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S trade del M eridione Rivista dei Capi Calabresi dell’AGESCI agosto 2013 IL LUOGO... ______________ ... DELLA BELLEZZA ______________ ... DEL CAMPO ______________ ... DELLA FEDE ______________ ... DELLA ROUTE REGIONALE Foto G. Arcudi Vite all’aperto Benvenuti alla Route Regionale delle Co.Ca. 2013

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Scout, strade del meridione, calabria, agesci

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StradedelMeridioneRivista dei Capi Calabresi dell’AGESCI

agosto 2013

IL LUOGO...

______________... DELLABELLEZZA

______________... DELCAMPO

______________... DELLAFEDE

______________... DELLAROUTEREGIONALE

Foto G. Arcudi

Vite all’aperto

Benvenuti allaRoute Regionaledelle Co.Ca. 2013

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VITE ALL’APERTO SOMMARIO

2 - EDITORIALE

4 - SALUTO AI CAPI

6 - CHI ARRIVA PRIMA ASPETTA

8 - IL LUOGO DELLA BELLEZZA

10 - RIFLESSIONI

12 - IL LUOGO DEL CAMPO

14 - LUMEN FIDEI

20 - OSSERVATORIO

22 - LETTERE AL DIRETTORE

Reg. Trib. di Lamezia Terme n° 68/87C/o AGESCI CalabriaVia Trento, 47 Lamezia Terme ( CZ)

Direttore Responsabile: Luigi (Gino) ArcudiRedazione: Antonio D’Augello (web) Vincenzo Baglio (foto) Gaetano Spagnolo (grafica)Stampa Marafioti

E-mail: [email protected] CODE - Scarica l’applicativo e inqua-dra il quadratino con l’obiettivo del tuo smartphone o del tuo computer.

Strade del Meridione parla della Natura e del Creato come luogo privilegiato per educare (così era nell’intenzione di Baden Powell) e lo fa accogliendo circa 600 Capi della Regione che hanno percor-so, per tre giorni Piste, Sentieri e Strade della Sila. Vivere nella natura è il modo scout per pro-gettare il futuro della Regione con la redazione del nuovo Pro-getto Regionale che accompa-gnerà i prossimi anni dell’Agesci calabrese. Diversi sono stati gli incontri che hanno preparato questa esperienza (noi non pre-pariamo eventi ma proponiamo esperienze) proprio come fanno Akela e Arcanda quando prepa-rano i Lupetti/e Coccinelle alla Caccia e al Volo; proprio come fa una Squadriglia, nell’Ango-lo della propria sede, quando progetta la prossima avventu-ra; come fanno i Clan/Fuochi quando arredano la sede con le foto della risalita del torrente o aggiornano le memorie frutto delle tre Route vissute nel cor-so dell’anno (Natale, Pasqua ed estiva). La Scelta Scout così vissuta con-tribuisce a educarci ad un cor-retto rapporto con noi stessi, gli altri e i territori. La Natura è ordinata, provvidenziale, gene-rosa, genera meraviglia e otti-mismo, ci propone di affrontare le nostre fragilità e superare i nostri limiti per varcare la soglia di casa migliorati dal rapporto della natura per poter spende-re qualcosa in più nel rapporto con gli altri (se non altro per-ché abbiamo qualcosa da rac-contare). Vivere nella Natura ci rende consapevoli dell’Amore che Dio ha per noi nominando-ci custodi del suo giardino: un

Amore da sperimentare con la fisicità dell’incontro approfon-dito e continuato con il Creato. I ragazzi postano sui social net-work ciò che più li rende origina-li e non c’è scout o guida che non abbia, sul proprio profilo, foto di esperienze vissute con lo zaino in spalla o che ha come sfondo, della propria home page, il pa-norama conquistato dopo una lunga salita. Ma viene il dubbio: avete mai visto se i ragazzi han-no postato anche foto di riunio-ni e domeniche vissute in sede o nei cortili delle Parrocchie? Gino Arcudi

www.agescicalabria.it - facebook: strade del meridione

EDITORIALE

Chiuso in stampa il 2 agosto 2013

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Per Cominciare: “Grazie!”.

Siamo grati a te che stai leggen-do queste poche righe perché si-gnifica che, anche tu come noi, stai approfittando della mera-vigliosa opportunità chiamata

“Route delle Comunità Capi”.

Ma Grazie anche a te che non ti sei messo per “Strada” ma che in qualche modo que-sta opportunità ha bussa-to alla porta della tua casa e tu l’hai lasciata entrare.

È meraviglioso far parte di questa “Famiglia” che tut-ti include e nessuno esclude.

La strada fatta ci ha indi-cato un progetto ben chia-ro e preciso: una parten-za, un percorso, una meta.

Il cammino a volte lento, fatico-so ci ha permesso di riprendere contatto con il mondo della natura, il silenzio del cammino ha favorito l’ascolto del nostro “io nascosto” e quindi ripren-

dere il contatto con noi stessi. Sempre il silenzio del cammino, ha favorito l’ascolto e il rappor-to con i compagni di strada.

La strada ci insegna a rinnovare le scelte fatte, a non arrendersi, a rinforzare la consapevolezza che siamo uniti ai nostri com-pagni di cammino dagli stessi ideali, dagli stessi valori, dai desideri dalle incertezze, ma anche dalla certezza che insie-me è possibile la costruzione

SALUTO AI CAPI

GRAZIE!

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di una nuova “Città” miglio-re di come l’abbiamo trovata.

L’immagine della città ci ri-chiama continuamente quella che Dio ci pone come model-lo, “La nuova Gerusalemme”, fatta non solo di pietre e co-struzioni, ma viva e vissuta da uomini che guardano al bene comune per la felicità di tutti.

Il progetto ha questo sogno, che si realizza con il contribu-to di ognuno, anche del tuo che partecipando alla route, o restando a casa, sei un tas-sello preziosissimo per costru-

ire strade da percorrere per raggiungere la meta della re-alizzazione del sogno stesso.

Quanto è bello ora che tu, che hai fatto strada, condivi-da questa ricchezza attraver-so il confronto dell’esperienza vissuta: ne trarrai, come dice Gesù “cose antiche e cose nuo-ve” (Mt 13,52). Il tuo contributo prezioso sarà importante per la realizzazione di un percorso comune che ci vedrà impegna-ti per i prossimi anni, eviden-ziato nello slogan del nostro convegno: “Dalle piste ai sen-

tieri sulle strade del domani”,.

Abbiamo iniziato con un gra-zie, e ti diciamo ancora di più Grazie, perché tutto quello che faremo insieme, per il pre-sente e il futuro, sono dono e fermento vitale per tut-ta l’associazione calabrese.

Buon cammino e che su tut-ti noi ci custodisca sempre lo sguardo amorevole del Si-gnore Gesù, Colui che orien-ta il nostro cammino ver-so la Nuova Gerusalemme.

Concetta, Fabio, don Massimo.

SALUTO AI CAPIFoto V. Baglio

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“io sto con chi cammina pia-no, perché guarda intorno. Con chi sorride ogni volta, che arriva il giorno.” (tratto dal te-sto della canzone dei Ratti del-la Sabina, ora Area 765)Parafrasare vecchi detti scout o pensieri di B.P. è da sempre bagaglio della c.d. “arte del Capo”.Un bagaglio che però tende sempre verso due opposti: o viene usato troppo o troppo poco!

Le vie di mezzo sono sempre le migliori.Ti permettono di metterti in gioco, migliorando te stesso e plasmandoti un’identità che diventa solo tua. Unica ed inimitabile.Il concetto di “identità” lo dia-mo per quasi per scontato. Nella nostra esistenza, “lun-go i sentieri dell’ agire quoti-diano”, riempiamo il nostro “zaino” di tantissime cianfru-saglie, dimenticando troppo

spesso quello di cui abbiamo davvero bisogno.Riempirci la bocca e la testa di frasi, locuzioni, citazioni, colma il vuoto non apparen-te della nostra identità come capi\testimoni dello scauti-smo.Credere non significa necessa-riamente comprendere.Lo zaino che si prepara per partire non si riempie di “cose in cui credo”, ma di “cose che comprendo”.

Chi arrivaprima......aspetta

ASPETTIAMO

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La questione della compren-sione, ed arrivo al punto, ren-de pesante il nostro zaino: ab-biamo un maledetto bisogno di “rallentare”.Avere uno zaino pe-sante signi-fica andare lenti, cam-minare pia-no, per non sentire la fati-ca. Lo zaino pe-sante è ricco di “identità”: valo-ri, ideali, volon-tà, buone inten-zioni.Partire significa e s s e n z i a l m e n t e questo.Quando si parte con lo zaino sulle spalle si abbandona tutto ciò che è superfluo.Il ritmo ossessivo ed onnivoro di questa so-cietà che viviamo dob-biamo “accordarlo” con l’identità riposta in un semplice zaino.Bisogna imparare a cali-brare il ritmo. Quel “ritmo dei passi” che ci accompagna durante il cammino: questo è il ritmo di cui la nostra identità ha bisogno. Il nostro zaino e il nostro rit-mo. Due elementi che “da soli non possono fare nulla” (parafra-sando una nota canzone!).E allora che l’idea del mettere insieme le nostre identità ca-denzate da un solo ed unico

ritmo prende corpo e vita.Il senso del ritrovarci, dello stare insieme, di c o n -

ASPETTIAMOfrontarci e di viverci.Nessuno pensa che sarà un’im-presa facile: vivere un’espe-

rienza significativa a livello comunitario può lenire ciò che è la cartina al tornasole del nostro “zaino”.Però è proprio questo il bello!

Al grido di “Buona Strada”, la-sceremo le nostre case per ve-nirci incontro, gli uni gli altri.Pensateci: un’intera regione in movimento che per alcuni giorni farà da “strada” ad un evento come la route, con un ritmo costante ed eguale per tutti. Beh, roba da far tremare Eucli-de.In quei giorni il mondo girerà come sempre, ed il ritmo fre-netico continuerà a scandire le giornate di tutti.Ma le nostre no. Siamo Capi scout in contro-tempo!Matteo G. Pugliese

Chi Arriva Prima Aspetta

Ratti Della Sabina

A Passo Lento (2006)

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Oggi è tempo di darsi da fare

giorni interi e notti lì a pensare

a qual è il modo per migliorare questa vita

e il tempo che deve venire

e il tempo che deve venire

C’è chi corre per il posto migliore

e chi suda per dimagrire

c’è chi progetta il viaggio perfetto

e non si è ancora accorto

che l’estate sta per finire

che l’estate sta per finire.

Io sto con chi cammina piano

perchè guarda intorno

con chi sorride ogni volta

che arriva il giorno

e non importa se ogni tanto

salto il turno

perchè mi sembra chiaro che

perchè è dimostrato che

chi arriva prima aspetta la la la...

Oggi è tempo di farsi notare

notti lunghe e giorni a ragionare

su quale giocattolo comprare

per poter stupire

e non aver niente da desiderare

e non aver più niente da ividiare

Io sto con chi i sogni se li fa a mano

perchè c’è più gusto

con chi non sa il prezzo delle emozioni

e non se l’è mai chiesto

e arrivo sempre sempre in ritardo

con l’orologio guasto

perchè mi sembra chiaro che

perchè è dimostrato che

chi arriva prima aspetta la la la...

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Dov’è la vera essenza di uno Scout se non in natura? Noi ci troviamo lì, nelle più piccole, insignificanti componenti di un enorme prato verde, che non è solo un enor-me prato verde, sdraiati a con-templare il cielo limpido ed il suo sole che sembra voglia emanare luce solo perché siamo in divisa, siamo insieme e siamo lì. Perché ci siamo, perché siamo. Perché siamo quelli che amano scoprire sempre quel qualcosa di profon-do anche se si tratta di superficie, che vogliono andare oltre, anche se con la strada bloccata – un metodo lo troviamo lo stesso – che si macchiamo il viso di fango e sorrisi, non c’è maschera di bellez-

za migliore di questo mix che per noi è tanto, è pane quotidiano che vogliamo condividere. Perché sia-mo quelli che si svegliano al campo per fare la corsa mattutina uscendo dalla propria tenda come tanti zombie che non riescono nemmeno ad infilare gli scarponi, unico momento

in cui pesa indos-sarli. Quelli che il profu-mo che hanno addosso è quello del lavoro. Quelli che con poco, creano un mondo. Quelli del cap-pellone che si appiccica alla fronte per quanto si è

stati sotto il sole. Quelli che la loro voce la usano per stonare qualche nota in più nelle lunghe cammina-

te. Perché è questa la vera bellez-za, il luogo siamo noi, l’aria aperta ci accoglie ma siamo noi il luogo

della bellezza, un rime-scolarsi continuo di risa e urla che creano una casa, che creano una famiglia. La bellezza sta in questo, nel guardare con occhi diversi il mon-do, con occhi che sanno

essere positivi. Abbiamo questo in più. E nei campi, beh, lì ci sap-piamo proprio fare: non troviamo in nulla qualcosa che non vada, troviamo uno spettacolo che solo noi comprendiamo, in qualsia-si cosa; come se parlassimo con un linguaggio tutto nostro, il lin-guaggio dell’amore della natura.Roberta Mafrici

“Quelli del cappello-

ne che si appiccica

alla fronte”

I LUOGHI

“siamo insieme e siamo

lì”

Foto R. Milardi

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La natura è la cornice del nostro “specchiarci” quotidiano nella realtà.Anche se questa è una delle sue funzioni primarie, molto spesso tendiamo a perderci nel “riflesso” e non ci raccapezziamo più nulla.Viviamo in un’epoca dove non sia-mo più abituati a fermarci ed “os-servare” ciò che abbiamo intorno.Eppure quasi l’80% della no-stra giornata tipo si manifesta “all’aperto”, fuori casa, in mezzo alla gente, in “relazione” con altri.In tutta questa altissima percentuale non riusciamo più a conoscere autentica-mente chi ci sta accanto e, in maniera rocambole-sca, ci smarriamo persi-no noi stessi, presi come siamo più dalle “faccen-de” e dalle “cose da fare” che da ciò per cui valga la pena perdersi e spendersi veramente.Questo perché lo specchio lo usiamo come semplice riflesso della nostra supponenza e del nostro egocentrismo, e non, in-vece, come cornice autentica del nostro essere, anzi, del no-stro “esserci”, che è ben diverso!La passività dell’uomo mo-derno deriva dalla noia. Il continuo bombardamento a cui siamo sottoposti nel campo, ad esempio, della comunicazione e dell’elettronica, ha reso l’individuo sempre più tragicamente “solo”.Orbene, come vi sembra possibi-le che il progresso volto a far in-teragire ed “unire” tutti gli esseri umani stia invece, inesorabilmen-te, tracciando una rotta opposta?La risposta, a mio parere, è solo una: qualsiasi “strumento” l’uomo possa mai creare, sarà sempre è solo un involucro vuoto, senza ani-

ma ne, soprattutto, cuore, qualsiasi sia il suo scopo e la sua funzione.Niente come la natura riesce a far pal-pitare il cuore di un essere umano.Un paesaggio, un orizzon-te da scrutare, un cielo terso.Ma questi “brividi” non devo-no mai essere fini a se stessi.

Devono invece produrre cam-biamento, smuovere le co-scienze, “costruire pilastri” nell’anima di ciascuno di noi.Come capi dovremmo sforzarci continuamente, affinché il nostro cuore e quello dei ragazzi diven-ti autentico veicolo di “umanità”,

Se capovolgi il mondo, lo specchio ti riflette…

RIFLESSIONI

“..questa avventura, queste scoperte, le voglio vivere con te..” (dal canto, “L’acqua, la terra e il cielo)“…la natura unisce da pari a pari persone lontanissime tra loro per condizione di fortuna: si baciano come nate insieme.”(William Shakespeare)

“all’aperto,fuori

casa, inmezzo alla

gente”

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Il cuore di ogni scout, infatti, do-vrebbe essere sempre “lieto”.Badate bene, non “allegro” o “gaio”.Ma, molto semplicemente, “lieto”!Essere allegri è un fatto ester-no, fragoroso e rumoroso il più delle volte: per tali ragio-ni è solito dissolversi in fretta.

La gioia invece vive nell’intimo, dice-va un noto teologo, silente e radicata.La natura è la gioia del cuore.Il problema è che il cuore non si “specchia”davanti ad una la-stra di vetro, ma si “riflette” nella persona che incontriamo quan-

do usciamo di casa, nel compa-gno di scuola, nel collega di la-voro, nell’amico che ti chiede un consiglio, nella persona amata.Per quanto possa sembrare eva-nescente, questo concetto è il pilastro dell’autentica cono-scenza di se stessi in relazione all’altro e a ciò che ci circonda.Lo sforzo richiesto è, in ogni modo, quello di tentare la stra-da del “riflesso con l’altro”.Quell’80% abbondante che noi

tutti trascorriamo fuo-ri casa, all’aperto, cer-chiamo di viverlo appie-no, fino in fondo, senza maschere e senza filtri.Nello specchio tut-to appare rovesciato, tranne ciò che è già ro-vesciato in partenza, ov-

vero, ciò che va contro i canoni, ciò che rompe gli schemi, ciò che vive autenticamente se stesso.Perciò spegniamo gli IPhone, chiudiamo i computer, alzia-moci dalle sedie e “andiamo in un campo”, decretava Lezard.La bellezza della natura è sem-pre li, pronta ad aspettarci, a farci da sfondo e palcosce-nico autentico di vita reale.Vita reale che possiamo rendere “autentica” se riusciremo un gior-no non lontano a considerare l’al-tro un “diversamente-me-stesso”.Ed ora, “riflettete sul riflesso”…ma non specchiatevi troppo eh!Matteo G. Pugliese

RIFLESSIONI

“alziamoci dalle

sedie e andiamo

in un campo”

“..questa avventura, queste scoperte, le voglio vivere con te..” (dal canto, “L’acqua, la terra e il cielo)“…la natura unisce da pari a pari persone lontanissime tra loro per condizione di fortuna: si baciano come nate insieme.”(William Shakespeare)

Se capovolgi il mondo, lo specchio ti riflette…

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Quando penso alla natura di sicuro non mi viene in mente la pianti-na che ho sul balcone di casa mia. Quando penso alla natura, io che sono una scout, mi ricollego a tutto ciò che di verde ho visto e vissuto nel mio percorso. Non a caso la vita all’aria aper-ta è uno degli elementi fondamentali del metodo che guida la nostra educa-zione al ragazzo e alla ra-gazza, punto sul quale BP ha scritto e detto molto. Il campo, elemento primordiale della vita scout, luogo dove per eccellen-za si vive e si respira la natura, deve essere il regno dei ragazzi, dove in tutta libertà (naturalmente con la supervisione dei capi), potran-no tentare diverse esperienze che metteranno in movimento le loro

facoltà d’iniziativa, d’ingegnosità, di gioco e dedizione. B.P lotta con tutto il suo potere di convinzione in favore dell’aria aperta e contro lo spirito casalingo: “ Il campo è di gran lunga la miglior scuola per dare ai ragazzi le qualità del carattere del-le quali ci occupiamo. L’ambiente è sano, gli Scouts sono entusiasti. Sono attorniati da cose interessan-ti (da fare e da osservare). Il capo li ha continuamente sotto mano, di giorno e di notte, per far assi-milare ciò che loro propone. “Una settimana di vita di campo vale sei mesi di corsi teorici in aula”. Ed è per questo che quando si è reduci di un campo scout, benché sia l’en-nesimo della tua vita, bisogna fare i conti con la realtà che ti si piazza davanti, quella realtà che per circa una settimana o poco più hai mes-so da parte, in standby. Quello che acquisti una volta tornato a casa è solo un (bel) pò di pulizia in più, il

resto, te lo senti un pò tolto. Metti via gli scarponi e la gavetta per far posto a delle scarpe (forse griffate) e ai piatti di plastica. Ti ritrovi cata-pultato come in un mondo paralle-lo, senza avere accanto quella che

ormai è diventata la tua seconda famiglia, dove all’improvviso non c’è più un ragazzo che ti chiede più pane e nutella. Vivere all’aria aperta per un’intera settimana, con la nebbia o l’umidità, col sole cocen-

te o la pioggia battente, vuol dire rimuovere l’esistenza di cose, per-sone, situazioni, a partire da quella tecnologia creata per far risparmia-re tempo alle persone ma che pa-radossalmente lo stesso tempo ti toglie, vuol dire quasi sospendere gli amici che hai lasciato a casa o

una data importante tanto sei im-merso in questo mare verde; è un altro mondo, su un’altra latitudine. VEDI la natura, dove nemmeno un brutto scarafaggio può farti più paura, i suoi colori particolari ti lasciano estasiato. Vedi i ragazzi, quelli che visto cambiare, evolvere nella loro cresci-ta, divertirsi, ridere. Vedi il buio, l’oscuro più totale del bosco.. cosa ti aspet-ta ad un palmo dal naso? SENTI gracchiare una cor-nacchia nel cuore della notte, il grugnito di un maiale che sta per mangiarsi le tue rimanenze, il rumore di una cerniera su e giù: dentro la tenda, una piccola dimo-ra, fuori la tenda, la natura più pura. TOCCHI l’acqua gelida della sorgen-te, il terreno umido e nero, le corde

di una chitarra, le corde di un’ama-ca che ti segnano tanti piccoli rom-bi addosso, le spalle dei tuoi amici. ODORI il bosco, il muschio, il sof-fritto di cipolla che si espande per il campo, l’umido della tenda, un deodorante di troppo per coprire altri odori di troppo! Odori la vita. GUSTI una frittata bruciacchia-ta, l’acqua fresca che scen-de fino allo stomaco, un piat-to mai assaggiato che riscopri come il più buono della tua vita! Si creano legami, riti. Tutto è im-pregnato di cose forti, come il fumo addosso o la fiamma di un fuoco alla sera che sembra voler-ti rubare il primo strato di pelle. Scopri tanti modi di essere, di

parlare, di condire l’insalata.Scopri che siamo circondati pro-babilmente da tante cose inuti-li, e che per essere davvero felici basta un sacco a pelo, dei buoni compagni di viaggio, e natural-mente, una buona macchina fo-tografica per immortalare il tutto!

E se per caso tutto d’un tratto venisse giù a pio-vere? La natura è fatta per ospitare in questi casi un gruppo di ragazzi pron-ti a lanciarsi nell’avven-tura? E’ idonea, pur non fornendo un tetto sulla

testa? Certo che sì. Un vecchio amico scout diceva “Non esiste buono o cattivo tempo, ma buo-no o cattivo equipaggiamento!”Sara Jacopetta

I LUOGHI

Il campo scout: 7 giorni a colori

“ilbosco, il

muschio il soffritto di cipolla”

“dafare eda

osser-vare”

Foto S. Jacopetta

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Appena iniziato il mini-stero terreno e subito dopo aver ricevuto il battesimo dal Battista nel Giordano Gesù pensò di fare una “buona azio-ne” andando a far vista alla sua città a Nazaret: “Si recò a Nazaret, dove era stato allevato” (Lc 4,16). Proprio il paese che ha visto crescere Gesù da fanciullo fino a farsi uomo. Forse per cogliere segni di coraggio o per raccoglie-re sicurezze a questo mo-mento di sconforto e di in-certezza. Un Gesù ansioso di incontrare di nuovo gli

affetti familiari dopo il suo battesimo? Luca non si esprime su questo sup-posto bisogno di Gesù. E’

certo che un Gesù così non lo trove-remo più. E’ da qui che Gesù comin-cia la sua missione pubblica!Questo Gesù sem-

brava, all’inizio, uno sprovveduto, un piede te-nero ansioso di sviluppa-re un cammino diverso. La prima uscita pubblica, però, costò cara a Gesù. Era bravo a parlare e col-to nelle scritture ma com-mise l’errore strategico

di entrare di sabato nella sua sinagoga. I farisei non glielo perdonarono e atte-so al varco Gesù tentarono di spingerlo nel burrone. Gesù riuscì a scappare da questo momento le sue predicazioni si svilup-parono prevalentemente all’aperto. Luca traccia il cammino di Gesù esclusi-vamente all’aperto. Sem-bra proprio una route la vita pubblica di Gesù!Un cammino che porte-rà Gesù da villaggio in villaggio: “Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città”, (Lc 4,43). La scelta di Gesù di

“annunzi il regno

di Dio an-che alle

altre città”

I LUOGHI

Carissimi giovani,“Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città”, (Lc 4,43)

Da villaggio in villaggio.

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predicare ai “margini” non è stata dettata da esigenze di opportunità, ma dalla necessità di annunciare un Dio che non abita nell’alto dei cieli ma vive e cammi-na insieme al suo popolo.Stare e vivere all’aria aper-ta non significa quindi fuggire dai “villaggi” e dalle loro comodità, vivere le nostre sedi “fuori” dà, invece, visibilità essenzia-le alle nostre scelte. Non è una preferenza roman-tica e fuori degli schemi, ma è la scelta ed il metodo di evangelizzare. Vivere all’aperto non può essere un mostrare capacità di adattarsi alle non como-dità, non può essere una competizione o una di-mostrazione di bravura e diversità dal consueto ma l’ambiente privilegiato a godere e rischiare per i beni comuni.Fuggendo da Nazareth, dove Gesù aveva famiglia ed amici, trova rifugio a Cafarnao ed in questi luoghi incontra, forman-do una nuova famiglia, i primi discepoli. Luca rac-conterà la tenerezza della grande famiglia univer-sale, una tra le più belle parabole di Gesù: “Il Pa-dre misericordioso”, (Lc. 15). Gesù non decise di rimanere solo sentì, inve-ce, il bisogno di avere una

“squadra” con cui cammi-nare insieme. E’ il “cam-biamento visibile” quello che cerca Gesù e propone non già una consuetudine secolarizzata per imbonir-si un Dio, ma un Dio che va a cercare di persona la sua creatura ed insieme ad essa propone l’esperienza della vita.La nostra vita all’aria aper-ta è il cambiamento visi-bile della nostra associa-zione, rimane soprattutto l’esperienza di una fami-glia aperta e accogliente, essenziale e solidale. Gesù accoglie e sperimenta la solidarietà insieme ai suoi discepoli. L’associazione sostiene la sua vocazione in terre di nessuno. Una “grande famiglia” che ha la sua realtà nella verità della sua testimonianza.L’aria aperta può essere per noi scout la sperimen-tazione continua di un’evangelizzazio-ne vissuta al di fuo-ri dei templi e dei sacri altari, è l’espe-rienza del dialogo con Dio. Non più di un Dio icona ma un Dio che si nutre e soffre insie-me alle sue creature. Mai altarini nelle nostre sedi, simboli di staticità, ma immagini che richiama-no le nostre responsabilità fuori, altrove.

Stana storia la nostra, nata tra i vicoli poveri di Lon-dra e strana storia anche quella di Gesù che inve-ce di nascere in città ha deciso di nascere, all’aria aperta: “fuori città”. L’an-nuncio della nascita lo ac-colgono i pastori, gente che vive da sempre fuori città, ai margini. I pastori per incontrare Gesù dovettero cambiare direzione: non verso Gerusalemme, cen-tro del potere economico e religioso, ma un inutile villaggio chiamato Bet-lemme! Per incontrare la realtà dobbiamo cambiare spesso direzione.(Lc 2,10-14)Strano messaggio: “Per in-contrare Dio non bisogna andare a Gerusalemme, ma a Betlemme”. I pastori adesso diventano credenti e si trasformano in mis-sionari coraggiosi, sono i primi testimoni della sal-

vezza. “Partendo” si assumo perico-li, rischiano l’in-comprensione e lo sberleffo per la loro reputazione di infe-deli.

Un rischio che si corre solo stando e vivendo all’aria aperta: dove tutto è evi-dente e tutto è trasparente.Giovanni Mazza

I LUOGHI

“unanuova

fami-glia, i primidiscepoli”

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16 L’ENCICLICA

Nella natura dell’Uomo e del Creato i codi-ci per interpretare la Vita.

LUMEN FIDEI

La prima Enciclica di Papa Francesco (e l’ultima di Benedetto XVI) propone un riferimento per com-prendere come Verità e Creato, se frequentati da chi fa educazione, possono essere validi alleati, per indicare a chi cresce, la vocazione ad una vita felice. Di seguito alcuni punti significativi del documento papale riferiti a verità e creato. Si consiglia ai Capi la lettura completa della Enciclica.

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34. La luce dell’amore, pro-pria della fede, può illumina-re gli interrogativi del nostro tempo sulla verità. La verità oggi è ridotta spesso ad au-tenticità soggettiva del singo-lo, valida solo per la vita indivi-duale. Una verità comune ci fa paura, perché la identifichia-mo con l’imposizione intransi-gente dei totalitarismi. Se però la verità è la verità dell’amore, se è la verità che si schiude nell’incontro personale con l’Altro e con gli altri, allora re-sta liberata dalla chiusura nel singolo e può fare parte del bene comune. Essendo la ve-rità di un amore, non è verità che s’imponga con la violen-za, non è verità che schiaccia il singolo. Nascendo dall’amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo. Risul-ta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che posse-derla noi, è essa che ci abbrac-cia e ci possiede. Lungi dall’ir-rigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti. D’altra par-te, la luce della fede, in quan-to unita alla verità dell’amore, non è aliena al mondo mate-riale, perché l’amore si vive sempre in corpo e anima; la luce della fede è luce incar-nata, che procede dalla vita luminosa di Gesù. Essa illumi-na anche la materia, confida nel suo ordine, conosce che

in essa si apre un cammino di armonia e di comprensione sempre più ampio. Lo sguar-do della scienza riceve così un beneficio dalla fede: questa invita lo scienziato a rimanere aperto alla realtà, in tutta la sua ricchezza inesauribile. La fede risveglia il senso critico, in quanto impedisce alla ricerca di essere soddisfatta nelle sue formule e la aiuta a capire che la natura è sempre più gran-de. Invitando alla meraviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti della ragione per illuminare meglio il mondo che si schiu-de agli studi della scienza.

44. La natura sacramentale della fede trova la sua espres-sione massima nell’Eucaristia. Essa è nutrimento prezioso della fede, incontro con Cri-sto presente in modo reale con l’atto supremo di amore, il dono di Se stesso che genera vita. Nell’Eucaristia troviamo l’incrocio dei due assi su cui la fede percorre il suo cammi-no. Da una parte, l’asse della storia: l’Eucaristia è atto di memoria, attualizzazione del mistero, in cui il passato, come evento di morte e risurrezio-ne, mostra la sua capacità di aprire al futuro, di anticipare la pienezza finale. La liturgia ce lo ricorda con il suo hodie, l’“oggi” dei misteri della sal-vezza. D’altra parte, si trova qui anche l’asse che conduce dal mondo visibile verso l’in-visibile. Nell’Eucaristia impa-riamo a vedere la profondità

del reale. Il pane e il vino si tra-sformano nel corpo e sangue di Cristo, che si fa presente nel suo cammino pasquale verso il Padre: questo movimento ci introduce, corpo e anima, nel movimento di tutto il creato verso la sua pienezza in Dio.

54. Assimilata e approfondi-ta in famiglia, la fede diventa luce per illuminare tutti i rap-porti sociali. Come esperienza della paternità di Dio e della misericordia di Dio, si dilata poi in cammino fraterno. Nel-la “modernità” si è cercato di costruire la fraternità univer-sale tra gli uomini, fondan-dosi sulla loro uguaglianza. A poco a poco, però, abbiamo compreso che questa frater-nità, privata del riferimento a un Padre comune quale suo fondamento ultimo, non rie-sce a sussistere. Occorre dun-que tornare alla vera radice della fraternità. La storia di fede, fin dal suo inizio, è sta-ta una storia di fraternità, an-che se non priva di conflitti. Dio chiama Abramo ad uscire dalla sua terra e gli promette di fare di lui un’unica grande nazione, un grande popolo, sul quale riposa la Benedi-zione divina (cfr Gen 12,1-3). Nel procedere della storia della salvezza, l’uomo scopre che Dio vuol far partecipare tutti, come fratelli, all’unica

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benedizione, che trova la sua pienezza in Gesù, affinché tutti diventino uno. L’amore inesauribile del Padre ci vie-ne comunicato, in Gesù, an-che attraverso la presenza del fratello. La fede ci insegna a vedere che in ogni uomo c’è una benedizione per me, che la luce del volto di Dio mi il-lumina attraverso il volto del fratello. Quanti benefici ha portato lo sguardo della fede cristiana alla città degli uomini per la loro vita comune! Gra-zie alla fede abbiamo capito la dignità unica della singo-la persona, che non era così evidente nel mondo antico. Nel secondo secolo, il pagano Celso rimproverava ai cristiani quello che a lui pareva un’illu-sione e un inganno: pensare che Dio avesse creato il mon-do per l’uomo, ponendolo al vertice di tutto il cosmo. Si chiedeva allora: « Perché pre-tendere che [l’erba] cresca per gli uomini, e non meglio per i più selvatici degli animali sen-za ragione? », 46 « Se guardia-mo la terra dall’alto del cielo, che differenza offrirebbe-ro le nostre attività e quelle delle formiche e delle api? ».47. Al centro della fede biblica, c’è l’amore di Dio, la sua cura concreta per ogni persona, il suo disegno di salvezza che abbraccia tutta l’umanità e l’in-tera creazione e che raggiun-ge il vertice nell’Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Quando questa realtà viene oscurata, viene a man-care il criterio per distinguere ciò che rende preziosa e unica la vita dell’uomo. Egli perde

il suo posto nell’universo, si smarrisce nella natura, rinun-ciando alla propria responsa-bilità morale, oppure preten-de di essere arbitro assoluto, attribuendosi un potere di manipolazione senza limiti.

55. La fede, inoltre, nel ri-velarci l’amore di Dio Creatore, ci fa rispettare maggiormente la natura, facendoci ricono-scere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a noi affidata perché sia coltiva-ta e custodita; ci aiuta a trova-re modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e sul profitto, ma che considerino il creato come dono, di cui tut-ti siamo debitori; ci insegna a individuare forme giuste di governo, riconoscendo che l’autorità viene da Dio per es-sere al servizio del bene co-mune. La fede afferma anche la possibilità del perdono, che necessita molte volte di tem-po, di fatica, di pazienza e di impegno; perdono possibile se si scopre che il bene è sem-pre più originario e più forte del male, che la parola con cui Dio afferma la nostra vita è più profonda di tutte le no-stre negazioni. Anche da un punto di vista semplicemen-te antropologico, d’altronde, l’unità è superiore al conflit-to; dobbiamo farci carico an-che del conflitto, ma il viverlo deve portarci a risolverlo, a su-perarlo, trasformandolo in un anello di una catena, in uno sviluppo verso l’unità. Quan-do la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamen-ti del vivere vengano meno,

come ammoniva il poeta T. S. Eliot: « Avete forse bisogno che vi si dica che perfino quei modesti successi / che vi per-mettono di essere fieri di una società educata / difficilmente sopravviveranno alla fede a cui devono il loro significato?».48 Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terrem-mo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minaccia-ta. La Lettera agli Ebrei affer-ma: « Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città » (Eb 11,16). L’espressione “non vergognarsi” è associata a un riconoscimento pubblico. Si vuol dire che Dio confessa pubblicamente, con il suo agi-re concreto, la sua presenza tra noi, il suo desiderio di rendere saldi i rapporti tra gli uomini. Saremo forse noi a vergognar-ci di chiamare Dio il nostro Dio? Saremo noi a non con-fessarlo come tale nella nostra vita pubblica, a non proporre la grandezza della vita comu-ne che Egli rende possibile? La fede illumina il vivere so-ciale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rap-porto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama.

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19LA MIA ROUTE

APPUNTI, RICORDI, FIRME

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Osservare è la tecnica scout cui Baden Powell dedica il maggior numero di pagine in Scoutismo per ragazzi e ci sarà pure un mo-tivo. Gli incaricati Regionali al Coordinamento Metodologico ci propongono lo stato dell’arte sull’Osservatorio nato per inter-pretare le esigenze educative del mondo in crescita e formu-lare adeguate risposte perché lo scoutismo calabrese sappia rispondere alle sfide di questo tempo.“Carissimi, prima di tutto, vo-gliamo ringraziarvi per aver accolto l’invito, che Vi abbiamo rivolto, ad essere “Osservatorio” della nostra Associazione…” .. questo è l’inizio della nostra storia ed in questa frase è rac-chiusa, un po’, tutta la nostra

avventura.. Ma, forse, vi starete chiedendo di cosa stiamo par-lando? Ok, allora per compren-dere meglio il tutto, facciamo qualche piccolo passo indietro.Uno dei compiti che ci veniva ri-chiesto dal Progetto Regionale scorso, al fine di rispondere ad alcune dell’esigenze manifesta-te dai capi calabresi era quello di ““Dotarci di adeguati strumenti di lettura per comprendere le sfi-de del nostro tempo e offrire ri-sposte educative efficaci rispetto a una realtà in continua e rapida evoluzione”. Nell’affrontare un tale lavoro, abbiamo, quindi, pensato bene di affidarci alle mani esperte e competenti di un nostro carissimo compagno di strada, il dott. Vittorio Mete, so-ciologo, ma con l’esperienza, a

vari livelli, di capo scout e con il quale, abbiamo individuato nel “Focus Group” una modalità di svolgimento utile al raggiungi-mento dello scopo, non solo per la sua duttilità ma anche per la qualità del lavoro che può pro-durre. Ma che cos’è un Focus Group? Beh, questa è una tecnica di ricerca sociale basata sulla di-scussione tra un gruppo di per-sone che studiano un fenomeno o indagano uno specifico argo-mento in profondità, utilizzan-do, come base per la rilevazione, l’interazione che si realizza tra i componenti del gruppo. La di-scussione viene condotta da un moderatore, (per noi, Vittorio), che a seconda della situazione contingente può esercitare un ruolo di guida alla discussione oppure, fornire una serie di sti-moli e strumenti affinché i par-tecipanti riescano a realizzare il confronto e le relazioni. Tutte le informazioni emerse nel cor-so della discussione del gruppo vengono poi elaborate e inter-pretate. Il lavoro di indagine, quindi, che abbiamo compiuto ha avu-to come oggetto, le differenti realtà dell’AGESCI Calabria ed è stato affrontato grazie al rile-vamento ed alla rielaborazione dell’esperienze vissute e narrate da 4 gruppi di persone: tre che hanno osserveto le Branche ed uno la Co.Ca. Ogni Focus Group è stato composto da 7/8 persone

OSSERVATORIO

“un paio di occhi allenati vale quanto una dozzina di paia non allenati” (B.P.)

Foto R. Milardi

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conflitto generazionale tra i capi delle Co.Ca.Le tematiche emerse dal raccon-to dei nostri osservatori ci hanno dato l’opportunità di scattare una fotografia dello scautismo calabrese. Forse, una foto non così nitida, ma per delineare me-glio profili e figure delle persone a noi care, attendiamo di incon-trarvi nei giorni della Route ... e nell’attesa , un forte abbraccio Carmelina e Marco(ICM regionali)

OSSERVATORIO

rappresentative di tutta la regio-ne, sia in termini geografici che di esperienze vissute. Le tematiche discusse, indivi-duate dall’Area Metodo (Iab + Icm) e dalla Fo.ca., in una fredda serata a casa di Basilio e France-sca di fronte ad un’ottima pizza ed a una buona birra, hanno spaziato dall’eterogeneità delle realtà familiari e rapporti con i genitori per la branca L/C, all’au-tonomia dei ragazzi e della loro capacità di vivere da protago-nisti i loro sogni per la branca E/G; dalla difficoltà del vivere coerentemente e con una certa profondità i rapporti sociali e dalla difficoltà dell’inserimento nel mondo del lavoro per l’R/S, alla precarietà lavorativa e valo-riale dei giovani capi nonché al

“un paio di occhi allenati vale quanto una dozzina di paia non allenati” (B.P.)

Foto Mario RC 18

Foto Mario RC 18

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“… abbiamo paura che Dio ci fac-cia percorrere strade nuove, ci fac-cia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci a nuovi orizzonti.”

“Siamo coraggio-si per andare per le strade che la novità di Dio ci offre o ci difen-diamo chiu-si in struttu-re caduche, che hanno perso la ca-pacità di ac-coglienza ?”

“… chiediamo-ci se abbiamo la tendenza a chiuder-ci nel nostro gruppo o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione.”

Non so per voi; ma io, nell’ascol-tare queste parole di Papa Fran-cesco durante l’omelia della Mes-sa di Pentecoste, ho pensato alla nostra Associazione; anzi, più in particolare, all’associazione che meglio conosco: quella calabrese.Un’affermazione e due do-mande che sono, in ogni caso, rivolte anche a noi.

Ci apprestiamo a vivere una route regionale che dovrebbe definire

que- s t i nuovi orizzonti, che dovrebbe la-sciare agire lo Spirito per aprirci ….Ed è questo l’augurio e la spe-ranza che tutti noi capi cala-bresi dovremmo auspicarci.

Ma ci sono alcune que-stioni che, purtroppo, non sono molto incoraggianti.

Intanto, secondo quanto è stato comunicato all’Assemblea Regio-

nale, sarebbero poco più di 60 i gruppi che parteciperanno alla

route; circa il 55 % dei grup-pi censiti in regione; e gli

altri ? disinteressati ? E se poi alcuni di que-

sti gruppi sono gli stessi che non

p a r t e c i p a n o , in maniera più o meno s i s t e m a t i -ca, alla vita associativa non è che ci troviamo di fronte a si-tuazioni per

le quali le pa-role del Papa

sono quanto mai attuali ?

Spesso si giusti-fica questo com-

portamento con il fatto che dobbiamo

pensare ai ragazzi che ab-biamo nei nostri gruppi, perché

è per loro che siamo qui, non per fare chiacchiere o preoccuparci della burocrazia delle strutture.Io, però, ho l’impressione che ci troviamo di fronte a situazioni per le quali vale il raccontino contenu-to in un vecchio libretto dell’Age-sci (il cammino del capo) dove si racconta di un tagliaboschi che sta cercando di tagliare un tronco con una sega coi denti consumati e rotti e che, di fronte alle solleci-tazioni di un passante che voleva

LETTERA AL DIRETTORE

UNA ROUTE PER APRIRCI AL CORAGGIOIl fatto di ricevere una lettera di un Capo per comunicare agli altri Capi il proprio pensiero è un modo di vivere un protagonismo attivo e critico che speriamo alimenti l dibattito perché è con l’aiuto di tut-ti che la nostra Associazione potrà abitare questo tempo e proporsi alle nuove generazioni con uno stile sempre nuovo e attuale. Naturalmente le risposte alla lettera di Sergio, inviate alla redazione di SdM, verranno pubblicate sul sito per essere fruibili in tempi brevi. Grazie per questo primo contributo.

Dedicato a chi alla Route non c’è stato

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fargli presente come la sua fatica rischiava di essere inutile, rispon-deva che lui non aveva tempo per le chiacchiere: l’urgenza era quella di tagliare il tronco (non era impor-tante sostituire o affilare la sega).Ma un’altra cosa che mi preoccupa è che anche quanti vivono il con-fronto associativo poi, presi dalle continue emergenze (abbiamo sempre qualche emergenza che ci assilla), dimenticano quanto di-scusso, elaborato, deciso insieme.Per esempio l’ultimo Convegno Capi Regionale, svoltosi a Lame-zia il 4 e 5 ottobre 2008, elaborò, approvò ed offrì alla quotidianità della vita delle Co.Ca e dei singo-li Capi un “Manifesto culturale” ricco di sollecitazioni ed impegni che avrebbero dovuto poi tradur-si in azioni concrete nella vita della nostra associazione calabrese; per sottolineare l’importanza di que-sto documento ne fu consegnata, ad ogni gruppo, una copia, sotto forma proprio di manifesto, da te-nere ben in vista nelle nostre sedi. Quante Co.Ca. calabresi hanno posto alla base della propria vita e dei propri progetti educativi, in questo quinquennio, i contenuti di questo manifesto? Speriamo in

tanti, anche se, almeno apparente-mente, da chi osserva da una certa distanza, non sembrano in molti. Oggi sicuramente molte cose sono cambiate rispetto a 5 anni fa. Intanto siamo dimagriti, con circa 1000 censiti in meno e circa 8 gruppi in meno. E poi siamo co-stretti a misurarci con la situazio-ne di grande precarietà lavorativa e, quindi, esistenziale, specie dei giovani capi, che hanno ripreso a lasciare la nostra terra per cercare qualche opportunità migliore lon-tano da qui. Ha, questo fenomeno, qualche ricaduta nei nostri gruppi ? Come pensiamo di affrontarlo ? E poi, mi chiedo, come mai di fron-te alle tante situazioni di difficoltà della nostra terra e della nostra chiesa locale, alle tante situazioni di illegalità e di ingiustizia, certa-mente non nuove ma forse oggi ancora più intollerabili, perché, come associazione, non riuscia-mo ad esprimere quel coraggio e quello slancio profetico che po-trebbe costituire un orizzonte di speranza e di impegno anche per i sempre più pochi R/S che vivono nei nostri gruppi? Ci interpellano le sollecitazioni di Papa France-sco? E se si verso quali orizzonti

nuovi ? Verso quali vecchie e nuo-ve frontiere della marginalità so-ciale dovremmo portare la nostra azione educativa (come tra l’altro sollecitato del Patto Associativo) ?

Forse sarò un illuso ma io vo-glio sperare che questa route regionale dei capi calabresi si interroghi anche su queste si-tuazioni e provi a ridare slan-cio alla nostra azione educativa in questo nostro territorio così complicato e difficile, per cerca-re di individuare nuovi orizzonti al nostro impegno, a consentire, almeno, allo Spirito di scardina-re le logiche di autoreferenzialità presenti in molti nostri gruppi.Io ci sarò per questo, spero in-sieme a tanti altri capi animati dallo stesso desiderio, oltre che da quello di condividere una nuova ed entusiasmante espe-rienza a contatto con la natura.Sergio LavecchiaCapo Clan Catanzaro 10°

LETTERA AL DIRETTOREFoto V. Baglio

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Se state leggendo queste righe siete giunti felicemente al campo fisso della Route regionale 2013 e ne state godendo i momenti or-ganizzati, state abitando le strutture che qualcuno ha messo in piedi per favorire la vostra accoglienza nel migliore dei modi e state per essere raggiunti da sapori vecchi e nuovi. Tutto ciò è stato reso possibile grazie alla sensibilità di Organizzazioni istituzionali come il Corpo Forestale dello Stato e l’Assessorato alla Protezione Civile regionale, ma anche da fornitori ufficiali che hanno voluto contribu-ire con tanto o poco (non sta a noi quantificare la generosità) per alleggerire i costi di questa esperienza.A tutti va il nostro Grazie.

Grazie a:Domenico Maneggio e Forno Cecita per il pane casereccio,alla Coldiretti che ha coinvolto l’Azienda agricola Pingitore (carne, formaggi e latte), l’Azienda agricola Martino (pasta fresca), l’Azien-da agricola Mazzei (vino ed ortaggi), la Cooperativa Agricola Fiori di farfalla (Marmellate), la Cooperativa agricola San Francesco (or-taggi e frutta), l’Azienda agricola Tarasi (patate), l’Azienda agricola La terzeria (riso).Si sono uniti alla cordata di il Consorzio regionale di carne podolica, Viola Saverio (baccalà), l’Oleificio Gaudio (olio ed oli aromatici), la Cadis (materiale utili alla cucina) La Ditta San Vincenzo di F. Rota (salumi) e Acqua Calabria.

Foto V. Baglio