Libretto Route 2010 - TiscaliNews

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Route estiva 2010 28 luglio - 2 agosto – Abbasanta/Bosa Alla scoperta della propria strada Alla scoperta della propria strada Alla scoperta della propria strada Alla scoperta della propria strada Il sacco è pronto. Partire, abbandonare tutto lasciare le solite cose: comincia una nuova avventura. La route è un mezzo per com- prendere che la vita – la mia e quella degli al- tri – abbia pieno valore e senso completo. Una route richiede, quindi, un’attenta prepa- razione. La strada, la route, non s’improvvisa. Se non ci pensiamo noi ci dovrà pensare qualcun al- tro, ma la route sarà meno nostra, saremo a rimorchio in at- tesa di un’altra occasione. Eppure a rimorchio o pieni protagonisti camminando con gli altri scopriamo che possiamo spogliarci delle maschere, che possiamo essere veramente noi stessi con gli aspetti negativi e positivi… Fare strada , a volte in silenzio con i nostri pensieri, a volte in chiacchiere con l’altro, sempre cercando attenzione a noi e a chi con noi fa strada.

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Route estiva 2010 28 luglio - 2 agosto – Abbasanta/Bosa

Alla scoperta della propria stradaAlla scoperta della propria stradaAlla scoperta della propria stradaAlla scoperta della propria strada Il sacco è pronto. Partire, abbandonare tutto lasciare le solite cose: comincia una nuova avventura. La route è un mezzo per com-prendere che la vita – la mia e quella degli al-tri – abbia pieno valore e senso completo. Una route richiede, quindi, un’attenta prepa-razione. La strada, la route, non s’improvvisa. Se non ci pensiamo noi ci dovrà pensare qualcun al-tro, ma la route sarà meno nostra, saremo a rimorchio in at-tesa di un’altra occasione. Eppure a rimorchio o pieni protagonisti camminando con gli altri scopriamo che possiamo spogliarci delle maschere, che possiamo essere veramente noi stessi con gli aspetti negativi e positivi… Fare strada , a volte in silenzio con i nostri pensieri, a volte in chiacchiere con l’altro, sempre cercando attenzione a noi e a chi con noi fa strada.

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Mercoledì 28Mercoledì 28Mercoledì 28Mercoledì 28 –––– Libertà Libertà Libertà Libertà Pongono il loro onore nel meritare fiducia

Perché partire dalla libertà che cosa c’entra con una route che ha per titolo “Alla sco-perta della propria strada”? Cercare se stessi è un lavoro un po’ strano. È un lavoro spirituale perché deve nascere dal profondo di ciascuno e lì deve tornare. Ma con un passaggio obbligato che è quello di uscire da se per relazionarsi. Relazionarsi con l’ambiente come con gli altri, con il prossimo più distante da noi e con Dio. Una relazione può sussistere solo se atto di libertà.

o frate �nessuno� David M. Turoldo

Più non abitate conventi di pietra perché il cuore non sia di sasso! E anche voi, uomini, non fate artigli delle vostre mani. Liberi, o monaci, tornate

senza bisaccia, nudi i piedi sull'asfalto. Sia il mondo il vostro monastero

come un tempo era l'Europa. Abbattete i reticolati

di queste città-lager, dove ognuno è cintato dal sospetto perfino del fratello, di chi sia primo ad uccidere. O frate Nessuno

sei l'antica immagine di Cristo sparpagliato in ogni lembo di umanità, vessillo che ci manca... Più la gloria non abita il tempio

da quando del pinnacolo

ha fatto sua stabile dimora il tentatore. Una tenda vi basti a riparo

dalle bufere, e Dio ritorni vagabondo a camminare sulle strade, a cantare con voi i salmi del deserto. Vi basti leggere il vostro

nome nel vento e nel cielo azzurro: mormorato sotto una palma nelle pause dei canti.

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Per Strada Pavel A. Florenskij è una delle figure più significative e sorprendenti del pen-

siero religioso russo, oggi riscoperto in gran parte d’Europa (dopo oltre cinquan-t'anni di oblio) come uno dei maggiori pensatori del Novecento. Florenskij è anzi-tutto un filosofo della scienza, fisico, matematico, ingegnere elettrotecnico, epi-stemologo. Prete ortodosso, sposato e con due figli, profondo teologo, ma anche, ma anche filosofo della religione, teorico dell’arte e di filosofia del linguaggio, studioso di estetica, di simbologia e di semiotica. Il fatto che nella sua figura si uniscono le due anime del sapere, quella scientifica e quella spirituale, è costato a Florenskij molti anni di prigionia nei Gulag russi e infine la morte per fucila-zione nel 1937 a soli 55 anni.

Il luogo della mia nascita si è impresso per sempre nella mia anima. Ecco perché non posso e non voglio nemmeno ora rinunciare agli strati pri-mordiali della mia esistenza. Su tutto ciò si leva il mio - lo dirò sincera-mente - disprezzo e la mia avversione verso ogni contemporaneità e che vorrebbero assorbirmi. Evlach, dove sono nato, è oggi una cittadina; ma allora era solo un piccolo villaggio. E’ situata nella steppa trans caucasica circondata a nord e a sud dalle catene montuose innevate. I monti del Caucaso e le montagne dell’Armenia sono come due diamanti. Essi, con una inesprimibile - per chi non conosce le montagne - precisione e con linee che appaiono del tutto perfette, sembrano un eterno, immutabile e perenne lume che getta una luce di un’indicibile profondità e di un’immensità vellutata nell’Azzurro-celeste. Tra le montagne, però, è tutto torrido, come se fosse tessuto di metallici e sonori trilli di cicale e grilli, ma strapieno di diversi a-nimali: pesci, selvaggina, bestiame, velenosi insetti e serpenti, con uno spazio riempito di profumi. Uno spazio ampio e libero, che gode la fama per i cavalli del Karabach, i migliori di tutto il Caucaso, e per i più coraggiosi briganti di tutta la Transcaucasia. E ora Lei mi prenda, se può, così come sono: perché nello spazio ampio della mia anima non vi sono delle leggi. Io non voglio la legalità, non riesco ad apprezzarla, perché so di essere un brigante. Infatti, non dovrei es-sere qui, seduto nel mio studio, ma dovrei andare a briglia sciolta nel cuore della notte, dovrei galoppare senza meta e gareggiare con il vento su un cavalo del Karabach. E questa corsa non conosce osta-coli! La mia steppa, abbondante di suoni e aromi, è davvero la stes-sa che ospitava i miei antenati. Essa rispecchia la sconfinata libertà dell’Azzurro-celeste, che è la stessa liberà che sperimento con ogni mio movimento. Non mi turba nessun ostacolo costruito da mani di uomo: lo brucio, lo spacco, diventando di nuovo libero, lasciandomi portare dal soffio del vento.

(Pavel Florenskij: dalla lettera del 15 agosto 1917 all’amico Sergej Nikolaevi- Bulgakov)

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La sera

Fratelli, Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! […] Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge.

(Lettera di san Paolo apostolo ai Galati 5,1.13-18.)

San Paolo parla di libertà, quel San Paolo su cui si basa il massimo del bigotti-smo delle vecchie signore da chiesa e del conformismo ecclesiale? Ebbene si, d'altronde Paolo di Tarso è uno dei due capisaldi, con San Pietro, della Chiesa, lui il predicatore era un uomo di forte spiritualità. Ogni spiritualità nasce dalla libertà, dalla ribellione a questo mondo, se ogni desiderio dell’interiorità umana fosse appagato da questo mondo non avremo bisogno di nessuna spiritualità, di nessuna ricerca di noi stessi, di Dio. La conversione, e quando si parla di conversione Paolo è lo stereotipo per eccel-

lenza, nasce dalla possibilità di ribellione dell’uomo. La ribellione può però risolversi spesso in fuga… In una sterile imposizione di

se stessi sul mondo che altro non è che una maschera che ci imponiamo per sentirci meno soli, con l’effetto di essere invece, sempre più soli. È la ribellione che si risolve solo in appagamento dell’immediato (dei desideri del corpo, inter-preta Paolo), in schiavitù delle proprie voglie immediate, della propria immagine fuori dal contesto, della propria maleducazione, mancanza di rispetto, fuga dal-la realtà che ci circonda. Chi non spegne la propria ribellione cerca lo Spirito. Chi si ribella in modo autentico…

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Sì! I ribelli siamo noi. Sì! I ribelli siamo noi!

Noi quando ce ne andiamo randagi e liberi lungo le strade e i sentieri di montagna mentre altri si chiu-dono come topi ballerini in capannoni pieni di rumori e di stupefacenti. Sì! I ribelli siamo noi!

Noi quando ci inebriamo della luce della luna e delle stelle, mentre altri sono solo capaci di uscire ubriachi e offuscati da una notte di bagordi. Sì! I ribelli siamo noi.

Noi quando amiamo il silenzio delle grandi vette, il rincorrersi dei profili dei monti lontano all’orizzonte, il biondo colore dell’erba ai primi raggi dell’alba, mentre altri sono rimbambiti dal frastuono delle città, immersi nel grigio dell’asfalto e del cemento, indifferenti alla bellezza che nono-stante tutto sta loro intorno. Sì! I ribelli siamo noi.

Noi che ce ne infischiamo dei soldi e della carriera e troviamo piacere nelle cose semplici e nelle varie amicizie, mentre gli altri sgomitano per farsi largo e si arrampicano affannosamente cercando un successo fatto anche di imbrogli, ipocrisie e tradimenti. Sì! I ribelli siamo noi.

Noi quando siamo capaci di spegnere lo stereo, la tele, l’ipod e apriamo la porta di casa per andare a conoscere di persona il mondo, gli uomini e le donne che abitano il pianeta, mentre altri si chiudono a guardarlo dal buco della serratura di una rappresentazione virtuale e priva di vita. Sì! I ribelli siamo noi!

Noi quando siamo capaci di sporcarci le mani, di comprometterci in pri-ma persona, di accettare le inevitabili contraddizioni che comporta il vi-vere e l’amare, di piegare la schiena per ascoltare le deboli parole di chi è malato e di chi soffre, mentre altri ci deridono e ci giudicano sprezzanti dall’alto delle loro fredde virtù prive d’amore. Sì! I ribelli siamo noi.

Quando sappiamo vincere al timidezza e i timori e accettiamo di salire sul grande palcoscenico della vita per interpretare da veri protagonisti il ruolo che il buon Dio ci ha affidato, mentre tanti altri si limitano a resta-re nell’ombra della platea capaci solo di ridere o fischiare se lo spettacolo non è di loro gradimento. Sì! I ribelli siamo noi.

Noi se sapremo fare tutte queste cose con serenità d’animo, testa dritta e sorriso sulle labbra e con desiderio di coinvolgere nel Grande gioco anche chi per il momento ne è rimasto fuori perché siamo convinti che la vita meriti di essere vissuta fino in fondo, da autentici ribelli». Roberto Cociancich

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GiovedìGiovedìGiovedìGiovedì 29292929 –––– StradaStradaStradaStrada Sorridono e cantano anche nelle difficoltà.

Sono laboriosi ed economi Camminare significa accettare la fatica .

I conquistatori dell’Everest furono Hillary e Tensing. Il secondo era uno sherpa, cioè un portatore del Nepal. I maligni di-cono che Hillary non ce la faceva ad an-dare avanti e che Tensing lo trascinò di peso sugli ultimi metri verso la vetta più alta del mondo. Sempre stando alle lin-gue maligne, si dice che all’ultimo metro Tensing si fece da parte per fare in modo che l’altro (Neozelandese ma suddito di sua maestà britannica) fosse il primo uomo a porre il piede sulla vetta più am-

bita della storia. Sono forse insinuazioni senza fondamento (chi può sapere cosa ac-cadde davvero a quella altezza? ) ma rendono l’idea di quanto sia importante il camminare ed il soffrire per esso. Chi scala le monta-gne di solito non si comporta come un comune mortale:è capace di fermarsi a metà strada per soccorrere un alpinista in difficoltà. Chi cammina sa che non significa nulla arrivare primo: ciò che conta è amare il creato e coloro che ad esso si affidano calpestandolo con il proprio piede. Si dice le vecchie guide alpine siano molto amareggiate al vedere gente che arriva sulle più alte cime delle nostre montagne con i tac-chi a spillo: pagando fior di quattrini, oggi si può passare da una fu-nivia all’altra e arrivare in cima senza fare nemmeno un metro di sa-lita. Salvo poi – una volta arrivati – stendersi al sole, riempire di con-tenitori di plastica la neve , fare mille fotografie e vantarsi di essere arrivati sulla vetta tal dei tali. Le vecchie guide alpine (e , speriamo, anche i veri scout) ci rimangono male e ricordano che la montagna merita rispetto e fatica, non una umiliazione così cocente. Quasi tut-ti ricordano gli amici morti o dispersi , nel corso degli anni, per sca-lare le montagne che ora si raggiungono dall’alto con orribili impian-ti di risalita. Anche gli Ebrei , uscendo dall’Egitto, dovettero camminare 40 anni nel deserto. A prima vista sembra un eccesso di castigo di Dio: dopo

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averli liberati dalla schiavitù del Faraone,dopo aver permesso che attraversassero il Mar Rosso, adesso Dio li costringe a girovagare nel deserto… Il motivo di questa apparente severità fu che il popolo e-breo, durante la schiavitù in Egitto, aveva perso quasi del tutto la propria identità: la lingua non era comune,tanto meno la fede: non aveva senso entrare nella Terra Promessa e vivere nel caos di una nazione senza legge. Anche Mosè però dovette faticare non poco per convincersi che valeva la pena salire una montagna per acquisire una legge. Quando sale sul monte dove arde il roveto ardente (Esodo capitolo 3, 10:«Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall’Egitto gli Israeliti?». Rispose: «Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte» ) deve fare una bella fatica per staccarsi dal gruppo dei colleghi pastori, dalla moglie, dalla paura di non essere alla altezza dell’incarico che Dio sta per affidargli. Se alla fine Mosè accetta di andare dal Faraone ( a rischio della vita) è solo perché prima ha saputo sopportare la fatica della salita.

Insegnami la route

Signore, insegnami la route: l'attenzione alle piccole cose; al passo di chi cammina con me per non fare più lungo il mio; alla parola ascoltata perché non sia dono che cade nel vuoto; agli occhi di chi mi sta vicino per indovinare la gioia e dividerla, per indovinare la tristezza e avvicinarmi in punta di piedi, per cercare insieme la nuova gioia.

Signore, insegnami la route: la strada su cui si cammina insieme; insieme nella semplicità di essere quello che si è; insieme nella gioia di aver ricevuto tutto da Te; insieme nel tuo amore. Signore, insegnami la route, Tu che sei la strada e la gioia.

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Per strada

Polvere, sassi, sudore e non si arriva mai. Realtà dura, che ti stanca e ti fa male ai piedi. Non è un’amica pronta ad accontentarti: non ti dà la fontana appena hai sete. Non ti lascia sedere tutte le volte che sei stanco perché è lunga, e non arriveresti mai. Non è un’amica troppo premurosa: non ti dà l’ombra tutte le volte che il sole brucia, né un riparo tutte le volte che piove. La strada è forte ti darà la sua amicizia.

Per trovarla devi uscire dalla tua casa sotto il cielo. Devi lasciare molte cose e portare con te solo quello che puoi portare sulle spalle. Devi lasciare la poltrona comoda (l’orso di pezza a cui sei ancora affezionato) e tante altre piccole o grandi cose che sono tue, a cui sei legato: non puoi portarle sono troppo pesanti. Per trovarla devi uscire dalla tua casa sotto il cielo.

Dalla libertà, da “i ribelli siamo noi”, alla strada, alla dura legge del-la strada, fino alla legge di Dio per il popolo eletto della riflessione di questa mattina. È così che si spegne la nostra libertà? Eppure non c’è contraddizione, è la conseguenza della scelta di essere liberi. vi-vere è spesso faticoso, essere liberi è spesso faticoso, incontrare l’altro e confrontarsi con lui è ancora più faticoso e comporta leggi d’accoglienza reciproca e regole di convivenza. Come andare oltre la legge? (lo abbiamo sentito ieri da Paolo: “Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge”) e perché farlo?

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La sera

Devi accettare la fatica e andare. Il primo pezzo è sempre il più duro lo zaino sembra troppo pesante e ti pare impossibile raggiungere la meta così lontana. Vorresti ribellarti piantare lì tutto e tornare a casa. Ma quando il sole tramonta dietro gli ulivi l’acqua fresca della fontana finalmente raggiunta ha un sapore di gioia: è il primo dono della strada a cui non sai ancora dare un nome. Ma sei così leggero dopo la fatica, ti sembra così bello il prato dove hai piantato la tenda e hai voglia di sorridere. Sei uscito dalla tua casa sotto il cielo. Cammini e impari ad accettare la fatica… Impari a lasciarti condurre dalla strada senza pensare continuamente alla prossima sosta o quando finirà la salita. Non ti lasci più tentare da tutti i cespugli di more. Accetti dentro di te di essere sudato e un po’ stanco. E non vorresti più tornare a casa perché ormai hai conosciuto la strada la sua forza e la sua gentilezza. Hai goduto la strada: la linea pura delle montagne

il colore dell’erba il cielo e il vento. La strada è bella. E non ti stupiscono più gli occhi così chiari di quel vecchio pastore che hai incontrato un giorno. La strada è il luogo dell’incontro. In casa tua gli altri erano ospiti, suonavano il campanello prima di entrare e si offriva loro il the con i pasticcini. Sulla strada sono viandanti come te, e dividi con loro il pane e l’acqua della borraccia e la cassetta della frutta da portare. E ti accorgi che il rapporto con gli altri è diverso, molto più semplice e vero. Luogo dell’incontro. Incontro con quelli che camminano con te e incontro con quelli che hanno la loro casa lungo la strada, una casa di pietra con la porta sempre aperta. Ogni giorno lo stupore nuovo dell’accoglienza: non ti chiedono niente: ti offrono la loro legna il loro fuoco, il loro tavolo e insistono semplicemente perché tu accetti.

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei det-to. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove so-no io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».

(dal Vangelo di Gesù secondo Giovanni, cap 14, 1-7)

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VenerdìVenerdìVenerdìVenerdì 30303030 –––– NaturaNaturaNaturaNatura Amano e rispettano la natura

Canta sorella cicala

Il solleone lancia i suoi dardi di fuoco sulla foresta della Porziuncola. Il silenzio dell'orto dei frati è rotto dal canto di una cicala che, come di consueto si è posata sui rami di un fico. Le altre cicale, nascoste tra i rami degli alberi del bosco, non fanno vibrare le elitre; sono come assorte, in attesa che la compagna fini-sca di cantare. Canta ebbra di sole, pazza di luce e il suo frinire pe-netra tra le fronde delle querce e dei lecci, risuona tutt'intorno, nei campi riarsi, nell'alveo secco dei torrenti, per le strade bianche dei colli assonnati. Francesco, che aveva imparato ad ammirare la magnificenza del Creatore anche nelle piccole cose, im-mobile, ascolta ed è rapito. In-vidia il piccolo insetto che canta la gloria di Dio ripetendo all'infinito la sua melodia e gli prende il desiderio di accoglierlo nel cavo della sua mano. Sa che la cicala canta anche per lui come per la nuvola che passeggia leggera nel cielo, per i fili d'erba che avidi sono in at-tesa della rugiada mattutina, per i grappoli d'oro che pendono dai tralci della vite, e vuole avere un più diretto contatto con la canteri-na; desidera accarezzarla con la stessa dolcezza con la quale acca-rezzerebbe il Signore. Infatti, allungando la mano verso il fico, Fran-cesco osa dirle: "Sorella mia cicala, vieni a me!" Come se avesse compreso, la cicala subito gli vola sulle mani. - "Canta, sorella mia cicala e continua a lodare con gioia il Signore, tuo Creatore" - sog-giunge lieto il Santo. L'animaletto, obbediente, riprende a cantare; canta, canta sino a quando l'uomo di Dio unisce la propria lode al suo canto. Francesco comunica alla cicala i suoi desideri, i suoi sogni e parla dello splen-dore del Padre nell'armonia del creato, della bellezza della vi-ta, della confidenza con la morte. Poi ordina all'insetto di ritornare al suo po-sto. Ma ogni qualvolta il Santo esce dalla sua cella, posta dietro la siepe dell'orto, la cicala ritorna a volargli sulla mano per cantare o tacere, secondo il comando. "Diamo ormai licenza alla nostra sorella cicala", dice un giorno Francesco ai suoi compagni. "Ci ha rallegrato abbastanza con la sua lode; ora basta, potremmo peccare di vana-gloria". E subito la cicala spicca il volo e si allontana al di là degli alberi, senza fare più ritorno in quel luogo, come se non volesse tra-sgredire l'ordine ricevuto.

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invocazione allo Spirito Indiani Sioux

Oh grande Spirito la cui voce io odo nei venti e il cui respiro doma vita a tutto il mondo, ascoltami. Io mi avvicino a te come uno dei tuoi tanti figli. Io sono piccolo e debole. Io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Fa' che io mi trasformi in bellezza e fa che i miei occhi contemplino sempre la fresca alba del sole che sorge. Fa che le mie mani onorino le cose che tu hai fatto e che le orecchie odano la tua voce.

Domami saggezza. affinché io possa comprendere le cose che tu hai insegnato al mio popolo e l'insegnamento che tu hai nascosto in ogni foglia e in ogni roccia. Non per essere superiore ai miei fratelli io cerco forza ma per poter combatter il mio più grande nemico, me stesso. Fammi sempre pronto a venire a te con mani pure e sguardo diritto, affinché il mio spirito quando un giorno la mia vita svanirà come il sole che tramonta, possa venire a te senza vergogna.

Per Strada

Vi ho visti giocare con le due gattine, Morgana e Circe – disse la nonna malata ai piccoli nipoti – far moine, pronunciare suoni strani a quei piccoli animali che rispondevano, alle vostre dolcezze, con continui miagolii. Ho provato una grande gioia.

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Tra gli animali e i bambini, c'è una relazione di grande e reciproca simpatia. Vi siete domandati perché? Senza ricorrere a cervellotiche speculazioni, si può affermare che tra i bambini (ma la considera-zione vale anche per gli adulti) e tutto ciò che in natura è vivo, c'è una spontanea amicizia. E quando tra amici si sta insieme, si fa fe-sta, si par-la volentieri. Si parla con gli animali? Si parla con le piante? Sembra proprio di sì, spontaneamente, senza accorgersene. E gli animali rispondono con mezzi diversi dalle parole, lanciano suoni, emetto-no luci, odori, con il corpo assumono particolari at-teggiamenti. Ma anche le piante a loro modo con tempi diversi ri-spondono, in molti testimoniano una risposta fisiologica delle piante alle buone pa-role. Gli uomini e gli altri esseri viventi, dunque, si scambiano messaggi, si trasmettono sentimenti ed emozioni. Ciò è possibile perché si ha un linguaggio comune, che non ha bisogno di segni sensibili, e che sottende quello di ogni specie: un linguaggio co-mune a tutto il crea-to, il linguaggio dell'amore. La natura è fondata su una generale interdipendenza; ogni essere vivente ha relazioni con tutti gli al-tri, da solo non riuscirebbe a so-pravvivere. Uomi-ni e ambiente naturale sono stati creati per stare insieme; ciascuno, è legato agli altri, dipende dagli altri. Ma La rela-zione tra tutti gli esseri viventi è qualcosa di complesso, è una rela-zione dinamica dalla quale possiamo imparare molto. Il pesce grande mangia il pesce piccolo, il leone sbrana la gazzella, il ragno prende prigionieri altri insetti per mangiarli, eppure non po-trebbe stare senza di loro. Un qualunque ecosistema naturale è qualcosa che ci mostra come verità e giustizia sono qualcosa di complesso. Se vogliamo trovare la nostra strada, il nostro posto nel mondo, fare un cammino spiri-tuale, non possiamo certo prescindere da verità e giustizia.

La natura si mostra con i singoli e con le singole specie madre e matrigna e ci appa-re chiaro, se ci riflettiamo un attimo, che entrambe sono vere… La verità è antino-mia, contraddizione in cui due leggi legit-time, ma contraddittorie, non solo coesi-stono, ma dipendono l’una dall’altra. È questo il grande insegnamento della na-tura, delle leggi naturali.

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La sera

Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva an-dare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: "Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai". Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: "Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uo-mini!". Allora Gesù disse ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cam-bio della propria vita?

(dal Vangelo di Gesù secondo Matteo, cap 16, 21-26)

�Signore scusami se vengo a disturbarti�. Poco là mi è venuta in testa un'idea:... "può darsi che tu ab-

bia bisogno di un santo..." Allora sono venuto per accordarmi sul posto e per assumermi

l'incarico perché penso di saperlo fare bene. Per quanto se ne dica, il mondo è pieno di gente perfetta. Ci

sono quelli che ti offrono dei sacrifici e, perché tu non sbagli, li contano e segnano una piccola crocetta su un quaderno. A me non piace fare dei sacrifici! Mi costano tremendamente. Quello che tu mi hai dato Signore, tu lo sai bene che te lo sei

preso. tutto quello che ho potuto fare è di non protestare. Nel mondo c'è anche gente che si corregge un difetto per settimana. Sono per

forza perfetti alla fine di un trimestre. Io Signore, forse non ho abbastanza fiducia in te per fare questo e poi: cosa ne

so se sono ancora vivo alla fine della settimana? Tu sei così imprevedibile, e co-sì impulsivo mio Dio! Così, a me piace altrettanto conservare i miei difetti... e mi servo di questi il meno possibile. La gente perfetta ha tante qualità, tanto che non c'è posto per altre cose nella

loro anima! Ma, Signore, un santo è colui che accoglie, poche verità. È colui che innanzitutto sa riconoscere il suo contenuto, che siano pregi o difet-

ti sa che sono da accettare.

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È colui che sa che Tu non sei responsabile verso di noi, ma siamo noi a esserlo verso di Te. È colui che sa che bisogna avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e

appiglio convenzionale, che sa osare il gran salto nel cosmo, e allora, allora sì che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori. È colui che sa imparare la lezione più difficile, mio Dio: prendere su di se il do-

lore che imponi Tu e non quello che ci scegliamo noi! Etty (Esther) Hillesum (Middelburg, 15 gennaio 1914 – Auschwitz, 30 novembre 1943)

Nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, Etty Hille-sum muore ad Auschwitz nel novembre del 1943. Ragazza brillante, intensa, con la passio-ne della letteratura e della filosofia, si laurea in giurisprudenza e si iscrive quindi alla facol-tà di lingue slave; quando intraprende lo studio della psicologia, divampa la seconda guerra mondiale e con essa la persecuzione del popolo ebraico. Durante gli ultimi due anni della sua vita, scrive un diario personale: undici quaderni fittamente ricoperti da una scrittura minuta e quasi indecifrabile, che abbracciano tutto il 1941 e il 1942, anni di guerra e di oppressione per l’Olanda, ma per Etty un periodo di crescita e, paradossalmente, di libera-zione individuale.

SabatoSabatoSabatoSabato 31313131 –––– ServizioServizioServizioServizio Si rendono utili e aiutano gli altri

Oggi si parla di servizio, oggi saremo accolti per aiutare a portare avanti un servizio… Oggi spesso sentirete dire che mettersi a disposizione cambia la vita, che la disponibilità ad incontrare l’altro, anche quando quest’altro a bisogno di molto, di tutto rende felici. Oggi scoprirete cosa vuol dire arricchirsi del più piccolo, quasi suc-chiare la loro gioia per essere… Solo gioia per essere qui, ora. Perché qualcuno possa dire a loro quello che disse S. Filippo Neri ai suoi bimbi dell’oratorio: “State buoni se potete…” Oggi scoprirete cosa vuol dire che il cristianesimo non è una filoso-fia, non è teoria, il cristianesimo lo si pratica, è concretezza del do-narsi. Ma tu oggi non pensare a tutto ciò. Pensa invece che puoi cambiare il mondo. Pensa che se in te nasce lo “I CARE” di don Milani (“mi interesso”, “ho a cuore”), lentamente, un passo per volta puoi fare di questo mondo un mondo migliore, puoi realizzare “il Regno di Dio”. Pensa che servire è mettersi a disposizione di un progetto, oggi il progetto è quello della “Piccola casa della Divina Provvidenza” fonda-ta da S. Giuseppe Benedetto Cottolengo. Domani dovrà essere il tuo progetto, un progetto che tu senti tuo, un progetto che è vocazione.

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Mandami qualcuno da amare

Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo; quando ho sete, mandami qualcuno che ha bisogno di una bevanda; quando ho freddo, mandami qualcuno da scaldare; quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare; quando la mia croce diventa pesante fammi condividere la croce di un altro; quando sono povero, guidami da qualcuno nel bisogno; quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento; quando sono umiliato, fa che abbia qualcuno da lodare;

quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare; quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia; quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi; quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona. rendici degni, o Signore, di servire i nostri fratelli che in tutto il mondo vivono e muoiono poveri e affamati. Dà loro oggi, usando le nostre mani, il loro pane quotidiano, e dà a loro, per mezzo del nostro amore comprensivo, pace e gioia.

( Madre Teresa di Calcutta )

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Per Strada

Lo scout non tende soltanto ad "essere buono", ma piuttosto ad es-sere attivo nel fare il bene; si guarda intorno con attenzione e per rendersi utile cerca di approfondire le sue competenze, capacità pro-gettuali ed abilità tecniche: ne potrà scaturire non solo un forte sen-so del proprio dovere, ma anche una più matura professionalità e la coscienza che il lavoro va vissuto come servizio. La famosa "buona azione" è scuola di attenzione agli altri; gratuità, generosità ed al-truismo divengono gradatamente vero e proprio spirito di servizio, capacità di donare e di donarsi.

Eccomi sono pronto a SERVIRE Ma c’è di più. Servire è spesso solo “scendere dalle spalle del proprio vicino”, ovvero atto di giustizia, per ridare a chi non ha quello che gli spetta. Il servizio in questo senso non può prescindere dalla politica. Servire è fare politica, è schierarsi. Solo schierandosi puoi incedere in questo mondo, puoi progettare, puoi servire. Se lo schierarsi è per gli ultimi, per i più piccoli, per coloro che non sanno o non possono dire: “ci sono anche io”; allora diventa servizio. Ma giustizia, politica, servizio non possono prescindere dalla verità. Chi sta con gli ultimi lo sa bene. La verità è sempre un caposaldo del proprio agire per gli altri.

DomenicaDomenicaDomenicaDomenica 1111 –––– PreghieraPreghieraPreghieraPreghiera sono puri di pensieri, parole e azioni

Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe fini-to uno dei discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare, come an-che Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli.

(Dal vangelo di Gesù secondo Luca, cap. 11, 1)

Non dobbiamo credere che la preghiera sia una qualifica dei cristiani, i pagani pregavano più di noi, i musulmani, oggi pregano più di noi, ma per queste pre-ghiere Gesù ha una parola tremenda, non fate come i pagani, i quali moltiplica-no le parole. Al rovescio di ciò che dice nella seconda parte, come se Dio fosse sordo... Dio sa già quello di cui avete bisogno... ed ecco allora la preghiera di Gesù, Padre Nostro. Gesù non prega mai con i discepoli. Non moltiplicate le parole, Gesù non prega

mai insieme con i suoi discepoli, eccetto nell’ultima cena, dove c’è tutta una ce-rimonia particolare, dove siamo di fronte a un testamento e quando chiede a lo-ro di pregare per lui al Getsemani e loro si addormentano… Qui i discepoli gli dicono: Insegnaci a pregare! Ma come “insegnaci a pregare”?

Gli apostoli erano degli Ebrei, e quindi le preghiere che dicevano, tutti le sape-vano, certo sentivano che c’era qualcosa che non funzionava, sentivano una in-soddisfazione in quel tipo di preghiera.

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Socrate, si pone il problema della preghiera quattrocento anni prima di Cristo. Un giorno con il suo amico Alcibiade, una specie di Giuda nei confronti di Socra-te, un uomo lanciato in politica che ha fatto poi dei disastri. Un giorno questo capitano Alcibiade dice a Socrate: “Vogliamo andare al tempio di Diana a pre-gare?” Socrate risponde: “Va bene, andiamo”. Arrivano al tempio e Alcibiade di-ce: “Cosa dobbiamo dire?” Socrate risponde: “Non lo so, proprio non lo so, però so quello che non si deve dire e adesso te lo dimostro, mettiamoci a sedere e vediamo lo spettacolo.” Il tempio, più o meno come il nostro: gli altari, la Madonna, San Giuseppe,

Sant’Antonio e così via. Nel tempio di Diana c’erano più o meno tutte le divinità greche: l’altare di Giove, di Mercurio, di Venere e così via. Ecco arrivare i disso-luti sessualmente e pregano Venere: “Venere, dammi la forza per potere con-durre a termine le mie imprese amorose”. Arrivano i ladri, che si rivolgono a Mercurio, dio dei ladri perché era molto veloce e faceva sparire le cose sotto gli occhi senza che uno se ne accorgesse; costoro dicono: “Mercurio, dammi la for-za per condurre a termine le mie imprese”. Socrate, continuava a guardare Al-cibiade. Arrivano coloro che coltivavano i fiori e dicono: “Giove mandaci il sole, perché noi abbiamo bisogno di sole”. Arrivano poi gli ortolani e dicono: “Giove mandaci la pioggia, perché noi abbiamo bisogno di pioggia”. Socrate continua-va a guardare Alcibiade. Arrivano i ricchi, i quali pregavano Giano Bifronte per-ché custodisse le porte contro i ladri. Socrate a questo punto domanda: “Ma Dio chi deve ascoltare, in mezzo a que-

sta babele di richieste contraddittorie? Come se ognuno di noi appartenesse a un pianeta diverso”. Socrate allora si alza e Alcibiade lo segue e lungo il viag-gio: “l’uomo non è capace di pregare, non sa quello che deve chiedere perché il suo egoismo ha talmente gonfiato l’io, per cui ha distrutto anche Dio, o per lo meno lo ha strumentalizzato alle sue voglie. Dobbiamo aspettare Uno che ci insegni a pregare”. Si dice che Socrate aveva capito che soltanto Dio poteva ve-nire a insegnarci che cosa dovevamo dire. Ora rileggete il Padre Nostro. È tutto al plurale! Dacci il nostro pane quotidiano.

Si può tradurre: Signore continua a far sì che la terra produca l’erba, che le mucche continuino a mangiare l’erba e a produrre il latte per i bambini e per i vecchi; ecco il significato di questo pane. Il Padre Nostro è la preghiera autentica, quella che ognuno di noi deve avere

dentro alla zucca quando prega. Io devo essere tranquillo vicino al mio collega quando prega, perché sono sicuro che lui non sarà lì a chiedere delle cose che sono nocive per me, perché se recita il Padre Nostro sono coinvolto anch’io e i benefici della sua preghiera sono anche i miei.

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Preghiera del Rover

O Signore Gesù, che scegliesti di essere l’Agnello di Dio accettando la volontà di Colui che ti aveva mandato ed il portarne a termine l’opera, concedimi di poter imitare questo tuo divin esempio nella mia vita quotidiana. Aiutami a comportarmi in ogni circostanza da vero Rover: pronto nel vedere il bene, costante nel portarlo a buon fine, senza inutili lamenti, ma lietamente, come tu vuoi. Fa’ che la mia vita segua la traccia del tuo volere e che non mi pieghi alle lusinghe del mondo. Rendimi capace di portare altri sulla via del bene, senza scoraggiamenti per i miei insuccessi. Fa’ che ogni sera giunga stanco al riposo ma lieto per aver fatto del mio meglio per rimanere fedele a Te e alla mia Promessa.

Preghiera della Scolta

Signore Gesù, che hai detto "Siate pronti", fammi la grazia di scegliere questo comando come mio motto e di rimanere fedele. Che ogni circostanza della mia vita mi trovi pronta per il dovere: amando e dicendo la verità, cercando e facendo il bene, sempre pronta a perdonare, sempre pronta ad aiutare sorridendo nelle avversità, pura di mente e di cuore. Queste sono, o Signore, le tracce dei tuoi passi. Voglio seguirle attraverso tutto, senza paura e senza rimpianti, con animo forte e a fronte alta. Signore aiutami.

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