Sconfinare numero 15 - Novembre 2008

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munità degli studenti del Sid e al territorio; in più, ci sembrava un’occasione giusta per raccogliere fondi che sarebbero serviti alle attività future del giornale. Viste come sono andate le cose, non possiamo che essere pieni di gioia ed orgoglio. Infatti, grazie alla massiccia partecipazione siamo riusciti a racimolare, a fine serata, 1100 euro; questo ci permetterà di uscire con una maggiore regolarità. Ma soprattutto, ciò che è successo mercoledì ci ha dimostrato chiara- mente che Sconfinare è una realtà importante nella nostra università, con una capacità di mobilitazio- ne notevole. Questo significa che Sconfinare non vuole dire qualcosa solo per noi, ma anche per voi che lo leggete. Questo è molto impor- tante per noi che ci lavoriamo; vogliamo perciò ringraziare tutti co- loro che hanno reso mercoledì una serata così bella partecipando alla festa, le due menti della festa, Leonetta ed Edoardo, e tutti coloro che si sono prodigati nell’organizzazione, ma anche i dj che l’hanno animata e i responsabili del Mostovna. Forse il ringraziamento più bello è proprio la copia del giornale che state leggendo, stampata grazie ai proventi della festa. Alla prossi- ma! La Redazione COPIA GRATUITA Numero 15 - Novembre 2008 www.sconfinare.net Direttrice: Annalisa Turel Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione redazione@sconfinare.net L’editoriale “Noi siamo qui, oggi, per affermare il fatto che l’università è il luogo dove si impara il pensiero critico, dove si cerca di capire quello che ci circonda”. Con queste parole il Magnifico Rettore Pero- ni ha motivato l’assemblea di Ateneo del 30 ottobre, in Piazzale Europa, convo- cata per discutere della legge 133 e dei tagli all’università. Il mese che ci siamo lasciati alle spalle, in effetti, è stato ca- rico di eventi importanti, dalla crisi eco- nomica alla riforma scolastica, fino alle storiche elezioni americane, che hanno decretato la vittoria di Barack Obama. Un mese impegnativo per chiunque. In questa situazione, Sconfinare ritorna dopo la pausa estiva, per dare ancora una volta voce a tutti gli studenti del Sid. In questo contesto, possiamo fare nostre le parole del Magnifico Rettore: Sconfinare non è, non deve essere, un “giornalino”; esso è piuttosto un tenta- tivo che noi studenti facciamo per capire e interpretare il mondo in cui viviamo. Può essere un punto di vista imperfetto, può essere soggettivo; ma è pur sempre un mezzo per dare voce ai nostri pensie- ri, per dare vita a confronti costruttivi, per esercitare quel “pensiero critico”, messo ultimamente in serio pericolo, che l’università deve dare come prima cosa. E’ quindi importante, ancora più di prima, che tutti partecipino; tutti co- loro i quali hanno qualcosa da dire la devono dire, senza timore. La forza di Sconfinare sono i suoi lettori, perché è da essi che prende linfa e idee ogni nu- mero. E’ un giornale fatto DA studenti PER gli studenti. Certamente poi cerca di diffondersi nel territorio di Gorizia e Nova Gorica, e anche oltre, e in questo aspetto sta avendo un sempre maggiore successo; ma la base su cui poggia è il corpo studentesco. Senza la partecipa- zione massiccia del Sid nel suo insieme, perde il suo significato. E’ un compito impegnativo, ma ricco di soddisfazioni; ed è sempre più necessario oggi, se non altro come atto di “Resistenza”. Non potremo fare molto contro chi ci vuole togliere la possibilità di studiare, capire e ragionare liberamente, ma è comun- que un segno, la cui forza dipende dalla partecipazione di tutti. Per dimostrare al mondo fuori dall’Università che sia- mo altro rispetto a facinorosi svogliati, come i media hanno descritto gli stu- denti universitari manifestanti in questi ultimi giorni. Buona lettura! Giovanni Collot giovanni.collot@sconfinare.net Obama presidente La vera novità non è il colore della sua pelle Barack Hussein Obama II (Honolu- lu, 04/08/1961) è, dunque, il quaranta- quattresimo Presidente degli Stati Uni- ti d’America. O, meglio, lo sarà dal 20 gennaio 2009, quando ci sarà la cerimo- nia di insediamento e riceverà i pieni po- teri. Della sua storia, a tratti addirittura messianizzata e che non pochi imbarazzi ha creato allo stesso candidato durante la campagna elettorale (‘A differenza di quanto si dice in giro’, esclamò tra l’al- tro, ‘non sono nato in una mangiatoia.’), hanno parlato e parleranno in tanti. Così pure della lunghissima campagna eletto- rale, dello sconfitto McCain, di Biden e della Palin. E se ne parlerà così a lungo che si rischierà di perdere di vista –e forse già si è perso- il dato politico. Che non è il colore della pelle di Obama, o non solo e non principalmente: un afroamericano (tale, in effetti, solo a metà) alla Casa Bianca è certo un fatto di per sé positivo, un segnale di apertura al mondo, magari anche di un certo coraggio. Un fatto non previsto né prevedibile anche solo pochi anni fa, e sarebbe stato un fulmine a ciel sereno anche se fosse arrivato dall’ele- fantino repubblicano, piuttosto che dall’asinello democratico. Un presidente nero, va aggiunto, non è necessariamente un ottimo presidente. Dato che dalla sua posizione condizionerà pesantemente le nostre vite negli anni a venire, possiamo sperare in bene, ma certo non possiamo esserne sicuri. Potrebbe rivelarsi un com- pleto incompetente, a dispetto di tutto ciò che abbiamo visto in quresti anni. Quin- di, forse sorprendentemente, suggerisco che, a ben vedere, il dato più importante –il dato politico intendo, non certo socio- logico o storico o culturale, in quei campi il colore della pelle conta, eccome-, è la novità di questa elezione, e della cam- pagna elettorale che l’ha preceduta. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, la relativa originalità dei due sfidanti principali, Obama e McCain. Uno molto giovane, l’altro molto vec- chio, entrambi piuttosto slegati dall’esta- blishment dei loro partiti: Obama per l’età e perché, nonostante amicizie im- portanti (a cominciare dal ex candidato del 2004, Kerry), ha osato sfidare e bat- tere l’imponente organizzazione Clinton, evitando abilmente di perdere l’appoggio del partito, seducendolo giorno dopo giorno. McCain per il suo carattere spi- goloso, per la sua consolidata abitudine a criticare il suo stesso partito e per le sue tendenze quasi liberal, al confronto con gli altri politici della sua area. In secondo luogo, il programma del pre- sidente in pectore, per il quale è stato ad- dirittura additato come ‘socialista’, uno degli insulti più gravi nel Nordamerica. continua a pagina 2 [email protected]! Mercoledì 5 novembre si è tenuta, come molti di voi sapranno, la grande festa di Sconfinare al Mostov- na, a Solkan. Ovviamente, oltreconfine. Giusto per tenere fede al nome. Quello che non ci sembrava per niente ovvio, durante le svariate riunioni della Redazione, era l’affluenza. Infatti, le nostre aspetta- tive si situavano intorno a 100-150 persone. Potete quindi immaginare la sorpresa di chi, della Reda- zione, stava alla cassa per consegnare i biglietti per la consumazione e, soprattutto, il famigerato timbro (che fa già tendenza), quando si è trovato senza più ricevute disponibili. In effetti, a fine serata si contavano quasi 400 persone, provenienti da molte parti diverse: la maggior parte, naturalmente, dal Sid, ma anche dall’università di Udine, e persino sloveni (con evidenti pro- blemi di traduzione alla cassa). Alcuni sono arrivati a piedi, altri in bicicletta, altri ancora con il servizio navetta del nostro inviato panamense; in ogni caso, mercoledì notte a Solkan si è visto un movimento che è raro, molto raro, vedere in questa zona. Ciò che ci ha spinto ad organizzare, per la prima volta, una festa, è stato un desiderio di “farci conoscere”, di avvicinarci di più alla co-

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munità degli studenti del Sid e al territorio; in più, ci sembrava un’occasione giusta per raccogliere fondi che sarebbero serviti alle attività future del giornale. Viste come

sono andate le cose, non possiamo che essere pieni di gioia ed orgoglio. Infatti, grazie alla massiccia partecipazione siamo riusciti a racimolare, a fine serata, 1100 euro; questo ci permetterà di uscire con una maggiore regolarità. Ma soprattutto, ciò che è successo mercoledì ci ha dimostrato chiara-mente che Sconfinare è una realtà importante nella nostra università, con una capacità di mobilitazio-

ne notevole. Questo significa che Sconfinare non vuole dire qualcosa solo per noi, ma anche per voi che lo leggete. Questo è molto impor-tante per noi che ci lavoriamo; vogliamo perciò ringraziare tutti co-loro che hanno reso mercoledì una serata così bella partecipando alla festa, le due menti della festa, Leonetta ed Edoardo, e tutti coloro che si sono prodigati nell’organizzazione, ma anche i dj che l’hanno animata e i responsabili del Mostovna.Forse il ringraziamento più bello è proprio la copia del giornale che state leggendo, stampata grazie ai proventi della festa. Alla prossi-ma!

La Redazione

COPIA GRATUITANumero 15 - Novembre 2008 www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel

Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione

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L’editoriale“Noi siamo qui, oggi, per affermare il fatto che l’università è il luogo dove si impara il pensiero critico, dove si cerca di capire quello che ci circonda”. Con queste parole il Magnifico Rettore Pero-ni ha motivato l’assemblea di Ateneo del 30 ottobre, in Piazzale Europa, convo-cata per discutere della legge 133 e dei tagli all’università. Il mese che ci siamo lasciati alle spalle, in effetti, è stato ca-rico di eventi importanti, dalla crisi eco-nomica alla riforma scolastica, fino alle storiche elezioni americane, che hanno decretato la vittoria di Barack Obama. Un mese impegnativo per chiunque. In questa situazione, Sconfinare ritorna dopo la pausa estiva, per dare ancora una volta voce a tutti gli studenti del Sid. In questo contesto, possiamo fare nostre le parole del Magnifico Rettore: Sconfinare non è, non deve essere, un “giornalino”; esso è piuttosto un tenta-tivo che noi studenti facciamo per capire e interpretare il mondo in cui viviamo. Può essere un punto di vista imperfetto, può essere soggettivo; ma è pur sempre un mezzo per dare voce ai nostri pensie-ri, per dare vita a confronti costruttivi, per esercitare quel “pensiero critico”, messo ultimamente in serio pericolo, che l’università deve dare come prima cosa. E’ quindi importante, ancora più di prima, che tutti partecipino; tutti co-loro i quali hanno qualcosa da dire la devono dire, senza timore. La forza di Sconfinare sono i suoi lettori, perché è da essi che prende linfa e idee ogni nu-mero. E’ un giornale fatto DA studenti PER gli studenti. Certamente poi cerca di diffondersi nel territorio di Gorizia e Nova Gorica, e anche oltre, e in questo aspetto sta avendo un sempre maggiore successo; ma la base su cui poggia è il corpo studentesco. Senza la partecipa-zione massiccia del Sid nel suo insieme, perde il suo significato. E’ un compito impegnativo, ma ricco di soddisfazioni; ed è sempre più necessario oggi, se non altro come atto di “Resistenza”. Non potremo fare molto contro chi ci vuole togliere la possibilità di studiare, capire e ragionare liberamente, ma è comun-que un segno, la cui forza dipende dalla partecipazione di tutti. Per dimostrare al mondo fuori dall’Università che sia-mo altro rispetto a facinorosi svogliati, come i media hanno descritto gli stu-denti universitari manifestanti in questi ultimi giorni. Buona lettura!

Giovanni [email protected]

Obama presidenteL a v e r a n o v i t à n o n è i l c o l o r e d e l l a s u a p e l l e

Barack Hussein Obama II (Honolu-lu, 04/08/1961) è, dunque, il quaranta-quattresimo Presidente degli Stati Uni-ti d’America. O, meglio, lo sarà dal 20 gennaio 2009, quando ci sarà la cerimo-nia di insediamento e riceverà i pieni po-teri. Della sua storia, a tratti addirittura messianizzata e che non pochi imbarazzi ha creato allo stesso candidato durante la campagna elettorale (‘A differenza di quanto si dice in giro’, esclamò tra l’al-tro, ‘non sono nato in una mangiatoia.’), hanno parlato e parleranno in tanti. Così pure della lunghissima campagna eletto-rale, dello sconfitto McCain, di Biden e della Palin. E se ne parlerà così a lungo

che si rischierà di perdere di vista –e forse già si è perso- il dato politico. Che non è il colore della pelle di Obama, o non solo e non principalmente: un afroamericano (tale, in effetti, solo a metà) alla Casa Bianca è certo un fatto di per sé positivo, un segnale di apertura al mondo, magari anche di un certo coraggio. Un fatto non previsto né prevedibile anche solo pochi anni fa, e sarebbe stato un fulmine a ciel sereno anche se fosse arrivato dall’ele-fantino repubblicano, piuttosto che dall’asinello democratico. Un presidente nero, va aggiunto, non è necessariamente un ottimo presidente. Dato che dalla sua posizione condizionerà pesantemente le

nostre vite negli anni a venire, possiamo sperare in bene, ma certo non possiamo esserne sicuri. Potrebbe rivelarsi un com-pleto incompetente, a dispetto di tutto ciò che abbiamo visto in quresti anni. Quin-di, forse sorprendentemente, suggerisco che, a ben vedere, il dato più importante –il dato politico intendo, non certo socio-logico o storico o culturale, in quei campi il colore della pelle conta, eccome-, è la novità di questa elezione, e della cam-pagna elettorale che l’ha preceduta. Ma andiamo con ordine.Innanzitutto, la relativa originalità dei due sfidanti principali, Obama e McCain. Uno molto giovane, l’altro molto vec-chio, entrambi piuttosto slegati dall’esta-blishment dei loro partiti: Obama per l’età e perché, nonostante amicizie im-portanti (a cominciare dal ex candidato del 2004, Kerry), ha osato sfidare e bat-tere l’imponente organizzazione Clinton, evitando abilmente di perdere l’appoggio del partito, seducendolo giorno dopo giorno. McCain per il suo carattere spi-goloso, per la sua consolidata abitudine a criticare il suo stesso partito e per le sue tendenze quasi liberal, al confronto con gli altri politici della sua area.In secondo luogo, il programma del pre-sidente in pectore, per il quale è stato ad-dirittura additato come ‘socialista’, uno degli insulti più gravi nel Nordamerica.

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[email protected]!Mercoledì 5 novembre si è tenuta, come molti di voi sapranno, la grande festa di Sconfinare al Mostov-na, a Solkan. Ovviamente, oltreconfine. Giusto per tenere fede al nome. Quello che non ci sembrava per niente ovvio, durante le svariate riunioni della Redazione, era l’affluenza. Infatti, le nostre aspetta-tive si situavano intorno a 100-150 persone. Potete quindi immaginare la sorpresa di chi, della Reda-zione, stava alla cassa per consegnare i biglietti per la consumazione e, soprattutto, il famigerato timbro (che fa già tendenza), quando si è trovato senza più ricevute disponibili. In effetti, a fine serata si contavano quasi 400 persone, provenienti da molte parti diverse: la maggior parte, naturalmente, dal Sid, ma anche dall’università di Udine, e persino sloveni (con evidenti pro-blemi di traduzione alla cassa). Alcuni sono arrivati a piedi, altri in bicicletta, altri ancora con il servizio navetta del nostro inviato panamense; in ogni caso, mercoledì notte a Solkan si è visto un movimento che è raro, molto raro, vedere in questa zona. Ciò che ci ha spinto ad organizzare, per la prima volta, una festa, è stato un desiderio di “farci conoscere”, di avvicinarci di più alla co-

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Il cambiamento Obama - segue dal la pr ima pagina

Sconfinare Novembre 20082Mondo

Russia contro Georgia: la guerra del petrolioTbi l is i inciampa sugl i g l i o leo-gasdott i stesi dal l ’Occidente

si imbarcherà per l’Europa. Intanto, però, la Georgia invade l’Ossezia del Sud. La Russia organizza una risposta rapidissima e l’8 agosto contrattacca: i primi obiettivi colpiti dall’aviazione sono il – già fuori uso – Baku-Tbilisi-Ceyhan, senza gravi danni, e il porto georgiano da cui parte il petrolio arriva-

to col Baku-Supsa. I rifornimenti all’Occidente lungo la via georgiana sono così strozzati. In at-tesa che in qualche mese i danni siano riparati, l’unico sbocco per i petrolieri azeri è raggiungere il Mar Nero con il vecchio tubo sovietico, il Baku- No-vorossijsk. La Russia torna così quasi - monopolista.L’approccio petrolifero alla crisi di ago-sto permette anche di comprendere la geometria di alleanze creatasi in Occi-dente: all’asse tradizionalmente anti-

Scavando dietro la versione semplificata che ci hanno servito i media occidentali durante la crisi georgiana di quest’esta-te, si scoprono molte ottime ragioni per solidarizzare con la Russia. Dal proget-to di scudo antimissile in Polonia e Re-pubblica Ceca, alle rivoluzioni colorate georgiana e ucraina; dal programma di adesione delle due repubbli-che alla Nato allo spettacola-re riarmo della Georgia (che in aprile aveva incrementato del 28% il suo bilancio mi-litare): queste dimostrazioni di forza (?) orchestrate da-gli Usa si sono trasformate in altrettanti buoni prete-sti per l’offensiva russa di quest’estate. È innegabile comunque che, togliendosi questi sassolini dalle scarpe, la Russia abbia in realtà agi-to in difesa di interessi ben più forti. Energetici, per esempio. Os-servando tutta la vicenda dal punto di vista dei riforni-menti di idrocarburi risulta chiaro quale spina nel fianco sia la Georgia per la Russia. Partiamo da lontano. Con accordi più o meno stringenti la Rus-sia si è assicurata buona parte di petro-lio e gas estratti in Kazakistan e Tur-kmenistan. Ciononostante, i due Paesi commerciano anche con altri partner, bypassando la Russia attraverso il Mar Caspio. Trasportate via mare, le materie prime sbarcano presso Baku, in Azer-baijan. Da qui, integrate con le ricche riserve azere, attraversano chilometri di deserto verso ovest. Un vecchio oleo-dotto (Baku-Novorossijsk, vedi cartina) raggiunge il Mar Nero via Russia. Al-tre tre condutture passano invece per la Georgia, e su queste ha investito l’Oc-cidente con lo scopo di tagliar fuori il gigante di Putin e Medvedev. Questo è il teatro in cui scoppia la guerra dei cin-que giorni, una guerra fatta anche per il petrolio.Il primo atto delle ostilità si consuma… in Turchia. Qui arrivano, dall’Azerbai-jan, via Georgia, un tubo di petrolio (Baku-Tbilisi-Ceyhan) e uno di gas (Baku-Tbilisi-Erzurum). I guerriglieri curdi del Pkk hanno la loro roccaforte nella regione turca tagliata dalle condut-ture: il 5 agosto il Pkk mette fuori uso BTC con un attentato. Le compagnie petrolifere che controllano la linea (So-car e British Petroleum)dirottano imme-diatamente le forniture nel terzo tubo georgiano, l’oleodotto Baku-Supsa. Il petrolio riesce così a evitare la Turchia e raggiungere le costa del Mar Nero dove

russo di Stati Uniti e Europa dell’Est si sono legati anche paesi, come Francia, Germania e Italia, generalmente più morbidi con l’Orso eurasiatico. Pochi mesi dopo lo strappo tra Bush e Merkel-Sarkozy al vertice Nato di Bucarest, la guerra pare abbia ricompattato il fronte occidentale; ciò a dimostrazione della

consistenza degli interessi messi in di-scussione. Anche grazie alla comunanza di vedute, l’Occidente ha potuto quindi celebrare in televisione la sua vittoria di carta. In realtà quella sul piano energetico resta la battaglia più soddisfacente vinta dai russi.Oggi lo scenario è più tranquillo. Mo-sca si è ritirata dalla Georgia. In Osse-zia del Sud, invece, rafforza la presenza dell’esercito e insedia un premier più filorusso del precedente. Manda amba-

sciatori nelle Repubbliche separatiste, che ormai considera Stati sovrani suoi vassalli.Gli Stati Uniti cercano di dimenticare lo schiaffo ricevuto. Gli europei hanno im-parato che con la Russia, per scaldarsi d’inverno, bisogna fare i conti. Hanno capito che rotte dell’oro nero indipen-

denti da Mosca sono impra-ticabili, perché non difen-dibili. Nabucco, il gasdotto dell’indipendenza energetica dell’Unione europea, resta un sogno irrealizzato.Metafora dell’illusione occi-dentale che Putin si sarebbe lasciato soffocare è la State Strategic Pipeline Division, una forza militare georgiana addestrata dagli Usa per di-fendere il tragitto dell’oleo-dotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, quello bombardato dai russi nel primo giorno di guerra. Quattrocento uomini non sono bastati all’America per proteggere la sua roccafor-te caucasica. La Georgia è oggi ridimensionata. Il suo territorio nazionale è ormai violato: l’Ossezia è un cu-

neo russo a pochi chilometri da Tbilisi e dagli oleodotti; l’Abkazia le toglie una grossa fetta di costa sul Mar Nero, re-stringendo ancor più il corridoio ener-getico strategico per l’Europa. La Re-pubblica del vacillante Saakashvili si è, così, ingarbugliata nella rete di tubi che doveva alimentare le sue velleità di potenza.

Francesco [email protected]

Rimane pur sempre un programma moderato, se visto con ottica europea; ma negli Stati Uniti il suo è un programma interno indubbiamente avanzato, progressista, che propone un timido abbozzo di riforma dello stato sociale, che si dice fuori dalla logica delle lobby, che avanza proposte sorpren-denti sulla politica energetica e sulle alternative al petrolio.In terzo luogo, il modo in cui Obama ha vinto. Non solo nei luoghi in cui tradizionalmente un democratico vince, come il Maine, l’Oregon, Washington, New York e gli Stati del-le coste in generale, o come in Illinois. Non solo in alcuni degli Stati che solitamente avevano votato un repubblicano, come la Virginia o l’Ohio. Ad un’analisi più precisa emer-ge un particolare piuttosto interessante: Obama non è stato votato solo dagli elettori democratici; ha sottratto tantissimi voti non tanto (o non soltanto) ai repubblicani, ma in gran parte ai partiti che vanno sotto la voce ‘altri’. Ha ricevuto voti, insomma, da coloro che solitamente non si riconoscono nella bipolarismo americano. Ma, e questo è significativo,

ha ricevuto la fiducia della maggioranza dei giovani, nuovi elettori.Basti un esempio, che poi è il più eclatante: il Texas dei Bush ha, com’era prevedibile, votato in maggioranza l’ele-fantino, ma McCain è passato dal 61%(4.495.797 voti) di Bush 2004 ad un ‘normale’ 55%(4.450.403), mentre Obama ha incrementato il 38%(2.816.501) di Kerry, arrivando al 44%(3.514.788). Un guadagno di ben 698 mila voti e spic-cioli, su un totale di circa otto milioni di votanti. Moltissi-mo, e sorprendente.Sarà capace di meritarli, il primo presidente afroamericano del paese che per decenni ha discriminato quelli come lui? O questo sogno non si rivelerà piuttosto un incubo, e si sco-prirà che in realtà Barack Obama è davvero troppo inesperto per governare gli Stati Uniti d’America?Il bello della vita è che per avere certe risposte bisogna pri-ma vivere. Francesco Scatigna

[email protected]

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Sconfinare2008 Novembre 3Mondo

Una rifondazione democratica dell‘EuropaTre referendum popolari, tre bocciature: Dal “Trattato che istituisce una Costitu-zione per l’Europa”, bocciato nel 2005 da Francia e Olanda, al trattato di Lisbona firmato lo scorso dicembre e respinto nuo-vamente dagli irlandesi. La crisi attraver-sata dal vecchio continente non accenna dunque a concludersi, e con il terzo colpo d’arresto è ormai chiaro il clamoroso pre-occupante cortocircuito fra le istituzioni europee e il proprio popolo.Credo fermamente che non vi sia nulla da festeggiare di fronte a questa crisi senza precedenti. E’ da troppo tempo che i pa-esi membri come il mondo intero hanno bisogno di un’Europa forte, autorevole, indipendente: lo scenario di crisi inter-nazionale che si sta disegnando in questi mesi, come i venti di guerra degli otto anni di amministrazione Bush, hanno visto un’Europa totalmente incapace di appog-giare, opporsi, o semplicemente incidere nel panorama mondiale e guadagnarsi il ruolo di guida nello sviluppo della pace, di politiche sociali e ambientali.Ma la colpa di tale arresto non può cer-to ricadere sugli irlandesi, il cui rifiuto non è stato minimamente indagato dai media nostrani; o su francesi e olandesi, sul cui rifiuto forse bisognava riflette-re un pochino di più. Certo, il fatto che l’1 % rappresentato dal popolo irlandese tenga in scacco i 26 parlamenti naziona-li che hanno ratificato - o si apprestano a farlo - il trattato (serve l’unanimità dei

continente… Niente di tutto questo è stato vagliato per uscire dall’impasse dei primi “no”. La scelta è ricaduta sulla via più fa-cile, caratterizzata da un sostanziale deficit di democrazia. Che, tra l’altro, continua ad essere la strada prescelta: Ora aboliamo la regola dell’unanimità, secondo cui ogni riforma deve essere accettata da tutti e 27 i membri, affidiamoci - snaturandolo - al principio di “Europa a due velocità”, e ap-proviamo in fretta e furia questo pasticcio incomprensibile che - parole del commis-sario UE McCreevy - “difficilmente una persona sana o a posto mentalmente lo leggerebbe dall’inizio alla fine”. Gli Irlan-desi, si arrangino: facciamoli rivotare una seconda e una terza volta, magari, finché si decideranno a votare sì. Fortuna che sia-mo in Europa, l’avamposto democratico dell’intero pianeta.Non credo che Irlandesi, Francesi o Olan-desi siano anti - europeisti. Abbiamo un disperato bisogno di un’Europa forte. Di un’Europa, però, che si schieri dalla parte dei cittadini, invece che con le banche e le burocrazie. Di un’Europa che ascriva nel suo DNA il fondamentale requisito di essere “sociale”, che difenda e promuova il welfare state invece di liberalizzare i servizi. Un’Europa che sappia schierarsi all’unanimità e senza tentennamenti con-tro la guerra, che riannodi i fili perduti per la ricerca di un dialogo volto a risolvere i conflitti che insanguinano il pianeta. Che rifiuti categoricamente l’idea di una sotto-

missione alla NATO, che non permetta ai governi di Praga e Varsavia l’installazione di missili e radar statunitensi senza alcuna discussione concertata con i partner eu-ropei - e del resto scelta osteggiata dalla maggioranza dei governati -. Abbiamo bisogno di un’Europa che lotti contro la pena di morte, invece di riabilitarla tramite protocolli e articoli del trattato (art 2 para-grafo 2 della CEDU). Di un’Europa che parli di integrazione e accoglienza e non costruisca fortezze, o si appresti a votare la “direttiva della vergogna”, prevedendo la detenzione degli stranieri irregolari fino a 18 mesi prima dell’espulsione. Un’Eu-ropa che difenda e promuova le conquiste dei lavoratori del secolo scorso, invece di cancellare con un colpo di spugna la setti-mana lavorativa di 48 ore e la contrattazio-ne collettiva.Abbiamo bisogno di un’Europa che ritro-vi se stessa, la sua identità, rappresentata da qualcosa di più di una moneta comune. Che riparta, utilizzando la democrazia non solo a parole. Che si dia nuove regole per essere più aperta, democratica e trasparen-te, rivedendo i meccanismi di elezione e di decisione dei suoi organi, in primis il Parlamento. La vitale necessità di una Co-stituzione, però, deve passare per una ride-finizione dell’idea di Europa che vogliamo costruire, e una vera e propria rifondazio-ne democratica dell’Unione.

Matteo [email protected]

paesi membri per l’applicazione) pone un serio problema di democrazia all’inter-no dell’Unione. Ma che questa, alla pro-va democratica dei referendum popolari (saggiamente evitati ove possibile), sia stata clamorosamente respinta in tempi e luoghi diversi, rappresenta un problema non da poco. Considerando che il rifiuto è stato espresso in maggioranza da giova-ni, donne, e lavoratori; forse si dovrebbe riflettere su che Europa vogliamo costrui-re con questo trattato. E che questi sia, in sostanza, una copia di quello che era stato presentato come un grande progetto di Co-stituzione europea, salvo poi tramutarlo in un tronfio e incomprensibile accordo che, proprio per la sua oscurità, era meglio far approvare in silenzio dai potenti e dai par-lamenti… be, questi sono altrettanto gravi problemi di democrazia. Il trattato di Li-sbona influenzerà pesantemente le nostre vite, incidendo sugli organi - parlamento europeo e commissione - che oramai pro-ducono la gran parte del corpo legislativo che il parlamento nazionale si limita a percepire. Ebbene, in Italia è stato votato all’unanimità in un caldo giorno d’estate, senza che la stragrande maggioranza dei cittadini non solo l’abbia letto, ma sappia almeno di cosa si tratta. Informare, capire, correggere, elaborare un testo convincente e perlomeno leggibile; affidare la sua ap-provazione ad un referendum comune a tutti i cittadini Europei, magari da svolger-si con le stesse modalità e tempi in tutto il

In questi giorni, mentre i forti Alisei delle elezioni americane e gli intricati turbini della protesta universitaria soffiano po-derosi e portano con sé aria di speranza e voglia di cambiare, è difficile riuscire a sentire la bava di vento che viene da sud, dalla lontana Africa. Laggiù, e pre-cisamente in Congo, si sta compiendo l’ennesimo intricatissimo dramma del continente nero. I ribelli del CNDP (Con-grès national pour la défense du peuple), hanno messo in scacco le forze dell’eser-cito regolare congolese. A guidarli c’è Laurent Nkunda che, fermando i propri uomini non lontano da Goma, capoluogo della regione del Kivu nord, ha decretato un “cessate il fuoco” unilaterale, e chie-sto l’apertura di trattative con il governo congolese. Obiettivi delle trattative con il governo congolese dei ribelli del CNDP sarebbero l’annullamento di accordi com-merciali con la Cina del valore di 5 mi-liardi di dollari - che secondo il loro capo avrebbero svenduto le ricchezze naturali del Paesi - e il disarmo dei ribelli Hutu delle Forces Democratiques de Libera-tion du Rwanda(FDLR), rifugiatisi in Congo al termine del genocidio ruandese del 1994 e fautori di rappresaglie e discri-minazioni nei confronti della etnia Tutsi in Kivu, di cui Nkunda si dice difensore. Ma nel frattempo, nonostante la tregua stabilitasi, i soldati dell’esercito regolare

congolese in ritirata sono entrati nei vil-laggi ferendo, violentando ed uccidendo. Anche i due ospedali cittadini di Goma sono stati saccheggiati dai soldati, peggiorando ulteriormente la già grave crisi umanitaria. La gente ha cercato di fuggire come ha potuto ver-so le frontiere dell’Uganda e del Ruan-da, portando con sé a malapena quello che è riuscita ad afferrare, ma il fronte della guerra va dal massiccio del Masi-si fino al confine con Ruanda e Uganda ed è in continuo mutamento. Così, molti dei profughi (1 milione e 600 mila) si ri-trovano chiusi tra due fuochi. Le ONG e l’ONU hanno sfruttato il cessate il fuoco e cercato di portare aiuto ai profughi, ma molti dei campi sono stati trovati deserti. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha stimato in 2,5 milioni il numero delle persone minacciate da epidemie di colera e di morbillo nella provincia del Nord-Ki-vu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, mentre Medici senza Frontiere denuncia l’assoluta mancanza di organiz-zazioni umanitarie nelle zone più colpite dal conflitto. Intanto, ci sono stati degli scontri tra le forze di Nkunda e miliziani Mai-Mai di Rutshuru, una località situata ad appena una sessantina di chilometri a nord di Goma. Questi miliziani non sono altro che gruppi armati senza legami etni-ci né politici: fanno capo ad anziani della

tribù, a signori della guerra o a capi vil-laggio e, in teoria, si batterebbero per la difesa del proprio territorio ma, in realtà si mettono al servizio del miglior offerente, cambiando continuamente le alleanze. Al fine di trovare una soluzione diploma-tica all’ultimo di una lunghissima serie di conflitti a catena che coinvolgono la zona, l’Unione Europea ha inviato in Congo il ministro degli esteri francese, Bernard Kouchner, ed il ministro degli esteri bri-tannico David Miliband. Dopo aver vi-sitato Goma per tentare una mediazione impossibile si sono mossi ad aprire tratta-tive diplomatiche con i due paesi coinvol-ti (Repubblica Democratica del Congo e Ruanda). Il presidente del Congo accusa il Ruanda di essere il principale sostenito-re dei ribelli di Nkunda, mentre il governo di Kigali sostiene che le FDLR abbiano il pieno appoggio dell’esercito regolare congolese, mettendo così in pericolo l’in-tegrità territoriale del Ruanda.Il tentativo di Kouchner di porre fine ai massacri della popolazione tramite il di-spiegamento di un contingente europeo a sostegno dei pochi caschi blu dell’Onu - finora incapaci di proteggere a pieno la popolazione - si è risolto in un nulla di fatto a causa dell’opposizione del gover-no Ruandese. In più, all’opposizione del Ruanda si sono aggiunte le perplessità de-gli europei stessi: David Miliband, infatti,

Congo: una crisi in secondo pianoha sostenuto di essere lì non per discutere di una forza europea, ma della situazione umanitaria. Dello stesso parere è l’Alto rappresentante degli Affari esteri UE, Ja-vier Solana, secondo cui la priorità nu-mero uno dell’Unione Europea è l’ambito umanitario. L’Europa, insomma, non ha intenzione di impantanarsi in certe situa-zioni. Londra si è comunque resa disponi-bile a convincere il Ruanda a spingere i ribelli di Nkunda a rispettare gli accordi di pace del gennaio 2008. Ciò mette a nudo la situazione del Ruanda nella regione, dato che il regime di Kagame è sospettato di usare gli estremisti hutu per mettere le mani su un territorio ricco di risorse come il Kivu. Si spera che qualcosa possa esse-re risolto con il summit di Nairobi a cui parteciperanno i due Stati contendenti più quelli confinanti di Uganda, Burundi e Tanzania, l’Unione Europea e gli USA.Così, mentre la lunga e complessa epopea delle guerre centroafricane prosegue con un nuovo sanguinoso capitolo, l’unico ruolo svolto dalle potenze occidentali in tutta questa storia è quello di osservare da lontano una situazione che hanno contri-buito a creare e che, incapaci di compren-dere veramente, hanno lasciato, e lascia-no, scivolare in secondo piano.

Tommaso [email protected]

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Sconfinare Novembre 20084

Saviano, il potere della sua (e della nostra) parolaPolitica Nazionale

"Bello il romanzo che hai scritto".Ragazzini salutano Saviano dopo la sua visita a Casal di Principe nel settembre 2007

"Saviano è un simbolo, ma non 'il' sim-bolo della lotta alla camorra. La lotta alla criminalità, però, la fanno polizia, magistratura, imprenditori che sono in prima linea ma non sulle prime pagine dei giornali. Spero che resti, con la sua immagine contribuisce alla lotta alla camorra, ma il contrasto viene fatto ogni giorno con azioni militari ed indagini. Non vorrei ridurre lo Stato e la sua azio-ne ad una personificazione".Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, a Napoli (Campania), 17/10/2008

"Su Saviano sono stato frainteso. Ho voluto fargli un favore. Non è un bene per lui caricargli addosso tutte queste responsabilità, perchè non lo fanno vivere bene, non può essere lui da solo a farsi carico nell'immaginario collettivo della lotta alla criminalità”. MINISTRO DELL’INTERNO, ROBERTO MARONI, A SAINT-VINCENT (VALLE D’AOSTA), 18/10/2008

La mafia, la camorra, prima di uccidere discredita. Prima di spargere sangue, getta fango sul suo nemico. Saviano ha dimostrato quanto forte sia il potere della parola perché con Gomorra ha acceso grossi fari sugli affari che la ca-morra cerca di tenere nel buio più pesto.Anche i Casalesi conoscono il potere della parola.La usano per dialogare con il loro territo-rio, con il popolo omertoso e spaventato,

per togliere stima e rispetto a chi non ha che un libro per combattere. Per questo, quando l’anno scorso nel 2007 Saviano è tornato nella sua Casal di Principe dopo la pubblica-zione di Gomorra, ha trovato saraci-nesche abbassate e ragazzini strafot-tenti: «Hai scritto un bel romanzo», tutta fantasia, qui nessuno ti prende sul serio e ti appog-gia.Con gesti e parole, poi, la mafia dialoga con i poteri forti, e spesso ottiene rispo-sta. Anche se sicuramente non sono solo me-rito di Saviano i risultati ottenuti dallo Stato contro la criminalità organizzata in Campania ma pure di poliziotti, carabinie-ri, magistrati, imprenditori; anche volendo considerare lo scrittore come un parolaio, portabandiera di una lotta idealista alla mafia; comunque le parole del Ministro dell’Interno non sono solo solidarietà alle sue forze dell’ordine; non sono precisazio-ni utili a proseguire con strumenti migliori la lotta alla criminalità; non sono semplici “puntini sulle i” messi per amor di preci-sione; né tantomeno hanno l’obiettivo di ridurre il clamore mediatico attorno a un caso delicato che avrebbe bisogno (avreb-

be bisogno?) di mag-giore silenzio.Sono una presa di di-stanza grave. Speria-mo che i Casalesi non abbiano sentito per-ché potrebbero inter-pretare male; potreb-bero intuire che per lo Stato perdere “un” simbolo della lotta alla camorra non sa-rebbe poi così grave, e agire di conseguen-za. Speriamo che non abbiano sentito le pa-role pronunciate dal

Ministro a Napoli, perché sicuramente la smentita, sussurrata dalla Valle d’Aosta, non è arrivata alle loro orecchie.Mentre scriviamo la raccolta firme di so-lidarietà a Saviano promossa da Repubbi-ca, che ha visto l'adesione di sei Nobel, ha superato le 200 mila adesioni. I teatri, le scuole e i cinema italiani sono diventati luoghi di lettura ad alta voce di Gomorra, il presidente Fini ha accettato di invitare lo scrittore alla Camera. Pare che l'Italia dunque non sia un paese insensibile verso chi rischia la vita per denunciare la corru-zione diffusa tra cittadini comuni ed élites del potere.Gomorra, si è detto, non è una scoperta dell'autore, molti dei testi si devono ai col-leghi di Saviano(raccolti sul sito Nazione Indiana). Lui li ha sintetizzati e ha avuto la fortuna di incontrare la stupida industria culturale che cercando il fenomeno media-

tico è stata fregata e ha permesso di mette-re in pubblica piazza i nomi di Schiavone e di tutti i casalesi.Evidentemente questo non toglie nulla al valore del libro, e soprattutto al sacrificio che fa un ragazzo di trent'anni, non vivere la sua età. La lotta alla criminalità è in pri-mo luogo schierarsi, è una guerra di trin-cea, si sta da una parte o dall'altra, e chi sta con gli altri, che si chiami sistema(sistema, cioè ordine e non degenerazione!) o mafia o 'ndrangheta. E adesso? E adesso è sempre la stessa storia, ognuno deve fare la sua: lo Stato batta un colpo, dichiari la sua esistenza, le imprese continuino a denunciare il pizzo e investire in affari puliti, i maestri inse-gnino il senso dello stato e i genitori edu-chino al rispetto. Noi faremo la nostra, le rivelazioni di Saviano sono l'urlo di una generazione, è bene che la nostra non di-mentichi, quando ci troveremo negli alti posti riservatici da una laurea al SID, da dove veniamo. In questo momento biso-gna stare vicini a Roberto Saviano, il suo desiderio di andarsene è offensivo verso un paese europeo, sarebbe vergognoso se questo dovesse accadere: tutti abbiamo visto la faccia di Sandokan, o ci siamo in-dignati davanti all'intervista a Francesco Schiavone, ma facciamo emigrare l'auto-re perché non riusciamo a difenderlo, è lo Stato (non solo il Ministero dell’Interno, ma tutti noi nel più profondo senso collet-tivo) che si arrende.

Franderico [email protected]

[email protected]

Roma, 19 Ottobre: dallo studio Rai di “Che tempo che fa”,il leader del PD Walter Veltroni annuncia pubblicamente la rottu-ra dell’alleanza fra il suo partito e l’IDV dell’ex pm molisano Antonio Di Pietro. I motivi addotti per giustificare questa de-cisione sono stati le differenze sui modi di affrontare molte delle questioni dell’agen-da politica ed il modo con cui il partito di pietrino sta conducendo la sua opposizio-ne al governo, “Distante anni luce dall’al-fabeto democratico del centrosinistra”.Lo strappo si è consumato così nel tem-po di una breve intervista,cogliendo di sorpresa i vertici dell’Italia dei valori e suscitando stupore e qualche disappunto fra i parlamentari del PD stesso (vedi ad esempio Parisi). La mossa di Veltroni è qualcosa di inedito nella storia della si-nistra italiana del dopo tangentopoli:mai era successo infatti che una rottura fra partiti alleati si concretizzasse all’op-posizione (finora era sempre accaduto il contrario).Ai motivi già esposti nell’in-tervista dal leader del centrosinistra per spiegare questa decisione, nuova per una democrazia come quella italiana, ma che probabilmente in altri paesi sarebbe stata quantomeno nell’aria,ne vanno aggiunti

alcuni e chiariti altri. È vero per esem-pio che le opinioni dei due capi su molte questioni di politica erano divergenti, ma sul modo di condurre l’opposizione al go-verno la differenza era più formale che sostanziale,da Di Pietro a Veltroni il modo di criticare le politiche del governo cambia nei toni,ma non nella sostanza. Bisogna dire che , se l’alleanza è esistita nessuna delle due parti ha mai cercato veramente una mediazione con l’altra che andasse oltre alle dichiarazioni di intenti fatte agli organi d’informazione;la rottura fra i due partiti si è consumata a partire dalla tan-to discussa manifestazione chiamata “No Cav Day”,tenutasi l’8 Luglio in Piazza Navona ed organizzata dall’IDV,dopo la quale Veltroni aveva per la prima volta parlato di divorzio fra i due partiti,questa volta facendolo dagli studi di matrix. Da lì in poi l’intesa si è trasformata in coabi-tazione forzata,e si è deteriorata col pas-sare delle settimane,anche per via della “recidività” di Di Pietro,che nonostante i richiami alla calma degli alleati non ha ad-dolcito i suoi modi di fare opposizione. Va poi detto che la fine dell’alleanza appare come una decisione presa non di concerto con tutte le correnti interne al partito,ma

solamente dagli ambienti più vicini al segretario (con ovvie zone di tacito con-senso), come dimostrano i non pochi mu-gugni che la notizia ha sollevato. Questo cambio di rotta mira a dare una scossa, a tentare di ristabilire o forse è meglio dire a tentare di creare quell’ordine che manca all’interno del PD: Veltroni ha pensato di andare avanti da solo per poter dedicarsi esclusivamente a cercare di ricomporre i numerosi dissidi interni al partito, una volta per tutte, senza dovere allo stesso tempo occuparsi di correggere il tiro delle dichiarazioni dell’ormai ex alleato, sem-pre più accese e distanti dalle sue più con-trollate affermazioni . La leadership del capo del maggior partito di centrosinistra è infatti da alcuni mesi messa in discus-sione da vari esponenti del suo partito, e questa mossa mira a cambiare gli equilibri del partito,a ristabilire l’ordine all’interno della compagine democratica, a dargli ,forse, una nuova forma, come dimostra il commento di Rutelli,che all’indomani della frattura ha parlato della necessità di rifondare il partito. Un altro obiettivo che si vuole raggiungere con la rottura è anche quello di guadagnare i voti di co-loro che non voterebbero il PD se questo

fosse alleato con Di Pietro, e allo stesso tempo la misura punta a sottrarre voti alla stessa Italia dei valori, uscita secon-do molti democratici troppo rinforzata dalle urne delle politiche. Qualora il PD si riuscisse a ricompattare e a perseguire un programma coerente, mostrando una sola volontà comune e non cento inten-zioni e programmi diversi,allora sicura-mente si potrebbe riformare l’alleanza con Di Pietro, visto che l’Italia dei va-lori nella riunione dei vertici di partito del 22 Ottobre non ha chiuso,anche se avrebbe potuto farlo, le porte ai demo-cratici malgrado l’ex pm di mani pulite. Il banco di prova per la strategia Vel-troniana sarà quello delle elezioni eu-ropee, ma nel frattempo se si vorrà fare in modo che questa scelta non sia stata un grosso errore strategico per il PD e la sinistra in generale, bisognerà lavo-rare moltissimo sulla rifondazione del partito, dandogli almeno un minimo di coerenza interna, chiarezza e coesio-ne di programma ma soprattutto cre-are un partito unico e compatto e non un collage di anime e correnti diverse.

Matteo [email protected]

Veltroni e Di Pietro:la fine dell’“alleanza”

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Sconfinare2008 Novembre 5Politica Nazionale

La chimica legislativa crea molecole di pazzia finanziaria 137,133,126 – una miscela che tinge di rosso la cartina tornasole dell’istruzione italiana

Lo scorso 29 ottobre, il Senato ha approva-to la conversione in legge del d.l. 1 settem-bre 2008 n.137, presentato dal Presidente del Consiglio Berlusconi e dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ri-cerca Gelmini, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze Tremonti e quello della pubblica amministrazione e innovazione Brunetta. L’urgenza nell’at-tuazione delle nuove disposizioni in mate-ria di istruzione e università, recita il testo normativo, “si rende necessaria al fine di superare criticità e problematiche operati-ve” del sistema scolastico vigente; in real-tà, la proposta di riforma non implica un rinnovamento organico della compagine scolastica attuale (si compone in tutto di 8 articoli) ma si riduce ad un decreto collega-to alla legge finanziaria (insomma Tremon-ti potrebbe essere il padre della creatura). L’articolo che ha scatenato la protesta mediatica di questi giorni è il n.4, ovve-ro quello che stabilisce la reintroduzione nella scuola primaria, a partire da set-tembre 2009, di un “maestro unico” che sostituisca l’insegnamento modulare. L’insegnante avrà un orario settimana-

le di 24 ore, inferiore a quello attuale, e sarà affiancato dai maestri di religione e inglese. Su richiesta delle famiglie, com-patibilmente con le risorse, rimane la pos-sibilità delle 27 o 30 ore (ma non si fa ri-ferimento al tempo pieno come opzione).La reazione esplosiva scatta, però, perché alla 137/08 vengono associate altre due leggi: la legge 6 agosto 2008 n.133 e la legge 24 luglio 2008 n.126, quella che per intenderci ha abolito l’Ici e innesca-to i tagli ai fondi per l’università. Usan-do come trampolino di lancio la proposta Gelmini di diminuire il numero degli in-segnanti per riformare la scuola, infat-ti, la 133/08 giustifica una previsione di tagli in personale didattico a tempo de-terminato pari a 87.341 persone (42.105 nel 2009/2010, 25.560 nel 2010/2011 e 19.676 nel 2011/2012) e in personale ATA (amministrativo, tecnico, ausiliare) pari a 42.500 persone. Il risparmio totale è calcolato intorno ai 5,4 miliardi di euro.Per quanto riguarda l’università, invece, il problema nasce con due articoli specifici della 133/08: il n.16 e il n. 66. Il primo concede alle università la possibilità di

trasformarsi in fondazioni di diritto priva-to (la delibera di trasformazione è adottata dal Senato accademico a maggioranza as-soluta e approvata in seconda istanza dai Ministri dell’istruzione e dell’economia). L’art n.66, invece, contiene le direttive finanziarie per la distribuzione dei fondi statali alle università. Secondo le direttive ministeriali, l’Ffo (Fondo di finanziamen-to ordinario) sarà ridotto di 63.5 milioni nel 2009, di 190 milioni nel 2010, di 316 milioni nel 2011, di 417 milioni nel 2012 e di 455 milioni a partire dal 2013, per un totale di 1.441.500.000 di euro in 5 anni. Le riduzioni, come precisato nel testo stes-so della 133/08, derivano dal blocco del turn over di docenti e ricercatori universi-tari: ogni ateneo dovrà limitare il numero delle proprie assunzioni al 20% dei pen-sionamenti dell’anno precedente (indovi-nello: se l’età media dei ricercatori non an-cora di ruolo si avvicina ai 40 anni e ogni anno solo 1 di questi su 5 che vanno in pensione può essere assunto, quanti anni passeranno prima che un laureato del 2008 possa aspirare alla carriera accademica?). I tagli e il fatto che, per legge, le tasse di

iscrizione non possono superare il 20% dell’Ffo non potranno che svuotare le casse degli atenei italiani ed esporli ad un peggioramento progressivo dei servi-zi e della qualità di insegnamento. Ma la soluzione alle richieste economiche degli atenei c’è: il comma 5 del suddetto art n.16 recita “I trasferimenti a titolo di con-tributo o di liberalità a favore delle fon-dazioni universitarie sono esenti da tasse o imposte indirette e da diritti dovuti a qualunque altro titolo e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogan-te. Gli onorari notarili relativi agli atti di donazione a favore delle fondazioni uni-versitarie sono ridotti del 90%”. Forse non è poi così irrealistico farsi punzecchiare dall’idea che l’organicità della manovra governativa stia nella ricerca della priva-tizzazione di un’università in cui pano-rama decisionale sia appannaggio di po-chi finanziatori prevalenti, se non unici.

Valeria Carlot [email protected]

Lo Stato è miope contro la mafia

Ventitrè maggio millenovecentonovanta-due.Diciannove luglio millenovecentonovanta-due.In cinquantasette giorni, la mafia riuscì a colpire lo Stato, nelle persone di Giovan-ni Falcone, nominato da appena un giorno nuovo Superprocuratore antimafia a Roma, e di Paolo Borsellino, Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Paler-mo.Da quei giorni sono passati sedici anni e poco più, e quindi qualcuno si potrebbe chiedere come proceda la lotta alla mafia, della quale Falcone e Borsellino sono stati protagonisti ma non certo iniziatori, e so-prattutto, purtroppo, non le ultime vittime.Un modo originale di rispondere a questa domanda è volgersi in tutt’altra direzione. Il nostro Parlamento, si sa, non brilla per ala-crità, ma riesce comunque a produrre una certa quantità di leggi e decreti, il cui impat-to, quand’anche sembri dimesso, spesso si rivela travolgente.Ed eccoci, al Senato, al nove ottobre due-milaotto. E’ al voto un decreto legge che ha come obiettivo l’aumento di retribuzio-ne per i magistrati in sedi disagiate. Ma, come spesso succede, il decreto è infarci-to di paroline e di articolini che c’entrano come i cavoli a merenda. La norma che ci interessa recita: ‘L'articolo 36 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n.160, come mo-dificato dall'articolo 2 comma 8 della legge 30 luglio 2007 n.111, è abrogato.’ Semplice, no? Mica tanto: significa, sempre che il de-creto in questione passi anche alla Camera -il che non è scontato- che la norma varata dal governo Prodi, che vietava ai magistrati inquisiti ma poi assolti –e a cui quindi era concessa una ‘ricostruzione di carriera’- di poter occupare comuque posti di vertice oltre i 75 anni di età, è abrogata; significa

cioè l’esatto opposto: che quella categoria di magistrati può ora occupare posizioni di vertice; e non ce ne sono tanti, in questa si-tuazione: soprattutto, ce n’è uno solo che si è imposto all’attenzione dei –pochi- media che se ne sono interessati. Questo personag-gio si chiama Corrado Carnevale.Ora, bisognerà sottolineare l’importanza di questo nome ai fini della nostra vec-chia domanda: in che stato è la situazione dell’antimafia, sedici anni dopo Falcone e Borsellino? E Carnevale è molto, molto importante. Chi è, dunque, e perché si cerca di porlo in pole position per il ruolo di Presidente della Cor-te Suprema di Cassazione, con una norma ad hoc? Il ruolo è ora occupato da Carbone, che andrà comunque in pensione nel 2010, cosicchè rimarrà per Carnevale una finestra di tre anni (lui, in virtù di questa ‘ricostruzio-ne di carriera’, andrà in pensione nel 2013, a 83 anni), che potrà sfruttare agilmente per essere eletto presidente: è praticamente cer-to, perché è il primo per anzianità.

Ma ancor più interessante non è tanto la nor-ma, ma il personaggio in questione. Il suo soprannome era, ai tempi di Falcone e Bor-sellino, ‘l’ammazzasentenze’. Cosa faceva? In qualità di presidente della prima sezione della Corte di Cassazione, non faceva altro che essere molto pignolo: nel corso del tem-po, ha cassato decine di processi a carico di mafiosi –ma non solo: persino uno contro la Banda della Magliana naufragò per sua decisione-, per via di difetti nella documen-tazione, come un timbro mancante, una vir-gola da spostare, una data imprecisa, e così via. Era inoltre nemico dichiarato del pool antimafia: sosteneva che quei magistrati fos-sero ‘sceriffi’, ‘armi rivolte contro i nemici politici della sinistra di matrice comunista’, e in particolare nutriva un odio profondo nei confronti di Falcone e Borsellino: li defini-va ‘due incapaci’, e per lui Falcone era ‘fac-cia da caciocavallo’; il culmine lo raggiunse dopo la loro morte, quando esclamò: ‘Io i morti li rispetto, ma certi morti no.’ Giudizi confermati poi anche in tribunale.

Sì, perché Carnevale, che alcuni ben ve-drebbero al vertice della Suprema Corte, il massimo organo della Magistratura, ha scavalcato la sbarra, passando da giudice ad imputato. Il processo a suo carico, iniziato nel marzo 1993, concluse una sua prima parte con la condanna (giugno 2001) della Corte di Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa (pena: sei anni di reclusione, oltre all’interdizione dai pubblici uffici). La Cassazione lo ha poi as-solto nell’ottobre 2002 con formula piena, ma tra le polemiche per la dubbia esclusio-ne di alcune testimonianze chiave, inficiate solo dal fatto che erano scaturite da fatti av-venuti in camera di consiglio; fatti che sono generalmente considerati coperti da segreto, ma non così quando al suo interno si consu-mano dei reati: in tali casi, secondo molti, la loro segretezza dovrebbe venir meno.Questo non è, com’è evidente, il pensiero della Cassazione, che, venute meno tali pro-ve (alcune altre testimonianze, provenienti dall’esterno della camera di consiglio, sono state inspiegabilmente coinvolte nell’annul-lamento generale), ha assolto Carnevale, li-berandolo da ogni accusa.Ora, bisogna distinguere tra legalità e op-portunità: legalmente, Carnevale è da con-siderarsi innocente; ma è forse opportuno non tanto lasciarlo lavorare, cosa che non gli si può negare, ma addirittura adoperarsi positivamente per spingerlo ad occupare il vertice massimo della Magistratura?Ecco chi è Carnevale. A che punto è, dun-que, la lotta alla mafia in Italia? E’ prete-stuoso accostare quello che sta accadendo in favore dell’ormai ottantenne ‘ammazza-sentenze’ ad un giudizio sullo stato attuale dell’Antimafia? Francesco Scatigna

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Sconfinare 2008 Novembre6

OMeRO Osservatorio Mediterraneo di Ricerca Operativa

Ciao a tutti i lettori di Sconfinare!L’Osservatorio Mediterraneo di Ricer-ca Operativa (O.Me.R.O.) sta cercando fra i giovani studenti del SID dei colla-boratori. In particolare (da ex studen-tessa SID) mi riferisco alle moltissime tesi e tesine che siamo obbligati a scri-vere per alcuni insegnamenti, sarebbe bello se alcuni di voi volessero mettere a disposizione le proprie ricerche su uno spazio internet. OMeRO è un’Associazione Culturale di Geopolitica nata dalla passione di un gruppo di ex studenti del I Master in Geopolitica, organizzato dalla rivi-sta Limes e dalla SIOI nel 2007.L’oggetto principale della nostra inda-gine sono i rapporti fra i vari stati me-diterranei, intendendo con questo non solo i Paesi rivieraschi, ma anche quel-li del Mar Nero e del Medioriente. A pochi mesi dalla nostra costituzione abbiamo deciso di dotarci di un blog (http://geopoliticalnotes.wordpress.com) come “finestra” verso il mondo, in cui cerchiamo di cimentarci con bre-vi pezzi di divulgazione che hanno lo scopo di portare all’attenzione dei let-

tori alcuni spunti di riflessione sull’area mediterranea. Il nostro interesse spazia dalle questioni politiche, economiche e sociali, alle tematiche più prettamente culturali, antropologiche e di costume. Il prodotto che ne viene fuori pian piano è un insieme di articoli, mappe, interviste, rassegne stampa e recensioni che possa-no aiutare chi legge ad approfondire an-che per proprio conto gli argomenti che più lo interessano. Ogni due mesi circa è possibile leggere un focus monografico su particolari eventi o tematiche di im-portanza internazionale.OMeRO propone, fra l’altro, numerosi incontri formativi fra giovani e studio-si, diplomatici ed esponenti militari per meglio facilitare la comprensione della complessa interdipendenza fra Stati, Re-gioni e Continenti. A questo proposito possiamo rimarcare l’incontro avvenuto con l’Ambasciatore Mistretta (ex amba-sciatore in Libano) sulla tematica delle attuali sfide del Libano moderno (SIOI, 4 Luglio scorso).Per avvicinarci ancora di più agli stu-denti ed alla realtà universitaria italiana, molti dei membri di OMeRO hanno ini-

ziato una assidua collaborazione con Meltin’Pot, giovane rivista universi-taria online. L’Associazione, a meno di un anno dalla sua nascita, partecipa attiva-mente ai Focus Groups dell’ Osser-vatorio per la Sicurezza Nazionale (OSN), presso il Centro Alti Studi per la Difesa, riguardanti argomenti di cruciale importanza quali le Infra-strutture Critiche ed il Terrorismo e Criminalità nelle aree metropolitane.Il “nostro” Mediterraneo è aperto a tutti voi! Saremo infatti felici di rice-vere i vostri abstract o le vostre te-sine (purchè originali), le recensioni su libri di tematiche inerenti al nostro obiettivo e quant’altro vorrete sotto-porci!Se siete interessati a collaborare con noi, ad aderire alle nostre iniziative e per mandarci il vostro materiale, vi invitiamo a scriverci all’indirizzo [email protected] presto!

Marianna Rapisarda (per la redazione di OMeRO)

Università

La piazza e il rischio del fervore sterile Gli studenti di Trieste contro la 133

Mercoledì 22 ottobre, l’aula Felice Ve-nezian non riesce ad accogliere tutti gli studenti che sono accorsi per l’assem-blea. Qualcuno propone di spostarsi in aula magna: un fiume di giovani inonda i corridoi e le scale, e continua a stra-ripare anche nella sala più grande. La soluzione migliore è spostarsi in Piaz-zale Europa. Finalmente si respira, e si aspetta che casse e microfono siano pronti per diffondere gli interventi degli oratori. L’assemblea è cominciata bene: le migliaia di persone fra studenti, do-centi e personale tecnico sembrano te-stimoniare una preoccupazione diffusa per il futuro dell’Università, di fronte alla legge 133. Il Rettore Peroni chia-risce subito il suo punto di vista: la 133 mette a rischio il regime pubblico della formazione universitaria garantito co-stituzionalmente. Per concludere invita tutti a “fare apostolato della Costituzio-ne”, facendomi rabbrividire nonostante il clima tiepido. Dopodiché, il testo di legge viene letto e discusso nel corso dell’assemblea. Sbaglia, quindi, chi af-ferma che gli studenti non sono informa-ti sull’oggetto delle loro proteste. Con-clusa la lettura degli articoli contestati, il microfono viene aperto a chi vuole in-tervenire. A questo punto, inizio a pro-vare un senso di delusione: gli interventi più applauditi sono quelli più infarciti di slogan, quelli che incalzano la protesta senza proporre niente di concreto. Mi aspettavo qualcosa di più da migliaia di studenti universitari. La maggior parte dei discorsi sono vuote parole d’ordine lanciate sull’onda dell’emozione per in-fervorare la platea (che comunque non dovete immaginare come un’orda sca-tenata: tutti molto composti nel loro en-tusiasmo). Appena un ragazzo di Azio-ne universitaria prende il microfono, partono i fischi a smentire quello che è stato affermato precedentemente, cioè che la protesta va oltre i partiti. Lo stu-dente di destra obietta che l’Università italiana è una fonte di enormi sprechi, e che era ora che qualcuno li tagliasse. E dopo che lo stesso batte in ritirata, nes-suno che replichi seriamente a ciò che ha detto, semplicemente lo si ignora. E allora gli rispondo io adesso: i problemi dell’Università italiana sono senz’al-tro numerosi; dagli sprechi burocratici all’assenza di meritocrazia, dalla catti-va gestione finanziaria al mantenimento di corsi privi di studenti. Ma il modo di migliorare le cose non è certo questo ta-glio pesante dei fondi ad un’istituzione il cui regime pubblico è garantito dalla Costituzione, e che pone le basi della società civile, di oggi ma soprattutto di domani. L’istruzione ha un ruolo troppo

delicato nella vita di un Paese per esse-re trattata con criteri puramente econo-mici, ci vuole molto più impegno per risolvere la situazione. Secondo il Ret-tore, l’Università di Trieste, perdendo circa 22 milioni di euro nei prossimi 5 anni, rischierà la chiusura, nonostante il bilancio consuntivo del 2007 sia stato concluso in attivo. Purtroppo, nell’Ita-lia di oggi, procedere con vere riforme, che vadano a sanare i meccanismi ma-lati dell’istruzione pubblica, sembra impossibile: meglio un provvedimen-to drastico e superficiale che scateni il conflitto, da usare come pretesto per screditare il dissenso.Qualche giorno dopo, sabato 25 otto-bre, mi reco alla manifestazione degli

studenti delle Superiori a cui si è deci-so di unire la protesta dell’Università. Guardandomi un po’ intorno in Piazza Goldoni, punto di partenza del corteo, noto subito l’esiguità degli universitari, decimati dalle partenze del weekend: bella prova di impegno e coesione. Ma la sorpresa più amara arriva alla fine, in Piazza Unità: dopo un corteo festoso e tranquillo, che raccoglie addirittura gli applausi della gente che assiste ai mar-gini, la protesta si esaurisce. Degli uni-versitari che hanno guidato il corteo non c’è più traccia, e dopo qualche minuto la piazza si svuota, per lasciare campo libero a qualche camioncino di studen-ti delle superiori completo di casse che sparano techno a tutto volume ragazzini

mezzi nudi che ballano con le orec-chie incollate agli amplificatori. C’è anche qualche rappresentante dei centri sociali che cerca di dirigere la protesta verso il molo IV, dove si era svolta l’assemblea dell’Anci (Asso-ciazione nazionale comuni italiani), nonostante i sindaci non ci siano più e nonostante non ci sia alcuna auto-rizzazione.Io credo in questa protesta e nella sua continuazione fino a che il Go-verno non si deciderà ad eliminare i tagli all’Università, credo nell’uti-

lità delle manifestazioni di piazza per far sentire il dissenso collettivo in ma-niera efficace; ma ci credo quando, a fare da base, c’è una consapevolezza ragionata degli obiettivi e dei mezzi con cui raggiungerli, e non una generica ed emozionale contrarietà. Altrimen-ti, i movimenti perdono senso, forza, e si smarriscono per strada: ci si ritrova come sabato scorso, in una piazza semi vuota, a chiedersi “Cosa ci faccio qui?”, e intanto quello per cui si manifestava rimane tale e quale, pian piano viene di-menticato, i media perdono interesse, e tutto va in malora, come sempre. Athena Tomasini

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Sconfinare2008 Novembre 7Università

Dall’inizio dell’anno accademi-co proseguono le manifestazioni di dissenso e di preoccupazione per la manovra estiva varata dal governo in agosto e per il pro-getto di riforma dell’università che il Ministro Gelmini presen-terà in questi giorni. Ma prima di dedicarmi alla riforma ed alle iniziative che sono state prese anche a Gorizia in questi giorni, cre-do sia importante dare alcune informazioni “di servizio” interne al nostro ateneo e alla nostra facoltà.La novità di maggior rilievo è senz’altro l’elezione del nuovo preside di Facoltà, il Prof Roberto Scarciglia, docente di Diritto Pubblico Comparato, eletto a grande mag-gioranza nel mese di ottobre e subentrato al Preside Coccopalmerio dal 1 novembre. Facciamo al neo-preside un in bocca al lupo e ci aspettiamo che riesca a portare una ven-tata di novità nella nostra Facoltà, portando avanti iniziative originali e più adatte ai no-

stri tempi.Da un punto di vista più prettamente ammi-nistrativo è invece emersa anche quest’an-no la necessità di utilizzare parte dei fondi studenteschi di facoltà 2009 (20.000 dei 70.000 euro del fondo) per la copertura di alcuni corsi previsti per l’anno accademico 2008-2009. Nello specifico per Gorizia era-no a repentaglio i corsi di Spagnolo I e II e di Arabo II, che senza questi fondi non sa-rebbero potuti partire. La querelle sui fon-di studenteschi usati per coprire le attività didattiche si ripete in realtà ogni anno. In cambio della disponibilità a spendere questi soldi per le suddette attività già program-mate il Consiglio di Facoltà del 5 novem-bre ha però accolto quest’anno la richiesta dei rappresentanti di attivare nel secondo semestre di questo stesso anno accademico quattro corsi da 60 ore a contratto, il cui co-sto sarà coperto da parte dei restanti fondi studenteschi (circa 12.000 euro). Si tratterà di Russo I, Portoghese I, Storia ed Isti-tuzioni dell’America Latina e Economia Pubblica (o Scienza delle Finanze). È però da segnalare la protesta avanzata da parte del corpo docente (in particolare dai ricer-catori) che hanno contestato la richiesta degli studenti ricordando che il SID non è un corso di lingue, che corsi come il cinese, quando c’erano, andavano deserti e che in un momento di vacche magre non dovreb-bero essere sprecati fondi per “corsi inutili come questi” affidati a contratto a personale esterno.Nello stesso CdF del 5 novembre è stata proposta dal Preside Scarciglia la modifi-ca del regolamento di Facoltà per rendere

elettive le cariche di rappresentanti degli studenti nella Giunta di Facoltà (sino ad ora erano di nomina del Preside). La discus-sione di questo punto è stata rimandata al 19 novembre per mancanza di tempo, ma con ogni probabilità ci troveremo presto ad eleggere un rappresentante nella giunta per Gorizia ed uno per Trieste. Ma passiamo dunque ai perché di questo pe-riodo di vacche magre: il decreto 133 del 6 agosto 2008 e l’imminente riforma del si-stema universitario. La convocazione dell’assemblea il 28 otto-bre era concepita dai rappresentanti soprat-tutto come un momento di analisi della legge e delle sue problematiche, grazie all’indi-spensabile e puntuale contributo di Marco

Barelli (rap-presentante al CdF di Lettere e Filosofia), in modo da poter arriva-re in maniera più cosciente all’elaborazio-ne di iniziative concrete per manifestare il dissenso del nostro cor-so di Laurea. La piattafor-ma condivisa dall’assemblea,

ed esposta nel documento proposto dai rap-presentanti ed approvato nella seduta, è sta-ta quella di un dissenso nei confronti di un provvedimento miope che non curandosi di una riforma globale del sistema universita-rio puntava solo a ridurne i costi, e non gli sprechi, che invece sono tanti e sarebbero restati tali perché nulla si faceva nello spe-cifico contro di essi. Con il taglio drastico del Fondo di Funzionamento Ordinario da 1441 miliardi per il prossimi anni non si as-sicurava affatto una razionalizzazione della spesa: nessuna distinzione era prevista tra le università virtuose e le altre, tra i docenti che fanno ricerca e gli altri…solo un taglio che avrebbe colpito tutti e che combinato con il turn over al 20% avrebbe messo a ri-schio tutto il sistema universitario.Pur restando invaria-ta l’entità dei tagli al FFO, da allora molte cose sono cambiate. Con il Decreto del MIUR pubblicato lunedì in gazzetta ufficiale il ministro Gelmini ha apportato alcune modifiche ai tagli precedentemente varati dal governo. Rendendo effettive direttive della finan-ziaria 1998 (rimaste lettera morta fino ad oggi) vengono bloc-cate tutte le assun-zioni (di docenza ma

anche del personale tecnico amministrativo) in tutti gli atenei che spendono in stipendi più del 90% del FFO. Sette ricadranno si-curamente in questa categoria e tra essi compare anche il nostro ateneo, insieme a quello di Cassino, Firenze, Bari, L’Aquila, Pisa, L’Orientale di Napoli; ma ad essi po-trebbero aggiungersi altri 19 atenei.Riprendendo inoltre il Patto con le Univer-sità firmato dal Ministro Mussi il decreto destina il 7% del FFO 2009 (circa 500 mi-lioni) agli atenei virtuosi, le cui performan-ce saranno valutate dal Cnvsu (Comitato nazionale di valutazione del sistema univer-sitario) e dal Civr (Comitato per la valu-tazione della ricerca) in base ai parametri di ricerca, crediti acquisiti dagli studenti e numero degli iscritti. In questo modo alcuni atenei, tra cui non compare il nostro ateneo, si troveranno ad avere addirittura più fondi per l’anno 2009 (43 milioni in più per Tori-no, 40 per il Politecnico di Milano, 30 per Padova, 29 per Bologna – IlSole24ore 7-11-08). Tra questi non compare Trieste che anzi nel periodo 2009-2011 avrà un taglio pari a 1.700 euro circa per studente (elaborazio-ne IlSole24ore, 10 novembre 2008).Il turn over viene inoltre ridotto dal 20% al 50%, ma il 60% delle risorse liberate do-vrà essere impiegato per assunzioni di ricer-catori, in modo tale che per ogni docente in pensione si assumano tra i 2 ed i 3 ricerca-tori (si punta a 3.000 ricercatori in più nel 2009). Sono stanziati inoltre 65 milioni di euro in più per le residenze universitarie e 135 milioni per le borse di studio, in modo da accorciare il gap che ci distanzia dagli altri paesi europei (siamo ultimi in Europa per numero di studenti riceventi borse di studio: 11% contro l’86% della Gran Bretagna).Vengono confermati i concorsi già banditi anche se le regole cambieranno. Per i ri-cercatori la commissione sarà formata da 2 ordinari (uno nominato ed uno sorteggiato) ed un associato, nessuno comunque appar-tente all’ateneo che bandisce il concorso. Mentre dal 2010 la selezione “è effettuata sulla base dei titoli e delle pubblicazioni dei candidati, ivi compresa la tesi di dot-torato, utilizzando parametri riconosciuti anche in ambito internazionale”.

A questo decreto seguirà comun-que in questi giorni il Progetto di Riforma vero e proprio, le cui linee guida sono comunque stilate già da ora. Si punta sulla razionalizzazione dei corsi di laurea (arrivati a 5.000) e delle

sedi distaccate ed al cambiamento radicale del cursus honorum dei docenti, i cui scat-ti di stipendio non dovranno più essere lega-ti all’anzianità ma alla produttività didattica e di ricerca degli stessi. Ma questo sarà di certo il punto su cui ci sarà lo scontro più duro con la casta dei baroni accademici.Altro punto controverso su cui la riforma dovrà fare luce è quello della governance degli Atenei e della possibilità di trasfor-marsi in fondazioni di diritto privato. A riguardo è necessario fornire precise e più stringenti garanzie circa l’influenza che gli eventuali enti privati potrebbero esercitare sulla didattica e sulla determinazione delle tasse universitarie. Nessuno inoltre sembra aver pensato al fatto che le condizioni eco-nomiche e la cultura amministrativa delle diverse regioni d’Italia avrà un peso deter-minante sulla vita delle fondazioni, creando università di serie A e di serie B.L’assemblea triestina di Piazzale Europa, svoltasi il 29 ottobre in un clima di gran-de libertà, oltre ad aver chiarito molti dubbi a questo e ad altri riguardi, ha approvato il documento elaborato il giorno precedente dall’assemblea di Gorizia, che è stato letto di fronte agli astanti da Nastasi.Tutto dun-que è ancora in movimento per l’università. Di certo molto è cambiato dagli inizi di ot-tobre ed il Decreto di lunedì va senz’altro nella direzione giusta. Restano però alcuni punti i cui sviluppi sarà importante seguire nella Riforma vera e propria: dalle Fonda-zioni Private all’abbattimento dei privilegi del ceto accademico. Come ci insegnano le Scienze Politiche, è importante ora non spe-gnere i riflettori sull’università e continuare a vegliare sull’operato di governo ed oppo-sizione in maniera consapevole ed informa-ta, esercitando al meglio la nostra Facoltà di Dissentire. È stato questo anche il senso profondo della giornata di leizoni all’aper-to, lunedì 10 novembre. Circa 60 studenti hanno ascoltato interessati le lezioni tenu-tesi in Piazza Sant’Antonio e nella Galleria in Corso Verdi, attirando anche l’attenzione un po’ curiosa dei passanti goriziani. Alle splendide lezioni dei professori Tonchia, Goio, La Mantia, Schulze, Scarciglia, Abe-nante, Scaini e Palmisano è seguito l’inter-vento del Preside Gabassi che ha focalizzato l’importanza della qualità della didattica e dell’amministrazione, con un occhio anche ai rischi per Gorizia nell’ambito della razio-nalizzazione delle sedi distaccate.Auspichiamo che altre iniziative continuino non per un dissenso fine a se stesso, ma per tenere viva l’attenzione e creare la consape-volezza alla base di un eventuale dissenso, affinchè, qualunque giudizio esprimeremo sulla riforma che verrà, esso sia argomenta-to sulla realtà dei fatti.Da leggere: L’università corrotta, di Rober-to Perotti ed. Einaudi; La crisi del potere accademico italiano, di Gilberto Capano e Giuseppe Tognon ed. Arel-Il Mulino; Come cambia la scuola, instant book del Sole24-ore. Attilio Di Battista

Rappresentante degli Studenti in [email protected]

Positivo il Decreto varato dal Ministro Gelmini, ma attenzione al Progetto di Riforma

Occhi puntati sull’universitàNews d’Ateneo: nuovi corsi, assunzioni bloccate.

Una piccola idea sulle protesteLa satira, secondo la Corte Costituzionale, è pietra ango-lare dell’ordine democratico. La sua scomparsa dai mass media, dove è simulata dallo sfottò, ne sancisce la latenza voluta proprio per la sua pericolosità, dato che mina l’iden-tità stessa di chi colpisce, smitizzandolo e umanizzandolo: devastante per chi fa affidamento sul carisma.La satira castigat, ridendo mores; dunque perché non usar-la per la protesta studentesca, invece di dare un titolo a chi si contesta, riconoscendoglielo per il solo fatto di contestar-lo? Infatti, buggerando il governo riguardo la finanziaria e l’opposizione riguardo il cavalcare la protesta studentesca (di fatto non politica), mostrandosi smaccatamente concordi si delegittimerebbe l’autorità perché si incrina il suo rico-noscimento. Se qualcuno dirà per questo che non si cerca il dialogo, noi dunque si andrà in piazza a mezzodì a cercarlo con un lanternino in testa.

Fabio Raffin, [email protected]

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Sconfinare Novembre 20088

Rapporto Migrantes 2008 sugli Italiani all’esteroUn’amara fotografia della condizione dei giovani i tal iani

Scripta Manent

Migrazione. Un termine che può assume-re differenti sfaccettature a seconda del suffisso che gli si aggiunge. Un termine che in Italia, ormai da molto tempo, viene visto solo nel senso di im-migrazione: in un Paese che ormai ha raggiunto il mas-simo sviluppo economico, che fa parte del G8, sembra naturale parlare solo di im-migrazione. Ed è infatti ciò che viene fatto normalmente dai media, e dai poli-tici, ed alcuni hanno demonizzato questo fenomeno, facendo della lotta contro di esso un cavallo di battaglia per raggiun-gere il potere.Ma l’Italia molto spesso dimentica il suo non tanto remoto passato. Soprattutto quel Nord Est dove ora prolifera l’intol-leranza verso lo straniero, sia regolare o meno, dove coloro che ora sono ricchi in-dustriali provengono da famiglie contadi-ne, che hanno sperimentato l’altra faccia della migrazione: l’e-migrazione.Il nostro Paese ha infatti una storia di e-migrazione lunga 150 anni, verso tutti gli angoli del mondo, dalla Germania, dove venivamo chiamati Gastarbeiter, alla Svizzera, dove eravamo tra i meno voluti; dal Sud America alla costa atlantica de-gli Stati Uniti; dalle ex colonie Italiane, alla lontana Australia. In questi 150 anni molti nostri connazionali hanno scelto di abbandonare l’Italia in cerca di fortuna all’estero: l’immagine che subito viene in mente è quella stereotipata dei conta-dini che partono con la valigia chiusa con lo spago verso un futuro ignoto, carichi solo delle proprie speranze, proprio come quelli descritti dal film Nuovomondo. Ma oggi questa immagine non s’addice più agli italiani che decidono di crearsi un fu-turo all’estero. Dal “Rapporto Italiani nel Mondo 2008” pubblicato dalla Fondazione Migrantes emerge infatti che la maggior parte degli italiani residenti all’estero (il 51%) è co-stituita da giovani sotto i 35 anni, con un grado di istruzione elevato, che ha deciso di andarsene dall’Italia per poter occupa-re ruoli di prestigio e di responsabilità che altrimenti non sarebbero stati loro acces-sibili, e che in generale non ha intenzione di ritornare in patria, in quanto non vede lì delle prospettive soddisfacenti per il pro-prio futuro. Molti di questi giovani lavo-rano in ambito scientifico e in particolare nella ricerca, andando così a alimentare il fenomeno della “fuga dei cervelli”. Così molti di coloro che compiono scoperte fondamentali per il progresso e la scien-za, ad esempio negli Stati Uniti, sono molto spesso immigrati italiani di prima generazione, che lì hanno trovato i fon-di e qualcuno che crede nei loro progetti. Così molti studenti italiani, una volta fi-niti gli studi universitari optano per fare il proprio dottorato in un Paese straniero, dove questi progetti hanno sovvenzioni sufficienti, e coloro che li portano avanti

hanno un sostegno concreto.Leggendo questo rapporto, i cui dati si riferiscono al 2007, mi chiedo come sia possibile che il governo attualmente in ca-rica abbia progettato un taglio considere-vole dei fondi alla ricerca e all’università, in un piano quinquennale che supererà il miliardo di euro. Questo infatti, a mio parere, va contro ogni principio basilare dell’economia e del buon senso. Nel momento in cui si fa un investimento nell’educazione, sia essa quella dell’obbligo o quella universitaria, sarebbe una mossa non tanto azzardata preventivare poi lo sfruttamento di tale risorsa a proprio vantaggio. Mi spiego: nel momento in cui lo Stato italiano inve-ste nell’educazione di uno studente dalla prima elementare al quinto anno dell’uni-versità, attraverso l’insegnamento, i ser-

vizi amministrativi e le sovvenzioni per la scuola dell’obbligo, verrebbe naturale pensare che abbia già pianificato un im-piego di questo potenziale. Questo è il pensiero più logico in teoria, ma nella re-altà, stando a questo rapporto, non è pro-prio così. L’Italia non ha interesse ad in-vestire nelle giovani menti che essa stessa ha fatto crescere, e la prova è data proprio da questi tagli. Riducendo ancora di più le già esigue risorse destinate alla ricerca, cercando di trasformare le università pub-bliche in un ibrido non ancora ben defini-to dal punto di vista giuridico, il governo attuale sta svendendo il futuro del paese, facendo sì che la ricaduta dei propri inve-stimenti venga registrata in altri paesi.Dal rapporto Migrantes 2008 emerge an-che un altro aspetto fondamentale della gioventù italiana. A differenza di un tem-

po, in cui la maggior parte degli emigrati italiani era impiegata in attività poco qua-lificate, oggi i giovani italiani all’estero ricoprono ruoli di prestigio o per cui è necessaria una formazione di alto livello. Questo significa che la volontà di impa-rare, di mettersi alla prova e di realizzarsi non ci manca, anzi. E tutti i giovani che manifestano in questi giorni per un futuro più roseo per le nostre università lo con-fermano. E allora la domanda sorge spon-tanea: perché investire centinaia di milio-ni euro in aziende fallimentari, per salvare non si sa poi bene che cosa, privando le generazioni future, e quindi il tutto Paese, di prospettive allettanti e competitive ri-spetto ai paesi a noi vicini? Speriamo che qualcuno sia in grado di rispondere, senza contraddirsi subito dopo. Leonetta Pajer

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Ogni romanzo, per definizione, racconta una storia. Oggi siamo sommersi da ro-manzi di ogni genere e da ogni parte del mondo. È però veramente raro trovare un libro che non si limiti a raccontare una sto-ria, ma che presenti e condensi in sé tutto un Paese, tutta una società, tutta un’epo-ca. Questo è il caso di Palazzo Yacou-bian, primo romanzo del medico egiziano ‘Ala Al-Aswani. In esso si raccontano le vite di diversi abitanti,ricchi e poveri, di questo palazzo nel cuore del Cairo, una volta sfarzoso, oggi decadente. Davanti a noi compaiono l’aristocratico decaduto amante della Francia e delle donne, il fi-glio del portiere che abita sul tetto e sogna di fare il poliziotto, ma finisce per unirsi ai Fratelli Musulmani, la sua fidanzata, che per lavorare deve sottostare alle “ri-chieste” dei datori di lavoro, l’intellettuale gay, e molti altri personaggi. Al-Aswani

Palazzo Yacoubiandi ‘Ala al-Aswani

è molto abile nel tenere l’attenzione sul-lo svolgimento dell’azione, alternando le varie storie, accompagnandoci un po’ nelle vite dei protagonisti e poi lascian-doli ad un certo punto, per poi riprenderli dopo alcune pagine. In questo modo, rie-sce a creare una narrazione corale in cui nulla è ridondante, nulla è fuori posto, e tutto fluisce dalla prima all’ultima pagi-na. Infatti, la caratteristica del romanzo è quella di essere, potremmo dire, “neore-alista”: l’autore non compare, si limita a raccontare e ad ordinare i fatti, lasciando il giudizio su ciò che accade agli stessi personaggi e al lettore, che è chiamato a raccogliere tutti i segni nelle singole sto-rie per capire la società egiziana nel suo complesso. Ma comunque l’intento del “documentarista” è ben chiaro: si tratta di un’accusa violenta alla società egiziana, in preda all’ipocrisia, alla corruzione , al classismo e ad un servilismo interessato. Per l’autore, l’Egitto moderno è governa-to da una classe dirigente per cui “quello egiziano è il popolo più obbediente che ci sia, perché è fondamentalmente pigro e accondiscendente; non occorrono brogli, l’Egiziano voterà per chi ha il potere in quel momento”. Ma nonostante i politici del libro dicano così, la corruzione c’è, ed è tanta, a tutti i livelli. Per qualunque po-sto di rilievo occorre pagare, ed è così che i poveri sono senza speranza, e la ricchez-za si perpetua nelle mani degli stessi ric-chi. Nelle figure di Taha, il povero figlio del portiere, e la sua fidanzata Buthyaina si legge la rassegnazione, il desiderio di uscire da un Paese che non può offrire niente a loro se non umiliazioni. Un Pae-se claustrofobico, chiuso deliberatamente ad ogni progresso. Ed è in tale situazione

che la rassegnazione e la povertà si me-scolano, e portano giovani come Taha ad avvicinarsi al fondamentalismo islamico, visto come promessa di una vita migliore, ma anche come protesta verso uno Stato, che si proclama laico, che ha fallito.Quindi, questo romanzo ha una forte va-lenza sociale, anche per il fatto che Al-Aswani in Egitto è uno degli intellettuali più attivi nella protesta contro la dittatura di Mubarak. Ma oltre a presentare il Cairo del 2002, dà anche a noi, lettori occiden-tali di regimi cosiddetti “democratici”, motivi di riflessione. Dopotutto, i perso-naggi sono sì abitanti dell’Egitto contem-poraneo, e in quanto tali ben caratterizza-ti; ma essi sono anche un esempio vivido di tutti i tipi umani. I desideri e i sogni di Taha sono gli stessi sogni e desideri di ogni adolescente, e così sono le sue de-lusioni e le sue angosce, che lo spingono a trovare riparo tra i Fratelli Musulmani; cerca un nuovo senso nella vita, e questa ricerca si mescola alla rabbia di non es-sere accettato com’è. Ogni giovane ci si può riconoscere, come si può riconosce-re nel desiderio di andarsene di Buthyai-na. Poi c’è il vecchio nobile nostalgico, amante delle donne e del vino, simbolo di un edonismo orgoglioso , ma anche della paura di invecchiare; e l’intellettuale gay, alfiere di una minoranza combattuta, ma nonostante ciò orgoglioso e dignitoso nel-la sua scelta di vita. Si potrebbe continua-re così per molto, visto che ogni perso-naggio racchiude in sé un mondo; ma ciò che veramente conta è che questo dentista del Cairo, strenuo difensore della libertà di parola, è riuscito a creare un gioiello di letteratura, ben calato nella società in cui vive, ma contenente tutto l’universo delle passioni e dei difetti umani. Proprio come solo i grandi libri possono fare. ‘Ala è grande.

Giovanni [email protected]

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SconfinareNovembre 2008 9

Viaggio

in Italia

SICILIA Ogni numero una regione

raccontata dagli occhi di chi l’ha

vista per la prima volta

Chi ha paura muore ogni giorno I miei anni con Falcone e Borsellino - di Giuseppe Ayala

"Nel mondo siamo conosciuti anche per qualcosa di negativo... Quelle che voi chiamate piaghe... Una ter-ribile, e lei sa a cosa mi riferisco: L'Etna, il vulcano, ma è una bellezza naturale... Ma ce ne un'altra grave che nessuno rie-sce a risolvere, lei mi ha già capito... La Siccità... la terra brucia e sicca, una brutta cosa... Ma è la natura... e non ci possiamo fare niente...Ma dove possiamo fare e non facciamo, perché in buona sostanza, purtroppo non è la natura ma l'uomo... dov'è? È nella terza di queste piaghe che veramente diffama la Sicilia e in patticolare Palemmo agli oc-chi del mondo... ehh... lei ha già capito, è inutile che io gli lo dica... mi veggogno a dillo... è il traffico!!! Troppe macchine! è un traffico tentacolare, vorticoso, che ci impedisce di vivere e ci fa nemici famig-ghia contro famigghia, troppe macchine!"Così parlava della sua Sicilia lo "zio av-vocato", il personaggio uscito dalla pen-na di Cerami e Benigni per il film Johnny Stecchino.Entro in Sicilia nel modo migliore: sorvo-landola. La scorgo in tutto il suo splendore mentre l' Etna comincia a riempire la sce-na senza sembrare per niente una piaga. Vedo gli stessi orti, frutteti, vigneti solca-ti dalla lava, che Piovene aveva visto nel suo Viaggio in Italia cinquanta anni fa. Le cose saranno cambiate?

Conosco la Sicilia attraverso il suo traffi-co, la piaga delle piaghe. Il traffico che ci porta a Catania e che ci accompagna per tutta la città. Anche l' Etna non ti lascia mai e ti intimidisce. Ti guarda dalla via Etnea, la Broadway del mezzogiorno, con lo sguardo dei Ciclopi che ancora là sot-to lavorano alla forgiatura delle saette di Zeus. Catania accoglie il freddo nordico nel suo vortice di colori e voci esagerate a cui presto mi abituo con piacere. Accom-pagnato dai tre siciliani (ma precisiamolo pure che due di loro, pur essendo immi-grati intranazionali, non hanno perso un pizzico di sicilianità!) il mio battesimo avviene con il caffè più entusiasmante di tutta la vita: una crema che è ancora più piacevole non zuccherata. Seguendo i filari di aranci ci muoviamo verso la costa tirrenica, verso il panorama delle isole Eolie.Si deve dare una certa ragione al geografo arabo Idrisi quando scrive che "non esiste terra né paese più bello ed emozionante di Milazzo". Vi si respirano tutti i popoli che in questa cittadina hanno lasciato traccia: greci, romani, arabi e tedeschi. Il castello, con le sue sette cinte murarie di altrettante epoche, domina sul mare; si vedono le Eo-lie là a sinistra e Capo Milazzo ci abbrac-cia a destra, con i suoi profumi di erica, mirto e ginestre. Febbraio non ci concede il piacere di un bagno salato. L' acqua è ancora troppo fredda e mossa. Allora mi accontento di riempirmi i polmoni con il vento del sud. Il mare, in controluce, pren-de il colore del peltro.

A Milazzo si può conoscere chi investe la propria vita nella lotta alla piaga che lo "zio" evita di nominare. Riccardo Orioles fa parte del movimento antimafia da sem-pre. Comincia negli anni settanta, lavo-rando nelle radio libere e nei giornali lo-cali. Con Giuseppe Fava, ucciso una sera del 1984, fonda il mensile "I Siciliani", coraggioso e deciso nei toni, si espone a molti rischi. Malgrado le difficoltà, Ric-cardo continua nel suo importante lavoro di informazione trasparente: pubblica pe-riodicamente la "Catena di San Libero", alla quale vi invito ad iscrivervi per sup-portare il lavoro di un grande giornalista che della controinformazione in rete ha fatto il suo punto di forza, una persona che ha mantenuto lo spessore delle sue scelte e non si è abbassato agli sfavillii dei gran-di media nazionali.Messina è rimasta un vivaio di medici. In prossimità della facoltà di medicina, è tutto un formicaio di camici bianchi. Ho la fortuna di seguire una lezione in questa facoltà, tristemente famosa per aver co-

minciato il tango dello scandalo dei quiz di ammissione di due anni fa. Vedo i volti dei raccomandati, gli stessi che giravano in tivù, e penso che i messinesi non po-tranno più brillare nella professione più classica. Dalla casa in cui passiamo la notte distin-guo le luci della costa calabrese e imma-gino il ponte sullo stretto e i treni che vi sfrecciano sopra e che raggiungono ve-locemente l' Italia continentale e provo a farmi spiegare da qualcuno quale sarebbe la differenza tra la Sicilia con il ponte e la Sicilia senza. Il giorno successivo, il treno è in orario e non ci sono particolari problemi a rag-giungere velocemente l' altra sponda.La sensazione di essere stato in mezzo a gente che mi pare di aver sempre cono-sciuto accompagnerà per sempre i ricordi della mia prima esperienza siciliana. Il treno saltella e mi concilia il sonno.

Alessandro Battiston [email protected]

“È bello morire per ciò in cui si crede: chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha pau-ra muore una volta sola”: la frase di Paolo Borsellino da cui è significativamente tratto il titolo riassume perfettamente la vita di questi 2 grandi magistrati, incrollabilmente onesti e coerenti.Giuseppe Ayala fu il loro più stretto col-laboratore, a partire dalla costituzione del superpool all’interno della procura di Pa-lermo fino a rappresentare l’accusa al ma-xiprocesso contro la mafia di fine anni ‘80. Lo stile scelto da Ayala è quello del rac-conto, condito da numerosi squarci sulla sua vita privata: questo libro infatti non è solo un doveroso ricordo dei suoi colleghi e amici Falcone e Borsellino, ma anche una maniera per Ayala di rispondere a tutte le malignità che i suoi avversari hanno con-tinuamente insinuato sul suo conto e sulle loro iniziative in generale. Come scrive lui stesso: “Qualcuno ha scritto che, a 15 anni di distanza da quel tremendo 1992, Ayala ha pagato il torto di essere vivo”: questa frase condensa il dolore provato per tutte le umiliazioni che Ayala ha dovuto subire in dignitoso riserbo.D’altronde, i grandi uomini hanno sempre molti nemici. Quando poi si vanno a tocca-re interessi di enorme portata, è ovvio che il minimo che ci si possa aspettare siano falsità e attacchi continui.Forse Ayala, il miglior erede di quella gran-

de esperienza civile che fu il maxiprocesso a Cosa Nostra, non avrebbe dovuto tacere e tenere gli occhi bassi, se il governo e la classe politica tutta avessero sostenuto lui (e anche Falcone e Borsellino, finché erano in tempo) o gli avessero riconosciuto tut-ti i meriti che gli spettavano. Il problema è che il supporto che lo Stato diede fu a tratti forte (durante il maxiprocesso vero e proprio, ad esempio), ma discontinuo: è Falcone stesso a dire che “Prima di tutto bisogna non essere soli...”, dopo l’omici-dio di un mafioso, uno delle migliaia di omicidi che insanguinavano la Sicilia de-gli anni ‘80. Soli come Dalla Chiesa, Ninni Cassarà, Rocco Chinnici e molti altri, che non devono essere dimenticati e che Ayala ricorda dalla prospettiva unica di chi è sta-to protagonista di quelle vicende.Già alla fine degli anni ‘80, la classe poli-tica italiana cominciò a intuire il disastro imminente di Tangentopoli: non era cer-tamente il clima adatto per permettere di scavare più a fondo in quel mare di omer-tà e collusioni che avrebbe sicuramente affrettato una fine comunque inevitabile. L’istinto alla sopravvivenza prevalse sulla volontà di squarciare il velo di ipocrisia, quasi impenetrabile, che nascondeva le

collusioni con la mafia: un comportamento umanamente comprensibile, certo, ma che ebbe conseguenze di portata incalcolabile. Sarebbe stata forse l’ultima occasione di dimostrarsi classe politica seria e respon-sabile (sia a sinistra che a destra) e non fu colta. L’amarezza di Ayala nel vedere lo smantellamento della struttura investi-gativa e processuale faticosamente messa in piedi assieme agli altri magistrati della Commissione Antimafia è grande, tanto più vedendo che a questo di accompa-gnava l’emarginazione sua e di Falcone e Borsellino, specie da parte dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura.A che gli domandava perché fosse stato l’unico a sopravvivere alla mafia, Aya-la rispondeva: “Mi ha salvato l’ENEL”: risposta provocatoria ma non troppo ed indicativa del processo di isolamento ed esclusione che Falcone, Borsellino e Ayala dovettero subire una volta che l’attenzione dei media e soprattutto la protezione del-le istituzioni svanirono. Il fatto che Ayala fosse deputato a gestire pratiche irrilevanti non fece scattare la fatale combinazione di cui parlava Della Chiesa: essere personag-gi scomodi, pericolosi, e soprattutto essere isolati. Ayala fu “depotenziato”: dalle pa-

gine in cui affiora la stanchez-za di una vita continuamente in tensione, con la paura di essere uccisi da un momento all’altro, si potrebbe pensare che sia stata una scelta in par-

te volontaria. Io, francamente, non posso certo biasimarlo.Falcone e Borsellino, per quanto sfiduciati e depressi dalla cappa di ostilità che li co-priva, furono più tenaci. Le conseguenze sono note: 23 Maggio e 19 Luglio 1992, l’Italia perde gli avvocati che tutto il mon-do ci invidiava (tanto per dare una misura di questa ammirazione, nella scuola della CIA fu eretta una statua a Falcone!).Non ci si può certo illudere che un proble-ma enorme come quello della mafia ab-bia soluzioni facili. Osservando le cifre e studiandone le cause, ci si può facilmente abbandonare a un cinismo senza speranza riguardo alle possibilità di successo della lotta contro la mafia. Prima di leggere que-sto libro, non ero certo lontano da un simile pessimismo: ora non posso comunque ab-bandonare uno sguardo disincantato, però sento il dovere di continuare la lotta, as-solutamente giusta, per rendere onore alla memoria di questi grandi uomini.Un libro che vale più di 1000 lezioni di educazione civica e di discorsi ufficiali: se non si vuole perdere la speranza, quasi obbligatorio.

Federico [email protected]

Scripta Manent

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Sconfinare Giugno 200810Stile Libero

Pro abrogazione della legge 40

Un uomo libero

Capita a volte di vergognarsi moltis-simo, per una gaffe, per un errore, per l’atteggiamento di un’altra persona. Io mi sono vergognata moltissimo la prima volta che ho letto il testo della legge 19 febbraio 2004 n.40 “in materia di pro-creazione medicalmente assistita”. Il 12 e 13 giugno 2005, Radicali, Ds, Sdi, Rifondazione comunista e Associazione Coscioni sono riusciti ad indire un refe-rendum, appoggiato da esponenti della stessa maggioranza come l’on. Fini, che verteva sull’abrogazione di quattro pun-ti cardine della suddetta legge: - lo stop della ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionaliSecondo le direttive della 40/04 è vieta-ta la produzione di embrioni per scopi scientifici, è vietato l’utilizzo degli oltre 25.000 embrioni congelati e destinati per decorso naturale a deperire in 5 anni dal congelamento (si tratta di embrioni soprannumerari, ovvero prodotti e con-servati prima del 2004 per un eventuale secondo impianto). E’ vietata, inoltre, la clonazione terapeutica, ovvero la pos-sibilità di creare cellule geneticamente identiche a quelle di un individuo con

il solo scopo di curarne eventuali pato-logie (come diabete, infarto, fibrosi ci-stica, autismo, sclerosi multipla, morbo di Parkinson, alcune forme di cancro, osteoporosi, lesioni del midollo spinale, ictus, sclerosi laterale amiotrofica, Al-zheimer). Le stime parlano di 10 milio-ni di persone curabili con le staminali. L’ipocrisia sta nel fatto che la ricerca condotta su embrioni importati da paesi esteri è perfettamente legale. - norme sui limiti all’accesso alla procreazione medicalmente assistitaPer sottoporsi alle tecniche di fecon-dazione assistita i medici devono aver scoperto con certezza le cause della ste-rilità (in caso contrario si rimane sterili e senza aiuto medico) e le coppie devo-no aver seguito qualsiasi altro possibile metodo di guarigione. Le coppie non sterili ma portatrici di handicap genetici non possono accedere alla PMA. Inoltre possono essere fecondati solo 3 ovociti

e tutti e 3 devono essere impiantati. Nel caso di fallimento la donna deve sotto-porsi a una nuova stimolazione (per pro-durre altri ovociti che avrebbero potuto esserle estratti durante il primo ciclo) e ad un nuovo impianto triplice. Le cellu-le, una volta fecondate, devono essere impiantate anche se portatrici di malat-tie genetiche. Alla donna viene lasciata la possibilità di abortire (una, due o tre volte nello stesso ciclo di impianto) nel caso non voglia portare a termine la gra-vidanza di un feto malformato. - le norme su finalità, diritti, soggetti coinvoltiSecondo le direttive legislative l’em-brione, già all’inizio del suo sviluppo (zigote, ovvero cellula singola), gode degli stessi diritti della persona. Il dirit-to alla salute della madre, dunque, viene subordinato al diritto all’integrità fisica dell’embrione. Questo provvedimen-to è tutt’ora in contrasto con il diritto

all’aborto, con il ricorso alla pillola del giorno dopo e con il codice civile italia-no che riconosce la titolarità di diritti e doveri solo al momento della nascita. - il divieto di fecondazione etero-loga E’ vietato ricorrere a gameti provenienti da individui esterni alla coppia. La leg-ge, pertanto, impedisce di avere un fi-glio alle coppie in cui uno dei due o en-trambi i membri siano sterili. Gli esclusi potrebbero essere persone nate sterili ma anche persone che lo sono diventate a seguito di interventi chirurgici o tratta-menti antitumorali, così come i portatori di gravi malattie trasmissibili.Il referendum è risultato nullo perché il quorum (50% più 1) non è stato rag-giunto. I votanti sono stati il 25,9% degli aventi diritto; di questi una percentuale tra il 77 e l’88% ha votato per l’abroga-zione di tutti e quattro i punti. Perché la richiesta di un referendum abrogativo possa essere reiterata è necessario il de-corso di un periodo pari a cinque anni. Ne mancano ancora due.

Valeria [email protected]

Non deve apprendere nessuna cono-scenza con spirito servile. L’ha detto Platone.Nel mio piccolo, io sarei dovuto andare a lezione di Arabo oggi. Però non l’ho fatto.Mi chiamo Rodolfo e sono a Gorizia da cinque anni. Lo direi un periodo lun-ghetto, anche se un anno ho deciso di giocarmi il jolly Erasmus. Non mi sono ancora ambientato, ma fortunatamente la stabilità non è più una priorità. Da quando mi sono immatricolato per la prima volta sono cambiate così tante cose che ho rinunciato persino a tenerle a mente. Ora, per sapere quanti e quali esami mi mancano faccio affidamento sul mio libretto elettronico. E sbaglio sempre.Il punto, comunque, non è questo. Se scrivo questo articolo, e so che finirà in “stile libero” e non in “università”, è pro-prio perché non voglio muovere critiche ad alcunché di concreto e di modifica-bile. Se scrivo parlo di me, ed è perché mi sembra con ciò di riuscire a sfogare un senso di frustrazione e d’umiliazione che spero non mio solamente.Il punto è questo: non sono andato a le-zione di Arabo. Avrei voluto andarci, sa-pete, ma semplicemente non l’ho fatto. Perché da un po’ di tempo, a mio vede-re, qualcosa si è inceppato nel senso del grande meccanismo generale, qualcosa si è inceppato ed a volte mi pare che sia quasi un portato biologico, il rifiutare di comprendere perché degli esseri umani di ventitré anni, l’età più vitale, l’età più fertile in un certo senso, debbano essere

costretti ad imparare.“Imparare”, capite? Ancora. Quando concluderò la laurea specialistica, avrò studiato per diciotto anni della mia vita, se a Dio piacendo sarò in orario, senza essermi perso troppo e stringendo i den-ti, come tutti. Diciotto anni (so che in questo momento non ci credete e state contando. Però è così. Pazzesco, eh?). E cosa mi sarà rimasto? Probabilmente la mia sola capacità di leggere e scrive-re (sulla terza, il “far di conto”, ho già i miei dubbi). Non credo d’essere partico-larmente stupido. Però quello che resta di ogni libro, di ogni esame, è un sorso un fondo un residuo, un po’ di cenere, un “non lo so”. Quali sono le clausole dei trattati x e y? Non lo so. Chi si ri-corda anche solo i princípi basilari della statistica? Io no di certo. Eppure quello fu l’esame che preparai meglio, sei mesi passati a sudar duro e punteggi pieni ad ogni parziale. Non ci fu nemmeno biso-gno dell’orale, ottenni la piena assolu-zione con lode sulla fiducia. Ed è come

se non avessi mai aperto quei libri.E allora, perché continuare? Onesta-mente, voglio dire.A volte ho l’impressione che tutto ciò serva ad autoalimentare una struttura. La laurea è richiesta per trovare lavoro, teoricamente. E non sto parlando del-la laurea triennale, perché quella è lo scherzo più sadico ed inutile che questo sistema ha giocato alla mia generazione. Ogni laureato è prezioso alla società. E non solo in senso ideale. Per ogni lau-reato ci sono soldi, molti soldi: i soldi dei professori e dei segretari, certo; ma anche delle imprese delle pulizie; dei portinai; delle librerie e delle copisterie; dei padroni di casa; dei baristi; dei lo-cali; anche delle ferrovie, a ben vedere. Avete mai preso un treno di pendolari? Siamo troppi. Viene da chiedersi se non siamo per caso tutti le consenzienti vit-time di un’illusione collettiva, di una grande mistificazione, di una presa in giro. Malthus riderebbe di gusto.Diranno che ciò che si acquisisce

all’università, o nell’apprendimento in generale, è un modus vivendi. Ed ab-biamo imparato benissimo, ed a velocità sconcertante, tutto ciò che occorre, giu-sto? Giusto. Abbiamo imparato a non avere ragione; a temere ogni esame o ritorsione minacciata, vera o presunta; abbiamo imparato mezzucci e gelosie; ad essere più svelti degli altri oppure ad imitarli; soprattutto abbiamo imparato ad appiattire la nostra stupenda vivaci-tà intellettuale sulla spenta corda d’una cultura sempre identica a sé, che spicca solo per la sua autoreferenzialità.E per questo era già sufficiente un liceo. Ci fossimo fermati lì, avremmo impie-gato solo tredici anni. Invece ne brucere-mo diciotto, e forse ancora non avremo appreso nulla della vita, e continueremo a sonnecchiare, eterni adolescenti nella nostra bella cameretta, ed Almalaurea ci proporrà nuovi master. Perché non si fi-nisce mai di imparare.Però insomma, eccoci qui. Ci piaccia oppure no. L’inerzia è una cosa mera-vigliosa. Al quinto anno, teoricamente l’ultimo, con degli esami che hanno il nome di quelli già sostenuti alla trienna-le, e spesso con i medesimi professori. Almeno nel mio caso.Così torniamo al punto di partenza. Ed avrei voluto andarci a quel corso di Ara-bo. Sul serio. E’ un ottimo corso, l’inse-gnante è davvero fantastica, e mi pare un’opportunità da non perdere. Maga-ri alla prossima lezione sarò presente. Però oggi non l’ho fatto.

Rodolfo Toérodolfo.toè@sconfinare.net

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Sconfinare2008 Marzo 11

Sul caso Petrella

Lettera aperta al presidente SarkozyMonsieur le Président, per fortuna non sono un parente delle vittime delle Br, né sono venuto a trovar-la all’Eliseo per sentire le sue meschine giustificazioni, ma sono un osservatore e il mio disgusto basta a darmi la vo-lontà di prendere il computer e scriverle questa lettera aperta. Il suo atto di rifiutare l’estradizione della ex brigatista Petrella risulta supponente e senza giustificazioni. Innanzitutto, an-cora non mi capacito di come la Francia abbia potuto essere nella storia il rifu-gio di criminali condannati da Tribunali dello Stato italiano: se ancora oggi si discute dell’estradizione di tali persone, vuol dire che vi è stata una protezione da parte della Francia, ignara per lo più di ciò che è stato il terrorismo rosso. A prescindere da queste valutazioni stori-che, mi fermo sui fatti ultimi accaduti. Lei rifiuta l’estradizione appellandosi al trattato italo-francese sull’estradizione di terroristi, più in particolare all’artico-lo che prevede il potere presidenziale di impedire l’estradizione per cause legate al rispetto dei diritti umani. Questo mi scaturisce una doppia riflessione.In primo luogo, il suo atto vela suppo-nenza e superiorità della Francia nei confronti dello Stato italiano. Crede che qui sia il terzo mondo? Crede forse che i diritti umani non siano rispettati an-cora oggi in Italia? Forse lei dovrebbe spolverare le sue idee e ricordarsi che l’Italia ha promosso presso le Nazioni Unite la mozione contro la pena di mor-te. E in fin dei conti, gli stessi ex briga-tisti sono trattati con i guanti, visto che il Sig. Sofri ha addirittura trovato lavoro in Biblioteca, nonostante la crisi occu-pazionale. La clausola del rispetto dei diritti umani è quindi un pretesto o for-se un gesto di pretesa superiorità. Quali sono le vere cause allora? Se la Petrella sta davvero male, ci sono fior fiore di primari che possono aiutarla anche in Italia. E se il problema è psicologico, ci son fior fiore di preti in Italia. Il viaggio poi non è così massacrante.In secondo luogo, lei si crede la giustizia in persona. Pretende col suo atto di dare assoluzione ad una persona che assolu-zione non ha mai avuto né da Tribunali né dalle famiglie delle vittime. Lei, stra-niero, mette in discussione la giustizia italiana del suo operato e questo, in un contesto europeo è gravissimo. Il Rubi-cone è passato da tempo, l’Unione Eu-ropea è nata e si è sviluppata in primis grazie ai nostri due paesi. Potremmo mai arrivare ad un’unione politica effi-

ciente, se tra uno Stato e l’altro continuano le discriminazioni politiche?Non aggiungo parole per riportare i sentimenti delle vittime. Immagino che queste lo abbiano fatto all’Eliseo meglio di qualsiasi altro. A questo punto però, se la giustizia dei Tribu-nali non riesce a fare il proprio corso, bisognerà appellarsi ad un altro tipo di giustizia. Se è vero che la Petrella sta male al punto da non poter essere estradata, allora che soffra atroce-mente fino alla fine della sua vita, una volta per ogni vittima che ha fatto. Per ogni volta che si è confusa l’ideologia e la violenza. Per ogni volta che un’amnistia tale copre il senso della giustizia.Vive la République et vive l’Italie!

Edoardo Buonerba [email protected]

4 novembre Niente da festeggiareIl 4 novembre, per chi non lo sapesse, è il giorno della vittoria. 90 anni fa, l’impero austro-ungarico si arrendeva al regio Esercito Italiano che, “inferiore per numero e per mezzi” e “con fede incrollabile e tenace valore … condus-se la guerra ininterrotta ed asprissima per 41 mesi”.Una data storica, non c’è dubbio. Per qualcuno una data da glorificare, come dimostrano gli ingenti investimenti del ministro La Russa (è stato addirittura creato un fondo apposito di 3 milioni di euro per evitare che il Ministero della Difesa dovesse pagare di tasca propria) per le celebrazioni di domani, in pompa magna. Spot televisivi, adunate, mani-festazioni dell’Arma in varie città d’Ita-lia, generali nelle scuole a raccontare la grande (e unica) vittoria militare che il nostro Paese può vantare. Una festa che, secondo il ministro, non va misurata “con il centimetro dell’euro, che è la mi-sura di chi non ha altri argomenti per contestare qualcosa che invece sentiamo come doveroso, importante e neces-sario”, come “uno dei punti fondanti della memoria stori-ca degli italiani”.Anche se un piccola parentesi sull’ennesima bizzarria eco-nomica di questo governo (che taglia mostruosamente da una parte, e spende e spande dall’altra senza alcun minimo criterio) non intendo aprire una polemica riguardante gli sprechi. Riguarda proprio il merito dell’iniziativa, o me-glio: cosa vogliamo festeggiare.Se si intende fare del 4 novembre una festa patriottica, una festa che esalti una delle pochissime glorie della no-stra nazione (certo, la I guerra mondiale potrebbe essere considerata come il compimento del Risorgimento… ma forse toccare questo tasto probabilmente farebbe storcere il naso ai leghisti di governo) bè, credo siamo fuori strada due volte. In primo luogo, per un falso storico: dipingere il nostro Paese come una grande potenza schierata dalla par-te del giusto (le democrazie liberali) contro gli odiosi im-peri centrali è una incredibile fesseria. L’Italia del tempo non si divideva solamente tra interventisti e non, ma anche

tra filo Triplice Intesa e filo Triplice Alleanza; vendendo la propria modesta partecipazione al miglior offerente e muo-vendosi al margine del lecito (accordi Prinetti – Barrère) . Se poi vogliamo ricordare come l’Italia che ricaccia gli Austriaci sul Piave è la stessa che pochi anni prima riceve

una pesantissima sconfitta dall’esercito etiope di Menelik II; e raggiunge Go-rizia non certo conducendo una guer-ra gloriosa ma segnata negativamente dall’inettitudine, l’ignoranza, la crudel-tà dei suoi generali che mandano pove-ri ragazzi italiani al macello…. bè, c’è davvero poco da celebrare.E c’è ben poco da celebrare anche per quello che la prima guerra mondiale è stata, per noi italiani come per i nostri cugini europei. Una “inutile strage”, un massacro senza fine deciso e voluto dai potenti, ma combattuto (come sempre) dalla povera gente, dalla meglio gioven-

tù di questo paese (650 000 morti costò all’Italia la parte-cipazione alla guerra) che andava a morire al fronte con la minaccia dei plotoni di esecuzione alle spalle.Non c’è nulla di cui andare orgogliosi il 4 novembre. Non vi è nulla da celebrare. Domani è solamente un triste an-niversario, il novantesimo anniversario della prima grande carneficina mondiale. Questo non vuol dire che non bisogna ricordare: è storia, e va’ ricordata. Ma io, i nostri generali nelle scuole, proprio non ce li vedo. E non mi faccio am-maliare dai plotoni intonanti davanti al pennone “Il Piave mormorava” – a cui comunque dovrei essere affezionato, considerando come questi bagni la mia città natale. Piut-tosto, vorrei vedere un mondo che rinnova ancora il suo accorato e mai seguito appello: “mai più guerre”. Invece dei generali, annuncianti “la vecchia menzogna… Dulce et decorum est pro pratria mori”, ci vedrei le nostre maestre, recitare insieme ai bambini le poesie di Ungaretti, Brecht, Wilson. Le parole di chi la guerra l’ha fatta e l’ha scritta. Il cui messaggio, dopo tanti anni e troppo sangue, è ancora esule in Patria. Matteo Lucatello

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Stile Libero

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Sconfinare Novembre 200812Musica

Non tutti i dischivengono col buco

Il pianista iraniano Ramin Bahrami a Gorizia“Mi sento portatore di un messaggio universale di pace”

Per presentarvi Ramin Bahrami vi di-rei che è un pianista iraniano. Ma lui dice che non gli piace il pianoforte e che non è iraniano. Preferisce piuttosto definirsi un musicista cosmopolita. Suo padre era per metà iraniano e per metà tedesco, la madre turco-russa. Ramin Bahrami fa parte di quella generazione di Iraniani raccontata da Marjane Satra-pi in Persepolis, quella che nasce sotto la monarchia dello Scià Reza Pahla-vi, che vive la rivoluzione islamica di Khomeini, che cresce durante la guer-ra contro Saddam, e che si trova poi di fronte alla difficile scelta di lasciare il proprio paese per poter vedere realizza-ti i propri sogni. Ho incontrato Bahrami nei camerini del Teatro Verdi di Gori-zia, dove ha suonato il 23 ottobre con l’Orchestra Sinfonica del Friuli Venezia Giulia diretta da Andres Mustonen. Il programma prevedeva il pezzo Oriente Occidente del compositore contempo-raneo estone Arvo Pärt, la Sinfonia n. 2 di L. van Beethoven, e il Concerto n. 20 in re min. KV 466 per pianoforte e orchestra di W.A. Mozart, con al piano-forte R. Bahrami.Bahrami nasce a Teheran nel 1976 e all’età di 11 anni lascia l’Iran per l’Italia accompagnato dalla madre, dopo che il padre Paviz, ingegnere sotto lo Scià,

viene arrestato con l’accusa di essere un oppositore del regime. Paviz morirà in carcere nel 1991 e il referto ufficiale dirà per infarto, causa di morte diffusa tra i detenuti politici. Bahrami nel frattempo può studiare al Conservatorio G.Verdi di Milano con Piero Rattalino grazie ad una borsa di studio donatagli dalla Italim-pianti. Dopo tre anni la borsa di studio viene però interrotta e seguono anni di difficoltà economiche per lui e la madre. Bahrami riesce comunque a diplomarsi nel 1997 e a proseguire i suoi studi, e comincia ad imporsi all’attenzione delle maggiori istituzioni musicali italiane e tedesche grazie alle sue interpretazioni di Bach, compositore per il quale nutre una profonda venerazione. Nel 1998 ot-tiene la cittadinanza onoraria in seguito al debutto al Teatro Bellini di Catania, e nel 2004 corona infine il suo sogno di gioventù registrando per la casa editrice musicale Decca le Variazioni Goldberg di Bach. Ora sta lavorando ad un proget-to con la Gewandhausorchester di Lip-sia, patria di. Bach, per eseguire nella stagione 2008/09 tutta l’opera di Bach per pianoforte e orchestra sotto la guida del Maestro Riccardo Chailly.Quando lo incontro, Bahrami è contento di rispondere alle mie domande. Sono curiosa di sapere come sia nata la sua

passione per la musica. Inizia a raccon-tarmi che già a Teheran amava ascoltare il grande violinista ebreo Jascha Heifetz e che, guidato da un vinile di Beetho-ven, dirigeva un’orchestra immaginaria dall’alto del tavolino del salotto. Dopo la rivoluzione, la musica divenne per lui un rifugio dal dolore della realtà esterna. Negli anni della guerra contro Saddam, egli avvertiva i bombardamenti prima ancora che ne venisse dato l’allarme e, a volte, invece di correre ai rifugi sotterra-nei, preferiva rimanere in casa ad ascol-tare musica classica o a suonare il piano mentre fuori cadevano le bombe. Ricor-da in particolare di quando Teheran era bianca sotto la neve e, mentre suonava, aveva visto dalla finestra una casa colpi-ta da una bomba incendiarsi. La musica riusciva così a lenire il dolore e la paura dei momenti più duri. Sempre a Teheran iniziò l’amore di Bahrami per la musica di Bach. Lo scoprì a casa di una amica iraniana dove sentì un disco interpretato da Glenn Gould, celebre interprete ba-chiano canadese. Lo stesso padre Paviz, in una delle sue ultime lettere dal carce-re, lo aveva incoraggiato allo studio di Bach, perché la sua musica lo avrebbe potuto aiutare molto. E Bahrami rivol-ge un invito ai giovani ad ascoltare più musica classica, e soprattutto Bach, per

l’universalità della sua musica, valida in ogni tempo. Gli chiedo se fece fatica ad adattarsi in Italia. Mi dice che no, che fin da subito ha potuto immergersi nella realtà ita-liana studiando in scuole italiane e cir-condato da bambini italiani. Proprio per questa sua esperienza è contrario al pro-getto del governo di creare nelle scuole apposite classi per stranieri, e crede in-vece che sia molto importante favorire la “polifonia” culturale, che in linguag-gio musicale non significa altro che l’in-contro armonico di voci diverse. Ramin Bahrami non ha più rivisto il suo paese da quando lo ha lasciato. Vorrebbe ritor-nare in un Iran democratico pur avendo nostalgia dei tempi della monarchia e dello Scià, a sua detta spesso ingiusta-mente frainteso in Occidente. Prima di salutarlo voglio ancora sapere se, per la sua storia e il suo vissuto, si considera un musicista politico. Mi risponde che si sente sì un musicista politico, ma solo in quanto portatore di un messaggio uni-versale di pace. Peccato che giovedì 23, al Teatro Verdi di Gorizia, solo in pochi sono venuti ad ascoltare il suo messag-gio.

Margherita Gianessi [email protected]

Oppure, se preferite, pigliare fischi per dischi.Ognuno di noi, nella sua collezione, ha le sue pecore nere. Non ne siamo orgoglio-si, non lo diciamo a nessuno, cerchiamo di nasconderlo finché possiamo, però capita che ci sbagliamo. A volte anche i maestri fanno le loro cappelle, il loro passo falso. Magari più d’uno. E non so se sono disposto a perdonarli. Io non appartengo alla generazione del mulo, quando voglio musica la devo comprare al negozio, e se un nome nel quale ripon-go la massima e incondizionata fiducia (Jimmy Page, per te è fede ragazzo) mi fa sprecare quindici euro per nulla il mi-nimo che posso fare è sparare sulla cro-ce rossa, dopo avere rosicato per bene, e trascinare gli scheletri di ogni grande fuori dall’armadio dei suoi successi. Perché non sarò un genio. Ma almeno, ad essere mediocre, se sbagli non gliene frega niente a nessuno. E poi diciamoce-lo: non avrò più occasione di prendere a pesci in faccia alcuni dei miei miti, e in ordine alfabetico per di più. Sperando che nessuno se n’abbia a male.Dei Beatles non posso dire nulla. Però se i Fab Four solisti non fossero stati i Fab Four in qualche loro (a quanto pare dimenticata) vita precedente, sarebbero morti di fame. Dell’intera produzione di John Lennon, l’unica canzone sopporta-

bile è “Jealous Guy”. Però si sa, tra un bed-in e un altro di tempo per comporre non ne resta molto. E non parliamo di Yoko Ono. Che sia stata il motivo della morte dei Beatles, passi. Ma doveva an-che cantare?Bob Dylan. Bei dischi i primi. Non pen-so che la canzone americana abbia avuto degli autori capaci di eguagliare alcune di quelle liriche (prendete “Desolation Row”, tanto per dirne una, italianizzata poi da De André). Però dei quarant’anni successivi nessuno si ricorda alcunché,

tranne forse di “Knockin’ on Heaven’s Door”, e purtroppo credo sia solo per-ché l’hanno rifatta qualche tempo dopo i Guns. Il che è l’ennesima prova del fatto che il più grande compositore di sempre è l’eroina. Quando ne esci sei artistica-mente finito.Di Clapton non parlo. Mi hanno detto che la gente di solito lo sottovaluta per-ché ha ascoltato troppe poche delle sue canzoni. Forse ha scritto davvero anche dei bei pezzi, il problema è che mi ad-dormento prima di arrivarci.

I Pink Floyd pure hanno fatto cilecca in almeno un’occasione (e su molte altre ci sarebbe da ridire), con “A Momentary Lapse Of Reason”. Vabbeh, era il primo disco senza Roger Waters, che aveva co-mandato tutti a bacchetta durante il pre-cedente decennio. E sarà stato anche un fenomeno, ma se date un’occhiata alla sua produzione solista di quegli anni vi accorgerete che anche la sua inventiva era parecchio in difficoltà. Questo, op-pure Yoko Ono è andata davvero un po’ troppo oltre.E poi ci sono tutti quei famosissimi grup-pi DMG! (Dovevano Morire Giovani!): i Metallica, i Led Zeppelin, gli U2, gli Who, i Cure, i Genesis, i Red Hot Chili Peppers, gli AC/DC … chi più ne ha più ne metta, perché la verità è solo una: chi non muore si sputtana, ed in pochissimi si sottraggono a questa regola generale.Oh, ecco fatto. C’è una soddisfazione particolare nell’infangare un tuo sim-bolo. Ti fa capire che tutti sbagliano e che quanto più stai in alto tanto più faci-le sarà prendere la mira e la caduta farà male. E non è poi così sbagliato saperlo: altrimenti rischi di ritrovarti a duettare con Leona Lewis alla cerimonia di chiu-sura delle olimpiadi, a volte la demenza senile non ha davvero pietà.

Rodolfo Toèrodolfo.toè@sconfinare.net

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Sconfinare2008 Novembre 13Cinema

Tratto dall’omonima serie a fumetti di Xavier Grillo-Marxuach, the Middle-man è una serie televisiva che segue le inverosimili avventure di Wendy, una giovane artista bloccata in un lavoro precario che vive in subaffitto illegale con la sua migliore amica Lacey, una ve-getariana militante. La sua routine viene interrotta dall’attacco di un orrendo mu-tante, dopo il quale Wendy si trova ad essere reclutata da una agenzia dedita a combattere il Male. In segreto, infatti, il modo brulica di alieni, vampiri, scien-ziati pazzi e mostri assortiti, e qualcu-no deve occuparsene. Insieme al suo misterioso capo, noto solo con il titolo ereditario di Middleman, e ad una robot-bibliotecaria sorprendentemente acida; Wendy inizia un lungo addestramento sul campo, affrontando le minacce più paradossali: zombie divoratori di trote,

gorilla mafiosi, tube maledette, collegiali fantasma, universi paralleli e luchadores assetati di sangue. Sfortunatamente tali avventure continuano solo per 12 punta-te, dato che la serie è stata sospesa, ma si tratta comunque di dodici puntate ri-colme di pura e sofisticata intelligenza. Gli attori sono abili, i dialoghi frizzanti e talmente pieni di arguzie che spesso mi sono trovato a dover riguardare la stessa scena più volte, avendo perso una battuta mentre ero impegnato a ridere per quella precedente. Malgrado i personaggi siano potenzialmente stereotipati gli autori rie-scono a rendere ognuno di loro credibile, oltre che godibile. Scaricate illegalmente questa serie, perchè è troppo buona per essere trasmessa in Italia.

Luca [email protected]

T h e M i d d l e m a n con Natalie Morales, Matt Keeslar

Si è conclusa il 31 ottobre la quinta edi-zione del Festival Internazionale del Cinema di Roma, con grande parteci-pazione di pubblico e ovviamente del-la stampa. Ho provato ad accedere alla struttura dell’Auditorium del Parco della Musica, il luogo con il maggior numero di sale e di proiezioni, quello con i tap-peti rossi e la gente urlante ad acclama-re attori e attrici ma anche con i prezzi più alti (alcuni film costavano anche 20 euro secondo il programma) Ma non mi è andata bene: la prima volta dopo una fila di un’ora i posti erano già esauriti, la seconda era una proiezione riservata ai soli giornalisti (ho provato a passare come giornalista di Sconfinare, ma come si può immaginare non mi hanno fatto entrare). Un po’ sconsolata dalle espe-rienze, stavo quasi abbandonando l’idea di godermi qualche buon film, ma poi ho scoperto la Casa del Cinema: un edificio nel parco di Villa Borghese inaugurato a tale uso nel 2005 e che sotto la direzio-ne di Felice Laudario propone rassegne cinematografiche con ingresso gratuito. Nell’ambito del Festival, alla Casa del Cinema sono stati proiettati i film della categoria La Fabbrica dei Progetti, com-prendenti cioè le opere prime di alcuni registi. Tra quelli che ho potuto vedere, da segnalare è “Astropia”, film islande-se di Gunnar Bjorn Gudmundsson, in cui una giovane donna dell’alta società si ritrova improvvisamente povera e per guadagnarsi da vivere inizia a lavorare in un negozio di fumetti e giochi di ruo-lo, mondo del quale è completamente ignara. Col tempo imparerà a conoscerlo

e nel frattempo a maturare, imparando a guardare oltre le apparenze e nonostan-te un ex fidanzato intrigante. Vincitore della categoria è risultato “Bird Can’t Fly”, di produzione sudafricana e irlan-dese, premiato probabilmente per l’in-tensità dei personaggi e la bravura della protagonista (Barbara Hershey), anche se a tratti è un po’ pesante. Nel film, una donna di nome Melody, dopo la morte improvvisa della figlia, fa ritorno in Su-dafrica peri suoi funerali e lì ritrova il suo passato ma anche un nipote di cui non sapeva l’esistenza. Altra iniziativa interessante, sempre alla Casa del Ci-nema durante il festival è stata la gior-nata dedicata alla Mosfilm, una casa di produzione sovietica e che ancora oggi, seppur con minore successo, è attiva. Sono stai proiettati 4 film: “L’Impero Scomparso” (2007, l’unico che non ho visto), “Quando Volano le Cicogne” (1957, vincitore del Festival di Can-nes, molto bravi gli interpreti), “Cin-que Serate”(1978, storia d’amore dopo 18 anni di lontananza) e “The Inner Circle” o “Il Proiezionista” (1991, del regista Andrej Konchalovskij, quest’ul-timo molto bello in quanto racconta la storia di un uomo devotissimo a Stalin e alla causa comunista, ma che proprio in nome di essa perde il suo grande amore, e nonostante ciò non rinnega le sue con-vinzioni. Non ho partecipato quindi al Festival ufficiale, è vero, ma sono sod-disfatta di quello che ho visto: ne valeva assolutamente la pena!

Lisa [email protected]

A Roma

Un festival alternativoCum grano salis

in cucurbita vostraCon la prima ed imprescindibile inten-zione di fare una gran mangiata a tema cucurbitaceo, ci siamo affidati alle FS e al bel tempo (decidete voi quale dei due risulti il più affidabile). Meta: Venzone, fantomatica cittadina medievale tra Udi-ne e Tarvisio, che ogni anno al quarto fine settimana d’ottobre ospita tra le settanta e le ottantamila persone con il nostro mede-simo obiettivo. La festa della zucca, alla sua diciottesi-ma edizione, nasce nel 1991 su inizia-tiva d’un manipo-lo di volonterosi. All’origine solo una scommessa di poche bancarelle e qualche giullare, si è trasfor-mata velocemente in un’importante ri-evocazione storica e gastronomica, che spinge addirittura qualche Austriaco a calare dalle monta-gne.Narra una leggenda che nel medioevo la cittadina, importante crocevia tra Germa-niche ed Italiche contrade, volesse orna-re la propria fama con un nuovo duomo. Purtroppo però, scarseggiando il denaro, l’orafo cui era stata commissionata la sfe-ra d’oro per la cima del campanile dovette “accettare” un terzo del compenso pattu-ito. Durante la notte, approfittando delle impalcature non ancora rimosse, sostituì l’artefatto con una zucca dipinta. In città nessuno se ne accorse, finché non fu chia-ro che l’oro non marcisce, né tantomeno si spappola in terra. La voce – come sempre

accade – si sparse e da allora i Venzone-si sono chiamati cogoçârs ( “quelli della zucca” in furlan).Attraversate dunque le spesse mura e pas-sati indenni la riscossione del dazio ci in-trufoliamo in un paese senza insegne né lampioni, tempestivamente coperti da uno stuolo di volontari che nella sola mattina-ta di sabato cercano ogni anno d’invertire il corso del tempo. Addirittura alcuni vi-sitatori vengono solo per assistere ai pre-

parativi! La festa segue un ri-tuale fisso: la premia-zione delle zucche più pesante (364 kg!), più lunga e più strana; l’elezione dell’ “Arci-duca della Zucca”; un corteo storico, banca-relle e spettacoli vari nei cortili.Ma veniamo al sodo. Il cibo. L’odore di burro ci guida sapientemen-te alla scoperta delle varie tabernae che per

due giorni propongono piatti e dessert a base di zucca. Per puro e disinteressato dovere di cronaca decidiamo di assag-giarli per voi. Quello del corrispondente è uno sporco lavoro, soprattutto unto, ma qualcuno lo deve pur fare. Motivo per cui ci limitiamo a degli gnocchi di zucca con burro e ricotta salata (anche se quelli di Tommaso sono migliori e ci sentiamo in dovere di consigliarli calorosamente) e ad una zuppa d’orzo e zucca servita nel cavo d’una pagnotta. Pane e dolci solo appa-rentemente alla zucca (siamo dei puristi e pure pignoli) ci trattengono così da essersorpresi da musicanti con tanto di tam-buri, cornamuse e ghironda (vedi wikipe-dia ^_^). Allettati dalle promesse di una variante a tema del Frico ci imbuchiamo direttamente nella cucina di un ristoran-te per sorprendere il cuoco con le mani ancora infarinate e rubargli la ricetta. In un gesto d’esemplare altruismo vogliamo portare un po’ d’originalità sulle vostre ta-vole di scalcagnati studenti (ACCETTIA-MO INVITI!).

FRICO ALLA ZUCCA DI MAUROIngredienti: 1 kg di patate tagliate alla julienne; formaggio a dadini; zucca ta-gliata alla giulién (non siamo mica fran-cesi); 1 cipolla; olio, rosmarino, salvia, sale e pepe.Soffriggere la cipolla ed aggiungere le patate. Dopo quindici minuti unire la zucca. Salare e pepare, insaporire con un trito di rosmarino e salvia e quando le patate sono disfatte mettere il for-maggio. Scottare da ambo i lati perché venga ben dorato.

Margherita Vismara e Rodolfo Toè[email protected]

rodolfo.toè@sconfinare.net

De Boca Bona

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periodico regolarmente registrato presso il Tribunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di registrazione 4/06.

Editore e PropietarioAssid

“Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”.

RedazioneAndrea Bonetti, Dimitri BrandolinMarco Brandolin, Edoardo Buonerba, Eli-sa Calliari, Davide Caregari, Valeria Carlot, Giovanni Collot, Giulia Cra-gnolini, Lisa Cuccato, Emmanuel Dalle Mulle, Edoardo Da Ros, Attilio Di Battista, Nicoletta Favaretto, Samuele Zeriali, Guglielmo Federico Nastasi, Antonino Ferrara, Michela Francescutto, Margherita Gianessi, Francesco Gallio, Davide Goruppi, Ian Hrovatin, Isabella Ius, Davide Lessi, Tom Loè-niskar, Matteo Lucatello, Andrea Lucchetta, Francesco Marchesano, Mattia Mazza, Monica Muggia, Luca Nicolai, Agnese Ortolani, Leonetta Pajer, Fe-derico Permutti, Giacomo Antonio Pides, Massimo Pieretti, Diego Pinna, Giulia Pizzini, Tommaro Ripani, Federica Salvo, Francesco Scatigna, Bojan Starec, Eva Stepancic, Matteo Sulfaro, Rodolfo Toè, Athena Tomasini, Mar-gherita Visimara, Samuele Zeriali.

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Politica Glocale

Progetti e programmi di sviluppo per il Polo Universitario Goriziano

Dialogo col Presidente del Consorzio per lo Sviluppo del Polo UniversitarioCon l’uscita del nuovo numero di Scon-finare ci è parso giusto cercare di fare un po’ di luce sulla situazione universitaria a Gorizia. Per fare questo abbiamo scelto di intraprendere una strada, per certi ver-si rischiosa, quella cioè di andare a porre delle domande a quelle istituzioni che in prima persona scelgono e sviluppano le politiche locali e regionali per migliorare la situazione universitaria di noi studen-ti.La prima tappa di questo viaggio ci ha posto a confronto con l’Ing. Fornasir Presidente del Consorzio per lo sviluppo del Polo Universitario di Gorizia. Per chi ancora non lo sapesse tale istituzione, di concerto con le altre realtà regionali, si occupa di sviluppare e predisporre tutte quelle scelte che servono al mantenimen-to e alla crescita della realtà universita-ria nel capoluogo isontino (oltre a Cor-mons).Si evince dunque, come una Regione a statuto speciale quale è il Friuli Venezia Giulia mantenga delle forti connotazioni di autonomia anche nel campo dell’istru-zione, ma anche purtroppo anche in que-sta realtà la “riforma” universitaria pro-posta dall’attuale governo sembrerebbe avere delle ripercussioni. Infatti se la voluta razionalizzazione non verrà svi-luppata in termini di qualità, ma al con-trario verrà effettuata solo in chiave di risparmio (il cosiddetto “taglio orizzon-tale) sarà possibile che per la realtà uni-versitaria goriziana arrivino tempi duri e si sviluppino problematiche reali. Altresì

se si scegliesse la via dello sviluppo delle “specialità” sia a livello locale sia a livel-lo accademico Gorizia troverebbe un ruo-lo forte non solo in ambito regionale ma anche in ambito internazionale.A questo proposito il Presidente ci ha ri-cordato come si stanno sviluppando con particolare forza due nuovi progetti: da un lato la prospettiva legata al Conferen-ce Center ed all’Istituto Ricerche nego-ziato, dall’altro il trasferimento del corso di Architettura dell’Università di Trieste qui a Gorizia, possibilmente condiviso con l’Ateneo friulano. Tali ipotesi per avere successo devono, sempre citando il Presidente, riuscire a far sistema con le realtà preesistenti nella zona ed in Regione. Ci si riferisce in particolare al corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplo-matiche e, per quanto riguarda Architet-tura, alla volontà di insediamento di un “Polo Tecnologico” in collaborazione con Area Science Park. Per quanto riguarda il progetto “Architet-tura” la scelta è ricaduta su Gorizia in pri-mo luogo perché qui ci sono già a dispo-sizione parte dei circa 12.000 mq di aule e strutture libere, mentre sono incorso di ultimazione o finanziamento investimen-ti atti a predisporre circa altri 18.000 mq di spazi utili a contenere aule e laboratori universitari; dove, per contro, le strutture e gli spazi oggi utilizzati a Trieste dalla Facoltà di Architettura sono almeno de-finibili come insufficienti oltre che molto dispendiosi. Inoltre mancando ad Udine

un corso in Architettura, gli studenti friu-lani potrebbero beneficiare della maggior centralità del centro isontino rispetto la città giuliana, evitando nel contempo un ulteriore “doppione” regionale.Parlando di centralità e marginalità l’at-tenzione si è posta sul ruolo di Gorizia quale punto di cooperazione e collabora-zione tra Italia e Slovenia. In quest’ottica la collaborazione tra il Consorzio di parte italiana ed il parigrado di parte slovena (VIRS), già attiva da molti anni, sta ora dando i suoi frutti attraverso il prossimo sviluppo del progetto EuroKampus www.eurokampus.si dove, dopo una prima boc-ciatura del progetto di un università inter-nazionale da insediare a Gorizia e Nova Gorizia, poi “trasformato” nella EMUNI andata a Pirano (SLO) a conclusione del semestre di presidenza UE da parte del-la Slovenia, si stanno proponendo nuove collaborazioni quali lo sviluppo di un polo tecnologico in ambito transfronta-liero e anche di una casa dello studente internazionale.Forti sono però ancora le lacune che a più livelli pesano su noi studenti; la principa-le riguarda indubbiamente la mancanza di un servizio mensa nelle sedi di Via Alvia-no e di Via Diaz. Stando alle parole del Presidente più vol-te il Consorzio si è fatto carico di tale problema proponendo una soluzione che unificasse le necessità dei poli di Trieste ed Udine. Essendo in questo senso inter-locutori i due ERDiSU, nelle prossime settimane si instaurerà un nuovo tavolo

di confronto tra il Consorzio e tali enti con la speranza di trovare un soluzione in tempi brevi. Purtroppo anche ad altri livelli si stanno creando piccoli nuovi problemi, in quanto il territorio e le sue istituzione locali non sembrano appoggiare delle concrete mi-sure di integrazione e sviluppo tra società locale e studenti; basti pensare agli ormai famosi “comitati anti schiamazzi”, causa anche della chiusura del noto Fly e alla completa mancanza delle istituzioni e del mondo imprenditoriale locale all’interno dell’Università, soprattutto in Via Alvia-no. Ci è parso dunque di capire che, al di là delle solite polemiche, si stanno svilup-pando dei progetti concreti ma che essi per diversi motivi non riescano a venir completati in quell’ottica di collaborazio-ne in primo luogo tra città ed università, poi tra i due atenei ed ancora tra Italia e Slovenia. Una situazione non proprio fa-vorevole in questo momento di difficoltà per il mondo universitario e non solo.Oggi più che mai, sembra necessario ri-uscire a superare queste barriere poste su più livelli; per creare politiche di comune intento atte a sviluppare la presenza uni-versitaria a Gorizia. Per questo motivo nel prossimo numero cercheremo di por-re queste domande all’attuale Assessore Regionale all’Istruzione.

Marco [email protected]

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November 2008 IISconfinare

23.maj 1992 - 19.julij 1992V sedeminpetdestih dnevih je mafiji uspelo ubiti bodisi v Rimu komaj imenovanega za-stopnika proti mafiji: Giovan-nija Falcona,bodisi zastopnika javnega tožilstva mesta Paler-ma: Paola Borsellina.Minilo je šestnajst let,po katerih kdo bi se lahko vprašal kako napredu-je vojna proti mafiji,pri kateri Falcone in Borsellino sta se izkazala za glavna junaka,a ne začetnika te iste in žal ne edini dve žrtvi.Naš parlament,kot je pač znano,ni znan za prizadevnost,a vsekakor uspe izda-jati precej zakonov in odlokov,katerih posledice so večkrat silovite.9.oktobra 2008 je potekalo v italijanskem sena-tu glasovanje odloka,ki je predvideval zvišanje plač za sodnike,ki so delovali pri neugodnih sedežih.Kot se pogosto dogaja,odlok se je izkazal za nasičenega z besedicami in členi brez vsakršne zveze.Norma ki nas zanima pravi sledeče:”Člen 36 zakonodajnega odlo-ka 5.aprila 2006 št.160,spremenjen od člena 2 zakona izdanega 30.julija 2007 št.111 je razveljavljen.”Razumljivo ne?Ne dosti.Pomeni,da če odlok pride do Poslanske zbornice(kar ni samo posebej vmevno)norma Prodijeve administraci-je ,ki je prepovedovala preizkovanim a potem oproščenim sodnikom(katerim je bilo dovoljeno nadaljevanje kariere),ki

presegajo 75.leto starosti doseči vodil-na mesta, je razveljavljena. Skratka:Ta kategorija sodnikov lahko doseže vo-dilna mesta.Redki so sodniki v takem stanju,med temi pa je najbolj pritegnil pozornost redkih zainteresiranih medi-jev sodnik Corrado Carnevale.Osredotočiti se moramo na pomembnost tega imena,da si bomo lahko kasneje od-govorili na na vprašanje:”Kako napre-duje vojna proti mafiji,šestnajst let po uboju Falcona in Borsellina?”Carnevale ima ključno vlogo pri odgovoru tega vprašanja.Kdo je Carnevale? Zakaj ga hočejo imenovati za predsednika Vrohovne-ga Sodišča celo z normo ad hoc? Se-daj predsednik Vrhovnega Sodišča je Carbone,ki se bo upokojil čez dve leti.Carnevale,hvala možnosti nadaljevan-ja kariere,se bo upokojil komaj leta 2013,pri 83 letih.Se pravi da bo imel 3 leta časa,ki bo lahko izkoristil za

Drzavine uspe ustaviti mafija

Morda bi veljalo razmišljati,kakšno Evropo bi radi zgradili s tako pogodbo.V primeru,da bi Lisbonska pogodba bila le kopija tiste,ki so predstavili kot velik projekt evropske ustave,ki prav zaradi nejasnosti se je zdelo koristnejše odobri-ti neuradno...beh,ti so enako hudi problemi pomanjkanja deomkracije.Lisbonska pogodba bo vplivala predvsem na evropske organe,se pravi na Evropski Parla-ment in na Komisijo,katera izdajata večji del zakonodaje,ki državni Parlament enostavno sprejme.Italijanski državljani so soglasno glasovali za Lisbonsko po-godbo ne,da bi jo prebrali in ne da bi vedeli o čem se v njej govori.Nobenemu je prišlo na misel,da bi se izognili negativnih odgovorov , da bi informiral,razumel,popravil,sestavil prepričljiv ali vsaj berljiv tekst.Nobenemu je prišla na misel odobritev pogodbe preko referenduma,ki bi bil skupen za vse evropske države in bi potekal s istimi procedurami, istega dne po vsej celini....Enostavno je prišlo do izbire najlažje poti,ki se konkretizira v deficitu demokracije.Črtajmo torej soglasnost,po kateri vsaka reforma mora biti sprejeta od vseh 27 držav članic.Zaupajmo principu “dvohitrostne Evrope”in odobrimo enkrat za vselej to nerazumljivo zmešnjavo,ki kot je dejal komisar EU McGreevy:”Težko oseba pri zdravi pameti bi prebrala od začetka do konca.” Irci naj si sami pomagajo.Volili bodo še enkrat ali dvakrat,dokler ne bodo glasovali za DA.K sreči živimo v Evropi,ki je zgled demokracije za ves svet.Sicer ne verjamem,da so Irci,Francozi ali Holandci

proti Evropi.A vsi nujno potrebujemo močno Evropo,ki je na strani prebivalcev in ne na strani bank ali birokracij,ki si postavi socialnost kot glavno zapoved,ki zagovarja in podpira Welfare in ne liberalizira službe,ki odločno in brez dvomov nastopa proti vojni,ki si prizadeva za dialog kot rešitev vseh sporov,ki se ne podre-di NATU,ki prepove Češki in Poljski republiki namestitev Ameriških radarjev ali raket,brez vsakršne razprave z ostalimi evropskimi partnerji.Potrebujemo Evropo,ki se bori proti smrtni kazni,ne da jo znova uvede preko protokolov in členov neke

pogodbe (2.člen drugega odstavka CEDU),morala bi govoriti o integraciji in sprejemu,ne izdajati tako zvano “Sramotno direktivo”,ki predvideva za nered-ne tujce 18 mesecev zapora po katerih sledi izgon. Braniti mora delovne pravice,ki so si jih naši predniki izborili v prejšnjem stoletju ne črtati skupne delovne pogodbe.Skratka,potrebujemo Evropo ki ponovno znajde samo sebe ter lastno istovetnost,ki je kaj več kot skupna valuta,ki se ponovno aktivira,da ne uporabi demokracijo samo kot besedo tja v en dan,da si da nova pravila za večjo odprtost in demokratičnost s tem da obnovi volilne in sklepne mehanizme last-nih ustanov,predvsem parlamenta.Preden odobrimo ustavo pa, je nujno potrebno obnoviti idejo Evrope,ki hočemo sestaviti in postaviti nove temelje za demo-kracijo v Uniji.

Matteo LucatelloPrevedel: Dimitri Brandolin

Demokraticna reustanovitev Evrope

doseči predsedstvo.Nedvomno mu bo uspelo,kajti je po starosti prvi na lestvi-ci .Svoj vzdevek je bil,za časa Falcona in Borsellina,”l’ammazzasentenze”se pravi “morilec sodb”.Kaj je pravza-prav delal? Kot predsednik prve sekcije Vrhovnega Sodiščani delal nič drugega kot biti pikolovski:s časom je zbral celo vrsto pravd proti mafiji,celo proti tako zvani”Banda della Magliana”,zaradi napak pri dokumentaciji npr.ko ni bilo žiga na nekem dokumentu,ko datum je bil napačen itd. Vrh vsega je na-sprotoval Protimafijskemu Poolu.Imel je sodnike,ki so delovali znotraj tega za”šerife”ali”orožje proti politikom iz komunistične levice”,vrh vsega je sovražil Falcona in Borsellina.Trdil je namreč,da sta bila nesposobna,Falcona je celo definiral kot”faccia da caciocavallo”se pravi”sirni obraz”.Do-segel je višek ko je zvedel za njihovo smrt,ko je dejal:”Jaz spoštuje mrtve,a

ne vse.”To izjavo bo kasneje potrdil tudi pred sodiščem.Da,kajti Carnevale se je iz sod-nika preobrazil v obtoženca.Obtožba,ki se je začela mar-ca 1993,se je zaključila juni-ja2001 z obsodbo Prizivnega sodišča iz Palerma,ki je obso-dilo Carnevala na 6 let zapora zaradi zunanjega sodelovanja z mafijo.Onemogočili so mu tudi vsakršen dostop do jav-

ne službe.Leto kasneje ga je Vrhovno Sodišče oprostilo ampak med polemi-kami, zaradi izključenja nekaterih prič.Sodišče jih ni sprejelo ,kajti vsebina njihovega pričevanja so bile izjave,ki jih je Carnevale izrekel v Zbornici.Izjave ki jih kdo izreče v Zbornici morajo ostati tajne, a ko se gre za kazniva dejanja ne bi smelo biti tajnosti.Vrhovno Sodišče pa ne razmišlja ravno tako,kajti ko so zmanjkali dokazi(Vrhovno sodišče je črtalo tudi druga pričevanja)so spustili Carnevala.Sedaj je treba razločevati med zakoni-tostjo in priložnostjo:legalno Carneva-le je nedolžen,pravilno je mu dovoliti naj nadaljuje svoje delo.A se vam zdi primerno ga imenovati za predsednika Vrhonega Sodišča?

Francesco ScatignaPrevedel: Dimitri Brandolin

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Projekti in programi razvoja goriškega univerzitetnega pola

Pogovor s Predsednikom ustanove Consorzio per lo sviluppo del Polo Universitario di Gorizia

BREZPLNCA ŠTEVILKA November 2008 www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel

V novi številki časopisa Sconfinare smo mislili, da bi bilo prav razčistiti kaj se dogaja z univerzo v Gorici. Tako smo si izbrali pot, ki je precej neugodna, oziro-ma smo se odločili, da bomo vprašali tiste ustanove, ki v prvi osebi izbirajo in razvi-jajo lokalne in deželne po-litike s tem, da pobojšajo univerzitetni položaj nas študentov.Prva etapa našega potovanja nas je pripeljala do Ing. For-nasira, Predsednika Consor-zio per lo sviluppo del Polo Universitario di Gorizia (Zadruga za razvoj univer-zitetnega pola v Gorici). To je ustanova, ki skupaj z drugimi deželnimi realnostimi, se ukvarja z razvojem in izbiro vseh tistih sredstev, ki rabijo v vzdrževanju in rasti univerzitetne realnosti v soškem mestu. Se torej razume, kako Dežela s posebnim statutom kot je Furlanija Julijska Krajina, ohrani široko samou-pravo tudi v sklepu poučevanja, čeprav, nažalost, tudi v tem področju bo t.i. «univerzitetna reforma», ki jo podpira sedanja vlada, imela negativne posledice. Ka-jti, če ne bo racionalizacija pripeljala do kvalitativnih sprememb, temveč bo nasprotno uresničena v sklepu varčevanja, bo morda to pomenilo prihod trdih časov za goriško univerzo, ki bo pripeljalo do razvoja real-nih problematik. Če pa bo padla izbira na pot razvoja «specijalizacij» tako na lokalnem kot na akademskem nivoju, bo Gorica prav gotovo lahko pridobila vpliv-no vlogo ne samo v deželnem okrožju, marveč tudi na mednarodnem nivoju.Prav zaradi tega nas je Predsednik spomnil kako se razvijajo s posebno silo dva nova projekta: na eni stra-ni razvoj conference centra, na drugi pa premestitev univerzitetnega tečaja arhitekture iz tržaške univerze tu v Gorico. Tako, da lahko postaneta ta dva nova projekta uspešna, morata oba soupadati z poprejšnjimi

resničnostimi v območju in v Deželi. S tem mislimo na uni-verzitetni tečaj mednarodnih in diplomatičnih ved in kar se tiče arhitekture pa na voljo razvoja «tehnološkega» pola in na sode-lovanja z Area Science Park.

Kar se tiče projekta «Arhi-tektura», izbira je padla na Gorico, v prvem mestu, ker tu so že na razpolagi okoli 12000 mq razredov in prostih stavb, ter so v dokončanju ali pa čakajo finansiranje še drugih 18000 mq prostorov, ki bodo lahko vsebovali raz-rede in univerzitetne dela-vnice; po drugi strani, sta-vbe in prostori, ki jih sedaj uporablja v Trstu fakulteta arhitekture, so precej nepri-merni. Vrh tega, ker Videm ne nudi tečaja arhitekture, furlanskim študentom bo

lažje slediti tečajem, zaradi boljšega položaja soškega mesta z razliko Trsta.Gorica bo tako lahko imela vlogo središča, saj bo lahko točka sodelovanja med Italijo in Slovenijo. V tem vidiku, sodelovanje med italijansko zadrugo in njenim slovenskim sovrstnikom (VIRS), ki je aktiven že leta, je že dala prve rezultate. To v sklepu razvoja naslednjega projekta EuroKampus www.eurokampus.si, kjer, po prvi odklonitvi projekta zgradbe medna-rodne univerzitete, ki je sedaj namenjena Piranu, se predlagajo nova sodelovanja, kot npr. razvoj medmej-nega tehnološkega pola in mednarodnih stanovanj za študente.Precej hude so pomankljivosti, ki na več nivojih težijo na nas študente, najvažnješa med katerimi je prav go-tovo pomankanje jedilnic v univerzitetnih sedežih uli-ce Alviano in ulice Diaz. Predsednik zadruge je opom-nil, da njegova organizacija je večkrat hotela rešiti problem, s tem da je predlagala rešitev, ki bi lahko združila potrebe tržaškega in videmskega pola. Na tem področju sta odgovorna ERDISU-ja obeh mest, in tako v naslednjih tednih se bo skušalo rešiti problem v kra-tkem času z organizacijo dogovorov. Nažalost tudi na drugih nivojih so nastali novi manjši problemi. To se dogaja, ker območje in lokalne ustanove ne podpirajo integracijo in razvoj med lokalno družbo in študenti; pomislimo na sedaj že slavne odbore proti ropotanju ponoči, ki so bili vrok zatvore slavnega kluba Fly.Razumeli smo, da končno se razvijajo konkretni projekti, ki nažalost ni mogoče zaključiti, zaradi ne-sodelovanja med mestom in univerzo, tako kot med univerzama in na širšem nivoju med Italijo in Slove-nijo. Dandanes zgleda, da je res potrebno prekositi te ovire, ki so nastale na več nivojih. Prav zaradi tega v naslednji številki bom postavil ta vprašanja sedanjemu deželnemu prisedniku za poučevanje.

Marco BrandolinPrevedel: Samuele Zeriali

Rezultati zadnjih treh ljudskih referendumov so se izkazali za pravi poraz za Evropsko Unijo.Začenši od ”Pogodbe za ustanovitev Evropske ustave”,ki sta jo zavrnili bodisi Francija kot Holandska leta 2005,do Lisbonske pogodbe,ki so države članice podpisale decembra meseca in ki so Irci odklonili.Zgleda,da evropska kriza se ne bo zaključila kmalu.Po tretjem negativnem rezultatu pa postaja jasno,da je prišlo do zaskrbljujočega nesoglasja med evropskimi ustanova-mi in ljudstvom.Prepričan sem,da ni kaj praznovati pred takšno kri-zo. Že zdavnaj države članice EU in seveda ves svet,potrebujejo močno,samostojno in verodostojno Evropo.Mednarodna kriza ,skupaj z vojnami osemlet-ne Bushove administracije,so zasačile Evropo popo-lnoma nepripravljeno podpreti,ugovarjati ali skratka vplivati na svetovni ravni.To ji je onemogočilo doseči vodilno vlogo pri razvoju mirovnih in socialnih politik ter politik za varstvo okolja.Vendarle vzrok evropske krize niso seveda Irci,katerih odklon naši mediji niso poglobili,niti Francozi ali Holandci,o katerem odklonu bi seveda veljalo razmišljati.Seveda dejstvo,da prebivalstvo Irske,ki predstavlja 1%glasov,zablokira pogodbo s pravico veta,potem ko so jo vsi ostali člani odobrili ali bili na tem,nam postavi v ospredje problem pomanjkanja demokracije znotraj Unije. Da so ljudje pri referendumu odkloni-li pogodbo na različnih krajih in ob različnem času predstavlja resen problem,upoštevajoči tudi dejstva,da tisti,ki so glasovali proti pogodbi so bili večinoma: mladi,ženske in delavci.

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Demokraticna reustanovitev Evrope