Sconfinare numero 12 - Marzo 2008

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COPIA GRATUITA Numero 12 - Marzo 2008 CONTINUA a pagina 3 www.sconfinare.net L’editoriale Ritorna Sconfinare! Il caso del Kosovo Direttrice: Annalisa Turel I Cracoviani No nel Meditteraneo, a volte penso che il nostro vecchio stivale stia galleggian- do nel Mar Mediocrità. Almeno per quanto riguarda l’Istruzione. E’ un pen- siero che mi viene di frequente. Ancora più spesso quando sono all’estero, alla giusta distanza. In Eramus, a Cracovia – in Polonia - s’ha meglio la percezione dei nostri savi “intogati”. A che serve un corso di relazioni internazionali se non ti riconosce l’esame di una lingua diversa dalle 5 “impartite dalla facoltà” (ingle- se, tedesco, francese, spagnolo e arabo, chissà poi perché non russo o cinese?). A cosa, se nemmeno l’esame d’inglese, uno tutelato come specie protetta dal rego- lamento, non puoi farlo perché ha con- tenuti diversi da quelli dati dal docente in Italia. Ma una lingua non dovrebbe essere un mezzo? Non si dovrebbero apprendere le benedette skills, capacità orali e scritte, per trasmettere delle co- noscenze? Quelle che altri docenti, non un lettore qualsiasi, dalla pronuncia Kosovo, ovvero dal lontano 1389 il luogo simbolo della resistenza contro l’Impero ottomano per la Serbia e diventatane poi una provincia autonoma. Una regione però a maggioranza albanese e musulmana che, soprattutto negli anni più recenti, non ha mai rinunciato alle mire indipendentiste fino a ottenerle unilateralmente. Una zona sconosciuta al resto del mondo fino a che Slobodan Milosevic alla fine degli anni Ottanta lanciò misure repressive contro questa provincia, arrivando nel 1990 alla revoca della sua autonomia attraverso controlli di polizia, chiusura dei giornali in lingua albanese e al licenziamento di professori universitari non serbi. Naturalmente la resistenza della componente albanese non tardò a farsi sentire, prima in forma non violenta sotto la guida del partito LDK di Ibrahim Rugova ed in seguito attraverso atti terroristici compiuti i separatisti albanesi dell’UCK, finanziati anche dai traffici d’armi e di stupefacenti. Nel 1999 la situazione in Kosovo tornò sotto le luci dei riflettori e portò all’intervento NATO in Serbia. Ciò mise definitivamente il Kosovo al centro del dibattito internazionale e fu la premessa per l’avvio dei negoziati di Rambouillet, che sostanzialmente si rivelarono poi un mezzo fallimento soprattutto a causa dell’ambiguità della formula prevista. Era stata sì decisa la futura creazione di uno Stato multietnico sotto l’egida internazionale, ma si sanciva il necessario accordo tra Serbia e rappresentanti dello Kosovo per qualsiasi decisione inerente a tale trasformazione. Questo fin da subito risultò impossibile per l’inconciliabilità delle posizioni: la Serbia infatti non ha mai ceduto sull’indipendenza completa, anche se la sua influenza è gradualmente diminuita. Dal 1999parte della sovranità serba fu indebolita poichè il Kosovo fu posto sotto il protettorato internazionale di UNMIK e NATO, e con gli anni la voglia di indipendenza ha preso sempre più vigore soprattutto perché si voleva uscire da una situazione di stallo. Nel novembre 2007, dopo ulteriori fallimenti di un accordo sullo status del Kosovo, alle elezioni ha vinto Hashim Thaci, ex capo guerrigliero dell’Uck. Sotto il suo governo albanofono, la decisione quasi immediata è stata la dichiarazione unilaterale d’indipendenza, proclamata ufficialmente il 17 febbraio scorso con tanto di bandiera e stemma, anche se ufficialmente secondo il diritto internazionale e l’ONU, il territorio kosovaro è tuttora definito sotto sovranità serba. Tale avvenimento ha gettato le basi per una conflittualità internazionale che vede impegnate da una parte le Nazioni che hanno riconosciuto l’indipendenza, prima fra tutte gli Stati senza dubbio ineccepibile, ti hanno tra- smesso. E mentre da noi si discute quali crediti formativi accettarti e quali no, quali sono le cattedre forti, quali i pro- fessori intoccabili, all`estero ci si ritrova per altri motivi. Il Ministro della Scien- za (Barbara Kudryca) afferma di voler cambiare l’immagine dell`educazione. Mentre 10 illuminati lavorano al proget- to di individuare i parametri per accre- ditare i titoli di Flagships, di centri d’ec- cellenza della cultura polacca, si è già approvato il dirottamento all`istruzione, entro il 2013, di oltre 4 milioni di euro di fondi europei. “La competizione tra le massime Università per ricevere tali fondi sarà un impulso per migliorarci” ha dichiarato il rettore dell’Uniwersytet Jagielloński di Cracovia. Qui in una delle più vecchie università d’Europa (1346), il cannocchiale è già rivolto al futuro. I cracoviani corrono, noi è già tanto se ri- usciamo a galleggiare. Senza affogare. Davide Lessi Dal nostro corrispondente estero E' una impresa ardua comporre un editoria- le. Più difficile di quanto si pensi. Bisogna trovare il modo di riassumere, con poche parole, tutti gli avvenimenti e le attività che hanno portato alla stampa di un nuovo nu- mero. E come fare a riassumere l'organizza- zione, la preparazione e finalmente la pro- duzione di un giornale come Sconfinare? Sconfinare non è un giornale come tutti gli altri. E' innanzitutto nato come novità, come innovazione rispetto al passato: "qualcuno" ormai un paio d'anni fa, si rese conto che tra le innumerevoli attività degli studenti a Gorizia, mancava "qualcosa" che potesse essere espressione e voce di sentimenti e idee degli studenti stessi. Non esisteva nulla che potesse riunire, seppure simbolicamen- te, tutti gli studenti universitari presenti a Gorizia. Da sempre si è voluto distinguere lo studente dell'Università di Trieste, da quello dell'Università di Udine, coinvol- gendo tutti, chi più chi meno, in stupide discussioni politiche, riflesso dei campani- lismi presenti tra le due province del Friuli Venezia Giulia. Sconfinare nasce con la voglia di poter rap- presentare un banco di discussione, un pun- to di incontro degli studenti. Un luogo in cui poter dialogare della realtà cittadina e universitaria, criticarne gli aspetti negativi e esaltarne quelli positivi, per abbandonare i soliti luoghi comuni. Coloro che diedero alla luce il primo Sconfinare partecipano ancora a questa attività, ma sono lontani dalla realtà goriziana: rimangono presen- ti con i loro consigli frutto dell'esperienza maturata in questi primi due anni di attivi- tà. Ciò che mantiene in vita il giornale è la rinnovata volontà di continuare a dialogare con la realtà locale, dell'università e delle sue istituzioni, di Gorizia, della Regione, e anche degli scenari internazionali che quotidianamente riecheggiano nelle nostre giornate di studio. Sono dunque anche i nuovi studenti che si interessano, che portano avanti nuove idee, che aiutano Sconfinare a sopravvivere e a rinnovarsi costantemente. Sono false quelle voci di coloro che vedono il giornale come "cassa di risonanza" di alcune istituzioni. Sconfinare è sempre stato, e sempre rimar- rà, lontano da ogni coinvolgimento politico. Coloro che scrivono, esprimono liberamen- te le proprie idee e i propri sentimenti, vo- lontariamente e senza costrizione alcuna! E' accaduto più volte in passato che un ar- ticolo abbia incontrato pareri e convinzioni opposte. Io invito tutti a non tirarsi indietro, a scrivere ciò che pensa, a criticare e discu- tere posizioni diverse dalle sue: tutti pos- sono farlo liberamente, non esiste nessuna censura a nessun livello! Potete contattare sempre e in ogni momento la redazione del giornale scrivendo una mail a sconfinare@ gmail.com, visitando il sito www.sconfinare. net. E' questa possibilità che fa la differenza in Sconfinare: la partecipazione di tutti voi. Diego Pinna

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COPIA GRATUITANumero 12 - Marzo 2008

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L’editoriale Ritorna Sconfinare! Il caso del Kosovo

Direttrice: Annalisa Turel

I Cracoviani

No nel Meditteraneo, a volte penso che il nostro vecchio stivale stia galleggian-do nel Mar Mediocrità. Almeno per quanto riguarda l’Istruzione. E’ un pen-siero che mi viene di frequente. Ancora più spesso quando sono all’estero, alla giusta distanza. In Eramus, a Cracovia – in Polonia - s’ha meglio la percezione dei nostri savi “intogati”. A che serve un corso di relazioni internazionali se non ti riconosce l’esame di una lingua diversa dalle 5 “impartite dalla facoltà” (ingle-se, tedesco, francese, spagnolo e arabo, chissà poi perché non russo o cinese?). A cosa, se nemmeno l’esame d’inglese, uno tutelato come specie protetta dal rego-lamento, non puoi farlo perché ha con-tenuti diversi da quelli dati dal docente in Italia. Ma una lingua non dovrebbe essere un mezzo? Non si dovrebbero apprendere le benedette skills, capacità orali e scritte, per trasmettere delle co-noscenze? Quelle che altri docenti, non un lettore qualsiasi, dalla pronuncia

Kosovo, ovvero dal lontano 1389 il luogo simbolo della resistenza contro l’Impero ottomano per la Serbia e diventatane poi una provincia autonoma. Una regione però a maggioranza albanese e musulmana che, soprattutto negli anni più recenti, non ha mai rinunciato alle mire indipendentiste fino a ottenerle unilateralmente. Una zona sconosciuta al resto del mondo fino a che Slobodan Milosevic alla fine degli anni Ottanta lanciò misure repressive contro questa provincia, arrivando nel 1990 alla revoca della sua autonomia attraverso controlli di polizia, chiusura dei giornali in lingua albanese e al licenziamento di professori universitari non serbi. Naturalmente la resistenza della componente albanese non tardò a farsi sentire, prima in forma non violenta sotto la guida del partito LDK di Ibrahim Rugova ed in seguito attraverso atti terroristici compiuti i separatisti albanesi dell’UCK, finanziati anche dai traffici d’armi e di stupefacenti. Nel 1999 la situazione in Kosovo tornò sotto le luci dei riflettori e portò all’intervento NATO in Serbia. Ciò mise definitivamente il Kosovo al centro del dibattito internazionale e fu la premessa per l’avvio dei negoziati di Rambouillet, che sostanzialmente si rivelarono poi un mezzo fallimento soprattutto a causa dell’ambiguità della formula prevista. Era stata sì decisa la futura creazione di uno Stato multietnico sotto l’egida internazionale, ma si sanciva il necessario accordo tra Serbia e rappresentanti dello Kosovo per qualsiasi decisione inerente a tale trasformazione. Questo fin da subito risultò impossibile per l’inconciliabilità delle posizioni: la Serbia infatti non ha mai ceduto sull’indipendenza completa, anche se la sua influenza è gradualmente diminuita. Dal 1999parte della sovranità serba fu indebolita poichè il Kosovo fu posto sotto il protettorato internazionale di UNMIK e NATO, e con gli anni la voglia di indipendenza ha preso sempre più vigore soprattutto perché si voleva uscire da una situazione di stallo. Nel novembre 2007, dopo ulteriori fallimenti di un accordo sullo status del Kosovo, alle elezioni ha vinto Hashim Thaci, ex capo guerrigliero dell’Uck. Sotto il suo governo albanofono, la decisione quasi immediata è stata la dichiarazione unilaterale d’indipendenza, proclamata ufficialmente il 17 febbraio scorso con tanto di bandiera e stemma, anche se ufficialmente secondo il diritto internazionale e l’ONU, il territorio kosovaro è tuttora definito sotto sovranità serba. Tale avvenimento ha gettato le basi per una conflittualità internazionale che vede impegnate da una parte le Nazioni che hanno riconosciuto l’indipendenza, prima fra tutte gli Stati

senza dubbio ineccepibile, ti hanno tra-smesso. E mentre da noi si discute quali crediti formativi accettarti e quali no, quali sono le cattedre forti, quali i pro-fessori intoccabili, all`estero ci si ritrova per altri motivi. Il Ministro della Scien-za (Barbara Kudryca) afferma di voler cambiare l’immagine dell`educazione. Mentre 10 illuminati lavorano al proget-to di individuare i parametri per accre-ditare i titoli di Flagships, di centri d’ec-cellenza della cultura polacca, si è già approvato il dirottamento all`istruzione, entro il 2013, di oltre 4 milioni di euro di fondi europei. “La competizione tra le massime Università per ricevere tali fondi sarà un impulso per migliorarci” ha dichiarato il rettore dell’Uniwersytet Jagielloński di Cracovia. Qui in una delle più vecchie università d’Europa (1346), il cannocchiale è già rivolto al futuro. I cracoviani corrono, noi è già tanto se ri-usciamo a galleggiare. Senza affogare.

Davide Lessi

Dal nostro corrispondente estero

E' una impresa ardua comporre un editoria-le. Più difficile di quanto si pensi. Bisogna trovare il modo di riassumere, con poche parole, tutti gli avvenimenti e le attività che hanno portato alla stampa di un nuovo nu-mero. E come fare a riassumere l'organizza-zione, la preparazione e finalmente la pro-duzione di un giornale come Sconfinare? Sconfinare non è un giornale come tutti gli altri. E' innanzitutto nato come novità, come innovazione rispetto al passato: "qualcuno" ormai un paio d'anni fa, si rese conto che tra le innumerevoli attività degli studenti a Gorizia, mancava "qualcosa" che potesse essere espressione e voce di sentimenti e idee degli studenti stessi. Non esisteva nulla che potesse riunire, seppure simbolicamen-te, tutti gli studenti universitari presenti a Gorizia. Da sempre si è voluto distinguere lo studente dell'Università di Trieste, da quello dell'Università di Udine, coinvol-gendo tutti, chi più chi meno, in stupide discussioni politiche, riflesso dei campani-lismi presenti tra le due province del Friuli Venezia Giulia.Sconfinare nasce con la voglia di poter rap-presentare un banco di discussione, un pun-to di incontro degli studenti. Un luogo in cui poter dialogare della realtà cittadina e universitaria, criticarne gli aspetti negativi e esaltarne quelli positivi, per abbandonare i soliti luoghi comuni. Coloro che diedero alla luce il primo Sconfinare partecipano ancora a questa attività, ma sono lontani dalla realtà goriziana: rimangono presen-ti con i loro consigli frutto dell'esperienza maturata in questi primi due anni di attivi-tà. Ciò che mantiene in vita il giornale è la rinnovata volontà di continuare a dialogare con la realtà locale, dell'università e delle sue istituzioni, di Gorizia, della Regione, e anche degli scenari internazionali che quotidianamente riecheggiano nelle nostre giornate di studio. Sono dunque anche i nuovi studenti che si interessano, che portano avanti nuove idee, che aiutano Sconfinare a sopravvivere e a rinnovarsi costantemente. Sono false quelle voci di coloro che vedono il giornale come "cassa di risonanza" di alcune istituzioni. Sconfinare è sempre stato, e sempre rimar-rà, lontano da ogni coinvolgimento politico. Coloro che scrivono, esprimono liberamen-te le proprie idee e i propri sentimenti, vo-lontariamente e senza costrizione alcuna! E' accaduto più volte in passato che un ar-ticolo abbia incontrato pareri e convinzioni opposte. Io invito tutti a non tirarsi indietro, a scrivere ciò che pensa, a criticare e discu-tere posizioni diverse dalle sue: tutti pos-sono farlo liberamente, non esiste nessuna censura a nessun livello! Potete contattare sempre e in ogni momento la redazione del giornale scrivendo una mail a [email protected], visitando il sito www.sconfinare.net. E' questa possibilità che fa la differenza in Sconfinare: la partecipazione di tutti voi.

Diego Pinna

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Sconfinare Marzo 20082Mondo

1 gennaio

1 gennaio KENYADopo la conferma della vittoria del presidente in carica Mwai Kibaki, in Kenya sono scoppiate violente manifestazioni di protesta che han-no causato più di cento morti. Gli osservatori internazionali e i pae-si occidentali hanno accusato Kibaki di brogli. Quattro commissarielettorali, nel paese, hanno chiesto la formazione di una commissione indipendente d’inchiesta. Il governo ha richiamato la nazione alla pace e all’unità, annunciando la formazione di tre commissioni che monitoreranno la sicurezza interna, l’informazione e la giustizia.

17 febbraio KOSOVOLa Russia ha reagito immediatamente alla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo chiedendo che la questione venga esaminata al più presto dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, ha anticipato le richieste del Cremlino: “Le Nazioni Unite e la Nato dovranno portare a termine velocemente il loro mandato e annullare la decisione delle autorità di Pri-stina”. Anche il presidente rimir Putin ha condannato la secessione e garantito il suo pieno appoggio alla Serbia.

30 gennaio AUSTRALIAIl ministro per le questioni indigene Macklin ha annunciato mercoledì che il neoeletto parlamento australiano proclamerà le proprie scuse ufficiali per il comportamento tenuto in passato contro le comunità indigene. Macklin spera che questo gesto sia “l’inizio di una collaborazione che aiuterà il governo a colmare il divario che divide i non indigeni dagli indigeni”. I gruppi indige-ni hanno tuttavia indetto una manifestazione per il 13 febbraio, giorno previsto per l’annuncio, per protestare contro il rifiuto del primo ministro Kevin Rudd di risarcire le nuove generazioni.

12 febbraio AFGHANISTANL’ambasciatore del Pakistan Tariq Azizuddin è stato rapi-to lunedì insieme all’autista e alla sua guardia del corpo a Jamrud, nella regione del Khyber a confine tra Afgha-nistan e Pakistan. L’amministrazione afgana non ha in-formazioni riguardo la natura del viaggio di Azizuddin nella regione. A inizio febbraio, nella stessa zona, sono stati rapiti due impiegati della Croce rossa internazionale. Nessun gruppo ribelle ha finora rivendicato il sequestro.

6 febbraio USAI risultati emersi dalle votazioni in 24 stati del supermartedì del-le primarie presidenziali degli Stati Uniti non hanno stabilito un vincitore per i democratici: la senatrice Hillary Clinton ha vinto in meno stati rispetto al suo rivale Barack Obama. Il candidato repub-blicano John McCain ha invece affermato la propria leadership in quasi tutti gli stati. Il repubblicano Mike Huckabee ha conquistato una percentuale di voti maggiore di quella prevista dai sondaggi

Il mondo attende il cambiamento“When the next President sneezes, will Europe catch a cold?”

14 gennaio IRANIl delegato dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea) El Baradei, al ritorno da una visita di due giorni in Iran, ha annunciato che il governo di Teheran chiarirà entro marzo lo stato delle proprie attività nucleari. Durante la vi-sita i responsabili iraniani hanno informato El Baradei della costruzione di una centrifuga in grado di arricchire l’uranio a un ritmo accelerato. L’annuncio si sovrappone alle dichiara-zioni del presidente Bush che ha accusato il governo iraniano di essere a capo della minaccia terroristica mondiale.

periodico regolarmente registrato presso il Tri-bunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di

registrazione 4/06.Editore e Propietario

Assid“Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”.

RedazionePaola Barioli, Andrea Bonetti, Marco Brandolin, Edoardo Buonerba, Elisa Cal-liari, Davide Caregari, Giovanni Collot, Giulia Cragnolini, Lisa Cuccato, Em-manuel Dalle Mulle, Edoardo Da Ros, Nicoletta Favaretto, Guglielmo Federico Nastasi, Antonino Ferrara, Michela Fran-cescutto, Francesco Gallio, Davide Go-ruppi, Ian Hrovatin, Isabella Ius, Davide Lessi, Tom Loèniskar, Andrea Lucchetta, Francesco Marchesano, Mattia Mazza, Monica Muggia, Luca Nicolai, Agnese Or-tolani, Leonetta Pajer, Federico Permutti, Giacomo Antonio Pides, Massimo Pieret-ti, Diego Pinna, Giulia Pizzini, Federica Salvo, Bojan Starec, Eva Stepancic, Ro-dolfo Toè, Athena Tomasini.

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...Sconfinare...

L'opinione pubblica americana è ormai stanca dell'era Bush, ha voglia di voltare pagina, e in questo momento ci sentiamo tutti un po' americani. Sono stati moltis-simi gli eventi che hanno caratterizzato la sua presidenza, primi su tutti gli attentati dell'11 settem-bre. Non mi pare questo sia il luogo adatto per ricordar-li tutti, ma sicuramente è il momento di discutere alcuni dei compiti che il nuovo pre-sidente si troverà ad affron-tare tra meno di un anno.Con una campagna eletto-rale così lunga, così costosa, così spettacolare, le dichia-razioni fatte dai candidati sono innumerevoli e molto spesso contraddittorie. Così non viene premiato colui (o colei) che può vantare le più audaci promesse elettorali, ma colui (o colei) che sarà stato in grado, durante tutta la campa-gna, di aver sviluppato una politica reali-sta e non contraddittoria. Ma non basta, sono anche i precedenti impegni politici del candidato a influire sulle possibilità di vittoria: così, ad esempio, tutti ricor-deranno il voto a favore dell'intervento in Iraq della Clinton, al pari del repubbli-cano McCain, quasi sempre sostenitore delle politiche di Bush; così come tutti ri-corderanno il voto contrario di Obama e la sua ostilità verso le "dumb wars".Nelle dichiarazioni riguardo le politiche economiche da intraprendere, in realtà, i candidati differiscono di poco: tutti ri-conoscono il pericolo di una recessione dell'economia americana, in parte causata da politiche poco responsabili dell'attuale amministrazione, in parte dalla recente crisi dei subprime, e dalla dipendenza del petrolio straniero, che in periodi come questo raggiunge i $100 al barile. Divie-ne così un "interesse nazionale" trovare vie alternative, per salvare l'America (e il mondo) da una pericolosa recessione. Significativo è purtroppo il punto sulle politiche energetiche: il protocollo di Kyo-to, firmato negli ultimi mesi di presidenza Clinton, è sempre stato visto dall'attuale amministrazione Bush, come un limite per l'espansione economica americana. Ciò che però prima era un ostacolo, può

essere trasformato in una opportunità. E siccome proprio il petrolio è divenuto il grande freno per l'America, è divenuto interesse nazionale convertire l'economia dipendente da esso. Solo ora acquista ve-ramente importanza una riduzione delle

emissioni dei gas serra (riprendendo le vo-lontarie iniziative già avviate localmente da alcuni grandi centri urbani, come Los Angeles, ecc.). È necessario così utilizzare i nuovissimi biocarburanti eco-sostenibi-li, che dovrebbero permettere la creazio-ne ex-novo di almeno 5 milioni di posti di lavoro, secondo le stime della Clinton. Tutti i candidati si mostrano invece incer-ti riguardo un aumento di produzione di energia elettrica da centrali nucleari.Indubbiamente i temi delle politiche energetiche impegnano buona parte dei discorsi dei candidati, ma sicuramente la politica internazionale resta il centro ne-vralgico della campagna. Le "minacce" per l'America dopo l'11 settembre sono ancora molte, e i candidati, almeno in questa fase elettorale, sembrano mantene-re su alcuni temi una buona dose di neu-tralità e di disponibilità alla diplomazia. In primo luogo, il programma nucleare Iraniano è ancora visto come una minac-cia per gli Usa e per Israele. Ma non solo. L'Iran finanzierebbe e armerebbe le mili-zie che operano in Libano e a Gaza, Hez-bollah e Hamas, per destabilizzare Israele e costringerlo a impopolari interventi militari. Inoltre gli Iraniani sono indicati come i responsabili degli attacchi contro le truppe americane presenti sul suolo ira-cheno. È dunque evidente che le politiche

Mediorientali siano un argomento di rile-vante importanza: tutti i candidati hanno espresso la loro volontà di continuare un dialogo diplomatico con l'Iran, attraverso le organizzazioni internazionali. Ma tutti mantengono come ultima risorsa, sul ta-

volo delle trattative, un’opzione mi-litare contro il regime iraniano.In secondo luogo, i Democratici sono inclini ad avviare una effica-ce exit strategy dal pantano Iraq, coinvolgendo sempre più truppe irachene. Il candidato repubblicano McCain è invece colui che mantie-ne una c.d. linea dura, ricordando quanto sia necessario l'impegno mi-litare nell'area, per contrastare Al-Qaeda e prevenire nuovi attentati al suolo americano. "That's fine with me. We’ve been in Japan for 60 ye-ars, we've been in South Korea for 50 years or so".Infine, i candidati si sono concen-trati su diverse crisi internazionali,

in base all'elettorato che vorrebbero coin-volgere: così Obama ha mostrato interes-se riguardo la crisi in Darfur e il genocidio Armeno. Nel numero di Luglio-Agosto 2007 di Foreign Affairs, ha richiamato l'attenzione sulla necessità di una politica lungimirante, nel periodo dopo la guer-ra con l'Iraq, insieme con la necessità di un rinnovamento dell'apparato militare e diplomatico americano, per ristabilire gli Stati Uniti come "guida morale del mon-do".Tra le dichiarazioni di politica internazio-nale di Hilary Clinton, quella che spicca per la sua componente innovativa, riguar-da le Nazioni Unite. La candidata Demo-cratica ha espresso il desiderio di vedere, sotto la sua presidenza, un’organizzazio-ne riformata e potenziata nelle sue ca-pacità, con una comunità internazionale (Stati Uniti compresi?) più rispettosa nei confronti dell'Onu.Infine, rileggendo le dichiarazioni del candidato repubblicano McCain, sembra spesso di dimenticare l'epoca in cui ci tro-viamo, e ritornare indietro di una ventina d'anni, con il pericolo sovietico sempre incombente sulle democrazie occidentali: è sempre stato uno dei maggiori critici al Senato dell'ex presidente russo Vladimir Putin "I looked into his eyes and saw th-ree letters: a K, a G and a B".

McCain possiede però un buon vantaggio rispetto ai due giovani candidati demo-cratici: in quanto prigioniero di guerra in Vietnam, ha particolarmente a cuore la legislazione circa la detenzione e la tor-tura di prigionieri di guerra e terroristi. Sostiene fortemente la chiusura della base americana di Guantanamo, e la sottopo-sizione dei detenuti a regolari procedi-menti giudiziari, preservandoli dal rischio di subire torture.Le ultime elezioni delle primarie, non hanno visto affermarsi con chiarezza un candidato per il partito democratico. La parola spetta ora alla Convention del par-tito, che stabilirà entro l’estate, colui (o colei) che sfiderà il repubblicano McCain per la corsa alla presidenza.Il popolo americano ha espresso le pro-prie preferenze, e ora anche il presidente Bush, ha deciso per il sostegno del can-didato repubblicano. Tutto ora è rinviato a novembre, quando le votazioni (quelle vere) stabiliranno chi governerà gli Stati Uniti nelle sfide lasciate in sospeso dall’era post-Bush.

Diego Pinna

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SconfinareMarzo 2008 319 febbraio CUBA

Fidel Castro ha annunciato questa mattina che non tornerà a guidare la nazio-ne, dopo 49 anni di presidenza ininterrotta. In una dichiarazione al quotidiano Granma, organo ufficiale del Partito comunista cubano, l’ottantunenne Castro ha detto che non ha intenzione di chiedere un nuovo mandato presidenziale nell’as-semblea nazionale che si terrà il 24 febbraio. Al suo posto dovrebbe essere no-minato suo fratello Raul, che ha 74 anni ed è da tempo considerato il prossimo presidente di Cuba. Il suo ritiro cala il sipario su una carriera politica che ha at-traversato indenne la guerra fredda, riuscendo a sopravvivere all’inimicizia degli Stati Uniti, ai tentativi di assassinio della Cia e alla fine dell’Unione Sovietica.

7 marzo ISRAELEUn attentatore di origini arabe ha aperto il fuoco nel seminario di Merkaz Haravin, una delle scuole religiose più importanti di Gerusalemme, uccidendo otto persone e ferendo-ne altre dieci. L’attentatore è stato a sua volta ucciso. Per Gerusalemme e i suoi cittadini è un durissimo colpo che significa il ritorno del terrore dopo un periodo di relativa tran-quillità. L’ultimo attentato nella città, infatti, era avvenuto cinque anni fa. Hamas, pur non rivendicando l’attentato, ha festeggiato a Gaza. Il governo israeliano ha affermato che quest’attentato non deve compromettere il dialogo con le autorità palestinesi.

10 marzo28 febbraio VENEZUELA

Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno liberato, la notte scorsa, quattro membri del parlamento colombiano che tenevano in ostaggio. Si tratta di Gloria Polanco, Luis Eladio Pérez, Orlando Beltrán e Jorge Eduardo Géchem, sequestrati tra il 2001 e il 2002. Alla missione hanno partecipato il ministro dell’interno colombiano, Ramón Rodrí-guez Chacín, quattro funzionari della Croce rossa internazionale e Piedad Córdoba, la sena-trice colombiana che collabora col presidente venezuelano Chavez. Appena messi al sicuro, gli ostaggi hanno riferito che Ingrid Betancourt è viva ma in pessime condizioni di salute.

22 febbraio SERBIACentinaia di dimostranti che protestavano contro l’indipendenza del Ko-sovo hanno attaccato e bruciato ieri una parte dell’ambasciata statuniten-se nella capitale serba. L’intero personale dell’ambasciata è stato portato in salvo, ma le forze di polizia hanno trovato il cadavere carbonizzato di uno dei manifestanti. L’ambasciatore americano presso le Nazioni Unite, Zalmay Khalilzad, ha espresso tutto il suo sconcerto e la sua irritazio-ne, così come gran parte della comunità internazionale. I segnali seguiti all’indipendenza del Kosovo non fanno ben sperare.

Mondo

Il 2 Marzo si sono tenute le elezioni presidenziali in Russia. Il candidato del partito “Russia Unita”, Dmitry Medvedvev, è uscito dai seggi vincitore con il 70% dei consensi, confermando le aspettative dei sondaggisti russi e degli analisti stranieri. Si sono recati al voto, nell’arco degli undici fusi orari vigenti sul territorio russo, circa settantuno milioni di elettori su centodieci, quindi con una buona partecipazione al 78%. Queste elezioni sono di vitale importanza per il futuro della Russia, quindi dell’Europa e dell’Italia. Il Presidente Russo:In Russia vige un sistema semipresidenziale, questo implica che la carica di Presidente della Repubblica abbia un ruolo ben più importante che in Italia. Esso viene infatti eletto tramite elezioni dirette, il che significa che la legittimità del potere del Presidente è data direttamente dagli elettori e non dal parlamento, quindi la carica, che dura quattro anni, è difficilmente revocabile. Il Presidente della Repubblica detiene, oltre al controllo delle forze armate, il potere di nominare il primo ministro (con cui detiene il potere esecutivo), la cui carica è revocabile tramite sfiducia parlamentare o richiesta del Presidente. È proprio il Presidente a occuparsi di relazioni internazionali. Egli

Le elezioni presidenziali russeMedvedev, una nuova speranza?

presiede inoltre ogni seduta del governo e ha la possibilità di esercitare grande influenza sulle decisioni del parlamento poichè il suo compito è anche di dirigere la politica nazionale, detiene anche l’iniziativa legislativa insieme al parlamento. Può esercitare il veto su una legge approvata dal parlamento, che può essere superato solamente con una maggioranza di due terzi dei parlamentari; ha la possibilità di promulgare decreti e ordinanze d’urgenza su tutto il territorio. É proprio per questi motivi che la corsa per diventare Presidente è fondamentale.Numeri e testimonianze:Se si guardano i risultati di queste elezioni è facile dire che Medvedev ha trionfato. In effetti non c’è nemmeno stata competizione: i suoi rivali hanno preso insieme molto meno della metà dei suoi voti. Il comunista Zjuganov si è fermato a circa il 17%, il nazionalista Zhirinovsky all’11% e il leader del partito democratico filo massone Bogdanov a circa il 2%. I motivi di questa grande vittoria sono chiaramente legati al nome di Vladimir Putin. É stato proprio

Putin a sceglierlo come candidato alle presidenziali, preferendolo al silovik Ivanov a dicembre. L’appoggio del Cremlino è stato decisivo in particolare per due motivi: 1) Putin ha garantito al suo delfino un grande appoggio mediatico grazie al controllo delle TV di stato e finanziandone la campgna elettorale traendo fondi da altri grandi magnati dell’economia russa (come se ne avesse avuto bisogno... Medvedev è presidente del gigante degli idrocarburi Gazprom), denaro di cui invece gli altri partiti non hanno potuto godere. 2) Probabilmente a far vincere Medvedev sarebbe bastato avere l’approvazione di Vlad lo Zar. Potendo confrontarmi con due studentesse qui a Gorizia, una ucraina e l’altra russa, ho constatato quanto il sostegno di cui gode il presidente uscente sia forte in tutta la Russia e in tutti gli strati sociali, in particolare tra i ceti più bassi. È infatti tra i contadini delle immense lande siberiane che Medvedev ha avuto il suo maggiore bacino di elettori, grazie alle politiche fiscali inaugurate da Putin volte a favorire una distribuzione della ricchezza vieppiù maggiore col

Il caso del KosovoPunto di partenza per nuove rivendicazioni?

tempo: prima delle elezioni sono infatti stati approvati due piani economici che prevedono l’investimento di quasi cento miliardi di euro per migliorare le strutture sanitarie ed educative nei prossimi tre anni. Dai discorsi tenuti in campagna elettorale si è potuto evincere altro del programma di Medvedev: maggiore tutela dei diritti civili, lotta alla corruzione dilagante nel sistema giudiziario russo, politiche sociali volte all’aumento del benessere e della crescita demografica. Per i russi c’è davvero da incrociare le dita.Perchè Medvedev:L’unico, comunque minuscolo, rischio preso da Putin è stato quello di candidare un funzionario come Medvedev: molti russi infatti fanno notare quanto questi fosse sconosciuto tra la popolazione, convinta com’era che alla fine il candidato a succedergli sarebbe stato Ivanov, ex collega di Putin al KGB nonchè suo noto braccio destro. Un rischio che darà probabilmente i suoi frutti: Medvedev non potrà permettersi di allontanarsi troppo dai desiderata di Vlad, suo padre putativo in politica e arteficie del suo successo (anni fa fu proprio Putin a metterlo a capo di Gazprom).Elezioni, Glasnost o Tajnye:Dal confronto con questi “esperti diretti” ho notato come i fatti elettorali siano apparsi agli occhi del popolo russo del tutto legittimi: nessuno ha parlato di Tajnye (segretezza) riguardo lo svolgimento del voto, ma è anche vero che è difficile parlare della gorbacëviana Glasnost (trasparenza). Ad esempio: pochissimi osservatori internazionali hanno potuto verificare il rispetto delle norme democratiche nelle fasi di voto a causa del rifiuto del Cremlino di garantire la loro incolumità, che ha de facto tolto loro la possibilità di protestare in caso avessero riscontrato brogli. Altro esempio: quando ad aprile sono avvenuti gli scontri tra la polizia e alcuni membri del partito d’opposizione Altra Russia di Garry Kasparov, che hanno portato all’arresto di quest’ultimo, in pochi a Mosca ne erano a conoscenza o comunque lo hanno considerato un fatto di grande rilevanza politica. Ciò si è potuto verificare grazie al controllo pressochè totale dei mass media, dai giornali alle radio alle tv, di sostenitori di Russia Unita. Oltre al fatto che, in fin dei conti, per i russi, al momento, conta più mangiare che avere la libertà di stampa. Per quella ci sarà tempo.

Edoardo Da [email protected]

Uniti e dall’altra invece di quelle che mai la riconosceranno: in primis ovviamente la Serbia, ma anche altri Stati quali ad esempio Russia e Spagna fortemente preoccupate dell’effetto che tale situazione possa avere sulle minoranze presenti nei loro territori. Paradossalmente, anche all’interno dello stesso Kosovo neocostituito, la zona a nord del fiume Ibar a maggioranza serba minaccia di chiedere il ricongiungimento alla madre patria.“Attenti, si rischia un effetto domino” è stato, e non a torto, il primo commento di Putin: l’ormai, anche se solo formalmente, ex presidente russo vede il fantasma della Cecenia ma anche delle regioni dell’Abkazia e l’Ossezia che hanno dichiarato più volte (l’ultima il 5 marzo scorso) la volontà di staccarsi dalla Georgia e che in questo modo comprometterebbero l’equilibrio geopolitico dell’area. Molte sono le situazioni che potrebbero prendere spunto dal Kosovo per rinvigorire e legittimare le proprie richieste. In Scandinavia, ad esempio, il governo delle Fær Øer ha affermato la volontà di voler fare entro il

2010 un referendum, come primo passo verso la piena indipendenza: l’autonomia politica ottenuta dalla Danimarca nel 1948 non basta più. Lo stesso sta pensando di fare la Groenlandia, anch’essa dotata già di un governo ma che intende essere sia padrona del proprio destino politico che di quello delle ricchezze del sottosuolo. La Spagna si è affrettata a dichiarare la sua opposizione al Kosovo, soprattutto dopo l’entusiasmo del governo regionale basco, guidato dal Partito Nazionalista Basco (Pnv), che danni persevera nel richiedere che tale trattamento sia riservato anche al loro territorio. Senza dimenticare le richieste, presenti anche se meno assidue, dei Catalani. Anche la Scozia ha tentato in qualche occasione di approvare un distaccamento dal Regno Unito, ma il progetto è stato tralasciato per un lungo periodo, anche se adesso sta riprendendo forza. Allontanandosi dal contesto Europeo, altro esempio si può trovare in Bolivia: il precedente kosovaro preoccupa il presidente Evo Morales, che si trova da mesi di fronte all’insurrezione dei cinque

dipartimenti dell’Est: essi hanno una base etnica diversa da quella massicciamente indigena che lo ha plebiscitato a Ovest, ma sono allo stesso tempo i più ricchi, e quindi i quasi esclusivi fornitori proprio di quegli idrocarburi con cui Morales vuole finanziare la sua politica. I cinque dipartimenti hanno adottato un’autonomia politica mai riconosciuta dal governo centrale. In Canada, una parte del Quebec vorrebbe l’indipendenza, ma entrambi i referendum hanno dato esito negativo. E chi non ricorda poi il Kashmir, stanco del perenne stato di emergenza e desideroso di amministrarsi autonomamente? Oppure gli Uiguri e i Mongoli in Cina? Numerosi sono dunque i casi che potrebbero essere analizzati e che perciò destano la preoccupazione della comunità internazionale. Proprio per questo il caso del Kosovo ha aperto nuovi scenari e potrà essere preso come punto di riferimento per le generazioni presenti e future in quanto simbolo della possibilità di affermazione delle minoranze.

Lisa Cuccato

CONTINUA DALLA PRIMA

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Sconfinare Marzo 20084Politica Nazionale

10 Febbraio 10 MarzoCasini corre da solo“Perché mai dovrei impegnarmi in una battaglia a fian-co diuna persona in cui non credo più?”. È con queste parole chePier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, ha spiegato la sua decisone di rompere l’alleanza elettorale che lo lega aSilvio Berlusconi da 14 anni.

Berlusconi vuole Alitalia italianaLe due compagnie erano pronte al decollo. Ma SilvioBerlusconi si è messo di traverso sulla pista. L’expresidente del consiglio ha infatti lasciato intendere che,quando il 14 marzo il gruppo franco-olandese Klm-Air Francepresenterà uf-ficialmente la sua offerta d’acquisto perAlitalia, potrebbe opporsi all’operazione.

La ‘ndrangheta in ascesaLa ‘ndrangheta è come Al Qaeda, la rete terrorista di Osambin Laden. A questa allarmante conclusione è arrivato unrapporto della commissione antimafia del parlamentoitaliano, che mette in guardia sul crescente peso dellamafia calabrese, considerata oggi la più pericolosa inItalia e una delle più temibili al mondo.

Grillo premiato da ‘Observer’Beppe Grillo, unico italiano, figura tra i cinquanta più potenti ‘blogger’ del pianeta in una classifica pubblicata a Londra dal do-menicale ‘Observer’: il comico genovese è al nono posto in asso-luto e viene definito “una farsa con la quale si deve fare i conti”.

Laido è chi il laico fa “Si direbbe che alle razze latine inerisca il cattolicesimo in maniera molto più intima di quanto non accada per l’intero Cristianesimo in generale a noi gente del nord; e che di conseguenza l’incredulità nei paesi cattolici debba significare qualcosa di molto diverso da quello che essa significa nei paesi protestanti,…” F. Nietzsche - Aldilà del bene e del male 1886.

Caro mio, devo ammettere che avevi ragione. È passato molto tempo da quando io e te discutevamo nei bar di Torino di animalismo e religione. A distanza di tempo le tue parole che tanto mi avevano fatto soffrire adesso mi sono più chiare e posso ammettere che avevi ragione. Il pazzo non eri tu.

Il Cattolicesimo in Italia è cultura e fa parte intrinsecamente delle radici di questo Paese, nel bene e nel male. È identitario, è importante conoscerlo e necessario capirlo se si vuole appieno comprendere le complesse dinamiche italiane da 2000 anni a questa parte. La nostra sfortuna purtroppo è che nel frattempo gli Italiani non sono cresciuti, anzi per qualche aspetto potremmo dire che c’è stata una vera e proprio involuzione dai nostri padri fondatori monarchici e repubblicani in poi.

Diciamo innanzi tutto, a scanso di equivoci, che siamo tutti per la libertà di parola e tutte le altre benevolenze del caso. Tutti possono parlare, tutti hanno diritto di parola anche se questo non è affatto un

diritto assoluto. Noi in Italia dovremmo saperne qualcosa: questo Paese si mette agli ultimi posti europei per libertà di informazione, immaginate quindi con quanta ignoranza e cognizione di causa la gente parla. La libertà di stampa è la libertà di parola e di opinione!

Resta il fatto che chiunque osi criticare la Chiesa viene travolto sistematicamente da uno tsunami mediatico che regolarmente trasforma un civile dissenso in una battaglia di idee che a rigor di logica, almeno in certi salotti politici, canonici o accademici, dovrebbe essere perlomeno moderata. Nell’ultimo mese ne ho sentite veramente troppe, non si riesce ad uscire dai soliti luoghi comuni tra laicismo e laicità, libertà di espressione e attività eversive censorie; sembra che sia necessario prendere una posizione di coscienza, ideologica.

Dei professori della Sapienza sono stati definiti violenti censori dall’opinione pubblica e da buona parte dell’intellighenzia italiana per aver messo in dubbio la legittimità di assegnare il discorso di inaugurazione dell’anno accademico di uno dei più prestigiosi atenei scientifici d’Italia al Papa, quel signore che ancora considera Darwin un delinquente e il processo a Galileo un normale procedimento giudiziario.

Diciamo che probabilmente non è stato molto elegante invitare qualcuno per poi dirgli che tutto sommato non era gradito. Ma questa è buona educazione e probabilmente certi panni sporchi andrebbero lavati in famiglia. Di libertà di opinione e di parola , però, il Papa ne ha in abbondanza nel suo Stato e per molti versi anche nel nostro.

A me sembra accettabile che una nutrita schiera di professori universitari di uno dei più importanti atenei non abbia ritenuto conveniente una lectio magistralis di questo Papa per dare l’indirizzo accademico del nuovo anno. Nonostante sia un’autorevole voce per il Cattolicesimo, quest’uomo, come tale, è stato professore universitario per tanto tempo nelle Università Pontificie e in Germania e non sembra, a quanto si dice, aver mai brillato per le sue grandi scoperte rivoluzionarie. E, dopotutto, non puoi negare giustizia a Galileo, presentarti in una arena scientifica e non suscitare perlomeno risentimenti da parte di quelle

persone che non ti considerano infallibile, che valutano le tue parole con cartesiana memoria senza contare che su di te è sceso nel frattempo lo Spirito Santo durante il conclave.

Ma queste sono solo opinioni personali, se ne sono sentite migliaia e non fanno altro che oscurare i fatti rendendoli inutilmente concettuali e falsamente ideologici.

Al papa nessuno ha tolto il diritto di parola, tanto meno in questa circostanza dove addirittura mancava il suo diritto di parola. Una indelicatezza procedurale non può viziare il risultato: probabilmente il Rettore, prima di invitare il Santo Padre, avrebbe fatto bene a consultare il suo Senato Accademico. Ma se abbiamo problemi noi nella modesta Trieste, anzi all’interno della nostra stessa Facoltà, di cosa ci stiamo stupendo? Detto ciò, il tema della libertà di espressione in una situazione come questa non è assolutamente pertinente.

Ma perché tutta questa indignazione invece non esplode dopo che per l’ennesima volta l’Europa boccia la nostra gestione delle reti televisive e il nostro oramai conflitto/complesso d’interessi; quello è alla base della vera censura, della censura di informazioni, della vera mancanza di libertà di espressione.

Paradossalmente la stessa maggioranza silenziosa che difende a spada tratta i “diritti papali” corre poi a soccorso dei rappresentanti dei partiti più o meno cattolici o di tale ispirazione. Caso emblematico è il clan Mastella, che

sicuramente avrà meno ragione di Galileo, ma non si capisce perché al contrario abbia ricevuto (da vivo) tutte queste dimostrazioni d’affetto. E anche qui Nietzsche, ti riveli più puntuale di Del Debbio: l’incredulità della maggioranza si focalizza sugli elementi particolari e personalistici piuttosto che sulla sostanza. Aldilà dei dettagli giuridici più o meno sostanziali per il nostro ordinamento, le intercettazioni descrivono chiaramente la fatiscenza del sistema Italia. Il malcostume purtroppo non è un reato e a piazzare uomini di fiducia in posti di potere da 6 cifre per stipendio al mese probabilmente lo fanno tutti ma, per favore, non dite né di essere cristiani né che va bene così.

Mai come adesso, mio caro Fried, il monito di S. Paolo mi sembra attuale non solo per i Cristiani ma per tutti gli Italiani, un’agognata aspirazione civica ed etica: “vagliate tutto, trattenete il valore” S. Paolo( 1 Ts. 5, 21.)

un abbraccio,

Giacomo Antonio Pides

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Sconfinare2008 Marzo 5Politica Nazionale

Giuliano Ferrara e il Partito “Per la Vita”,Alcune considerazioni

Con la scelta dell’imprenditore veneto Massimo Calearo di candidarsi come capolista per il PD nel collegio Ve-neto, si apre la polemica(prevalentemente all’esterno del partito) sulla possibilità del-la convivenza di questa figura nuova con la linea ideologica di sinistra, che dall’altro lato candida in Piemonte (forse con più coerenza storica) l’operaio e sindacalista superstite al rogo nell’acciaieria Thyssen a Torino, Antonio Boccuzzi. Le critiche sono piovute fitte dall’opposizione, ma soprat-tutto dai vecchi alleati dell’estrema sinistra, che impersonata nelle persone di Fausto Bertinotti e Franco Giordano non ha usato toni gentili per biasimare un centro sinistra che sembra aver firmato un patto elettorale col “diavolo” Confindustria. Calearo, pur non negando la sua abituale estraneità alle istanze di sinistra, parla oggi di cambiamento possibile, di dialogo necessario tra imprenditori e impiegati, vitale per la ripartenza della pro-duttività nel Paese. Questa sua candidatura è stata ottenuta da Walter Veltroni a seguito di un dialogo sulla necessità di più spazio alla regione Veneto, anche in una even-tuale compagine governativa. Insomma: una personalità del “mondo produttivo” veneto a capo di un ministero. Calearo non parla espressamente di se stesso per questo ruolo, ma lo lascia intendere. Dal loro punto di vista, né il PD né la Confindustria vivono questa parti-colare scelta come traumatica. Il partito di centro sinistra include la candidatura dell’imprenditore nell’ambito di una aper-tura a classi sociali(se in questi termini è

Il dibattito sulla legge per l’aborto visto da una ragazza poco più che ventenne

Negli ultimi mesi molte pagine sono state dedicate dai giornali al dibattito iniziato da Giuliano Ferrara su una possibile moratoria sull’aborto, dibattito che ha diviso il Paese e che forse ha contribuito al crollo del già precario governo Prodi. Quel che è certo è che Ferrara è riuscito a costruire un partito su questa sua campagna ed ha trovato per-sone che hanno sposato la sua causa. A di là del fatto che la decisione di fondare un partito dall’oggi al domani su questioni così specifiche e delicate può essere opinabile, devo dire che è stato unanimemente ricono-sciuto che il pensiero di Ferrara e del Partito non è ancora stato ben definito e nemmeno a costoro è ancora chiaro che cosa vogliano: Ferrara ha infatti più volte ribadito che lui è contro l’aborto, ma che non vuole toccare la legge 194, e che è un diritto delle donne decidere del proprio corpo. Spero che sia solo un problema di comunicazione e non sia davvero così indeciso sulle sue posizio-ni, dato che è andato a toccare un tasto molto delicato sia per coloro che sono a favore sia per coloro che sono contro l’aborto. Seguendo il dibattito in questi mesi ho ri-flettuto molto su questo diritto, sulle ragio-ni adite dagli uni e dagli altri e ho sentito il desiderio di esprimere il mio pensiero su questo tema sia in quanto giovane che è nata ben dopo l’entrata in vigore di tale legge che

oggi ancora opportuno parlare) diverse da quelle dello standard storico di PCI, PDS, DS. La politica economica stessa dell’ul-timo governo Prodi, connotata da scelte di liberalizzazione e sostegno alla produzione, ha avvicinato gli imprenditori all’attuale linea politica del centro sinistra. Confin-dustria, per parte sua, commenta positi-vamente: Montezemolo ha apprezzato la discesa in campo di Calearo, caldeggiando la presenza di imprenditori anche tra le fila di altri partiti. Ciononostante, Confindustria è ben lontana da uno schieramento politico aperto, rimanendo una forza all’interno della politica, ma al di fuori dei partiti. Il fatto pone però, al di la della contingenza del valore elettorale della scel-ta di Calearo, la necessità di comprendere il peso storico, sociale, per certi versi anche culturale di una tale svolta. Sembra che la manichea divisione tra padrone e salaria-to si stia affievolendo, che qualcosa nella percezione dei facenti parte di quelle che erano le vecchie “classi” stia cambiando. Sembra che, contestualmente, stia cambian-do anche il rapporto che questi due soggetti intrattengono col terzo attore, lo Stato, e la considerazione che questi ne hanno.Certo, le ataviche diffidenze reciproche non muoiono così facilmente, e a testimoniarlo ci sono i commenti dei leaders dell’estrema sinistra(e probabilmente i risultati eletto-rali che questi conseguiranno), ma il passo compiuto è comunque significativo. Ci sono tuttavia dei fattori che sicuramente hanno contribuito a iniziare a

muovere qualcosa nella percezione sociale degli italiani. Identificarli non è semplice, e l’operazione rischia di condurre a delle interpretazioni troppo personali. Nono-stante ciò, è utile iniziare a interrogarsi su quali sono i moti societari e di coscienza che animano i cambiamenti della politica italiana oggi, per non rimanere spiazzati o eccessivamente rigidi e ideologici davanti alla novità. Se si vuole rifiutare l’idea che la scelta di Calearo sia di mera opportuni-tà e convenienza elettorale(e quindi non rappresenti un indicatore importante), si può notare come(per lo meno a partire dalla regione in cui verrà votato, il Veneto) la base elettorale tradizionale del centro sinistra tratti con più confidenza e meno irretimento pregiudiziale la dirigenza indu-striale, il “padrone”. Questo è certamente dovuto a un nuovo volto che la presidenza Montezemolo ha conferito a Confindustria nel suo insieme: dal 2004, pur ammantan-dosi a volte di un fascino un po’ troppo populistico, ha saputo criticare la destra laddove questa costringeva l’economia del Paese all’impasse e all’immobilismo, e ha benevolmente elogiato la sinistra quando questa ha creduto a un’economia dinamica e libera. Una tale disponibilità d’opinione e onestà slegata da impegni politici ha sicuramente contribuito a far considerare la componente industriale un interlocutore con cui è possibile trattare senza trovarsi muro contro muro, per lo meno per quanto riguarda la politica economica del Paese in

generale.Secondariamente, la situazione sociale che negli ultimi cinquant’anni ha creato un’industria “pulita” per quanto riguarda le condizioni medie di trattamento economico e di vivibilità(per lo meno nella vetrina dell’indutrialismo italiano, alcune ricche valli venete) ha fatto crescere la fiducia nel-la buona gestione d’azienda come cammino virtuoso nella lotta alla disoccupazione, e ha connotato la produttività positivamente, agli occhi del popolo di destra come di quello di sinistra. Rimane da verificare come questo moto di fiducia e apertura saprà mitigarsi e adattarsi al dialogo inevitabile nell’even-tualità di un governo condiviso con un PD che non è in tutte le sue frange autentica-mente progressista, ma che per necessità fi-siologica del momento di riforma ideologi-ca ospita ancora posizioni più intransigenti, verso sinistra. Ciò è particolarmente evi-dente oggi, nella questione della sicurezza del lavoro. Il decreto, partorito d’urgenza dopo l’ennesima tragedia, quella di Molfet-ta, è stato approssimativamente sviluppato dal governo Prodi in fine mandato, e ciò ha innescato le aspre critiche del mondo indu-striale sotto la bandiera di Confindustria. Attendiamo dunque l’esito elet-torale per capire se i tempi sono maturi per un passo importante ma oneroso come quello di una maggiore comprensibilità tra mondo industriale e sinistra al potere.

Davide Caregari

L’imprenditore e il sindacalista operaio:uno strano matrimonio a sinistra

in quanto donna. La questione dell’aborto è sempre stato un tema molto delicato da trattare perché chia-ma in gioco molte forze che pertengono alla sfera più intima e meno razionale della per-sona: da un lato l’interruzione di gravidan-za, sia essa volontaria o naturale, è di per sé un evento sconvolgente e doloroso per una donna; dall’altro vengono chiamate in causa componenti come la fede che spesso rendono il dibattito complesso e non foriero di incomprensioni. Per questo credo che sia difficile parlare di ciò e soprattutto non sia il caso di utilizzarlo come vessillo durante una campagna elettorale: un tema come l’aborto dev’essere a mio parere discusso in un’are-na che coinvolga direttamente la società e questa non è certo incarnata nel Parlamento che tanto per cominciare non rappresenta equamente uomini e donne e che credo ab-bia questioni più importanti su cui prendere decisioni che non quella di rivedere la legge sull’interruzione di gravidanza. La legge oggi in vigore in Italia è una leg-ge che tutela i diritti sia della madre che del feto, ed è ritenuta da molti esperti una legge competente e all’avanguardia per i tempi in cui è stata scritta: essa esprime il possibile esercizio di un diritto che risulta essere doloroso e difficile sia per chi lo eser-cita sia per chi preferisce non farlo. Quello che spesso viene dimenticato a mio parere quando questi politici o intellettuali parla-no della pratica dell’aborto è il fatto che ciò

non viene fatto a cuor leggero dalle donne, che la possibilità di abortire non implica che esse abbiano un comportamento più liberti-no o più irresponsabile: le motivazioni che solitamente portano all’interruzione volon-taria di gravidanza trovano le proprie radici in realtà private dolorose, nella coscienza dell’impossibilità di poter garantire ad un figlio un qualsiasi tipo di futuro. Benché la legge formalmente dica che lo Stato si deve adoperare per appianare le difficoltà che portano una donna ad abortire, di fatto ciò non viene fatto, quindi la donna si trova a dover prendere da sola una decisione molto difficile che va a determinare il proprio fu-turo e quello di un possibile figlio. Quando si parla di aborto, coloro che sono a sfavore spesso adducono come motiva-zione la necessità di affermare il diritto alla vita, quindi il diritto di ogni essere concepi-to a vivere. Ma forse sarebbe bene dedicar-si innanzitutto a tutelare il diritto alla vita della madre. Credo che siano nella mente di tutti le immagini del film “Quattro mesi, tre settimane, due giorni”, ritratto crudo delle pratiche abortive in Romania al tem-po di Causescu, immagini che non credo si distanzino molto da quelle che prima del 1978 si verificavano quotidianamente anche in Italia. Il diritto ad essere operate in una struttura adeguata, da personale competente e in condizioni igieniche decenti, la possi-bilità di decidere del proprio corpo senza venir vista come colpevole agli occhi della

legge, la possibilità di vedere tutelati i pro-pri diritti fondamentali di salute e di libertà di decisione è il minimo che lo Stato possa garantire alle proprie cittadine. Altra domanda a cui pare che Ferrara&Co. non abbiano cercato di dare risposta è che cosa si intende per diritto alla vita. Benché sia una domanda a cui non è possibile dare una risposta unanime nel mio piccolo cre-do che in questo contesto specifico oltre alla vita intesa come vita dell’organismo sia necessario tenere conto della qualità della vita che quest’essere umano avrà: quel che intendo dire è che per un essere umano la cosa fondamentale per crescere e divenire una persona è l’amore, e se questo manca proprio nei primi momenti della vita ciò si ripercuoterà su tutte le fasi successive della sua vita e sulla capacità di relazionarsi con gli altri. Come scrisse Calvino nel 1975, “un essere umano diventa tale non per il casua-le verificarsi di certe condizioni biologiche, ma per un atto di volontà e d’amore da parte degli altri”. Concludendo, credo che quello all’aborto sia un diritto inviolabile, dato che è l’unico modo per rendere meno crudele una decisio-ne già di per sé lacerante, e che chiunque tenti di abrogarlo non pensi al bene delle donne, e anzi tenti di condannarle ad una condizione d’inferiorità e a dei patimenti inutili ed inumani, che nella nostra società sono inammissibili.

Leonetta Pajer

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Sconfinare 2008 Marzo6Gorizia

In poco più di quindici anni la Slovenia si è liberata dal gioco del Socialismo Jugoslavo e si è imposta a nazione di riferimento per tutta l’area del centro sud Europa.Correva il 1991 quando a Nova-Gorica si sono visti i carri armati, e quando all’aeroporto di Lubiana si sono viste scene di pura guerriglia con da un lato l’esercito Jugoslavo e dall’altro i miliziani protetti dall’allora ministro della difesa Jansa, attuale Presidente del Governo sloveno. Oggi, nel 2008, tra Nova-Gorica e Gorizia non ci sono più barriere e a Lubiana, divenuta vera e propria capitale, atterrano una marea di voli low-cost come in tutto il resto dell’Europa occidentale. Un vero e proprio miracolo di tipo economico, politico e sociale che trova le sue basi in molteplici fattori come la non partecipazione alla Guerra civile Jugoslava, la spiccata imprenditorialità, la diffusa ricchezza (se comparata al resto dei Balcani e all’Europa Orientale), la giovane età media della popolazione, e soprattutto gli ottimi rapporti politico-economici con Austria Italia e Germania. Tali fattori sono stati, e sono il motore che ha permesso alla piccola Repubblica di avviare i primi negoziati di adesione all’Unione Europea già nel lontano 1996 (a cinque anni dall’indipendenza), di farvene parte nel 2004, di aderire alla moneta unica nel 2007 e di presiedere per il primo semestre 2008 l’Unione Europea. In questi mesi la Slovenia si troverà di fronte alla sua più grande sfida degli ultimi anni: dimostrare all’Europa ma anche agli Stati Uniti di essere in grado di gestire e anche, dove possibile, risolvere le importanti questioni dell’Europa Balcanica. Purtroppo i primi avvenimenti

sembrano giocare a sfavore degli obiettivi che il Paese si era posto. In primo luogo il clamoroso incidente diplomatico avvenuto tra Slovenia e Stati Uniti, ha fortemente ridimensionato la credibilità del piccolo Paese. Ovviamente molte altre partite sono ancora da giocare, e questi sei mesi di presidenza non potranno che far bene alla Slovenia. Oltre a tutte le problematiche relative allo sviluppo del Paese, in questi sei mesi la Slovenia dovrà affrontare tre questioni fondamentali per lo sviluppo dell’Unione. In particolare dovrà accompagnare la prima parte del processo di ratifica del nuovo trattato europeo, dovrà sviluppare ed iniziare ad attuare le linee guida della strategia di Lisbona, e soprattutto, come sopradetto, dovrà cercare di dare stabilità all’area balcanica attraverso la risoluzione delle problematiche in sospeso con la Croazia e soprattutto attraverso la definizione di uno statuto per il Kosovo.. Proprio la questione Kosovo ha infiammato le prime settimane di presidenza, infatti secondo un dossier clamorosamente desecretato gli Stati Uniti avrebbero chiesto alla Slovenia di divenire, nel suo semestre di presidenza, il primo Paese a riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Ovviamente la questione che doveva rimanere segreta per ovvi motivi, divenendo di pubblica conoscenza ha fortemente complicato la situazione e si è ben visto come la situazione sia sfuggita di mano, relegando la piccola Repubblica di Slovenia ad un ruolo fortemente marginale sulla questione.La presidenza slovena oltre a far i conti con le passate presidenze di Germania e Portogallo si trova anche a confrontarsi con l’attesissima presidenza francese nel secondo semestre

2008; sfide indubbiamente importanti e complesse per un piccolo Paese di appena 2 milioni di abitanti, sfide però fondamentali per un Paese che vuole divenire fulcro di un’Europa sempre più spostata ad Est.

Marco Brandolin

Presidente d’EuropaLa Slovenia ed il suo semestre di presidenza

Dopo il frastuono delle ultime settimane politiche ci troviamo immersi fino allo sfinimento nell’ennesima campagna elettorale sia a livello nazionale che regionale.Anche a livello regionale si sono visti e si stanno tuttora vedendo grandi movimenti all’interno dei due maggiori schieramenti, soprattutto per quanto riguarda il fronte di centro destra. Se da un lato Intesa Democratica, riproponendo il candidato attuale, Riccardo Illy sembra riconfermare la squadra che ha governato negli ultimi cinque anni, il centrodestra a meno di due mesi dal voto non ha ancora trovato un candidato unitario e potrebbe presentarsi spaccato, per la gioia di Illy, che non gode di ottima salute politica. Forza Italia ed Alleanza Nazionale stanno appoggiando, ormai da diversi mesi, la candidatura di Renzo Tondo, già Presidente della Giunta regionale. La figura di Tondo gode di ampio appoggio popolare soprattutto nel Friuli, dove al contrario Illy non è ben visto a causa della sua “triestinità”. Tondo infatti stando agli ultimi sondaggi, batterebbe, in un confonto diretto, Illy non solo nella Provincia di Udine ma anche in quella di Pordenone e probabilmente anche nella città di Gorizia. Con questi numeri una riconferma dell’attuale Governatore risulterebbe difficile da prevedere. Ma tutto quello che è stato fin qui detto, cade di fronte alla sempre più forte possibilità che la Lega Nord si presenti da sola alle prossime elezioni. In una regione come il Friuli Venezia Giulia, ciò provocherebbe una clamorosa e sonora sconfitta per la coalizione di centro destra che verrebbe a trovarsi privata di circa il 5-7 % dei voti.Vista dal di fuori questa sembrerebbe essere una mossa definibile solo come “suicida”, in quanto porterebbe alla sicura riconferma dell’attuale coalizione di governo. Dietro a queste scelte sembrerebbero esserci due cause ben definite, da un lato un odio personale tra Renzo Tondo ed Alessandra Guerra, mentre dall’altro ci sarebbero le

promesse nei confronti della Lega di un possibile assessorato, magari quello alla cultura. Per quanto concerne lo scontro frontale tra i due massimi esponenti del PDL e della LN, la problematica risale come minimo a cinque anni fa quando tra i due ci fu uno scontro durissimo su chi dovesse guidare la coalizione di centro destra alle passate elezioni regionali, la scelta in quella data ricadde su Alessandra Guerra, ragazza prodigio dei movimenti per l’autonomia locale di tutti gli anni novanta. Guerra in quelle elezioni perse sonoramente non solo in Provincia di Gorizia e Pordenone ma ci fu addirittura un vero e proprio plebiscito per Illy nella città di Trieste e nella sua Provincia con punte che toccavano l’80% dei voti. Di fronte a tale sconfitta, la figura di Alessandra Guerra sembrava definitivamente destinata a diventare solo un brutto ricordo per il mondo del centro destra, ma oggi a cinque anni da quei giorni sembra, per i votanti del PDL, di rivivere lo stesso incubo politico. Questa volta, almeno, sembrerebbe esserci un fine politico, la promessa dell’assessorato alla cultura. Infatti, almeno stando alle voci uscite nei giornali locali, sembrerebbe esserci nelle intenzioni di Illy la volontà di un “appoggio esterno” della Lega o almeno degli autonomisti più convinti, nei confronti della Giunta al fine di appoggiare con ancora maggior forza la Legge Regionale sulla difesa della lingua friulana, che è stata (per fortuna N.d.R.) bocciata a livello nazionale.Ciò che attende il Friuli Venezia Giulia, è un periodo di campagna elettorale molto meno combattuta rispetto cinque anni fa, dove proprio da qui partì la disfatta berlusconiana. Sembrano infatti ben definiti possibili risultati: se la Lega appoggierà il candidato Tondo il centro sinistra, o meglio Intesa Democratica, sarà destinata ad una probabile sconfitta; viceversa se la Lega non aiuterà il centro destra ci saranno ottime o meglio sicure possibilità per l’attuale maggioranza, di riconfermare l’attuale squadra di governo.

Marco Brandolin

Regionali 2008Il Friuli al voto

Nell’ambito delle conferenze seminariali promosse dal Movimento Federalista Eu-ropeo, si è dato particolare rilievo alla nuo-va situazione che interessa da vicino l’area del nord-est Italia, in particolare le città di Gorizia e Trieste: l’apertura del confi-ne italo-sloveno. A tal proposito, nell’aula magna del nostro istituto è stato invitato a discorrere dell’abbattimento delle frontiere l’illustre ambasciatore italiano in Slovenia Daniele Verga. Ambasciatore a Lubljia-na dal 2004, è stato un attento osservatore dell’evoluzione che ha portato ad un ulte-riore allargamento dell’Europa verso est. Un allargamento complesso, senza ombra di dubbio, soprattutto dal punto di vista storico, politico ed economico. Sappiamo infatti quali sono le condizioni- in partico-lare economiche- da rispettare per entrare nell’area Schengen e sappiamo anche qua-li sono le difficoltà affrontate dai paesi re-

clamanti l’ingresso nell’UE. La Slovenia, comunque, ha un’economia galoppante, in constante crescita, grazie anche a particola-ri scelte economiche azzeccate- ad esempio lo sviluppo di grandi ed efficienti imprese pseudo-nazionalizzate, come la HITstar dei Casinò di Nova Gorica.Adesso la Slovenia si troverà a dover affron-tare il semestre di presidenza del Consiglio Europeo in cui dovrà, oltre a gestire i vari temi ereditati dalle precedenti presidenze: ratificare il trattato di Lisbona, sperando che la ratifica arrivi anche da tutti gli altri paesi; occuparsi di energia ed emissioni; aver cura di attuare un politica di buon vi-cinato favorevole all’allargamento- nel caso di Italia e Slovenia c’è un’identità di vedute- ; aumentare la sicurezza nei paesi dell’area Schengen, ma anche fuori di essa, prestan-do una particolare attenzione al Mediterra-neo, che in questo delicato momento stori-

co risente molto dell’instabilità soprattutto mediorientale.Saprebbe delineare i principali vantaggi e svantaggi che scaturiscono dall’apertura del-le frontiere? L’apertura dei confini è un traguardo, rap-presenta uno spazio di comunicazione e di movimento. Simbolicamente, è un’Unione Europea che si afferma fisicamente. Soprat-tutto per Gorizia, è il superamento di una fase storica, delle divisioni ideologiche. In più vi sarà un incremento del commercio per entrambi i paesi, uno stimolo allo spi-rito imprenditoriale che ovviamente dovrà fondarsi su una sana competizione. Non vedo dei particolari aspetti negativi, anche in tema di sicurezza: abolizione delle frontie-re non vuol dire abolizione della vigilanza. Anzi, si è rafforzata, soprattutto in seguito all’accordo di Cooperazione Transfrontalie-ra di Polizia tra Italia e Slovenia.

Lei che è presente sul territorio sloveno da diversi anni, sa dirci com’è l’Italia vista dagli Sloveni?Con molto piacere posso assicurarvi che c’è una grande ammirazione per il nostro pa-ese, in particolar modo per il suo patrimo-nio culturale. Quindi dal fascino che l’Italia promana, ne deriva un grande desiderio di conoscenza: ogni sloveno è andato almeno una volta nella sua vita in Italia. Per non parlare poi del bilinguismo, che è molto diffuso, più che dalle nostre parti, anche se, bisogna ammetterlo, per ragioni più che al-tro di convenienza. Quando il 20 Dicembre sono state abbattute le frontiere, si sono re-alizzati i sogni di molti, in primis quello di Altiero Spinelli. Ma è giusto ricordare che le barriere “interiori”- ideologia, sentimento- erano già state abolite.

Federica Salvo

La Slovenia e la presidenza EuropeaIl parere dell’amb. Daniele Verga

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Sconfinare2008 Marzo 7Cultura Glocale

NIENTE DA DICHIARAREStorie e ritratti di sessant’anni di confine

La piccola sala della Biblioteca Isontina è gremita di gente impellicciata e ben profumata: presentano un libro sul confine! Qualche manifesto e un buon passaparola hanno convinto molti goriziani a uscire di casa, per andare a riascoltare qualche aneddoto frontaliero. Secondo il suo editore, Roberto Covaz affronta ogni pagina con curiosità e umiltà. Il suo libro nasce da una paziente ricerca di soggetti e di situazioni, che l’autore ha trovato nei luoghi più insoliti: nel cimitero di Merna una tomba è stata “profanata” dal confine frettoloso che l’ha tagliata a metà; dal campo dei fratelli Zoff , passato alla Jugoslavia nel ’47, di notte proveniva il rumore degli spari dei graniciari contro chi voleva fuggire in Italia; nel “museo del confine” alla Transalpina, il pezzo forte è la grande stella rossa di lamiera, il simbolo socialista che Tito aveva «sbattuto in faccia ai goriziani» appendendolo alla stazione. È nata così una bella collezione di ritratti lucidi, dipinti lungo la frontiera, che sanno essere impietosi pur senza emettere giudizi. Mi ha colpito molto la vicenda di Rado, strillone del Piccolo accusato di essere un collaborazionista di Tito, uno dei responsabili delle deportazione di centinaia di goriziani morti nelle foibe. A questo proposito, Covaz scrive: «A Gorizia, forse per questo passato di spie, resiste purtroppo ed è diventata un’incrostazione della città la diffidenza verso tutto quello che non è goriziano».

L’incontro scorre via veloce. Paolo Rumiz, giornalista triestino di Repubblica, ripercorre i passaggi più curiosi. Sfoglia le pagine e segue la storia di Roberto – nel libro, Covaz racconta in terza persona alcuni episodi della sua vita – il protagonista del libro che cresce con il confine e oggi lo ha visto spari-re. Tra rievocazioni e aneddoti, “Niente da dichiarare” non dimentica di volgere lo sguardo a presente e futuro di questa terra. Gorizia e Nova Gorica oggi: «perizoma e doppiopetto». Gli sloveni «si sono disfatti dei pesanti paltò dei graniciari e si sono trovati con i perizoma delle ballerine dei casinò». Di là si va in bicicletta. Ci sono giovani disposti a rinunciare a una domenica pomeriggio al mare per tenere aperto il museo del confine e raccontare la storia della loro città anche ai turisti italiani. «Gorizia, in-vece, li dimostra tutti i suoi anni. Si ostina a considerarsi un aristocratico al quale certi riguardi sono dovuti in onore di quel trapassato remoto che nessuno sa più coniugare, senza accorgersi che intorno a lui il mondo cambia, corre, si adatta».

Quando, comprato il libro, ho letto queste parole, ho ripensato a quel pomeriggio in biblioteca. La gran parte del pubblico era anziano, curioso di riscoprire qualche tratto comune della sua giovinezza. Immagino che abbia provato un po’ di sconforto quando, alla fine dell’incontro, l’attore goriziano Gianfranco Saletta lo ha salutato con queste parole: «Gorizia deve svegliarsi. Uscire dall’isolamento in cui continua a chiudersi, farsi più intraprendente. Comprare “Niente da dichiarare” significa sentire questa necessità. Siete voi giovani la forza che può portare al cambiamento! Voi che dovete arrabbiar-vi, rovesciare le scrivanie!». Ma gli unici ragazzi presenti in quella sala piena eravamo noi, cinque o sei studenti del Sid, nessun goriziano. Ci siamo scambiati un’occhiata perplessa.

Francesco Marchesano

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Sconfinare Marzo 20088

Giovani & Politica4 interviste per sentire la politica dai giovani

Università

Intervista a Vidic, gruppo giovanile PDdi Matteo Lucatello

A che punto siete con la formazione del gruppo dei giovani democratici del FVG? In questo periodo stiamo cercando di aggregare il gruppo della provincia. Ho semplicemente cercato di fare un po’ da catalizzatore, creare una squadra. Vi sono diversi modi per partecipare: chi viene alle votazioni e quelli che par-tecipano più attivamente. La provincia di Gorizia, di giovani, ne conta una ventina; ovviamente Trieste e Udine ne contano di più.Ci incontriamo in un momento difficile, domani ci sarà la votazione al senato sulla fiducia a Prodi…Più che altro preoccupa il contesto internazionale: lo stesso giorno in cui Mastella dichiara l’uscita dalla mag-gioranza, i mercati internazionali dan-no segno che è in arrivo una crisi di portata mondiale. Mi sembra perlome-no “antipatriottico” mettere in crisi il governo quando bisogna assolutamen-te intervenire con scelte mirate e corag-giose tali da arginare la crisi. Un nostro grande handicap è l’incapacità di poter prendere scelte forti: conseguenza in primis della classe dirigente, oltre che dei “sistemi” (elettorale e parlamenta-re). Non si vede in nessun altro stato che uno o due senatori possano met-tere in crisi l’intero paese. L’instabilità che ci ha accompagnato in questi due anni e la crisi sono il frutto della pessi-ma legge elettorale.Proprio sulla legge elettorale, la posi-zione del PD è sembrata un po’ altale-nante.La legge elettorale è un problema for-temente concreto: senza un governo stabile non si possono fare scelte chiare in qualsiasi campo. Il referendum così com’è non risolve il problema, per il semplice motivo che non abroga le liste bloccate.Ma le liste per le primarie del PD, se non ricordo male, erano bloccate…Questo è stato certamente un errore, e fortunatamente riconosciuto: nelle fu-ture primarie per i livelli locali del 10 febbraio sarà lanciato il sistema delle autocandidature. I giovani sono cresciuti con l’idea di una

politica e di partiti che si definissero necessariamente di destra o di sinistra. Per quel che ti riguarda, che aggettivo poni al PD? Centro, sinistra, centro – sinistra… Il Pd è un soggetto plurale: tante per-sone che partono da opinioni diverse devono sentirsi a casa propria: con lo spirito di chi parte dalle proprie idee per metterle a confronto con altre e attuare una sintesi. A livello banale uno può definire il PD una accozzaglia dove c’è di tutto e di più , il problema e la sfida sta proprio nel riuscire a tro-vare una sintesi. Il problema non è se il PD sia di sinistra o di centro, è dare risposta alle domande del cittadino elettore.Io (e chi come me) che alla parola si-nistra e alle sue battaglie sono legato, posso vedere questo “guardare avanti” e questa sempre presente necessità di compromesso come un limite, in quan-to si finisce con il considerare qualsiasi valore negoziabile.Importanti sono i valori ispiratori: uno entra in politica perché ha una motiva-zione valida, per una ispirazione mo-ralmente alta (si spera) o per obiettivi specifici da ottenere. Il problema è co-niugare le iniziative legislative con que-sto tipo di valori. Nello spirito di cui parlavo prima: confronto e dialettica per dare buone risposte. Con la sua nascita, il PD ha smosso le acque della politica italiana:quanto ha contribuito il PD a questa fine del mul-tipartitismo?Il primo problema che vogliamo ri-solvere è quello del partito personale: è sotto gli occhi di tutti il dramma di avere a che fare con piccoli partiti che, proprio per il basso numero di iscritti, vengono formati a ciascun livello sulla base di amicizie e di interessi perso-nali. La privatizzazione della politica allontana i giovani, ma io contesto la presunta antipatia fra giovani e politi-ca: non è vero che i giovani non si im-pegnano politicamente: vi sono milio-ni di associazioni che agiscono a livello culturale, sociale… Il problema non è la mancanza di impegno, ma dove lo si indirizza. La privatizzazione dei partiti

allontana i giovani. È anche vero che ci vuole anche impe-gno. L’antidoto è la parteci-pazione, se si è in più il sacri-ficio è minore.Inquadriamo un po’ il discorso dell’antipolitica proprio in ri-ferimento al mondo giovanile, dal libro di Stella e Rizzo al V – day di Grillo. I giovani più di altri “rischiano” di abbraccia-re l’antipolitica?Antipolitica lo definirei un termine improprio: sia il libro di Stella e Rizzo che le mani-festazioni di Beppe Grillo o Travaglio dimostrano una voglia di politica più di chiunque altro, e se non altro si in-teressano al problema. La vera antipo-litica è quella nascosta sotto l’etichetta di politica: fare il partito delle libertà da un predellino di un’automobile in una sera, bè, questa è antipolitica. Non vi è un progetto nuovo, solo una scato-la nuova ma i cui contenuti rimangono gli stessi. Di che risposte credi abbiano bisogno i giovani, e che risposte può dare il tuo partito?Io non ho l’ambizione di conoscere tutte le domande dei giovani. Ciò che mi domando, come giovane, è come posso migliorare la comunità locale e lo stato dove abito, come posso fare in modo che l’Italia sia un faro per l’Eu-ropa, come dare credibilità a tutto il sistema delle istituzioni (pubbliche o private che siano). Sono domande fat-tibili da e per i giovani. Concretamen-te in questo momento sognerei spazi dove i giovani possano trovarsi senza aver paura di essere strumentalizzati. Dei luoghi di animazione culturale, non solo politica. Veltroni nel suo discorso al lingotto ha insistito molto su giovani e precarietà. Cosa ne pensi, con particolare riferi-mento al famoso protocollo del 23 luglio che a mio avviso non è abbastanza, data la possibilità di reiterazione infinita dei contratti a tempo determinato?Su questo sono d’accordo anch’io, 36 mesi di precarietà sono sufficienti per chiunque. I giovani fanno fatica a im-

porsi in termini di potere contrattuale, essendo nuovi nel mondo del lavoro, e la precarietà colpisce principalmen-te loro. Tutti possiamo riconoscere la famiglia come il luogo naturale in cui uno si ritrova sereno e frena le solleci-tazioni della vita moderna, ma se uno non ha un lavoro stabile la famiglia non può crearla, ecco perché credo che quando parliamo di precarietà sen-za pensare alla famiglia parliamo in astratto. Come gruppo giovanile, prossima cosa che proporrete?Oltre allo sforzo di costituirci, abbia-mo pensato ad alcune tematiche su cui lavorare in incontri pubblici, tra cui lo scarso sviluppo della cooperazione a livello locale e regionale con l’ex con-fine. Non si considera alcuna forma di sinergia fra comuni italiani e sloveni, ed è un’assurdità: basta dare un occhio alla cartina per vedere come i proble-mi ambientali, culturali, di urbanistica sono gli stessi da una parte e dall’altra, e andrebbero affrontati insieme, non in doppio con doppio spreco di risorse ed energie. Cosa ti auguri per l’Italia e cosa per il PD a livello locale?Spero che l’Italia abbia un governo for-te capace di fare scelte coraggiose dato il momento storico. Nel piccolo mi piacerebbe che ai giovani che studiano all’università venisse il guizzo di allar-gare i propri interessi e imparare qual-cosa che comunque nella vita serve: i gruppi di interesse politico - giovanili come il nostro creano unità di vedute, comunione di esperienze e amicizie.

Speciale

Intervista a Federico Vidic, Giovani Democraticidi Matteo Lucatello

Un progetto importante per noi di Sconfinare, che vuole attivamente dimostra-re, come i giovani si avvicinino al cammino politico, giorno dopo giorno. Un ringraziamento particolare va ai quattro intervistati e ai due scrittori, Lucatello e Pajer, che hanno dedicato tanto tempo per una buona realizzazione di questo

loro progetto

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Sconfinare2008 Marzo 9Università

Certamente, non credo che una persona che vo-glia fare politica cominci candi-dandosi a sinda-co. La gavetta in politica secondo me è necessa-ria: le giornate invernali a tene-re un banchet-to informativo, imparare come organizzare una manifestazione, come si fanno i permessi, anche lo stesso veni-re insultati da persone poco educate che non hanno la nostra stessa idea poli-tica, insegna molto e aiuta a capire che cosa vuol dire veramente volere fare qualcosa per i cittadini. Anche se faccio parte del movimento solo da pochi mesi, sono convinta di avere imparato molto, è un'esperienza che sicuramente mi ha e mi sta arricchendo: ho imparato cose che mi torneranno sicuramente utili per il futuro e ho avuto la possibilità di con-frontarmi con tante persone spesso anche con idee differenti dalla mia e questo mi ha dato moltissimo.Tu sei entrata a far parte del Circolo delle Libertà a settembre. Nello stes-so periodo Grillo e il suo V-Day han-no infiammato il dibattito politico in riguardo all'ondata di anti politica che pare abbia investito la maggior parte degli italiani. Qual è la tua idea sull'anti politica?Beh per quanto riguarda l'anti politica ed il qualunquismo credo che siano figli di un'esasperazione diffusa che ha reso la gente stufa e quindi disinteressata. Quando si vede che la classe politica per prima non segue le regole, ma al contra-rio sgarra spesso senza dimostrare alcuna remora, come fa un cittadino che lavora per portare a casa il pane ogni sera, paga regolarmente le tasse e fa difficoltà a sbarcare il lunario a credere ancora nella classe che dovrebbe lavorare per il bene del Paese e che in realtà persegue solo i propri di interessi? E' normale che il cit-tadino si senta sfiduciato . E questo non risparmia certo i giovani: l'essere chiamati bamboccioni non viene di certo accettato. E' un dato di fatto che la maggior parte dei giovani che restano a vivere con la famiglia lo fanno perché non hanno scelta. Un esempio sono i ri-cercatori che guadagnano, se va bene,

800 euro al mese e non possono permet-tersi di sostenere le spese che l'indipen-denza richiede. Queste persone però la-vorano per la società, fanno ricerca per migliorare la vita di tutta la società, sia dal punto di vista materiale che cultu-rale: non è giusto che vengano definiti bamboccioni, perché per loro significa subire oltre al danno, la beffa. Si sta creando un conflitto intergenera-zionale nel mondo del lavoro tra giovani e anziani: i primi premono per entrare, pretendendo di vedere i frutti della loro formazione e finalmente rendersi indi-pendenti, mentre i secondi non vogliono andare in pensione, perché temono che la pensione non sia sufficiente per affron-tare le spese e quindi cercano di restare sul posto di lavoro il più a lungo possi-bile. Secondo me questo è molto grave e contribuisce non poco alla sfiducia nei confronti della classe che ci governa. Secondo te quindi questa crisi di in-teresse e fiducia è radicata in tutta la popolazione...E' così, solo la classe più ricca del Paese non è stata investita, ma tutti gli altri sia i lavoratori dipendenti che autonomi sono stati colpiti: la classe media dei lavorato-ri dipendenti non ha visto crescere il pro-prio salario da molti anni e i lavoratori autonomi si sono visti aumentare le tas-se in maniera esponenziale, senza però rilevare alcun beneficio. Tutto questo esaspera le persone, che ripetono in con-tinuazione il loro sfinimento. E questo si riflette sulla partecipazione alla vita del Paese: anch'io che comunque sono inte-ressata alla politica e sono impegnata at-tivamente spesso mi rifiuto di acquistare il giornale o di guardare il telegiornale e sentire solo parlare di quanto la classe politica di questo Paese sia corrotta, in

Elena, tu fai parte di un movimento che opera a livello locale . Che Cosa fai esattamente?Io sono iscritta al Circolo “Nuova Idea”, il Circolo delle Libertà di Mestre. L'obiettivo del nostro circolo è quello di affrontare i problemi della città, dei cit-tadini. Benché lo spirito con cui questo progetto è nato sia orientato verso destra, il vero interesse è focalizzato sul contin-gente della realtà locale, come cercare di migliorare le zone degradate della città per cercare di rivalutarle e renderle più vivibili. Un esempio è stata la campa-gna per far aumentare la vigilanza nella zona della stazione ferroviaria e di via Piave, dove risulta ormai troppo perico-loso andare e dove la microcriminalità è diffusissima. In questo modo cerchiamo di essere vicini al cittadino, cercare di capire veramente le esigenze che con-cretamente esistono: noi ci occupiamo solo di Mestre, non di Venezia o degli altri paesi vicini, quindi i casi su cui ci concentriamo sono legati solo alla realtà mestrina. Le attività con cui portiamo avanti que-sto progetto sono principalmente di sensibilizzazione attraverso fiaccolate, banchetti informativi per rendere consa-pevoli tutti i cittadini mestrini dei pro-blemi che investono la città. Gli obiettivi principali che ci prefiggiamo sono la si-curezza e l'assicurazione di una maggio-re vivibilità della città. Devo dire che ciò che facciamo sta avendo un riscontro positivo e anche persone che non condi-vidono le nostre idee politiche apprez-zano ciò che facciamo, andando al di là delle proprie credenze politiche.Da quando sei iscritta a questo circolo?Mi sono iscritta a settembre, ap-pena ho saputo della sua esistenza. Il cir-colo è comunque nuovo, perché è nato a luglio dell'anno scorso.Come mai hai scelto di entrare a far parte di questo movimento, e quindi diventare politicamente attiva?Sono venuta a conoscenza del circolo attraverso una mia amica, che è la presi-dentessa del circolo; lei me ne ha parlato e mi ha convinto. Devo comunque dire che io sono sempre stata interessata alla politica e credo che questo tipo di orga-nizzazione dia la possibilità di prendere dimestichezza con essa, perché è come entrare in politica dalla porta di servi-zio. Un altro aspetto che mi ha convinta è stata la possibilità di interagire con la popolazione: avvicinarsi così alla politi-ca credo che sia il modo migliore, per-ché sono convinta che essa voglia dire essere al servizio del cittadino, e questo è ciò che noi facciamo.Quindi tu credi sia bene partire dal basso se si vuole fare politica...

quanti scandali giudiziari sia coinvolta, assistere a discussioni tra esponenti dei diversi schieramenti prive di ogni forma di rispetto o di dialogo civile. E se questo è l'effetto su chi come me è interessato, non immagino quello sui cittadini. Alla fine quello che ha detto Grillo in piazza e al V-Day è quello che tutti già sapevano, e che le persone devono aver detto spesso a casa propria. Solo che lui ha dato la possibilità di dirlo apertamen-te in piazza, fornendo una cassa di riso-nanza per il malcontento del Paese.E tu cosa auspichi per il futuro, vista anche la crisi che si è creata in questi giorni con la sfiducia al Governo e la sua caduta? Spero in una maggiore informazione e coinvolgimento del Paese nelle decisioni perché senza informazione non c'è parte-cipazione, per impegnarsi in qualcosa bi-sogna crederci e quindi essere coscienti di che si tratta. Spero in un cambio posi-tivo che si potrebbe concretizzare nell'in-gresso di una classe politica più giovane: i giovani anche se hanno idee diverse, cercano di trovare un compromesso sui grandi temi di interesse comune, forse anche perché sono degli idealisti e spe-rano ancora di operare per il bene del Paese. A mio parere tra i giovani c'è più rispetto per gli altri e le loro idee anche se non condivise: il rispetto e la coerenza credo proprio che siano i due elementi chiave di una svolta positiva, solo con essi è possibile ridare fiducia all'eletto-rato, che nelle ultime due legislature in realtà si è sentita solo menata per il naso. Una nuova classe politica più giovane dotata di coerenza e rispetto potrebbero veramente fare la differenza nella poli-tica italiana.

Intervista a Elena Casadei, Circolo delle Libertà di Mestredi Leonetta Pajer

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Sconfinare Marzo 200810Università

Da quando militi nell’UDC, e cosa ti ha spinto a questa scelta? Sono iscritto dal 2006, dalle elezioni politiche, inizialmen-te per sostenere un consigliere regionale. Successivamente ho iniziato a prendere parte alle attività. Devo dire che ciò che è proposto dal partito “nazionale”, dall’alto (quindi in congressi e riunioni varie) è piut-tosto deludente per un giovane che si avvi-cina alla politica. Più che di partecipazione si tratta di presenza, bisogno di far numero:

sei una pedina per applausi. Ma se guardi al provinciale, o ancor meglio al locale, ho sempre osser-vato una buona attività. Orga-nizziamo in-

contri, confronti, con personaggi non solo dell’Udc ma anche di altri partiti o asso-ciazioni. Come vi organizzate? Facciamo una riunione a settimana, sulla nostra valle, la Valsugana, prima di riunirci ogni mese a Trento con gli altri gruppi della provincia di Trento. E come funzionano le vostre attività di circolo? Riceviamo l’aiuto di un ex senatore e di un giovane ragazzo, per

Intervista a Susella, gruppo giovanile UDCdi Matteo Lucatello

Matteo, tu sei impegnato politicamente nella tua città, S. Donà di Piave. Che cosa fai esattamente? Sono responsabile gio-vanile per la Sinistra Arcobaleno. Quan-do e perché hai deciso di diventare poli-ticamente attivo? A dire la verità seguo la politica da sempre, ma è stato solo dopo la crisi di governo che c'è stata nel marzo dell'anno scorso che ho scelto di iscriver-mi al partito allora Rifondazione Comuni-sta. In quel momento, più di prima ho sen-tito il bisogno di far sentire il mio pensiero e di agire per far valere le mie idee e le mie convinzioni, sia sul piano locale che su quello nazionale. E l'iscrizione ad un partito mi è sembrato il giusto mezzo per poter almeno provare a raggiungere questi miei scopi.E' quindi quasi un anno che fai parte di un'organizzazione partitica: qual'è la tua impressione “dall'interno” dei meccanismi che regolano un parti-to? Beh, come per ogni cosa ho trovato degli aspetti positivi e degli aspetti nega-tivi. Cominciando da quelli negativi devo ammettere che almeno nella realtà politica della mia città mi sono trovato ad essere l'unico giovane all'interno di un gruppo di ultra cinquantenni che per forza di cose hanno idee, esigenze e prospettive molto diverse rispetto a quelle che ho io o che interessano normalmente i giovani, quelli della nostra età che si stanno avvicinando ora al lavoro, che stanno pianificando ora il loro futuro, la famiglia, indipendenza dalla propria famiglia. Quindi quello che mi ha colpito in maniera negativa è da un lato l'assenza di giovani impegnati in po-litica e dall'altro la chiusura della dirigen-za almeno locale del partito, in cui sono riuscito ad inserirmi solo con molta diffi-coltà: c'è una sorta di gelosia per le cono-

scenze ed il potere che purtroppo a livello nazionale si vede quotidianamente, ma che a livello di realtà locale è ridicolo e assolutamente non necessario. Ma esisto-no ovviamente anche dei lati positivi, che per fortuna superano quelli negativi, come avere la possibilità di prendere veramen-te coscienza dei problemi quotidiani della gente, dei concittadini, avere la possibilità di dialogare con i diretti fruitori della po-litica ed avere un maggiore contatto con la realtà territoriale che mi circonda. Nel tuo fare politica quali sono le priorità che ti spingono a partecipare? Innanzi-tutto tentare di riavvicinare la politica ai giovani che come ho detto è un problema che dev'essere risolto; poi cercare di mi-gliorare la realtà locale in cui mi vengo a trovare, e per questo è mio auspicio che almeno a livello locale si lavori veramente per il bene della città e della cittadinanza al di là delle differenti ideologie politiche che contraddistinguono i diversi partiti. E infine trovo importante cercare di fare concretamente qualcosa invece di limitarsi a parlare. Nello scorso autunno, a segui-to del dibattito scatenato dalle provoca-zioni di Grillo e dal V-Day, si è parlato molto di antipolitica. Tu come vedi il rapporto tra giovani ed antipolitica? Devo innanzitutto premettere che io ho se-guito Grillo all'inizio con molto interesse, ma la sua strategia va bene fino ad un certo punto. E' giustissimo sfoltire questa classe politica che è lì quasi dall'inizio della Re-

pubblica italiana, e che è passata indenne attraverso il terremoto della fine dell'Unio-ne Sovietica, ma non basta. Per combattere il fenomeno dell'antipolitica è necessaria una buona politica che si ricordi che il pri-mo scopo è il bene del paese e non la de-tenzione del potere; è necessario estirpare personaggi come Mastella che non danno l'idea di sapere che cos'è la buona politica così intesa. D'altro canto, in quanto “uomo di sinistra”, mi dispiace vedere che manca una destra con cui dialogare: a S. Donà noi di sinistra siamo un'eccezione, la maggior parte della popolazione è leghista, e spesso non accetta il dialogo. Per me la politica è compromesso: chi non lo vuole a mio pa-rere può pure andarsene. Lo dico sia per quelli di destra che per quelli di sinistra. Non voglio di certo negare che la sinistra radicale di cui faccio parte non abbia sba-gliato volendo perseguire ciecamente i propri scopi, senza tenere conto della re-sponsabilità verso paese in quanto forza facente pate del governo. Come Rifonda-zione Comunista abbiamo ottenuto il 7% e credo che per questo 7% noi dobbiamo lavorare. E' indubbio però che sia nel '98 con Bertinotti, sia durante questa legi-slatura, la sinistra radicale non ha dato prova di elasticità mentale... Su questo non si discute, ma trovo che sia stato un er-rore aver trasformato un attacco dal centro in un attacco da parte della sinistra radica-le. Come non trovo giusto accettare i ricatti della sinistra radicale, credo che un gover-

aggiornamenti sul modo di agire e di fare politica. Ma è parlare sui problemi concre-ti che più può appassionare e coinvolgere: e i problemi da risolvere sono quelli fuori casa, sono quelli che affronti a livello loca-le, non quelli che affrontano a Roma: non sono un fervente federalista, ma credo che le domande e le risposte al giorno d’oggi sia importante darle a partire dal piccolo. Il resto del panorama giovanile, nel-la tua zona, in che rapporti lo vedi con la politica? Trovo triste la politica delle tessere. Il tesseramento come bisogno di far numero, i cosiddetti partiti di cassa, i dissidi interni e le barricate fra ragazzi che ormai navigano in questo sistema e restano chiusi, inquadrati e non si espongono mai per un dialogo. Si dice spesso che ormai è finita l’era delle grandi ideologie, ma l’in-dottrinamento esiste ancora. E che dire di questa antipolitica montante, che più di altri sembra investire i giovani? A mio avviso il problema non è nuovo, è venuto fuori in maniera dirompente per l’esaspe-razione dei toni e il fenomeno Grillo. La Prima repubblica non è mai finita: è diven-tato normale ciò che in altri paesi d’Europa oggi scandalizzerebbe chiunque; è come se il passaggio da prima repubblica a seconda repubblica sia stato solamente un rendere

legale ciò che era illegale. E perché tu (nonostante tutto) hai deciso di investire e di metterti in gioco in politica? La mia motivazione principale è quella di confron-tarmi con altri sui temi più svariati... credo che il vero senso della politica sia quello del dibattito, scambiarsi idee per cambiare qualcosa... vedendo il penoso spettacolo di molti politici che hanno trasformato tutto in show business, apparizioni tv e quasi mai dove invece dovrebbero essere (cioè tra i cittadini che li votano) mi chiedo: ma davvero l’unica soluzione è andare in piaz-za a fare gestacci ascoltando le urla di un comico? A questa domanda molti giovani rispondono: si, è facile... però penso anche che molti altri come me non si accontentino, quindi si informano, discutono, costruisco-no... proprio perché la politica così com’è non ci piace dobbiamo dimostrare di saper parlare di politica, è questa la reazione che bisogna attuare: a qualcosa di negativo non si risponde con qualcosa di negativo. In-contrando altri giovani mi rendo poi conto che destra e sinistra sono parole che invece di essere usate per mostrare differenze di idee, progetti sono scuse per mantenere la gente e i giovani come noi ignoranti e di-stanti, e per permettere ad alcuni di appro-fittarne. Proprio perche l’antipolitica è nata

come reazione superficiale dovuta a com-portamenti superficiali di alcuni, credo sia stimolante cercare sfide più interessanti. Cosa serve e può interessare ad un gio-vane che vuole provare a credere e inve-stire nella politica? Incentivare gruppi di riflessione e di confronto anche tra partiti avversari. Se si vede il coetaneo che la pen-sa diversamente da te come nemico, allora non si va da nessuna parte. I partiti sono ancora necessari, e dobbiamo recuperare l’immagine del buon partito come luogo di ascolto, di confronto e di ricerca di so-luzioni assieme. Sarebbe bello organizzare dei gruppi all’università, ma forse è di dif-ficile realizzabilità. Sicuramente bisogna mettere la parola fine a questa esasperazio-ne e scontro nella politica, che sicuramente allontana i giovani, e creare nuovo modo di informazione politica, che sia diverso dal “panino” del telegiornale. E il tuo partito che risposte si impegna a dare ai giova-ni? Noi abbiamo sempre messo come pun-ti centrale la famiglia: è lì il nucleo centrale della nostra società, credo che incentivare ed attuare una forte politica per la famiglia voglia dire agire per le vecchie come per le nuove generazioni.

no serio non dovrebbe accettare gli ultima-tum da parte di membri della maggioranza, per esempio Dini, che rappresentano un pericolo per la stabilità del Paese maggiore rispetto a quello rappresentato da noi. Da questa situazione di confusione ed incer-tezza cosa pensi che i giovani si aspettino dalla politica? Una soluzione per il pre-cariato, non solo di contratto ma anche di prestazione. In Francia si è provato con il CPE, e in Italia la Legge 30, altrimenti nota come legge Biagi, nelle sue linee iniziali parlava di flessibilità con garanzie, anche se poi purtroppo è stato fatto altro. Nelle statistiche che i politici mostrano dichia-rando che la flessibilità ha ridotto i disoc-cupati in Italia non sono del tutto veritiere: esse infatti non tengono conto del numero dei lavoratori scoraggiati che a partire dal 2003 è cresciuto esponenzialmente. Credo che quello che ai giovani preme di più è la possibilità di potersi costruire un futuro e non solo il riuscire ad ottenere un'istru-zione accademica. Questo si collega con il problema che Padoa-Schioppa ha definito dei “bamboccioni”: molti giovani anche con titoli d'istruzione superiore si ritrova-no a non avere i mezzi finanziari sufficienti per potersi permettere di emanciparsi dalla famiglia, e ciò per molti è umiliante. Infi-ne credo che ci sia bisogno di una nuova definizione di famiglia, perché quella tra-dizionale non rispecchia più la realtà del Paese: oggi la famiglia è disarticolata nelle fasce generazionali, come ha detto il Presi-dente Vendola, si assiste a continui episodi di degrado sociale, come il bullismo nelle scuole. Come direbbe Pasolini, stiamo as-sistendo ad uno “Sviluppo senza progres-so”. Penso che i giovani vogliano questo progresso che oggi manca.

Intervista a Lucatello, gruppo giovanile Sinistra Arcobaleno

di Leonetta Pajer

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Sconfinare2008 Marzo 11Università

Rector in FabulaAnalisi personale dell’incontro tra il Rettore Peroni e gli studenti del Polo Goriziano

Ad un certo punto mi capitò persino di pensare che avessero ragione i miei vecchi. Che la civiltà finisse traversata la Piave. Ci si addentra nella bassa, si lasciano le mon-tagne alle spalle, e la gente semplicemente va fuori di testa. Cavolo, ho pensato che avessero veramente ragione. Magari avrei dovuto cercarmi una destinazione miglio-re, sulla rassicurante sinistra Piave. Sapete, qualcosa come Vienna, Cracovia, Varsavia. Forse Berlino. Ma un Erasmus a Parigi, quello proprio no. Parigi è pura destra Pia-ve. E di parecchio, per di più. Che ci sono andato a fare io in Erasmus?, mi chiedevo. Io, un contadino che ha sempre vissuto in un paesino di duemila anime. Anime pie. Anime molto pie. Uno che solo per caso aveva preso un paio di aerei, e che già per questo era considerato un gran viaggiatore. Avevo un bel darmi da fare, a cercare di ral-legrarmi della mia nuova situazione. Perché sì, un anno all’estero è una gran bella cosa. Adesso me ne rendo conto, ed in fondo l’ho sempre saputo. Ma quello che nessuno ha mai la debolezza di confessare è che, almeno all’inizio, sei solo. Sei davvero solo. Sei solo come mai ti sei sentito in vita tua. Puoi tra-scorrere giornate intere senza spiccicare pa-rola, ad eccezione di qualche domanda nelle segreterie della tua università d’accoglienza. E se stare così tanto fuori casa ti piace, non è semplicemente perché vivi in un posto che ti pare straordinario, ma anche e soprattutto

per non sentire quel silenzio che sai ti acco-glierà, puntuale, varcato l’ingresso del tuo studio. Le giornate si susseguono sul filo del rasoio, in continuo equilibrio tra euforia e depressione. Una sciocchezza da nulla può regalarti il sorriso, o gettarti in lacrime.Che sono partito a fare? Questo era il mio assillo. E via dicendo, rodendomi il fegato per ore. Proprio non ci riuscivo, a levarmelo dalla testa. E magari non era nemmeno col-pa di Parigi. Forse era solo il fatto di trovar-mi in una grande città. Con la sua frenesia. Il suo disordine. Il suo sporco. La mancanza di spazio. E milioni di sconosciuti indifferenti, insensibili. E, chiaramente, la riva destra del-la Piave, e nessuna montagna dietro di me. Nessuna stella. C’è qualcosa di terribile nel fatto di vivere in un posto che non conosce il buio. Per me, è stato traumatico. Però piano piano cominci a cambiare idea. Un po’ per volta, un paio di concessioni a questi barbari ho dovuto farle. Cominciò tutto col pane, e non è poi una cosa così stupida. Il fatto è che io al pane ci tengo parecchio. Ed in que-sto loro mi fregarono, eccome. Maledetti. Usarono la baguette come cavallo di Troia, e mi fecero abbassare la guardia. Uscivo dalla bottega del fornaio, e vi assicuro che il fasci-no di ciò che mi stava intorno non valeva un morso di quel pane caldo, morbido. Il para-diso è una baguette. Io non so come facciano a portarsela a spasso così a lungo, i Parigi-ni. Ci provassi io, a tenere una baguette da passeggio da sfoggiare sotto l’ascella, non

durerebbe duecento metri. Mi giocarono col pane ed io mi lasciai incantare, come il pri-mo dei pivelli. E dopo il pane arrivò tutto il resto. I film. La letteratura. Gli chansonnier. I caffè in cui passi le ore più crude dell’inver-no ad ascoltare jazz dai ritmi tzigani. Una città che sembra narrare ad ogni angolo una diversa storia. La luna che splende sopra la butte deserta di Montmartre, mentre ai suoi piedi Parigi tace. E la Senna, ed ore, ore, ore di camminate solitarie sui suoi argini grigi di pioggia, dorati d’autunno, i suoi argini silen-ziosi ed immobili nella notte fredda. Parigi.Non è più la Parigi degli anni Venti. E si vede. A voler investire in questo, come purtroppo fanno i negozi e troppi turisti, si rischia di vivere solo una caricatura grottesca. Un im-broglio. Sarebbe come vestire d’adolescente una novantenne, e pretendere che piaccia ancora. No, non è più la città di Hemingway e della generazione perduta. I tempi cambia-no, e soprattutto non tornano. Bisogna far buon viso a cattivo gioco. Ed accettare che forse il vecchio mito di Parigi non esiste più. Però, sapete, ho scoperto una cosa che tre o quattro mesi fa non avrei dato così per scon-tata: Parigi è bella. Sul serio. Occorre solo ri-uscire a trovarla, ridipingendola dentro di sé. Perché una città è prima d’ogni cosa un’idea, o meglio un sentimento. La geografia non c’entra per nulla. Almeno spero. Altrimenti, i miei vecchi non mi perdonerebbero d’ama-re la destra Piave.

Rodolfo Toè

Premessa: questo articolo cercherà di essere il più esaustivo possibile sui temi trattati durante l’incontro tra Rettore e studenti, protrattosi per 2 ore e mezza, nonché vuole essere un’analisi personale sulle prospettive di azione studentesca e sulle iniziative concordate dagli studenti durante la riunione protrattasi dopo l’incontro. Vista la lunghezza dell’intervento, il giornale Sconfinare ha dovuto rinviare la propria intervista al Rettore ad una prossima pubblicazione.Come ben dovrebbe sapere chi si ritrova a studiare filosofia della politica, un’ideologia non è originale tanto per il suo essere in sé, quanto perchè trova la propria originalità appoggiandosi su delle basi fertili offerte da un determinato tempo storico, che ne possano essere trampolino di lancio. E’ ciò che è avvenuto in questi giorni a Gorizia ed è impossibile non soffermarsi anche solo brevemente sulle premesse fondanti di tali eventi, il cui combaciare ha risollevato molte questioni sopite ormai da troppo tempo.Innanzitutto, un problema di rappresentatività degli studenti goriziani. Da quando sono entrato in questa facoltà, nonostante l’esistenza di vari basi associative, le elezioni dei rappresentanti presso il Consiglio di Facoltà sono quasi sempre state legate a singoli nomi, che naturalmente, nonostante la buona volontà dei pochi, hanno rappresentato ben poco e hanno influito ben poco in una serie di avvenimenti accademici che hanno drasticamente cambiato la nostra realtà universitaria (cambio di Direttore del Corso, taglio dei fondi di Finanziaria in Finanziaria, riordino del corso di studi). Ahimè, la voce studentesca era nella media inutile. Storicamente immersi nei libri, dediti a mille interessi esterni alle attività universitarie, gli studenti non si sono mai sentiti di lottare

contro un’amministrazione pubblica, che non si smentisce, nonostante i meriti, dai soliti preconcetti, dalle solite pecche “funzionarie”. Nonostante ciò, le nuove elezioni hanno mobilitato la volontà di studenti ormai prossimi all’uscita dal tunnel goriziano nel riprendere in mano un’idea associazionistica che condivido e di cui si parlerà più avanti. Studenti in Movimento ha cercato con molto merito di smuovere la situazione, ma nonostante i nobili intenti è carente probabilmente di persone valide da presentare quali rappresentanti (e non me ne vogliano coloro che...) così come non sono riusciti ad abbonirsi un elettorato di idee, piuttosto che un elettorato di emozioni. Ne è la prova il risultato, inconcludente purtroppo, di non riuscire a riunire gli studenti in assemblea per ben 5 volte! La presentazione delle candidature sembrava la lotta tra il clan dei Riina e una piccola Berlusconi “fazo tutto mi”: perchè nonostante la volontà di candidarsi individualmente, cosa assolutamente rispettabile e non criticabile da chi non fa altrimenti, la Moscolin risulterà a malincuore poco credibile senza una base alle spalle con la quale lavorare.Oltre a questa situazione interna, si è venuta a verificare la cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso, c’est-à-dire la proclamazione di dottore in Scienze Internazionali e Diplomatiche di Bartolomeo I, svoltasi a Trieste e non nella sede naturale del Corso. Per l’ennesima volta, la beffa sembrava ben architettata per tagliare fuori la nostra sede e fungere da ignari servitori della lobby greca di Trieste, senza alzare polveroni sull’eventuale messa in discussione della proclamazione per motivi di laicità. Qui non sono messi in discussione tali motivi, qui è messa in discussione la comunicazione e la considerazione che Trieste ha di uno dei suoi figliuoli friulani. In periodo di esami, l’azione

più rivendicativa e di protesta di noi studenti è stata portata avanti dagli stessi Studenti in Movimento, che hanno deciso di presenziare alla laurea in maniera “sobria ed elegante”: ci si domanda fino a quanto questo possa passare per azione di contestazione... nonostante questo, gli studenti che hanno presenziato alla proclamazione erano lì indipendentemente da qualsiasi base di rappresentatività e a posteriori qualsiasi rimessa in discussione del fatto pare sterile. Bisogna comunque riconoscere che grazie a questi studenti e al casus foederis, il Rettore si è concesso e, con comunicazione passata con ben 24 ore di anticipo, è venuto a Gorizia ad ascoltare la voce di un’Aula Magna piena di studenti.Logicamente, essendo stati disertati finora i luoghi fisici in cui esprimere i propri dubbi, le proprie perplessità, le proprie critiche, mancando da troppo tempo un’Associazione che si faccia auditrice, prima ancora di portavoce, una tale occasione è stata la rinascita dei sentimenti, anche se irrazionali o troppo privi di esperienza che essi siano. Questo è stato il grande pregio della Riunione: gli studenti, dal primo all’ultimo, avevano qualcosa da dire, da aggiungere, erano una voce che si voleva far sentire nel coro e con il coro voler costruire in reazione a tutti quegli atti unilaterali che ci hanno visto oggetti, prima ancora che soggetti. Il Rettore stesso è rimasto affascinato dalla nostra volontà di impegnarci in prima persona su questioni che riguardano noi e, in una sorta di etica della responsabilità, coloro che erano prima e che verranno dopo di noi. Inutile a posteriori criticare l’irrazionalità di certi interventi: tale irrazionalità deve essere ora incanalata in qualcosa di concreto e di più formale perchè venga accettata dalla controparte. E non è un’idea mia: è ciò che lo stesso Gabassi ha riconosciuto il giorno

dopo a lezione. E’ stata l’espressione di una potenzialità che va trasformata in fatti.Si è parlato abbondantemente di Bartolomeo I: non si nega a chi è stato il fautore dell’incontro che tale argomento è importante; perderci però un’ora di discussione a cose fatte non può che creare una ridondanza che non so chi possa beneficiare. Forse, una volta utilizzato il casus per cominciare la battaglia, sarà opportuno spostare le energie su argomenti la cui risposta non sarà sempre: “ormai...”.Ma si è parlato ancora di più di aspetti logistici interni del Polo Goriziano. E’ vero: i panni sporchi si lavano a casa propria. Ma da qui a voler far passare messaggi al Rettore, così come è stato fatto dal prof. Gabassi, continuare a dire che tutto va bene, tutto splende, accademicamente e informaticamente parlando, è una presa in giro di cui il corpo studentesco goriziano ha un po’ le scatole piene! il primo giorno, la prima lezione, ci venne detto che “noi saremo la classe dirigenziale”: io per prima cosa mi sono dato una grattatina... perchè speravo e spero che tutta la nostra eccellenza non riponga solo in noi stessi. Tale unica eccellenza si può trovare anche in un altro posto, eventualmente, che non nella (sconfinata?) Gorizia. Piuttosto che continuare allora in tali laudatio, con le quali il Rettore tornerebbe bello contento nella sua Trieste, convinto di quanta magnificenza si respiri al confine isontino, bisognerebbe essere un po’ più modesti, adagiarsi un po’ meno sugli allori e lavorare nella direzione del miglioramento. Dire che tutto va bene, è essere contenti di abitare in una casa di lusso, ma che scricchiola un po’ troppo.La grande lezione è allora meravigliarsi in positivo di ciò che è uscito dalla voce degli studenti durante la Riunione e creare le basi perchè si crei un’Associazione degli studenti, necessaria ora più che mai. Essa esiste già, almeno formalmente, e si esprime attraverso la voce di questo giornale, ma avrà una sua più grande legittimazione se l’impegno dimostrato da tanti nella riunione scorsa si trasformerà in qualcosa di concreto nella riunione a venire, fissata il 12 marzo alle 12h. Gli stessi candidati alla rappresentanza dovranno ora saper trovare una base di consenso di modo che la loro azione sia responsabilizzata dalla collettività degli studenti, che con ciò non smetteranno di presenziare alle riunioni, bensì rinforzeranno l’idea della cooperazione. Il giornale, i nuovi rappresentanti, chiunque essi siano, la riunione, l’associazione sono dei piccoli passi per poter approfittare di questo treno, ovvero dell’interesse che per una volta le istituzioni ci rivolgono, e per poter un domani affrontare questioni vitali del nostro polo, quali tra le altre: l’assenza di studenti Erasmus a Gorizia, l’assenza di una mensa, l’istituzionalizzazione di certe opportunità quali lo sono i tirocini. Il nostro Polo d’eccellenza sarà ancor di più d’eccellenza se avrà nella sua struttura e nella sua organizzazione una parte di noi, una voce di noi. Il Rettore ci ha lasciato dopo due ore e mezza con la promessa di incontrarci nuovamente e di avere più attenzione alle tematiche goriziane. Dei piccoli passi sono stati fatti.

Edoardo Buonerba [email protected] [email protected]

Parigi: Un erasmus in destra Piave

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Sconfinare Marzo 200812Cinema &Musica

Tropa de EliteIn Brasile non si parla d’altro.

Un ottimo successo di botteghino porta due milioni e mezzo di brasiliani al cinema ad assistere al film che ha reso José Padilha, il regista, una celebrità assoluta nel Paese. L’unico problema: le copie illegali disponibili su internet e nei baracchini di strada di tutta l’america latina che hanno venduto ben undici milioni di copie. Si calcola che se solo la metà delle persone che hanno comprato i film piratati fosse andata al cinema, Tropa de Elite (truppa di elite in italiano N.d.A.) sarebbe stato il film con il maggior successo di botteghino della storia del Brasile. E a poco sono valse le proteste del regista presso il ministro della Cultura – Gilberto Gil – dal momento che anche quest’ultimo aveva già in casa la sua copia personale del film, rigorosamente piratata. Tropa de Elite, che sta sbancando – più o meno legalmente – nell’america latina, è sbarcato trionfalmente in Europa al festival di Berlino aggiudicandosi l’Orso d’oro.

Rio de Janeiro – 1997, è lo sfondo della storia tratta dai resoconti di 12 poliziotti e uno psichiatra della ex capitale brasiliana. Tuttavia la Rio ritratta da Padilha non è quella del carnevale e del samba, della sabbia di Copacabana o del Pão d’Azúcar. Il regista infatti racconta la violenza e la brutalità della Rio povera, quella delle favelas in cui i signori del narcotraffico

regnano a suon di pallottole. Ed è proprio per combattere questo giro di criminalità organizzata che a Rio nasce la BOPE (Battaglione per le Operazioni di Polizia Speciali), una vera e propria task force di assassini addestrati a penetrare silenziosamente nelle favelas e far tabula rasa delle mele marce.

Nascimento (Walter Moura), capitano della BOPE e voce narrante del film, ha il compito di “pacificare” la favela del Turano per un motivo che considera insensato. Inoltre la moglie sta per dare alla luce suo figlio e insiste notevolmente affinché egli abbandoni il suo incarico di poliziotto. Per questo il capitano decide di uscire dalla BOPE, ma non prima di aver reclutato un valido rimpiazzo. Le vicende di Nascimento si intrecciano quindi con quelle di altri due poliziotti: Neto (Caio Junqueira) e Matias (André Ramiro), appartenenti alla normale PM (polizia di Rio). Matias in particolare studia legge all’università e si trova invischiato in una storia d’amore con Maria, una sua compagna di studi, la quale vive nella favela di Turano e frequenta compagnie di drogati e piccoli spacciatori. Matias, che tiene nascosta la sua identità di poliziotto, si deve quindi scontrare con una

Non è stata certo una cerimonia memorabile, quella dell’ottantesima edizione degli Academy Awards, a cominciare dalla sfilata delle stelle di Hollywood sul red carpet, svoltasi sotto un cielo grigio e con qualche goccia di pioggia. Né è stato tempestato di statuette alcuno dei film in gara: il vincitore della serata, ovvero “Non è un paese per vecchi” di Joel ed Ethan Coen, ha ricevuto in tutto “solo” 4 degli ambiti premi. Si tratta in ogni caso di un bel successo per i due fratelli registi, che si sono aggiudicati i riconoscimenti per il miglior film, la miglior regia, la migliore sceneggiatura non originale e il miglior attore non protagonista. Quest’ultimo premio è stato infatti vinto da Javier Bardem, primo attore spagnolo a vincere l’aurea statuetta.

Bardem ha inaugurato una serata trionfale per gli attori europei: poco dopo, il premio per la migliore attrice non protagonista è andato a sorpresa a Tilda Swinton, che ha battuto la superfavorita Cate Blanchett con

realtà che è molto lontana dalla sua idealizzata visone del mondo ed è quindi combattuto tra la fedeltà alla sua professione e l’amore per ragazza. Alla fine sia Neto che Matias verranno salvati dal pronto intervento della BOPE durante una sparatoria e si convinceranno ad entrare in questo corpo di polizia che lotta – nel vero senso del termine – contro la criminalità organizzata.

La trama, piuttosto lineare, è spezzettata sapientemente con un gioco di flash back e di divisione in capitoli, che permettono al regista di spostarsi da un personaggio all’altro finché le diverse fabule confluiscono nella stessa serie di eventi. In questa maniera Padilha ha l’occasione di gettare uno sguardo cinico e disincantato sulle due forze dell’ordine brasiliano: da un lato la PM, corrotta e inefficiente, piena di parassiti che vivono di protezione e ricatti, di scommesse clandestine e di mazzette; dall’altro lato la BOPE, polizia dall’integerrima condotta morale, violentissima e letale. Inoltre l’autore si destreggia nella descrizione dell’evoluzione della psicologia di Matias: il giovane studente pieno di buoni principi e ottimismo deve cedere di fronte ai meccanismi perversi di

Oscar 2008, Vincono i fratelli Coen4 statuette ai fratelli registi, mentre tra gli attori trionfano gli europei

la sua interpretazione in “Michael Clayton” a fianco di George Clooney. L’Oscar per il miglior attore protagonista è andato al grande Daniel Day-Lewis, vincitore quasi annunciato con il suo ruolo in “Il petroliere” nonostante le ottime performance dei suoi avversari, tra cui lo stesso Clooney. Una piacevole sorpresa, invece, l’assegnazione del premio per la miglior attrice protagonista alla francese Marion

Cotillard, alias Edith Piaf in “La vie en rose”: molto più nota in patria che all’estero, l’attrice transalpina è solo la seconda nella storia a ricevere l’Oscar per un’interpretazione in una lingua diversa dall’inglese (la prima, bisogna ricordarlo, è stata Sophia Loren nel 1961). Emozionatissima e raggiante alla consegna del premio, la Cotillard ha battuto la Blanchett (nominata anche in questa categoria) e la favorita Julie Christie.

corruzione e immobilismo della PM, di fronte all’ipocrisia dei movimenti pacifisti e alla crudeltà delle favelas. Per questo Matias deciderà di entrare nella BOPE, sottoponendosi ad un addestramento alienante in puro stile Full Metal Jacket, che lo porterà nel mondo delle azioni speciali, delle torture e delle violenze ai civili, un mondo che farà di lui il freddo e veloce soldato-assassino.

Un film che percorre i vizi e le piaghe di una società a livello civile e istituzionale, un film che sobriamente affronta un tema intenso e angosciante, un film schietto e cinico, e di sicuro un film che vi farà passare la voglia di passare le vacanze a Rio de Janeiro.

Francesco Gallio

Se per noi italiani è stato un po’ deludente il fatto che il cortometraggio “Il supplente” di Andrea Jublin non sia stato premiato, non si può certo dire che l’Italia sia rimasta a bocca asciutta: Dante Ferretti, con la moglie Francesca Lo Schiavo, ha vinto la statuetta (la seconda, dopo quella del 2005) per le scenografie di “Sweeney Todd”. Un altro italiano, Dario Marianelli, è l’autore della colonna sonora di “Espiazione” vincitrice dell’Oscar nella categoria.

Tra gli altri premi degni di nota vanno ricordati “The Counterfeiters” dell’austriaco Stefan Rudowitzky (miglior film straniero); “Ratatouille” (miglior film d’animazione); “Elizabeth: the Golden Age” (migliori costumi); “Juno” (migliore sceneggiatura originale); “The Bourne Ultimatum” (miglior montaggio, miglior missaggio sonoro, miglior montaggio sonoro); “Once” (miglior canzone originale).

F.P.

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SconfinareMarzo 2008 13Musica & Cinema

Across the universe

Ha preso il via il 17 gennaio la 19° edi-zione del festival di Trieste, ormai tradi-zionale occasione d’incontro del cinema dell’Europa centrale e orientale. L’inau-gurazione si è svolta al cinema Excelsior, sede principale della kermesse, con la pro-iezione di “Obsluho-valsjem anglickeho krale” (“Ho servito il re d’Inghilterra”), in anteprima italia-na, del regista ceco Jiri Menzel, il qua-le ha portato sullo schermo il romanzo omonimo del suo connazionale Bohumil Hrabal. Il lungometraggio è stato prece-duto dal corto “Il mare in una stanza”, di Francesco Conversano e Nene Griffagni-ni, tratto da un testo del triestino Mauro Covacich.Molti gli incontri con autori e ospiti, tra cui gli stessi Menzel e Conversano. Ospite d’onore, a metà manifestazione, è stata Claudia Cardinale. La grande diva italiana e internazionale ha ripreso quello che è stato il “filo rosso” dei dibattiti del festival, ovvero il rapporto tra la lettera-tura e il cinema: è infatti l’attrice che può vantare il maggior numero di opere let-terarie “tradotte” in versione cinemato-grafica. Presente anche la grande attrice Betsy Blair, collega della Cardinale sul set di “Senilità” (1962): grande attenzio-

Across the Universe è un piacevole musical sugli anni sessanta negli Sta-ti Uniti visti attraverso un ragazzo di Liverpool che parte alla volta degli States alla ricerca del padre mai cono-sciuto e che in realtà incontra l'amo-re e l'amicizia. Tutto ruota attorno agli eventi di quegli anni: la guerra in Vietnam, la protesta giovanile, i Figli dei fiori e le esperienze psichedeliche. Tutto però ha come filo conduttore la musica dei Beatles, che costituisce la base per i dialoghi e la scelta dei nomi dei personaggi, a partire dai due pro-tagonisti, Jude e Lucy per passare alla Cara Prudence. Ma la musica non è l'unica citazione che viene fatta all'in-terno del film: molti personaggi sono loro stessi ricalcati sui veri protagoni-sti di quegli anni, come il chitarrista Jojo, chiaramente ispirato a Jimmy Hendrix o la coinvolgente cantante Sadie, che tanto deve a Joni Mitchell. Devo dire che la scelta di utilizzare le canzoni dei Beatles è sempre una car-ta vincente e questo film ha il merito di aver chiaramente dimostrato l'evo-luzione della musica dei “quattro di Liverpool” nel bene e nel male, ma ha

Trieste film festival 2008Il grande cinema nella città di Svevo

Avevo detto che quest’anno avrei segui-to il Festival e così ho fatto, con sommo giovamento della mia insonnia, improv-visamente scomparsa di fronte al dinami-smo della conduzione e alla brevità delle puntate…wow! Pensa che gioia per tutti i nottambuli collegati in Eurovisione! A detta degli organizzatori la selezione per parteciparvi è stata davvero dura, ma i risultati si sono visti: l’intonazione di tutti i cantanti era perfetta, soprattutto quella di Toto Cutugno, Paolo Meneguz-zi e del giovane Daniele Battaglia; i testi e le musiche assolutamente originali, al-meno tanto quanto l’abbigliamento della Berté, che presa dall’entusiasmo pre-esi-bizione ha distrutto un cuscino dell’hotel per sistemare alla meglio il suo cappuc-cio da frate; gli ospiti internazionali in-credibilmente professionali, soprattutto Lenny Cravitz, che ha commosso tutti cantando dal vivo munito di occhiali da sole in onore alla moda lanciata dalla già citata Bertè. Perché noi telespettato-ri non lo sappiamo, ma i riflettori abba-gliano! E che dire della giuria di qualità? Chiaramente in un concorso canoro qual è il festival sanremese sarà stata com-posta da noti ed esperti musicisti, no? E infatti così è stato: il teatro dell’Ariston ha potuto beneficiare, tra gli altri, della presenza del grande maestro Nicolas Va-poridis, del sommo Federico Moccia e

della divina Sarah Felberbaum. Prostria-moci dinnanzi a cotanta cultura musica-le… Indiscusso è l’assoluto talento di tutti i campioni in gara: certo, i poveri Sonohra, vincitori della sezione giovani che spopolano già tra le teenagers, pos-sono davvero prenderli a modello, visto che, causa la giovane età, non sanno far altro che suonare, arrangiare, scrivere, comporre e cantare. L’inesperienza in acustico di una gavetta lunga 10 anni in giro per i pub veronesi non può reggere di fronte alla profonda varietà armonica di mostri sacri quali Grignani e Minghi. Eh, ma avranno tempo di scoprire le magie del ritocco digitale e l’arte del vendere… La cosa sconvolgente è che poi riaccendi la tv a pranzo, capiti per caso su Raidue, ti becchi l’intervista al grande Uto Ughi e che ti trovi? Che il costo di due sera-te del Festival potrebbe coprire quelli di un intero anno di attività di un’orchestra sinfonica! Ma in fondo che importa se le orchestre in Italia stanno chiudendo i battenti perché non sbarcano il lunario, quando la Guaccero e la Osvart, mera-vigliose donne-soprammobili, possono svolazzare felici in settecento abiti diver-si e Chiambretti può giocare con il pal-coscenico telecomandato?Fortuna che in RAI i soldi non ci sono mai…

Isabella Ius

Parà pappà pa parà: perchè Sanremo è Sanremo

Riflessioni di una telespettatrice partecipe a consuntivo 2008

anche cercato e penso anche efficace-mente di ricreare quell'ambientazione psichedelica che è propria del periodo a cavallo tra anni '60 e '70, che spesso i nostri genitori ci hanno de-scritto e a cui in questo film si viene ma-gistralmente introdotti da Bono Vox in un cammeo molto spe-ciale. Altro cammeo no-tevole, per il suo contribu-to alla colon-na sonora è quello di Joe Cocker in ver-sione home-less che alla fermata della metro canta una bellissima “Come together”. Per il commento al film ho scelto di chiedere a mia madre, che mi ha con-sigliato di andare a vederlo, di scri-

vere lei cosa ne pensava, dato che le sensazioni che ci ha suscitato sono molto diverse, e trovo comunque in-teressante sentire chi in quegli anni

c'era e quella musica l'ha veramente adora-ta. “La prima volta che ho sentito una canzone dei Beatles era il 1964, avevo 14 anni, ed è sta-to un colpo di fulmine. E la passione non si è mai affievolita. Mai. Ecco perché quando ho sentito che era usci-to un film con la musica dei Beatles come colon-na sonora, “Across the universe”, ho trascinato marito e amici, benché rollingstoniani convin-ti, e sono andata a ve-derlo. Non mi aspettavo niente, perché non sa-

pevo niente della trama, o degli inter-preti, ma sapevo che in qualche modo sarebbe stato come rincontrare vecchi amici. E così è stato. Posso dire che in qualche modo il film è una furbata: è

stata costruita una storia d’amore e di vita basandosi sui testi delle canzoni beatlesiane. Questa vicenda attraversa la seconda metà degli anni ‘60, in cui si sono accavallati avvenimenti che han-no fatto parte della storia del ‘900: la guerra in Vietnam, la rivoluzione stu-dentesca, la protesta contro la guerra, la lotta per i diritti civili, ma anche la rivendicazione del predominio della fantasia e della libertà sessuale, le dro-ghe come strumento di liberazione...Io c’ero, avevo 17-18 anni, e devo rico-noscere che le notizie qui non arriva-vano in tempo reale, solo a singhioz-zo, che poi abbiamo ricostruito più avanti nella loro interezza e comples-sità. Quindi in qualche modo vedere questo film è stato come sfogliare un album di ricordi, rivedere avvenimenti familiari, citazioni che forse i giova-ni non sono in grado di riconoscere: uno su tutti il concerto sul tetto che ha posto fine al sodalizio dei Beatles. Ho passato due ore di serenità, e no ho difficoltà a dire che, al primo accor-do, le canzoni le ho indovinate tutte!”

Leonetta PajerAnna Maria Segna

ne è stata posta anche al rapporto tra Ita-lo Svevo e il cinema.

Molti, come si è detto, i film di registi dell’est europeo in concorso, in particolare la Polo-nia: a vincere il primo premio nella sezione lungometraggi, il 24 gennaio, è stato infat-ti “Plac Zbawiciela” (“Piazza del Reden-tore” di Krzysztof Krauze e Joanna Kos-

Krauze. Menzioni speciali per “Instala-cija ljubezni” (“Installazione d’amore”), della slovena Maja Weiss, e per “Pora umierać” (“Tempo di morire”), diretto da Dorota Kędzierzawska e interpretato dalla straordinaria attrice novantatreenne Danuta Szaflarska. Girato interamente in bianco e nero, quest’ultimo film ha ri-scontrato i favori del pubblico, vincendo il primo premio della giuria “popolare”.Infine, tra i cortometraggi è stato premia-to il lavoro del turco Nesimi Yetik, “An-nem sinema öğreniyor” (“Mia madre studia cinema”), mentre nella categoria documentari hanno vinto, ex-aequo, “Das Leben ist ein langer Tag” (“La vita è un’unica lunga giornata”) della tede-sca Svenja Klüh, e “Plošča” (“Piazza Kalinovski”), diretto dall’estone Jurij Chaščevatskij.

Federico Permutti

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Sconfinare2008 Febbraio 15Stile libero - Relax

“I curiosi avvenimenti che sono soggetto di questa cronaca sono accaduti nel 200., a Co-negliano.” Probabilmente m’ha influenzato avere finito “La Peste” di Camus proprio pri-ma di ritornare in Italia. Però, quando a Gori-zia il primo sms mi ha raggiunto, non ho po-tuto non mischiare al mio sconcerto una certa irrazionale paura. Mia sorella era lapidaria: torna, che devi vaccinarti. E poi, per venti-quattro ore, il delirio. Chiamate su chiama-te: devi proprio tornare? Non puoi rimanere lontano un altro paio di giorni? Non sapevo cosa pensare: era come se il ventesimo seco-lo, le conquiste della medicina, la nozione di progresso, tutto questo venisse d’un tratto ad essere rimesso in causa. Per una meningite.Mi pare di ricordare che già ci fossero sta-ti tre morti e l’aria che si respirava, per uno che come me era rimasto lontano per mesi, era quella di un terrore diffuso, di un panico denso d’attesa. Da Gorizia mi sembrava, nel-le parole della mia famiglia, che il contagio fosse solo questione di tempo.Conegliano era stata dichiarata in stato d’epidemia. Conegliano, la mia città. Quella in cui, fino all’altrieri, si camminava senza un pensiero. Non ero per nulla preoccupato. Semplicemente, non capivo come facesse ad esserlo così tanto la mia famiglia. Io, che sta-vo altrove, avevo sottomano solo statistiche. E le statistiche parlavano chiaro: tre morti, una decina di contagiati. Ma tante volte la ra-zionalità è solo questione di distanza.In realtà, al mio arrivo i fantasmi di vedere una città in stato d’assedio furono in parte dissipati: non era poi così diffuso, il panico. Pure, qualcosa di diverso si notava. Nel tre-no la gente stava il più lontano possibile dal vicino, e non era raro imbattersi in passanti con sciarpe oppure una mano davanti alla bocca, rudimentali ed inutili misure di pro-filassi. Alcuni genitori smisero di mandare a scuola i figli. Alla coda del supermercato ba-stava tossire per creare il vuoto intorno a sé. E per far scattare occhiate diffidenti, cariche di sospetto.Le immagini trasmesse dalla televisione ed amplificate dai giornali locali parevano le cronache d’una città oramai condannata alla falcidia d’un male inesorabile: in quei gior-ni, nelle case regnava il silenzio, mentre la tv riprendeva le code dei giovani pronti per il vaccino. Le scorte di medicinali esaurite in poche ore. Qualcuno ha brillantemente osservato che la paura s’alimentava “grazie alla Christmas Card”. In effetti, la meningite a Conegliano è stata un’ondata di panico, d’irrazionalità e fobia collettive. Esattamente come accade per tutti quei fenomeni che la nostra socie-tà non riesce a controllare, e che la scoprono improvvisamente fragile ed indifesa. E mor-tale.M’aggiravo per le vie diffidenti e sospetto-se, oppure prendevo una birra in un locale completamente vuoto (gli avventori terro-rizzati dall’eventualità di contrarre il virus dal bicchiere di qualcun altro) e non potevo non pensare a come la nostra società si stesse confrontando con questa inquietante sorpre-sa. Mi sembrava persino che quella mia birra fosse un atto politico. Perché c’è qualcosa di terribile nella facilità con cui il pubblico sa rinunciare alla propria lucidità, alla pro-pria capacità di discernere e valutare. In quei giorni, senza rendersene conto, la popolazio-

ne di Conegliano s’è lasciata dominare da uno spettro. Abbiamo tutti dimostrato come sia facile essere succubi della propria paura, rinunciando alla capacità di opporre una resi-stenza razionale ad impulsi che vengono pro-pinati dall’esterno, ad una visione mediatiz-zata dei fatti che non risponde in niente alla realtà. Peggio ancora, abbiamo tutti dimo-strato come il media prevalga sulla realtà.Questa nostra meningite, nella cronaca della sua vicenda, ha ben chiarito che una pecora spaventata smette di vedere e che a quel pun-to la si può indirizzare, cieca, dove meglio si desidera. E che fare questo è ancora estrema-mente facile. Con tanti saluti all’ultima uto-pia, quella democratica. Non si tratta d’es-sere catastrofisti. “1984” è solo un libro. Ma mentre stavo seduto in quel locale deserto, con la mia birra in mano, mi pareva davvero che tutti fossimo ormai pronti per peggiori flagelli.

Rodlofo Toé

La MeningiteGwen Cooper (Eve Myles) è una giovane po-liziotta di Cardiff con una vita normale, divisa tra il suo lavoro e il suo ragazzo Rhys. Non una vita perfetta, ma buona, con delle sicurezze. Si-curezze che si incrinano, quando una misterio-sa squadra di “agenti speciali” si presenta ad una scena del crimine con strani marchingegni che sembrano permettere di parlare con i mor-ti. Insospettita, Gwen decide di indagare, e dopo poco tempo si ritrova coinvolta negli affari di Torchwood, un’organizzazione segreta “Al di fuori del Governo, al di là della Polizia” che si occupa di monitorare e gestire le influenze aliene sulla nostro pianeta. Questo perché a Cardiff vi è una “frattura” nel continuum spazio/tempo attra-verso la quale oggetti e creature da ogni dove (e ogni quando) arrivano sulla Terra. Riconoscendo le capacità di Gwen, l’enigmatico Capitan Jack Harkness (John Barrowman) le offre la possibili-tà di entrare a far parte del team, dando inizio ad una nuova vita, fatta di azione, misteri e costante pericolo. Insieme agli altri membri della squadra Torchwood, che comprende anche l’irritante spe-cialista medico Owen, il compassato “ripulitore”

Ianto e la maga della scienza Toshiko, Jack e Gwen si trovano a fronteggiare ogni tipo di sfida, da cellule dormienti di invasori alieni, al reinse-rimento nella società di naufraghi temporali pro-venienti dagli anni ’30, a “fate” malevole. Nato come spin-off della celebre serie Doctor Who (di cui pubblicheremo presto una recensione. Per il momento accontentatevi di sapere che è ottima), Torchwood presenta tematiche più cupe e un ap-proccio smaliziato a sesso e violenza. Lo show ha avuto un buon successo di pubblico, malgra-do la qualità non stellare della prima serie, e le prime puntate della seconda serie mostrano un deciso miglioramento, segno a mio parere che Torchwood è finalmente riuscito a trovare una sua dimensione e un suo “linguaggio”, mentre in precedenza tendeva a rimbalzare tra X-Files, Doctor Who e Angel, con risultati non sempre soddisfacenti. Attualmente è possibile seguirne la prima serie su sky, anche se per apprezzarne pienamente i dialoghi arguti e lo humor inglese sarebbe opportuno guardarlo in lingua originale.

Luca Nicolai

Torchwooddi Russell T. Davies

Secondo il Wall Street Journal i signori che at-tribuiscono ogni anno il Nobel per la pace, in questo 2007 non hanno brillato per coraggio: essi – spiega il giornale – avrebbero potuto as-segnare il premio ai monaci birmani; a Garry Kasparov, lo scacchista che si batte contro Putin; a Tsvangirai,leader dell’opposizione che in Zim-babwe non si piega contro il dittatore Mugabe, piuttosto che assegnarlo al simbolo della lotta contro i cambiamenti climatici. Secondo me, invece, detti signori brillano per originalità, o magari semplicemente per buonsenso: sancire in modo ufficiale un collegamento tra riconversione energetica/protezione dell’ambiente e pace, ov-verosia tra sfruttamento dei combustibili fossili/cambiamenti climatici e guerra come un colle-gamento di causa-effetto è molto importante. A tutti noi piacciono i testi di Imagine di Jhon Len-non o Peace Train di Cat Stevens, e io per primo li adoro, ma ci sono motivi per cui si fa la guerra che sono connaturati ai sentimenti che ha dentro di sé l’uomo, che la conosce da quando ha dentro questi sentimenti, e cioè da sempre. A meno che detti sentimenti non evaporino improvvisamente al rintocco finale di un’era e all’entrata trionfale in un’altra,è difficile immaginare che l’uomo un bel giorno smetta di fare la guerra - dico in ogni singolo posto del mondo, e ogni singolo gruppo di uomini - sebbene è ovvio che cambiamenti verso il meglio sono da tutti auspicati. Intendo dire che sarà sempre encomiabile premiare e ri-conoscere chi comunque si batte contro quella guerra la quale nasce per i motivi suddetti, ma mi sembra a maggior ragione più saggio dare evi-denza a coloro i quali si battono perché a motivi vecchi e fusi alla nostra natura non se ne aggiun-gano altri di nuovi e infusi nel mondo dalla no-stra tecnica, e dunque di certo non inevitabili.Questo articolo vuole partire da Al Gore, ma poi dopo vuole andare avanti. Vorrebbe infatti dire due parole sulla scienza, e su come essa dovreb-be rapportarsi alla politica. Il ponte che unisce queste due rive (purtroppo) opposte deve chia-marsi etica, e questo vuol essere l’argomento finale. Ci sono vari atteggiamenti con cui la po-litica può dare ascolto al suo oracolo, la scienza, e i due estremi sono rappresentati dai raccontini di Creso e Cassandra. Il primo era un re di un re-gno in Turchia; volendo egli attaccare la Persia, chiese all’oracolo di Delfi cosa sarebbe successo se l’avesse fatto, e questi rispose: “distruggerai un impero potente” .Una volta sconfitto dai for-

tissimi persiani come pure era ovvio, Creso tornò tutto incazzato a chiedere spiegazioni all’oracolo solo per sentirsi dire che l’impero potente di cui quello aveva parlato era proprio il suo. Cassandra era invece uno dei flirt di Apollo a cui questi ave-va dato il dono della profezia e contestualmente la maledizione di non essere presa sul serio. Così quando avvisò i troiani e persino suo padre il re che presto sarebbero stati rovinati per mano dei greci, nessuno dei suoi connazionali la credette. Che c’entrano queste storie? Nel primo caso la lezione è che ai nostri oracoli dobbiamo sempre porre domande intelligenti e non aspettarci la ri-sposta che vogliamo sentirci dire o sarà peggio per noi: un uso irresponsabile della scienza in questo senso è stato fatto dopo la seconda guerra mondiale con l’atomica, dove i politici sembra-vano solo dei bimbi elettrizzati dal loro nuovo giocattolo e usavano gli scienziati perché sod-disfacessero le loro richieste di potenza sempre maggiore, senza curarsi di capire – per troppo tempo –dove stavano andando a parare. Il secon-do raccontino simboleggia il caso opposto in cui la scienza invece viene ignorata dalla politica -gli scienziati vengono definiti delle cassandre - perché le forze che la predizione coinvolge non sono facilmente controllabili ( e nemmeno per alcuni è conveniente farlo). Il rapporto giusto tra scienza e politica è quello di equilibrio che sta in mezzo a questi due estremi; la scienza va neces-sariamente ascoltata nel formulare i programmi politici. Questo in America non è più appannag-gio dei soli democratici, Scwarzenegger in Cali-fornia si sta muovendo molto bene a proposito, e una volta in pensione Bush – che viene da una ricca famiglia di produttori di petrolio del Texas e che da molte famiglie simili è spalleggiato, per cui era peregrino pensare che si innamorasse del protocollo di Kyoto – il prossimo presidente, chiunque sia,democratico o conservatore, uomo o donna, o per bianco o nero che potrà essere, sarà in ogni caso anche verde. Io non dico che dovrebbero essere in numero pari a quello di economisti e giuristi, ma assegnare un 20% di seggi almeno nei nostri parlamenti a uomini di scienza sarebbe cosa buona e giusta. Oggi quanti dei nostri parlamentari sono scienziati? Io dei più famosi conosco solo la signora Montalcini, ed è un caso eccezionale perché senatore a vita (quella che resta ovvio). Ma la situazione non è migliore negli altri paesi. Lasciando magari stare, nell’an-dirivieni odierno di cattedre, la richiesta di una

ulteriore nella nostra università, avete voi notizia di qualche corso di scienze naturali e biologi-che alla Political Sciences di Harvard o presso Sciences Politiques o l’ENA a Parigi ? Io no. Gore ha questo merito, di essersi interessato fin dall’università alla scienza. E se non viene spon-taneo pure agli altri politici, allora bisognerebbe obbligarceli. Eppure un tempo non era così, tutti ricordano Benjamin Franklin che tra una scoperta e l’altra sulla natura dell’elettricità ha pure trova-to il tempo di fondare gli Stati Uniti d’America. Ma a questo punto è un problema capi-re a che criterio si deve ispirare questo connubio tra scienza e politica e la risposta è l’etica. Un giorno sarebbe sembrato impossibile che dei po-litici avessero potuto prendere provvedimenti per fermare dei problemi le cui catastrofiche conse-guenze si sarebbero rivelate non già una volta ter-minata la loro responsabilità politica e la loro ca-rica, bensì sicuramente avvenuta già da un pezzo la loro morte. Perché si tratta certamente di effetti provocati su un lungo periodo, rispetto alla vita dell’uomo, molto lungo. E l’etica del tornaconto personale rendeva un nostro sacrificio in nome delle prossime generazioni molto difficile a rea-lizzarsi. La nostra etica per molto tempo è stata, e a volte tuttora è “ dai la precedenza in tutte le cose ai tuoi parenti più stretti e con gli altri fai come ti pare”. È stata l’etica del re nello stato assoluto quando diceva “Dio è il mio diritto” e quindi li negava ai sudditi; è stata quella dell’aristocrazia quando dicevano con lord Jhon Manners “ lascia pure che si estinguano leggi e sapere, arti e tradi-zioni, ma conserva , o Dio, la nostra nobiltà”; è stata quella dello stato liberale,che più che demo-cratico era classista anche quello, ed è stata pure tristemente l’etica di Marx nel dire “proletari di tutto il mondo( ma solo voi) unitevi”. Ma allora tutta la nostra storia non è stata caratterizzata che da mafie, nel senso cioè di gruppi che guardava-no a interessi familiari?

(segue su www.sconfinare.net)

Partendo da Al Gore, ma anche andando avantidi Samuele Fazzi

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Sconfinare Marzo 2008 16De Boca Bona

STORIA DEL PIATTO:

La spiegazione più diffusa sull’origine della Feijoada è che i signori delle fazendas del caffè, delle miniere di oro e delle piantagio-ni di zucchero, che si servivano largamente della manodopera schiavista, dessero ai loro schiavi i resti del maiale dopo la macellazio-ne. La cottura di questi ingredienti con fa-gioli neri e acqua, avrebbe dato origine alla ricetta. Tuttavia questa leggenda non trova fondamento né nella tradizione culinaria e tanto meno nelle fonti storiche. Difatti l’alimentazione dello schiavo era ba-sata più su farina di manioca o di mais con scarso companatico e con fagioli cotti con sale e grasso animale. Tuttavia carenza ali-mentare e carestie erano problemi con cui le classi soggiogate dovevano spesso confron-tarsi, non essendo rari i decessi per malnutri-zione. A volte, dopo un raccolto produttivo, il padrone poteva anche regalare un porco intero alla famiglia di schiavi, ma questa era un’eccezione. La carne, solitamente non era all’ordine del giorno nel menù del lavorato-re della fazenda. Inoltre una ricevuta di ac-quisto della Casa Imperiale, datata 30 Aprile 1889, dimostra che già nello stato di Rio de Janeiro si consumavano tagli vari di maiale, dalla salsiccia alla lonza, il che dimostra che queste parti non erano affatto considerate scarti di cui liberarsi ma erano consumati anche dalla classe padronale brasiliana. Per cui è più probabile che l’origne della feijoada sia proprio… da influssi euro-

pei. Alcuni credono che possa derivare da ricette portoghesi della regione dell’Estre-madura, della Beira, di Trás-os-Montes o del Duoro, che mescolavano fagioli di vario tipo (ad esclusione di quelli neri che sono di origine americana) con salsicce, orecchie e piedi di maiale. Vi è inoltre chi sostiene che il feijoada derivi da un altro piatto eu-ropeo, come il “cassoulet” francese - che è altrettanto preparato con fagioli - o come il cozido madrileno, o la “casseruola” o “cas-serola” milanese. Qualsiasi sia comunque l’origine della ricetta, essa era di sicuro già diffusa nel XIX secolo in Brasile, come testimonia un articolo del Diario de Pernambuco (Recife) in cui si annunciava che l’Hotel Théâtre recentemente inaugu-rato offriva “Feijoada à brasileira” tutti i ve-nerdì. La ricetta:

CUCINA INTERNAZIONALEBrasile - La Feijoada

Quella della Malvasia è una vera e propria “famiglia”, in quanto ne esistono varietà differenti, tutte con proprie caratteristiche peculiari. Per quanto riguarda la qualità col-tivata in Friuli Venezia Giulia, si ritiene che sia di origine greca, giunta nelle nostre terre attorno al XIII-XIV secolo. Qui ha poi tro-vato condizioni ideali e nel tempo ha assun-to caratteristiche proprie, tanto da differen-ziarsi dal ceppo d’origine. La particolarità di questo vino è che varia in base alla zona di coltivazione, pianura o collina, tanto da rendere differenti gli abbinamenti con la ga-stronomia.Vino dal colore giallo paglierino dai riflessi ambrati, al naso offre un bouquet non ec-cessivo, in cui si sentono le fragranze del-la pesca e dell’albicocca. Il gusto è fresco, piacevole, di equilibrata alcolicità e fruttato, tanto da renderlo un vino facile e piacevole da bere.Gli accostamenti gastronomici, come detto, variano. Se di pianura, è un vino ottimo per aperitivi e che si destreggia molto bene con antipasti non eccessivamente grassi, pri-mi piatti (sia paste che risotti), minestre in genere e salse di verdura o pesce. Se viene invece coltivato in collina (coltivazione pre-feribile, in quanto in collina la Malvasia rag-giunge migliori livelli qualitativi) è un vino adatto a piatti a base di crostacei preparati in qualunque modo. Da servire attorno ai 12 gradi.

Massimo Pieretti

INGREDIENTI(6 persone):½ Kg di fagioli neri di tipo messicano100g di pancetta 200g di salamino 200g di lonza di maiale200g si salsicce di maiale1 cipolla grande½ testa di aglioPepe nero2 foglie di alloro 1 pizzico di cumino3 cucchiai di olioRiso q.b., Farina di manioca

PREPARAZIONE

Mettere a bagno per almeno 12 ore i fagioli neri in una terrina piena di acqua. In una pentola da minestra scaldare l’olio, soffriggervi la cipolla a pezzettini, l’aglio e quando il soffritto è dorato aggiungere tutte le carni tagliate a cubetti. Una volta fritte le carni, aggiungere i fagioli, le spezie, e ab-bondante acqua. Continuare a mescolare per evitare che il fondo della pentola bruci ed aggiungere acqua. Lasciare cuocere a fuoco lento per 3 – 4 ore finché il sugo diventa mar-

rone e denso. Servire con riso bianco bollito, e un poco di farina di manio-ca o pangrattato. Ottima bevanda di accompagnamento è la caipirinha o il vino rosso.

Francesco Gallio

MALVASIAUn vino dai due volti

I cjalsons (oppure cjalzons o cjarzons, in base ai luoghi) sono un piatto tipico della Carnia, si tratta di ravioli il cui ripieno non compren-de mai la carne. Proprio il ripieno è il tratto qualificante di questo piatto, in quanto si ca-ratterizza per il sapore spesso “dolce”: tra gli ingredienti più frequenti per farcire i cjalsons ci sono infatti formaggio fresco, mele, uva passa, talvolta addirittura canditi o marmel-lata. Ad ogni modo, non è facile indicare un ripieno “classico”, dal momento che ogni val-lata carnica propone una propria variante di ripieno. Vi sono i cjalsons di Cercivento (con patate, ricotta affumicata, bietola), quelli della Val del But (con patate, ricotta, pere e mele grattugiate), della Val di Gorto (con pangrat-tato, formaggio latteria, ricotta fresca e uva passa), quelli di Paularo (con biscotti secchi pestati, uva passa e canditi) etc. Senza contare che ciascun tipo di cjalsons viene servito con formaggio grattugiato, oppure ricotta affumi-cata, o ancora burro cotto…In questo numero, la nostra rubrica pubblica una versione semplificata dei cjalsons del-la Val di Gorto, facili a veloci da preparare, con l‘unico inconveniente della preparazione della pasta a mano. Qualunque sia il ripieno desiderato, la preparazione della pasta ricalca quella riportata di seguito, mentre per altri tipi di ripieno è sufficiente mescolare gli ingre-dienti come riportato sotto, in una terrina con un cucchiaio di legno, ricordando di lessare e schiacciare le eventuali patate.Prima di passare alla ricetta, un ultima preci-sazione. Di seguito viene proposta una ricet-ta che richiede l’uso delle uova, anche se in realtà è molto frequente la preparazione della posta con la sola farina, lavorata aggiungendo

gradualmente acqua tiepida.

Ingredienti per 4 persone: 350 g di farina 150 g di ricotta Una manciata di prezzemolo 50 g di uva sultanina 4 uova Pangrattato Sale Noce moscata 60 g di burro 50 g di parmigiano grattugiato

Preparazione:

Versate a fontana la farina sulla spianatoia (o più semplicemente sul tavolo), quindi create la piccola conca in cui mettere tre uova e un po’ di sale. Lavorate il composto, aggiungen-do l’acqua tiepida necessaria, fino ad ottenere una pasta morbida e liscia. Copritela con un canovaccio e lasciatela riposare fino a quando sarà pronto il ripieno che vi accingerete ora a preparare.In una terrina mescolate la ricotta, l’uva sulta-nina (che avrete prima ammorbidito in acqua tiepida, strizzata e tritata), il prezzemolo, tre cucchiai abbondanti di pangrattato, un uovo, un pizzico di noce moscata e sale. Mescolate per bene con l’aiuto di un cucchiaio di legno. A questo punto riprendete la pasta e stende-tela col mattarello. Su una metà della sfoglia ottenuta appoggiate delle palline del ripie-no appena preparato, distanziate di circa 4/5 centimetri, e ricoprite con l’altra metà della sfoglia. Quindi premere con le dita negli spazi tra una pallina di ripieno e l’altra, in modo da dare la forma dei ravioli; infine, tagliale lungo tali spazi con le rotella dentata. Portate ad ebollizione abbondane acqua sa-lata, versatevi i cjalsons e appena cotti scola-teli e metteteli nel piatto di portata. Serviteli dopo aver condito con burro fuso e formaggio grattugiato. Consigliamo di abbinare un vino asciutto, preferibilmente Sauvignon (si veda “Sconfinare” del novembre 2006).

Massimo Pieretti

CJALSONS

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Marec 2008 IVSconfinareSconfinare

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SconfinareMarec 2008III

Speciale Sconfinare

FOJBE

Objokovati leto 2004

Ce s Trzacanom poskusimo govori-ti o fojbah,se v njemu sprozi cuden obcutek.Ne glede na to kaj bo rekel vem ze,da bo popaceno glede na nje-govo etnicno ali politicno pripadnost.To me vsekakor ne preseneca,kajti sam sem prvi,ki temu podlega.Sicer pa, kako lahko ostanemo ravnodusni pred zgodovino,ki ni nikoli bila ena sama,ampak jih je bilo toliko kolikor strank in celo osebnih spominov.Kot vemo je Trst shizofrenicno mesto.Osebno mislim,da njegova bolezen izhaja iz nagnjenosti k za-vracanju svoje prave narave.Je ob-morsko mesto,prosta luka,krizisce kot le malokatero na svetu.Vsaj bilo je,dokler se ni odlocilo utrditi svoje podobe,zaustaviti neprestan pritok ljudi,ki so od nekdaj predstavljali mesto izmenjav.Skratka,dokler se

razlicni nacionalizmi niso zaceli zanj potegovati.Trst ni italijanski,nikoli ni bil slovenski ali hrvaski in se manj avstrijski.Je od vsega nastetega po malo,ampak tudi grski,zidovski,srb

ski,bosanski,turski,madzarski in se bi lahko nastevali.Je,oziroma moral bi biti,nekaj kar je vec kot le skupek posameznih kultur,zal pa je njego-va zapletenost vedno znova razdro-bljena v prid podkultur,ki so tako omejene kot nepostene.Ocitno je,da nesposobnost,da bi nasli skupen po-gled na problem fojb in ga po moz-nosti premagali,izhaja iz te situacije.Seveda pa pri tem igra pomembno vlogo tudi desetletni politicni molk,s komunisticno partijo(Pc) na celu.Zelja Krscanskih demokratov(Dc) ,da se ne udriha po Titu,ki je neu-vrscen.Namen postfasistov,da bi si povrnili ugled.Vrsta koristi na visji ravni,ki je vpadla v regijo,spravila v nered dokumente,zacrtala nejasne in arbitrazne meje.Napolitano,oziroma eden izmed najboljsih tolmacev mol-ka Komunisticne partije je ta,ki je priklical v spomin zrtve fojb,ne glede na to ali so bili okupatorjevi pomaga-ci ali ne.Manjka se nam samo se,da gre v Budimpesto.In se zgodi,da se tega se sramuje povedati,kajti ta slo-

gan se pojavi na desetinah plakatov stranke Nuova Forza izobesenih po mestu cigar komunisticni napis spo-minja na nekaksen sund film poln krvi.

Eden izmed velikih nasprotij v Tr-stu je,da je levica sicer priznala svojo krivdo,da pa je s tem izgu-bila moznost pogajanja,ki zadeva zgodovinsko resnico.Slo se je,kot bi lahko rekli,za enostransko priz-nanje o odgovornosti Italije v sple-tu dogodkov.Temu pa ni sledilo tudi priznanje trzaske desnice.In tako kdor spreminja,ima od tega tudi ko-risti.Pozabite na ekspansionisticne cilje ze od Versajskega miru naprej in se bolj na nacifasisticno zased-bo Jugoslavije,tako ali tako ustasev nismo urili mi.In ce je slucajno ka-ksen Jugoslovan izgubil zivljenje si je kriv sam.Ravno tako pateticen je tudi poskus nekaterih zgodovinarjev pripisati titovo okupacijo in zatiranje izkljucno potrebam mednarodne po-litike.

Skratka,pravi problem ni politika ali vsaj ne v celoti.Je nasa shizofrenija.Predvsem ta je naredila iz fojb vrti-nec molka,spletk in sokrivde.Politika nosi vidno odgovornost.Ampak le-ta ni nic drugega kot nova bolezen za ze bolno osebo.Ce se komu glede tega porajajo dvomi,lahko navedemo zanimiv dogodek,ki se je zgodil pred nekaj tedni..Neznane osebe so prelepile mesto z laznimi casopisnimi oglasi trzaskega castnika Piccolo na katerih je bilo objavljeno,da bodo nekatere strani v njem prevedene v slovensci-no.In kaj naredi Piccolo,ki je sicer blizu sredinski levici ampak vseeno ponosno italijanski?Namesto,da bi pograbil ugodno priloznost in pozi-vil casopis,ki je medel kot lokalna vsakdanjost,grozi svojim potencial-

nim resiteljem s tozbo.Res nam gre dobro.

Politika župana Romola in njegove-ga odbora, morda zaradi zvestobe do dela desniških volivcev ali še slabše do ideologije, je omejila Gorico v prazno-vanjih vstopa Slovenije v Schengensko območje. Še nekaj manj kot mesec dni in meja med državama ne bo več obstajala, če ne v mislih in v čustvih ljudi. Na žalost pripadniki goriške po-litike niso še dovolj zreli, da bi lahko porušili tale psihološki zid.Obnovimo: Slovenija vstopi tri leta in pol od tega v Evropsko Unijo, veliko hrupa do toliko dočakane razširitve Evrope, do vstopa držav vzhodne Evrope. Gorica postane center in most te pomembne faze tranzicije, Transal-pina postane eden izmed simbolov, ne samo nacionalen a temveč tudi evrop-ski. Tedanji predsednik evropske komi-sije Prodi počasti padec tistega zida, ki toliko je zaznamoval politično razdeli-tev. Prisotni so bili na Transalpini, pra-va srednja točka, vsi pripadniki glavnih političnih strank Italije in Slovenije. Umetna točka razdelitve postane sedaj naravna točka srečanja. A lokalno nič

se ni spremenilo. Razložim vam bolje, leto 2004 je bil poglavitni datum za mednarodno politiko Italije in za celo Evropo a letošnji december bo še bolj pomemben za Gorico in zgleda da prav ona je edina, ki sploh se ne zave-da o tem. Tri leta od tega je bila pred-vsem Slovenija, ki je imela glavno vlogo, saj je dokončno vstopila v klub evropskih držav. To je stanje, ki samo 20 let od tega si ga ni niti domišljala. Nedvomno na makropolitičnem ni-voju evolucija je koristila tudi Italiji, a lokalno je Gorica samo spremenila stanje nekaterih mejnih prehodov, s tem da je sedaj mogoče se peljati sko-zi tudi samo z osebno izkaznico in je priredila nekaj neuradnih srečanj med lokalnimi upravami držav. V konk-retnem nič novega za goričane, ki so imeli prepustnico, res nič. Samo eno-stavni italijanski državljani, ki se niso rodili v Gorici, kot sem jaz, so lahko pridobili kako večjo korist z razliko od prej, saj sedaj lahko doživljajo oba mesta, ki v resnici sestavljajo en sam mestni aglomerat, z nepretrgano zve-

zo območja, ki jo je oviral v zadnih desetletjih samo obvezni prehod Casa Rossa.Naslednjega meseca bo sprememba dokončno pod očmi vseh, Gorica bo tako lahko pridobila tisto kar pred sto-letji je bil svoj naravni izliv. Zopet se bo spremenil urbanistični zemljepis mesta in zopet se bo center premak-nil. Piazza della Vittoria bo vedno več Travnik in Postaji bosta postali 2, tako da bo definicija Gorizia C.le imela nek pravi pomen. Prebivalci obeh Goric bodo lahko ugodno uporabili tole po-vezavo.Kako pa reagira župan na vse te no-vosti, ki bodo zainteresirale Gorico? Logično z hladno prekomejno politi-ko, ki postane mrzla, če pomislimo na delo, ki ga je izpeljala prejšnja uprava. Dal vam bom primer: vsakega druge-ga novembra je bila navada slaviti dan mrtvih skupaj na obeh straneh meje. Letos, prav v ključnem trenutku, ko se je moralo določiti, kje bo potekalo glavno praznovanje, župan Romoli se je odločil da letos ni imelo nobenega

smisla slaviti skupaj. A Ljubljana ni oddaljena od Gorice in gotovo odmev goriške ošabnosti je vplival na izgubo glavnega praznovanja. Ni mogoče sla-viti resni padec te meje pri Casa Ros-sa, ko obstaja Piazza Transalpina. To je trg, ki se nahaja popolnoma v Italiji in ni skupen prostor.Ni čudno, če bo Trst, mesto, v katerem bodo potekala praznovanja v spomin padca meje, kajti župan Di Piazza se je dokazal veliko bolj sposoben in nagnjen do politike približanja med državama.Naslednjo povletje predsedništva evropske unije pripada Sloveniji in že ministra D Alema in Rupel sta se menila o slučaju, da bi se lahko pri-redilo serijo mednarodnih razgovorov prav na goriškem območju; a če se bo nadaljevalo sedanjo obnašanje nezau-panja, Gorica se bo tako lahko zopet vrnila v dolgotrajno spanje, potem ko se je začasno prebudila prvega maja leta 2004.

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Marec 2008 IISconfinareSpeciale Sconfinare

Predstavitev nove knjige Roberta CovazaNiente da dichiarare

Zgodbe in portreti šestdeset let meje

V polni mali dvorani Soške knjižnice poteka predstavitev knjige o meji med Italijo in Slovenijo. Nekaj plakatov in dobre besede je prepričalo mnoge goričane naj gredo ven iz hiše in naj ponovno poslušajo anekdote o meji.Avtor knjige Roberto Covaz razčleni vsako stran z radovednostjo in ponižnostjo. Njegova knjiga nastane s pazljivo raziskavo o osebkih in položajih, ki jih je avtor našel v raznih nenavadnih kra-jih: na pokopališču Merne mudeča se meja je “oskrunila” grob s tem, da ga je na pol razdelila; iz polja bratov Zoff, uglobljen v Jugoslavijo leta 1947, ponoči je prihajal ropot strelov graničarjev proti vsem tistim, ki so hoteli prekoračiti mejo in zbežati v Italijo; v “muzeju meje” pri Transal-pini, najpomembnejši kos je velika rdeča zvezda iz pločevine, socialistični simbol, ki je Tito “dal pod nos” goričanom, tako da ga je obesil na zid železniške postaje. Nastala je tako lepa zbirka bleščečih portretov, narisani navzdolž meje, kateri znajo biti ganljivi, čeprav brez predsodkov. Zelo me je prizadel pripetljaj Rada, prodajalca časopisov Piccolo, katerega so obtožili sodelo-vanja s Titom pri deportaciji stotin goričanov umrlih v fojbah. Prav zaradi tega Covaz piše: “V Gorici, morda zaradi preteklosti vohunov, položaj ni se spremenil, kajti ostaja nezaupnost proti vsemu kar ni iz Gorice”.Srečanje poteče hitro. Paolo Rumiz, italijanski novinar časopisa Repubblica, razčleni najpomembnejše točke. Prelista knjigo in si pogleda zgodbo Roberta – v knjigi, Covaz pripovedu-je v tretji osebi o nekaterih dogodkih svojega življenja – protagonist knjige, ki zraste z mejo, ki jo je danes videl izginiti. Med spomini in anekdotami, “Niente da dichiarare” ne pozabi na preteklost in bodočnost te zemlje. Gorica in Nova Gorica: “spodnje hlače plesavk in cilinder”. Slovenci “so se iznebili težavnih palto-jev graničarjev, dobili pa so se s spodnjimi hlačami plesavk igralnic”. Na drugo stran se lahko pelješ s kolesom. Imamo mladeniče, ki ob nedeljah popoldne ne gredo na morje in raje ostanejo v muzeju meje, kjer lahko pripovedujejo zgodovino njihovega mesta tudi italijanskim turistom. “Na drugi strani Gorica dokaže vsa svoja leta. Še vedno se smatra za plemiča s cilindrom, ne da bi se zavedala, da svet se spreminja, teče in se prilagaja.”Potem ko sem kupil knjigo in sem prebral te besede, sem pomislil na tisto popoldne v knjižnici. Velik del prisotnih je bil sestavljen iz starejših ljudi, ki so hoteli ponovno doživeti kak dogodek njihove mladosti. Menim, da smo vsi ostali šokirani, ko je na koncu srečanja goriški igralec Gianfranco Saletta nas pozdravil s temi besedami: “Gorica se mora prebuditi. Mora iti izven osamljenosti v katero se naprej skriva. Mora postati bolj podzavestna. Kupiti knjigo “Niente da dichiarare” pomeni, da se čuti to potrebo. Vi mladi ste moč, ki lahko pripelje do menjave! Vi, ki se morate razjeziti in ki morate raztresti pisalne mize!” Škoda, da edini mladi prisotni v tisti polni dvorani smo bili mi, pet ali šest študentov SID-a, med katerimi nobenega goričana.

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Rubrika Go and Go

Strani IIStrani III

Predsednik EvropeSlovenija in polletje predsedstva predsedstva

SLOVENSKA IZDAJA

Objokovati leto 2004

Predstavitev nove knjige Roberta Covaza

Niente da dichiarare

Zgodbe in portreti šestdeset let meje

BREZPLNCA ŠTEVILKA Marec 2008 www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel

V minulih petnajstih letih se je Slove-nija iznebila jugoslovanskega socializ-ma in je postala ena izmed najvažnejših držav srednje in južne Evrope. Samo leta 1991 so se v Novi Gorici pojavili tanki in letališče pri Ljubljani je bilo prizorišče pravih vzorcev vojskovanja med jugoslovansko državno vojsko in gverilci, katere je vodil tedanji minister obrambe Janša, današnji predsednik slovenske vlade. Sedaj, leta 2008, med Gorico in Novo Gorico ni več zagrad in Ljubljana je postala pravo glavno mesto neodvisne države. Prav na letališče tega mesta vsaki dan pristane velika količina letal low-cost, tako kot se dogaja po celi zahodni Evropi. To je res pravi politični, gospodarski in socialničudež, ki ima svoje korenine v vrsti dejavnikov. Pomi-sliti moramo, da Slovenija ni bila vple-tena v jugoslovanski državljanski vojni, da je tu nastalo veliko podjetji, da so bogastva precej razširjena (v primerjavi z drugimi državami Balkana in vzhodne Evrope), da je Slovenija država v kate-rem je prebivalstvo povečinoma mlado in predvsem da so politični in gospodar-ski odnosi z Italijo, Avstrijo in Nemčijo več kot odlični. Vsi ti dejavniki so bili pravi pogon, ki je omogočil, da je ta ma-jhna in mlada republika lahko pričela pogovore za vstop v evropsko unijo že leta 1996 (samo po petih letih od ne-odvisnosti) in da je lahko v to vstopila leta 2004 in da je leta 2007 prav tako že sprejela evropsko valuto Evro. Letos v prvem polletju leta 2008 pa bo Slove-nija predsedovala evropski uniji. V teh mesecih ima Slovenija pred sabo eno iz-med največjih nalog svojih zadnjih let: morala bo pač dokazati ne samo Evropi, ampak tudi Združenim Državam Ame-rike, da je zmožna upravljati in tudi, kjer mogoče, rešiti, najvažnejše zade-ve balkanske Evrope. Nažalost zgleda, da prvi dogodki zadjnih mesecev gredo proti ciljem, ki jih je slovenska republi-

ka hotela doseči. Pomislimo samo na hrupnega diplomatskega incidenta med Slovenijo in ZDA, ki je močno zmanjšal verodostojnost države. Poleg vseh pro-blemov povezanih z razvojem države, bo Slovenija v teh šestih mesecih mo-rala rešiti tri poglavitne zadeve, ki lahko vplivajo na razvoj evropske unije. Naj-prej bo morala nadzorovati prvemu delu postopka odobritve novega evropskega traktata. Potem pa bo začela razvijati in uresničiti načela in nasvete strategije Lisbone in predvsem bo skušala stabi-lizirati Balkane s tem da bo poravnala spore s Hrvaško, in najvažnejše, da bo opredelila novi statut za Kosovo. Prav kosovska zadeva je razburila prve ted-ne predsedstva, ko je tajni dossier po-stal javen. V dossierju je bilo napisano, da so ZDA dale nasvet Sloveniji, naj postane prva država, ki bi prepoznala neodvisnost Kosova. Očitno je morala zadeva ostati tajna in s tem da je posta-la javna, bo gotovo opočasnila proces prepoznanja. Predsedstvo Slovenije ima pred sabo pretekla predsedstva Nemčije in Portugalske, a predvsem se bo mora-lo primerjati z dočakanim francoskim predsedstvom v drugem polletju leta 2008; vse to je nedvomno zelo napor-na in pomembna naloga za tako majhno državo, ki ima le 2 milijona prebivalcev, a po drugi strani je to tudi poglavitna naloga za državo, ki hoče postati jedro Evrope, ki se širi in odpira vedno več proti vzhodu.

Kdo vse izmed vas je, ko je prihajal v Gorico, pomislil, da mesto ne ponuja ravno veliko krajev za druženje mladih? Kdo vse si je obljubil, da se bo vpisal na vadbo, da bi se znebil “študijskih” kilo-gramov, na koncu pa podlegel brezde-lju? Kdo vse dnevno kritizira naše univerzitetno mesto, ki daje mrzel in nedomač vtis?Prepričana sem, da ste tudi vi tako kot jaz imeli slab prvi vtis Gorice. Am-

pak, ko se poglobiš v mestno ponudbo, odkriješ val življenja in možnosti, kate-re si prej nisi niti predstavljal. Ena izmed teh namreč, so treningi capoei-re.Capoeira je način samoobrambe, ki se je razvila pred približno 500 leti, s deportacijo afriških sužnjev v Brazilijo. V “Sen-zalas” (skupki koč, v katerih so živeli sužnji znotraj nasa-dov, kjer so delali) se capoeira rodi in raste v ilegali. Sužnjem je bilo namreč prepovedano prakticirati kakršnokoli vrsto borilne veščine, ki bi lahko služila za samoobramo ali napad. Napadalni in obrambni gibi so bili zato zamaskirani skupaj z elegantnimi akrobacijami in glasbeno spremljavo. Ta njihova borilna umetnost se je tako spremenila v ples.Preko okvirov definicij je capoeira gi-banje, je barvitost, je gibčnost, so zvoki in petje, je ples, je boj iznajdljivosti in hitrosti, je povezana skupina ljudi, ki si delijo strast...Na prvem treningu, ko vidiš akrobacije, ki jih izvajajo “starejši”, izgubiš malo samozavesti. Ampak, kot nas je Profes-sor Malicia vedno opominjal: “V capo-

eiri ne obstaja besedna zveza: ne mo-rem”. In z malo vztrajnosti, treningom in samozaupanja, je napredek viden že po nekaj tednih. Ni potrebno biti profe-sionalec za “igranje”, ampak zadostuje se naučiti osnovne korake in imeti po-budo.Lepota capoeire je ravno v tem, da se počutiš kot izstreljen v drugo kulturo. Veliko je brazilskih “Professorjev” in “Mestrejev” širom Italije, ki vodijo tre-ninge in delavnice zato, da učenci ne bi razumeli le gibov in tehnik, ampak tudi

filozofijo, ki se skri-va za stvarmi tako, da se lahko soočimo z preizkušnjami in presežemo naše omejitve.Brezdvomno je najzabavnejši del te discipline roda. Ca-poeiro lahko izvaja-mo kjerkoli: ne samo znotraj telovadnic, ampak tudi na ce-sti, na plaži, v par-ku... Zadošča dvojica inštrumentov, berim-bao in pandeiro, dva

igralca in že lahko začnemo z izzivom. Nepojmljiv občutek te prevzame, ko se množica ljudi ustavi in si ogleduje kaj počneš, se smeji, komentira in ostane osupla pred spretnimi gibi. Trema, ki jo ponavadi občutimo pred javnim na-stopom, koncertom ali gledališkim na-stopom, v capoeiri ne obstaja. Skupina te napolni z energijo in vzpodbuja. Ko si znotraj rode ne vidiš nič drugega kot tvojega nasprotnika, ne slisiš drugega kot glasbe, stalne in v ritmu, ploskanja svojih tovarišev, njihove glasove, ki te vzpodbujajo.Pred svojim prihodom v dolgočasno Gorico še slišala nisem nikjer omembe te discipline. Ampak že po samo letu dni na treningih sem se vanjo zaljubila. Je način, kako se malo razgibamo, spoz-namo nove ljudi, izkusimo ozračje od-daljenih dežel, si damo malo duška pred težkim študijem. Mislim, da ima samo en stranski učinek... povzroča močno odvisnost.

CAPOEIRA