SELECTOR - Lampi di stampa

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SELECTOR 106 SUONO settembre 2014 a cura di Daniele Camerlengo L a passione: un caterpil- lar che muove il mondo, lo capovolge e lo rende migliore. Raramente le passio- ni hanno portato risultati senza memoria. Si superano ostacoli e periodi di caducità economica ed esistenziale. La grandezza di questo sentimento ha per- messo la realizzazione di realtà culturali anche in contesti diffi- cili, dove il sacrificio e la spesa umana diventano esorbitanti. Questa estate musicale ha visto il ritorno in grande stile del Tea- no Jazz Festival, giunto alla sua XXII edizione, un riferimento storico per gli appassionati ita- liani di jazz. La rassegna, nata dalla passione, appunto, di Wal- ter Guttoriello e Antonio Feola, ha avuto quest’anno una formu- la itinerante che l’ha portata in undici comuni dell’alto caserta- no, una terra meravigliosa che ha bisogno di essere conosciuta e lucidata come merita. Questo grazie a lungimiranze pensanti che amano la propria terra e hanno cura della ricchezza ge- nerazionale futura. Un progetto di divulgazione e di stimolo che non può che far bene alla quali- tà della vita, che rende migliori e diffonde quel fastidio urtican- te che tanto giova: la curiosità. La rubrica di questo mese vedrà come ospite Francesco Bigoni, sassofonista e clarinettista ita- liano di stanza a Copenaghen. Stratega delle produzioni collet- tive, dal 2005 sperimenta con l’etichetta/collettivo El Gallo Rojo (www.elgallorojorecords. com). È co-leader di On Dog (con Mark Solborg, Piero Bit- tolo Bon, Beppe Scardino, Marc Lohr), Hopscotch (con Mark Solborg e Kevin Brow), Nesso G (con Michele Polga, Danilo Gal- lo, Tommaso Cappellato) e Cri- sco 3 (con Piero Bittolo Bon e Beppe Scardino). Ha collabora- to con: Ralph Alessi, Jim Black, Gerald Cleaver, Greg Cohen, Anthony Coleman, Francesco Cusa, Daniele D’Agaro, Ulrich Gumpert, Giovanni Maier, En- rico Rava, Fabrizio Sferra, Chris Speed… Kairós: spirito, corpo e suoni. Condominio Monk. L’Uganda di Felipe Salles. Il tempo è una componente fon- dante del nostro vivere, ordina e disordina gli eventi che deter- minano la nostra vita. Una cicli- cità che sfama i nostri desideri, i nostri sensi, le nostre esistenze. Il tempo nella musica, poi, mi- sura le emozioni e le valorizza nel gioco delle tensioni. I Greci descrivevano il tempo attraver- so due monadi logiche: Kronos la quantità e Kairós la qualità. Mentre la prima è riferita all’a- spetto sequenziale, la seconda descrive un momento giusto, una frazione di vita dove l’ac- cadimento era speciale come la persona che lo viveva. Il tempo di Dio nel caso del pia- nista Dino Rubino è Kairós, il suo nuovo lavoro discografico licenziato dalla Tuk Music di Paolo Fresu. Le composizioni originali sono quasi tutte del giovane pianista siciliano che ha voluto al suo fianco una formazione atipica, un ottetto formato da Giuseppe Mira- bella alla chitarra, che parte- cipa anche agli arrangiamenti, Riccardo Fioravanti al con- trabbasso, Adam Nussbaum alla batteria, Angelo Bonac- corso ed Emanuele Giunta al corno francese, Vincenzo Paratore al trombone e Gae- tano Cristofaro al clarinetto basso. Un sentiero metafisico, dove la materia ispiratrice, fatta di forme vissute, si unisce alla moltitudine sonora. Lasciarsi prendere dall’istinto emoziona- le e smarrirsi nell’inaspettato. Il folk, il jazz, la classica e il soul sono solo alcuni dei riferimenti stilistici utilizzati per realizzare questo progetto discografico. A rendere ancor più speciale que- sto album è l’esordio della colla- borazione con la Ducale per ciò che concerne la distribuzione. Thelonious Monk è una del- le figure semidivine del jazz mondiale. La sua storia di vita e di composizione è ricca di preziosi chiavistelli che, schiu- si al momento giusto, hanno aperto spazi ricreativi di inau- dito potenziale a chi ha avuto il coraggio di cimentarsi con tanta grandezza. Rari sono i la- vaggi e le colorazioni originali del bagaglio di opere d’arte del pianista di Rocky Mount, la maggioranza degli interpreti contemporanei tira fuori ripe- tizioni al limite della decenza o storture prive di contenuto. Poi, in una fredda sera romana, l’in- contro di due teste calde e per- foranti ha permesso al genio di Monk di rivivere in due effimere intenzioni dialoganti. La perfor- mance dal vivo di Pasquale A cura di Guido Michelone 60 JAZZISTI Lampi di Stampa Pagine: 307 - Prezzo: 21,00 euro Guido Michelone, docente al conservatorio di Alessan- dria e all’Università Cattolica nonché noto critico musi- cale, ha raccolto nel suo nuovo libro sessanta ritratti di jazzisti di cui aveva già precedentemente scritto su varie riviste. Un libro consigliato sia ai neofiti, dal momento che in esso troveranno utili indicazioni leggendo i ritratti di maestri come Miles Davis e John Coltrane, sia agli appassionati più esigenti, che potranno focalizzare l’attenzione su protago- nisti contemporanei, ma anche su figure semisconosciute. Tra gli artisti descritti, bianchi e neri, giovani e meno giovani, europei e americani, famosi e meno famo- si, figurano anche jazzmen italiani come Stefano Bollani, Gianni Basso, Massimo Urbani, Carlo Actis Dato. In ogni ritratto sono presenti dati biografici, indicazioni discografiche, aneddoti e opinioni critiche. Un consiglio ai lettori: procedete nella lettura seguendo l’ordine scelto dall’autore, che alterna a grandi nomi del jazz figure meno note: classici e moderni, hanno tutti un significativo rilievo artistico e sono in ugual misura protagonisti e rappresentanti di un’immensa cultura popo- lare. È possibile acquistare il libro dal sito: www.lampidistampa.it. Buona lettura!

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106 SUONO settembre 2014

a cura di Daniele Camerlengo

La passione: un caterpil-lar che muove il mondo, lo capovolge e lo rende

migliore. Raramente le passio-ni hanno portato risultati senza memoria. Si superano ostacoli e periodi di caducità economica ed esistenziale. La grandezza di questo sentimento ha per-messo la realizzazione di realtà culturali anche in contesti diffi-cili, dove il sacrificio e la spesa umana diventano esorbitanti. Questa estate musicale ha visto il ritorno in grande stile del Tea-no Jazz Festival, giunto alla sua XXII edizione, un riferimento storico per gli appassionati ita-liani di jazz. La rassegna, nata dalla passione, appunto, di Wal-ter Guttoriello e Antonio Feola, ha avuto quest’anno una formu-la itinerante che l’ha portata in undici comuni dell’alto caserta-no, una terra meravigliosa che ha bisogno di essere conosciuta e lucidata come merita. Questo grazie a lungimiranze pensanti che amano la propria terra e hanno cura della ricchezza ge-nerazionale futura. Un progetto di divulgazione e di stimolo che non può che far bene alla quali-tà della vita, che rende migliori e diffonde quel fastidio urtican-te che tanto giova: la curiosità. La rubrica di questo mese vedrà come ospite Francesco Bigoni, sassofonista e clarinettista ita-liano di stanza a Copenaghen. Stratega delle produzioni collet-tive, dal 2005 sperimenta con l’etichetta/collettivo El Gallo Rojo (www.elgallorojorecords.com). È co-leader di On Dog (con Mark Solborg, Piero Bit-tolo Bon, Beppe Scardino, Marc Lohr), Hopscotch (con Mark Solborg e Kevin Brow), Nesso G (con Michele Polga, Danilo Gal-lo, Tommaso Cappellato) e Cri-sco 3 (con Piero Bittolo Bon e Beppe Scardino). Ha collabora-to con: Ralph Alessi, Jim Black,

Gerald Cleaver, Greg Cohen, Anthony Coleman, Francesco Cusa, Daniele D’Agaro, Ulrich Gumpert, Giovanni Maier, En-rico Rava, Fabrizio Sferra, Chris Speed…

Kairós: spirito, corpo e suoni. Condominio Monk. L’Uganda di Felipe Salles.Il tempo è una componente fon-dante del nostro vivere, ordina e disordina gli eventi che deter-minano la nostra vita. Una cicli-cità che sfama i nostri desideri, i nostri sensi, le nostre esistenze. Il tempo nella musica, poi, mi-sura le emozioni e le valorizza nel gioco delle tensioni. I Greci descrivevano il tempo attraver-so due monadi logiche: Kronos

la quantità e Kairós la qualità. Mentre la prima è riferita all’a-spetto sequenziale, la seconda descrive un momento giusto, una frazione di vita dove l’ac-cadimento era speciale come la persona che lo viveva. Il tempo di Dio nel caso del pia-nista Dino Rubino è Kairós, il suo nuovo lavoro discografico licenziato dalla Tuk Music di Paolo Fresu. Le composizioni originali sono quasi tutte del giovane pianista siciliano che ha voluto al suo fianco una formazione atipica, un ottetto formato da Giuseppe Mira-bella alla chitarra, che parte-cipa anche agli arrangiamenti, Riccardo Fioravanti al con-trabbasso, Adam Nussbaum

alla batteria, Angelo Bonac-corso ed Emanuele Giunta al corno francese, Vincenzo Paratore al trombone e Gae-tano Cristofaro al clarinetto basso. Un sentiero metafisico, dove la materia ispiratrice, fatta di forme vissute, si unisce alla moltitudine sonora. Lasciarsi prendere dall’istinto emoziona-le e smarrirsi nell’inaspettato. Il folk, il jazz, la classica e il soul sono solo alcuni dei riferimenti stilistici utilizzati per realizzare questo progetto discografico. A rendere ancor più speciale que-sto album è l’esordio della colla-borazione con la Ducale per ciò che concerne la distribuzione.

Thelonious Monk è una del-le figure semidivine del jazz mondiale. La sua storia di vita e di composizione è ricca di preziosi chiavistelli che, schiu-si al momento giusto, hanno aperto spazi ricreativi di inau-dito potenziale a chi ha avuto il coraggio di cimentarsi con tanta grandezza. Rari sono i la-vaggi e le colorazioni originali del bagaglio di opere d’arte del pianista di Rocky Mount, la maggioranza degli interpreti contemporanei tira fuori ripe-tizioni al limite della decenza o storture prive di contenuto. Poi, in una fredda sera romana, l’in-contro di due teste calde e per-foranti ha permesso al genio di Monk di rivivere in due effimere intenzioni dialoganti. La perfor-mance dal vivo di Pasquale

A cura di Guido Michelone 60 jazzisti Lampi di Stampa Pagine: 307 - Prezzo: 21,00 euro

Guido Michelone, docente al conservatorio di Alessan-dria e all’Università Cattolica nonché noto critico musi-cale, ha raccolto nel suo nuovo libro sessanta ritratti di jazzisti di cui aveva già precedentemente scritto su varie

riviste. Un libro consigliato sia ai neofiti, dal momento che in esso troveranno utili indicazioni leggendo i ritratti di maestri come Miles Davis e John Coltrane, sia agli appassionati più esigenti, che potranno focalizzare l’attenzione su protago-nisti contemporanei, ma anche su figure semisconosciute. Tra gli artisti descritti, bianchi e neri, giovani e meno giovani, europei e americani, famosi e meno famo-si, figurano anche jazzmen italiani come Stefano Bollani, Gianni Basso, Massimo Urbani, Carlo Actis Dato. In ogni ritratto sono presenti dati biografici, indicazioni discografiche, aneddoti e opinioni critiche. Un consiglio ai lettori: procedete nella lettura seguendo l’ordine scelto dall’autore, che alterna a grandi nomi del jazz figure meno note: classici e moderni, hanno tutti un significativo rilievo artistico e sono in ugual misura protagonisti e rappresentanti di un’immensa cultura popo-lare. È possibile acquistare il libro dal sito: www.lampidistampa.it. Buona lettura!

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Esperienze in jazz

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Innarella e Roberto Fega è diventata Monktronik, un album che raccoglie le riprese del concerto realizzato a La Riunione di Condominio, pub-blicato da Setola di Maiale, etichetta attenta alle musiche non convenzionali. Ogni brano è caratterizzato da una meti-colosa cura dei suoni, il sax di Pasquale Innarella percorre, in una iridescente solitudine, le strade noir e nascoste dell’a-nimo monkiano, aspettando pazientemente l’intromissio-ne elettronica di Fega, che lo

1 MAT - Marcello Allulli Trio Sergej/goeS to Hollywood 2014

2 Rebirth Brass Band rebirtH groove 2014

3 Carmine Ioanna ArrA 2014

4 Fred Hersch Trio weSt virginiA roSe (for florette & roSlyn) 2014

5 Elio Villafranca SundAy Stomp At Congo SquAre 2014

6 Massimo Urbani jorgelinA 1975

7 Aldo Del Rio el bArdo 2014

8 Chiara Izzi AnotHer dAy 2013

9 Ingrid Lucia yeS yeS girl 2014

10 Fabio Giachino HotCHpotCH 2014

11 Orrin Evans ditA 2014

12 Stefano Lenzi Quintet SomigliAnze 2014

13 Gordon Goodwin’s Big Phat Band SynoliCkS 2014

14 Gloria Trapani Quartet rougH diAmond 2013

15 Piero Delle Monache nAirobi 2014

Daniele Camerlengo

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Nell’era dei box di-ventati sempre più (pre) sontuosi, fa piacere accogliere un progetto redatto con la giusta sobrietà, nonostante la finissi-ma aura dei suoi pro-tagonisti. Sono “solo” quattro dischetti che raccolgono nell’esat-to ordine cronologi-co, piuttosto che in quello di pubblicazione, le sedute realizzate per la magni-loquente Prestige: si parte dal 1956, quando il trombettista faceva parte del primo quintetto, un poker d’assi formato da Red Garland (piano), Paul Chambers (contrabbasso), Philly Joe Jones (batteria) e un emergente John Coltrane, il cui sax era ancora lontano dai furori spirituali che poi ne ingigantirono la figura. Per almeno 3/4 si tratta di materiale arcinoto, perché qualunque discografia di base non può non trovare ai primi posti gli album in oggetto (Miles, Workin’, Relaxin’, Steamin’, & The Modern Jazz Giants e il conclusivo Cookin’), per i quali è quasi d’obbligo il ricorso a superlativi di pregio. Si tratta più semplicemente di pagine fondamentali nella storia del jazz, che in teoria avrebbero permesso a Davis di liberarsi da un contratto ritenuto non all’altezza rispetto alle dorate tentazioni lanciate dalla rivale Columbia, capaci invece di sottolinearne l’assoluto stato di grazia. Senza il minimo calo di tensione, l’ascolto

procede fra temi fa-mosi (incluse alcune ballad associate a quel tempo al reper-torio di Frank Sinatra), che sottendono un ponte immaginario tra la furente era del bop e la più cheta rivoluzione modale, di cui Miles sarebbe stato sempre assolu-to protagonista. Una

sezione ritmica di levigata impeccabilità e un partner in prima linea piuttosto accomodante rilanciano le sotti-gliezze armoniche del leader nel magistrale equilibrio tra composizione e improvvisazione: messe in ordine sui primi tre CD tutte le takes in studio, nell’ultimo, che è anche multimediale, trovano posto alcune registrazioni televisive e radiofoniche mai pubblicate finora e di apprez-zabile qualità sonora, oltre a delle trascrizioni integrali dei soli di Davis che, ovviamente, interesseranno parecchio di più i musicisti. Il box, dal remastering accurato (anche quello originale era ottimo), aumenta il suo appeal con la più snella forma longitudinale e un booklet ornato da splendide foto in bianco e nero. In definitiva, l’acquisto è quasi obbligato per i neofiti che volessero avvicinarsi a questa celebrata icona, e comunque resta consigliato per i cultori o appassionati, che quasi mai si tirano indietro di fronte a simili prelibatezze. Vittorio Pio

gli indispensabiliMiles davis The Legendary Prestige Quintet Sessions Concord Universal

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sostiene, ora con ritmiche e voci ridondanti, ora con ad-dizioni elettroniche che fanno luce sulle strettoie armoniche e melodiche cangianti. Ogni traccia prende vita quasi come fosse una sessione pensante, un canovaccio sonoro mai banale, uno sguardo peculiare e fumoso che unisce il jazz alla manifat-tura elettronica. Interessante il gioco ritmo-emotivo creato nelle due suite.

Il progetto discografico Ugan-dan Suite nasce dal viaggio condotto dal sassofonista bra-siliano Felipe Salles nel 2011 in Uganda, investigando sulla musica ugandese attraverso i nativi, interagendo con i mu-sicisti locali e facendo ricerca nei Dipartimenti Musicali del-le Università di Makerere e di Kyambogo. Questo lavoro è il primo grande esperimento di integrazione tra il jazz e gli idio-mi musicali dell’Uganda. Felipe ha interpretato le sonorità, i rit-mi e gli stili etnici delle regioni e delle tribù che ha visitato, as-sociando ogni movimento delle cinque suite agli aspetti che ren-dono peculiare il carattere degli animali del territorio, ritraen-done gli aspetti caratterizzanti e cercando il dialogo organolo-gico tra gli strumenti autoctoni e quelli che appartengono alla cultura occidentale. Felipe, attraverso questo album (se-sta pubblicazione a suo nome, edito dalla Tapestry Records,

segmento della prestigiosa Ca-pri Records, www.caprirecords.com), espande il visivo musica-le, avvicinando spazi di suono e di tradizioni molto lontani tra loro. Si possono sentire la tran-ce dei ritmi tribali africani, la rhumba congolese, l’improvvi-sazione jazz, l’hip-hop e la drum and bass, cellule classiche e rife-rimenti al Minimalismo caro a Steve Reich. Gli arrangiamenti pregevoli si uniscono a un soffio che rende Felipe Salles un per-sonaggio da seguire con molta attenzione.Daniele Camerlengo

Rispondo volentieri all’invito di Daniele scegliendo tre dischi a me molto cari per motivi mu-sicali e biografici. A firmarli sono tre eccellenti pianisti e amici, ideali rappresentanti delle tre città che ho frequenta-to più spesso lungo il mio per-corso: Ferrara, Copenaghen e Londra.

Il primo è il meno recente: Ecce Combo (2010) di Al-fonso Santimone, mio con-cittadino, splendido pianista, musicista elettronico e orga-nizzatore di suoni. Per me Al-fonso è come un fratello. Ci è capitato di scherzare sull’esi-stenza di una moderna “scuola ferrarese”: per qualche motivo capita spesso che andiamo a rovistare negli stessi materiali sonori, attingendo da una ter-ra di nessuno fatta di poligoni

ammantati nella nebbia. Il suo sestetto (ridotto, per motivi lo-gistici, a quintetto in questa ses-sione in studio) Laser Pigs ha dato alla luce uno degli episodi più riusciti della produzione de El Gallo Rojo, collettivo/etichetta di cui faccio parte dal 2005 assieme ad Alfonso e agli altri musicisti coinvolti. Tra la rilettura/espansione dei Sechs Kleine Klavierstücke, Op. 19 di Schönberg, e i fulminanti brani originali (afferenti a periodi di-versi della produzione di Alfon-so, in una sorta di breve storia personale), ritornare su questo disco è un piacere anche a di-stanza di anni.

Ho conosciuto Dan Nicholls durante la sua residenza a Co-penaghen per motivi di studio, e ho avuto la fortuna di fre-quentarlo parecchio durante la mia breve parentesi londinese, suonando dal vivo alcune del-le composizioni presentate su questo Ruins. Dan è la spina dorsale del Loop Collective e mi ha fatto conoscere una gio-vane generazione di musicisti britannici di cui non sognavo l’esistenza. Cinque di loro sono riuniti in questo organico dalla composizione inusuale: teno-re/clarinetto, clarinetto bas-so, rhodes/wurlitzer, organo, batteria. Nel disco emergono le molte influenze che Dan sintetizza in maniera fresca e personale: folk dell’Africa oc-cidentale, arti visive (declinate

soprattutto attraverso l’espres-sionismo astratto e la video art), contrappunto, critica sociale. L’immediatezza della propul-sione ritmica e l’imprevedibilità delle scelte improvvisative mi sorprendono a ogni ascolto.

Jacob Anderskov è un mu-sicista dalla visione unica. Ho incontrato il suo lavoro per la prima volta parecchi anni fa nella compilation Zoom!, una panoramica sulla produzione dei collettivi europei curata dalla francese Yolk, e ne sono

1 Mark Solborg 2620 2012

2 Gyorgy Ligeti (Arditti Quartet) Streichquartett No. 1 1978

3 Jacob Anderskov WaldhorN 2013

4 Tune-Yards My couNtry 2011

5 Adam Pultz Melbye Gullet 2013

6 Franco D’Andrea Savoy BlueS / uNdecided 2013

7 Marc Ducret Sur l’electricité 2011

8 Jean-Baptiste Lully (Hervé Niquet) exaudiat te doMiNuS 2000

9 Bill Frisell / Victor Bruce Godsey eNd of the World 1994

10 Dan Nicholls WithdraWal 2013

11 Petter Eldh love declared diSaSter averted 2014

12 Alfonso Santimone ecce coMBo 2010

13 Meredydd Evans o fy Mrodyr i, uN 1954

14 Andrew Hill / Mal Waldron evideNce 1988

15 Pérotin (Hilliard Ensemble) videruNt oMNeS 1986

Francesco Bigoni

songs

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Esperienze in jazz

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stato immediatamente colpito. È stato uno dei primi musicisti che ho contattato dopo il mio trasferimento a Copenaghen, nel 2009. Da allora ho collaborato saltua-riamente con lui e ho seguito la sua musica in maniera assidua. Dall’anno scorso faccio parte del collettivo/etichetta ILK, di cui è fondatore. Strings, Per-cussion and Piano è uno degli episodi più maturi della sua vasta produzione discogra-fica. Ero abituato al suono del suo Anderskov Accident (un combo allargato con parecchi legni e ottoni) e del quartetto Agnostics (con Chris Speed, Michael Formanek, Gerald Cleaver): il cambio di rotta nel-la strumentazione (trio d’archi, pianoforte e batteria) e la per-formance superlativa mi hanno conquistato. Sempre degna di nota, quando si tratta di Jacob, la meticolosa ricerca formale, mimetizzata in un contesto di grande spontaneità e libertà improvvisativa: una prassi, del resto, condivisa da Alfonso e Dan (che pure la declinano in maniera diversa) e che fa da ideale filo conduttore fra i tre album.Francesco Bigoni

Arrivederci chArliePer una volta siamo a corto di superlativi per (provare) a descrivere quello che Charlie Haden ha rappresentato per il jazz. Un magnifico iconoclasta dalla vena romantica, la spalla ideale su cui Ornette Coleman sapeva di poter con-tare per scatenare la forza dirompente del free jazz accanto a Billy Higgins e Don Cherry. Il contrabbassista originario dello Iowa ci ha lasciati questa estate a 76 anni dopo una lunga malattia che non gli ha concesso scampo, spegnen-dosi serenamente a Los Angeles. Al suo capezzale l’adorata moglie Ruth, al quale Haden aveva dedicato la meravigliosa ballad First Song, che eseguiva in ogni apparizione pubbli-ca, e i quattro figli, tutti in qualche modo legati alla musica. Pochi altri come lui sono stati capaci di provare un senso di sfida e curiosità nei confronti della musica, intesi come viaggio continuo i cui orizzonti potevano dilatarsi fino a toccare il jazz mainstream, i prediletti canti della guerra civi-le spagnola o il country (procuratevi Rambling Boy, un disco davvero sorprendente del 2009, registrato con la famiglia al completo, Elvis Costello e Rosanne Cash, figlia di cotanto padre). Il suo epitaffio, intitolato dolorosamente Last Dance, è il secondo capitolo di una magica session condivisa con Keith Jarrett e pubblicata dalla ECm di manfred Eicher, nel cui catalogo risiedono molti dei suoi capolavori. Al contrab-basso Haden ci era arrivato a causa della poliomelite che lo ha colpito da adolescente, costringendolo ad abbandonare il canto, sua vera passione anche nella riscoperta di alcu-ne voci minori come quella di Jo Stafford, che ri-vivevano magicamente nelle incisione del suo fantastico Quartet West. ma solo quanto realizzato al fianco di Ornette Cole-man potrebbe garantirgli un posto di riguardo nel ristretto pantheon del jazz. Già nei titoli di quei dischi temerari pub-blicati a cavallo degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 c’è il senso di un traguardo ardimentoso, ovvero di un sovvertimento delle regole del gioco, come era accaduto con la pittura e altre forme d’arte. Change of The Century, The Shape Of Jazz To Come (la forma del jazz che verrà), Free Jazz: A Collective Improvisation:  quei dischi suscitarono sconcerto ed entu-siasmo nella comunità, allora bacchettona. Se ne innamorò

follemente un giovane Keith Jarrett, al quale venne la bril-lante idea di formare un trio con Haden e Paul motian (ex batterista del fantastico golden trio di Bill Evans); a questo magico triumvirato si aggiungerà poco più tardi Dewey Redman al sax, per la costituzione del cosiddetto “Quartetto americano”. Nel 1969, insieme alla carismatica compositrice Carla Bley, Haden fonda la Liberation music Orchestra, una big band capace di unire lo sperimentalismo avanguardista con il linguaggio orchestrale e le tradizioni popolari, dimo-strando la valenza del jazz anche dal punto di vista dell’im-pegno sociale e politico, nonché una visionaria anticipa-zione di quella che, qualche decennio dopo, verrà definita “world music”. Negli anni ’80, come detto, inizia la splendida avventura del Quartet West, insieme a Ernie Watts, Alan Bro-adbent e Lawrence marable, il cui emblematico Always Say Goodbye rappresenta un doveroso omaggio al mondo di Raymond Chandler e del Noir più accattivante, sua prima-ria fonte di ispirazione. Più volte premiato con il Grammy, Charlie Haden ha collaborato con altri pianisti del calibro di Egberto Gismonti, Hank Jones, Gonzalo Rubalcaba, Brad meldhau, e con il nostro Enrico Pieranunzi con cui, insieme a Paul motian, ha inciso alcuni sfavillanti album, compreso Silence, gioiello minore di Chet Baker con Billy Higgins alla batteria. Negli ultimissimi anni spicca il viaggio alla ricer-ca delle radici nel giustamente celebratissimo Beyond The Missouri Sky, l’album di duetti inciso con Pat metheny che ebbe una sua straordinaria appendice dal vivo anche in una memorabile edizione di Umbria Jazz. Charlie Haden era un musicista anti accademico, un contrabbassista dal suono potente, dal fraseggio personalissimo, costantemente im-pegnato a svincolare il suo strumento da un ruolo di mero accompagnamento. “Potevi capirlo” ha ribadito un collega americano “dal modo in cui suonava. Sembrava corteggiare il contrabbasso, facendolo dondolare avanti e indietro, con gli occhi chiusi, la testa girata, tesa in una smorfia, quasi piegato in due per sentire meglio ciò che stava suonando, illuminan-dosi ogni tanto quando ascoltava qualcuno della band suo-nare qualcosa di notevole”. Gli sia lieve la terra.Vittorio Pio