità non superiore a 5-6 Km con una concentrazione tra 2 e 3 Km. Il limite è legato alla

presenza di temperature elevate che rendono il mezzo a comportamento duttile. La massima

magnitudo registrata nell’attuale periodo di riposo del Vesuvio è stata di 3.6. Per quanto riguarda

l’attività sismica che ha accompagnato le grosse eruzioni del passato si hanno solamente scarse

informazioni storiche. L’evento storico di maggiore energia è avvenuto nel 62 d.C. (17 anni prima

dell’eruzione del 79) con intensità massima dell’VIII-IX grado MCS, magnitudo di 5.0 ±0.5,

profondità di circa 3-4 Km e ubicazione epicentrale non ben definita. Le notizie storiche indicano

che l’eruzione del 79 e quella del 1631 sono state precedute e accompagnate da un’attività sismica

frequente e di moderata intensità. Sulla base di quanto esposto, considerazioni ragionevoli portano

a ritenere che il volume ipocentrale responsabile dell’attività sismica che accompagnerà una futura

eruzione, sarà centrato al di sotto dell’area sommitale contenente il cratere del Vesuvio. Basandosi

sulla distribuzione attuale della sismicità strumentale si può pensare ad un’area

approssimativamente circolare avente un diametro di circa 5 Km e centrata sul cratere.

Considerando inoltre che per stress-drop dell’ordine di 50 bar il diametro di frattura di un terremoto

di M=5.5 varia tra 6.5–8.0 Km, si conferma l’ipotesi di localizzazione ipocentrale ad una profondità

di 3–4 Km, in quanto profondità inferiori produrrebbero fratture che dislocherebbero in modo

irrealistico la superficie terrestre. Una quantificazione accettabile dei suddetti ragionamenti, porta a

considerare due scenari possibili per il massimo terremoto atteso al Vesuvio. Il primo si basa

sull’ipotesi “plausibile” che la magnitudo del massimo terremoto atteso sia data da una stima

“conservativa” della massima magnitudo dedotta dalle Intensità riportate dalle cronache storiche,

maggiorata dell’incertezza associabile. In questa ipotesi si ottiene un valore di Mmax=5.5. Il

secondo scenario si basa sull’ipotesi che la massima magnitudo attesa si derivi dalle statistiche su

scala mondiale riferite ad eventi sismici pre-eruttivi verificatisi in aree vulcaniche confrontabili con

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l’area Vesuviana per caratteristiche eruttive. Si precisa tuttavia che tale ipotesi, che prevede una

Mmax = 7.0, risulta sovrastimata in considerazione delle dimensioni fisiche del vulcano.

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Mappa n. 1 – Rappresentazione grafica dell’area esposta al rischio di invasione da flussi

piroclastici (linea nera), dell’indice di rischio relativo al crollo delle coperture degli edifici per

carico di depositi piroclastici - ceneri e lapilli (celle colorate), dei limiti della zona rossa del

precedente piano e dei limiti amministrativi dei Comuni e delle Municipalità del Comune di Napoli

ricompresi nella nuova zona rossa.

Mappa n. 2 – Rappresentazione grafica sintetica dei 24 Comuni e delle 3 Municipalità del Comune

di Napoli che presentano porzioni di territorio in zona rossa, ossia che sono esposti al pericolo di

invasione da flussi piroclastici e/o ad elevato rischio collassi coperture, e che pertanto vanno

evacuati preventivamente. I singoli Comuni, d’intesa con la Regione Campania, potranno proporre

per i propri territori confini della nuova “zona rossa” diversi dai limiti amministrativi – mai, però,

inferiori rispetto alla delimitazione prevista per la zona esposta all’invasione di flussi piroclastici.

Per fare questo dovranno dimostrare di essere in grado di gestire evacuazioni parziali delle proprie

comunità e, nelle aree a rischio crolli, di aver rafforzato le coperture degli edifici vulnerabili esposti

alla ricaduta di ceneri e lapilli.

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Dall’analisi dei diversi scenari e dei potenziali rischi analizzati in precedenza si può ritenere che:

1 - L’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale, ubicato in una zona classificata

2 – Alto rischio sismico, risulta essere un sito fortemente esposto sia per la forte presenza

di persone che per le tecnologie ed attrezzature installate.

E’ importante comunque rilevare che i terremoti verificatisi in questa zona nell’ultimo

trentennio, che hanno coinvolto gli edifici dell’Istituto, non hanno, per fortuna, determinato

più gravi conseguenze di quelle ipotizzate nello scenario seguente e sulla base del quale è

stata tarata la procedura che verrà successivamente esposta:

• lesione agli edifici senza crolli strutturali (se non di calcinacci o cornicioni);

• lievi danni agli impianti (parziale interruzione di erogazione elettrica, guasti alle linee

telefoniche o alla rete idrica , ecc.);

• danneggiamenti a strutture interne (blocco di porte o serramenti, danneggiamenti e

distacchi di parte dei controsoffitti, ecc.);

• panico, anche elevato, ma senza degenerazioni all’atto della verifica concreta del fatto

che le strutture portanti dell’edificio reggano l’urto sismico.

2 - L’Istituto risulta essere ubicato in una zona a basso rischio idrogeologico, che per quanto

possa far escludere eventi franosi ed alluvionali direttamente interessanti la struttura,

potrebbero invece innescare dei black out elettrici o interruzioni della rete idrica, come già

avvenuto con l’evento franoso del 2004 interessante il versante della collina di Via

Sant’Ignazio di Loyola.

3 - Dalla valutazione del rischio vulcanico si evince che l’Istituto risulta essere ubicato non

solo al di fuori della zona di invasione da flussi piroclastici ma anche in un area con indice

di rischio relativo al crollo delle coperture degli edifici per carico di depositi piroclastici -

ceneri e lapilli piuttosto basso. Se poi correliamo la probabilità di carico dei depositi

piroclastici - ceneri e lapilli alla tipologia strutturale degli edifici dell’Istituto è da ritenere

questa ipotesi di rischio crollo del tutto inesistente. Eventi del genere potrebbero, invece,

provocare malfunzionamento della rete idrica e di smaltimento delle acque, nonché

compromettere l’efficienza degli impianti di climatizzazione.