SEMEIOTICA E METODOLOGIA MEDICA Indice · 2016. 6. 20. · SEMEIOTICA E METODOLOGIA MEDICA Indice...

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SEMEIOTICA E METODOLOGIA MEDICA Indice Introduzione pag. 2 L'anamnesi 4 SEGNI E SINTOMI Dolore 6 Anoressia, nausea, vomito, rigurgito 14 aritmie 16 Coma 22 Disfagia 25 Dispnea 26 Febbre e distermie 27 Dita a bacchetta di tamburo 31 Edema 32 Shock 34 Sincope 35 SEMEIOTICA DEGLI APPARATI Semeiotica dell'apparato respiratorio e del mediastino 37 Semeiotica dell'apparato cardiaco 47 Semeiotica dei vasi arteriosi 59 Semeiotica dei vasi venosi 62 Semeiotica dell'apparato digerente 63 Semeiotica del sistema nervoso 67

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  • SEMEIOTICA E METODOLOGIA MEDICA

    Indice

    Introduzione pag. 2

    L'anamnesi ” 4

    SEGNI E SINTOMI Dolore “ 6

    Anoressia, nausea, vomito, rigurgito “ 14

    aritmie “ 16

    Coma “ 22

    Disfagia “ 25

    Dispnea “ 26

    Febbre e distermie “ 27

    Dita a bacchetta di tamburo “ 31

    Edema “ 32

    Shock “ 34

    Sincope “ 35

    SEMEIOTICA DEGLI APPARATI Semeiotica dell'apparato respiratorio e del mediastino “ 37

    Semeiotica dell'apparato cardiaco “ 47

    Semeiotica dei vasi arteriosi “ 59

    Semeiotica dei vasi venosi “ 62

    Semeiotica dell'apparato digerente “ 63

    Semeiotica del sistema nervoso “ 67

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    INTRODUZIONE AL CORSO DI SEMEIOTICA E

    METODOLOGIA MEDICA

    La semeiotica medica studia i segni ed i sintomi che permettono di iniziare

    l’iter che conduce alla formulazione della diagnosi clinica di malattia. Essa fornisce

    anche la metodologia per assemblare insieme segni e sintomi e formulare un

    ventaglio di possibilità (diagnosi di malattia più probabile e diagnosi differenziale fra

    le malattie che, come quasi sempre avviene, condividono sintomi e segni comuni).

    Il metodo per giungere alla diagnosi è, quindi, quello di approcciare il paziente,

    dapprima ascoltandolo per raccogliere ed organizzare i sintomi (anamnesi), poi

    visitandolo per raccogliere i segni (esame obiettivo) e formulare, in base alla propria

    conoscenza delle malattie, (studiate nelle patologie sistematiche) un elenco di

    possibilità diagnostiche che condividano i sintomi ed i segni riscontrati (diagnosi

    differenziale).

    Questo procedimento, però, nel nostro corso, non può che essere rudimentale

    perché, nell’attuale ordinamento didattico, l’insegnamento della semeiotica fa parte

    delle materie pre-cliniche, e, come tale, si rivolge a studenti che non conoscono

    ancora la nosografia delle malattie. Per questo motivo il corso, oltre che a definire

    correttamente i segni ed i sintomi più importanti, non può che dare i rudimenti

    metodologici che verranno poi ripresi ed affinati nello studio delle patologie

    sistematiche, per essere poi definitivamente messi in pratica nei corsi di medicina

    interna e di chirurgia generale. Il corso ha il compito di preparare l’allievo al

    linguaggio ed al ragionamento usato dal medico. Per la prima volta egli sente parlare

    in “linguaggio clinico” che è tipico del modo di pensare del clinico, abituato di

    frequente a rimanere nell’incertezza diagnostica. Ad esempio si sentirà definire una

    malattia a patogenesi “essenziale” o “idiopatica” termini utilizzati per indicare che la

    patogenesi è sconosciuta, mentre al contrario una malattia è “secondaria a…” quando

    la patogenesi dipende da processi noti. Lo studente che ha assimilato bene i concetti

    che fanno parte del corpo dottrinale, sarà in seguito facilitato a recepire con una certa

    facilità lo studio delle patologie sistematiche, perché ha imparato a conoscere il

    linguaggio ed il ragionamento adoperato dalla clinica.

    Durante l’assimilazione dei concetti deve essere sempre chiaro nella mente

    dello studente che essi serviranno quando, affrontando lo studio delle malattie

    (patologie sistematiche), sapranno ritrovarli e avranno modo di inserirli in un

    contesto più organico.

    Il corso è stato preparato con meticolosità, non solo nella selezione degli

    argomenti ritenuti fondamentali, ma anche nel modo con cui essi sono stati esposti,

    privilegiando la semplicità e la chiarezza.

    Gli argomenti sono stati rivisti dai colleghi che insegnano le varie discipline

    della patologia sistematica, per ottenere una “cerniera” con gli insegnamenti

    successivi.

    Una viva raccomandazione è quella di utilizzare l’internato obbligatorio per

    mettere subito in pratica i concetti appresi nel corso, in particolare durante la raccolta

    e la stesura dell’anamnesi e l’esecuzione dell’esame obiettivo, vera e propria palestra

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    per lo studente, che gli permetterà di familiarizzare sia con le difficoltà di estrarre dal

    racconto del paziente gli elementi utili e tradurli in terminologia clinica, sia con le

    difficoltà nel rilievo dei segni. Si ricordi che la raccolta corretta dell’anamnesi e

    l’esecuzione di un accurato esame obiettivo costituiscono i passi fondamentali

    necessari per formulare in seguito la diagnosi e la diagnosi differenziale delle

    malattie che condividono i segni ed i sintomi. La raccolta dell’anamnesi, non solo dal

    paziente, ma anche dai suoi familiari, prevede capacità che si possono acquisire solo

    con l’esperienza. Il linguaggio del paziente è semplice, spesso lacunoso, che può

    sviare dai processi morbosi più importanti di cui è affetto. I sintomi dovranno essere

    accuratamente rilevati e tradotti in linguaggio clinico. Il successivo studio delle

    patologie sistematiche sarà meglio compreso dopo aver imparato a visitare

    correttamente il paziente.

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    L’ANAMNESI

    L’anamnesi rappresenta quasi sempre il primo passo che apre l’incontro fra

    medico e paziente. I vecchi clinici riferivano cha “la diagnosi accurata deriva da

    un’anamnesi meticolosa” oppure che “la diagnosi si basa soprattutto sull’anamnesi”.

    Nonostante il vertiginoso progresso tecnologico, è difficile oggi contestare la validità

    di queste asserzioni per cui l’anamnesi rimane tuttora un caposaldo della visita al

    paziente. Gran parte della cultura medica oggi disponibile è basata sui preziosi

    patrimoni rappresentati dalle cartelle cliniche ospedaliere. La raccolta di una corretta

    anamnesi rimane, quindi, un documento di enorme importanza per lo studio

    dell’insorgenza della varie forme morbose. L’anamnesi vede la sua più completa

    espressione istituzionale nella cartella clinica dei degenti nelle divisioni ospedaliere,

    ma dovrebbe essere altrettanto adeguatamente raccolta da qualunque medico al di

    fuori del contesto ospedaliero.

    L’estensore di ogni anamnesi deve essere conscio del fatto che, oltre a

    compilare un documento che servirà per la cura del paziente, sta trasmettendo ai

    posteri un documento che può contenere notizie di grande importanza.

    L’esperienza ha consigliato di ordinarla in settori, per renderne più semplice la

    consultazione. I settori hanno fondamentalmente un ordine cronologico e vengono

    divisi come segue:

    1) anamnesi familiare

    2) anamnesi personale fisiologica

    3) anamnesi personale patologica remota

    4) anamnesi personale patologica prossima

    Anamnesi familiare. In essa vengono riportati gli eventi patologici più importanti di

    cui hanno sofferto i componenti del nucleo familiare: il padre, la madre, fratelli e

    sorelle. In caso di patologie con particolare familiarità patologica, l’esplorazione si

    estende anche ai collaterali. Vengono indagate in particolare la presenza di particolari

    patologie ereditarie frequenti, quali neoplasie, ipertensione arteriosa, diabete mellito,

    cardio-vasculopatie ecc. e, in caso di decesso, le cause attribuite alla morte. (esempio:

    padre iperteso, deceduto a 62 anni per ictus cerebrale. Madre vivente ed

    apparentemente sana. Due fratelli ed una sorella in apparente buona salute).

    Anamnesi personale fisiologica. Contiene lo sviluppo delle tappe

    dell’accrescimento. Va particolarmente estesa nei pazienti giovani, in cui è più

    probabile che la patologia in atto possa essere ricollegata ad eventi durante

    l’accrescimento, mentre riveste scarso significato nelle persone anziane. Si inizia dal

    parto, specificando il mese di vita intrauterina (se disponibile) in cui è avvenuto il

    parto, ed il tipo (es.: nato a termine da parto eutocico (parto fisiologico), oppure parto

    distocico (non regolare, con applicazione di forcipe), oppure da parto per taglio

    cesareo. Si prosegue con lo sviluppo nei primi anni mediante la registrazione di

    eventuali ritardi nella deambulazione, dentizione, fonazione (spesso abbreviati in

    D.D.F.). In caso di normalità si riporta “DDF in epoca fisiologica”. Si prosegue poi

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    con la scolarità, per evidenziare eventuali ritardi di sviluppo psichico. Molto

    importanti sono le abitudini di vita, riferite in particolare:

    - al fumo, di cui è bene riportare gli anni e il numero di sigarette,

    - all’alcool di cui è bene specificare tipo di bevande alcoliche (vino, birra,

    liquori) e quantità.

    - all’attività fisica (vita sedentaria, attività fisica modesta o discreta)

    Nel sesso femminile vengono registrati inoltre:

    - l’epoca di comparsa del ciclo mestruale, il ritmo, la quantità e la durata del

    flusso,

    - il numero delle gravidanze con l’esito (eventuale presenza di aborti),

    - l’epoca della menopausa.

    Anamnesi personale patologica remota. Contiene tutti i processi morbosi sofferti

    dal paziente prima dell’episodio morboso che conduce il paziente a rivolgersi al

    medico. Devono essere descritti in modo sintetico se trattasi di episodi cui segue una

    guarigione (esempio: tra le comuni malattie esantematiche ricorda il morbillo a 8 anni

    e la varicella a 13 anni. E’ stato appendicectomizzato a 23 anni). Se, viceversa, si

    tratta di malattie di una certa importanza o malattie croniche, quindi inguaribili, è

    bene essere più circostanziati entrando nei particolari. Se il paziente è stato sottoposto

    ad esami, è necessario farsi consegnare in visione la relativa documentazione, che

    dovrà essere restituita. Se inoltre sono stati effettuati precedenti ricoveri ed il paziente

    è stato così diligente da conservare fotocopie di cartelle cliniche o semplici referti di

    dimissione contenenti la/le diagnosi e gli esami eseguiti, si ha a disposizione una

    documentazione di grande importanza per ricostruire gli eventi morbosi nei dettagli e

    riportarli in anamnesi. In caso di mancanza di documentazione di ricoveri, è sempre

    bene riportare l’indisponibilità della documentazione affinché rimanga traccia dello

    sforzo eseguito dall’estensore dell’anamnesi per la ricostruzione della storia clinica.

    Anamnesi personale patologica prossima. Contiene la storia che il paziente

    racconta e che lo porta a rivolgersi al medico. Essa deve essere dettagliata perché

    permette di conoscere bene l’insorgenza (o il riacutizzarsi) dell’evento morboso. La

    presenza e la tipologia di segni, come ad esempio la febbre, deve essere riportata con

    accuratezza, cercando di descrivere bene la tipologia e la cronologia sull’insorgenza

    di altri sintomi e segni. Deve essere riportata con correttezza di dettagli l’eventuale

    terapia che il paziente assumeva (in caso di presenza di patologia cronica) o che ha

    assunto nei giorni immediatamente precedenti l’inizio (o il riacutizzarsi) della

    malattia. Questo aspetto è di particolare importanza in quanto sono numerosi gli

    effetti collaterali dei farmaci. Devono pertanto essere riportati i nomi dei medicinali e

    la corretta posologia (per es. Enapren compresse da 20 mg, 1 cp al mattino).

    E’ da tener presente inoltre che la cartella clinica è un documento che ha

    valore legale, e, come tale, deve essere compilato con grande accortezza, a

    cominciare dall’anamnesi. E’ per questo motivo che vengono spesso utilizzate frasi

    del tipo “il paziente riferisce che…”, “la moglie ha riferito che…”, il fratello

    Giovanni riferisce che…”, trattandosi di notizie che possono anche non essere

    necessariamente corrette e che potrebbero essere sottoposte a successiva verifica.

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    IL DOLORE

    DOLORE SOMATICO E VISCERALE

    Presentano caratteristiche diverse che possono aiutare nel loro riconoscimento.

    Dolore somatico: proviene da strutture innervate da nervi somatici (cute, muscoli,

    articolazioni ecc.) e dai nervi frenici.

    Dolore viscerale: proviene da strutture innervate da fibre viscerali, sia di tipo

    simpatico che parasimpatico.

    I due tipi di dolore non sono nettamente differenziabili, ma la conoscenza delle

    diversità fra i due tipi, evidenziate nella tabella, può aiutare ad orientarsi nel loro

    riconoscimento.

    Caratteristiche dolore somatico dolore viscerale

    Sede superficiale profonda

    Localizzazione ben localizzabile mal localizzabile

    Dimensione bidimensionale tridimensionale

    Qualità trafittivo, puntorio sordo, ottuso, compressivo

    Postura varia con la posizione desiderio di “piegarsi in due”

    Distribuzione corrisponde alla sede

    dell’impulso algogeno

    si proietta anteriormente sulla linea

    mediana

    Riflessi rigidità muscolare riflessa estensione del riflesso viscerale a

    visceri contigui

    La proiezione del dolore in periferia segue la legge metamerica: il nervo

    viscerale ed il nervo somatico che condividono lo stesso metamero di ingresso,

    condividono grossolanamente lo stesso territorio doloroso (pag. 82).

    Come già detto, nonostante le differenze fra i due tipi di dolore, non è sempre

    agevole distinguere un dolore somatico da un dolore viscerale per il modo con cui la

    sensazione algogena viene elaborata dalla corteccia cerebrale e proiettata in periferia.

    Tale modalità non permette una distinzione netta fra le aree interessate. Se ad

    esempio vi è una lesione del nervo somatico che interessa la porzione cutanea

    dell’area precordiale, dove è presente il dolore, può non essere sempre netta la

    sensazione della superficialità del dolore, e la sua bidimensionalità, per cui dovrà

    sempre essere sospettata la sua possibile origine viscerale (cuore, aorta ecc.). Questo

    è il motivo per cui, di fronte a un dolore precordiale, nel quale non è possibile

    riconoscere una origine somatica certa (per es. la presenza di vescicole di herpes

    zooster), è sempre bene eseguire un ECG per escludere una cardiopatia ischemica,

    soprattutto se il soggetto non è più giovane.

    Vi è un’altra peculiarità da sottolineare: vi sono alcuni casi in cui un metamero

    veda l’ingresso di un nervo viscerale proveniente da un organo piuttosto lontano

    dall’area superficiale innervata dal corrispondente nervo somatico. Questa

    caratteristica permetterà di comprendere alcune condizioni nelle quali vi è una

    dissociazione fra territorio di competenza somatica e viscerale. Ad esempio il dolore

    cardiaco è veicolato dai nervi cardiaci, alcuni dei quali afferiscono a metameri

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    toracici, ma altri a metameri cervicali (fig. pag. 65). Si comprende così come un

    dolore evocato da un infarto cardiaco possa essere percepito anche (o addirittura

    esclusivamente) a livello mandibolare per cui il soggetto è portato a pensare ad un

    problema odontoiatrico(fig. pag. 67). Un altro esempio è rappresentato dal dolore

    frenico: i nervi frenici, che innervano le due cupole diaframmatiche, entrano nei

    metameri cervicali C3-C (pag. 61) per cui una lesione di una delle 2 cupole

    diaframmatiche da una sintomatologia dolorosa che viene proiettata in alto (regione

    acromiale e margine anteriore del trapezio), luogo lontano dalla sede anatomica del

    diaframma.

    CEFALEE

    Si dividono in 2 grandi gruppi:

    da causa non nota (cefalee primitive o essenziali o idiopatiche)

    da causa nota (cefalee secondarie)

    La diagnosi di cefalea primitiva è sempre una diagnosi di esclusione da una forma

    secondaria.

    Cefalee primitive.

    La cefalea primitiva è molto frequente e colpisce circa il 15% della popolazione

    generale. Si riconoscono 3 forme

    1. Emicrania (frequenza elevata)

    2. Cefalea a grappolo (Cluster headache) (la meno frequente delle 3)

    3. Cefalea muscolo-tensiva (frequenza elevata)

    Emicrania: dolore prevalentemente diurno, accessionale, ricorrente, pulsante, della

    durata da alcune ore a 1-2 giorni, localizzato in un terzo dei casi ad una metà del

    cranio (emi-crania), più frequente nel sesso femminile, dovuta a vasodilatazione delle

    arterie (cefalea vasomotoria) (fig. pag.42).

    Spesso è preceduta, o anche accompagnata, da un “aura”, cioè da disturbi

    sensoriali il più delle volte di tipo visivo (scotomi scintillanti, fosfeni, riduzione

    fugace del campo visivo, emianopsie), acustico (acufeni), olfattivo (disosmie,

    iperosmie).

    Si divide in: emicrania classica se preceduta da aura

    emicrania comune se l’aura è assente

    emicrania sine emicrania se vi è solo l’aura, non seguita da emicrania

    Cefalea a grappolo (Cluster headache): il termine “grappolo” definisce uno spazio di

    tempo in cui si raggruppano i singoli attacchi, i quali sono caratterizzati da dolori, più

    frequenti nel sesso maschile, prevalentemente notturni, non pulsanti, di breve durata

    (30-90 m’), ad insorgenza e scomparsa generalmente improvvise, di intensità elevata,

    in zona retro-oculare o periorbitaria, raramente al collo o al braccio, monolaterali e

    sempre dallo stesso lato. La durata del grappolo oscilla da 3-6 giorni a settimane, e gli

    attacchi si verificano spesso alla stessa ora. A differenza dell’emicrania, coesistono

    spesso fenomeni vegetativi locali come arrossamento congiuntivale, lacrimazione,

    congestione nasale, seguita da rinorrea, fotofobia. Patogenesi: probabile

    vasodilatazione arteriosa.

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    Cefalea muscolo-tensiva è sostenuta da tensione dei muscoli del collo e della testa,

    episodica o cronica, non pulsante, generalmente di intensità lieve o media (spesso

    non impedisce le normali attività).

    Cefalee secondarie

    Da lesioni intracraniche

    Da processi occupanti spazio (tumori cerebrali, ematomi sottodurali)

    (possibili segni focali e/o da ipertensione endocranica)

    Da alterazioni meningee (emorragie subaracnoidee, meningiti)

    (presenza di rigidità nucale)

    Da lesioni extracraniche

    dell’occhio (glaucoma, uveite, cheratite)

    dei seni paranasali (sinusite frontale, mascellare, etmoidale (fig. pag. 49)

    dell’orecchio (otiti medie, mastoiditi)

    dei denti (fig. pag. 50)

    Di tipo nevralgico

    Il dolore è fra i più acuti, fugacissimo (pochi secondi), violento, fulminante

    Il più tipico e frequente è la nevralgia del trigemino, che interessa quasi sempre

    solo la branca mascellare o la mandibolare, mentre risparmia la branca

    oftalmica

    Da patologie di interesse internistico

    Da stati infettivi (batterici o virali)

    Da farmaci (nitrati)

    Da arterite temporale di Horton

    Da alterazioni del rachide cervicale.

    DOLORE TORACICO

    Dolore somatico: pleura parietale e mediastinica (T1-T12), pleura diaframmatica

    periferica (nervi spinali T8-T12) e cupola diaframmatica (n. frenici C3-C5); il dolore

    è superficiale, ben localizzato ed influenzato dai movimenti respiratori e dai colpi di

    tosse.

    Cause di dolore toracico somatico: nevralgie intercostali, herpes zooster, fratture,

    pleurodinie virali, spondiloartrosi, mediastiniti

    Dolore viscerale: cuore, pericardio, grossi vasi, esofago; il dolore è retrosternale,

    profondo, mal localizzabile.

    Cause di dolore toracico viscerale: Infarto miocardico, angina pectoris, pericardite,

    lesioni aortiche (es. aneurisma), embolia polmonare (distensione arteria polmonare),

    lesini dell’esofago.

    Strutture indolori: la parte periferica dell’albero bronchiale (polmone), pleura

    viscerale (che ricopre il polmone)

    Dolore diaframmatico con componente frenica (somatico): per processi morbosi

    provenienti dalla periferia del diaframma (T8-T12) (fig. pag. 60) o dalla cupola

    diaframmatica (C3-C5) (fig. pag. 61);

    - versante toracico, (pleuriti, pericarditi)

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    - versante addominale (per interessamento dei legamenti epatici e della capsula

    glissoniana del fegato da parte di periepatiti, ascessi subfrenici, neoplasie del

    fondo gastrico, ernia dello jatus)

    - Il dolore proveniente dalla parte periferica del diaframma si localizza alla parte

    inferiore del torace mentre quello proveniente dalla cupola viene riferito al collo e

    alla spalla (fig. pag 80) perché il nervo frenico, dopo il percorso toracico, affiora a

    livello del collo, nella fascia sovraclavicolare, davanti allo scaleno.

    - Il dolore si accentua con il respiro, con la tosse ed è accompagnato spesso da

    singhiozzo.

    Dolore pleurico (somatico) per lesioni pleuriche primitive o secondarie a lesioni

    polmonari (polmoniti, infarto, tumori, pneumotorace ecc)

    Precordialgie: dolore localizzato sulla parte anteriore del torace sulla linea mediana,

    al di dietro dello sterno (fig. pag. 68).

    Precordialgie di origine cardiaca: angina pectoris, infarto miocardico, pericardite

    acuta

    Precordialgie di origine non cardiaca: aorta (aneurisma), polmoni (tumori, pleurite,

    mediastinite), arteria polmonare (embolia polmonare), esofago (spasmo, diverticolo,

    tumore, ulcera), sistema osteo-neuro-muscolare del rachide (sindromi da

    compressione delle radici spinali da osteofitosi, mialgie ecc)

    Dolore cardiaco: Le fibre nervose cardiache trasmettono gli stimoli algogeni ai gangli

    toracici T1-T4 e cervicali C3-C8 (fig. pag. 65). Per tale motivo il dolore cardiaco può

    essere riferito, oltre che sulla zona precordiale (fig. pag. 68), più frequentemente

    retrosternale, anche al lato ulnare del braccio e avambraccio, quasi sempre sinistro

    (C8-T1) (fig. pag. 66), ed alla mandibola (C3) per le connessione con il trigemino,

    oltre alla regione posteriore del torace (fig. pag. 67). Da sottolineare la possibilità

    che il dolore può anche non essere recepito (infarti muti, in particolare nel diabetico).

    DOLORE ADDOMINALE

    Dolore somatico: peritoneo parietale, parte periferica del diaframma, mesentere,

    mesocolon, piccolo omento (fig. pag. 72) (nervi spinali T5-L1) e nervi frenici per la

    parte superiore del diaframma (fig. pag. 80).

    Dolore viscerale: stomaco, intestino, fegato, vie biliari, rene, ureteri, utero, vescica.

    Vie simpatiche. Dai plessi viscerali di Auerbach e Meissner (fig. pag.79) si dipartono

    le fibre viscerali che convogliano gli impulsi verso i plessi celiaci, ipogastrici e

    pelvici (pag. 74)e da questi, nei gangli celiaco, mesenterico superiore ed inferiore

    (fig. pag. 76). Da questi si dipartono i nervi splancnici grande, medio e piccolo) che

    conducono gli impulsi nei gangli toracici paravertebrali e quindi nel midollo.

    Vie vagali. Dallo stomaco le fibre decorrono verso l’alto nei 2 nervi vaghi anteriore e

    posteriore che poi divengono destro e sinistro nei gangli giugulare e nodoso (fig pag

    77). Lo somaco possiede anche l’innervazione simpatica.

    Strutture indolori: peritoneo viscerale, grande omento, milza

    Considerazioni con rilevanti riflessi clinici:

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    - Proiezione mediana o laterale del dolore viscerale. Gli organi addominali

    (stomaco duodeno, tenue, colon, appendice, colecisti e vie biliari, pancreas) hanno

    una innervazione bilaterale. Rene ed ureteri viceversa sono innervati

    separatamente. Per tali motivi il dolore viscerale dei primi si proietta sulla linea

    mediana, mentre per il dolore del rene ed ureteri viene rispettata la monolateralità.

    Quando il dolore viscerale è puro e l’innervazione dell’organo è bilaterale è

    possibile schematizzare grossolanamente tre zone mediane (fig. pag. 84) nelle

    quali ipotizzare l’organo di provenienza: per la zona A: stomaco, duodeno,

    colecisti, pancreas; per la zona B: pancreas, tenue, valvola ileo-cecale, appendice;

    per la zona C: colon ascendente, trasverso e discendente, sigma, retto, vescica,

    utero, ovaio. Ciò indica che per uno stesso dolore esistono necessariamente

    numerose ipotesi patogenetiche, che danno ragione del vecchio aforisma

    “l’addome è la tomba del medico”.

    - Sommazione del dolore viscerale e somatico. Se l’organo addominale coinvolge

    nel processo patologico anche il peritoneo, (mesentere, mesocolon, piccolo

    omento) che ha una innervazione somatica, (fig. pag. 60) il dolore acquista anche

    le caratteristiche del dolore somatico: Esso diviene più localizzabile, trafittivo,

    puntorio, compare la contrattura muscolare riflessa (riflesso viscero-motore di

    “difesa” addominale), che prende il nome di “peritonismo”. Quando il fenomeno

    si estende a tutto l’addome con compromissione del peritoneo parietale, si

    configura il cosiddetto addome “a tavola”.

    - Proiezione del dolore somatico in sede diversa. Il caso più frequente è

    rappresentato dalla posizione della parte distale dell’appendice in zone distanti

    dalla sede di origine: la necrosi dell’apice di un’appendice posizionata in alto, che

    contrae rapporti di contiguità con il fegato o con lo stomaco, e che coinvolge

    anche il peritoneo, evoca dolori in sede epatica, lontani dalla origine anatomica

    dell’organo.

    - Dolore modesto in situazioni cliniche rilevanti. La mancata innervazione del

    grande omento può creare una dissociazione fra intensità del dolore e importanza

    del quadro patologico. Un’appendice coperta dal grande omento può giungere alla

    perforazione nonostante una scarsa sintomatologia dolorosa.

    - Dolore addominale in affezioni toraciche: numerose affezioni della pleura e del

    miocardio possono dare dolori a prevalente proiezione addominale

    Dolore diaframmatico con componente frenica. (vedi stesso argomento del dolore

    toracico)

    Dolore esofageo. si avverte spesso sotto forma di bruciore (pirosi) per il frequente

    rigurgito acido gastrico attraverso il cardias e si localizza nella parte mediana

    corrispondente grossolanamente a T4-T5 per lesioni del 3° superiore, T6 per il 3°

    medio e T7-T8 per il 3° inferiore (figg. pag. 82 e 88). I processi morbosi più

    frequenti sono lo spasmo esofageo, lo spasmo cardiale, l’ernia dello jatus, l’esofagite

    e i tumori. Si accompagna di frequente a deglutizione dolorosa (odinofagia)

    Dolore gastrico: è variabile a seconda del processo morboso (spasmo, ulcera, tumore,

    gastrite erosiva, stenosi del piloro). Le fibre entrano nei metameri da T6 a T10 (fig.

    pag. 82).

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    - Il dolore da spasmo è a crisi (da contrattura muscolare liscia) e la durata è molto

    variabile.

    - Il dolore da ulcera è più frequente al cambio delle stagioni (primavera ed

    autunno), della durata di 15-30 giorni, prevalentemente diurno, e in rapporto ai

    pasti (compare dopo 2-4 ore dal pasto e recede con l’assunzione di cibo per cui è

    stato definito come dolore “da fame”). In caso di perforazione insorgono i sintomi

    del peritonismo.

    Dolore pancreatico: I processi morbosi più frequenti sono le pancreatiti acute in tutte

    le varietà, che danno un dolore particolarmente intenso, continuo, insopportabile

    (dramma pancreatico), spesso accompagnato a shock. Le fibre entrano nei metameri

    da T5 a T11. Il dolore è localizzato in regione epigastrica e periombelicale ed è

    tipicamente irradiato a sbarra posteriormente (fig. pag. 98). Può esservi

    compartecipazione diaframmatica.

    Dolore epatico: E’ spesso di tipo gravativo (senso di peso), diffuso a tutta l’area

    epatica sia anteriormente che posteriormente e può comparire anche dopo una corsa,

    soprattutto in soggetti non allenati. E’ un dolore somatico che fa capo:

    - al nervo frenico destro per la porzione centrale della capsula di Glisson, con la

    tipica irradiazione (dolore frenico)

    - ai nervi intercostali T6-T9 per la porzione periferica (fig. pag. 82).

    I processi morbosi più frequenti sono:

    - fegato da stasi nello scompenso cardiaco destro

    - epatite acuta nella sua fase iniziale

    - periepatite

    Dolore della colecisti e delle vie biliari: E’ a tipo di colica con intervalli in cui è

    presente un senso di tensione. Mentre l’innervazione viscerale (n. splancnico) è

    bilaterale, quella somatica, che interessa il peritoneo che ricopre le vie biliari, ed i

    legamenti epato-duodenali, è solo destra. Ciò fa comprendere come la localizzazione

    del dolore a destra è chiara solo quando il processo morboso si propaga alla

    componente somatica del dolore (sierosa peritoneale)

    I processi morbosi più frequenti sono:

    - spasmi o distensione acuta da ostruzione del deflusso

    - colecistite acuta da litiasi

    - calcolosi ostruente i dotti /cistico, coledoco)

    Dolenzie possono essere provocate anche a seguito di processi patologici non gravi:

    una colelitiasi, (asintomatica per tutta la vita nella metà dei casi), un polipo o la

    semplice bile spessa, possono produrre irritazione della mucosa ed essere responsabili

    di spasmi riflessi.

    Un particolare segno, caratteristico di processi acuti è il segno di Murphy: nel corso

    di un atto respiratorio profondo l’evocazione di dolore produce un blocco

    dell’escursione respiratoria.

    Dolore splenico: deriva dalla partecipazione al processo morboso del peritoneo

    parietale o del peduncolo vascolare della milza, in quanto sia l’organo splenico, sia il

    peritoneo viscerale che lo avvolge, sia il grande omento non sono dotati di recettori

    algogeni.

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    Il peritoneo parietale contiguo alla milza viene innervato da radici T9-T11 (fig.

    pag. 82), per cui il dolore è localizzato nell’ipocondrio sinistro e, in caso di

    compartecipazione della cupola diaframmatica sinistra, anche di tipo frenico.

    I processi morbosi più frequenti sono:

    - infarto splenico

    - perisplenite

    - rottura della milza

    - congestione splenica

    Dolore renale: è un tipico dolore viscerale, senza componente somatica, molto

    intenso, di tipo continuo, localizzato nella regione lombare, non irradiato. I metameri

    di ingresso corrispondono a T10-T12.

    I processi morbosi più frequenti sono:

    - ascesso renale e/o perirenale

    - infarto renale

    - rottura del rene

    - litiasi renale (è descritto nel dolore pielo-ureterale)

    Dolore pielo-ureterale: sempre monolaterale, molto intenso, a tipo colica, con periodi

    anche molto lunghi, tali da simulare un dolore continuo. E’ irradiato al fianco

    corrispondente e poi anteriormente ed in basso fino al testicolo (pelvi renale, calici ed

    ureteri condividono l’innervazione metamerica con il testicolo, avendo quest’ultimo

    subito durante lo sviluppo la migrazione verso il basso). I metameri di ingresso sono

    da T10 a L1. (fig. pag. 82 e pag. 114).

    I processi morbosi più frequenti sono:

    - litiasi pielo-ureterale

    - pieliti

    Concomitano spesso febbre di tipo settico, nausea, vomito, ematuria.

    SINDROMI DOLOROSE RADICOLARI

    Sono caratterizzate da dolore che si proietta prevalentemente agli arti superiori

    ed inferiori, sulla superficie innervata dal nervo corrispondente al metamero sede del

    processo morboso.

    Vengono trattate le proiezioni dolorose delle più tipiche sindromi dolorose

    radicolari, che, a causa della peculiare proiezione del dolore, offrono al medico la

    possibilità di un facile orientamento sul metamero interessato, sul quale focalizzare le

    indagini.

    La particolare mobilità del tratto cervicale e lombare del rachide spiegano

    perché la maggioranza delle sindromi dolorose radicolari si presentano in queste sedi

    del rachide.

    Il processo morboso che coinvolge la radice del nervo (da cui i termini di

    sindromi radicolari o radicolalgie) comprimendo il punto di emergenza dal rachide

    può essere di vari tipi, fra cui i più comuni sono

    - processi osteofitici (di apposizione ossea)

    - la protrusione del nucleo polposo del disco intervertebrale (ernia del disco)

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    - lo scivolamento di una vertebra su quella sottostante con riduzione del foro

    intervertebrale (fig. pag. 116).

    Oltre al dolore, che è di tipo somatico, ben localizzabile e piuttosto intenso, la

    sindrome nervosa compressiva produce: intorpidimento, formicolio, ipotonia dei

    muscoli corrispondenti e diminuzione o abolizione dei riflessi dei muscoli

    corrispondenti.

    Sindrome della sesta radice cervicale (fig. pag. 117)

    Sindrome della settima radice cervicale (fig. pag. 118)

    Sindrome della ottava radice cervicale (fig. pag. 119)

    Sindrome dello scaleno anteriore (ottava cervicale - prima toracica (fig. pag. 120)

    Sindrome della quarta radice lombare (fig. pag. 121)

    Sindrome della quinta radice lombare (fig. pag. 122)

    Sindrome della prima radice sacrale (fig. pag. 123)

    Sindrome della seconda radice sacrale (fig. pag. 124)

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    ANORESSIA – NAUSEA – VOMITO – RIGURGITO

    ANORESSIA – NAUSEA – VOMITO

    Anoressia: mancanza di desiderio di assumere cibo

    Nausea: sensazione di disgusto per i cibi

    Vomito: emissione forzata di cibo dalla bocca, accompagnato a contrazioni

    addominali e diaframmatiche, spesso preceduto da nausea. Nel conato di vomito

    manca l’emissione di cibo, per mancato rilasciamento del cardias.

    Sintomatologia frequentissima, ascrivibile alle più varie cause, che impegna il

    medico nella ricerca di associazioni con altri sintomi e segni per formulare una

    diagnosi corretta.

    Cause: • viscerali

    • tossiche

    • centrali

    • otovestibolari

    Cause viscerali:

    - tutte le flogosi acute dell’apparato digerente, fegato, pancreas e peritoneo.

    - ostruzione intestinale

    - scompenso cardiaco con fegato da stasi

    - gravidanza

    Cause tossiche:

    - malattie febbrili

    - insufficienza epatica, renale, surrenalica, chetoacidosi diabetica

    Cause centrali:

    - aumento della pressione intracranica

    - eventi emotivi acuti (paura, dolore ecc)

    In caso di aumento della pressione intracranica (emorragie cerebrali, tumori,

    contusioni ecc.) il vomito può non essere preceduto da nausea ed è improvviso, “a

    getto”.

    Cause otovestibolari

    Mal di mare, mal d’auto (cinetopatie)

    Tipi di vomito: acquoso o mucoso (succo gastrico), alimentare, biliare, emorragico

    (= ematemesi), fecaloide (da occlusione intestinale)

    RIGURGITO: emissione di materiale alimentare non digerito, prodotto da una

    violenta contrazione antiperistaltica della parete gastrica, senza le tipiche contrazioni

    addominali e diaframmatiche che accompagnano il vomito. Se il materiale è acido

    viene detto rigurgito acido. Cause di rigurgito sono:

    • ernia dello jatus esofageo

    • stenosi cicatriziali dell’esofago

    • diverticoli esofagei

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    A volte il reflusso gastro-esofageo (da disfunzione dello sfintere esofageo inferiore,

    che produce frequentemente una esofagite da reflusso, responsabile di un dolore

    urente epigastrico e/o retrosternale, detto pirosi), può dare rigurgito.

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    ARITMIE

    Rappresentano un disordine del normale ritmo cardiaco e possono essere

    diagnosticate con la palpazione dei polsi, con l’ascoltazione del cuore o con le due

    metodiche utilizzate contemporaneamente. Solo raramente vi può essere la cosiddetta

    “dissociazione polso-cuore”, condizione in cui all’ascoltazione di un battito non

    segue la percezione dell’onda sfigmica al polso a causa dell’inefficienza contrattile

    del ventricolo sinistro.

    Le più importanti aritmie sono le seguenti:

    aritmia sinusale fasica;

    extrasistoli (o battiti ectopici prematuri) atriali, nodali e ventricolari;

    tachicardie parossistiche sopraventricolari o ventricolari;

    fibrillazione e flutter atriali e ventricolari;

    blocchi atrio-ventricolari.

    Non sono invece da considerarsi a rigore disturbi del ritmo le alterazioni della

    frequenza del ritmo cardiaco (tachicardie e bradicardie sinusali).

    Tachicardia sinusale: aumento della frequenza del pace-maker del nodo seno-

    atriale al di sopra dei 100 battiti/min. (fig. pag. 173). Le cause più frequenti sono: lo

    sforzo fisico, la febbre, l’ipertiroidismo, l’ansia, lo scompenso cardiaco.

    Bradicardia sinusale: (fig. pag. 173) diminuzione della frequenza al di sotto dei

    60 battiti/min. Le cause più frequenti sono l’allenamento o le manovre di

    stimolazione vagale (massaggio del seno carotideo, compressione dei bulbi oculari,

    manovra di valsalva o torchio addominale eseguibile mediante espirazione forzata a

    glottide chiusa).

    Aritmia sinusale fasica: è fisiologica ed è caratterizzata dall’influenza del

    tono simpatico e vagale che è ritmato dalle fasi del respiro; si ha un aumento della

    frequenza cardiaca durante l’ispirazione per la prevalenza del simpatico ed una sua

    diminuzione durante la espirazione, per la prevalenza del vago (fig. pag. 173). E’

    particolarmente accentuata nella giovane età e si attenua con il progredire degli anni.

    Viene abolita in caso di alterazioni del sistema nervoso vegetativo, come avviene, ad

    esempio, nei soggetti diabetici da molti anni e con scarso controllo metabolico

    (neuropatie vegetativa)

    Extrasistoli o battiti ectopici prematuri atriali e nodali. Quando sono isolati

    sono facilmente rilevabili al polso perché risulta netta la sensazione di rottura del

    ritmo. La diagnosi corretta è possibile all’ECG dove si rileva una normalità del QRS

    ed una onda P diversa da quella sinusale (fig. pag. 173). La pausa che segue non è

    compensatoria perché il pace-maker sinusale viene “scaricato” dal battito ectopico ed

    il ritmo riprende normalmente. (fig. sottostante).

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    La sintomatologia è assente o si può avvertire “il salto di un battito”. Dal punto

    di vista clinico, queste forme sono spesso benigne e non espressione di processi

    patologici.

    Extrasistoli o battiti ectopici prematuri ventricolari. Come per gli atriali e

    nodali, è molto facile il loro riconoscimento al polso. L’ECG mostra: un tipico

    allargamento del QRS, una scomparsa dell’onda P (perché l’attivazione inizia dal

    ventricolo e la sua eventuale presenza segue il QRS (fig. pag. 174)) e la pausa è

    compensatoria, perché il pace-maker sinusale non viene influenzato. In questo caso la

    pausa è più lunga del caso precedente perché, nonostante il pace-maker atriale dia

    l’impulso elettrico, questo non è seguito dalla contrazione meccanica, perché trova il

    miocardio sia atriale che ventricolare in periodo refrattario (fig. sottostante).

    Di frequente riscontro nei cardiopatici cronici è il “bigeminismo extrasistolico”

    caratterizzato da un alternarsi di un battito normale ed uno prematuro. (fig. pag. 174).

    Al contrario delle forme atriali e nodali, essi sono spesso espressioni di processi

    patologici di diversa entità. Una particolarità clinicamente molto importante è

    rappresentata dal fenomeno “R su T”. Esso è in relazione al momento di insorgenza

    dell’impulso ectopico nei confronti della fase di ripolarizzazione cardiaca (Fig.

    sottostante).

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    Questa presenta dei momenti refrattari e dei momenti di grande vulnerabilità.

    La caduta dell’impulso nella fase di vulnerabilità può innescare una fibrillazione

    ventricolare, che può anche esitare in morte improvvisa. (fig 5 a pag 165).

    Tachicardia parossistica sopraventricolare. E’ molto comune e fastidiosa,

    ma non è quasi mai espressione di cardiopatie importanti. Insorge e recede

    improvvisamente e questo elemento permette una diagnosi di sospetto. La

    sintomatologia è caratterizzata da una sensazione di tachicardia, senso di stanchezza

    e, raramente, senso di mancamento. Spesso, per la sua brevità, non permette altro che

    una diagnosi di sospetto perché spesso sfugge alla rilevazione ECGrafica, (fig. pag.

    174) non sempre disponibile all’atto dell’insorgenza. La diagnosi è spesso possibile

    mediante monitoraggio dinamico Holter, che a volte può rilevare sequenze talmente

    brevi (successione di poche sistoli di tachicardia parossistica) da non essere neanche

    sintomatiche. La frequenza cardiaca è variabile e se inferiore a 130/min deve essere

    posta la diagnosi differenziale nei confronti di una tachicardia sinusale. Ciò è

    possibile mediante le manovre vagali (vedi bradicardia sinusale), in quanto la risposta

    alle manovre segue la legge del tutto o nulla, mentre la tachicardia sinusale presenta

    una risposta graduale. La terapia delle forme che non recedono alle manovre vagali è

    farmacologica o chirurgica (ablazione trans-catetere con energia a radiofrequenza).

    Tachicardia parossistica ventricolare. Al contrario della precedente, è

    espressioni di grave sofferenza cardiaca e può essere seguite da flutter e fibrillazione

    ventricolare e dare, quindi, morte improvvisa. Un paziente in tachicardia ventricolare

    è considerato in grave pericolo, le contrazioni ventricolari hanno una frequenza

    compresa fra 100 e 180 battiti/min e presentano all’ECG una morfologia diversa dal

    normale QRS (fig. pag 174).

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    Flutter atriale. E’ caratterizzato da una frequenza elevata di contrazioni atriali

    (frequenza fra 200 e 370/min). Non tutti gli impulsi elettrici atriali sono condotti ai

    ventricoli: la conduzione può essere fissa o variabile (2:1, 3:1, 4:1 a seconda che vi

    sia rispettivamente una contrazione ventricolare ogni 2,3 o 4 contrazioni atriali). Se è

    fissa (ad esempio sempre 2:1 o sempre 3:1), allora al polso o all’ascoltazione cardiaca

    non si noterà alcuna aritmia. Se, al contrario, la conduzione è continuamente

    variabile, si percepirà un’aritmia. All’ECG l’attività atriale si evidenzia con i

    caratteristici “denti di sega” (fig. pag. 173). Le manovre vagali possono agire sulla

    conduzione atrio-ventricolare e trasformare una conduzione 2:1 in una 3:1 o più. La

    terapia del flutter atriale è di tipo farmacologico o elettrico (cardioversione o

    ablazione transcatetere).

    Fibrillazione atriale. E’ un’aritmia molto frequente (0,4% della popolazione

    generale, il 3% della popolazione con età>60 anni) ed è caratterizzata da una

    rapidissima successione di contrazioni atriali (onde fig. pag. 173), superiore a quella

    del flutter atriale. In pratica l’atrio, sottoposto ad un fine tremolio, non svolge più

    alcuna funzione emodinamica e diviene ricettacolo di coaguli (che possono essere

    diagnosticati con l’ecografia trans-esofagea). I problemi clinici che insorgono nei

    pazienti che sviluppano una fibrillazione atriale cronica sono principalmente correlati

    all’aumento degli eventi trombo-embolici nei distretti arteriosi, in particolare

    cerebrali, con esito in trombosi cerebrale (ictus cerebri). I riflessi emodinamici della

    fibrillazione atriale sulla funzione sistolica del ventricolo sinistro sono modesti o

    inesistenti.

    Per i suddetti motivi alla diagnosi sospetta di fibrillazione atriale, confermata

    con ECG segue ogni tentativo di ripristinare il ritmo sinusale, che sono tanto più

    efficaci, quanto più precoce è la diagnosi. Questo è il motivo per cui oggi si tende a

    fare ogni possibile tentativo per porre una diagnosi precoce. La sintomatologia è

    muta. La diagnosi è quasi sempre fatta in occasione di una visita medica a seguito

    della rilevazione di un’aritmia, al polso o all’ascoltazione cardiaca. L’aritmia è

    completa, tanto che è stato anticamente coniato il termine di “anarchia cordis”. Tale

    aritmia è dovuta al passaggio di solo alcuni dei numerosissimi impulsi atriali, ed in

    modo totalmente imprevedibile e caotico. Dal momento che non vi è nessun’altra

    aritmia così caratteristica, la diagnosi è agevole, purchè si esegua con accuratezza

    l’esame del polso e l’ascoltazione cardiaca. La terapia si avvale di cardioversione

    farmacologica e di terapia anti-coagulante.

    Flutter ventricolare e fibrillazione ventricolare. Sono aritmie molto gravi

    che spesso esitano nel decesso. Mentre nel flutter l’attività ventricolare è regolare sia

    come frequenza che come morfologia delle onde (fig. pag. 175), la fibrillazione

    ventricolare è caratterizzata da una attività ventricolare caotica con onde

    assolutamente irregolari (fig. pag. 175). Inoltre, dal punto di vista emodinamico, la

    fibrillazione ventricolare è assolutamente inefficace (come avviene per l’atrio durante

    la fibrillazione atriale), per cui ha lo stesso effetto dell’arresto cardiaco. La presenza

    di fibrillazione ventricolare è possibile solo se, durante il suo innesco, si sta

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    eseguendo un tracciato ECGrafico. Infatti, dal punto di vista clinico, non è possibile

    distinguere un arresto cardiaco da una fibrillazione ventricolare, essendo entrambe

    caratterizzate da assenza di polso e di toni cardiaci all’ascoltazione.

    Blocchi Atrio-ventricolari (BAV). La diagnosi è possibile solo

    ECGraficamente, anche se, in alcuni di essi, può essere fortemente sospettata per le

    aritmie che inducono.

    Blocco AV di I° grado. La diagnosi è possibile solo mediante ECG che mette

    in evidenza il ritardo della conduzione dall’atrio al ventricolo. Il tratto PQ (o PR se

    non esiste la Q), che esprime detto tempo di conduzione, è aumentato e supera i 20

    centesimi di secondo. Nel tracciato a velocità standard ogni quadratino è pari a 4

    centesimi di secondo, per cui la diagnosi viene posta quando tra l’inizio della P e

    quello del QRS vi è una distanza superiore a 5 quadratini (fig. pag. 176).

    Blocco AV di II° grado. Si distinguono due tipi:

    1) Nel tipo I di Mobitz con periodismo di Luciani-Wenckebach, si assiste ad un

    progressivo allungamento del PQ (o PR) finché una P non è più seguita dal QRS,

    dopo di che il ciclo riprende (fig. pag. 176). L’osservazione del polso o

    l’ascoltazione del cuore mette in evidenza che, dopo un certo numero di sistoli

    ritmiche, vi è il salto di una sistole.

    2) Nel tipo II di Mobitz si assiste, rimanendo il PQ normale, ad un blocco della

    conduzione atrio-ventricolare che, se avviene ogni 2 sistoli regolari, sarà 2:1, se

    ogni 3, 3:1 e così via (fig. pag. 176). Anche in questo caso l’osservazione del

    polso o l’ascoltazione del cuore mette in evidenza che, dopo un certo numero di

    sistoli ritmiche, vi è il salto di una sistole.

    Blocco AV di III° grado o blocco completo. Il sospetto diagnostico deriva dalla

    rilevazione di una bradicardia, dovuta al ritmo idioventricolare, emergente dal

    ventricolo che si sostituisce al pace-maker sinusale, essendo completamente

    bloccata la via di conduzione atrio-ventricolare. La localizzazione ventricolare del

    nuovo pace-maker può essere alta (hissiana) o bassa. Nel primo caso la

    bradicardia sarà modesta (di circa 50/min), ed il soggetto sarà asintomatico mentre

    nel secondo caso sarà più marcata (di circa 30/min) e possono insorgere

    sensazioni di mancamento, fino alla sincope. L’ECG metterà in evidenza la

    completa dissociazione fra le onde P e i complessi QRS. Le prime avranno una

    frequenza normale, mentre i secondi mostreranno una bradicardia. Si documenterà

    la perdita completa dei rapporti temporali fra onde P e QRS (fig. pag. 176)

    L’insorgenza di un blocco di III° grado può avvenire in modo asintomatico se

    il nuovo pace-maker ventricolare è rapido nella sua funzione vicariante; se al

    contrario vi è un minimo ritardo si può avere da una sensazione di mancamento

    fino alla sincope, o, in casi rari, la morte improvvisa. Questi episodi prendono il

    nome di “Sindrome di Morgagni-Adams-Stokes” o più semplicemente “sindrome

    di MAS”. La perdita di coscienza avviene dopo 7-17 secondi dall’inizio

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    dell’asistolia e, se l’asistolia permane, dopo 20-45 secondi compaiono le

    convulsioni (che si distinguono da quelle epilettiche, generalmente precedute da

    aura).

    Ogni sindrome lipotimica o sincopale, insorgente improvvisamente in persone

    anziane in pieno benessere, deve sempre far sospettare una possibile sindrome di

    MAS e mettere in pratica gli accorgimenti del caso (ECG, Holter).

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    COMA

    Stato di sopore profondo con perdita della coscienza, parziale (stato

    semicomatoso) o totale (stato comatoso), della motilità volontaria e della sensibilità.

    Permangono le funzioni vegetative in modo più o meno completo.

    Dal momento che è sempre molto difficile orientarsi, soprattutto se non vi sono

    notizie anamnestiche, è di notevole importanza clinica utilizzare una classificazione

    che permette un primo rapido orientamento:

    1) coma con rigidità nucale

    2) coma con segni neurologici focali

    3) coma senza rigidità nucale e senza segni neurologici focali

    Coma con rigidità nucale. Questo segno indica una irritazione meningea e le cause

    più frequenti sono l’emorragia subaracnoidea (causa vascolare), e la meningite o

    meningo-encefalite (causa infettiva).

    Coma con segni neurologici focali: la presenza di essi (vedi semeiotica del sistema

    nervoso) fa orientare verso una eziologia cerebrale di tipo vascolare (trombosi,

    emorragia, embolia) o verso altre cause (traumi, tumore, ascesso ecc.).

    Coma senza rigidità nucale e senza segni neurologici focali. Sono diversi a

    seconda della eziologia e si distinguono in metabolici (uremico, epatico, diabetico,

    ipoglicemico, da insufficienza surenale e mixedematoso) e tossici (ipercapnico, da

    alcool, da oppio e derivati (morfina ecc.), da barbiturici, da ossido di carbonio.

    Comi metabolici.

    Coma uremico. Rappresenta la fase terminale cui vanno incontro tutti i soggetti affetti

    da insufficienza renale che colpisca entrambe i reni e che non possono essere trattati

    con emodialisi o dialisi peritoneale. La diagnosi clinica si basa sulla presenza del

    tipico alito urinoso e la conferma di laboratorio sull’aumento dell’azotemia e della

    creatininemia. La conoscenza anamnestica di nefropatie è della massima importanza.

    L’ ipertensione arteriosa è frequente in numerose nefropatie.

    Coma epatico. Rappresenta la fase terminale cui vanno incontro tutti i soggetti affetti

    da insufficienza epatica. La diagnosi clinica si basa sul caratteristico “foetor

    hepaticus” e eventuale presenza di segni di epatopatia (ittero o subittero, ascite,

    circoli collaterali ecc.), e dalla conferma di laboratorio con il dosaggio

    dell’ammoniemia. La conoscenza anamnestica di epatopatie è della massima

    importanza.

    Coma diabetico. E’ necessario distinguere:

    un tipo più frequente, caratterizzato dalla presenza di chetoacidosi (coma diabetico

    chetoacidosico) nel quale la diagnosi clinica si basa sul caratteristico alito acetonico e

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    la conferma di laboratorio evidenzia una iperglicemia compresa fra 200 e 500 mg/dl,

    e l’esame delle urine la presenza di acetone e di glucosio;

    ed un tipo molto raro (coma diabetico iperosmolare) nel quale è assente la

    chetoacidosi, ma la glicemia è molto elevata (può arrivare fino a 2.000 mg/dl) e

    rappresenta la causa dell’iperosmolarità, Le urine contengono soltanto glicosuria ma

    non chetonuria.

    La conoscenza anamnestica della presenza di diabete mellito è della massima

    importanza.

    Coma ipoglicemico. Nella grande maggioranza dei casi colpisce soggetti diabetici sia

    in trattamento con ipoglicemizzanti orali che con insulina. Il motivo è legato alla non

    adeguata capacità del soggetto a gestire l’alimentazione (contenuto di glicidi, orari

    dei pasti ecc.) con l’assunzione del farmaco. La diagnosi clinica si basa sulla

    sudorazione profusa e la conferma di laboratorio su valori di glicemia inferiori a 50

    mg/dl.

    Coma da insufficienza surrenale. E’ molto raro e può avvenire in soggetti affetti da

    morbo di Addison non diagnosticato.

    Coma mixedematoso. E’ molto raro e può avvenire in soggetti affetti da ipotiroidismo

    primitivo non diagnosticato.

    Comi tossici.

    Coma ipercapnico. La diagnosi si basa sulla presenza di cianosi, particolarmente

    visibile al volto e sul letto ungueale. La conferma di laboratorio si effettua sulla emo-

    gas-analisi (EGA) che documenta una acidosi respiratoria. La conoscenza

    anamnestica della presenza di malattie polmonari croniche è della massima

    importanza.

    Coma etilico. La diagnosi si basa sul tipico odore di alcool nell’alito e sulla conferma

    nel dosaggio del medesimo nel sangue o nell’aria espirata.

    Coma da oppio e derivati. Il sospetto deriva dalla presenza di stigmate di tossico-

    dipendenza; la diagnosi di laboratorio sul dosaggio della morfinuria.

    Coma da barbiturici e psicofarmaci. La diagnosi è difficile se non si possiedono

    notizie anamnestiche ed il laboratorio può confermare la presenza di psicofarmaci.

    Coma da ossido di carbonio. La diagnosi si basa sull’aspetto rosso congesto del viso e

    sull’anamnesi di permanenza in ambienti saturi di ossido di carbonio (riscaldamento

    con bracieri o stufe con cattivo tiraggio, scarico di gas in abitacoli di veicoli a scopo

    suicida ecc).

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    Classificazione in stadi. E’ utile per diagnosticare il grado di compromissione della

    coscienza. Si divide in 4 stadi:

    Stadio I (precoma): il paziente presenta ancora una reattività a stimoli di una certa

    intensità. Può riscontrarsi un accenno a movimenti del capo e/o degli arti a seguito di

    stimoli acustici (per es. quando lo si chiama per nome) o dolorosi (gesti di difesa,

    retrazione). Generalmente il paziente non riconosce persone o oggetti, non risponde a

    domande, non esegue ordini elementari. Già in questo stadio vi è la perdita del

    controllo degli sfinteri, per cui è necessaria l’applicazione di catetere vescicale non

    solo per evitare il globo vescicale da anuria ma anche per avere il controllo della

    diuresi, parametro di fondamentale importanza per la gestione clinica dello stato

    comatoso. Il riflesso della deglutizione è ancora presente. Il tono muscolare è ancora

    conservato.

    Stadio II (coma propriamente detto). In questo stadio è perduta la reattività agli

    stimoli presente nello stadio precedente, ma sono ancora conservati i riflessi pupillare

    e corneale ed il respiro può ancora essere regolare o già presentare delle

    modificazioni. Il tono muscolare è diminuito.

    Stadio III (coma profondo). I riflessi pupillare e corneale sono assenti ed il tono

    muscolare è abolito, talvolta interrotto da ipertonia da decerebrazione; i riflessi

    osteo-tendinei sono aboliti e può comparire il segno di Babinski. Le funzioni

    vegetative sono alterate: il respiro presenta irregolarità e la temperatura può

    modificarsi (ipertermia o ipotermia).

    Stadio IV (coma “depassé”). Le funzioni vegetative sono assenti e la vita è possibile

    grazie alle moderne tecniche di respirazione assistita.

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    DISFAGIA

    La disfagia è caratterizzata da una difficoltà alla deglutizione

    Può essere dovuta a

    Ostacolo meccanico con occlusione che può essere presente

    - all’interno dell’esofago (corpo estraneo, tumore, stenosi congenita o cicatriziale)

    - da compressione “ab estrinseco”, cioè da tumefazioni che comprimano l’esofago

    dall’esterno, ostacolando la normale progressione del bolo alimentare (aneurisma

    dell’aorta, voluminose masse linfoghiandolari ecc.)

    Cause nervose senza occlusione

    - da spasmo del cardias

    - di natura isterica (“bolo isterico”)

    DISORDINI DELLA MOTILITA’ INTESTINALE (Stipsi e diarrea)

    Stipsi: defecazione poco frequente con espulsione di feci di consistenza aumentata,

    dovuta a rallentamento del transito intestinale. Nella massima parte dei casi la stipsi

    è da imputare a mancata educazione alla regolarità della defecazione ed è

    particolarmente legata a stati ansiosi. Un’altra importante causa è la carenza di fibre

    alimentari nei soggetti che non utilizzano frutta e verdura nell’alimentazione

    quotidiana. E’ inoltre presente nei soggetti con particolare torpidità della peristalsi

    intestinale ed infine può essere dovuta ad alcuni farmaci. Fra le malattie in cui è

    particolarmente presente vi è l’ipotiroidismo, oltre a malattie che colpiscono

    l’intestino (megacolon ecc)

    Diarrea: defecazione molto frequente con espulsione di feci non formate. Quando la

    peristalsi è molto vivace il fenomeno è intenso sia come frequenza di scariche, sia

    come consistenza delle feci che possono assumere il carattere acquoso ed in questi

    casi vi è frequentemente dolore colico. La diarrea può assumere caratteri di urgenza,

    soprattutto nei bambini, per la disidratazione che può produrre in breve tempo. Si

    distingue

    - una forma acuta in relazione a processi patologici acuti (di tipo infettivo, tossico,

    emotivo)

    - una forma cronica da cause diverse (in malattie intestinali di tipo infettivo e non

    infettivo, come la colite ulcerosa, nell’ipertiroidismo, in forme psichiche nelle

    quali si realizza il cosiddetto “colon irritabile”)

    DISPEPSIA Definizione piuttosto complessa perché formata da un insieme di sintomi:

    senso di “peso” o di “vuoto” in regione epigastrica (che può essere anche dolenzia),

    con anoressia, nausea, flatulenza e disordini intestinali.

    La dispepsia è comune a numerose patologie non solo dello stomaco-duodeno

    (che sono le più frequenti), ma anche del fegato, pancreas e intestino.

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    DISPNEA

    E’ caratterizzata da senso di respirazione difficoltosa. Un intenso esercizio

    fisico eseguito da un soggetto sano porta ad un aumento della frequenza delle

    escursioni respiratorie (18-20 al min. in condizioni di tranquillità), ma se non vi è la

    senzasione sgradevole di difficoltà, viene definita polipnea o iperpnea. E’ quindi la

    sensazione di difficoltà (che può essere percepita anche da un soggetto sano a seguito

    di esercizio particolarmente intenso) che fa porre diagnosi di dispnea.

    Può essere dovuta a cause cardiache, polmonari, metaboliche, psicogene.

    Dispnea cardiaca. E’ dovuta:

    a insufficienza ventricolare sinistra, con vari gradi:

    - ortopnea: dispnea che compare solo in posizione supina (uno dei primi segni dello

    scompenso cardiaco è la necessità di dormire con più di un cuscino),

    - Dispnea da sforzo, per sforzi progressivamente minori,

    - Dispnea parossistica notturna, che ha la caratteristica di comparire di notte

    all’improvviso,

    - Edema polmonare acuto, dramma respiratorio acuto ed improvviso, dovuto a

    scompenso ventricolare sinistro, gravato da mortalità. Si ha una trasudazione di

    liquido dai capillari polmonari nel lume bronchiale, inondazione delle vie aeree e

    espettorazione di liquido schiumoso, a volte roseo o striato di sangue.

    a insufficienza ventricolare destra a seguito quasi sempre di cardiopatia polmonare

    cronica scompensata, molto più raramente a cardiopatia valvolare tricuspidalizzata.

    Dispnea polmonare; dovuta:

    - a patologie ostruttive (soprattutto asma bronchiale)

    - a patologie restrittive (che riducono la superficie del parenchima polmonare

    funzionante come una cifoscoliosi (che riduce la volumetria della gabbia toracica

    e la dinamica respiratoria), una resezione polmonare o una fibrosi polmonare

    (residuo cicatriziale di forme infiammatorie, per es. tubercolari),

    - a patologie interstiziali (fibrosi polmonare idiopatica, carcinomatosi, sarcoidosi

    ecc)

    - a patologie che alterano il rapporto ventilazione/perfusione come avviene

    nell’infarto polmonare.

    Dispnea dismetabolica; dovuta a cause diverse quali anemia (per riduzione del

    pigmento ematico), o all’acidosi metabolica come nella chetoacidosi diabetica, dove

    la iperventilazione è compensatoria per eliminare la CO2 e ristabilire un pH

    fisiologico.

    Dispnea psicogena. Reazioni ansiose. Vi è alcalosi respiratoria.

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    FEBBRE

    Detta anche iperpiressia o ipertermia, rappresenta un segno di grande

    importanza clinica che indica una reazione dell’organismo ad una noxa patogena. Si

    considera 37 gradi il limite al di sopra del quale è giustificato porre diagnosi di

    febbre.

    Dal punto di vista clinico, quando si deve inquadrare una febbre, si utilizza il

    criterio epidemiologico della frequenza e, se non si trovano cause contingenti (per es.

    un colpo di calore in estate), si considerano i seguenti raggruppamenti:

    • febbre dovuta ad una causa infettiva (batteri, virus);

    • febbre dovuta ad un processo disreattivo (reazioni allergico-iperergiche,

    malattie del collageno ecc);

    • febbre dovuta ad un processo neoplastico.

    L’osservazione dell’andamento febbrile è molto importante non solo quando questo è

    spontaneo, ma anche e soprattutto quando si opera con misure terapeutiche che

    possono influenzare il processo morboso. Dal momento che la febbre, essendo

    espressione di numerosissime condizioni patologiche, presenta spesso difficili

    inquadramenti eziologici, l’attenta osservazione del suo andamento in relazione ad

    altri segni e sintomi, o in relazione a provvedimenti terapeutici, diviene della

    massima importanza.

    In base alla curva termica nel tempo, è possibile definire alcuni andamenti, che

    permettono un orientamento clinico di tipo generale.

    Febbre continua: nell’arco delle 24 ore la temperatura si mantiene

    costantemente elevata e le oscillazioni non superano un grado. Si suole indicare la

    polmonite o il secondo settenario del tifo come paradigmi di questo tipo di febbre, ma

    esso è presente in numerosissime situazioni cliniche.

    Febbre remittente: le oscillazioni nelle 24 ore superano il grado, ma la

    temperatura non dovrebbe scendere al di sotto di 37°C (come nel 3° settenario del

    tifo non sottoposto a terapia). Questo criterio in pratica non è sempre seguito e si

    parla di febbre remittente anche quando si registrano nello stesso giorno periodi di

    apiressia.

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    Febbre remittente

    Febbre intermittente: accessi febbrili separati da giorni di completa apiressia

    come avviene classicamente nella malaria, in occasione del ciclo vitale del parassita.

    Se la febbre si manifesta a giorni alterni, prende il nome di terzana (perché ritorna il

    terzo giorno), se invece vi sono due giorni di apiressia, viene chiamata quartana

    (perché ritorna il quarto giorno).

    Febbre ondulante: l’andamento osservato nel corso di alcuni giorni è di tipo

    ondulatorio ed è presente nella brucellosi non trattata o nel linfogranuloma maligno.

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    Febbricola: la febbre non supera di solito i 37,5 °C ed è frequentemente

    caratterizzata da lunghi periodi, come avviene per es. in alcune forme di tubercolosi,

    o anche nell’ipertiroidismo.

    Febbre di tipo settico: è caratterizzata da improvviso senso di freddo intenso

    con brivido, cui segue febbre elevata che dura alcune ore, seguita poi da

    defervescenza con profusa sudorazione. E’ presente in caso di infezioni delle vie

    urinarie o biliari o in presenza di ascessi purulenti, che danno improvvise gittate

    setticemiche.

    E’ necessario osservare come la febbre precede, accompagna o segue altre

    manifestazioni come, ad esempio, nel caso della scarlattina

    o della leptospirosi ittero-emorragica.

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    IPPOCRATISMO DIGITALICO

    DITA A BACCHETTA DI TAMBURO

    E’ un non raro segno che si riscontra osservando le dita delle mani e dei piedi, che

    appaioni ingrossate alle estremità, proprio come l’stremità di una bacchetta di

    tamburo (Fig. pag 233). La forma bilaterale è la più diffusa e deve far pensare in

    particolare a:

    - malattie croniche dell’apparato respiratorio (broncopatie croniche ostruttive,

    bronchiectasie, fibrosi interstiziale)

    - malattie cardiache (gravi malattie congenite, endocarditi)

    - raramente sono presenti in malattie di altri apparati.

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    EDEMA

    L’edema è una raccolta di liquido interstiziale in quantità abnorme e diviene

    clinicamente visibile quando raggiunge proporzioni di una certa entità. Dal punto di

    vista clinico è una spia preziosa, e spesso del tutto iniziale, di importanti e frequenti

    processi morbosi quali lo scompenso cardiaco, la cirrosi epatica, la glomerulonefrosi.

    Per tali motivi il medico non deve mai sottovalutare la presenza di stati

    edematosi, soprattutto se diffusi e simmetrici, e, anzi, deve ricercarli spontaneamente

    durante la visita medica in persone anziane, nelle quali è particolarmente frequente la

    patologia da scompenso cardiaco.

    Innanzitutto è bene definire come si rileva l’edema. Il paziente riferisce di aver

    notato un gonfiore. Sta al medico verificare se il gonfiore è imputabile ad aumento di

    fluido interstiziale. La manovra da eseguire è quella della digitopressione, con

    l’accuratezza si eseguirla possibilmente su un piatto osseo (la tibia se l’edema è

    localizzato alla gamba, la regione ossea del sacro se l’edema è presente nella regione

    sacrale e così via). L’impronta che rimane dopo aver affondato il dito prende il nome

    di “fenomeno della fovea”, (fig a pag. 199) dovuto alla dislocazione temporanea del

    liquido nei tessuti vicini. La mancanza di tale fenomeno fa escludere la presenza di

    edema (frequentemente i soggetti obesi riferiscono di gonfiore diffuso o variamente

    localizzato e possono indurre il medico in errore, errore che si evita se si utilizza il

    fenomeno della fovea)

    Una volta posta diagnosi di edema è necessario valutare se si tratta di:

    • generalizzato e simmetrico

    • localizzato ed asimmetrico

    L’edema generalizzato e simmetrico compare di frequente nelle regioni

    declivi (regioni sacrali o arti inferiori), bilateralmente. Questo indica che il processo

    che l’ha condizionato è sistemico e non locale. La patologia più frequentemente

    coinvolta è uno scompenso cardiaco, anche in soggetti che non presentano altri segni

    dello scompenso come la dispnea da sforzo e il turgore delle vene giugulari. Il ritorno

    venoso è ostacolato dal deficit di pompa e il conseguente aumento della pressione

    idrostatica nel territorio capillare, soprattutto nelle parti più declivi e più lontani dal

    cuore, induce la trasudazione di liquido interstiziale.

    Secondo in ordine di frequenza è un problema cronico di fegato (soprattutto

    cirrosi epatica) che induca una ridotta produzione di albumina da parte della cellula

    epatica. La riduzione di albumina provoca riduzione della pressione oncotica e

    trasudazione di liquido interstiziale. L’edema può essere il primo segno che induce il

    paziente a ricorrere al medico, il quale potrebbe essere indotto, soprattutto se non vi

    sono altri sintomi, a sottovalutare questo segno.

    Una terza possibilità è data da una glomerulonefrosi, malattia renale

    caratterizzata, tra le altre, da una perdita urinaria di grandi quantità di albumina, con

    conseguente riduzione della pressione oncotica.

    L’ edema localizzato ed asimmetrico riconosce quasi sempre patologie

    circoscritte al territorio colpito ed in particolare:

    Processi di stasi:

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    - edema conseguente ad asportazione di linfonodi a seguito di invasione

    neoplastica (es.: edema di un arto superiore a seguito di asportazione dei

    linfonodi ascellari dopo mastectomia e svuotamento del cavo ascellare

    invaso da metastasi di carcinoma della mammella)

    - edema conseguente a ostruzione del ritorno venoso da parte di processi

    morbosi che comprimono vene di grosso calibro (compressione ab

    estrinseco) o di trombosi venose che producano una riduzione o una

    interruzione del flusso ematico.

    Processi infiammatori:

    - processi artritici di varia natura, dove la componente edematosa sia

    prevalente su quella infiammatoria

    - punture di insetti

    Processi allergici localizzati in particolari zone.

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    SHOCK

    Lo shock è una sindrome di insufficienza circolatoria acuta con ipotensione

    arteriosa associata a sintomi e segni di ridotta perfusione di vari organi. Dal punto di

    vista clinico l’evoluzione è fra le più diverse: può essere fugace (come nelle forme

    lievi di shock neurogeno da spavento) come anche portare alla morte.

    I segni e sintomi più importanti sono:

    • la caduta della pressione arteriosa sistolica al di sotto di 90 mmHg se il soggetto

    non è iperteso (tale limite viene portato a 110 se il soggetto è iperteso). L’esistenza di

    alcuni soggetti in perfetta buona salute ma costituzionalmente ipotesi, con valori

    pressori sistolici inferiori a 90 mm Hg, deve far comprendere come la sola

    ipotensione arteriosa non sia sufficiente per porre diagnosi di shock. Occorre che essa

    sia necessariamente associata ad altri segni di ridotta perfusione periferica perché si

    possa diagnosticare di shock;

    • la riduzione della diuresi al di sotto di 30/ml ora (oliguria), determinata dopo aver

    posizionato un catetere vescicale, manovra di grande importanza perché serve sia per

    monitorizzare la diuresi, sia per impedire la possibile ritenzione di urina (per blocco

    della minzione). L’oliguria o, in casi gravi, l’anuria, è dovuta alla ridotta perfusione

    renale. Si ricordi come le arteriole del glomerulo siano fisiologicamente predisposte a

    mantenere una adeguata pressione di filtrazione renale quando la pressione sistemica

    si riduce entro certi limiti. Se l’oliguria o l’anuria non si sblocca rapidamente, si può

    avere grave sofferenza dei tubuli fino alla necrosi tubulare e può insorgere

    insufficienza renale acuta, con rapido aumento dell’azotemia e creatininemia. Se non

    viene instaurata una pronta terapia, l’evoluzione futura, nel caso non sopraggiunga la

    morte, potrà essere verso l’insufficienza renale cronica.

    • disturbi da ridotta irrorazione cerebrale con ansietà, agitazione, confusione mentale,

    sonnolenza e persino aggressività.

    • diminuzione della temperatura cutanea (per riduzione dell’irrorazione) con senso di

    freddo.

    • tachicardia compensatoria.

    • Nei casi gravi e prolungati si ha una ipossiema arteriosa ed acidosi metabolica da

    aumento di lattato.

    Dal punto di vista patogenetico lo shock riconosce quattro tipi di forme:

    cardiogeno, ipovolemico, settico e neurogeno.

    Shock cardiogeno: può essere dovuto a deficit contrattile del miocardio (come può

    avvenire per es. nell’infarto cardiaco o nella grave miocardite con insufficienza

    cardiaca) ed in questo caso è detto primario. Se invece è dovuto a condizioni che non

    permettono un normale riempimento diastolico del ventricolo sinistro (come nel caso

    di tamponamento cardiaco da pericardite essudativa, o embolia polmonare oppure in

    caso di gravi aritmie tipo fibrillazione ventricolare), è detto secondario.

    Shock ipovolemico. Si instaura quando si ha perdita di sangue (shock emorragico) o

    di liquidi (da diarrea profusa, da ustioni, da vomito ripetuto).

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    Shock settico. Si instaura in corso di gravi processi settici, nei quali la produzione di

    endotossine batteriche agisce diminuendo le resistenze periferiche e inducendo quindi

    ipotensione.

    Shock neurogeno. Stimoli psichici intensi (paura, dolore, ma anche gioia intensa)

    possono innescare una stimolazione vagale che è caratterizzata da bradicardia e

    ipotensione.

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    SINCOPE

    E’ una improvvisa perdita di coscienza transitoria associata ad una incapacità a

    mantenere il tono posturale. Si differenza dalla LIPOTIMIA che, pur condividendone

    l’eziopatogenesi, NON giunge alla perdita di coscienza ma è caratterizzata dai

    sintomi vegetativi che preludono ad essa quali senso di mancamento, sudorazione,

    pallore. Quando la perdita di coscienza è immediata il soggetto non riesce a mettere

    in atto meccanismi per evitare cadute con conseguenti traumi (ed in questo caso si

    impone la diagnosi differenziale con la crisi epilettica). La diagnosi di queste forme è

    a volte ardua e i casi che rimangono non diagnosticati, nonostante la moderna

    tecnologia, sono la maggioranza. L’esposizione segue un criterio epidemiologico di

    frequenza e le classifica come segue:

    Sincopi vasodepressive

    Sincopi cardiache

    Sincopi neurologiche

    Sincopi metaboliche

    Sincopi situazionali

    Sincopi vasodepressive (o vago-vasali o vaso-vagali). E’ la forma clinica più

    frequente e corrisponde al comune “svenimento”, dovuto a forti perturbazioni

    psichiche (paura, dolore ecc.) che innescano una sindrome vagale. Si distingue:

    una fase pre-sincopale, caratterizzata da pallore, sudorazione, nausea,

    annebbiamento della vista, ipotensione arteriosa e bradicardia;

    una fase sincopale, caratterizzata dalla perdita totale, ma transitoria, della

    coscienza;

    una fase post-sincopale nella quale si ha la progressiva scomparsa dei sintomi

    della prima fase.

    In soggetti particolarmente sensibili, manovre vagali (vedi aritmie) accidentali

    che stimolino il vago possono dare la sincope (sindrome da “barbiere” caratterizzata

    da sincope a seguito di stimolazione dell’area cutanea sovrastante il glomo

    carotideo).

    Sincopi cardiache da gettata cardiaca inadeguata:

    sincope in corso di infarto miocardico

    “Sindrome di Morgagni-Adams-Stokes” (vedi Aritmie, BAV III grado)

    sincope da stenosi aortica, da mixoma atriale, da trombo atriale a palla.

    Sincopi neurologiche

    Sincope da vasculopatia occlusiva cerebrale. La occlusione del territorio

    carotideo o di quello vertebro-basilare, su base arteriosclerotica, avviene di solito

    gradualmente e si manifesta principalmente con emiparesi e disartria nel primo caso,

    con vertigini e diplopia nel secondo. L’occlusione però può avvenire anche in modo

    clinicamente acuto ed esordire con una sincope. A questo proposito è bene

    sottolineare che un massaggio del seno carotideo, eseguito a scopo terapeutico in un

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    soggetto con stato preocclusivo della carotide, può indurre occlusione completa

    transitoria e scatenare una sincope che potrebbe erroneamente essere addebitata alla

    stimolazione vagale. Ciò induce a usare cautela nelle persone anziane, in cui il rischio

    di lesioni arteriosclerotiche è molto elevato. Le sincopi da vasculopatia occlusiva

    vengono denominate in gergo anglo-sassone “drop attack”.

    Sincope da ipotensione ortostatica. Quando il passaggio dall’orto- al

    clinostatismo non è rapidamente seguito dai fenomeni di adattamento emodinamico

    (rapida costrizione arteriolare, tachicardia, secrezione di catecolamine ecc.) si ha una

    fase pre-sincopale, caratterizzata da ipotensione arteriosa e riduzione acuta

    della irrorazione cerebrale, (ma talmente acuta da non avere il tempo da dare quei

    sintomi, incontrati nello shock, quali ansietà, agitazione, confusione mentale,

    sonnolenza e persino aggressività) ed una

    fase sincopale con improvvisa perdita di coscienza, che, quindi, giunge quasi

    sempre senza preavviso.

    La sincope da ipotensione ortostatica si può avere con maggior frequenza:

    - in soggetti che mantengono a lungo la posizione eretta, senza muoversi

    (soldati sull’attenti, specie sotto il sole in estate);

    - in soggetti allettati per molto tempo, nei quali i riflessi posturali sono rimasti

    inattivi per lungo tempo;

    - in soggetti con alterazioni del sistema nervoso vegetativo (come i diabetici

    rimasti per lungo tempo scompensati);

    - in soggetti ipertesi sottoposti a terapia antipertensiva con farmaci che

    agiscono sul il sistema nervoso vegetativo.

    Si noti come in questo tipo di sincope manchino spesso i sintomi premonitori e

    spesso il soggetto, quando esce dallo stato di incoscienza, ricorda solo ciò che stava

    facendo prima dell’evento.

    Sincopi metaboliche

    Sincope da ipoglicemia. Vedi coma ipoglicemico.

    Sincope da iperpnea (da alcalosi metabolica). Può colpire soggetti che, per situazioni

    particolarmente ansiose, iperventilano producendo un aumento del pH.

    Sincopi situazionali. Sono così denominate perché scatenate da particolari situazioni

    quali accessi prolungati di tosse, la minzione, la defecazione. La più frequente è

    quella che avviene in soggetti bronchitici cronici con insufficienza respiratoria dopo

    un prolungato accesso di tosse (vertigine laringea). L’interruzione della regolare

    dinamica respiratoria a causa della tosse produce un’ipossia acuta che si sovrappone

    ad uno stato di ipossia cronica presente in questi soggetti, e che determina

    l’insorgenza di uno stato vertinoso e successiva perdita di coscienza.

    Epidemiologia: nella maggior parte dei casi (35%) gli episodi sincopali rimangono

    indiagnosticati e questo sottolinea la frequente difficoltà di giungere ad una corretta

    definizione diagnostica, anche dopo aver eseguito tutti gli esami del caso. Fra gli

    episodi nei quali è possibile porre una diagnosi con una ragionevole certezza, le

    forme più frequenti risultano essere le sincopi vaso-depressive (30%), seguite dalle

    sincopi cardiache (19%), neurologiche (11%) e dovute ad altre cause (5%).

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    APPARATO RESPIRATORIO

    LINEE DI RIFERIMENTO

    Torace: visione anteriore (Fig. pag 251). Le linee più importanti sono:

    - verticali: la linea medio-sternale (centrale), la margino-sternale o para-sternale

    (sul margine dello sterno) e la emiclaveare (per il punto medio della clavicola)

    - orizzontali: angolo-sternale (passante dall’angolo fra manubrio e corpo dello

    sterno) e xifo-sternale (passante dalla giunzione xifo-sternale)

    - Tali linee demarcano le regioni bilateralmente: sovraclaveari, sottoclaveari,

    mammarie e ipocondriache.

    Torace: visione laterale (Fig. a pag. 252). Le linee più importanti sono:

    - solo verticali: ascellare anteriore, media e posteriore

    Torace: visione posteriore (Fig pag 253) Le linee più importanti sono:

    - verticali: linea vertebrale (centrale) e linea angolo-scapolare (passante per l’angolo

    della scapola)

    - orizzontali: linea soprascapolare (passante per il margine più alto della scapola),

    linea della spina della scapola (pasante per il processo spinoso scapolare), linea

    dell’angolo inferiore sella scapola (passante per il margine più basso della

    scapola).

    - Tali linee demarcano le regioni bilateralmente: sovrascapolari, scapolari

    (sovraspinosa e sottospinosa), sottoscapolare o dorsale.

    ANATOMIA TOPOGRAFICA DI SUPERFICIE. E’ importante conoscere le

    proiezioni dei lobi polmonari sulla superficie toracica per rendere agevole la

    localizzazione dei processi morbosi attraverso l’osservazione dei radiogrammi del

    torace. La fig a pag 249 localizza la proiezione sul radiogramma anteriore (in alto) e

    posteriore (in basso) la sede dei lobi polmonari destri (anteriore, medio e posteriore) e

    sinistri (anteriore e posteriore) e dei relativi segmenti.

    ANGOLO DEL LOUIS. E’ la giunzione sporgente fra manubrio e corpo dello sterno

    (Fig. pag 254). Permette di conoscere con esattezza la localizzazione della seconda

    costa. Questo punto di repere viene utilizzato quando è necessario localizzare con

    esattezza gli spazi intercostali. Il secondo spazio intercostale è quello situato subito al

    di sotto della seconda costa.

    SEMEIOLOGIA DELL’APPARATO RESPIRATORIO.

    - Ispezione

    - Palpazione

    - Percussione

    - Ascoltazione

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    ISPEZIONE.

    - Alterazioni della morfologia della gabbia toracica: le più importanti sono

    caratterizzate da deviazioni del rachide, soprattutto in senso latero-laterale

    (scoliosi), per patologia della colonna dello sterno (pectus excavatum)

    - Alterazioni della dinamica respiratoria:

    - asimmetria della dinamica respiratoria per processi patologici pleuro-

    parenchimali monolaterali, in atto o pregressi

    - riduzione simmetrica delle escursioni respiratorie negli enfisematosi

    - Alterazioni della cute:

    - edema a mantellina nelle sindromi mediastiniche

    - circoli collaterali

    - eventuali cicatrici da pregressi interventi chirurgici

    PALPAZIONE.

    Immediata, per rilevare:

    - il grado delle espansioni respiratorie sia degli apici che delle basi polmonari (Fig

    pag 259)

    - eventuali pulsazioni, per es. le pulsazioni aortiche al giugulo;

    - la presenza di sfregamenti pleurici (Fig pag 258, 4), (pleuriti secche, esiti

    cicatriziali si pleuriti siero-fibrinose);

    Mediata, per rilevare, attraverso la vibrazione vocale indotta dalla pronuncia della

    parola “trentatrè”, la sua propagazione e la sua diffusione sulla superficie della cassa

    toracica, in particolare nella regione dorsale: il cosiddetto “fremito vocale tattile” o

    FVT. Esso si percepisce con il margine ulnare della mano, (fig a pag 257), esplorando

    bilateralmente tutto l’ambito polmonare. Questa manovra è di fondamentale

    importanza nella semeiotica del torace e, se ben eseguita, permette di apprezzare

    modificazioni sia in senso rafforzativo che diminutivo (Fig pag 258).

    Nel primo caso (Fig pag 258, 1), si percepisce un rinforzo della trasmissione,

    prodotto da un addensamento parenchimale, il quale, privato del suo fisiologico

    contenuto aereo, produce un aumento di trasmissione delle vibrazioni e quindi un

    rinforzo del FVT. E’ il caso di un addensamento infiammatorio (polmonite,

    broncopolmonite) oppure di una ostruzione di un bronco di grosso calibro da parte di

    un tumore o di un grosso tappo di muco che produce la mancanza di aerazione del

    parenchima polmonare tributario e progressivo riassorbimento dell’aria (atelettasia).

    Nel secondo caso (Fig pag 258, 2, 3), si percepisce una riduzione della

    trasmissione, fino alla sua scomparsa, in quanto i foglietti pleurici non sono più a

    contatto l’uno dell’altro, essendosi avuta l’interposizione di

    - liquido, nel caso di versamento pleurico (sia di tipo infiammatorio ed allora si

    porrà diagnosi di pleurite, sia di tipo trasudatizio ed allora interverranno le cause