Sconfinare numero 13 - aprile 2008

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COPIA GRATUITA Numero 13 - Aprile 2008 Olimpiadi in Cina Indice di Sviluppo Umano L’Africa si racconta a Pordenone Cinema Musica Italia Università Stile libero Cultura Glocale CONTINUA a pagina 2 www.sconfinare.net L’indice Direttrice: Annalisa Turel Internazionale L’ultimo dei Nanetti L’Italia è Blu - Verde (Leghista) Un’altra volta hanno fallito: la maratona elettorale inizia alle 15, con la diffusione dei famigerati exit – pool che prefigurano un testa a testa tra PdL e PD, annuncian- do solamente a 2 i punti di vantaggio del primo sul secondo. Alle 16 30 i punti di vantaggio per Berlusconi si moltiplicano, anzi si triplicano arrivando a circa 7. Lo sconforto dei militanti del PD riniti sot- to il Loft di Veltroni è palpabile. Da par- te sua il Popolo delle Libertà festeggia il risultato parlando di “vittoria netta”. Ma queste elezioni hanno descritto un’Italia e disegnato un Parlamento che dire abbia sorpreso è dire poco. Ma andiamo con ordine: la vittoria dell’asse PdL - Lega di Berlusconi è solida, distante 9 lunghezze dal PD che si ferma, in coalizione con l’Italia dei Valori, attorno al 38 % sia alla Camera che al Senato. Il compagno di strada Di Pietro festeggia il risultato che lo porta a raddoppiare i consensi rispetto alle politiche del 2006 (si attesta intorno al 5 %). Il partito del predellino di piaz- za S. Babila è un successo, qualche punto percentuale in più rispetto alla somma di An e Fi (intorno al 38 %). Sorprendente il risultato della Lega, apparentata con il PdL, vera vincitrice di questa tornata elet- torale: dilaga al Nord, trionfa addirittura in alcune regioni arrivando a competere con il PdL (in Veneto più che raddoppia, dall’11 al 25 %), oltrepassa il Po conqui- stando le regioni rosse, sorprendendo con un ottimo risultato in Emilia-Romagna: supera il 7 %. In totale conquista un deter- minante bottino, con il 6 % alla Camera e più dell’ 8 % al Senato: l’Italia è di Bossi e Berlusconi, con un 47 % dei consensi che consegna loro una maggioranza più che solida. Qualche ombra, appunto, sul forte risultato della Lega, che potrà influenzare pesantemente le scelte del futuro gover- no. Per il resto, è un terremoto in Parlamen- to: l’Udc sopravvive, anzi ottiene un di- screto risultato stretto com’era fra due giganti: passa la soglia di sbarramento alla Camera, con un 5,5 % dei consensi, e posiziona una pattuglia di 3 senatori pro- venienti dalla Sicilia, unica regione in cui supera l’8 %. Tra questi il neo condannato Cuffaro, ma va bene così, pochi ma buo- ni. Sono 5, quindi, i gruppi parlamentari che sopravvivono alla nascita della Terza Repubblica, 6 contando anche l’MpA del nuovo governatore della Sicilia Lombar- do, alleato con Berlusconi. Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione Si rimane sempre sorpresi e divertiti dai paradossi della vita: ad esempio, quando un uomo di 71 anni, candidato alle ele- zioni per la quinta volta di seguito, dice che il suo avversario, che di anni ne ha 52, rappresenta il vecchio della politica italiana. O, ancora meglio, quando, a po- chi giorni dalla repressione sanguinaria di una rivolta in Tibet sotto gli occhi del mondo, il rappresentante del governo ci- nese si presenta agli stessi occhi auspi- cando uno sviluppo della pace e della fra- tellanza. Certo, l’occasione era speciale: l’accensione della fiaccola olimpica. E un po’ di retorica, in tali occasioni, serve sempre. Ma l’impressione di un parados- so rimane. O, forse, di una faccia tosta ai limiti dell’accettabile. Forse è per que- sto genere di episodi che, quest’anno, le Olimpiadi hanno perso buona parte del loro fascino, della loro epicità. Sia chiaro: non che io sia un romanticone, convinto del fatto che esse siano mai state qual- cosa di diverso da uno spettacolo teatrale multimilionario. Ma le Olimpiadi han- no sempre avuto un certo richiamo, una certa simbologia che le rendeva speciali; attorno alla fiaccola si riunivano molte speranze, molti messaggi di fratellanza. Tutto questo, visti gli eventi del Tibet e molti altri comportamenti che hanno cal- pestato questa simbologia da parte della città che dovrebbe essere “luce del mon- do” quest’estate, è stato spazzato via; e, tolta la maschera, è rimasto solo il grigio sfondo: uno sfondo fatto di interessi, di geopolitica, di economia. Per questo io personalmente non ho visto come un at- tentato alla sacralità dell’evento le varie manifestazioni di protesta che da Olim- pia hanno seguito giorno per giorno la fiaccola. Se il sacro non c’è più, grazie proprio a quelli che ne dovrebbero essere promotori, non vedo perché dovrebbe es- sere trattato come tale. Detto ciò, va ag- giunto che le contestazioni , per quanto legittime, sbagliano oggetto. La fiaccola in sé è neutra; anzi, per i più nostalgici, è anche portatrice di quei valori che ricor- davo prima. Capisco però che il suo pas- saggio offra una grande visibilità a chi si oppone alla “desacralizzazione”. O, in altri termini, all’atteggiamento autorita- rio e intollerante della Cina. Pechino, le olimpiadi e l’occidente 13 e 14 aprile CONTINUA a pagina 4 Anniversario sequestro Moro Anniversario Impastato Il “Dopo-elettorale” Le elezioni in FVG Allargamento Polo Goriziano La scomparsa del prof. Fasana Intervista al preside Coccopalmerio Il Polo del Negoziato Il cacciatore di Acquiloni Tutta la vita davanti Il Lato grottesco della vita Presentazione libro di Sgrena a Gorizia In fuga dalle tenebre Sistemi di sicurezza internazionali Concerto di Allevi The Wombats in Concert

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COPIA GRATUITANumero 13 - Aprile 2008

Olimpiadi in CinaIndice di Sviluppo Umano

L’Africa si racconta a Pordenone

Cinema

Musica

Italia

Università

Stile libero

Cultura Glocale

CONTINUA a pagina 2

www.sconfinare.net

L’indice

Direttrice: Annalisa Turel

Internazionale

L’ultimo dei NanettiL’Italia è Blu - Verde (Leghista)

Un’altra volta hanno fallito: la maratona elettorale inizia alle 15, con la diffusione dei famigerati exit – pool che prefigurano un testa a testa tra PdL e PD, annuncian-do solamente a 2 i punti di vantaggio del primo sul secondo. Alle 16 30 i punti di vantaggio per Berlusconi si moltiplicano, anzi si triplicano arrivando a circa 7. Lo sconforto dei militanti del PD riniti sot-to il Loft di Veltroni è palpabile. Da par-te sua il Popolo delle Libertà festeggia il risultato parlando di “vittoria netta”. Ma queste elezioni hanno descritto un’Italia e disegnato un Parlamento che dire abbia sorpreso è dire poco. Ma andiamo con ordine: la vittoria dell’asse PdL - Lega di Berlusconi è solida, distante 9 lunghezze dal PD che si ferma, in coalizione con l’Italia dei Valori, attorno al 38 % sia alla Camera che al Senato. Il compagno di strada Di Pietro festeggia il risultato che lo porta a raddoppiare i consensi rispetto alle politiche del 2006 (si attesta intorno al 5 %). Il partito del predellino di piaz-za S. Babila è un successo, qualche punto percentuale in più rispetto alla somma di An e Fi (intorno al 38 %). Sorprendente il risultato della Lega, apparentata con il PdL, vera vincitrice di questa tornata elet-

torale: dilaga al Nord, trionfa addirittura in alcune regioni arrivando a competere con il PdL (in Veneto più che raddoppia, dall’11 al 25 %), oltrepassa il Po conqui-stando le regioni rosse, sorprendendo con un ottimo risultato in Emilia-Romagna: supera il 7 %. In totale conquista un deter-minante bottino, con il 6 % alla Camera e più dell’ 8 % al Senato: l’Italia è di Bossi e Berlusconi, con un 47 % dei consensi che consegna loro una maggioranza più che solida. Qualche ombra, appunto, sul forte risultato della Lega, che potrà influenzare pesantemente le scelte del futuro gover-no. Per il resto, è un terremoto in Parlamen-to: l’Udc sopravvive, anzi ottiene un di-screto risultato stretto com’era fra due giganti: passa la soglia di sbarramento alla Camera, con un 5,5 % dei consensi, e posiziona una pattuglia di 3 senatori pro-venienti dalla Sicilia, unica regione in cui supera l’8 %. Tra questi il neo condannato Cuffaro, ma va bene così, pochi ma buo-ni. Sono 5, quindi, i gruppi parlamentari che sopravvivono alla nascita della Terza Repubblica, 6 contando anche l’MpA del nuovo governatore della Sicilia Lombar-do, alleato con Berlusconi.

Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione

Si rimane sempre sorpresi e divertiti dai paradossi della vita: ad esempio, quando un uomo di 71 anni, candidato alle ele-zioni per la quinta volta di seguito, dice che il suo avversario, che di anni ne ha 52, rappresenta il vecchio della politica italiana. O, ancora meglio, quando, a po-chi giorni dalla repressione sanguinaria di una rivolta in Tibet sotto gli occhi del mondo, il rappresentante del governo ci-nese si presenta agli stessi occhi auspi-cando uno sviluppo della pace e della fra-tellanza. Certo, l’occasione era speciale: l’accensione della fiaccola olimpica. E un po’ di retorica, in tali occasioni, serve sempre. Ma l’impressione di un parados-so rimane. O, forse, di una faccia tosta ai limiti dell’accettabile. Forse è per que-sto genere di episodi che, quest’anno, le Olimpiadi hanno perso buona parte del loro fascino, della loro epicità. Sia chiaro: non che io sia un romanticone, convinto del fatto che esse siano mai state qual-cosa di diverso da uno spettacolo teatrale multimilionario. Ma le Olimpiadi han-no sempre avuto un certo richiamo, una certa simbologia che le rendeva speciali; attorno alla fiaccola si riunivano molte speranze, molti messaggi di fratellanza. Tutto questo, visti gli eventi del Tibet e molti altri comportamenti che hanno cal-pestato questa simbologia da parte della città che dovrebbe essere “luce del mon-do” quest’estate, è stato spazzato via; e, tolta la maschera, è rimasto solo il grigio sfondo: uno sfondo fatto di interessi, di geopolitica, di economia. Per questo io personalmente non ho visto come un at-tentato alla sacralità dell’evento le varie manifestazioni di protesta che da Olim-pia hanno seguito giorno per giorno la fiaccola. Se il sacro non c’è più, grazie proprio a quelli che ne dovrebbero essere promotori, non vedo perché dovrebbe es-sere trattato come tale. Detto ciò, va ag-giunto che le contestazioni , per quanto legittime, sbagliano oggetto. La fiaccola in sé è neutra; anzi, per i più nostalgici, è anche portatrice di quei valori che ricor-davo prima. Capisco però che il suo pas-saggio offra una grande visibilità a chi si oppone alla “desacralizzazione”. O, in altri termini, all’atteggiamento autorita-rio e intollerante della Cina.

Pechino, le olimpiadi e l’occidente

13 e 14 aprile

CONTINUA a pagina 4

Anniversario sequestro MoroAnniversario Impastato

Il “Dopo-elettorale”

Le elezioni in FVGAllargamento Polo Goriziano

La scomparsa del prof. FasanaIntervista al preside Coccopalmerio

Il Polo del Negoziato

Il cacciatore di AcquiloniTutta la vita davanti

Il Lato grottesco della vita

Presentazione libro di Sgrena a GoriziaIn fuga dalle tenebre

Sistemi di sicurezza internazionali

Concerto di AlleviThe Wombats in Concert

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Sconfinare Aprile 20082Mondo

15 marzo

31 marzo TURCHIAIl Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), attualmente al governo, sarà processato per “attività antilaiche”. Lo ha deciso lunedì la corte costituzionale di Ankara, che ha formalmente accettato la richiesta avanzata il 14 marzo scorso dal procuratore della cassazione, Abdur-rahman Yalcinkaya, secondo cui l’Akp e i suoi dirigenti si sono resi re-sponsabili di provvedimenti che minano il principio di secolarità, san-cito dalla costituzione turca. Il rischio dunque, è che si apra un periodo di grave crisi istituzionale, che potrebbe coinvolgere anche l’esercito.

11 aprile ZIMBAWENonostante il successo netto dell’opposizione nel-le elezioni di sabato, Robert Mugabe, il presiden-te uscente dello Zimbabwe che da 28 anni è alla guida del paese, sta facendo di tutto per restare al potere. Nella serata di ieri, infatti, Mugabe ha cer-cato di bloccare la commissione elettorale incarica-ta di annunciare i risultati delle elezioni, ritardan-do così un verdetto che appare comunque scontato.

3 aprile ROMANIAsi apre il nuovo Summit tra Nato e Russia, ultimo incontro tra i due presidenti uscenti. Entrano a far parte della Nato la Croazia e l’Albania, mentre ne restano ancora escluse l’Ucraina e la Ge-orgia. L’incontro stato fondamentale anche per discutere dello scudo antimissilistico americano

10 aprile ONUIl segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon non assisterà alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino. Nonostante la ragione ufficiale sia “un problema di calendario”, la sua assenza aumenterà l’impressione della Cina di essere ingiustamente offesa dalla comunità internazionale.

5 aprile - OLIMPIADILa fiaccola olimpica parte per il suo giro dei continenti creando non poche proteste nei confronti del Governo cinese. Nella mag-gior parte dei paesi si verificano scontri tra manifestanti e le forze dell’ordine. Si apre il dibattito sulla partecipazione politica o meno all’apertura dei Giochi Olimpici. Sarkozy ha imposto 3 condizioni di dialogo con la Cina, Bush ha paventato la ossibilità di disertare la cerimonia e Gordon Brown ha dichiarato di non esserci.

Pechino, le olimpiadi e l’occidenteBoicottaggio si, boicottaggio no?

1 aprile COLOMBIA/FRANCIA Lo stato di salute di Ingrid Betancourt è “allarmante”, è “in pericolo imminente di morte”, così come dichiarato dal pre-sidente francese Nicolas Sarkozy rivolgendo un appello per la liberazione immediata dell’ostaggio franco-colombiano al capo delle Farc, ‘Manuel Marulanda’. L’appello del Presi-dente viene a poca distanza dall’allarme lanciato da uno dei mediatori per le condizioni di salute della Betancourt

E proprio a questo riguardo è nato un di-battito in questi giorni, soprattutto dopo gli eventi del Tibet: boicottare o non boi-cottare le Olimpiadi? Il problema, visto dal punto di vista dei vari governi, è spi-noso; essi hanno le mani legate dal fatto che la Cina è un partner fondamentale per l’Occidente, dal punto di vista econo-mico e politico. Chiaro dunque che molti governanti occidentali chinino la testa di fronte al gigante. Molti, non tutti: Sar-kozy ha proposto il boicottaggio, Brown, dopo un’ iniziale partecipazione, ha fatto marcia indietro e ha detto che non sarà presente alla cerimonia di apertura. L’Eu-ropa, nonostante tutto, si sta svegliando: l’intenzione del presidente francese è quella di partecipare solo se ci sarà un dialogo di Pechino con il Dalai Lama. Novità di queste ultime ore è che anche il Congresso Americano, in occasione della visita negli Usa del Dalai Lama, ha votato una risoluzione che condanna la repressione cinese e invita, anch’esso, al dialogo. Questo è quanto può fare la diplomazia occidentale; ma è giusto non

Il passaggio dall’ingresso alla platea, dopo la lunga attesa sotto la tettoia sgocciolante del teatro Verdi, è stato un viaggio ultra-rapido dalla piovosa Pordenone al Suda-frica postcoloniale; un viaggio guidato da parole e gesti di una signora ottantaquat-trenne, africana di madre inglese e padre lettone, che ha vissuto e raccontato il suo Paese con l’occhio della scrittrice, attenta agli «aneddoti non inclusi nel libro di sto-ria da imparare a memoria».Nadine Gordimer esce dalle quinte del Dedica Festival e si avvia a piccoli passi verso il leggio, inizia a sfogliare le prime pagine del suo nuovo libro, Beethoven era per un sedicesimo nero, legge in in-glese il primo racconto. È la storia di un professore di Biologia che, dal Sudafrica di oggi, cerca di ripercorrere la storia del-la sua famiglia a partire dal suo cognome (bianco) ereditato dal bisnonno partito

molti anni prima dall’Inghilterra; quel suo avo – ritratto nella sua gioventù virile in una vecchia fotografia – gli aveva tra-smesso una goccia di sangue nero, unen-dosi, lontano dalla moglie e dalla patria, con una serva della miniera. È forse per questo che il prof, da ragazzo, disegnava e affiggeva per le strade manifesti contro i signori del regime dell’apartheid; per questo, oggi, non è guardato con troppa diffidenza dai suoi connazionali con la pelle scura: «Una volta c’erano neri, che, poveracci, volevano rivendicare il loro essere bianchi. Adesso c’è un bianco che, poveraccio, vuole rivendicare il suo esse-re nero. Il segreto è sempre lo stesso.»In platea il pubblico (tanti sono gli afri-cani) è in delirio quando una figura, alza-tasi dalla prima fila in penombra, sale sul palco e si riempie di luce: Kofi Annan, ex segretario delle Nazioni Unite, «non ha

resistito» a venire a salutare una vecchia amica. «Un bravo cittadino del mondo è chi riesce ad esserlo a partire dal suo villaggio. Nadine ha servito il suo Paese con le parole, che possono influenzare gli amici o i politici. Da segretario ho tenuto presente quanto mi ha insegnato questa signora, ho cercato di farmi tramite di parole di speranza perché arrivassero an-che in Paesi dove si può morire per aver scritto una pagina di giornale». Annan racconta dei suoi incontri con la scrittri-ce, i due si sono spesso incrociati in giro per il mondo cogliendo l’occasione per scambiare qualche considerazione sulla loro Africa. La stessa Gordimer racconta delle loro preoccupazioni e speranze per Kenia e Zimbabwe; risponde paziente alle do-mande un po’cattedratiche di una docente universitaria, spiega come nascono i suoi racconti e parla di Sudafrica. Il suo Pae-se è uscito nel 1991 da quarantatré anni di apartheid; ha rischiato la guerra civile, ma nel 1994 ha festeggiato, con le prime elezioni a suffragio universale, la vittoria del African National Congress di Nelson Mandela. «La gente è scesa per le stra-de, si brindava, l’euforia era inconteni-bile: ma è arrivato il giorno dopo, quello dell’impegno per costruire il futuro. Oggi stiamo vivendo quel “giorno dopo”.»Due imprevisti rendono tuttora difficile la vita al popolo sudafricano: la piaga dell’AIDS e le forti ondate di immigra-zione; tre milioni di persone sono già fuggite verso Sud da Zimbabwe, Soma-lia, Kenia, provocando sempre più risen-timento nella popolazione. «Siamo liberi solo da mezza generazione, l’Occidente sappia pazientare, ci dia un’occasione: stiamo facendo molti passi avanti e io sono una “realista ottimista”, come mi ha insegnato Mandela.»La sala tace e sospira quando Kofi e Na-dine, due artigiani della parola, si stringo-no un forte abbraccio.Conservo il ricordo di una vecchina piena di energie che non smetterà di combatte-re con la sua penna, la stessa penna che quella sera ha graffiato paziente decine di autografi per i fans di Pordenone.

Francesco Marchesano

Nadine Gordimer e Kofi AnnanL’Africa si racconta a Pordenone

essere acquiescenti di fronte a tutto, e im-porre almeno il dialogo a Pechino, se vo-gliamo che la Cina non diventi veramen-te l’unica potenza, se vogliamo ancora avere qualcosa da dire. Per i privati, e per gli atleti in particolare, la scelta è più facile. Si tratta di un fatto personale; ma per quanto mi riguarda, penso che sia un errore da parte dei vari comitati olimpi-ci nazionali non presentare i propri atleti alla manifestazione. Questo perché, oltre al fatto che sarebbe l’unica possibilità ancora rimasta per le Olimpiadi di essere comunque, almeno per qualche aspetto, una festa di sport, c’è anche un’altra que-stione, più inerente a quanto detto finora: non partecipare non porterebbe nessun vantaggio alla protesta. Anzi, al governo cinese tale situazione potrebbe far piace-re: avrebbe meno gatte da pelare, senza atleti che manifestino davanti a miliardi di spettatori. E questo è proprio quello che, secondo me, andrebbe fatto: occorre che coloro che parteciperanno rappresen-tando i Paesi occidentali protestino; oc-corre che ogni sportivo europeo o ameri-

cano che dovesse salire sul podio innalzi uno striscione, una bandiera, a favore del Tibet o, più in generale, contro la repres-sione cinese. Bisogna sfruttare la grande vetrina offerta dalle Olimpiadi, tenendo conto anche del fatto che la Cina non po-trà censurare TUTTE le immagini della gare; così, la protesta sarà veramente vi-sibile, e coglierà più nel segno di quanto non faccia ora con la fiaccola olimpica. In questo modo, la sacralità potrà venire in parte ritrovata; le Olimpiadi riacqui-steranno il loro messaggio di fratellanza se, e solo se, ci sarà un’affermazione da parte degli alfieri di quel messaggio in tale occasione, gli atleti. Se nessuno di loro farà sentire la propria voce, queste Olimpiadi saranno state un fallimento, e noi Occidentali non potremo più esigere di essere visti come “difensori della liber-tà”. Certi titoli vanno meritati e conqui-stati sulla pista, non derivano per nascita. E’ una semplice regola democratica.

Giovanni Collot

CONTINUA DALLA PRIMA

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SconfinareAprile 2008 3

12 aprile KENYAVarato in Kenya un governo di grande coalizione che dovrebbe ferma-re le tremende violenze seguite al contestato risultato del voto del 27 dicembre, e riavviare in maniera condivisa la difficile ricostruzione.

5 aprile VATICANO ‘Mi vergogno profondamente’: Il Papa assicura che la chiesa ‘fara’ di tutto per sanare le ferite’ causate dallo scandalo dei preti pedofili. ‘Vicende del genere non accadranno piu’’, ha promesso Ratzinger durante il volo che lo porta in Usa, esprimendo la sua ‘profonda sofferenza’, la sua incredulita’ per quanto e’ successo. ‘La pedofilia e’ del tutto incompatibile con il ministero sacerdotale. I pedofili saranno completamente esclusi dal sacerdozio’.

15 aprile10 aprile NEPAL

Gli ex ribelli maoisti sono vicini alla vittoria nelle prime elezioni dopo nove anni. La Commissione elettorale ha confermato che gli ex ribelli maoisti sono in vantaggio sui due partiti dati inizialmente come favoriti, il centrista Congresso nepalese e il Partito Marxista-leninista unificato (Uml). I due gruppi hanno finora conquistato rispettivamen-te 17 e 23 seggi dei 213 scrutinati, contro i 104 dei Maoisti.I risultati finali si sapranno però solo dopo il 20 aprile a causa del complesso sistema elettorale nepalese.

16 aprile USAStorica visita di Benedetto XVI alla Casa Bianca, ricevuto con grandi fasti e onori. Papa Ratzinger ha tuttavia chiesto al popolo americano di trovare nella propria fede religiosa un criterio di «discernimento e di ispirazione» di fronte alle sempre «più complesse questioni politice ed etiche». Il Papa ha appena compiuto 81 anni e il 19 aprile prossimo festeggerà il terzo anniversario da Papa.

Mondo

Un altro mondo è impossibile se non lo si pensa Zimbawe ancora sconosciuti i risultati del voto

Mugabe non molla la

presidenza

In un suo illuminante discorso al Collège de France, Sartre analizzò il concetto di potere giungendo alla conclusione che il potere è un discorso. Il potere può essere definito come “ far fare qualcosa a qualcuno che normalmente non farebbe”, definizione molto in voga tra sociologi e politologi. Da questa definizione si evince un grado “cooptativo” del potere, ovvero un certo grado di persuasione dell’udi-tore il quale tenderà a credere o a contestare, le parole dell’interlocutore. A questo punto si determinerebbe una situazione per la quale l’oratore dice una tal cosa (chiamiamola x), l’uditore pensa che x sia vera, falsa o verosi-mile. In quel momento l’uditore prenderà in considerazione solo le tre opzioni di cui so-pra, ovvero che x sia vera, falsa o verosimile tralasciando l’ipotesi che magari x non esista. Mentre la mente dell’uditore è fossilizzata su questo dubbio amletico, un altro oratore gli apporta delle dimostrazioni per la non esi-stenza di x (non-x), e così via sino all’infinito. Morale della favola, l’uditore non prenderà mai in considerazione l’esistenza di altre va-riabili, dando x per scontato. Esempio pratico può essere dato dall’uovo di Colombo, oppu-re dai cigni di Popper (un nome, un perché), e per essere ancora più pragmatici pensiamo alle carte geografiche; chi l’ha mai detto che l’Europa deve essere in alto e al centro? Da ciò si deduce che se non abbiamo alternative è perché non siamo stati abituati a vederle, d’al-tro canto se non abbiamo alternative si può pensare che non esistano. Altro punto focale di questo articolo è il concetto di verità o me-glio, parafrasando Cox, dell’utilità della veri-tà, poiché la verità è funzionale a qualcosa o qualcuno. Unendo i discorsi fin qui fatti la ve-

rità è funzionale a chi ha “il” potere. Spiegan-do meglio, nel momento in cui si fa credere a qualcuno qualcosa, esso rimane imbrigliato in questa “sovrastruttura”, credendo che sia l’unica possibile (quella vera). Dopo questa doverosa premessa, prendiamo in conside-razione il mito dello “sviluppo economico”. Quando si parla di “sviluppo” o “crescita” economica si pensa alla quantità di industrie, ed alle relativa produzione di un determinato paese. In un certo senso i due termini sopra ci-tati prendono le mosse da quello più generico di’“industrializzazione” e ciò porta alla logi-ca conseguenza che per calcolare la crescita o lo sviluppo di un paese, dobbiamo vedere quanto producono le sue industrie. L’indica-tore usato dagli economisti per determinare il prodotto di una nazione è il PIL; ed è questo (o meglio la sua comparazione) che viene usa-to per calcolare lo sviluppo (la comparazione nello stesso periodo dei PIL di diversi paesi) e la crescita (la comparazione dei PIL di periodi diversi dello stesso paese). Ma addentriamoci nei tecnicismi. Il PIL (prodotto interno lordo) è il valore complessivo dei beni e servizi finali prodotti da un paese, in un determinato perio-do di tempo al lordo degli “ammortamenti”. Negli anni ‘70 però, con l’aiuto dei sociologi sviluppisti, si è iniziato a mettere in discus-sione la valenza formale del PIL. Esattamente l’uguaglianza sviluppo = industrializzazione, iniziò a perdere di significato, consideran-do anche quanto accade nelle ex-colonie e le varie crisi petrolifere. Sembrava che l’era dell’abbondanza fosse finita e dunque si pas-sò dalla preoccupazione della crescita inten-sa alla ricerca di un percorso di sviluppo che potesse quanto meno preservare nel tempo il

livello di benessere acquisito. Il PIL non era più così utile come indicatore e si passo al MEW di Nordhaus e Tobin (Premio Nobel per l’economia nel 1981). Tale indicatore è ugua-le al PIL meno le giacenze di mercato e spese negative. In altre parole il MEW è calcolato sottraendo al PIL tutto ciò che non poteva es-sere considerato consumo corrente: il deprez-zamento dei beni capitali, gli investimenti e le cosiddette spese non discrezionali (il costo di spostamento verso il lavoro e i costi che si devono sostenere per vivere nelle grandi città). Altri indicatori si sono susseguiti (è il caso di ricordare persino l’Indice di Felicità) promossi da università, studiosi, capi di stato (l’indice appena citato è stato promosso dal Dalai Lama) e persino dalla Comunità Euro-pea. Inutile dire che questi indicatori partiva-no sempre dal medesimo presupposto, ovvero che c’era sviluppo se “giravano soldi”. Tutto ciò è andato in frantumi con la comparsa di un economista indiano, Amartya Kumar Sen (Premio Nobel per l‘economia nel 1998), il quale, tornando alle origini, ha dimostra-to come efficienza ed equità (i due parame-tri di cui l’economia si occupa) non fossero considerati congiuntamente dagli indicatori. Egli sosteneva che gli indicatori usati, dava-no peso esclusivo all’efficienza economica, e non all’equità. In altre parole Sen propone di studiare la povertà, la qualità della vita e l’uguaglianza non solo attraverso i tradiziona-li indicatori di disponibilità di beni materiali, ma anche attraverso delle esperienze “positi-ve”. Il merito di Sen è dunque quello di aver portato il concetto di sviluppo dalla vecchia concezione di accumulazione (chi produce di più sta meglio), ad una nuova centrata sulla qualità della vita. Il nuovo indicatore, propo-sto dallo stesso Sen è l’ISU (Indice di Svilup-po Umano o Human Development Index) ed esso è composto da tre indicatori principali: il PIL (è innegabile che se i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria), l’aspettativa di vita, ed il grado di istruzione. Il suddetto indice, è usato sin dal 1993 dalle Nazioni Unite e in un recente discorso persino Nicolas Sarkozy, ha dichiarato di voler incaricare Sen e Stiglitz (altro Nobel) di trovare degli indica-tori ancora più precisi dell’ISU per avere una migliore immagine della situazione economi-ca reale della Francia.In conclusione possiamo dire che l’ISU cam-bia il punto di vista con il quale l’economia vede la realtà, e fino a quando non verremo a conoscenza di altri punti di vista in tutti i campi delle scienze sociali, continueremo ad essere convinti che quello che vediamo sia l’unico punto di vista possibile. Un altro mon-do è possibile solo se lo si pensa.

Giovanni Armenio

Non so figurarmi Nadine Gordimer e kofi Annan, premi Nobel per la Letteratura e per la Pace, seduti in un salotto di Pordenone a parlare del loro continente. Una delle cri-si africane più “fresche di stampa” è quella dello Zimbabwe. Mentre scrivo si è aperto a Lusaka il vertice di emergenza della Sadec (Southern African Development Communi-ty, riunisce 14 Paesi dell’Africa del Sud) per decidere sulla messa in accusa del padre pa-drone dell’ex Rodesia del Sud, Robert Mu-gabe. Il presidente, eroe dell’indipenden-za e oggi spietato dittatore, non partecipa all’incontro e prende tempo dopo le elezioni del 29 marzo. Il suo partito – lo Zanu-PF, di ispirazione marxista - leninista – ha cer-tamente perso la maggioranza parlamenta-re in favore del Movement for Democratic Change fondato nel 1999 da Morgan Tsvan-girai. Quest’ultimo, leader dell’opposizio-ne, reclama da giorni di aver ottenuto pure la maggioranza assoluta alle presidenziali; tuttavia i risultati ufficiali non sono ancora stati resi noti dal presidente, che intende in-dire un ballottaggio sostenendo che nessun candidato abbia ottenuto il 50 per cento del-le preferenze. Mugabe non è riuscito a condizionare il ri-sultato del voto nonostante la minacciosa presenza presso i seggi dei suoi uomini ar-mati e una riforma elettorale che attribuisce un peso maggiore alle circoscrizioni a lui più favorevoli. Il popolo è stanco del ditta-tore. Salito al potere nel 1980 appena raggiunta l’indipendenza si era impegnato in un'ope-ra di redistribuzione delle ricchezze perché migliorasse la qualità della vita della popo-lazione nera, garantendo assistenza sanitaria e scolastica a tutti; si guadagnò rispetto e ap-poggio internazionali. Il graduale accentra-mento di poteri, le quotidiane violazioni dei diritti umani e le politiche autoritarie hanno tuttavia portato allo stremo il Paese. L’eco-nomia va a rotoli, l’inflazione è al 164 mila per cento, la disoccupazione rasenta l’80 per cento, l’aspettativa di vita è crollata. Oggi, mentre le manifestazioni di protesta sono state vietate, Tsvangirai intende scen-dere in piazza. La polizia pattuglia le città, si rischiano repressione e guerra civile.F. M.

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Sconfinare Aprile 20084

Quando la politica è fatale

Politica Nazionale

Il 9 maggio prossimo (dichiarato ufficial-mente come “Giorno della Memoria” il 4 maggio 2007) si celebrano, purtroppo, i 30 anni dell’assassinio di Aldo Moro, avvenuto ad opera delle Brigate Rosse dopo 55 giorni di prigionia. Il 16 marzo del 1978 infatti il massacro della scorta diede inizio al seque-stro che fini’ poi in tragedia: cio’ avveniva in un clima di tensione politica altissimo nonostante i numerosi ma inutili tentativi di appianare la situazione. E’ un periodo buio della storia italiana e che prorpio per questo viene ricordato con celebrazioni ufficiali e non. D’altra parte la politica ha sempre avu-to le sue vittime, indipendentemente dall’ap-partenenza ad una o ad un’altra corrente. L’omicidio di dicembre scorso di Benhazir Bhutto, sopravvissuta precedentemente a numerosi attentati, e’ solo l’ultimo di una lunga catena nella storia. Il suo partito di stampo populista voleva tentare di creare una "democrazia islamica", un concetto del tutto nuovo sia per il Pakistan, che vive sotto una dittatura militare, ma anche per gran parte del mondo. Se l’attentato sia stato opera di Al Qaeda o del governo del generale Mu-sharraf, probabilmente non si saprà mai, ma ormai ha poca importanza. Resta il fatto che per l’ennesima volta un personaggio politico è stato stroncato per le sue idee. Per quanto

mi riguarda, la paura del cambiamento e la volonta’ di eliminare persone scomode stan-no alla base di cosiddetti omicidi politici, e gli avvenimenti del secolo scorso ne sono la prova. A mio parere, nell’età contempo-ranea l’omicidio che ha suscitato piu’ scal-pore e sdegno può essere considerato quello di Mahatma Gandhi, anche se egli stesso te-neva sempre a precisare che la politica non era parte della sua persona. Ma il 30 genna-io 1948 Nathiram Vinayak Goodse lo uccise con tre colpi di pistola: Gandhi avrebbe in-fatti tradito la causa indù e favorito il Paki-stan. “Se qualcuno mi uccidesse e io morissi con una preghiera per il mio assassino sulle labbra, allora soltanto si potrebbe dire che ho posseduto la non-violenza del coraggio” aveva detto Gandhi qualche mese prima di morire e così accadde: paradossalmente il profeta della non violenza fu ucciso proprio da essa invocando il nome di Dio. Come d’altra parte, anche se in anni ed in un con-testo completamente diverso, avvenne per Martin Luther King, il più giovane vinci-tore del Premio Nobel alla Pace, anch’egli spesso riconosciuto quale divulgatore della

non violenza. “Ho un sogno, che un giorno i discendenti degli schiavi e dei proprietari di schiavi si siederanno assieme davanti al tavolo della fratellanza […], che il Missis-sippi sia trasformato in un’oasi di libertà e di giustizia, […] che un giorno i miei figli potranno vivere in una nazione in cui non saranno giudicati in base al colore della pel-le ma in base al loro carattere […]” queste le sue parole, pronunciate il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Wa-shington dopo una marcia di protesta per i diritti civili. Più volte incarcerato e nel mirino dell'FBI per i presunti legami con il Partito Comunista degli Stati Uniti, King fu assassinato il 4 aprile 1968 prima dell’en-nesima marcia da James Earl Ray: egli di-chiarò di aver agito da solo senza uno scopo preciso, ma c’e sempre stato il sospetto (per alcuni la certezza) che dietro a tutto ci fosse un piano del governo statunitense. Quaran-tasei morti furono il risultato degli scontri che avvennero all’indomani della scompar-sa dell’attivista politico. Cosa dire infine dell’assassinio di Yitschak Rabin? Egli non si può ovviamente annoverare tra i fautori

della non violenza o del pacifismo: in effetti, fu tra i fondatori dei Palmach (acronimo di Pelugot Machaz, vale a dire "squadre d’as-salto"), base per la costituzione dell’esercito dello Stato d’Israele, e in qualità di coman-dante militò nell’esercito fino al 1968. Tut-tavia, proprio per le sue successive azioni politiche, nel 1994 gli fu attribuito il Premo Nobel alla Pace (congiuntamente ad Ara-fat e Peres ) dopo la sigla degli Accordi di Oslo del 1993, in cui si stabiliva il ricono-scimento reciproco tra OLP e Stato d’Israele ed il ritiro da Gaza e Gerico. Proprio tale situazione provocò il risentimento di molti coloni: uno di loro, Ygal Amir, uccise Rabin il 4 novembre 1995. Non dunque un mu-sulmano fu l’autore dell’attentato, bensì un ebreo di stampo estremista che non ricono-sceva la validità degli Accordi e che riapriva la frattura sia all’interno della società israe-liana che con la parte palestinese. In tutti i casi citati, compreso quindi quello relativo a Moro, alla fine lo scopo è stato raggiunto: creare un clima di tensione ed incertezza.In molti casi semplicemente si cerca un ca-pro espiatorio con la sparizione del quale si pensa che i problemi vengano risolti, anche se spesso il risultato è solo un inasprimento delle proprie convinzioni e posizioni. E que-sto purtroppo non cambierà mai.

Lisa Cuccato

Sorprende in negativo il risultato della Sinistra-l’Arcobaleno, alla prima prova elettorale del cartello che riuniva Ri-fondazione, Comunisti Italiani, Verdi e PdCI: con poco più del 3 % non avrà neppure un rappresentante in Parlamen-to, prefigurando una strada tutta in salita per il nuovo soggetto unitario. I risultati vanno al di là di ogni più nera aspettativa: nella Valdagno la rossa, Carroccio batte Sinistra 30 a 2,1. Così in tutti i vecchi feudi, così nella frase lapidaria rivolta da un festoso Maroni ad un amareggiato Bertinotti che a Matrix annuncia il suo abbandono del ruolo di dirigente politico (“resterò un militante”): “oramai gli ope-rai votano Lega”. Da una parte i nostalgici della falce e martello, dall’altra la politica del voto utile, e l’astensione: resta il fatto che questa semplificazione del quadro po-litico che tende fortemente al bipartitismo sconvolge il Parlamento e lascia fuori tan-ta parte delle culture politiche e delle facce che avevano rappresentato l’Italia di ieri: scompaiono i comunisti, scompaiono i so-cialisti di Boselli sotto l’1 % (non avran-no nemmeno il rimborso della campagna

elettorale). Non passa la soglia la Destra di Storace, con un 2,5 % che però promet-te qualcosa per il futuro. Un quadro quin-di fortemente anomalo si presenta agli oc-chi degli italiani verso le nove di sera. La sconfitta è pesante, Veltroni ammette che “non si può fare”, e all’americana chiama il “principale-rappresentate-dello-schie-ramento-a-noi-avverso” e si congratula. Il PD regge bene ma non sfonda: il 33 % e sì al di sopra della somma di DS e Margheri-ta, ma dopo aver vampirizzato la Sinistra è chiaro che deve ringraziare la psicologia

13 - 14 AprileL’Italia è Blu - Verde (Leghista)

periodico regolarmente registrato presso il Tri-bunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di

registrazione 4/06.Editore e Propietario

Assid“Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”.

RedazioneAndrea Bonetti, Marco Brandolin, Edoar-do Buonerba, Elisa Calliari, Davide Care-gari, Giovanni Collot, Giulia Cragnolini, Lisa Cuccato, Emmanuel Dalle Mulle, Edoardo Da Ros, Nicoletta Favaretto, Sa-muele Zeriali, Guglielmo Federico Nasta-si, Antonino Ferrara, Michela Francescut-to, Francesco Gallio, Davide Goruppi, Ian Hrovatin, Isabella Ius, Davide Lessi, Tom Loèniskar, Andrea Lucchetta, Francesco Marchesano, Mattia Mazza, Monica Mug-gia, Luca Nicolai, Agnese Ortolani, Leo-netta Pajer, Federico Permutti, Giacomo Antonio Pides, Massimo Pieretti, Diego Pinna, Giulia Pizzini, Federica Salvo, Bojan Starec, Eva Stepancic, Rodolfo Toè, Athena Tomasini.

www.sconfinare.net

...Sconfinare...da voto utile e, del resto, uno stacco di quasi dieci punti non è un gran risultato. Tra i piani alti del loft, circolavano già le voci che il 35 % avrebbe costituito la “soglia” al di sotto della quale il risultato sarebbe stato considerato un fallimento. Veltroni non perde comunque la calma e il fair play: “opposizione ma responsabile e intese sulle riforme”. Non va bene per le sinistre nemmeno sull’altro fronte: in Sicilia si profila una pesantissima scon-fitta per Anna Finocchiaro, forse annun-ciata; mentre a sorpresa il piglia tutto Illy deve vedersela con Tondo che ribalta i sondaggi. Resta la battaglia per provincia e comune di Roma, dove Rutelli affron-terà al ballottaggio il colonnello del PdL Alemanno. Un dato sopra tutti, l’asten-sione. Rispetto alle politiche di due anni fa ha votato il 3 % in meno. Innegabile che l’astensione abbia favorito la destra e colpito le sinistre, ma il dato deve far riflettere vincitori e vinti. Per il resto, au-guri, Italia.

Matteo Lucatello

CONTINUA DALLA PRIMA

17 aprile Berlusconi annuncia misure impopolari Silvio Berlu-sconi ha avvertito gli italiani che per realizzare il rin-novamento necessario al paese il suo futuro governo di centrodestra dovrà varare anche misure impopolari. Lo ha dichiarato il leader del Popolo della libertà nella sua residenza romana, dove ha incontrato gli alleati Um-berto Bossi, Gianfranco Fini e Raffaele Lombardo.

3 aprileAir France-Klm abbandona l’Alitalia alla sua (triste) sorte. Alla fine di una nuova giornata di negoziati con i sindacati, l’amministratore delegato del gruppo anglo-olandese, Jean-Cyril Spinetta, ieri ha abbandonato la trattativa ed è tornato a Parigi con il primo aereo. Ha preso atto dell’impossibilità di trovare un’intesa con i rappresentanti dei lavoratori che avevano proposto un contro-piano di rilancio.

31 marzoNell’ultimo resoconto il ministero dell’economia italiano ha ritoccato al ribasso le previsioni di crescita, passate dall’1,5 allo 0,6-0,8 per cento. Ma la crisi italiana non è dovuta solamente ai problemi finanziari globali. L’Italia non ha ancora accettato tutti principi del libero mercato: soffre per le tasse troppo alte e per l’eccessivo potere dei sindacati.

14 aprileTre mesi dopo la caduta del governo di Romano Prodi, l’Italia sce-glie un nuovo governo, il quinto da quando nel 1992 è cominciata la seconda repubblica. Intanto la situazione economica si aggrava e il ruolo internazionale del paese è sempre più debole. Il sistema politico è paralizzato, e i governi degli ultimi 15 anni, anche se relativamente stabili, non hanno mai avuto la forza per fare le rifor-me che pure sono considerate necessarie da gran parte del paese.

8 aprile Almeno settanta milioni di litri di vino adulterato con degli acidi e dannoso per la salute sono stati messi sul mercato italiano la scorsa settimana, come riferisce il settimanale L’Espresso, che accusa della sofisticazione la mafia del sud del paese. Le bottiglie e i brick incriminati sono prodotti di basso livello, venduti a una cifra che oscilla tra i settanta centesimi e i due euro al litro, e contengono ben poco vino:al massimo un terzo, a volte anche una percentuale minore.

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Sconfinare2008 Aprile 5

Università

Politica Nazionale

Il 9 maggio 1978, nelle stesse ore in cui veniva ritrovato in Via Caetani il corpo senza vita dell’Onorevole Aldo Moro, nella terra dei vespri e degli aranci, più precisamente lungo un tratto della linea ferroviaria di collegamento tra Cinisi e Palermo, venivano invece rinvenuti i resti del cadavere del trentenne Giuseppe Impastato. “Si è fatto esplodere con una cintura di tritolo legata in vita: un chiaro atto terroristico contro lo Stato e le istituzioni”, sancirono le indagini. Ma le pietre sporche del suo sangue, nascoste in un casolare poco lontano e trovate dai suoi amici e da pastori del luogo, rivelavano un’altra verità: Peppino Impastato era stato massacrato di botte e successivamente trascinato inerme sui binari e lì fatto esplodere. Il suo era un assassinio politico di stampo mafioso, anche se questo verrà stabilito solo nel 1984. Giuseppe Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948 da una famiglia mafiosa imparentata con il capomafia Cesare Manzella, ucciso nel 1963 in un agguato per volere di Gaetano Badalamenti, boss che si stava imponendo sulla zona come capo indiscusso e al quale la famiglia Impastato aveva giurato fedeltà. Ancora ragazzo, Giuseppe rompe i legami con il padre, non condividendone la logica mafiosa e, cacciato di casa, aderisce al Psiup (Partito socialista italiano di unità proletaria) e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Lotta aspramente contro l’espropriazione delle terre dei

contadini per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Punta Raisi, controllato dai Badalamenti e divenuto fulcro del loro traffico di droga. Nel 1976 Peppino

fonda Radio Aut, un’emittente radiofonica autogestita e autofinanziata dai giovani della zona, che, oltre a svolgere intrattenimento culturale, denuncia quotidianamente gli abusi compiuti dai mafiosi di Cinisi e Terrasini. Il programma di Peppino, Onda pazza, è il più seguito, oltre che il più criticato: la sua è una satira pungente che non risparmia mafiosi o politici, ai quali vengono storpiati i nomi - Gaetano Badalamenti diviene ad esempio Tano Seduto, il gran capo tribù di Mafiopoli, che altro non è che Cinisi - e dei quali vengono narrate tutte le malefatte, senza timore di infastidire “chi non deve essere toccato”. Nel 1978, Giuseppe si candida alle elezioni comunali nella lista di Democrazia Proletaria, ma il suo assassinio arriva prima della fine della campagna elettorale. Tano

Badalamenti ne è il mandante: vuole punire il giovane perché l’ha sbeffeggiato, perché ha formulato troppe ipotesi veritiere e perché ha avuto il coraggio di non abbassare lo sguardo davanti alla potenza della mafia. Dunque Peppino viene ucciso, ma la curiosa coincidenza con il ritrovamento del corpo di Aldo Moro facilita l’insabbiamento delle indagini sulla morte di un ragazzo siciliano “che non sapeva starsene al suo posto”. La gente di Cinisi conosce però la reale versione dei fatti e, per palesare il disappunto e la rabbia contro il capomafia artefice di un’ingiusta violenza, organizza un corteo durante la celebrazione dei funerali di Giuseppe e lo vota comunque alle comunali, riuscendo ad eleggerlo. Dopo il grave lutto subìto, il fratello di Peppino, Giovanni, e la madre Felicia Bartolotta rompono pubblicamente ogni rapporto con la parentela mafiosa e insieme con i compagni di militanza del giovane iniziano la loro battaglia per far chiarezza e rendere giustizia a una persona che aveva donato la vita per la causa dell’antimafia. Grazie anche al Centro siciliano di documentazione di Palermo, fondato nel 1977 e dal 1980 intitolato proprio a Giuseppe Impastato, vengono raccolti documenti, testimonianze e presentate denunce che fanno riaprire l’inchiesta giudiziaria. Nel 1984 il Tribunale di Palermo emette una sentenza in cui cadono le ipotesi di morte accidentale o suicidio e si riconosce la matrice mafiosa del delitto, però attribuito all’azione di ignoti,

Un assassinio troppo a lungo dimenticatoLa storia di Giuseppe Impastato e del coraggio della sua famiglia

causando quindi l’archiviazione del caso per impossibilità di individuare i colpevoli dell’omicidio. Giovanni Impastato e sua madre non si danno per vinti e finalmente nel 1994 una loro istanza di riapertura dell’inchiesta, promossa anche dal Centro siciliano Impastato e accompagnata da una petizione popolare, viene accettata dai magistrati, che nel 1996 ricominceranno le indagini. Grazie alla testimonianza di alcuni pentiti, dopo 5 anni, nel marzo del 2001, Vito Palazzolo viene dichiarato colpevole dell’assassinio e condannato a 30 anni di reclusione e Gateano Badalamenti, indicato come il principale mandante, nel 2002, viene condannato all’ergastolo; inoltre vengono accertate le responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.Dopo questa vittoria, Giovanni Impastato sta proseguendo lungo la strada tracciata da suo fratello: egli infatti partecipa attivamente all’organizzazione di manifestazioni in collaborazione con il Centro siciliano di documentazione, ha creato un movimento anti-pizzo nella sua Cinisi e si sposta in tutta Italia per testimoniare la sua esperienza e sensibilizzare la Penisola intera a un problema che non è solo siciliano. Una delle iniziative di quest’anno è la manifestazione nazionale contro la mafia, nell’ambito del Forum sociale antimafia 2008, che si terrà a Cinisi dal 6 al 10 maggio, in occasione del trentennale dall’omicidio di Peppino: sarà un corteo in memoria della sua lotta e a dimostrazione che qualcosa sta lentamente cambiando, che l’Italia ora si ricorda anche di lui.

Michela Francescutto

L‘articolo apparso sull‘ultimo numero di “Sconfinare” riguardante la problematica dell‘aborto e l‘attuale clamore suscitato dal partito di Giuliano Ferrara, mi hanno spinto a dire la mia ed a contribuire con queste righe a creare un dibattito intorno all‘argomento. Vorrei inoltre far notare che questo articolo non è un “bastian contrario” rispetto a quello già pubblicato nell‘uscita precedente, ma intende essere un complemento di quello...un‘altra delle tante opinioni.La fondazione del partito “Per la Vita” è stato sicuramente lo stimolo più pungente per riaccendere il dibattito su un tema che tocca la sfera più intima di ognuno, su cui tutti abbiamo una opinione che si forma come corollario di diverse esperienze sia empiriche che spirituali. Un partito politico,però, deve farsi portatore di interessi diffusi nella popolazione, e non può ridursi solo ad una battaglia monotematica, anche perchè, il governo di un Paese deve fronteggiare un novero di problemi economici sociali e politici che non si posso riconoscere nell‘anti-abortismo tout-court.. Tutto questo il fondatore e leader del partito lo sa bene, data anche la sua formazione politica di tutto rispetto, ma conoscendo il personaggio-Ferrara e la sua forte indole polemica non stenterei a credere che l‘iniziativa sia una provocazione, volendo fuoriluogo, ma di certo senza alcuna velleità di governo; proprio per questo il vuoto di programmi è stato cosi palese, si può dire che questa compagine si

presenti alle elezioni con poche idee ma ben confuse.E‘ vero che il tema dell‘aborto debba essere discusso in una “arena che coinvolga direttamente la società”, ma non si può evitare che una decisione finale passi per il Parlamento per due motivi: il Parlamento pur non essendo composto dallo stesso numero di uomini e di donne rappresenta tutti i cittadini Italiani che lo legittimano con il proprio voto, ed essendo in vigore un tipo di referendum solo abrogativo una eventuale nuova legislazione dovrà, per regola passare dalle due camere. La legge 194/78, inoltre, a mio avviso è uno strumento completo ed equilibrato, quindi, ottimale per regolare una problematica cosi spinosa sulla quale data la natura umana non può vigere un vuoto di regolamentazione: ogni caso di interruzione di gravidanza è previsto e regolato in maniera certa ed inequivocabile senza spazio per le interpretazioni.Uscendo però dalla sfera giuridica, come è stato giustamente portato all‘attenzione, l‘interruzione di gravidanza tocca diversi aspetti dell‘essere umano, fra cui la fede religiosa che sicuramente rende l‘interpretazione più difficile, ma non è soltanto un orpello barocco da aggiungere alle argomentazioni: secondo Feuerbach infatti Dio è la proiezione del bene massimo

cui l‘uomo aspira, sotto questa lente si capisce che con la fede ci si pone nella posizione di: “cosa farebbe la mia migliore proiezione?...” creando un problema più articolato e non meno profondo.La questione di coscienza tuttavia, si pone prescindendo dalla fede, quindi il discorso ci riporta a un etica delle responsabilità, in cui nel compiere determinati atti si deve essere ben coscienti dei rischi cui si va incontro, non sto predicando la castità monastica, ma una responsabilizzazione delle azioni utilizzando meglio e con maggiore informazione le forme di contraccezione citando De Andrè direi: “forse ho confuso il piacere e l‘amore ma non ho creato dolore!” Queste considerazioni non valgono solo per le donne che poi si potrebbero trovare da sole a fronteggiare decisioni di questo tipo, ma anche per gli uomini per i quali è più facile scappare (mater certa est....) piuttosto che accollarsi le proprie responsabilità sia di padre che di partner. Mi viene in aiuto la frase di Calvino citata nell‘articolo precedente “non solo per il casuale verificarsi di certe condizioni biologiche ma per un atto di volontà e di amore”. Proprio sulla volontà che non è quella di procreare vorrei soffermarmi, a prescindere dall‘amore che cambierebbe molti comportamenti: un atto di volontà presuppone dei rischi, questi non possono essere sempre considerati marginali

o rimediabili, quindi nell‘utilizzo delle proprie libertà bisognerebbe tenerne conto. La libertà di disporre del proprio corpo non va confusa con la libertà di impedire ad una nuova vita di nascere, commettendo l‘errore di dare più importanza ad altri fattori che a quella vita stessa. Molti hanno obbiettato a ciò prendendo in considerazione le gravidanze sorte da violenze che indubbiamente provocano una moltiplicazione del trauma, in quei casi la legge esiste e permette in tempo di interrompere la gravidanza (art.4 comma 1 L. 194/78 sulle circostanze del concepimento) , e questi casi non sono quelli per cui tale pratica viene richiesta più spesso quindi una giustificazione di questo genere non mi sembra opportuna. Se si pone il diritto di aborto come “un diritto inviolabile” quale valore ha il “diritto alla vita” sempre decantato se esso viene precluso ancora prima di poter essere esercitato a pieno? Essendo un ragazzo, potrei essere tacciato di non capire la situazione di una donna alle prese con questa scelta, tanto meno voglio porre le donne in posizione di inferiorità, mi rivolgo quindi ad ambo i sessi: anche se potrebbe sembrare difficile per via delle differenze strettamente biologiche, tenete sempre ben presente i rischi delle vostre azioni e state sempre al fianco di chi porta in se una vita.

Antonio Del Fiacco

Interruzione di gravidanza e partito “Per la Vita”Un altro punto di vista

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Sconfinare Aprile 20086

La Sapienza e il monito del Vaticano

Politica Nazionale

Secondo le versione “ufficiale” dei fatti, quella prevalente nelle dichiarazioni acco-rate dei politici e sui media, all’università La Sapienza Benedetto XVI è rimasto vit-tima dell’intolleranza laicista di una mino-ranza di studenti e docenti. Ma guardando i

fatti da una prospettiva diversa, può addirit-tura passare per la testa che non sia succes-so niente di tutto ciò, e che la vera notizia da ricavare sia un’altra. La stampa estera ha dedicato solo esigui trafiletti all’accaduto; secondo il Berliner Tageszeitung, dimostra

semplicemente “che il Papa non è ospite gradito dappertutto”. E allora, perché è nata quest’enorme bagarre? Chi l’ha alimentata? In primo luogo, il rettore di un ateneo pub-blico che invita “l’uomo sbagliato al mo-mento sbagliato”. Possibile che Guarini non sapesse a cosa andava incontro? Bisogna ammettere che molto spesso le celebrazio-ni ufficiali si risolvono in uno sfoggio di ermellini e retorica che vuol dire poco, ma l’inaugurazione dell’anno accademico e la relativa lectio magistralis sono momenti altamente simbolici per l’università. Com-prendono le linee guida dell’attività di un ateneo, e il metodo che contraddistingue tale attività prevede libertà d’espressione per tutti, seguita da contestazioni, dibattiti, ripensamenti, confutazioni. Come si può pensare di non suscitare opposizione invi-tando, come unico ospite, un personaggio che incarna una istituzione basata su dogmi, fra cui quello della sua infallibilità? Il pro-fessor Marcello Cini, autore di una lettera di protesta inviata al rettore il 14 novembre, de-nuncia come Benedetto XVI stia utilizzando “l’effigie della dea Ragione degli illuministi come cavallo di Troia per entrare nella citta-della della conoscenza scientifica e metterla in riga”: impossibile pretendere che biologi e scienziati in generale assistano senza dire nulla all’intervento di un Papa che ha dato appoggio esplicito alla teoria del disegno intelligente, e che pretende di “ricondurre la scienza sotto la pseudo-razionalità dei dog-mi della religione”. A mio parere, l’invito non andava fatto: non

in assoluto, perché le occasioni di confronto (anche se per un pontefice il dibattito vero e proprio è praticamente inconcepibile) non vanno rifiutate, neppure di fronte a chi ha la possibilità di esprimere quotidianamente le proprie opinioni con il supporto di media asserviti. Ma in quell’occasione e in quel modo sicuramente no. Ciò detto, l’invito ac-quista un senso preciso se si ammette che lo scopo reale era proprio quello di suscitare un caso mediatico, per dare visibilità ad un rettore giunto a fine mandato. O per disto-gliere l’attenzione dai problemi giudiziari di quello stesso rettore, coinvolto in un’inchie-sta sull’assegnazione di posti di lavoro ai parenti nonché di un appalto milionario per la costruzione di un parcheggio. O per far dimenticare il buco nel bilancio dell’ateneo. Tesi avvalorate dal fatto che la lettera di protesta del professor Cini, e il successivo sostegno espresso dai 67 docenti, risalgono alla metà di novembre, mentre i media han-no aspettato pochi giorni prima della visita per dare risalto alla notizia, presentando le proteste come un’improvisa fiammata di in-tolleranza che ha portato agli eventi che ben conosciamo e che ha catalizzato l’attenzio-ne generale per giorni.In ogni caso, una volta fatto e accettato l’in-vito, il pontefice andava ascoltato, proprio in nome di quella libertà d’espressione che dovrebbe caratterizzare l’università. Ma è ignobile e surreale invocare tale diritto a favore di Benedetto XVI per poi attaccare ferocemente i contestatori della sua presen-za: studenti e docenti non hanno fatto altro

che esprimere il loro punto di vista, come garantisce la Costituzione, e la possibilità di parlare non è mai stata negata al Papa. Negli ultimi anni, la Chiesa cattolica si è distinta sempre di più per le pesanti ingerenze nella vita politica italiana, affermando perentoria-mente la propria opinione su tutto ciò che la interessa, comportandosi come l’unico rap-presentante dell’etica del Paese. E quando non sono le gerarchie ad agire, ci pensano i politici, di destra e di sinistra, a strumen-talizzare la religione per scopi populistici, per assicurarsi i voti dei cattolici da cui, nel “giardino del Vaticano”, non si può prescin-dere per essere eletti. I rappresentanti della Chiesa in questi casi tacciono, non è mai successo che si ribellassero una volta per tutte all’uso improprio delle dichiarazioni di fede, e permettono che le veglie di preghiera per politici indagati dilaghino per il Paese. Il risultato peggiore di questi comportamenti è l’inasprimento del confronto civile riguardo alla fede cattolica, che in Italia non è mai stato semplice: cittadini cattolici e cittadini laici si sentono sempre più attaccati e mi-nacciati gli uni dagli altri. In un contesto del genere, è ingenuo credere che la Santa sede non abbia considerato la possibilità di con-testazioni alla visita.Il problema della sicurezza era inesisten-te: gli studenti più coinvolti nelle proteste erano circa 300, e sarebbe bastato dare loro uno spazio in cui manifestare contempora-neamente alla cerimonia (come avevano chiesto) per evitare episodi imbarazzanti ed eventualmente poco civili in aula ma-gna. Prodi ed Amato avrebbero insistito fino all’ultimo perché Benedetto XVI non ri-nunciasse alla visita, se ci fossero stati reali motivi di preoccupazione sullo svolgimento della cerimonia?Nessuno ha impedito al Papa di parlare. Nessuno gli ha messo il bavaglio. E’ stato lui a sottrarsi ad una situazione che poteva non essere facile, ma che poteva affronta-re. Le motivazioni addotte dalla Santa sede perdono ulteriormente credibilità alla luce degli avvenimenti che sono seguiti: dome-nica 20 gennaio, il Cardinal Ruini invita tutti all’Angelus per esprimere il proprio sostegno al Papa, trasformando una ceri-monia religiosa in manifestazione politica tanto quanto le proteste degli studenti. Il giorno dopo, il tocco finale: al Consiglio permanente della Cei, Monsignor Bagnasco lancia precise accuse al governo Prodi, in bilico dopo l’annunciato rirtiro del sostegno dell’Udeur di Mastella. Il capo della Cei detta senza mezzi termini un’agenda politi-ca ben precisa sui temi più importanti del momento, dall’assistenza alle famiglie, alle morti sul lavoro, all’emergenza rifiuti. Non dimentica di ringraziare indirettamente Giu-liano Ferrara per aver “lanciato il dibattito” sulla revisione della legge 194. Insomma, indica le proprie condizioni per la sopravvi-venza di un governo in Italia. Ed eccola qui allora, la vera notizia di cui parlavo all’inizio: chi governerà dopo l’at-tuale crisi politica, farà bene a tenere con-to dell’influenza del Vaticano, ancor più di quanto non abbia fatto questo centro-sini-stra.

Athena Tomasini

Mi è sembrato piuttosto ridicolo l’atteggiamento degli studenti e dei professori in occasione della (mancata) visita del Papa alla Sapienza. E non lo dico per difendere inutilmente il Papa; non è mia intenzione. Passi che il Papa sia considerato “avversario” da alcuni laici; questo è legittimo, visti alcuni comportamenti passati del Pontefice. Ma che questo diventi un odio cieco e violento, no. E invece, è proprio ciò che, a mio parere, è avvenuto. C’è stata, a mio avviso, una grave limitazione della libertà di parola, proprio da parte di coloro che di questa libertà si fanno promotori. Insomma, tutti possono parlare, tranne il Papa. Ma così facendo, essi si sono dimostrati più intransigenti e “bigotti” dell’istituzione che vogliono “combattere”. O forse, essi intendono dire, quando proclamano i loro slogan presi in prestito da Voltaire e da altri pensatori, “libertà di parola solo a chi la pensa come noi”. Altrimenti non si spiega il fatto che Toni Negri o altri ex brigatisti, ritenuti grandi intellettuali, siano accolti a braccia aperte, e un Papa che come qualità indubbia ha sicuramente quella di essere un fine intellettuale sia rifiutato. Non sto dicendo che gli ex- brigatisti non dovrebbero tenere conferenze, anzi; ma che si usano due pesi e due misure. Dovremmo prendere spunto dal fatto che Ahmadinejad ha parlato alla Columbia University. Ci sono state proteste, giustamente, ma non hanno

bloccato l’organizzazione.Io non sono contrario alle proteste, tutt’altro; sono anch’esse uno strumento per esporre il proprio pensiero. Ma devono essere civili; invece, in questo caso, gli studenti hanno dato prova di arroganza e di cecità. Sarebbe stato molto meglio per loro, se avessero voluto mostrarsi superiori, invitare il Papa ad una discussione aperta, lasciarlo parlare, e poi fargli domande od osservazioni. Allora sì avrebbero mostrato la superiorità del pensiero “libero” e “laico” contro l’oscurantismo del Vaticano. Allora sì sarebbero stati liberali e tolleranti, condizione necessaria nel mondo contemporaneo. Invece così si sono dati la zappa sui piedi in due modi: per prima cosa, si sono dimostrati infantili e intolleranti di fronte a tutti, e in secondo luogo hanno dato buon gioco al Papa. Gli hanno permesso di essere visto dall’opinione pubblica come vittima; gli hanno fatto pubblicità gratis.Quella dei professori e degli studenti non è laicità; è intolleranza e volgarità. La laicità è ben altro; basta pensare al già citato Voltaire, ma anche a Pasolini, a Camus, e a molti altri. Se quelli che abbiamo visto alla Sapienza sono i rappresentanti del pensiero laico, allora non c’è da stupirsi del ritorno della religione. Ma, fortunatamente, non sono questi. Essi sono solo una minoranza. E proprio questo è un dato che fa ancora più riflettere: pochi studenti e 60 insegnanti (solo il 3% del totale) hanno

bloccato un’iniziativa per tutta l’università, imponendo la loro volontà alla maggioranza. E qui affiora un problema classico in Italia, come si vede anche da quello che è accaduto recentemente in Parlamento: un gruppetto si impone sulla maggioranza, e impedisce ogni possibilità di azione. Questo è un pericolo per la democrazia. Ci terrei, inoltre, a segnalare il fatto che molti degli studenti che si sono opposti in questo modo alla visita del Papa professano con orgoglio di essere “contro il sistema”. Ma non si rendono conto che il loro modo di comportarsi, invece, è figlio proprio di questo sistema, in cui vince chi urla di più, chi si fa più notare, non chi ha i migliori argomenti; c’è un interesse nell’impoverimento della ragione, del dibattito. E questo è gravissimo. Essi sono dentro a tutto ciò che criticano; solo, vi entrano da un’altra porta rispetto ai “conformisti” classici. Con queste premesse, oggi i veri ribelli risultano essere coloro che, in questo mondo caotico e volgare, riescono a mantenere un distacco elegante, una superiorità intellettuale che li porta a preferire sempre la moderazione e il dialogo al litigio e alle grida. Distacco che ha mantenuto il Papa, ma che, il più delle volte, è tipica proprio di molti intellettuali laici.

Giovanni Collot

La chiamavano laicità

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Sconfinare2008 Marzo 7Politica Glocale

Ampliamento del Polo Universitario di Gorizia

Un Friuli a tutto TONDO...

15 Marzo15 Aprile

Parco della Rimembranza, fontana spentaParte dal Parco della Rimembranza il viaggio di Gorizia oggi nei par-chi e nelle aree verdi cittadine. Da mesi la fontana che compone la co-reografia del giardino cittadino è spenta: il Parco della Rimembran-za è senza acqua, tra le proteste di chi frequenta l’area. Nonostante l’operazione di riqualificazione che ha interessato l’area verde nei mesi scorsi, la fontana è ancora spenta, lasciando scoperta una anti-estetica vasca in cemento.

Sfuma l’accordo sul mega casinòSfuma l’accordo Hit-Harrah’s per il mega casinò. La Hit fa sapere che, “dopo un lungo periodo di trattative, si è concordato sull’impossibilità di trovare un accordo che soddisfi entrambe le parti”. La società slovena non intende comunque abbandonare il progetto della “città turistica”. Le diffi-coltà a trovare un accordo hanno riguardato la struttura amministrativa.

Nuovo sistema di sconti sulla benzina regionaleSarà operativo dal 7 aprile il nuovo sistema di sconti sulla benzina regionale. Il Re-golamento, emanato con Decreto del Presidente della Regione del 6 marzo scorso, prevede che il prezzo minimo della prima fascia venga preso come riferimento per la determinazione degli sconti. Nel frattempo Insiel ha ultimato le modifiche al siste-ma informatico dei Pos e ha concluso la fase di sperimentazione del nuovo software.

Regionali, Tondo presidente con il 54%Renzo Tondo è il nuovo presidente della Regione. Con il 54% del-le preferenze l’esponente del PdL ha conquistato la Regione, la-sciando il presidente uscente Riccardo Illy al 46%.Risultato capo-volto in provincia di Gorizia, dove Illy ha totallizato il 52,9% dei voti. A livello cittadino, Gorizia si conferma invece città di centro-destra, con le liste a sostegno di Tondo che hanno superato il 55%.

Sembra prospettarsi per Gorizia un’ulteriore ampliamento delle sedi e dei Corsi di Laurea da parte delle due Università regionali di Udine e Trieste. Proprio nei giorni scorsi si sono sentite importanti dichiarazioni, anche e forse soprattutto in funzione elettorale, che promettevano importanti investimenti in infrastrutture e corsi per le sedi universitarie di Gorizia. Particolare rilevanza ha avuto soprattutto la proposta portata avanti dai sindaci di Gorizia e Nova Gorica di sviluppare nelle strutture ormai dimesse del vecchio polo ospedaliero a ridosso del confine, dei nuovi moderni spazi in cui poter insediare nuovi Corsi di Laurea. Questa proposta che circola ormai da diversi negli ambienti culturali e politici cittadini, ha per la prima avuto il sostanziale appoggio dell’uscente Presidente Regionale Illy (al momento della battitura non è ancora chiaro se sarà lui il futuro Presidente N.d.R.), il quale pur sottolineando come non spetti a lui ma bensì alle Università scegliere come e dove sviluppare nuovi Corsi di

Laurea ha espresso un vivo interesse da parte della Giunta e della Regione tutta affinché si sviluppi in questi territori un Polo Universitario orientato alle tematiche di natura europea e transconfinarie. Parallelamente, e forse più concretamente, l’Università degli Studi di Udine tramite il suo Prorettore ha fatto sapere che a breve, anche grazie alla sinergia con Fondazione e Provincia, si terranno i lavori di ampliamento della sede di via Diaz, tali ampliamenti si svilupperanno su dei palazzi adiacenti. Tali operazioni permetteranno quindi di creare nuove aule e nuovi spazi dove si potranno insediare i nuovi Corsi di Laurea specialistica ed anche le nuove offerte di Master che verranno in futuro presentate. E’ ben chiaro, almeno per quanto riguarda l’Università di Trieste, come al momento si stia parlando soltanto di promesse e nulla è ancora ben definito e delineato. L’unico reale progetto, di discutibile interesse, è la costruzione dell’ormai famoso conference center all’interno della nostra sede universitaria. Quindi,

In questi mesi, mentre nel panorama na-zionale si consumava la lotta elettorale tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni per la Presidenza del Consiglio, in Friuli Venezia Giulia assistevamo alla sfida tra il governa-tore uscente Riccardo Illy e Renzo Tondo che ha visto prevalere quest’ultimo. L’im-prenditore triestino a capo della coalizione di centro-sinistra (Pd, IdV, Sinistra Arcoba-leno, Slovenska skupnost, Cittadini per il Presidente, partito socialista) e l’albergatore di Tolmezzo sostenuto dello schieramento di centro-destra (PdL, Lega Nord, Unione di Centro, Pensionati ) hanno dato vita ad un’interessantissima sfida per la giuda della regione. Per quello che riguarda i program-mi c’è da dire che i due candidati hanno de-ciso di intraprendere due diverse strade. Gli elettori friulani si sono così trovati di fronte a due proposte molto competitive, che pro-mettevano di mettere mano a questioni deli-cate ed importanti:

Illy, nel suo programma, affermava la ne-cessità di valorizzare prodotti e servizi per il turismo; salvaguardare le produzioni ali-mentari; nell’ambito sociale: migliorare la rete ospedaliera regionale, incrementare l’occupazione femminile e sostenere le fa-miglie che hanno in casa diversamente abili o anziani; produrre energia tratta da fonti rinnovabili, ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra; rafforzare il sostegno alla ri-cerca ed infine, nel campo delle infrastrut-ture completare la copertura della banda larga e costruire la nuova linea ferroviaria transpadana.Renzo Tondo puntava sul valore della fami-glia; le pari opportunità tra uomo e donna; la sicurezza come diritto inviolabile; la dimi-nuzione delle spese della politica; il miglio-ramento della collaborazione tra il porto di Trieste e quello di Venezia; l’apertura verso i nuovi paesi emergenti come Serbia, Bulga-ria, Kosovo, Albania, Macedonia e Bosnia

pur se nel complesso gli interventi di sviluppo e potenziamento della realtà universitaria goriziana non possono che essere analizzati in modo positivo, permangono dei forti dubbi sul senso di un ampliamento universitario qui a Gorizia. La città, non si è mai distinta per particolare interesse nei confronti degli studenti, presentando croniche carenze di servizi e spazi rivolti al mondo giovanile; è sotto gli occhi di tutti, giovani e non, come la città si presenti più a misura di anziano che non di giovane. Forse prima di pensare a grandi e possibili sviluppi dei poli universitari sarebbe importante capire se al di la del mero interesse economico portato dalla presenza delle università nel territorio, ci sia per gli studenti un qualche minimo ritorno in termini di valore aggiunto a permanere in un città che in questi anni non ha dimostrato il ben che minimo interesse per gli studenti universitari.

Marco Brandolin

Erzegovina; la diminuzione dell’Irap alle piccole imprese; la salvaguardia del piccolo commercio che negli ultimi anni era stato messo in disparte per dar spazio ai grandi centri commerciali.Alla fine, lo scorso weekend, i cittadini friu-lani e giuliani si sono trovati a decidere e, ribaltando le previsioni della vigilia che ve-devano Illy favorito, Renzo tondo è risultato vincitore, distaccando di quasi sette punti il proprio avversario. Una sorpresa? NO! Infatti se controlliamo la lista di Tondo ci accorgiamo che il carnico ha potuto godere non solo dell’ appoggio della lega ma anche di quello dell’UdC. Tale aiuto si è rivelato determinante dal momento che ha portato quei sei punti che costituiscono il divario tra le due coalizioni. Certo è che la campagna elettorale del neo eletto governatore non è stata tra le più brillanti considerato che, al primo contraddittorio con Illy, l’esponente del PdL ha abbandonato dopo pochi minuti

lo studio televisivo, rifiutando di avere altri faccia a faccia in assenza di spiegazioni sul bilancio regionale. Bisogna comunque riconoscere che negli ultimi anni la regione si è trovata ad ave-re un debito maggiore di quello di Sicilia e Calabria, tristemente note per lo sperpero di denaro pubblico. Inoltre, Tondo ha ricordato come la tanto citata crescita del Pil di 2,53 punti negli ultimi 4 anni sia valsa a ben poco dato che le spese di amministrazione sotto la precedente giunta sono arrivate alla metà del Pil regionale. Un’ altra questione di ri-salto che ha reso impopolare il precedente governatore è quella delle sue apparizioni troppo sporadiche nelle province di Porde-none e Udine, senz’altro ha pesato molto sull’elettorato portando dei voti importanti allo schieramento di centrodestra.Possiamo dunque dire che la discutibile campagna elettorale di Tondo non è stata influente sulla decisione dei cittadini, ma piuttosto, alcuni errori commessi dalla pre-cedente amministrazione hanno fatto spo-stare molti voti facilitando così la vittoria dell’albergatore di Tolmezzo.Infine va segnalato che l’affluenza alle urne ha registrato una notevole impennata: sui 1.092.901 aventi diritto al voto in Friuli Ve-nezia Giulia i cittadini che sono andati alle urne sono stati 790.492, poco più del 72%, un’affluenza superiore di quasi l’8% dalle scorse elezioni del 2003(64,24%).Ora al neo-eletto presidente spetterà l’arduo compito di guidare la regione in un periodo in cui l’economia non solo italiana ma an-che europea fatica a rialzarsi. Non ci resta che augurare a Renzo Tondo un “buon la-voro!” per questi 5 anni che lo vedranno al timone della regione.

Federico Filipuzzi

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Sconfinare Aprile 20088

RICORDO DELLA FACOLTA’ DEL PROF. ENRICO FASANA (1940-2008)

IRRIMEDIABILE TRACCIA

Caro Prof Lacrime scendono copiose da questo san-donatese romantico Lacrime di tristezza, di sconcerto per il come, il perchè.. Lacrime di felicità per la reincarnazione che presto lo rivedrà duro e puro lottare e sostenere le sue idee La sua dedicazione alla ricerca della verità Idee, conoscenza, scienza e coscienza. Che tutti hanno sempre criticato Ora in tanti faranno i tristi, diranno ah che grande uomo, che grande accademico Tutti saranno bravi a recitare la parte Dopo averne parlato male, dopo aver sempre sperato che lasciasse Per portare avanti la loro visione eurocen-trica e mercantilistica della vita Sempre Enrico Fasana per me è un padre spiritua-le, lacrime Una fonte infinita di conoscenza, la sua biblioteca milanese, l’odore di quella casa L’impossibilità di trovare spazio tra i libri gettati per terra Quella casa è un monumento agli studi sul subcontinente India in tutte le lingue Mahatma Gioia e dolore Impulsivo La sua anima starà viaggiando rapida, alta, bianca, lucida e pazza In pace gli auguro un viaggio verso Pu-shkar, Rishikesh, verso i luoghi che più ha amato Il suo spirito mi riempie La sua anima ovattata dall’intensità dell’energia che la riempie Ovattato Suere compañero

pace e bene, Nico La Paz, Bolivia Nicola Momentè ACRA Asociación Cooperación Rural en África y Ámerica Latina

Università

Ho sempre odiato il metodo “santo subito”. Quel misto di senso di colpa e di buonismo cattolico che spinge le persone a ipocrite esaltazioni di un defunto che fino a poche ore prima a malapena salutavano.Odio gli elogi sterili e impersonali, anda-re ai funerali con la lista delle presenze. In una specie di tensione per dimostrare che siamo persone migliori.Non sono mai stata una discepola di Fasa-na. E lui avrebbe voluto ancor meno che lo fossi. Non credo di poter dare un’idea com-pleta di quell’isterico genio, né voglio far-lo. Perché credo che in questo caso ancor più che in altri, tutte le impressioni, purché sincere e schiette, gridate o silenziose, sia-no giuste. Ho passato molto tempo in una sorta di stato rancoroso perenne nei suoi confronti. Spesso ho intavolato estenuanti discussio-ni, che poi terminavano nella solita apolo-gia dell’assoggettamento al potere. Il tutto condito dalle classiche frecciatine lungo i corridoi. Se avessi agito razionalmente, quindi, forse non ci sarei andata. Eppure giovedì 20 mar-zo ero là. Non so dire se sia stata la distanza che come un setaccio ha alleggerito dalle

tensioni della quotidianità quel cumulo di emozioni e conoscenze che i tre anni gori-ziani mi hanno lasciato. So però che si sono imposte giorno per giorno nella forma di un costante termine di confronto. D’infinito ri-chiamo allo “spirito critico fasaniano”.In macchina sull’A4 pensavo a quanta gen-te ci sarebbe stata. Immaginavo uno di quei funerali multietnicamente colorati, anar-chici e intellettuali. Formulavamo ipotesi sui numeri della rappresentanza universita-ria. Discutevamo dell’opportunità che chi l’aveva da sempre considerato come una mina vagante da disinnescare fosse pre-sente nella veste ufficiale che l’Ateneo gli conferisce. Immaginavamo.Già, immaginavo. E sbagliavo. Lo scontro con la realtà è stato una doc-cia gelata, un grido ovattato. Poca gente. Pochi colori. Pochi studenti. Pochi fami-liari. Nessun’“Alta Carica Triestina”. Un funerale silenzioso e ordinato. Composto. Un funerale normale. Niente di più dia-metralmente diverso da quell’irruenta e incontrollabile persona, strenuo difensore dell’importanza del contattato umano. Poche notizie certe. Pochi che sapessero cosa gli fosse successo.

Il funerale di una persona sola. Questa la cruda sensazione. Il triste contrappasso per qualcuno che nonostante i tanti difetti, ha poi forse duramente pagato per troppo bi-sogno degli altri. Tanto da soffocarli. E da allontanarli. O da avvicinarli, accettando che spesso fossero spinti da semplice op-portunismo.Avrebbe veramente voluto ci fosse quell’uf-ficiale riconoscimento, quella solenne inco-ronazione del proprio ego? Forse no. Forse in fondo avrebbe voluto che andasse così. Niente presenze ipocrite o forzate. Niente onoranze in pompa magna. Niente sorrisi di circostanza o frasi di rito. Solo un comune senso di spiazzamento e d’instabilità, da cui l’esigenza di essere presenti.Per me è stato così. Per questo ero a Milano. Forse nemmeno tanto per lui, per l’ultimo saluto. Forse più per me. Per riconoscere ed accettare la traccia che questo scompa-ginato esempio di passione e irrazionalità ha irrimediabilmente lasciato.

Valentina Collazzo

Caro Prof,Un ricordo in versi

Lunedì 17 marzo si è spento, a Milano, il profes-sor Enrico Fasana, Ordinario di Storia e istituzio-ni dei paesi afro-asiatici presso la nostra Facoltà.

Nato a Robecco sul Naviglio il 28 agosto del 1940, Enrico Fasana si era formato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, laureando-si nell’anno accademico 1964-65 in Scienze Po-litiche con una tesi sul problema tribale in India, sotto la guida del professor Luigi Prosdoscimi, già titolare degli insegnamenti di Storia della Chiesa e di Storia della colonizzazione e della decolonizzazione.

Successivamente, il professor Fasana ha conse-guito un MA all’Università di Chicago nel 1970, e ha frequentato, nel 1974, i corsi di dottorato all’Università di Tucson. Negli stessi anni, En-rico Fasana ha intrapreso la carriera accademica alla Cattolica di Milano, prima quale assistente volontario, presso la stessa Facoltà di Scienze Politiche, divenendo poi assistente ordinario nel 1973.L’interesse scientifico di Enrico Fasana per la sto-ria e la società del subcontinente indiano, come si è visto, deriva dal contatto con l’insegnamento del professor Prosdocimi. Dunque la sua matrice si distingueva da quella dell’indologia pura, per avvicinarsi a quella degli studi storico-religiosi. Al contempo, l’approccio di Enrico Fasana si te-neva distante da un’interpretazione storica incen-trata sulle relazioni di potere, mostrando invece una predilezione per lo studio delle istituzioni sociali e religiose.Non vi è dubbio che la sua personale fede reli-giosa abbia avuto un peso rilevante nel formare il suo approccio di studioso. Il suo interesse ori-ginario per la storia della Chiesa, infatti, lo ha spinto, sin dall’inizio, a esplorare le radici del sa-cro nella cultura indiana, sottolineando il signifi-cato religioso delle istituzioni sociali che erano oggetto della sua ricerca. A tal proposito, Enrico Fasana ebbe spesso a confessare che, proprio in ragione della percezione di una costante presenza del sacro, egli si era diretto verso lo studio delle

società afro-asiatiche, e dell’India in particolare, in cui tale dimensione continua ad avere un peso rilevante.

Da questo punto di vista, l’esperienza negli Sta-ti Uniti ha avuto un’importanza centrale. Nel suo soggiorno a Chicago, infatti, Enrico Fasa-na è entrato in contatto con idee e concetti che avrebbero caratterizzato profondamente la sua interpretazione. In particolare fu influenzato dell’antropologo Louis Dumont, autore del vo-lume “Homo hierarchicus”, che rivoluzionò l’in-terpretazione europea del sistema castale. È alla teoria dumontiana della casta e, più in generale, all’idea dell’antinomia tra l’“individualismo oc-cidentale” e la “società tradizionale” indiana, che Enrico Fasana si è ispirato profondamente. Nella società indiana, infatti, Enrico intravedeva un modello che, nella sua visione, poteva costituire una chiave di lettura per una più generale analisi del passaggio dalla tradizione alla modernità.

Dopo il ritorno in Italia, verso la metà degli anni Settanta, Enrico Fasana ha proseguito nella car-riera accademica, divenendo Professore Incarica-to di Storia Moderna e Contemporanea del Sub-continente Indiano presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, dal 1974 al 1979. Quindi, dall’anno accademico 1979-80, è stato Profes-sore Incaricato di Storia e Istituzioni dell’Asia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Uni-versità di Trieste. Dal 1991-92 è stato Professore Straordinario della stessa disciplina, prima chia-mato all’Istituto Universitario Orientale e poi a Trieste. Infine, dal 1995-96, Professore Ordina-rio della stessa materia a Gorizia, con supplenza a Trieste, presso la Facoltà di Scienze Politiche. Dal 1992 fino al 97, nella sede di Gorizia, ha te-nuto per affidamento l’insegnamento di Storia e Istituzioni del Mondo Arabo.

La ricerca del professor Fasana si è sviluppata in diverse direzioni. Tuttavia si può affermare che il suo contributo più fecondo riguardi la storia so-ciale degli Stati dell’India centro-settentrionale

- in particolar modo il Maha-rashtra - regio-ne della quale ha sviluppato una conoscen-za specialistica r i conosc iu ta a livello in-ternazionale. Da questo filone di indagine sono maturati alcuni tra i suoi saggi più rilevanti, tra cui “Samarth Ramdas e il dharma” e quelli sui principati indiani in epoca coloniale. Succes-sivamente, le ricerche di Enrico Fasana si sono concentrate sulla figura del Mahatma Gandhi, del quale ha approfondito il profilo morale e religio-so, rifiutando un’interpretazione – di derivazione anglosassone – che ne enfatizzava gli aspetti in prevalenza politici.L’interesse scientifico che il professor Fasana aveva sviluppato verso l’”invenzione della tradi-zione” lo portava altresì ad approfondire il feno-meno del “nazionalismo indù”, studiandone, da storico, le radici nel pensiero di V. D. Savarkar. Molto originali sono stati inoltre i suoi studi sui rapporti tra Risorgimento e nazionalismo india-no.

Il prof. Fasana è stato commemorato dal Senato Accademico nella seduta del 18 marzo 2008 e dal Consiglio della Facoltà di Scienze Politiche nella seduta del 19 marzo 2008.

Tutta la Facoltà lo ricorda per la sua eccellente cultura, per la sua esperienza internazionale, per la sua poliglottia, per il suo totale impegno e la sua inesausta disponibilità di tempo e di energie per gli studenti e la Facoltà.

La Facoltà stessa, per iniziativa dei professori Diego Abenante e Federico Battera, suoi allievi, organizzerà, in apertura del prossimo anno acca-demico, una giornata di commemorazione e di studio.

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Sconfinare2008 Aprile 9Università

ha preso atto di quanto detto dagli studenti e ha proposto, quando possibile, delle soluzio-ni adeguate. Nel corso dell’incontro è emerso anche il problema della scarsa rappresentanza degli studenti ai funerali del compianto prof. Fasana, al quale il Preside ha risposto con una lettera di ringraziamenti inviataci dal cugino del prof. Fasana, pubblicata in questo numero di Sconfinare. Ed è proprio al nostro giornale che il prof. Coccopalmerio, alla fine dell’in-contro con gli studenti, ha gentilmente rila-sciato un’intervista. Signor Preside, La ringraziamo intanto per la sua presenza qui al Polo di Gorizia. Sappiamo che Lei è giunto alla fine del suo mandato e che a Ottobre ci saranno le ele-zioni per il nuovo Preside di Facoltà. Può dirci come ha trovato questa esperienza e cosa ha voluto dire per lei ricoprire questo incarico? Essere Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste è stato per me un onore e so bene che il mio ruolo ha avuto, e ha tuttora, un’importanza fondamentale. Sono Preside dal 1987, cioè da ben 21 anni e ho visto una Facoltà in continua evoluzione. Ho visto una Facoltà rinomata ed accreditata agli occhi dell’Italia intera. Non dobbiamo dimenticare che secondo le stati-

stiche del Censis, siamo la seconda Facoltà di Scienze Politiche a livello nazionale, precedu-ti soltanto da Forlì. E se possiamo vantare un tale primato è soprattutto grazie al Corso di Laurea di Scienze Internazionali e Diplomati-che, che è il nostro fiore all’occhiello. Probabilmente l’Università dei giorni no-stri non è più quella di una volta. Potrebbe aiutarci a individuare le cause di questo de-clino? In questo contesto cosa rappresenta l’Università di Trieste? Ho constatato che effettivamente il livello generale di preparazione si è abbassato. Il sistema universitario si sta liceizzando per due motivi in particolare: in primis, vi è uno scadimento degli studi che precedono quelli universitari e le scuole medie superiori sono le maggiori colpevoli. In secondo luogo, la col-pa l’attribuirei alla riforma dell’Università che ha moltiplicato la cattedre e i Corsi di Laurea dal 1999 in poi, causando un minor rigore dei criteri selettivi della classe docente. Fortunata-mente, l’Ateneo di Trieste, la Facoltà di Scien-ze Politiche e, in seno a quest’ultimo, il SID, conservano il prestigio e l’alta qualità. Il SID è una nicchia d’eccellenza, ma che, nell’ambito di applicazione del decreto Mussi, deve ritro-vare una propria specificità. Cosa potrebbe dirci riguardo alla politica

Il 2008 è un anno d’incontri per la piccola co-munità di Scienze Internazionali e Diploma-tiche, che ha visto la presenza del Rettore nel mese di Marzo e quella del Preside di Facoltà Coccopalmerio in Aprile. Queste due perso-nalità hanno voluto “conoscere” gli studenti goriziani, ascoltare i loro problemi e cercare assieme una soluzione. Sappiamo già che l’in-contro col Rettore è stato caratterizzato da po-lemiche, lamentele e scontri; quello col Presi-de è avvenuto nella più totale calma e serenità anche per una serie di fattori da non trascurare quali la presenza non massiccia degli studen-ti- dovuta al ritorno di buona parte degli stessi nelle loro regioni di provenienza in occasione delle elezioni politiche- e nche perché il dialo-go all’interno del Polo stesso si è fatto più co-struttivo. Costruttivo vuol dire che gli studenti del SID stanno imparando a comunicare tra loro, in un continuo scambio di idee e di pro-poste che, si spera, continui ancora a lungo. Nell’incontro con il Preside Coccopalmerio sono emerse delle interessanti problematiche, talvolta difficili da risolvere anche in seno all’Ateneo stesso. Alcune di queste: il ripristi-no del ciclo unico nel nostro Corso di Laurea, l’introduzione di corsi-base di lingua inglese, la “creazione” di figure di collegamento tra il Polo Goriziano e la sede centrale. Il Preside

nazionale ed internazionale? La corruzio-ne, la sete di denaro e di potere, il cliente-lismo sono sotto gli occhi di tutti. E’ questo l’esempio che noi studenti, in particolare noi amanti della politica, riceviamo. La prego, ci dia un buon motivo per credere ancora nelle “scienze politiche” e/o nelle ideologie… Innanzitutto, con riferimento agli innumerevoli Corsi di Laurea che si sono ve-nuti a creare, il “sapere” si è diviso: o gli studi sono troppo tecnici, o sono troppo ampi. Le scienze politiche, invece, sono scienze orga-niche, non sono né troppo tecniche, né troppo ampie, benché il loro campo di applicazione sia molto vasto. Un ragazzo che studia scien-ze politiche conosce l’economia, il diritto, la sociologia. Questa Facoltà potrebbe essere definita avocazionale, universalistica. Chi ha studiato politica si sa muovere su ogni ter-reno, perché lo contraddistingue la curiosità intellettuale, l’elasticità mentale e la capacità di adattamento. Sebbene la politica nazionale e internazionale spesso ci deludano, i grandi statisti non sono mancati e comunque non è un buon motivo per dissuadere i giovani dallo studiare le scienze politiche.

Federica Salvo

IL PRESIDE COCCOPALMERIO INCONTRA GLI STUDENTI„E’ il SID il fiore all’occhiello di Scienze Politiche“

Il Gruppo Gio-vani del Comi-tato Provinciale Unicef di Gori-zia, vi annuncia che tra qualche giorno ripren-derà la rassegna cinematografica dal tema DONNE

E BAMBINI, PARITA DI GENERE E DI DIRITTI, iniziata lo scorso inverno. Anche gli ultimi tre film saranno proiettati presso la sede del Punto Giovani di Gorizia, in via Cappuccini 21, alle ora 20h30. I film in pro-gramma sono:

- 28 aprile: “OSAMA”di S. Barmak-12 maggio: “ABC AFRICA”di A. Kiaro-stami-19 maggio: “WATER”di D. Mehta-Per qualsiasi informazione o curio-sità ci trovate in via Santa Chiara 3/6 da martedì al venerdì dal-le 10h00 alle 12h30, oppure potete scriverci a [email protected]. Vi aspettiamo numerosi!

Signor Direttore, che cos’è il Polo del Ne-goziato?Il Polo del Negoziato nasce da un’iniziativa degli enti locali, quali Comune e Camera di Commercio, che dal ‘91 e con rinnovata forza alla fine degli anni 90, premevano per la cre-azione di una Conference Hall da destinare al negoziato internazionale. Inizialmente, il pro-getto prevedeva due padiglioni del negozia-to, in un progetto faraonico che sarebbe sta-to dislocato nel piazzale del confine di Casa Rossa. La struttura sarebbe stata finanziata dall’Obiettivo 2 dell’Unione Europea, ma ci si è resi conto che tale finanziamento non sa-rebbe bastato alla copertura di un’opera di tali dimensioni. Per questo, si è deciso di ridurre il progetto a un solo padiglione e di avvicinar-lo alla struttura del polo universitario. I paletti posti nel corso della negoziazione prevede-vano la ristrutturazione di due piani dell’ala vecchia. Si è così arrivati al progetto che al giorno d’oggi è quasi realizzato, il quale pre-vede però solo la bonifica del Piano “0”. Come è stato finanziato il progetto finale?La struttura è finanziata al 78% dai fondi sud-detti dell’Obiettivo 2 dell’UE, e il restante 22% dagli enti locali. La gestione della Con-ference Hall è sottoposta alla responsabilità del Consorzio, il quale concede in regime di comodato a fini didattici le strutture del Polo del Negoziato riservandosi di sfruttarne gli spazi anche per eventuali sue iniziative; la proprietà rimane comunque dell’Università di Trieste. Il Piano “0” (ex mensa ed ex bar) verrà destinato a back office del Polo del Ne-goziato; inoltre, alcuni spazi bonificati e re-staurati saranno destinati all’implementazio-ne delle strutture bibliotecarie e di archivio dell’Università. Per quanto riguarda il recupero dei re-

Per capirci di più...INTERVISTA AL DIRETTORE DEL CORSO DI LAUREA SUL NUOVO POLO DEL

NEGOZIATOstanti piani dell’ala vecchia, cosa si pensa di fare?In progetto non c’è nulla al momento, ma sono ottimista del fatto che i lavori attuati al Piano “0” possano essere il primo passo per il recu-pero dell’intera struttura, attualmente afflitta da problematiche di impianto elettrico, riscal-damento, sicurezza e agibilità . La ristruttura-zione dell’ala vecchia non si poteva e non si potrà fare comunque con i fondi comunitari destinati alla sola costruzione di un Polo del Negoziato, ma attraverso la progettazione e il finanziamento dell’Università di Trieste.Cosa ne pensa se venissero inseriti altri Corsi di Laurea dell’Università di Trieste nel Polo Goriziano?Ragazzi, voi sfondate una porta aperta. Lo stesso Rettore ha dimostrato la sua volontà di sfruttare maggiormente gli spazi offerti dal nostro Polo, soprattutto considerata la situa-zione delle strutture triestine. Sto cercando di spingere affinché il Corso di Laurea in Scien-ze dell’Amministrazione venga a Gorizia. Purtroppo, vi sono sempre troppe reticenze da parte dei professori a trasferirsi da noi.Che cos’è l’Istituto per la ricerca sul Nego-ziato?L’Istituto per il Negoziato risponde alla ne-cessità di dare un contenuto di alto livello al contenitore. L’iniziativa parte nell’estate 2006 con la creazione di una Associazione per il Negoziato quale base per sondare il terreno sulla creazione di un vero e proprio Istituto. L’interesse nei confronti dell’Associazione è però scarso e il progetto è rimasto in stallo fino alla visita a Gorizia dell’Ambasciatore Fagiolo. In quella occasione, l’Ambasciatore appoggiò l’iniziativa, costituendo un vero e proprio collegamento con altri rappresentan-ti del corpo diplomatico. Ulteriore sostegno

terizzare il nostro Polo e, inoltre, perchè tali accordi rappresentano l’esempio più eclatante di negoziato controverso e rappresentano un importante caso di studio per le relazioni in-ternazionali.

Tommaso Dalla VecchiaEdoardo Buonerba

è stato dato poi dal professor Novello, dalla Fondazione Cassa di Risparmio e dal Consor-zio goriziano. Già nel 2007 l’Istituto ha edito la sua prima pubblicazione, intitolata “Verso il Negoziato. Gorizia, Mitteleuropa, Eurasia”, autori Benardelli, Novello e Zannier, fondatori dell’Associazione per il negoziato.Qual è il ruolo del Comitato Scientifico all’interno dell’Istituto?Il Comitato Scientifico si è insediato in data 28 marzo 2008, purtroppo oscurato dalla risonan-za mediatica che in quella data ha avuto la vi-sita del Presidente della Repubblica a Gorizia. Lo stesso ha lodato l’iniziativa e ha espresso interesse riguardo una sua possibile visita per l’autunno 2008. L’Istituto del Negoziato, pre-sieduto dall’Amb.Fagiolo e dal vicepresidente Demetrio Volcic, si avvale del Comitato Scien-tifico quale organo di ricerca. Tale componente annovera al suo interno una rappresentanza del mondo diplomatico, della finanza, del giorna-lismo, dell’imprenditoria e di altri importanti settori del mondo civile e soprattutto del mon-do militare, con la presenza dell’Ammiraglio Di Paola. Quali saranno le offerte didattiche che si svilupperanno a partire dal Polo del Nego-ziato?Si pensava già dall’estate prossima alla cre-azione di una Summer School. Inoltre, verrà probabilmente attivato nell’anno accademico 2009/2010 un Master sul negoziato: rimane da scogliere il nodo se il corso avrà un indirizzo generalistico o mirato. Il mio personale impe-gno sarà di sostenere una specializzazione del-lo stesso proiettandolo all’attualità. Per questo ci sembrava importante approfondire lo studio degli accordi di Dayton, che sicuramente ci interessano per concretizzare il filone balca-nistico che da sempre avrebbe dovuto carat-

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Sconfinare Aprile 200810Cinema È ormai consuetudinaria la presenza a Cinemazero di

autorità del cinema italiano. Pordenone, Cinemazero, ovvero cinema d’ essai, cineteca, centro culturale tra i più rinomati in Italia. Alla prima in città dell’ ultimo film del toscano Paolo Virzì presenziano il regista e l’ attore Elio Germano, ormai riconosciuto come il miglior attore italiano.Tutta la vita davanti si apre con la naturale freschezza del migliore Virzì: lavoratori a tempo determinato che ballano sulle note dei Beach Boys ci introducono all’ interno della vicenda di Marta, giovane laureata con lode in filosofia su Hanna Arendt interpretata da una folgorante Isabella Ragonese. Meno fortunata del suo ragazzo – Edoardo Gabriellini, il Piero di Ovosodo, ve lo ricordate? – cade anche lei come molti giovani nell’ abisso della sotto-occupazione, accompagnandoci in un viaggio nell’ Italia di oggi, nell’ etica e nell’ estetica di questi ultimi anni, in ciò che fa soffrire, gioire, angosciare. Un film dettato dallo spirito di curiosità verso l’ anima del nostro tempo. Un film divertente e triste, molto politico senza essere qualunquista né lagnoso. Lo spirito dei subalterni non è di autocommiserazione ma di allegra riscossa, di critica ironica. Marta è una ragazza colta, senza pregiudizi, che, prima di venire assunta alla Multiple, non sapeva nulla della realtà contemporanea. Finisce prima per ritrovarsi baby-sitter della figlia di Sonia (Micaela Ramazzotti) e proprio questa “Marilyn de ‘noaotri” la introduce poi nel call center della Multiple. Tra Marta e Lara si crea un rapporto che le vede inizialmente a cena guardando il GF e alla fine la bimba non si addormenta se non ha prima ascoltato i racconti di filosofia. Quello che la appassiona di più è il racconto della caverna di Platone. E la multiple costruita come un villaggio Valtur può sembrare la caverna nella quale arrivano solo i riflessi della realtà, Marta si assume la missione socratica di liberare l’ uomo dalle esperienze limitanti, spezzando l’incantesimo al quale sono legati tutti i ragazzi lì impiegati. Nel finale di questo film dolce amaro, la piccola Lara che,sembrava indirizzata ad una vita di tacchi e cellulare, alla domanda “che vuoi fare da grande?” risponde sicura: filosofia.Più che il tema del lavoro in questo film c’è il tema della vita, dato che il lavoro determina l’ esistenza delle persone. Una descrizione realistica del tema data dall’ osservazione sul campo, dai racconti di ragazzi condannati o alla fuga all’ estero o all’ odissea del precariato. Il film prende spunto soprattutto da Il mondo deve sapere, romanzo tragicomico di una telefonista precaria (2006, Isbn edizioni) in cui Michela Murgia racconta la sua vicenda di operatrice telemarketing per la multinazionale Kirby, mettendo in luce le condizioni di sfruttamento economico e manipolazione psicologica a cui vengono sottoposti i lavoratori precari in questo settore.Sono passati quasi 10 anni da Baci e abbracci, il suo ultimo film sul tema del lavoro. In questi anni si è aggiunta la nuova variabile del lavoro precario, che crea una storia corale. Tutti i personaggi sono provati dall’ incertezza, dall’ ansia per il futuro che accomunano vittime e carnefici. Anche i datori di lavoro non sono che lavoratori dipendenti a tempo determinato: tutti sono vittime e meritano allo stesso modo compassione per la loro fragilità disarmante. In quest’ ottica va vista la laurea della giovane Marta sul personaggio di Hanna Arendt. Ne La banalità del male l’ autrice prova un senso di squallore quando si trova di fronte ad Eichmann, un ragioniere, che, inconsapevole di cosa provocassero le sue azioni,

non può che provocare pena e tenerezza. Marta, che porta una foto della Arendt sul desktop del suo PC, non può che contraddistinguersi per questo spirito: che non condanna, che forse nemmeno assolve, ma che partecipa e soffre. Soffre talmente tanto per gli altri che è disposta a scoparsi il venditore Lucio2, per concedergli almeno una soddisfazione in una vita che ne è davvero povera. Il declino raccontato in questo film coinvolge tutti e tutto, anche lo spirito di classe. Il sindacalista CGIL Giorgio Conforti (un donchisciottesco Valerio Mastandrea, che semina senza sapere se nascerà qualcosa) viene tacciato di essere retorico quando racconta delle lotte sindacali a cui partecipava da giovanissimo con il padre e dello spirito di fratellanza che univa gli scioperanti. Oggi ognuno pensa a se stesso, anche nelle situazioni in cui dovrebbe prevalere un certo interesse al bene comune. Tutto questo rimanda al mondo dei reality show, dove la competizione tra i partecipanti si spinge all’ estremo. Il momento di eliminazione – il licenziamento – viene giocato al massimo tra i partecipanti – le precarie del call-center. In realtà una forma di solidarietà c’è, nell’ ottica dell’ affetto che può stringersi tra giovani ragazze obbligate nelle loro Isole (così si chiamano le postazione delle telefoniste) per la durata della giornata lavorativa. Un minimo di affetto, senza dimenticare la logica del gioco: Mors tua, vita mea. Se il lavoro non è relazione non può essere progresso nella civiltà. Le grandi stagioni operaie non sono più ripetibili. Siamo ormai il Paese del terziario avanzato (e ce lo ha ricordato il Presidente Illy presente in sala, politicizzando la presentazione del film, con la sua idea di FVG Regione della conoscenza). Le aziende come la Multiple hanno abusato della legge 30, rendendo l’ ingiustizia è più beffarda perché vestita di modernità. I precari con i vestiti firmati rimangono pur sempre gli ultimi della fila. Sulla locandina originale, come nel quadro di Pellizza da volpedo, si presenta tutto il cast di precari avanzando compatto non più verso il sole dell’avvenire ma più semplicemente verso la vita, che è tutta lì davanti. Molte cose sono cambiate da quelle stagioni di lotte, sofferenze e conquiste.Il sindacato ha perso ogni forza contrattuale all’ interno di realtà come quelle dei call-center; i tentativi di tutela dei diritti dei lavoratori porta solamente al visibile peggioramento delle condizioni di lavoro dei contrattisti. Ne I compagni di Monicelli lo sciopero non finiva di certo bene, ma era l’ inizio di qualcosa. In Tutta la vita davanti sembra più che altro la fine per la “carriera” di chi “parla”. Ha ancora senso scendere in piazza? Non è importante solamente per sentirsi parte di una moltitudine di persone con lo stesso obiettivo ma per scaricare tutta la rabbia che ci teniamo dentro perché non sappiamo più dove indirizzarla, visto che chi non ha la possibilità di investire nel lavoro non può nemmeno fare progetti su se stesso. Il precariato e la flessibilità esasperata hanno creato un senso di insicurezza per un’intera generazione, una precarietà a tempo indeterminato. I nostri nonni hanno ricostruito un mondo che usciva dalla guerra, i nostri padri hanno immaginato di cambiarlo, noi ci ritroviamo in mano un mucchio di incertezza che non ci permette neanche di sognare il nostro futuro.

Alessandro Battiston Federico Nastasi

Tutta la vita

davanti

NAZIONEItalia

GENERECommedia, Drammatico

DURATA89 min. (colore)

DATA DI USCITA28 Marzo 2008

REGIA Paolo Virzì

SCENEGGIATURAFrancesco Bruni, Paolo Virzì

PROTAGONISTIIsabella Ragonese

Sabrina FerilliMassimo Ghini

Valerio MastandreaElio Germano

Micaela RamazzottiValentina CarneluttiCaterina GuzzantiDISTRIBUZIONE

Medusa, Motorino Amaranto

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Sconfinare2008 Aprile 11Cinema“Mi interessava il confine labile fra lo-

gica e creatività. Quando intorno non cambia niente da secoli, come nei Sassi di Matera, le persone tendono a crearsi i propri mondi, fatti di immaginazione e ossessioni. I personaggi del film vivono in una marginalità che diventa possibi-lità di creare, reinterpretare, dissacrare senza che importi più la distinzione tra il vero e il falso. Ho cercato uno sguardo ironico e astratto che potesse restituire il senso di eccentricità e solitudine dei personaggi ma anche la loro estrema vi-talità”.

Federica Di Giacomo

I sassi di Matera sono meta turistica in-ternazionale. Federica Di Giacomo ci racconta quei pochi abitanti rimasti in quel luogo. Il Lato Grottesco della Vita è un apologo sulla purezza dei sentimenti, è la descrizione di un “altro mondo” e di “un altro tempo”.La macchina da presa segue passo passo due personaggi in particolare: Giuseppe, guida turistica e membro della comunità dei testimoni di Geova; e Paradiso, can-didato politico al consiglio comunale. I due protagonisti sono presi come figure emblematiche della gente dei Sassi. In loro l’autrice vede soprattutto innocenza e ignoranza. Ma non semplicità e stupi-dità. Loro infatti ostentano il loro poco sapere come se fosse alta cultura e non hanno timore di esprimere qualunque idea. I loro discorsi sfiorano il ridicolo e l’incomprensibile. Ma il fatto che non se ne rendano conto, anzi che si sentano in grado di definirsi storico uno, politi-co l’altro, li rende non tanto assurdi ma, come suggerisce il titolo, grotteschi.Il documentarismo di questa pellicola non è semplice ripresa della vita. Il film è costruito sapientemente al montaggio; e la pulizia delle inquadrature e il fre-

Il Lato grottesco della vita

Nazione: USACast: Hayden Christensen Samuel L. Jackson Diane LaneDurata: 88’Un ragazzo scopre di avere il potere di teletrasportarsi ovunque, impara a controllare i suoi poteri e vive una vita idilliaca tra viaggi e piaceri: colazione sulla Sfinge di Giza, un po’ di surf alle Fiji, pranzo a New York e poi serata in discoteca a Londra. Tutto meraviglioso, finché non scopre che qualcuno gli è alle costole, e che questo qualcuno vuole eliminarlo. Fin qui nulla di nuovo, anzi, sembra quasi la trama di un episodio di “Heroes”. Ma il teletrasporto ha sempre il suo fascino, come i viaggi nel tempo: d’altra parte, chi non ha mai sognato di potersi spostare in questo modo, magari con un vezzoso schioccare delle dita? L’argomento, se ben sfruttato, può dare risultati senz’altro interessanti. Può, o potrebbe. Infatti, nonostante le

JUMPER promettenti premesse, “Jumper” non riesce a coinvolgere come avrebbe potuto. Le scene d’azione e di teletrasporto, naturalmente, sono ben fatte come ormai ci si aspetta dalle produzioni di Hollywood, ma tutto il resto non convince: soprattutto, non c’è intesa fra David e Milly, protagonisti di un’improbabile relazione (dopo non essersi visti per 8 anni!) a margine della fuga dai cacciatori di Jumpers. Di questa guerra secolare, tra l’altro, non viene detto quasi nulla, ed è un peccato, perché qualche flashback storico ad hoc avrebbe reso il film notevolmente più interessante. Più in generale, si ha l’impressione che il film non scavi mai nella storia dei personaggi, restando sempre sul vago. Altro punto dolente sono i molti “buchi” nella trama: non sappiamo cosa succeda al padre di David, che fine faccia l’altro “Jumper”, Griffin, eccetera. Sono talmente tante le questioni lasciate in sospeso che

quente uso del campo-controcampo nei dialo-ghi, cosa insolita in un documentario classico, denotano una minu-ziosa attenzione. Tale sapiente costruzione cadenza il racconto, ma nonostante ciò, emerge la verità del luogo, con un ritmo da film di fin-zione. Ed è per questo che lo spettatore riesce facilmente ad affezio-narsi ai protagonisti. Inoltre, l’affascinante ambientazione fa da perfetta cornice agli eventi, in quanto è un perfetto contraltare dei personaggi. Matera infatti è intrisa di storia, di cultura, di arte, tanto da dimo-strasi un set meraviglioso per cogliere la poesia del quotidiano vivere dei suoi abitanti.La rappresentazione delle preghiere di gruppo a cui partecipa Giuseppe e dei co-mizi nelle piazze della città fa emergere, senza mai disprezzare, il lato grottesco presente nel mondo della politica. E Fe-derica Di Giacomo, riuscendo ad attrarre così bene l’attenzione del pubblico, di-mostra implicitamente come questo lato sia presente in ognuno di noi.La pellicola mostra una realtà difficile sebbene i personaggi “non appaiono de-pressi o rassegnati alla loro condizione lavorativa, ma al contrario esprimono un’improbabile creatività. I 75 minuti del film documentano una serie di situazioni che nascondono squilibri sociali, politici ed economici che i personaggi denuncia-

no con forza, sebbene in modo bizzarro. Questa “denuncia” passa attra-verso la vena comica dei personaggi aggiungendo valore alla ricerca socio-antropologico che Fede-rica Di Giacomo ha evi-denziato nel film. Dal proprio canto Fede-rica Di Giacomo coglie il perpetuarsi del conflit-to che intercorre tra sog-getti di evidente interdi-zione mentale,come nel caso del Sig. Giuseppe e

il Sig. Paradiso, e i parametri di “ nor-malità sociale ” che prevedono il rispetto generalizzato delle norme comportamen-tali e degli standards di vita, a loro volta causa propulsiva di un anonimato richie-sto dalla società moderna e globalizzata.I protagonisti, portatori di una sana anor-malità, sono l’espressione genuina di una originalità e genialità che trasgredisce la norma ma che, contemporaneamente, può esprimere lo spirito umano in modo più spontaneo, al di fuori di ogni schema-tismo convenzionale che “intrappola” gli impulsi vitali dell’uomo. La stravaganza che accompagna questi malati mentali nelle innumerevoli peripezie quotidiane sono fonte del binomio ammirazione-ge-losia da parte di coloro che, con occhio di rammarico, sono assoggettati ad un rigido potere etico-sociale.Italo Svevo, autore del romanzo “La co-scienza di Zeno”, avrebbe dal proprio canto evidenziato questo contrasto confi-gurando un duplice visione societaria: da

un lato la società dei “malati” e dall’altra la società dei presunti “giusti”, o meglio di malati mentali che non sanno di es-serlo. Le prime reali parole spese a difesa dei dissidenti mentali, cosi definiti coloro che soffrono di deficit mentale da parte dello psichiatra italiano Luca de Stefa-no, furono quelle formulate da Franco Basaglia, nei primi anni ’60, a supporto di una concezione antipsichiatrica e anti-manicomiale della malattia mentale: la follia veniva interpretata come una ri-sposta disperata dell’individuo alla con-dizione umanamente insopportabile, cui è costretto dal sistema capitalista, basato sull’efficientismo,consumismo e privo totalmente di senso umano.Tale concezione anti-psichiatrica del-la malattia mentale viene recepita nella legge n.180 del 1978 che di fatto aboli-sce i manicomi in quanto strumento di una società folle che cerca di reprimere le ragioni di coloro che si rivoltano con-tro essa. Gli anni ’60 ha dunque rappre-sentato un decennio dall’ evidente sovra-culturalizzazione da intendere come una nuova fase della modernità, le cui con-cezioni sono state soggette ad una serie di evoluzioni storico-culturali nel corse dei decenni successivi, fino ad approdare ad un XXI secolo, che se purché caratte-rizzato da una più ampia coscienza dei problemi che affiggono la nostra società, “ammira”. l’ inarrestabile avanzare del progresso e della modernità, così come le conseguenze che questi portano con sé. Di tutto ciò però attori come il Sig. Giuseppe e il Sig. Paradiso non ne hanno la più lontana percezione perché troppo intenti nel sviluppare, nel proprio imma-ginario, mondi fantastici nei quali loro solo sono gli unici protagonisti e porta-tori di verità.

Francesco Bruno

viene da chiedersi se sia già previsto un sequel: pare quasi una moda, quella di confezionare i film sin dall’inizio in modo tale che sia necessario un seguito.Riassumendo: ottimi effetti speciali, trama superficiale, personaggi poco convincenti (a parte il sempreverde Jackson, e Griffin, ovvero l’inglese Jamie Bell, senz’altro una spanna sopra Christensen) e molte domande senza risposta. Come mix non sembra essere dei migliori.Tuttavia, il film non è del tutto senza merito: è da apprezzare il fatto che il protagonista non sia il tipico supereroe cauto e responsabile (tipo Spiderman, per intenderci), ma anzi, una volta scoperti i suoi poteri, si dia alla pazza gioia. È molto più veritiero e divertente dei classici ammonimenti sulle “grandi responsabilità” imposte dai “grandi poteri”, ed è il motivo principale per cui “Jumper” si merita la sufficienza.VOTO: 6

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Sconfinare Aprile 200812Libri & Musica

Entra correndo Giovanni Allevi; corre vicino al pianoforte sul palcoscenico. Anche noi spettatori siamo entrati un po’ correndo al Teatro “Giuseppe Verdi” di Gorizia, lunedì 31 marzo, per ascoltare Giovanni Allevi e la sua musica. Siamo entrati tutti un po’ di fretta, ma forse, per una volta, non era perche si voleva fare qualcosa velocemente, ma perché si voleva “scappare” dalla frenesia di quel mondo che desideravamo, per una sera, chiuderci alle spalle.Si percepisce emozione nella sala in attesa. Emo-zione che sfocia poi in caldi applau-si.E così en-tra correndo G i o v a n n i Allevi, in felpa, jeans e All Stars. Anche lui è emozionato, forse più di noi. Sembra imbarazzato per tutti gli applausi. Si comprende che vuole iniziare a suonare; solamente quando si siede al pianoforte è a suo agio. Con poche parole introduce i suoi brani, invitandoci a viaggiare nei momenti più importanti della sua vita e della sua carriera. Così inizia a suonare, così iniziamo a lasciarci trasportare dal-le sue note nei luoghi dei suoi brani: e allora siamo tutti in una discoteca dove è stato catapultato Bach che immagi-navamo frastornato nel tentativo di far sentire la sua musica; poi siamo nel cen-tro di una grande città dove anche Hei-degger si sente parte di “un’umanità di-spersa”. Subito dopo, con tanta serenità

nel cuore, ci troviamo nel monolocale che la nostra “guida” Allevi ha affittato a Milano, nel momento in cui insieme a un raggio di sole che entra dalla finestra, si riscopre l’entusiasmo, e non solo la fatica, di inseguire i propri sogni. Pia-no piano scopriamo che il musicista che abbiamo di fronte sa fermarsi ad osser-vare il mondo e a guardarlo con occhi pieni di stupore, con gli occhi di chi ama la vita, di chi, come Hegel vede “la realtà diventare specchio dell’infinito”; così voliamo con lui ad Harlem, mentre

il cassiere di un super-mercato lo incoraggia prima del suo primo concerto a New York. Riscopria-mo in una be l l i s s ima c o m p o s i -zione il mo-mento in cui Allevi pren-de coscienza

del fatto che “la sua forza sta nella sua fragilità” ed anche noi ci scopriamo un po’ più forti insieme a lui. Con un sor-riso lo seguiamo nel suo esperimento di tornare nel 1500 per unire melodie moderne a quelle rinascimentali. Con questo sorriso ci salutiamo reciproca-mente grati per le emozioni trasmesse. Giovanni Allevi è riuscito a portarci con sé viaggiando sulle sue note. Da cosa lo capiamo? Bhé, tutti ci alziamo con cal-ma per uscire e fuori, sui marciapiedi qualcuno si guarda attorno stupito do-mandandosi: dov’è la mia carrozza?

Landoni Marta

Allevi e…una carrozzaUn pianoforte per raccontarsi e raccontare

The Wombats in Concert

La vita di una supporting band dev’es-sere dura. Significa salire sul palco ogni sera sapendo che la gente che hai davan-ti non vuole altro che tu ti levi di torno per poter sentire il gruppo vero, quelli sulla locandina, quelli bravi. Molte sup-porting band reagiscono chiudendosi nel loro piccolo mondo, inchinandosi e ringraziando un immaginaria platea plaudente, ma gli Orange no. Pur con tutti i loro difetti questi due poveracci (batterista e chitarra cantante) paiono aver raggiunto un buon equilibrio tra la consapevolezza di non essere desiderati e la determinazione a farsi conoscere. Una delle loro canzoni è anche quasi orecchiabile, ma non importa. Noi sia-mo qui per gli Wombats, tre mezzi cessi di Liverpool che fanno un indie-rock brioso, ironico, a volte ripetitivo e un po’ tonto, e che hanno un dono per caricare il pubblico. Dalla prima canzone, Lost in the Post, il tizio davanti a me inizia a contorcersi come una lontra in calore, e dopo meno di un minuto mi trovo a sal-tare come un cretino urlando i ritornel-li e pogando. Le cose si fanno violente sotto il palco, perdo di vista gli amici e mi scopro pallina in un flipper umano, mentre la frenesia raggiunge il suo api-ce con Kill the Director, “another song about a gender I’ll never understand”, un’altra canzone su un sesso che non capirò mai, le donne. E non fatico a cre-

derlo: il cantante, mai stato bello, è pe-santemente ingrassato dall’ultima volta che l’ho visto. Mi arriva una gomitata in faccia, e cado su una ragazza col nasone. Non mi divertivo tanto da mesi! Mi rial-zo pronto a rituffarmi nella mischia, ma grazie al cielo parte Patricia the Stripper, tragicomica serenata, e pezzo più lento dell’album. Per tre minuti l’intero locale si ferma, tira il fiato e conta i lividi, pri-ma dell’ultima carica. Alle prime note di Let’s Dance to Joy Division l’adrenalina esplode vengo lanciato di peso al cen-tro del pogo. Spingo, salto, urlo canto e sgomito, mentre il cantante sembra go-dersela da matti. Sbilanciato, mi afferro alla felpa di qualcuno e faccio perno, fi-nendo di faccia contro un pilastro. “Eve-rything is going wrong but we’re so hap-py…” tutto sta andando male ma siamo così felici… Mi rialzo, e trascino il mio amico verso il banco. Siamo ammaccati e fradici di sudore. C’è ancora una can-zone, lo sappiamo per certo, dato che gli Wombats sono al primo disco (A Guide to Love, Loss and Desperation), e tut-te le altre le hanno già fatte. Ma non ce la sentiamo di tornare nella bolgia. Una sigaretta fuori, qualcosa da bere e qual-che pigro apprezzamento sulle ragazze intorno a noi è tutto quello che riuscia-mo a mettere insieme prima di tornare a casa, profondamente soddisfatti.

Luca Nicolai

Jean-Paul Pougala - In fuga dalle tenebreLa commovente storia di un uomo vittima delle discriminazioni e dell’ignoranza.

“The forces that unite us are far greater than the difficulties that divide us at pre-sent, and our goal must be the establi-shment of Africa’s dignity, progress and prosperity” – Dr. Kwame Nkrumah. Si apre così il bollettino d’informazione del Movimento Federalista Africano, nato sulla scorta del Movimento Fede-ralista Europeo che ha visto la luce nel 1941, anno in cui Altiero Spinelli ha re-datto il Manifesto di Ventotene- o Ma-nifesto per un’Europa Libera e Unita-.Esponente di spicco del Movimento Fe-deralista Africano è Jean-Paul Pougala, originario del Camerun e ora piccolo imprenditore che lavora tra l’Africa, Torino e la Cina. Il suo percorso verso la realizzazione personale e professio-

nale è stato tortuoso, a causa delle sue origini, del colore della sua pelle e della “razza” cui appartiene. Tutte le difficol-tà che egli ha incontrato per diventare ciò che è adesso- un uomo che ha vin-to- sono perfettamente illustrate nel suo libro “In fuga dalle tenebre” (edito da Einaudi), un titolo emblematico, simbo-lo di una sofferenza tuttavia non ancora finita. Perché l’autore sta ancora scap-pando dalle tenebre dell’ignoranza, del-la discriminazione e della lotta per la re-alizzazione. Perché la voce dell’Africa non è ancora ascoltata. Perché lo sfrut-tamento selvaggio del suo continente d’origine è ancora presente. Il libro rap-presenta il cammino di Pougala verso la “libertà”. E’ la sua biografia, che parte proprio dai primi anni della sua vita. I primi vent’anni infatti li trascorre in Africa, in una piccola comunità patriar-cale, poco sviluppata culturalmente, po-liticamente ed economicamente. Sono anni difficili, caratterizzati da violenze e sofferenze di ogni sorta e, soprattutto dalla presenza del padre rigido che ha

sempre frenato la voglia d’indipendenza e di libertà di Jean-Paul. La situazione si evolve negli anni Ottanta, quando Pou-gala lascia l’Africa per recarsi in Italia, dove studia Economia e Commercio a Perugia. Il soggiorno non è dei migliori, ma l’autore riesce a laurearsi brillante-mente. All’interno della sua facoltà, era considerato un genio, ma lui, modesta-mente, non si reputa tale. Se brillava era perchè molti lo giudicavano inferiore, e quando ti trovi in condizione d’inferio-rità, quest’ultima diventa lo sprone per dare il massimo. I suoi sforzi sono stati ricompensati e adesso ha un lavoro che lo soddisfa e lo gratifica, sebbene le di-scriminazioni non sono ancora finite. Questo libro, comunque, oltre a vo-ler essere una biografia, è anche un messaggio che Pougala sta mandando all’Europa, affinchè questa adotti delle misure più efficaci riguardo al continen-te africano, troppo spesso abbandonato e vittima dell’indifferenza delle “grandi potenze”.

Federica Salvo

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Sconfinare2008 Aprile 13

Sistemi di sicurezza aeroportualiNonché sistemi di insicurezza internazionale

“Il Prezzo del Velo” di Giuliana Sgrena

Gorizia. Venerdì 4 aprile, presso la Fon-dazione Carigo, Giuliana Sgrena ha pre-sentato il suo ultimo libro “Il prezzo del velo”. Alla conferenza, promossa dall’as-sessorato alla Pace della Provincia di Gorizia, in collaborazione con l’organiz-zazione non governativa “Un ponte per Baghdad”, hanno partecipato anche, come relatrici, Anna Mazzolini e Fulvia Raimo e, come coordinatore, Andrea Bellavite. Il libro rappresenta un po’, o vuole per lo meno rappresentare, il ritorno alla norma-lità della Sgrena a quello che ha sempre fatto, superando la parentesi di ciò che le è successo in Iraq. Il suo primo libro pubbli-cato nel ‘94 si chiamava “La schiavitù del velo” e trattava la questione dell’integrali-smo islamico visto però direttamente dalle donne, da donne egiziane, marocchine, al-gerine. Aveva raccolto degli scritti,li ave-va messi insieme e aveva introdotto que-sto argomento che ancora era sconosciuto in Italia. Questo libro, invece, è il frutto di una lunga permanenza della Sgrena in alcuni tra i principali paesi fortemente ca-ratterizzati dalla presenza della religione e della cultura islamica. La scrittrice ci presenta la sua posizione. Secondo l’au-trice è in corso in questi paesi un processo di re-islamizzazione da parte soprattutto di gruppi islamisti che utilizzano la reli-gione a fini politici per prendere il potere e che fanno leva sul fallimento di alcuni movimenti nazionalisti di alcuni progetti

Un giorno si decise che un pollaio che raz-zola troppo a destra e a manca sarebbe stato positivo solo nel caso in cui si parlasse di un piccolo contadino. Le misure sproporziona-te di produzione hanno reso consci i con-tadini-capitalisti che le loro decisioni non potevano essere influenzate da una massa così grande di piumaggio: hanno studiato i mezzi di comunicazione ed hanno fatto cre-dere alle galline di essere libere. Libere di fare uova e di girare dentro ad un cerchio di ben un metro (“pensare che c’è chi quel metro neanche ce l’ha...” dicevano) mentre grandi griglie venivano montate e, attraver-so la bella educazione (libera, anche lei...) e la promessa di una vita in un pollaio ultra-terreno, i polli si sono fatti rinchiudere sem-pre di più nelle ristrettezze delle loro quo-tidianità, fatta di mangime e ri-produzione. I poveri che hanno provato a scappare al sistema sono finiti quasi tutti inchiodati su reticoli spinati: “quei poveri estremisti no-stalgici!” che volete, si fa propaganda anche tra i polli...Non vi sentiate toccati da tante parole, non è nell’animo dell’uomo attuale sentirsi offe-

Libri & Stile libero

di società laici per imporre una loro nuo-va visione dell’Islam che comporta dei cambiamenti nei costumi a partire proprio da una maggiore repressione delle donne. In alcuni paesi, come l’Arabia Saudita, in effetti, le donne non avevano mai con-quistato una loro libertà di diritti. In altri paesi avevano conquistato dei diritti, ma negli ultimi anni sono andati perdendosi. C’è un’imposizione del velo, ad esempio, che non è il velo della tradizione, ammes-so che la tradizione possa essere una cosa che non si cambia. Ma addirittura in que-sti paesi quello che si pone adesso non ha nulla a che vedere con la loro tradizione. È un velo ideologico, è un velo che rispon-de ad alcuni dettami più della politica che della religione. Il chador che si impone, il chador che viene e che ha come spinta ideologica la rivoluzione islamica in Iran. Quindi, non si tratta tanto di un recupe-ro delle tradizioni, di una cultura o di una identità. È un altro processo, è un proces-so ideologico di re-islamizzazione, ancor più pericoloso rispetto al recupero di una tradizione o di una cultura. È un processo molto pericoloso che rischia di annullare i

diritti della donna per molto tempo.Con l’imposizione del velo si vuole im-porre il controllo sulla sessualità della donna. La donna viene considerata all’ori-gine di tutti i mali e soprattutto all’origine della provocazione dell’uomo. L’uomo deve far valere il proprio onore ma non respingendo la provocazione bensì evi-tandola. Quindi, la donna velata, con gli occhi bassi, che parla a voce bassa, che non si fa sentire quando si muove, è la garanzia dell’onore del maschio. Il pro-blema è che questo onore il maschio lo fa valere sul corpo delle donne. Non è mai lui che si fa protagonista in prima persona, ma è la donna che deve subire queste imposizioni per poter garantire al maschio il proprio onore, la propria viri-lità. È quindi questo, continua l’autrice, il fatto inaccettabile: che la donna debba annullare il proprio corpo per permettere all’uomo una propria identità, un proprio onore. Secondo l’autrice, l’Occidente non conoscendo, non volendo conoscere, que-ste realtà adesso spesso chiude gli occhi. C’è una doppia posizione: c’è chi conti-nua a vedere questi mondi come mondi

popolati dai selvaggi, e quindi “che stiano a casa loro che noi non li vogliamo ne-anche vedere”, e c’è un’altra parte, che riguarda soprattutto la sinistra, che è af-flitta da un relativismo culturale per cui, considerando tutto bene, considera bene anche le forme più arcaiche che prevalgo-no in questi momenti in quei paesi quindi tutto viene giustificato in nome della cul-tura, della loro identità, senza vedere che ci sono dei movimenti che si oppongono a questi nuovi processi. Non vedendo que-sti nuovi processi e ignorandoli, facendosi conniventi con chi vuole imporre questa visione arretrata della società, non solo della religione, ma proprio della società, si rende complice. E si rende complice del fatto che i movimenti progressisti, i mo-vimenti delle donne per conquistare i loro diritti vengono drasticamente repressi, conclude l’autrice. Onestamente mi aspettavo di più, sia dalla Sgrena scrittrice sia da quella giornalista, da una che è stata rapita che ha seguito i conflitti in Iraq, in Somalia, in Palesti-na, in Afghanistan uno s’aspetta un po’ di carisma, di verve, di partecipazione. E invece, un’infinita dolcezza e flemma, sia nell’argomentare che nell’esprimersi. Mi aspettavo qualche aspetto curioso, diverso di quelli che il mondo continua a tacere. E invece, abbastanza banale e scontata.

Valentina Tresoldi

so. Le libertà ci sono e le rivendichiamo sempre: soprattutto quando si confonde la legalità e il giusto seguir la regola con misure di (in)sicu-rezza internazionali. Bene, mettiamo-ci allora in fila per quest’aereo e fac-

ciamo un salto in un futuro non troppo lontano, chissà che non chiarisca le idee...Vi sarà una volta, nel bel paese, una legge sull’insicurezza delle persone. “E’ calcolata secondo uno studio dei burocratici tecnici europei, espressa nell’elaborazione di un te-sto di 9.000 pagine, in totale trasparenza ed accessibilità a tutto il popolo europeo”. Ma come ben si sa, l’Europa è oro colato e al-lora nelle file degli aeroporti è stata adottata una nuova misura di sicurezza: l’ispezione rettale. D’altronde nel dibattito parlamenta-re ben si percepisce l’inculata. Quanta unità nel nostro pensiero politico! sarà forse che sul nulla è facile costruire l’unione. Quindi, per chi prende l’aereo, un passaggio veloce in cabina, occasione per lasciare lì la propria bava (soprattutto per i voli intercontinentali: non sia mai che dalla Cina si ritornasse con quella febbre gialla che tanto preoccupa la nostra società italiana, immune da malattie ma non dal cle...), svuotare l’urina (è noto l’attentato perpetuato attraverso esplosivo urinale) e alla fine del viaggio alcune com-pagnie si sono anche proposte di dare i ri-

sultati delle analisi, con convenzione della ASL locale e con qualche magnaccia che fa il suo giretto di affari sopra. Purtroppo, ben si capisce che le compa-gnie hanno dovuto ammortizzare tali costi in qualche altra maniera: è stato inserito il “supplemento ciccia”. Andiamo! era vera-mente anti-etico che un ciccione pagasse la stessa cifra di un magro. Non si è mai visto che in una società come la nostra dove regna la magrezza, il diafano, il rachitico quale se-gno di bellezza si possa far viaggiare anche dei bonzi così. Una bella pinza in aeroporto calcola lo strato di adipe esistente e calcola subito il prezzo da pagare, come ad un ban-co supermercato “ma non sentitevi prodotti, sentitevi clienti” riporta lo slogan...Niente più insicurezza signori, solo la vo-stra! ma per quella c’è il vostro terapista... il sistema garantisce poi una solidarietà internazionale: le bottigliette di acqua che si accumulavano puntualmente all’ingres-so dei controlli, saranno inviate in Etiopia ai bambini che muoiono di sete, mentre un ingegnere etiope di Addis Abeba studia le falle dell’acquedotto italiano costruitogli 50 anni prima. Si chiama “allocazione delle ri-sorse”... Infine, basta con questa necessità di spostar-si: quanto è stupido voler cambiare sempre posto, è indice di insicurezza cari miei! Però di questo ne abbiamo approfittato: Alitalia ha ritrovato un suo vigore da quando orga-nizza dei voli dalla Cina verso Venezia (ma “Venezia” è una città modello costruita a 50 km da Pechino) però la tariffa sarà quella di Venezia vera! il modo migliore di vin-

cere sui cinesi, è dimostrato, è stato quel-lo di truffarli. Ma con un buon tornaconto: abbiamo convinto tutti i leghisti ad andare nella finta Venezia con i fucili a bruciare un giorno sì e un giorno no la Costituzione e la bandiera... chissà che un giorno non gli creeranno anche una piccola Roma accanto, così si sentiranno storicamente accontentati a farne una marcia ed abbattere quella capi-tale ladrona.Che salto faticoso in questo futuro! eppure non mi sembra ci sia troppa differenza guar-dandosi intorno. Dalla storia non abbiamo imparato niente e continuiamo a lasciarci impressionare da questi signori della sicurez-za, mediatizzati da polli peggiori di quanto stiamo diventando noi. La nostra sicurezza mentale è moralmente fragile di fronte alle proteste e alle critiche, fisicamente fragile di fronte all’isolazionismo “liberale” in cui ci stiamo e ci stanno chiudendo. Professiamo la libertà di movimenti ma siamo chiusi in barattoli di vetro, da cui guardiamo il mon-do ma dai quali ci sentiamo protetti. Eppure, i barattoli chiusi soffocano e uccidono. giovedì, ore 6 di mattino: prendo il pulmino per l’aeroporto (13 euro cavolo!!) però la ta-riffa l’ho pagata un centesimo, volo un po’ presto la mattina... certo, vanno aggiunti 30 euro di tasse, 6 di bagaglio, 12 di imbarco rapido (voglio il posto migliore) 7 per una bottiglietta d’acqua rimpiangendo quella la-sciata ai controlli... i controlli: fila al check-in, supplemento per il peso del bagaglio 6 euro, controlli: niente crema, acqua, mar-mellata, miele...

Edoardo Buonerba

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Sconfinare 2008 Aprile14Un comunista abbatterà l’ultimo muro?

Le elezioni a Cipro

Con l’ex Ministro DamianoA Gorizia l’incontro del 9 Aprile

Mercoledì pomeriggio goriziano, nuvole, ma non piove. Sono le quattro e mezza, piccola folla di giovani davanti al Palace Hotel, aspetta il ministro del lavoro Cesare Damiano, invitato dai Giovani Democratici di Gorizia sull’onda di una provocazione, “giovani ed eventuali”, che dà il titolo all’incontro. «Siamo noi gli “eventuali”, quelli che non hanno granché voce nella politica e nell’economia», dice Valentina, sedicenne che prima ancora della maggiore età ha già votato due volte alle primarie del Pd. «Il problema – le fa eco Michele, al primo anno di Legge – è che vogliamo mettere il naso fuori casa, progettare un minimo di futuro». Già, questa, la parolina magica. Forse la molla che ha portato tanti ragazzi a discutere di politica con un ministro del lavoro oramai agli ultimi giorni del suo mandato. E quando arriva Cesare Damiano, sulle note di “Mi fido di te”, vero inno unofficial della campagna veltroniana, tutti in piedi, ad applaudire – un po’ forse con sollievo, dopo l’attesa dovuta ad una tappa imprevista in un’azienda vinicola...Marco Fabozzi, visibilmente emozionato, festeggia i suoi 23 anni introducendo gli argomenti su cui Damiano dovrà rispondere. Da poco laureato in Tecniche della prevenzione degli infortuni sul lavoro, Marco tratteggia in breve le inquietudini di una generazione: lavoro, precarietà, salari, sicurezza, famiglia. Un giovane che oggi vuole entrare nel mondo produttivo – incalza – rimane quasi certamente “intrappolato”, spesso per lungo tempo, in rapporti di lavoro precari che non gli consentono di realizzare

progetti a lungo termine, né di acquisire una certa indipendenza economica. «La scarsa sicurezza nei luoghi di lavoro – sottolinea ancora Marco –, unita alle forme contrattuali di assunzione, nasce in gran parte da un’illusoria strategia di mercato che si basa su una r iduz ione dei costi del lavoro. Tutto ciò i n c i d e , alla fine, a scapito della tutela d e l l a salute e dei diritti dei lavoratori».D a m i a n o non si s o t t r a e ai problemi, e rileva subito l’eccessiva durata dei contratti di flessibilità: «Quando ho cominciato a lavorare in fabbrica, quarant’anni fa, dopo trenta giorni di prova avevo già un contratto a tempo indeterminato. Oggi non è più così. Le vecchie certezze non esistono più, e voi, i giovani, siete chiamati a riconquistare i vostri diritti giorno per giorno». Rivendica i risultati raggiunti in pochi mesi di governo, in particolare con la Legge 123 del 2007, una normativa sulla sicurezza – dice – tra le più avanzate in Europa. «Ma le migliori leggi, se rimangono sulla carta, non servono

a nulla. Bisogna applicarle: a favorire ciò ci sono i 1411 nuovi ispettori del lavoro, c’è un dialogo con le imprese, per far crescere la consapevolezza che un luogo di lavoro sicuro è utile per tutti, anche per il datore di lavoro». Il nocciolo è questo: le regole non sono degli

impedimenti, dei “lacciuoli” inutili e gravosi da evitare quanto più possibile, ma portano alla crescita del Paese in tutte le sue componenti.C o n t i n u a il botta e r i s p o s t a : c o m ’ è possibile che

la fascia d’età maggiormente coinvolta negli infortuni sia proprio quella compresa tra i 18 ed i 34 anni? «Non se ne può parlare solo dopo fatti eclatanti come quelli di Torino – ribadisce Marco, che ne ha viste già molte nei cantieri del monfalconese –. Il problema è innanzitutto culturale, e la formazione gioca un ruolo di primo piano». «Gli ambienti di lavoro – aggiunge Damiano – sono sempre più “internazionali”, data la forte presenza di immigrati. Occorre comunicare con lingue, culture, modi di pensare diversi dal nostro. E questi lavoratori, specie nel settore edilizio, sono i più esposti ai rischi. Sono migliaia

le imprese edili che ho fatto chiudere per mancato rispetto delle norme: di queste, il 40% ha riaperto dopo essersi messa in regola, le altre hanno chiuso, perché dovevano la propria sopravvivenza al “nero”. Proprio in queste si concentra una grossa parte dei morti e dei feriti». Altra novità, rivendicata dal ministro, è l’obbligo di regolarizzare il lavoratore entro un giorno prima dall’inizio dell’occupazione, «proprio perché quasi metà degli infortuni avviene il primo giorno di lavoro». Il milione di incidenti sul lavoro annui colpiscono infatti soprattutto chi è alla prima esperienza lavorativa: giovani spesso messi in difficoltà da un sistema che non permette di crearsi un’esperienza e conoscere bene il proprio lavoro e i rischi che lo caratterizzano.Un’esistenza precaria inibisce le possibilità di farsi una famiglia, di procedere regolarmente nelle proprie relazioni, di costruirsi un’autonomia. In molti sentiamo questi problemi, chi studia a lungo all’università, come chi finisce presto in un cantiere o in un call center. Trovare una così larga presenza di giovani, a discutere in un pomeriggio goriziano, mi ha veramente stupito. C’è voglia di crescere, di contare. Il tema del lavoro ha richiamato questo desiderio di sentirsi importanti e dare il proprio contributo ad una società sempre più vecchia, dove i giovani lottano ogni giorno per conquistare i propri spazi. È un desiderio importante, una fiammella che potrà crescere, se tutti daranno il loro prezioso, ed individuale, contributo.

Federico Vidic

Demetris Christofias, leader del partito comunista Akel, ha vinto al ballottaggio di domenica 24 febbraio le elezioni presidenziali cipriote, battendo il rivale conservatore Ioannis Kassoulides. Le elezioni hanno riguardato solo la parte greca, nel sud dell’isola, a nord esiste la repubblica turco-cipriota, riconosciuta solo da Ankara. Cipro infatti è divisa in due dal 1974, anno dell’invasione militare turca a seguito del fallito golpe dei nazionalisti greco-ciprioti. Uno dei primi a complimentarsi per la vittoria è stato Mehmet Ali Talat, presidente della parte turca dell’isola. I due leader si dovrebbero incontrare a breve per avviare le trattative per la riunificazione di Cipro. D’altrone l’Akel, da tempo intrattiene rapporti privilegiati con i sindacati turco-ciprioti, e in passato il neoeletto si è incontrato più volte con il leader turco-cipriota. Christofias è un personaggio particolare, è stato nove volte presidente del Parlamento e da 20 anni segretario generale dell’Akel. Si è laureato in scienze sociali in Unione Sovietica, si dichiara orgogliosamente figlio della classe lavoratrice, ma ha chiarito immediatamente di non voler cambiare l’economia di libero mercato che vige sull’isola. Molti scommettono su di lui come chiave di volta per sbloccare la situazione cipriota. Il presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso ha detto

che c’è ora «l’opportunità di superare il lungo stallo sulla questione cipriota» e ha incoraggiato Christofias «ad avviare senza indugi i negoziati sotto l’egida dell’Onu» per «un accordo risolutivo». Sembra che anche sull’altro fronte, quello turco, ci sia un qualche spiraglio per iniziare questa trattativa. Dal muro che taglia in due Nicosia passano questioni diverse ed importanti, anche l’eventuale adesione della Turchia alla Ue. Il muro rappresenta il maggior ostacolo nel processo di adesione della Turchia alla Ue, dal momento che Ankara si è rifiutata di aprire i suoi porti e aeroporti a navi e aerei greco-ciprioti. Si sta creando un clima più disteso anche tra Grecia e Turchia, nell’ultimo incontro tra il premier greco Kostas Karamanlis ed il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, quest’ultimo aveva espresso ottimismo sulla questione cipriota. Equilibri e strategie internazionali dipendono molto dall’evolversi delle vicende nelle piccola isola mediterranea(appena 700mila abitanti), che dal 1° Gennaio di quest’anno fa parte dei paesi della zona euro. La pace è un susseguirsi di piccoli passi, nel quadro mondiale anche Cipro è importante e a Bruxelles questo lo sanno. Il muro di Berlino è caduto grazie alle fine del comunismo nell’Europa orientale, potrebbe ora essere un presidente comunista ad abbattere l’ultimo muro d’Europa.

Federico Nastasi

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November - December 2007 IISconfinareSpeciale Sconfinare

Ustanovitev stranke “Za življenje” je bila gotovo žgoča spodbuda, ki je zopet vnela razpravo o splavu. To je zelo občutljiva tema, ki se dotakne in-timnega dela vseh nas, in za katero vsi imamo mnenje.Vsaka politična stranka bi se mora-la ukvarjati z različnimi zadevami in biti nosilec razširjenih interesov prebivalstva. Ne bi smela pa omejiti politični boj na eno samo zadevo, ker vsaka državna vlada mora rešiti celo vrsto problemov v raznih področjih: politike, gospodarstva in družbe. Mi-slim, da ustanovitelj in leader stranke vse to dobro ve, in da pobuda je samo izziv, brez nobene volje vladanja. Vsi tisti, ki poznajo osebnost-Ferrara, vedo, da ljubi polemike.Res je, da bi se moralo obravnavati zadevo splava v “areni, ki neposredno zadeva družbo”, a vsekakor ni mogoče se izogniti Parlamenta, saj vsaka končna odločitev glede splava bo šla skozi njega iz dveg razlogov. Čeprav v tej ustanovi ženski in moški spol nista enakomerno predstavljena, Parlament je predstavnik vseh državljanov, ki so ga zakonito izvolili. Drugi razlog, pa je obstoj samo referenduma abrogati-vne vrste, to pomeni, da o vsakem no-vem zakonu bo opravljal Parlament.Zakon 194/78 je, po mojem mnen-ju, zelo uravnovešen in popoln, to-rej optimalen, da se lahko pravično uravnava tako bodečo problematiko. Zaradi človeške narave zadeva spla-va mora biti obravnavana v zakonu. Vsak slučaj prekinitve nosečnosti je

...z lahkim srcem. Motivacije, ki peljejo do splava, so večkrat povezane s težavnimi re-alnostimi in z zavestnim prepričanjem, da ne bo mogoče nuditi dostojno bodočnost sinu.Ko se razpravlja o splavu, tisti ki mu na-sprotujejo, motivirajo nasprotovanje, s tem da je treba zaščititi pravico do življenja, to-rej tudi zarodka. A prav bi bilo, če najprej bi zaščitili pravice matere. Mislim, da se vsi spominjamo filma «štiri meseci, tri tedni in dva dni», kateri prikaže krut portret splavov v komunistični Romuniji predsednika Ce-aucescu. Dogodki filma so precej podobni tistim dogodkom, ki so se vršili dnevno tudi v Italiji pred letom 1978. Vsaka država bi morala nuditi vsaki ženski pravico do ope-racije v primerni in snažni strukturi z pri-stojnim osebjem.Drugo vprašanje, na katero Ferrara in stran-ka Za življenje niso skušali odgovoriti je pomen pravice do življenja. Čeprav na to vprašanje ni možno odgovoriti na en sam način, v tem slučaju ne gre samo za življenje organizma, ampak tudi za dostojanstvo človeka. Za vsakega otroka, ki raste, je po-membna ljubezen. Brez nje lahko nastanejo težave v odraslih letih. Citirati hočem sta-vek pisatelja Calvina: “človek ne nastane samo zaradi slučajne izpolnitve določenih bioloških kondicijah, a iz dejanja ljubezni in volje.”Za zaključek, mnenja sem da splav je ne-dotakljiva pravica vseh žensk in kdorkoli hoče ga razveljaviti ne misli v korist žensk, temveč skuša jih postaviti na nižji položaj.

Leonetta Pajer

Giuliano Ferrara in stranka ‘Za Življenje’

Razprava o splavu iz vidi-ka dvajset letne mladenke

Prekinitev nosečnosti in stranka “Za življenje”

… različno mnenjepredviden in uravnavan na način, ki omogoča gotovost in ne pušča prosto-ra dvoumnosti.Če pa gremo izven pravnega območja, kar se tiče prekinitve nosečnosti, lahko srečamo veliko drugih pogledov človeka. Eden izmed teh so vrednote vere, ki imajo velik vpliv na stališča ljudi.Zadeva vesti pa se postavi, tudi če se pusti ob strani verske vrednote, torej razprava nas pripelje k etiki odgovor-nosti. To pomeni, da za vsako dejanje, se je treba zavedati na posledice, ki mu lahko sledijo. Ne pridgam vprid monastične čistosti, temveč se strinjam z odgovornostjo dejanj vsake osebe, s tem da se bolje uporabi metode kontra-cepcije. De Andre pravi “čeprav sem pomešal ljubezen z uživanjem, nisem ustvaril bolečine!”. To ne velja samo za ženske, ki se lahko znajdejo same pri rešitvi takih problemov, temveč tudi za moške, za katere je večkrat lažje se izogniti družinskim težavam (mater certa est....), kakor sodelovati pri dolžnostih očeta in partnerja. Na pomoč mi pride stavek pisatelja Calvi-na, ki ga je citirala avtorica prejšnjega članka “ne samo zaradi slučajne izpo-lnitve določenih bioloških kondici-jah, a iz dejanja ljubezni in volje.” Prav na voljo, ki ni volja porajanja se hočem zaustaviti: privoljeno dejanje predpostavlja posledice, ki ne sme-mo upoštevati za obrobne in rešljive, torej treba si vzeti odgovornost, ko se izkorišča pravice, ki nam nudijo zako-ni.

Pravica, da se lahko določa za svoje telo, ne sme biti pomešana s svobodo preprečanja nastanka novega življenja, in tako naredi-ti napako, s tem da se da prednost raznim faktorjem zoper pravice do življenja. Mnogi oporekajo, da ni mogoče nasprotovati splavu v slučajih posilstva, a zakon obrav-nava te slučaje in dopušča v času prekinitev nosečnosti (art.4 comma 1 L. 194/78). Vsekakor ti slučaji splava so redkejši, torej opravičenje je brezsmiselno. Če se da prednost pravici do splava zoper pravici do življenja, vprašam se, kateri po-men ima še dandanes pravica do življenja. Ker sem fant, bi me lahko obtožili, da ne razumem položaja ženske, ki se odloči za splav, in da hočem postaviti žensko na nižjo pozicijo. Prav zaradi tega se obr-nem obema spoloma: pazite na vaša dejanja, bodite odgovorni in ob strani tiste, ki nosi v sebi novo življenje.

Antonio del Fiacco

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V zadnjih mesecih je veliko časopisov po-svetilo mnogo člankov o javni razpravi, ki se je vnela, potem ko je Giuliano Ferra-ra predlagal moratorij za splav. Razprava je razdelila državo in je gotovo bila eden izmed vzrokov padca vlade Prodi. Treba omeniti, da je Ferrari uspelo v kratkem času sestaviti stranko proti splavu in dobiti pre-cej ljudi, ki se o tej zadevi z njim strinja. Poleg tega, da določitev sestavitve stranke na tako specifično in problematično temo iz dneva v dan lahko zgleda kar sumljiva, dolžna sem povedati, da je soglasno prepoz-nano, da Ferrara in svoja stranka nimata še točno določenega stališča in zgleda, da oni sami ne vedo tisto kar hočejo doseči: Fer-rara je namreč večkrat potrdil, čeprav on nasprotuje splavu, vseeno se noče dotakniti zakona 194 ter, da ima vsaka ženska pravi-co določati o svojem telesu. Upam, da je to le komunikacijski problem in da njegova stališča niso tako zmedena, tudi, ker se je dotaknil zelo občutljivega problema, tako za tiste ki so proti splavu, kot za tiste ki mu ne nasprotujejo.V tem obdobju, medtem ko sem sledila raz-pravi in precej razmišljala o tej pravici ter o položajih nasprotnih si strani, sem želela izjaviti moje mnenje, ki je po eni strani mnenje mladenke rojene kar nekaj let po uveljavi zakona 194, na drugi strani pa mi-sel odrasle ženske.Zadeva splava je bila od vedno zelo občutljiva tema, katere je bilo težko obra-vnavati, ker pokliče v igro sile, ki pripada-jo notranjemu in neracionalnemu področju osebe. Po eni strani, prekinitev nosečnosti, naj bo prostovoljna ali naravna, je gotovo za žensko bolesten in pretresljiv dogodek. Na drugi strani, verske vrednote večkrat zakomplicirajo odločitve. Prav zaradi tega sem mnenja, da o tej zadevi je zelo težko razpravljati in še toliko več se mi zdi ne-sprejemljivo jo uporabljati kot zastavo med volilnim bojem: o zadevi kot je splav bi se moralo obravnavati v areni, ki naj bi nepos-redno zadevala družbo. Arena, ki gotovo ni naš Parlament, v katerem moški in ženski spol nista enakomerno predstavljena in kateri, domnevam, mora rešiti veliko drugih pomembnejših zadev.Zakon 194, ki dandanes je v veljavi v Ita-liji, zaščiti pravice tako matere kot zarod-ka. Mnogo strokovnjakov smatra zakon za pristojnega in izredno naprednega, še toliko več, če pomislimo v katerem obdobju je bil napisan. Zakon nudi vsaki ženski možnost pravice, ki je gotovo bolestna in težavna. Po-litiki in intelektualci, medtem ko razpravlja-jo o splavu, večkrat pozabijo, da ženska, ki se odloči za splav, ne vzame to odločitev...

Rubrika Go and Go

Strani II

BEIJING, OLIMPIJSKE IGRE IN ZAHOD; BOJKOT – DA ALI NE?

SLOVENSKA IZDAJA

Prekinitev nosečnosti in stranka “Za življenje”… različno mnenje

BREZPLNCA ŠTEVILKA Številka 13 - April 2008 www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel

Večkrat se zgodi, da nas paradoksi življenja kar presenetijo in razvedrijo: na primer, ko enainsedemdeset-letni gospod, ki se je že petkrat kandidiral na volitvah, opiše svojega dvajset let mlajšega nasprotnika kot predstavnika starega dela italijanske politike. Ali, še boljši primer, potem ko je kitajska voj-ska s krvjo potlačila upor v Tibetu pred očmi celega sveta, se je predstavnik ki-tajske vlade pokazal pred istimi očmi in si prizadeval razvoj miru in bratstva. Gotovo, upor se je vršil v posebnem slučaju: vžig olimpijske bakle. Malo retorike, v teh slučajih, je vedno kori-stno. Vsekakor vtis paradoksa ostaja, če ne celo predrznosti Kitajske do mej sprejemljivosti. Morda, prav zaradi teh pripetljajev, olimpijske igre so izgubi-le del svoje očarljivosti. Naj bo vsem jasno: nisem sanjač, temveč prepričan sem, da so od vsega začetka bile igre le gledališki prizor, za katerega se potroši milijone denarja. A za mnogo ljudi Olimpijade so imele poseben pomen; okoli bakle so se združila upanja v boljši svet in veliko sporočil bratstva. Dogod-ki v Tibetu in položaj kitajske vlade so dokončno poteptali to simbologijo miru in bratstva. Vse to je storil Beijing, me-sto, ki je moralo biti v poletnih mesecih ‘luč sveta’. Maska je torej odstranjena, vse kar ostane je le sivo ozadje: ozadje, ki je napoljneno z interesi, geopolitike in ekonomije. Prav zaradi tega, oseb-no, nisem videl vse te manifestacije, ki so potekale v raznih mestih sveta proti vžigu bakle, kot atentat na svečanost dogodka. Če pomen Olimpijad je izgi-nil, prav iz rok tistih, ki so ga morali spodbuditi, ne vidim razloga zakaj lju-

dje ne bi smeli nasprotovati igram.Vse to rečeno, treba dodati, da manife-stacije, čeprav so legitimne, so zgrešile namen. Bakla je sama pri sebi nevtra-len simbol; pravzaprav je za nekatere še vedno nosilec tistih vrednot, ki sem jih prej naštel. Razumem tudi, da prehod bakle skozi mesta, nudi možnost vidlji-vosti tistim, ki nasprotujejo represivni politiki Kitajske. Zaradi tega prav v teh dneh je potekala razprava, če boj-kotirati Olimpijske igre ali ne. Problem raznih vlad sveta je precej težaven; evropske države imajo zavezane roke pred Kitajsko, ki je sedaj že poglavi-ten gospodarski in politični partner za Zahod. Razumljivo je torej, da večina vladarjev zahodnih držav prikloni glavo pred azijskem zmajem. Večina, čeprav ne vsi, kajti francoski predsednik Sar-kozy je že predlagal bojkot, medtem ko Brown, po začetnem obotavljanju, se je dokončno odločil, da se ne bo udeležil otvoritve iger. Poleg vsega, Evropa se prebuja: Namen francoskega predsed-nika je sodelovanje na igrah, samo pod pogojem, da Beijing začne dvogovor z Dalai Lamo. Novica zadnjih ur potrdi, da tudi ameriški kongres, ob slučaju obiska Dalai Lame v ZDA, je volil re-zolucijo, ki obtožuje kitajsko represijo in povabi strani k dvogovoru. To je vse tisto, kar lahko stori diplomacija zahod-nih držav. Izbira je lažja za privatnike in predvsem za športnike, saj gre za osebno izbiro; a po mojem mnenju, mislim da bi olim-pijski nacionalni odbori storili napako, če ne bi poslali njihove športnike v Bei-jing, ker to naj bi bila še edina možnost, da Olimpijada ostane praznik športa.

Vseeno pa mislim, da bojkot iger ni prava možnost. Marveč, morda, bi ki-tajski vladi celo koristilo: kajti Kitaj-ska bi imela veliko manj skrbi, saj ne bi bilo športnikov, ki bi lahko manife-stiralo pred milijone gledalcev. In to je prav tisto kar bi bilo treba narediti: tisti športniki, ki nosijo zastavo zahodnih držav bi morali protestirati; prav bi bilo, če vsak športnik iz Evrope in Amerike, na podstavku vzdigne zastavo Tibeta ali napis, ki obtožuje kitajsko represijo. Izkoristiti je treba vidljivost, ki nam nu-dijo olimpijske igre ter računati, da Ki-tajski ne bo mogoče cenzurirati vse slike tekem. Tako protest bo bil res pred očmi celega sveta in bo imel večjo moč kot pa sedaj z manifestacijami proti olimpi-jski bakli. Na tak način svečanost se bo vrnila in igre bodo pridobile sporočilo bratstva. Nosilci tega sporočila bodo se-veda bili v tem slučaju sami športniki. Če pa nihče od njih ne bo tega storil, igre bodo gotovo poraz in mi iz zahoda se ne bomo morali več bahati, da smo branitelji svobode.

Giovanni Collot

Giuliano Ferrara in stranka ‘Za Življenje’

Razprava o splavu iz vidika dvajset letne mladenke

...Strani II