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L’ idea di realizzare, in concomitanza con il Convegno Internazionale su Senti-

num e l ’omonima celebre battaglia (ma non solo e necessariamente in relazione ad esso) un volumetto didattico dedicato all ’iconogra-fia del mondo centro-italico nell ’epoca di tale evento, con particolare riferimento a quella degli eserciti che ivi combatterono, si inserisce in primo luogo in quell ’indirizzo di politica culturale portato avanti dalla Soprintenden-za per i Beni Archeologici delle Marche che ha cercato di promuovere a tutti i livelli una “didattica” rivolta soprattutto alle scuole, ma anche ad un più vasto pubblico.

Ma, nella fattispecie del caso, l ’iniziativa risponde anche alla profonda convinzione di chi scrive della validità ed utilità di simili strumenti, che – insieme con il cosiddetto “figu-rino storico” e con le rievocazioni scenografiche “al vero” – sono largamente diffuse da sempre nel mondo anglosassone e, successivamente, francese, mentre assai meno da noi, in gran parte a causa di un persistente preconcetto di diffidenza, quando non dichiarato disprezzo,

da parte di molti studiosi nostrani, per questo tipo di divulgazione, ritenuto nella migliore delle ipotesi al livello di giochi per ragazzi che si baloccano con soldatini e figurine (detto per inciso, ci fossero più bambini che giocano con i soldatini piuttosto che con i videogames!).

Riteniamo invece che tipologie di conoscen-za di questo genere, se correttamente struttu-rate sulla base di precisi ed ineccepibili dati ar-cheologici e storico-iconografici, rappresentino in realtà un agile e – perché no – gradevole mezzo di contestualizzazione del quale, a no-stro modo di vedere, possono giovarsi “utenti” di vario tipo e livello.

Nel caso in questione, questa pubblicazione completa, in qualche modo, il prestigioso diora-ma della Battaglia del Sentino già esposto nel nuovo Museo Civico Archeologico di Sasso-ferrato, realizzato a cura di Ugo Barlozzetti, alla cui collaborazione con Marco Astracedi si deve l ’ideazione e stesura di questo volumetto.

Ad entrambi va il ringraziamento di chi scrive, lasciandone l ’apprezzamento a chi ne fruirà.

Giuliano de Marinis Mara Silvestrini

Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche

PREFAZIONE

Marco Astracedi e Ugo Barlozzetti

Sentinum, 295 a.C. La battaglia delle Nazioni

© 2006 Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, Ancona

Tutti i diritti riservati

Progetto editoriale e grafica: Marco Astracedi (Pangea/EKOgroup)

Illustrazioni: Marco Astracedi (Pangea/EKOgroup)

Stampa: La Poligrafica Bellomo, AnconaSettembre 2006

Per le immagini fotografiche si ringraziano le Soprintendenze Archeologiche del Molise, di Napoli e Caserta, di Roma e di SalernoLa Soprintendenza Archeologica delle Marche è a disposizioni degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare.

Soprintendenza per i Beni Archeologici delle MarcheVia Birarelli 18. 60121 Anconawww.archemarche.it

PangeaVia D’Annunzio 11. 60027 Osimo (An)www.pangeacom.it Fodero bronzeo di spada celtica rinvenuto a Filottrano

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Alla metà del IV secolo a.C., mentre in Asia Alessandro Magno fondava

il più grande impero che si fosse mai vi-sto, l’Italia era un mosaico di popoli (spes-so riuniti in leghe) e città-stato con livelli culturali e di organizzazione politica molto diversi fra loro. Nell’Italia centrale gli Etru-schi godevano ancora di una certa egemo-nia, ma erano città-stato spesso in lotta tra loro e solo occasionalmente collegate per contrastare pericoli comuni. Loro diretti contendenti erano le tribù galliche, che nel corso di ricorrenti migrazioni o spedizioni militari verso sud, avevano quasi annienta-to la nascente potenza romana; occupavano la pianura Padana fino all’Adige (confine con gli insediamenti dei Veneti) e la parte settentrione delle attuali Marche.

Delle colonie greche, solo Siracusa e Ta-ranto si dimostravano vitali, lottando l’una contro Cartaginesi ed Etruschi, l’altra con-tro Iapigi, Sanniti, Lucani e Bruzi.

Lungo la dorsale appenninica vi erano Umbri, Marsi, Peligni e Sanniti, questi ultimi premevano verso le coste, e in par-ticolare verso i Campani. Si affacciavano sull’Adriatico Piceni, Pretuzi, Frentani, Ve-stini e Marruccini. Gli Iapigi (Dauni, Peu-cezi e Sallentini) erano insediati in Apulia. I Liguri occupavano l’attuale Liguria, le Apuane e parte del Piemonte.

Importante la presenza cartaginese sulle coste della Sicilia occidentale e della Sar-degna, al cui interno erano i Sardi.

Roma, nel secolo precedente aveva con-quistato l’etrusca Veio e assunto un ruolo egemonico sulle altre città latine, costi-tuendo una Lega, ed un certo controllo su Sabini, Ernici e Aurunci, lottando con suc-cesso contro Equi e Volsci.

Mezzo secolo dopo, al termine delle Guerre Sannitiche, di cui la battaglia di Sentino è il momento decisivo, Roma, con-trollando l’intera Italia centro-meridionale, era pronta a diventare potenza egemonica del Mediterraneo.

L’ITALIA, PRIMA E DOPO LE GUERRE SANNITICHE

LA PRIMA GUERRA SANNITICA

Carta del Sannio e del Lazio illustrante la situazione nel 338 a.C., dopo la Prima Guerra Sannitica e la Guerra Latina.

Attorno al 350 a.C. Roma, pur sempre impegnata a settentrione in scontri

con le città etrusche di Tarquinia, Faleri e Cere, si era ripresa della sconfitta da par-te dei Galli Senoni e dal sacco dell’Urbe ad opera di Brenno nel 386 a.C. In segui-to alle decisive sconfitte inferte ai Volsci, tornato ad essere uno stato importante, di-mostrò nuove mire espansionistiche oltre i confini meridionali, in particolare verso la fertile valle del Liri.

Ugualmente in una fase di espansione erano i Sanniti. La tradizione vuole che essi si siano separati dai Sabini con una Prima-vera Sacra (Ver Sacrum), cioè la migrazione forzata dei giovani nati in un certo anno e dedicati ad una divinità totemica, costretti ad allontanarsi in cerca di nuovi territori. I Sanniti costituivano una Lega che com-prendeva le quattro tribù originarie (Pen-tri, Carricini, Caudini e Irpini). Avevano forti rapporti con la Lega popoli che con i Sanniti avevano rapporti di “filiazione” (se-condo la tradizione, con il medesimo rito del Ver Sacrum) come i Frentani e i Lucani. L’espansione sannita dei diversi touta (così si chiamava lo “Stato”, diviso a sua volta in comunità più piccole con villaggi diffusi sul territorio, il pagus) avvenne principalmente in due direzioni: Apulia e la Campania oc-cupata da Greci ed Etruschi.

Roma e Lega Sannitica, consce della potenza che avevano e del rischio di im-pegnarsi in uno scontro che le avrebbe in-debolite nei confronti di altri loro nemi-ci, preferirono un accordo (354 a.C.) che stabilì il corso del Liri come confine delle rispettive sfere di influenza.

L’accordo resse per circa un decennio, fino a quando i Sanniti non spinsero le loro mire verso la Campania settentrionale, territori compresi nella propria sfera di in-fluenza. L’occupazione di quei vasti e ricchi territori, però, preoccupava Roma, che per intervenire aveva solo bisogno di un casus belli. Questo si creò quando i Sanniti attac-carono i Sidicini, gente di lingua osca che popolava il territorio di Teanum, che invo-

carono l’aiuto dei Campani, altra popola-zione osca, organizzata in una Lega di città di precedente insediamento etrusco, che aveva come centro Capua. I Sanniti mos-sero allora guerra direttamente ai Campa-ni i quali chiesero l’intervento di Roma. I Romani colsero l’occasione per contrastare l’avanzata sannita senza essere formalmen-te i primi a rompere il trattato – in quanto chiamati in causa da una città alleata – ed inviarono un esercito verso Capua.

Le notizie pervenuteci sono confuse sul-l’andamento della guerra, che sembra avere avuto un andamento alterno, con una pri-ma serie di vittorie romane e i Sanniti che riuscirono poi a respingere le forze nemi-che al di fuori della Campania. Al termine di due anni di combattimenti il conflitto fu risolto per via diplomatica ristabilendo il vecchio trattato con alcune modifiche che portarono i campani sotto l’influenza di Roma, mentre i Sidicini passarono sotto il controllo sannita. Roma e Lega Sannitica ebbero un periodo di pace durante il quale i Sanniti furono alleati dei Romani quan-do questi dovettero affrontare la durissima guerra (340-338 a.C.) che li contrappose alle città ribelli della Lega latina.

PICENI

SABIN

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UM

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I

VENETI

C E LT I

ETRUSCHI

LIGURI

ROMAE LATINI SANNITI

CO

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I A P I G I

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SICULI

GRECI

CAMPANI

FRENTANI

ISTRI

ILLIRI

HIRPINI

PENTRICARECINI

CAUDINI

PRETUZI

VESTINI

MARRUCINI

PELIGNIEQUIMARSI

VOLSCIERNICI

SENONI

BOI

LINGONI

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AURUNCI

SICANI

ROMANIROMANI SENZA DIRITTO DI VOTOALLEATI LATINICOLONIE LATINEALLEATI

RETII

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SALLENTINI

DAUNI

SABINI

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ETRUSCHI

SANNITI

LUCANI

CAMPANI

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CAUDINI

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VESTINI

MARRUCINI

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FALI

SCI

AURUNCI

CITTADINI ROMANI

CITTADINI ROMANI SENZA DIRITTO DI VOTO

ALLEATI LATINI

COLONIE LATINE

ALLEATI

TERRITORI CONTROLLATI DAI SANNITI

DAUNI

Roma

Capua

SIDICINI

Neapolis

Teanum

PICENI

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ROMAE LATINI SANNITI

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PENTRICARECINI

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MARRUCINI

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VOLSCIERNICI

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CENOMANI

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AURUNCI

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DAUNI

I A P I G IPEUCEZI

SALLENTINI

L’Italia nel 354 a.C.

L’Italia nel 290 a.C.

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Vinti i latini, Roma si dedicò nuova-mente all’espansione territoriale verso

Sud, sia stringendo accordi con alcune città campane e italiote (ovvero gli altri tradi-zionali nemici dei Sanniti), in particolare con Taranto, sia fondando le colonie latine di Cales e Fregellae, quest’ultima sulla spon-da sinistra del Liri, in aperta violazione del trattato del 341 a.C. I Sanniti risposero stringendo accordi con altre città campane come Nuceria, Nola e Napoli (o almeno la frazione osca presente in città, mentre la maggioranza greca era probabilmente filo-romana).

Nel 327 a.C., dopo che i Lucani ebbero sconfitto Taranto e quindi liberato i San-

niti da una minaccia sul fronte meridio-nale, quest’ultimi ebbero mano libera di trasferire parte dell’esercito al nord.

A Napoli, con la fazione sannita al potere, un esercito di 6000 sanniti aveva occupato la città; dietro ri-chiesta della fazione greca, Roma inviò nell’ager napoletano e nella valle del Volturno due eserciti, mentre la guarnigione sannita a Napoli fu fatta allontanare dai

greci con uno stratagemma; Na-poli strinse quindi un’alleanza con

Roma. Questo, unito alla presenza romana sul Volturno, in pieno terri-

torio sannita, sancì l’inizio del conflitto, limitato, nei primi due anni, ad una serie

di scaramucce.I Romani tentarono di porre ter-

mine allo stallo inviando un eser-cito di 20.000 uomini attraverso il territorio dei Sanniti Caudini fino al cuore del Sannio, verso Malies (Benevento), nel territorio irpino. Il comandante (meddix tuticus) della Lega Sannitica, Gavio Pon-

zio, intuì l’intenzione dei consoli romani e radunò le truppe sulle

alture attorno alla Gola del Cau-dio (le Forche Caudine, passaggio

obbligato verso la regione degli Irpi-ni) e dopo che l’esercito romano vi era

LA SECONDA GUERRA SANNITICA LA TERZA GUERRA SANNITICA E LA “LEGA DELLE NAZIONI”

La situazione territoriale dell’Italia centrale alla vigilia della Guerra Italica

La terza Guerra Sannitica viene giu-stamente ricordata anche come Guer-

ra Italica, interessando non solo Roma e i Sanniti, e i loro alleati storici, ma anche tutte le genti dell’Italia centrale – Etruschi, Celti, Umbri – unite con i Sanniti in una autentica “Lega delle Nazioni”.

Sconfitti ma tutt’altro che annientati, i Sanniti erano consci che non sarebbero mai stati in grado, da soli, di sconfigge-re i Romani. Roma, ormai diventata una potenza di tutto rispetto, incuteva timore nelle altre popolazioni italiche, e quindi entrarono nella lega antiromana Sanni-ti, Etruschi, Galli e Umbri (ad esclusione delle città di Gubbio e Camers, Camerino), oltre a vari popoli minori (probabilmente Sabini, Pretuzi, Vestini, Marsi). Roma ri-spose all’accerchiamento inizialmente per via diplomatica alleandosi con Peligni, Marruccini e Frentani (accerchiando il Sannio da Nord-Est) e stringendo un pat-to antigallico con i Piceni.

La guerra esplose nel 302 a.C., con un attacco romano preventivo in territorio

etrusco e con l’alleanza con i Lucani (che erano pur sempre “parenti” dei Sanniti), completando l’accerchiamento del Sannio.

PICENI

SABIN

I

UM

BR

I

C E LT I

ETRUSCHI

ROMAE LATINI SANNITI

LUCANI

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PENTRICARECINI

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VOLSCIERNICI

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AURUNCIROMANI

ROMANI SENZA DIRITTO DI VOTO

ALLEATI LATINI

COLONIE LATINE

ALLEATI DEI ROMANI

PROBABILI ALLEATI SABELLICI DELLA LEGA ANTIROMANA

DAUNIRoma

Cales

Luceria

Neapolis

Fregellae

Camerinum

IguviumVolaterrae

Volsinii

Vulci

Populonia

VetuloniaRusellae

Sentinum

Sora

Narnia

GRECI

completamente penetrato, fece blocca-re entrambe le uscite. I romani, chiusi in trappola, tentarono inutilmente di aprirsi la strada combattendo ma furono alla fine costretti ad arrendersi. Gavio Ponzio de-cise di rilasciare i prigionieri dopo averli però umiliati costringendoli ad inchinarsi passando nudi e disarmati sotto un giogo fatto con le lance. Alla disfatta delle Forche Caudine seguì una tregua, a garanzia della quale 600 cavalieri romani rimasero come ostaggi.

Nei cinque anni successivi Roma riprese l’attività diplomatica contro la Lega San-nitica stringendo accordi con città apule e peligne. Furono poi impegnati a sedare una rivolta dei Volsci (proprio nell’area del Liri) i quali furono a loro volta aiutati dai Sanniti, facendo così di nuovo esplodere il conflitto. Dopo successi in Apulia e contro i Volsci, i romani furono sconfitti a Lautu-lae, presso Terracina, e i Sanniti avanzarono occupando il Lazio meridionale, da dove però ritirarono parte dell’esercito per difen-dersi dalla potenziale minaccia di Taranto, favorendo così il contrattacco romano. Nel 312 a.C. i Romani avevano riconquistato il Lazio e la Campania settentrionale.

Nel 311, allarmati dalla crescente po-tenza romana, intervennero le città meri-dionali dell’Etruria. Sconfitti a Sutri l’anno seguente e perse altre posizioni, gli Etru-schi furono costretti ad accordi sfavorevoli.

I Sanniti, approfittando dell’impegno romano a settentrione, attaccarono le forze romane presenti in Apulia. Roma rispose attaccando il Sannio occidentale ma fu co-stretta a ritirarsi. Il 305 a.C. fu l’anno ri-solutivo del conflitto. I Sanniti assalirono la regione falerna, in Lazio, ma furono du-ramente sconfitti e i romani contrattacca-rono su due direttrici, una contro l’esercito sannita in ritirata verso Bovianum, capita-le dei Pentri, espugnandola, l’altra verso il Sannio settentrionale. In seguito alle gravi perdite e alla minaccia costituita da Taran-to, i Sanniti accettarono un nuovo trattato (304 a.C.) favorevole ai Romani.

Nel corso del IV secolo, notevole fu il ruolo, non solo culturale, del

mondo greco nelle vicende della peni-sola italiana.

Taranto come capofila delle città ita-liote (le poleis della Magna Grecia), per opporsi ai “barbari” italici o iapigi, si rivolse, per il grande prestigio militare acquisito dai Greci nel periodo imme-diatamente precedente, a condottieri come Archidamo da Sparta (345-341 circa), Alessandro il Molosso, il fratello di Olimpia, madre di Alessandro Ma-gno (333-330 circa), agli spartani Acro-tato e Cleonimo (fino del IV sec.). Tali interventi ebbero un ruolo non indiffe-

GLI INTERVENTI DALLA GRECIA NEL IV SEC.rente, condizionandone il conflitto con Roma, per la minaccia che costituirono per i Sanniti.

L’iniziativa più importante, alla fine di questo periodo, fu quella di Agatocle, che, con la sua politica di “orizzonte” el-lenistico, per le sue relazioni con l’Egitto di Tolomeo, Cirene e Demetrio Polior-cete, con Siracusa al centro del mondo italiota e siceliota, fu capace, tra l’altro, di mutare anche l’atteggiamento, tradi-zionalmente ostile, etrusco.

In particolare le sue campagne contro Cartagine ne rivelano la lungimiranza: in un certo senso Roma ne colse l’eredità politica.

Disegno del frammento dell’affresco da un ipogeo dell’Esquilino (sotto), copia più tarda di uno risalente al 304 a.C., illustrante la resa di un città offerta dal sannita M. Fannio al console Quinto Fabio Rulliano, lo stesso che fu poi vincitore a Sentino.Musei Capitolini,

Roma.

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Sul primissimo esercito romano, quello della Roma dei re, sappiamo ben poco.

La cavalleria aveva probabilmente maggio-re importanza che nelle epoche successive (la tradizione ricorda un corpo scelto di 300 cavalieri, i celeres, come guardia del corpo di Romolo); la fanteria, costituita anch’essa ad una élite guerriera, combatteva in forma-zione aperta, in modo forse non dissimile dal combattimento “eroico” dell’epica ome-rica, almeno fino ai re etruschi.

Gli Etruschi, entrati in contatto e spesso in conflitto con i Greci dell’Italia meridio-nale, appresero da questi la tattica oplitica, con gli uomini, appiedati, inquadrati in una formazione compatta scudo contro scudo e irta di lance – la falange oplitica – che assalta l’avversario come un sol blocco, con una nuova capacità di sfondamento. La Roma della prima Repubblica mutuò dagli etruschi la tattica oplitica, secondo la tra-dizione all’epoca del penultimo re Servio Tullio alla metà del VI sec. a.C. L’esercito serviano (o perlomeno quello repubblicano, visto che la figura di Servio è ammantata di leggenda) era composto da una falange di 4.000 uomini armati con lancia e spada e difesi da una corazza per il busto, schinieri ed elmo in bronzo e da un grande scudo circolare (clipeus). La riforma serviana di-stingueva in base al

L’ESERCITO ROMANOLA LEGIONE E LA FORMAZIONE MANIPOLARE

Al pari delle singole righe dei fanti all’interno dei manipoli, l’intera legione poteva schierare i suoi manipoli in modo diverso. In alto i manipoli di hastati (rosso) e principes (azzurro) in ordine aperto, a scacchiera;

sotto schierati in un’unica fila.

censo cinque classi di cittadini, chi si po-teva permettere la panoplia oplitica da chi, invece, aveva solo un armamento leggero; quest’ultimi combattevano in formazio-ni aperte per disturbare le linee nemiche e proteggere i fianchi dello schieramento, insieme alla cavalleria (formata dalla ricca aristocrazia), che aveva soprattutto com-piti di ricognizione, copertura delle ali e inseguimento del nemico sconfitto. Pro-babilmente la falange rimase affiancata da più piccole formazioni meno rigidamente strutturate, adatte alla guerriglia.

L’esercito romano, all’inizio delle guerre sannitiche, era formato da quattro legioni (legio significava “leva”) con una falange di 3.000 opliti ciascuna, più la cavalleria e le truppe leggere. La formazione a falange aveva però il difetto della scarsa flessibilità, come probabilmente appresero i romani in seguito alla sconfitta da parte dei Galli sul fiume Allia, nel 386 a.C., e come, quasi certamente, constatarono contro i Sanniti, con scontri in terreni montagnosi, nei quali era difficile mantenere la rigida formazione falangitica.

Già durante la battaglia di Sentinum, i romani avevano adottato il più flessi-bile ed efficiente

ordine manipolare: la legione non era più basata su un unico blocco, ma veniva divisa in unità più piccole, i manipoli, più mobili e manovrieri, che potevano sia concentrarsi in un punto come aprirsi facilmente, e che erano suddivisi in gruppi di combattenti con armi e compiti diversi.

È possibile che una distinzione tra di-versi tipi e linee di combattenti fosse già presente nella legione falangitica (la suddi-visione della classis in cinque classi censita-rie diversamente armate, descrittta da Li-vio potrebbe farlo intendere). È altresì pro-babile che i romani abbiano adattato alle proprie esigenze modi di combattere simili a quello manipolare da popoli avversari come, probabilmente, gli stessi Sanniti.

La legione secondo PolibioLe informazioni, relativamente, più

complete ed affidabili sulla legione di epoca repubblicana vengono

fornisce una descrizione al tempo delle guerre latine sensibilmente diversa, ma i suoi dati sono, in questo caso, assai meno affidabili e completi che in Polibio. Quest’ultimo descrive la legione divisa in tre schiere – hastati, principes e triarii – ognuna divisa in dieci manipoli. Ogni ma-nipolo di hastati/principes, diviso in due centurie, som-mava 120-150 uomini oltre a 50-60 velites. Un manipolo di triari, sempre su due centu-rie, contava invece 120 veterani e un numero imprecisato di veliti. Una legione così formata contava 4.200 uomini, compresa la fanteria leggera. A questi si sommavano

300 ca-valieri, divisi in

turmae di 30, a loro volta suddivise in squadroni di

dieci cavalieri.

Un esercito romano, al comando di un console, era costituito da due legioni a cui si affiancavano contingenti di popoli alleati, composti da fanteria e, in numero maggiore, da cavalleria. Sotto si vede la usuale disposizione sul campo di un esercito, con le due legioni romane al centro, ai cui fianchi si schieravano le altrettanto numerose fanterie alleate (divise in due alae), e la cavalleria, composta soprattutto dagli alleati, ai lati dello schieramento. Un Esercito così composto assommava 16-18.000 fanti e 2.500 cavalieri.

Sotto, una legione schierata, secondo la descrizione di Polibio. Davanti ad ogni manipolo, in ordine sparso, vi sono i velites, la fanteria leggera destinata a disturbare lo schieramento avversario; è possibile che i veliti venissero raggruppati in un’unica formazione.Con gli scudi rossi, i manipoli (divisi in due centurie ciascuno) degli hastati, in formazione serrata, a formare un’unica linea di scudi. Dietro gli hastati, i manipoli dei principes (in azzurro), questa volta schierati in ordine aperto, con gli uomini disposti a scacchiera. Per ultimo i triarii (in verde), disposti anch’essi in ordine chiuso.Sul fianco, i 300 cavalieri divisi in dieci turmae.

Un console, comandante

dell’esercito, aveva sotto il suo comando sei tribuni per ogni legione.

da Polibio (su cui sono basate

le ricostruzioni in queste pa-gine) e si riferiscono agli eserciti delle

guerre puniche, periodo posteriore di alcu-ni decenni rispetto alla battaglia di Senti-no, durante la quale la legione era proba-bilmente ancora in una fase di transizione dalla precedente tattica oplitica. Livio ne

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GLI ALLEATI DI ROMALA CAVALLERIA CAMPANA

Quello romano era un esercito di citta-dini in armi e non facevano eccezione

i comandanti, che venivano eletti annual-mente, con compiti non solo militari. A ciascuno dei due consoli, i magistrati su-premi eletti annualmente, in caso di guerra veniva affidato il comando di due legioni assieme ai contingenti alleati. Se necessa-rio, eserciti di minore consistenza erano affidati ad un pretore.

Il console nominava sei tribuni mili-tum, a due dei quali era affidato, a turno, il comando di ogni legione. Il nerbo della legione era costituito dai centurioni, sicu-ramente scelti tra i soldati con maggiore esperienza.

Le due centurie di ogni manipolo era-no comandate ciascuna da un centurione e quello della centuria di destra (centurio prior) aveva il comando dell’intero mani-polo. Ogni centurione era coadiuvato da dei “sottufficiali”: l’optio, il secondo in co-mando, un vessillifero (signifer), un corni-cen (suonatore di corno, per dare gli ordini in battaglia), e da un comandante della guardia (tesse-

L’arma principale della legione manipolare era il pilum, un giavellotto dotato di una sottile asta metallica lunga circa 60 cm e con una piccola punta di forma piramidale. Ne esistevano due tipi, uno più leggero (a sinistra), lanciato per primo, e uno più pesante (a destra) con gittata più breve.

L’ESERCITO ROMANOVELITES, HASTATI, PRINCIPES, TRIARII, EQUITES, SOCII, EXTRAORDINARII

A sinistra, cavaliere campano da una tomba di Nola (330-320 a.C.)rarius). Il centurione più alto in grado della

legione era il primus pilus.

I veliti, la fanteria leggeraOltre un quarto dell’organico di una le-

gione, secondo Polibio, era costituito dai Velites. Si trattava di uomini che non pote-vano permettersi una panoplia completa, o troppo giovani per operare con la “fanteria di linea”. Loro compito era disturbare con il lancio di giavellotti o pietre le linee av-versarie prima dello scontro con la fanteria pesante. Erano protetti da un leggero scudo circolare (parma) e un elmo, a volte sem-plicemente di cuoio, su cui, come riportato da Polibio, applicavano pezzi di pelliccia (spesso di lupo), per essere meglio identifi-cati dai comandanti, ma con un probabile originale significato totemico.

Hastati e Principes, il nerbo della legioneI manipoli degli hastati erano quelli della

prima linea, destinati al primo impatto con l’avversario, mentre ai manipoli dei prin-cipes, il fior fiore dei soldati, era destinato il compito di penetrare nei varchi aperti dagli hastati e infliggere il colpo decisivo.

L’equipaggiamento difensivo comprendeva l’elmo di bronzo, una piasta pettorale (kar-diophylax), uno schiniere nella gamba sini-stra (quella rivolta al nemico) e un grande scudo ovale e ricurvo, composto di listelle di legno sovrapposte coperte da cuoio. Al tempo di Polibio l’armamento comprende-va una spada e due giavellotti (pila), uno più pesante dell’altro; è però possibile che al tempo della battaglia di Sentino uno dei due schieramenti fosse armato con una lancia (hasta) in luogo dei pila.

Triarii, i veteraniI triari, i veterani dell’esercito schierati

in un numero circa pari alla metà degli ha-stati/principes, erano l’ultima schiera della legione e generalmente usati solo come ultima risorsa, in situazioni di difficoltà, tanto da ispirare la massima “res ad triarios redit” (la cosa è ridotta ai triari) per indicare situazioni disperate. Polibio li descrive ar-mati di una lunga lancia (hasta) al posto dei pila, ma per il resto equipaggiati come gli altri legionari (i più ricchi potevano per-mettersi cotte di maglia di ferro, come in uso tra i Celti); è possibile che al tempo della terza guerra sannitica l’armamento di tipo oplitico non si limitasse alla lancia ma comprendesse tutta la panoplia.

La cavalleriaLa cavalleria ro-

mana, i cui compiti erano soprattutto la ricognizione e l’inse-guimento dei nemici, era nu-mericamente scarsa e forse anche di qualità mediocre. I suoi membri provenivano dall’aristocrazia (ordine equestre) ed erano probabilmente equipaggiati come opliti, con elmo, corazza anatomica e scudo, lancia e spada. Cavalca-vano a pelo, senza staffe, cioè senza poter caricare “lancia in resta”.

Gli eserciti alleatiGli alleati di Roma fornivano contin-

genti di fanteria pari a quelli romani ma cavalieri in numero tre volte superiore. Gli alleati (socii) venivano divisi in due alae po-ste ai fianchi dello schieramento romano; ogni alae, al comando di tre praefecti roma-ni era divisa in non ben definite coorti. Le turmae della cavalleria venivano disposte ai fianchi delle alii di fanteria, forse insieme agli equites romani. Le truppe più valorose (sia fanti che cavalieri) andavano a formare una specie di “corpo speciale”, gli extraordi-narii, usato, ad esempio, come avanguardia durante le marce di trasferimento.

Icontingenti alleati (socii) dei romani provenivano da diverse città e popo-

lazioni che erano nell’orbita egemonica di Roma (come le città latine) o genti che Roma, nei secoli precedenti, aveva costretto con la forza all’alleanza, come Peligni, Marsi e Frentani, o assogettato – è il caso dei Volsci o di Veio, ad esem-pio – e inglobati nell’ager romano; op-pure si trattava di genti che erano legate a Roma da comuni interessi difensivi, come Piceni, Campani e Marruccini.

Proprio i Campani, gente di lingua osca e ceppo sabellico, durante la cam-pagna che culminò nella battaglia del

Sentino,fornirono unimportante con-tingente di 1.000cavalieri, che ebbe un ruolo di rilievo nelle fasi iniziali dello scontro.

Il contingente campano contribuì a supplire alla cronica mancanza di buoni e numerosi cavalieri da parte di Roma.

Livio descrive i cavalieri campa-ni come un corpo scelto; facevano quindi parte, con ogni probabilità, di quel nucleo di fanti e cavalieri alleati particolarmente valorosi che formavano gli extraordinarii.

Eques romano

Hastato / Principe VeliteTriario

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SENTINUM, 295 a.C.12 SENTINUM, 295 a.C. 13

Della Lega antiromana al tempo del-la terza Guerra Sannitica facevano

parte Sanniti, Celti, Etruschi ed Umbri. A questi si devono probabilmente aggiungere altre genti minori o singole città italiche.

I CeltiAl Sentinum i padroni di casa, per così

dire, erano i Celti, o Galli secondo i romani (Gàlatai o Kèltai, in greco), divisi in varie tribù accomunate da lingua e cultura simi-le. Il territorio di Sentino era occupato da circa un secolo dalla tribù dei Senoni, così come la Romagna e le Marche a nord del-l’Esino, mentre proseguendo a settentrione s’incontravano Boii, Lingoni, Insubri, Ce-nomani, e altri. La tribù era un insieme di clan, comandate da un re (rix) eletto tra i guerrieri. Al vertice della gerarchia sociale vi erano i sacerdoti (druidi) e i guerrieri, a cui seguivano gli uomini liberi (artigiani, contadini, commercianti) e gli schiavi. La guerra era quindi un affare riservato alla sola classe guerriera, che doveva la sua ric-chezza e prestigio alla pratica stessa della guerra, finalizzata non solo all’espansione

Sotto, un capo celta, con elmo e cotta di maglia di ferro, armato di spada e gaesum, un giavellotto interamente di ferro (quindi costoso e probabilmente riservato all’élite aristocratica) dotato di grande forza di penetrazione ma di gittata limitata. A destra, un guerriero nudo, difeso solo dallo scudo, così come descritto nei testi e nell’iconografia dell’epoca. Quest’usanza aveva forse anche un significato religioso o “sciamanico”, con un possibile stato di alterazione psichica indotta.

I NEMICI DI ROMA

I CELTI E I SANNITIGuerrieri sanniti da un affresco di Paestum della fine del IV sec. a.C...In basso, a sinistra, la ricostruzione di un guerriero sannita.

territoriale – in Italia, i Celti occuparono terri-tori già etruschi, umbri e piceni – quanto alla sempli-ce predazione di beni e schiavi, affiancata dal mercenariato.

La fanteria era quella di gran lunga più numerosa, ma la componente più impor-tante di un esercito celtico, quella che fece la differenza contro le statiche falangi etru-sche o romane, era la cavalleria. Formata dai membri più importanti e facoltosi del-l’aristocrazia, era costituita sia da cavalleria montata che da carri da guerra. Quest’ul-timi, che ebbero un ruolo significativo alla battaglia del Sentinum, non erano usati per caricare direttamente le schiere avversarie; il carro veniva piuttosto usato per terroriz-zare l’avversario con la semplice massa alla carica e il frastuono, correndo poi attorno al nemico per lanciare giavellotti, oppu-re come trasporto veloce di guerrieri di rango che combattevano poi appiedati.

I Galli, noti per spavalderia e indisci-plina, di alta statura e biondi, portavano grandi baffi; alcuni, con acqua e calce, si sbiancavano i capelli che poi pettinavano all’indietro formando una sorta di cresta. I guerrieri si distinguevano indossando il torques, un caratteristico collare rigido.

Le armi consistevano in lance e gia-vellotti, l’arma principale era però la lun-ga spada, molto adatta all’uso di taglio, fatta però con metallo di scarsa quali-tà, tanto da potersi piegare facilmente. L’armamento difensivo comprendeva un elmo di bronzo, più o meno del tipo “Montefortino” diffuso in tutta l’Italia, uno scudo piatto di forma per lo più ovale e, per i più ricchi, una cotta di maglia di ferro, che poi iniziarono ad adottare an-che i romani. Testimonianze letterarie e iconografiche spesso mostrano guerrieri completamente nudi, protetti solo dallo scudo, forse “unità scelte” di guerrieri par-ticolarmente valorosi.

I SannitiL’esercito della Lega Sannitica era

comandato da un magistrato eletto (con poteri sia civili che militari, capo del touta) detto meddix tuticus. Oltre alla presenza di un’unità scelta, la legio linteata, i cui mem-bri consacravano sé stessi alla lotta, sappia-mo che il resto dell’esercito sommava ad oltre 20.000 uomini, per un totale di circa 40.000 combattenti divisi in due corpi, det-ti exercita. Livio dice che uno dei due eser-citi portava bianche tuniche di lino e scudi coperti d’argento (in probabile riferimento alla legio linteata) e l’altro tuniche colorate e scudi dorati; questi particolari sono però da prendere con una certa cautela.

Dal repertorio iconografico e archeolo-gico, oltre che dalle fonti come Livio, sap-piamo che i guerrieri indossavano, sopra una corta tunica, un pettorale detto spon-gia (forse perché una spugna applicata sul

retro della corazza fungeva da ammortizzatore) e una caratte-

ristica cintura di bronzo, forse ri-coperta di tessuto o cuoio. Indossa-

vano inoltre un elmo di bronzo, del tipo “Montefortino” o della variante italica dell’elmo attico, sui quali era-

no applicate delle piume o creste metalliche, e uno o due schinieri. Portavano uno scutum ricurvo

che Livio descrisse di forma trapezoidale, per facilitare i movimen-

ti, oppure scudi ovali o circolari. Le armi erano

il giavellotto (le teretes aclydes, munite di un’ap-

pendice lungo l’asta per aumentarne la spinta inziale

con l’aiuto di una correggia) e lance. Non risultano armi

da taglio, che pure dovevano es-sere diffuse, forse simili alle ricche spade lanceolate delle genti sabelliche dei se-coli precedenti.

I Galli, con tutta probabilità, non avevano vere forma-zioni di combattimento, raggruppandosi attorno alle

insegne dei clan o attorno ai guerrieri più valorosi che incitavano gli altri con azioni di sfida. Non bisogna però pensare che fossero una massa incontrollabile, erano ca-paci invece a disporsi in formazioni aperte o chiuse, che sfruttavano la capacità difensiva offerta dai grandi scudi, e con queste a muoversi, come testimoniato da Livio o autori più tardi come Cesare.

Più problematica la comprensione delle formazioni di combattimento dei Sanniti. Di questi, le fonti lettera-rie pervenute non descrivono chiaramente disposizione sul campo e modo di combattere, ma si può comunque ipotizzare un’organizzazione non assai diversa dalla le-gione romana manipolare. La legio linteata, una sorta di corpo di élite di cui parla Livio riferendosi alla campa-gna del 293 a.C. era composta di 10 unità minori di 1.600 manipulares cadauna, forse a loro volta divise in quattro unità di 400 uomini. Livio, riferendosi al resto dell’esercito, chiama queste unità di 400 uomini coorti, dividendole in due manipoli (comandati da un centurio prior e posterior), a loro volta formati da due centurie. La descrizione liviana potrebbe riportare alcuni anacro-nismi, inserendo termini e strutture note dal più tardo esercito romano del suo tempo, però l’esistenza della tat-tica manipolare tra i sanniti spiegherebbe anche la sua adozione da parte dei romani proprio durante le guerre sannitiche. La divisione della coorte in due manipoli, potrebbe far pensare ad una divisione dell’esercito in due linee, una armata di giavellotti e scutum, l’altra, di tipo oplitico, con aste e scudo rotondo, identificabile in alcu-ne raffigurazioni plastiche o su affresco.

LE FORMAZIONI DI COMBATTIMENTO

Ipotesi ricostruttiva di carro celtico da guerra.

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Etruschi ed Umbri (almeno secondo Livio) non presero parte allo scontro

del Sentino, è però possibile che, oltre a rivestire un’importante ruolo nell’ottica ge-nerale della guerra, alcuni contingenti fos-sero comunque presenti alla battaglia.

Gli EtruschiGià antichi avversari dei Sanniti, che a

loro sottrassero la costa campana, dei Galli che occuparono a loro volta ne occuparono i territori a Nord dell’Appennino, e con al-terni rapporti con gli Umbri, gli Etruschi si unirono ai loro nemici per contrastare l’altra e sempre più pericolosa minaccia: Roma. I rapporti con l’Urbe (che nei primi secoli della sua vita era una città sostanzial-mente etrusca) dal V secolo erano ostili. Non bisogna però pensare ad una ostilità tra entità statuali unitarie, perché l’Etruria era un insieme di città-stato indipendenti,

A sinistra, un oplita etrusco, in una ricostruzione basata sul celebre “Marte di Todi” statua di scuo-la etrusca del IV sec. Si noti la caratteri-sca corazza lamella-re e l’elmo del tipo etrusco-corinzio, derivato dall’elmo greco che copriva tutta la faccia, ma in Italia usato solo come casco.A destra, un guer-riero umbro, con un equipaggiamento misto di tipologia picena-latina (antiquato elmo piceno, scudo circolare) ed etrusca (corazza eschinieri); la spada è la versione italica della machaira greca.

I NEMICI DI ROMA

ETRUSCHI ED UMBRIsia pure collegate (in modo incostante) in una lega sacra delle dodici principali cit-tà, che non furono quasi mai unite nella lotta contro Roma, ma solo alcune di esse mentre altre potevano rimanere neutra-li e fors’anche alleate. Qualcosa di simile dovette avvenire anche in occasione della terza guerra sannitica, per cui alcune città presero parte attiva nella Lega antiromana, altre furono alleate di Roma.

Non sappiamo con precisione come fos-sero armati i guerrieri etruschi all’inizio del III sec. a.C. La maggior parte dei reperti archeologici e delle fonti iconografiche ri-salgono a periodi precedenti, e anche fonti quasi contemporanee, come le decorazioni nel sarcofago delle Amazzoni, risentono pesantemente della stereotipata influenza stilistica greca. Si può comunque pensa-re che gli etruschi avessero mantenuto la tattica e la panoplia oplitica, affiancati da cavalleria e fanteria leggera. L’oplita etru-sco del III-IV sec. a.C. aveva una corazza composta di numerose sottili lamelle me-talliche cucite sul corpetto di cuoio o lino.

Gli UmbriDal punto di vista territoriale, l’Umbria

era anch’essa un insieme disunito di città-stato (trifu), di cui a volte restano le impo-nenti mura poligonali. L’Umbria era un’area compresa tra altre che ebbero grande in-fluenza sulla propria cultura; in particolare Etruria e Piceno erano aree di importante importazione di materiale anche bellico, tanto da rendere ben difficile distinguere armi ed armature (e oggetti interessanti ai fini ricostruttivi come i bronzetti) importati da quelli prodotti in loco, in genere su mo-delli etruschi, piceni o gallici. Si può quin-di pensare che il guerriero Umbro fosse un oplita (se poi combattesse in formazione falangitica non è dato a sapere), affiancato da truppe leggere. Il suo equipaggiamento era un misto di armi e armature principal-mente di tipo etrusco e piceno.

GLI ANTEFATTI POLITICO-MILITARI ALLA BATTAGLIAGellio Egnazio riuscì a far riprendere

ai Sanniti l’iniziativa strategica, met-tendo a frutto l’accorta politica di alleanze maturata dopo la pace subita con la secon-da guerra contro Roma e che aveva anche visto una crescente volontà da parte delle città dell’Etruria interna centro-settentrio-nale, di reagire all’espansionismo di quella che si stava configurando come uno stato capace di organizzare, oltre la dimensione cittadina, una struttura territoriale con un tessuto di relazioni originale ed efficace sul piano politico, militare ed economico. Inoltre, non dovevano mancare agli Etru-schi preoccupazioni per la crescente sen-sibilità “marinara” romana rivelata dalla fondazione di colonie marittime e i trattati con Marsiglia e Cartagine.

Quest’ultima città era in quei tempi in durissima lotta con Agatocle di Siracusa, nei cui confronti le città etrusche appunto sembra che stessero mutando l’antica ini-micizia nei confronti della metropoli sice-liota, avendo inviato rinforzi di uomini e navi. Il fatto nuovo, e rivelante, fu proprio la possibilità di coalizzare in senso antiro-mano potenze fino allora tradizionalmente avversarie, come i Sanniti, gli Etruschi e i Galli, forse “recuperando” per questi ulti-mi una nuova pressione migratoria. Pro-prio questa componente fu indubbiamente l’elemento di maggior preoccupazione per i Romani: la loro minaccia si stava rinno-vando. Anche gli Umbri, dopo la fonda-zione della colonia latina a Narnia davano segni di una preoccupazione tale da supe-rare la diffidenza nei confronti dei Galli Senoni che avevano loro strappato territori che si affacciavano all’Adriatico, tanto che il maggior numero delle genti umbre ave-va aderito all’alleanza con i Sanniti. Così il più forte contingente sannita era riuscito a raggiungere il collegamento con gli Umbri, gli Etruschi e poi i Galli, con un’audace - e non si sa quanto difficile - marcia, attraver-sando il territorio ostile dei Peligni - che

dopo la battaglia del Sentino attaccarono gruppi Sanniti in ritirata, infliggendo loro gravi perdite! - e quello dei Vestini, avendo risalito il corso dell’Aterno per scendere poi dalle montagne a Rieti, alleata come Norcia, Spoleto e Foligno. La guerra era iniziata dal casus belli offerto dall’alleanza stretta tra Roma e i Lucani, quando que-sti furono assaliti dai Sanniti. Il Sud, tan-to l’area apula che quella lucana, fin dalla guerra precedente era stato considerato importantissimo dai Romani, sia per aprire un fronte alle spalle dei Sanniti quanto an-che per controllare gli sbocchi della transu-manza invernale, acquisendo così un ruolo fondamentale nei confronti delle genti della Lega Sabellica e minacciando gli in-teressi economici dello stesso Sannio. Le operazioni militari avevano visto l’attacco al Sannio, ad Est dall’Apulia e da Ovest dalla media valle del Liri e dalla Campa-nia settentrionale; addirittura Cneo Fulvio sarebbe riuscito a saccheggiare Aofidena, avendo risalito la valle del Sangro grazie all’alleanza con i Peligni. I Romani non si erano potuti sostenere però nel territorio nemico e si erano dovuti accontentare di darlo al guasto. A Roma quando giunse la notizia della nuova dislo-cazione degli avversari, si percepì il pericolo che incombeva: fu organiz-zato un arruolamento esteso perfi-no ai liberti, Appio Claudio si ritirò con le sue truppe dalla Campania Settentrionale, cui reagirono i Sanni-ti con un’invasione - che pur essendo evidentemente solo un diversivo - fu arrestata solo grazie all’intervento di Q. Fabio Rulliano e Volumnio Flamma che fondarono allora due nuove colonie – Sinuessa e Minturno – di chiara importanza strategica. Le operazioni si concentrarono per il momento nell’Etruria Centrale, tra Chiusi e Perugia, con alterne e non chiaris-sime, allo stato attuale della ricerca e sulla base delle narrazioni pervenute, vicende.

Elmo italico del tipo “Montefortino” rinvenuo nel santuario sannita di Pietrabbondante.Elmi di questo tipo erano diffusi in tutta l’Italia centrale e usati, quindi sia dai Sanniti che dai Romani, dai Celti e altri popoli.Questo elmo, facente parte di un’offerta votiva, era forse appartenuto ad un militare romano (probabilmente di alto rango, visto la preziosità del reperto) sconfitto dai Sanniti.

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SENTINUM, 295 a.C.16 SENTINUM, 295 a.C. 17

La preoccupazione dell’addensarsi di un poderoso esercito formato da

quattro grandi popoli indusse i Romani ad agire, probabilmente nel timore che i loro stessi alleati, e i Piceni fino allora neutrali, decidessero o fossero costretti a mutare atteggiamento.

Si mosse così l’esercito dei due consoli, Q. Fabio Rulliano, con la prima e la terza Legione e P. Decio Mure con la quarta e la sesta; vi era inoltre un grosso contingente di cavalleria romana e mille cavalieri scelti inviati dalla Lega Campana e un esercito di alleati e di Latini più numeroso di quello stesso dei Romani. Altri due eserciti furono inviati - e si rivelarono assai importanti - a fronteggiare l’Etruria, coprendo Roma uno nel territorio falisco e l’altro, addirittura, nell’agro vaticano, alle porte della città; sul fronte meridionale, verso il Sannio, il pro-console Lucio Volumnio combatteva con la seconda e la quarta Legione.

Vi sono diverse ipotesi per il percorso più probabile per questa massa di combat-tenti e le relative salmerie. Il teatro delle

GLI ESERCITI VERSO SENTINOcomplesse operazioni precedenti, nel testo liviano, si svolgono nei pressi di Chiusi, il cui antico nome (Camars) può aver deter-minato equivoci con la citazione di Polibio relativa a Camerino. Il luogo di raccolta dell’esercito romano sembrerebbe, sulla base di un’interpretazione di Livio, ab-bastanza condivisa, essere stato Aharna, l’attuale Civitella d’Arno, a dieci chilo-metri da Perugia. Da questa località, per raggiungere la zona di Sassoferrato, vi è il percorso che da Gubbio - allora una delle poche città umbre alleate a Roma - porta al Passo dello Scheggia, l’altro, che porta alla Piana di Fabriano. Sembra da esclu-dere invece la via che attraversa la gola di Frasassi. Da Fabriano ci sono due varianti, una che passa da Collegiglioni e Genga, riallacciandosi con il percorso provenien-te da Frasassi, superata la gola, ma appa-re eccessivamente tortuoso; il più facile è quello che costeggia l’attuale linea ferro-viaria Fabriano-Sassoferrato: quest’ultima direzione avrebbe permesso un adeguato controllo rispetto al nemico. Da Civitella d’Arno alla piana di Fabriano, il tragitto più breve è quello che dalla Valle del Chia-scio giunge a Casa Castalda proseguendo per la Valle del Rasina e Gualdo Tadino a Fossato di Vico. Quest’ultima località è raggiungibile anche da Foligno, che però in questo periodo era un centro umbro alleato ai Sanniti. Alla luce di queste ipotesi e va-lutando la rapidità delle comunicazioni ro-mane per quell’efficace diversivo narrato da Livio, che alla vigilia della battaglia induce i contingenti Etruschi, almeno per la gran parte se non tutti, ad abbandonare il cam-po, potrebbe far non escludere, nonostan-te i rischi “tattici”, proprio il percorso che da Gubbio conduce all’impervio passo di Scheggia, anche in considerazione dell’ad-destramento acquisito dall’esercito romano nelle precedenti campagne nel cuore del Sannio e del ruolo di quei contingenti al-leati, che non dovevano mancare, di Marsi, Marrucini, Peligni e Vestini (questi ricon-dotti all’alleanza con Roma nel corso dei

PICENI

SABINI

UMBRI

C E LT I

ETRUSCHI

SANNITI

PRETUZI

VESTINI

MARRUCINI

PELIGNIEQUI

MARSI

VOLSCI

ERNICI

SENONI

ROMANI

ROMANI SENZA DIRITTO DI VOTO

ALLEATI LATINI

COLONIE LATINE

ALLEATI DEI ROMANI

PROBABILI ALLEATI DELLA LEGA ANTIROMANA

Roma

Camerinum

Iguvium

Sentinum

Narnia

Perusia

Clusium

Aharna

Reate

Falerii

precedenti anni di guerra), abili e valorosi come gli stessi Sanniti.

Il testo di Polibio considera Camerino, l’altra alleata umbra di Roma, come punto di riferimento delle operazioni precedenti la battaglia; accogliere questa versione in-duce ad un’altra ipotesi per la marcia d’av-vicinamento: i romani e i loro alleati sareb-bero transitati per il valico di Colfiorito, seguendo quell’antico percorso che fu poi sostituito dalla via Flaminia.

La questione della partecipazione di consistenti contingenti umbri ed etruschi, forse va affrontata sia valutando per quan-to scrive Livio sull’esito dello scontro nel-l’ipotesi che questi fossero stati presenti, sia alla luce dell’episodio dei disertori chiusi-ni (testimonianza, peraltro, delle tensioni politiche e sociali nelle città etrusche) che avrebbero suggerito a Q. Fabio Rulliano di convincere i comandanti delle forze roma-ne lasciate a coprire Roma di avanzare in territorio etrusco operando razzie e distru-zioni. È però probabile che questa campa-

gna diversiva fosse stata già decisa non ap-pena percepito che il più forte contingente militare etrusco si trovava con i Sanniti e gli altri coalizzati. Per l’atteggiamento de-gli Umbri si può formulare un’altra ipotesi; innanzitutto non tutte le comunità erano schierate nell’alleanza antiromana. Inoltre i Galli erano o Senoni, che avevano strap-pato terre agli Umbri, o addirittura nuo-vi venuti, corrispondenti ad un’ulteriore spinta migratoria. Per di più non potevano mancare, proprio fra i già inquietanti Galli, mercenari, come si può evincere tanto dal testo di Livio quanto dal fatto che la greca Ancona, fondata dai siracusani all’inizio del IV secolo, era un centro di raccolta appun-to per tale tipo di truppe che costituivano il nerbo degli eserciti delle città italiote e siceliote. Tutto ciò poteva permettere, agli occhi degli Umbri, l’aggregarsi di realtà ben più destabilizzanti dei Romani: un contatto diretto con i contingenti galli può averli indotti ad una politica più prudente, considerando anche le scelte dei Piceni.

I Piceni (Picentes) erano un popolo ita-lico di lingua osco-umbra, stanziato

nel Piceno settentrionale almeno dal V sec. a.C. Secondo Plinio il Vecchio - con una versione però non concorde con altri autori antichi - sarebbero ve-nuti dalla Sabina ed il loro nome sarebbe dovuto al picchio (picus), uccello sacro a Marte, sotto la cui guida, avrebbero mi-grato nell’ambito di un ver sacrum inse-rendosi così in un territorio caratteriz-zato da una cultura fiorita dall’VII sec. a.C. - definita “medio-adriatica” - non priva di significative sub regioni.

I Piceni, organizzati in una lega, ave-vano in Ausculum il loro centro più im-portante e presso l’attuale Cupra Marit-tima il santuario dedicato alla dea Cu-pra, luogo di scambi con Umbri, Etru-schi, Greci, Dauni e forse uno dei punti di riferimento della “via dell’ambra”. La società picena appare gerarchicamente

I PICENI, SPETTATORI NEUTRALIarticolata, con al vertice un’aristocrazia guerriera. I corredi funerari maschili evidenziano, con abbondanti armi offensive e difensive, continuamen-te aggiornate nelle fogge, probabili indizi di una diffusa pratica di mercenariato. Agli inizi del IV secolo si verificarono eventi che avviarono la destrutturazione della cultura picena: invasione dei Galli Senoni, che danneggiò an-che i vicini Umbri, e la fondazione della colonia greca di Ancona.

I Piceni, che precedentemente avevano raggiunto accordi con Roma, non aderirono alla grande coalizio- ne antiromana, molto probabilmente perché minacciati al Nord dai Galli e dai Sanniti a Sud - e forse anche dagli stessi Umbri a Occidente - preferendo restare neutrali, al-leandosi poi con i romani all’inizio del III secolo.

Sotto, il probabile itinerario seguito dall’esercito sannita, nel 296 a.C., per raggiungere i territori umbri ed etruschi, e, nell’anno seguente, i possibili percorsi seguiti dai Sanniti e dagli eserciti consolari di Decio e Fabio per raggiungere i territori sentinati.

L’area picena ha risentito dei contatti con le culture delle genti confinanti e, via mare, con il mondo greco. All’ inizio del III sec. a.C. gli apporti culturali più significativi venivano dai Galli Senoni. Sotto, un ipotetico guerriero piceno, con elmo e spada di tipo gallico; l’unico carattere peculiare piceno è il pettorale, ricordo di usi più arcaici.

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SENTINUM, 295 a.C.18 SENTINUM, 295 a.C. 19

Lo schieramento degli eserciti per la battaglia del Sentino, viene descritto

da Livio nel Decimo Libro: i Galli si dispo-sero a destra e i Sanniti a sinistra. Da que-sto passo si evince che semmai contingenti umbri ed etruschi, non citati dalle fonti antiche, avessero preso parte agli scontri, è indubbio che il loro apporto fu minimo. I Romani, oltre alle quattro legioni, aveva-no inoltre contingenti alleati (soprattutto, probabilmente, dalla Lega Sabellica, forniti da Marrucini, Marsi, Peligni e Vestini oltre a Frentani) e Latini. Oltre a ciò i Consoli potevano allineare, alle estreme ali, anche mille cavalieri scelti mandati dai Campa-ni, oltre alla cavalleria romana. La mancata esplicita citazione degli alleati della Lega Sabellica forse dipende dall’atteggiamento degli storici romani dopo la guerra sociale. I Galli avevano una consistente compo-nente di cavalleria e utilizzarono anche i combattenti sui carri, gli Essediari.

Livio specifica, anche nella narrazione della battaglia, che Celti e Sanniti aveva-no accampamenti diversi e inoltre indica la distanza da quello romano: 4 miglia, circa 6 chilometri. Gli schieramenti fanno pen-sare, da un’analisi del testo liviano sull’an-damento della battaglia, a due dispositivi separati sia per i Romani che i per i loro avversari. Sempre secondo Livio, gli eser-citi contrapposti schieravano un ugual nu-mero di combattenti tanto che scrive: «[...] al primo scontro si lottò con tale parità di forze che, se ci fossero stati gli Etruschi e

GLI SCHIERAMENTI IL CAMPO DI BATTAGLIASotto, schema dello schieramento degli eserciti, come descritto da Livio: Fabio schierò come ala destra romana, la prima e la terza legione, avendo di fronte i Sanniti e Decio la quinta e la sesta legione alla sinistra, avendo di fronte i Galli. Alle legioni romane si aggiungevano contingenti alleati (disposti sulle ali) che Livio descrive “maggiori di quelli romani”.Umbri ed Etruschi, secondo Livio richiamati nei propri territori dalle distruzioni apportate dagli eserciti in un primo tempo posti a difesa di Roma, erano forse presenti sulle ali con piccoli contingenti, assieme, è possibile, a Sanniti accanto ai Galli e cavalleria gallica sull’estrema di quella sannita.

L’identificazione del luogo dove si svol-se la battaglia del Sentino, ha suscita-

to un dibattito che non trova ancora con-cordi gli studiosi. Possiamo in questa sede proporre alcune delle ipotesi più significa-tive, tenendo presente che una recentissi-ma proposta di Giulio Firpo intende indi-viduare l’area della battaglia in Etruria, tra Chiusi e Rapolano.

L’erudito fabrianese Filippo Montani, già alla metà del XVIII sec., pensò di po-ter indicare, per il luogo della battaglia del Sentino, l’ampia pianura di Fabriano, ma tale ipotesi non ha retto alla critica suc-cessiva. Paolo Sommella, considerando che Livio tra gli autori antichi è l’unica fonte che fornisce qualche elemento di ricono-scimento, fa un attento esame del testo confrontandolo con evidenze topografiche, propone, nel Comune di Sassoferrato, la zona dall’uscita est alle gole di Scheggia, a nord ovest fino a Monterosso e a Nord-Est fino a Civitalba, ponendo nell’allineamen-to di queste due località gli accampamenti dei Galli e dei Sanniti, e quello romano

gli Umbri [...] si sarebbe dovuta subire una sconfitta». Livio scrive inoltre che altri due eserciti romani erano acquartierati, uno nel territorio dei Falisci e l’altro nell’agro vaticano, agli ordini dei propretori Cneo Fulvio e Lucio Postumio Megello, e che la seconda e la quarta legione, con il procon-sole Lucio Volumnio, erano nel Sannio.

Esercito di Publio Decio Esercito di Quinto Fabio

Ala sociorum Legio V Legio VI Legio I Legio III Ala sociorum

Cavalleria romana e alleataCavalleria romana e alleata

Esercito gallico Esercito sannita

Cavalleria

Carri da guerra

Cavalleria

nella zona di Stavellina; considera inoltre il Fosso Sanguerone come il limite tra lo schieramento dei galli contro Publio De-cio Mure ad Ovest del corso d’acqua e quello dei Sanniti contro Quinto Fabio Rulliano ad Est. Umberto Moscatelli ha offerto un’ulteriore precisazione per l’area di Sassoferrato, considerando altri possibili percorsi di avvicinamento degli eserciti e soprattutto i problemi relativi all’impiego da parte dei Galli dei carri e delle difficol-tà di collegamento e comunicazione tra le due ali dello schieramento romano già evidenziate nello stesso scritto del Som-mella. Moscatelli ipotizza che ad Ovest del Sanguerone, tra Piano e Casaldana, vi fu lo scontro fra Decio e i Galli, mentre Fabio ad Est dell’attuale Sassoferrato, nella Piana a sinistra del Sentino. V’è anche l’ipotesi di Stefano Lumini che incentra la battaglia a Nord-Ovest di Sassoferrato, tra l’attuale stazione di Monterosso e il Piano, avendo Monte Ludriano come separatore tra le ali romane e tra Galli e Sanniti, con gli schie-ramenti rispettivamente a Sud e a Nord.

Sull’Ager Sentinas citato da Duri-de e da Polibio, in greco, non si

sono trovate, fino a Livio, ulteriori specificazioni topografiche, nemme-no dal punto di vista archeologico. All’idronimo Sentinum si collega la fondazione della città romana cono-sciuta come municipio di Sentinum, iscritto alla tribù Lemonia e, nella divisione augustea dell’Italia, risulta nella VI regione, l’Umbria. Ancora oggi il corso d’acqua ha l’antichissi-mo nome di Sentino. Un’ulteriore os-servazione può essere fatta sulle pa-role latine sentis (pruno, spino, rovo) e sentosus (coperto di spine) e sentus (spinoso, orrido, aspro), aprendo un interessante dibattito sull’origine e il significato, anche alla luce di aspetti di natura glottologica, legati alle vi-cende del popolamento e delle cultu-re succedutesi in quell’area.

L’AGER SENTINATE

Le notizie disponibili sulle guerre sannitiche ed in particolare sulla

battaglia di Sentinum dipendono da Tito Livio e da Polibio. La testimonianza più antica proviene da un frammento, con-servato da Diodoro Siculo, di Duride da Samo (340-260 a.C.) contemporaneo dell’evento.

Polibio, nato a Megalopoli in Acaia, poco prima del 200 a.C. e morto ul-traottantenne, fu tra i mille ostaggi con-dotti a Roma dopo la battaglia di Pidna. Scrisse la propria opera, di cui solo una parte resta integra, particolarmente at-tenta al mondo romano, che in quegli anni era ormai la potenza egemone del Mediterraneo. Il riferimento di Polibio alla battaglia di Sentinum è assai conciso,

LE FONTI LETTERARIEi suoi scritti però sono la fonte di notizie più complete ed affidabili sull’esercito romano repubblicano, pur riferendosi ad un periodo posteriore di mezzo secolo.

Dei 142 libri dell’opera di Tito Livio sulla storia romana dalle sue origini ne sono sopravvissuti solo 35 (i primi dieci e dal XXI al XLV), mentre degli altri sono conosciuti frammenti o epitomi.Nel libro X si ha la trattazione più am-pia a noi pervenuta sulla battaglia di Sentino e sulla Guerra Italica. Vissuto in epoca augustea (Padova 19 a.C.-17 d.C.), la sua opera utilizzò fonti quali gli annali dei pontefici massimi, storici precedenti, latini o greci, recuperando scritti di eruditi (come le Origines di M. Porcio Catone) e tradizioni orali.

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SENTINUM, 295 a.C.20 SENTINUM, 295 a.C. 21

Salvo forse gli scontri tra falangi, nei quali l’impatto diretto tra le due masse

era cercato da entrambe le parti, le battaglie all’arma bianca non erano quell’assalto su tutta la linea a cui segue un caotico corpo a corpo che si vede in tanti film. Si trattava piuttosto di una continua ricerca di un ce-dimento nello schieramento avversario, con assalti limitati ed eventuali soste o ritirate. L’esito era spesso deciso prima dell’impatto e una serie fortunata di lanci di proiettili uniti alla semplice minaccia di un’avanzata decisa poteva procurare il panico in alcuni delle linee avversarie, creando quei varchi che i combattenti più intraprendenti tra gli assalitori potevano sfruttare; allo stes-so modo, dopo un’avanzata non riuscita, una ritirata condotta male poteva portare allo stesso grado d’instabilità del fronte. La maggior parte delle uccisioni avveniva nel momento in cui uno o più settori del fronte perdevano compattezza e il nemico pentrava in profondità nello schieramento; a quel punto il panico poteva dilagare e gli attaccanti avevano facile ragione dell’in-controllata massa dei nemici in fuga, fa-cendo strage.

Non fa eccezione la battaglia del Senti-num, durante la quale la maggior parte del tempo vide una serie di azioni di disturbo da parte della fanteria leggera, unite a li-mitate avanzate della fanteria pesante che, più volte si limitò, probabilmente, al lancio

LO SCONTRO INIZIALE E IL SACRIFICIO DI DECIO MURE

dei pila senza arrivare al corpo a corpo con le spade.

Questo è senz’altro vero per le forze al comando di Q. Fabio Rulliano, che preferì tenere un atteggiamento difensivo, lascian-do stancare i Sanniti in una serie di piccoli assalti inconcludenti. Diversamente, Decio Mure, che secondo Livio era più irruen-te a causa della più giovane età, impiegò subito al primo scontro la maggior parte delle forze disponibili. L’errore fu tanto più grave perché era noto che i Galli erano terribili e impetuosi combattenti che però mal sopportavano fatica e calura e, dopo i primi assalti, perdevano rapidamente vi-gore (Livio dice: «All’inizio dello scontro erano più che uomini, alla fine risultavano essere meno che donne»). Poiché gli attac-chi delle fanterie non sembravano avere l’impeto necessario per raggiungere lo sco-po, impegnò nella mischia la cavalleria, in particolare i cavalieri campani, a cui si unì egli stesso.

Al secondo assalto la cavalleria gallica era in fuga e i romani stavano ormai im-pegnando la fanteria avversaria quando da dietro le file nemiche comparve un’arma sconosciuta ai romani. Alcune centinaia di carri da guerra venivano alla carica con un enorme polverone e frastuono di ruote. Molti cavalli, spaventati da quei mezzi ru-morosi sbalzarono di groppa i loro cavalieri (cosa non difficile, vista la mancanza delle

L a devotio era l’atto con cui un comandante si sacrifi-cava votando la propria vita alla divinità (principal-

mente agli dèi degli inferi, o Mani), insieme all’esercito nemico allo scopo di ottenere la sua distruzione. Al tem-po in cui scrisse Livio, era una pratica ormai scomparsa. Nel libro VIII, egli descrive la cerimonia a cui si sotto-pose Decio Mure padre prima di morire avventandosi tra le schiere latine nella battaglia del Veselis o Suessa.

Il pontefice massimo gli fece indossare la toga prae-texta (bordata di porpora, usata dai magistrati) con un lembo a coprirgli il capo, tenendo il mento con una mano e con i piedi sopra un giavellotto. Pronunciò poi la seguente formula rituale, ripetuta da Decio: «Oh Giano, Giove, Marte padre, Quirino, Bellona, Lari, Divi Novensili, Dèi Indigeti, dèi che avete potestà su noi e i nemici, Dèi Mani, vi prego, vi supplico, vi chiedo e mi riprometto la grazia che voi accordiate propizi al po-polo romano dei Quiriti potenza e vittoria, e rechiate terrore, spavento e morte ai nemici del popolo romano dei Quiriti. Così come ho espressamente dichiarato, io immolo insieme con me agli dèi Mani e alla Terra, per la Repubblica del popolo romano dei Quiriti, per l’esercito per le legioni, per le milizie ausiliarie del popolo romano dei Quiriti, le legioni e le milizie ausiliarie dei nemici». Recitata la formula rituale, Decio indossò la toga alla maniera dei Gabi, annodata in vita, e si gettò tra le file nemiche dove trovò la morte.

Il comandante poteva anche scegliere al suo posto un legionario. Se l’uomo moriva, la scelta era considerata ben fatta; se non moriva, si sotterrava una statua e si faceva un sacrificio espiatorio; era vietato ai magistrati passare sopra il luogo di sepoltura di questa statua. Se era il comandante a votarsi e a non morire, non poteva più compiere alcuna cerimonia religiosa. Anche l’arma su cui si pronunciava il rito diveniva sacra.

LA DEVOTIOstaffe) e fuggirono. La cavalleria ormai in fuga investì anche la propria fanteria men-tre i guerrieri celti, da bordo dei loro carri lanciavano giavellotti, scompaginando an-cor più le formazioni romane.

A quel punto la fanteria gallica, imbal-danzita dal cedimento romano, passò al-l’assalto dei manipoli nemici che iniziarono a cedere in preda al panico, mentre Decio cercava invano di trattenere fuggitivi.

Rendendosi conto di non poter mante-nere il controllo sui propri uomini, decise di seguire l’esempio di suo padre nella guerra contro i Latini. Chiamò a sè il pontefice Marco Livio e gli ordinò di recitargli la formula della devotio, con cui sacrificare se stesso, assieme all’esercito nemico, agli dèi. Alle parole del rito già pronunciate dal pa-dre, aggiunse: «Io getto davanti a me paura, fuga, massacro e sangue, l’ira degli dèi ce-lesti e infernali». Maledisse le insegne e le armi nemiche unendo la sua rovina a quella dei Galli e dei Sanniti. Affidati al pontefice i littori, come simbolo di comando, anno-dò alla vita la toga pretesta, con un lembo a coprire il capo e spronò il cavallo dove le schiere galliche erano più compatte, of-frendo il proprio corpo ai dardi nemici.

Incitati dal pontefice Livio ad una vit-toria ormai certa, grazie al sacrificio che portava gli dèi dalla loro parte, i romani si ricompattarono, anche grazie ai rinforzi mandati da Quinto Fabio (forse dalla linea dei triarii della I legione, la più vicina) e contrattaccarono. Forse, più che il sacrifi-cio di Decio, alla ripresa dei romani valse la stanchezza dei galli, spossati dalla fatica e dalla sete della calura estiva.

In basso, uno schema ipotetico delle fasi iniziali della battaglia. Mentre l’ala destra romana, mantiene un atteggiamento difensivo, l’ala sini-stra attacca in più punti e la cavalleria romana e campana mettono in fuga quella gallica, mentre la fanteria, in particolare l’ala sociorum, approfitta dello sbandamento nemico. Ma i carri galli si muovono....Nella pagina a fron-te, i carri, insieme a parte della ricom-posta cavalleria celta, mettono in fuga quella romana e penetrano nelle disorganizzate file romane, sospinte dall’intera fanteria gallica. Dietro alle linee, avanzano i manipoli dei triarii della I legione.

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SENTINUM, 295 a.C.22 SENTINUM, 295 a.C. 23La fase cruciale dello scontro. La cavalleria romana è messa in fuga dai carri da guerra dei Galli (a sinistra, sullo sfondo), mentre la fanteria gallica approfitta dello sbandamento delle linee romane per penetrare a fondo tra i manipoli. In primo piano, si vedono sopraggiungere i triari per fermare l’attacco celtico.Al centro, avvolto nella toga pretesta (bordata di porpora), in groppa ad un cavallo nero, Decio Mure, dopo la Devotio, si lancia conto la masssa dei Galli. All’estrema destra, un tribuno, a cavallo, indica ai combattenti il sacrificio di Decio; più sotto, il pontefice Marco Livio, affiancato dai Littori, incita anch’egli i legionari al combattimento.In lontananza, dietro al tribuno, si intravedono fronteggiarsi le schiere sannite e l’esercito di Fabio Rulliano.

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SENTINUM, 295 a.C.24 SENTINUM, 295 a.C. 25

Con la ripresa dei romani, i Galli ser-rarono i ranghi, scudo contro scudo,

impedendo il corpo a corpo. I primi pre-sero a bersagliarli con pila e giavellotti an-che raccolti al suolo. Pur non trafitti molti Galli caddero tramortiti o ebbero gli scudi inutilizzabili per le lance infisse che li sbi-lanciavano, aprendo così pericolose brecce.

All’ala destra Fabio era riuscito a tempo-reggiare, aspettando che la fatica si facesse sentire tra i Sanniti. Quando si accorse che gli assalti nemici avevano perso di vigore, ordinò alla cavalleria di avanzare sul fianco avversario ed alla fanteria di avanzare passo passo, stanando il nemico dalle posizioni su cui era attestato. Resosi conto che i Sanniti, a causa della spossatezza, non opponevano una seria resistenza, lanciò la fanteria al-l’assalto, comprese tutte le riserve, e diede ai cavalieri il segnale per la carica. I nemici non ressero l’urto e le linee si sfaldarono, mentre un numero sempre più consistente di Sanniti si diede ad una fuga precipitosa verso l’accampamento, superando lo schie-

LE FASI FINALI DELLO SCONTROramento dei Galli ed abbandonandoli nella mischia.

I Galli da parte loro, si ricompattarono e riformarono la testuggine (formazione compatta di scudi). Fabio ordinò allora ai 500 cavalieri campani dell’ala destra di cessare l’attacco ai Sanniti per dirigersi alle spalle dei Galli, seguiti dai principes della III legione, allo scopo di colpire quanti stavano scappando dal massacro che stava avvenendo nella testuggine.

Quinto Fabio, con tutti gli uomini rima-nenti, dopo aver promesso in voto un tem-pio e le spoglie nemiche a Giove Vincitore, inseguì i Sanniti in fuga fino all’accampa-mento nemico. Lì, a causa delle porte trop-po strette per far passare l’intera massa di quanti speravano di riparsi all’interno della palizzata, si accalcavano i sanniti a ridosso della trincea, e lì, tra i tanti, cadde Gello Ignazio, il comandante sannita. Ricacciati di là della trincea, con un breve scontro fu conquistato anche l’accampamento.

Tra Galli e Sanniti, i caduti, secondo la

Sotto, schema ipotetico delle fasi finali della battaglia. I galli si chiudono in una formazione compatta mentre i romani dell’esercito di Decio li circondano, coadiuvati dalla cavalleria campana dell’ala destra inviata da Fabio insieme ai sopraggiungenti manipoli dei prinicipi.Il resto delle forze dell’ala destra romana e dei socii, inseguono i sanniti nella loro fuga disordinata.

Guerrieri galli in saccheggio, in un particolare dal fregio templare di Civitalba

valutazione più credibile, furono 25.000, i prigionieri ammontarono ad 8.000. Anche da parte romana, però, le perdite furono pesanti: 7.000 uomini nelle fila di Decio, mentre Fabio soffrì 1.700 caduti. Il corpo di Decio Mure fu rinvenuto due giorni dopo sotto i cumuli dei morti galli e pianto e onorato dal collega e dai soldati. Le spo-glie dei nemici furono accatastate e brucia-te in onore di Giove vincitore.

La battaglia ebbe termine con il massacro dei sanniti in fuga, ammassati presso il fossato dell’accampamento in cui speravano di trovare rifugio. Lì perse la vita anche il comandante sannita Gello Ignazio, qui raffigurato a torso nudo e con un mantello di pelliccia, seguendo la raffigurazione del generale sannita nell’affresco dell’Esquilino (v. pag. 4).

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SENTINUM, 295 a.C.26 SENTINUM, 295 a.C. 27

La battaglia del Sentino, per quanto fondamentale per gli esiti della guerra,

non pose immediatamente fine ai combat-timenti. I Celti si ritirarono a nord, mentre i superstiti sanniti si ritirarono in patria, duramente contrastati nel tragitto dai Peli-gni, schierati a fianco di Roma. Fabio, che decise di non occupare il territorio del Sen-tinum ritirandosi al di là degli Appennini, una volta giunto a Roma ebbe il merita-to trionfo decretato dal Senato. La guerra contro i Sanniti, però, non era ancora finita (quello stesso anno riuscirono a saccheg-giare i territori degli Aurunci) e si protrasse ancora fino al 290 a.C., ma ormai pratica-mente solo all’interno del Sannio.

L’anno successivo alla battaglia del Sen-tino, nel 294, dopo una terribile epidemia che colpì l’Urbe, i romani dovettero ripren-dere le armi contro i Marsi – acquisendo il pieno controllo dell’Italia centrale – e gli Etruschi. Quest’ultimi furono duramente

Carta dell’Italia centro-meridionale al termine della Guerra Italica

GLI EVENTI DOPO SENTINOLE CONSEGUENZE DELLA BATTAGLIA DEL SENTINO E DELLA GUERRA ITALICA

sconfitti e diverse città (Perugia, Arezzo, Cortona) furono costrette ad impegnarsi in un trattato quarantennale. Nel corso dello stesso anno anche gli Umbri scomparvero dalla scena bellica; le loro città divennero alleate di Roma. I Sanniti approfittarono dell’impegno romano sugli altri fronti per colpire in Apulia e nella valle del Liri. Mo-bilitarono inoltre tutti gli uomini disponi-bili in vista di un prossimo attacco romano. In particolare crearono un “corpo speciale” – la Legio linteata, cosiddetta perché con-sacrata entro un recinto di candido lino – i cui membri erano costretti a dedicare la loro vita agli dèi nella lotta contro i nemici; formazioni del genere erano forse già esi-stite in passato.

Soggiogate le popolazioni che era-no state alleate dei Sanniti, il 293 a.C. fu l’anno del crollo sannita anche sul proprio territorio. Due eserciti romani, al comando di Spurio Carvilio e Papirio Cursore, pene-

PICENI

SABIN

I

UMBRI

C E LT I

ETRUSCHI

LIGURI

SANNITII A P I G I

LUCANI

BRUZII

GRECI

CAMPANI

FRENTANI

PRETUZI

VESTINI

MARRUCINI

PELIGNIEQUIMARSI

VOLSCI

SENONI

BOILINGONI

ROMANI

ROMANI SENZA DIRITTO DI VOTO

ALLEATI LATINI

COLONIE LATINE

ALLEATI

MESSAPI

DAUNIRoma

Venusia

Hadria

Interamna

Suessa

SaticulaMalventum

Bovianum

Cominium

Aquilonia

Fulsiniae

Spoletium

trarono da due direttrici, ma sempre a bre-ve distanza l’uno dall’altro, conquistando e saccheggiando lungo la via diverse città, per dirigersi poi su Cominium (nei pressi del-l’odierna Alvito) e Aquilonia (forse Mon-taquila), dove si erano asseragliate le forze sannite. L’esercito di Carvilio conquistò Cominium, contemporaneamente a quello di Papirio Cursore che ad Aquilonia scon-fisse la Legio linteata i cui superstiti si rifu-giarono a Bovianum. La doppia sconfitta, con oltre cinquantamila caduti, fu un colpo da cui i Sanniti non poterono più risolle-varsi, anche se gli scontri continuarono in altre aree del Sannio per altri due anni, fino a che non cessò ogni residua resistenza.

Vasti territori furono incorporati nel-l’ager romano e nella colonia di Venusia, mentre la Lega Sannitica perse molte città e fu costretta ad un trattato di alleanza con Roma, e quindi obbligata a fornire truppe al suo esercito.

I Romani costituivano ormai la potenza egemone in tutta l’Italia centro-meridiona-le. Infatti, oltre che con i Sanniti, in quegli anni di guerra Roma aveva stretto trattati di alleanza con città etrusche e umbre, con i Falisci, i Vestini, i Marruccini, Marsi e Pe-ligni, i Piceni, i Lucani e gli Apuli; aveva incorporato sine suffragio (ossia come citta-dini romani ma privi del diritto di voto) i Sabini e gli Umbri di Spoleto e Foligno, e installò nuove tribù nelle terre sottratte ad Equi e Volsci. Dedusse inoltre numerose colonie, compresa la colonia di Hatria, nel-la terra dei Praetuttii, e di lì a poco quelle di Sena Gallica e Ariminum, ottenendo la sovranità da mare a mare.

Nel 285 i Galli Senoni ripresero la guer-ra saccheggiando il territorio dell’etrusca Arezzo e Roma mandò truppe in aiuto degli etruschi al fine di tutelare la via di comunicazione tra l’Urbe e il centronord. I romani furono però sconfitti e i Galli di-lagarono verso sud. Mario Curio Dentato, per proteggerre Roma, inviò l’esercito non direttamente contro le truppe celtiche ma penetrò invece nel territorio dei Senoni, radendo al suolo tutti i centri abitati, co-stringendo così i Galli a tornare in patria. Ai Senoni si affiancarono quindi Etruschi

e Galli Boi (preoccupati per l’avanzata ro-mana che ora lambiva le loro terre); nel 283 avvenne la battaglia decisiva presso il lacus Vadimonis (l’attuale lago di Bracciano, nel Viterbese). In seguito alla vittoriosa battaglia i romani occuparono le terre dei Senoni (ager gallicus) fondando le colonie di Sena Gallica e, poco dopo, di Ariminum, costituendo così gli avanposti per la succes-siva conquista della pianura Padana, cosa che avvenne dopo la prima Guerra Punica (264-241 a.C.).

I Sanniti, dal canto loro, tentarono un’ultima volta di sollevare la testa unen-dosi a Taranto e al suo alleato Pirro, re del-l’Epiro (a testimonianza della rilevanza as-sunta dalla potenza romana) nelle Guerre Tarantine (282-272 a.C.). Al termine del-la guerra contro Pirro, Roma aveva ormai acquistito il completo controllo sull’intera Italia meridionale, con le città greche che diventarono civitates foederatae.

I Piceni non ebbero sorte migliore: nel 268, accusati (a torto o a ragione), in se-guito alla guerra contro Pirro, del mancato rispetto dei patti sottoscritti, vennero in-vasi e sconfitti presso Ascoli Piceno, e dal quel momento diventarono fedeli alleati di Roma anche durante i tempi duri delle guerre puniche.

La definitiva sistemazione del territorio italiano si ebbe solo nel 91-89 a.C., dopo la sanguinosa Guerra Sociale, al cui termine tutte le popolazioni italiche (confederati, sine suffragio, colonie latine) ottennero la cittadinaza romana a pieno titolo.

PICENI

C E LT I

ETRUSCHI

Roma SANNITI

CARTAGINESI

Cosa

Sena GallicaAriminum

Asculum

Paestum

Tarentum

Syracusae

Beneventum

GRECI

UMBRI

L’Italia nel 268 a.C., dopo le guerre tarantine e l’occupazione del Piceno

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SENTINUM, 295 a.C.28 SENTINUM, 295 a.C. 29

Abreve distanza da Sassoferrato, in direzione di Fabriano e del valico

di Scheggia, si trova l’importante sito ar-cheologico dell’antico municipium di Sen-tinum, sorto probabilmente nel I sec. a.C., in seguito alla Guerra Sociale, che diede definitiva sistemazione alle popolazioni locali con la concessione della cittadinan-za romana. Quando Polibio, nel II secolo, parla di “territorio dei sentinati” si riferisce forse all’intera comunità politica (pagus) dei villaggi rurali (vicus) dell’area attorno al fiume Sentino o all’oppidum (approssima-tivamente, villaggio fortificato) celtico di Civitalba, probabile “capoluogo” del pagus.

Da Civitalba provengono i resti del frontone e dei fregi in terracotta di un tempio risalenti al II sec. a.C. Il fregio rappresenta dei galli in fuga dopo un sac-cheggio, tema di genere riferito al saccheg-gio del santuario di Delfi e ampiamente diffuso dall’età elleneistica, che potrebbe però rappresentare anche un richiamo alla battaglia combattuta in quei luoghi pochi decenni prima.

Per quanto riguarda la civita di Senti-num, sono stati finora sottoposte a scavo alcune strade lastricate (il cardo massimo, un altro cardo e tre decumani) che testi-moniano l’impianto urbano ortogonale, un edificio adibito a fonderia, un’insula e un importante impianto termale, con una

Sopra, la collina di Civitalba (in alto) e incrocio tra cardo e decumano.

IL SITO ARCHEOLOGICO DI SENTINUM

grande piscina rettangolare circondata da un ampio peristilio, attorno a cui si distri-buiscono i vari ambienti termali; di altri edifici (forse pubblici) sono stati rimessi in luce solo tratti murari. È riconoscibile un’ampia parte del tracciato delle mura di-fensive che racchiudevano la civita, di cui è stato scavato un settore nell’angolo nord-occidentale, rinvenendo un fortino con una torre circolare.

All’esterno delle mura, a ridosso della chiesa di Santa Lucia, è stato recentemente sottoposto a scavo un edificio con impianti termali, forse facenti parte di una mansio (una sorta di albergo per viaggiatori).

Assediata da Augusto durante la guer-ra dei Triunviri (terre sentinati erano state assegnate ai veterani di Antonio dopo la guerra civile seguita alla morte di Cesare) nei due secoli successivi la città godette di notevole benessere economico.

Nel III sec. a.C., in seguito alla crisi più generale crisi economica dello Stato ro-mano, Sentinum ebbe un periodo di crisi da cui non si risollevò più fino a quando la città venne abbandonata in seguito alle prime invasioni barbariche e alle più tarde Guerre Gotiche che devastarono comple-tamente la regione.

Chiuso nel 1997 in seguito al terremo-to, il Museo Civico Archeologico di

Sassoferrato è stato riaperto nel 2006 con un nuovo prestigioso allestimento curato dall’architetto Robert Einaudi.

Oltre ad una sala dedicata ai reperti che attestano la frequentazione del territorio sentinate in età preistorica, e vetrine che accolgono le ceramiche cinquecentesche rinvenute nei recenti scavi all’interno dello stesso palazzo che ospita il museo, l’esposi-zione è incentrata sui reperti provenienti dalla città romana di Sentinum.

Più evidente in-dizio della notevole ricchezza dell’antica città è il gran nume-ro di mosaici rinve-nuti, alcuni dei quali ancora in situ (alcuni reinterrati e noti per dei disegni eseguiti al tempo dei vari scavi). Il mosaico più famo-so è quello raffigurante Aion (divinità del tempo eterno) noto fin dall’inizio dell’ot-tocento e conservato nella Gliptoteca di Monaco, di cui il Museo di Sassoferrato espone una pregevole copia.

Diversi altri mosaici pavimentali sono esposti in originale: la rappresentazione del ratto di Europa da parte di Zeus sotto le spoglie di un toro, il frammento di un grande mosaico con tritoni, e uno con la semplice decorazione a stelline di tessere

IL MUSEO DI SASSOFERRATOA centro pagina, il mosaico conservato a Monaco, esposto in copia a Sassoferrato), raffigurante Aion, divinità del tempo eterno (mentre Chronos è la divinità del tempo contingente, legato alle vicende umane).In basso, a sinistra, il mosaico raffigurante il ratto di Europa da parte di Zeus sotto forma di toro; a destra, parte del grande mosaico con mostri marini.

In alto, a destra, gli scavi dell’impianto termale extra-urbano nei pressi della chiesetta medievale di Santa Lucia, e la ricostruzione delle terme.

nere geometricamente distribuite su fondo bianco. L’allestimento riproduce idealmen-te l’ingombro dei muri delle stanze in cui si trovavano in origine.

La sala dedicata alla statuaria presenta frammenti di alcune sculture in marmo, tra cui un busto loricato (ovvero con corazza anatomica), un busto della dea Iside, un frammento di una statua in origine forse riproducente la fuga di Enea da Troia, e al-cune teste non integre.

Sempre frammen-tari, ma interessanti, sono alcuni elementi architettonici esposti. Ugualmente interes-santi i monumenti funerari (steli, urne cinerarie marmoree e un frontone) e il repertorio epigrafico. Quest’ultimo riporta documenti ufficiali con cui le associazio-ni dei commercianti di Sentinum e Ostra

conferivano a personaggi di spicco il titolo di patronus, cioè di protettore.

Alcune vetrine ospitano testimonianze della vita quotidiana in epoca romana con monete e ceramiche e vasellame da cucina.

Una sala al pianterreno ospita un plasti-co rappresentante la battaglia di Sentinum realizzato con un totale di quasi 4000 sol-datini di 15 mm di altezza colorati a mano. Gli autori sono i membri dell’associazione “Cantiere della memoria”.

In basso e a destra: vista aerea e mappa degli scavi. Il ponte ferroviario segue lo stesso percorso di un ponte romano distrutto durante l’ultima guerra.

Terme

Decumano

Fonderia

Cardo Massimo

Fortino

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SENTINUM, 295 a.C.30 SENTINUM, 295 a.C. 31

Sorto nel 1860, il Museo dal 1958 ha sede nel prestigioso complesso archi-

tettonico del Palazzo Ferretti. Il moderno allestimento inaugurato nel 1988, dopo le tristi vicissitudini del periodo bellico e del terremoto del 1972, permette la visita, con un percorso cronologico continuo, delle Sezioni Preistorica e Protostorica, quest’ul-tima incentrata sulla Civiltà Picena (X-III sec. a.C.) e sui Galli Senoni (IV-II sec. a.C.), che costituisce la maggiore at-trattiva del museo.

Di prossima apertura la Sezione Romana che ospiterà preziosi reperti tra cui il fregio e il frontone in terra-cotta da Civitalba, già da ora in esposi-zione; riproposto in copia ricostruttiva, sul terrazzo più alto che domina la vista dal porto, è esposto il celebre gruppo dei Bronzi dorati di Cartoceto (già ospitato dal Museo di Ancona ed ora a Pergola), che un’ipotesi lo vuole proveniente proprio da Sentinum.

Come già detto, sono di notevolessimo interesse le collezioni dei reperti Pice-ni, provenienti sia dall’area nord-picena (come Novilara) che

Sopra, corona d’oro e torques da Montefortino.A centro pagina, elmo gallico da Filottrano.A destra, fregio con scena di saccheggio da parte di guerrieri galli (sopra) e frontone templare (sotto) raffigurante l’incontro tra Dioniso e Arianna, entrambi da Civitalba.

IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DELLE MARCHE

sud-picena (Ancona, Fa-briano, Pitino, Castelbel-lino, Cupra Marittima, ecc.).

Gli ultimi secoli della Civil-tà picena, quelli riferibili al periodo preso in esame in questo lavoro, sono relativamente carenti in quanto a reperti venuti alla luce, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto

militare. Si può comunque afferma-re che continua e forse si accentua l’influsso culturale di altre civiltà, in particolare quella greca (dai porti di Ancona e Numana) e gallica.

Molto ricche anche le collezioni dei reperti dei Galli Senoni, provenienti soprattutto dalle necropoli di Filottrano e Arcevia. Interessanti anche dal punto di vista degli aspetti bellici, i corredi fune-

bri comprendono armi (lance e spade da taglio, spesso piegate per ren-

derle inutilizzabili, a scopo di offerta religiosa), elmi, tra cui il celebre elmo da Montefor-tino, che ha dato il nome a tutta questa tipologia di elmi diffusi in tutta l’area italica, e monili legati allo status di guerriero, quali i torques.

Pag. 3 Prefazione

4 L’Italia prima e dopo le Guerre Sannitiche

5 La prima Guerra Sannitica

6 La seconda Guerra Sannitica

7 La III Guerra Sannitica e la “Lega delle Nazioni” Gli interventi dalla Grecia nel IV sec.

8 L’esercito romano: la legione e la formazione manipolare

10 L’esercito romano: velites, hastati. principes, triarii, equites, socii, extraordinarii

Gli alleati di Roma

12 I nemici di Roma: i Celti e i Sanniti Le formazioni di combattimento

14 I nemici di Roma: Etruschi ed Umbri

15 Gli antefatti politico-militari alla battaglia

16 Gli eserciti verso Sentino I Piceni, spettatori neutrali

18 Gli schieramenti L’ager sentinate

19 Il campo di battaglia Le fonti letterarie

20 Lo scontro iniziale e il sacrificio di Decio Mure La Devotio

24 Le fasi finale dello scontro

26 Gli eventi dopo Sentino. Le conseguenze della battaglia del Sentino e della Guerra Italica

28 Il sito archeologico di Sentinum

29 Il museo di Sassoferrato

30 Il Museo Archeologico Nazionale delle Marche

INDICE

Sopra, elmo gallo-italico in bronzo da Montefortino. In alto a destra: testa di guerriero piceno da Numana (V sec. a.C.)

PER APPROFONDIRE

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