Sconfinare numero 19 - maggio 2009

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COPIA GRATUITA Numero 19 - Maggio 2009 www.sconfinare.net Continua a pagina 4 Direttrice: Annalisa Turel redazione@sconfinare.net Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione L’editoriale Volontari a Piazza D’Armi Centinaia di giovani sono accorsi in aiuto alla popolazione abruzzese colpita dal terremoto Mr. Barack Obama Continua a pagina 3 Ti dicono che loro credono nell’Europa. Che per loro è il futuro, l’unica via percorribile. Che è importante creare una mentalità comune. E allora, tu ti fai convincere: andiamo in Erasmus, ci accoglieranno a braccia aperte! Poi, apri gli occhi: burocrazia interminabile, documenti che non ci sono, moduli fantasma, problemi con il sito internet. Per non parlare degli esami: non sappiamo quali saranno disponibili anche l’anno prossimo, non sappiamo che codice avranno, nonsappiamon onsappiamononsappiamo. “In ogni caso, non credo di poterle riconoscere l’esame. Cosa mi dice che lei ha imparato veramente la materia? Insomma, mi capisca”. Professori, a parte qualche rara, felice eccezione, che non si fanno trovare, che non ti rispondono alle mail, che “sono in viaggio per ricerca, torneranno il 14” (quando tu il Learning Agreement lo devi assolutamente portare entro il 15). “Mi scusi, ma cerchi di capirmi: sa, gli impegni accademici …”. Per carità, tu puoi anche capire. Ma queste cose ti fanno passare la voglia di andarci, in Erasmus. Ma cosa resta di Bologna? Delle direttive europee? Degli ideali tanto sbandierati, dell’”Unione di popoli e culture diversi”? Solo belle parole, parrebbe. Basta vedere Loro. Loro ci credono nell’Europa. Per Loro è importante, Loro sono tutti europeisti. Però, aspettate un attimo: non vorrete chiederci di cedere sovranità? Non vorrete mica chiederci di essere concordi in politica estera? Va bene l’identità condivisa, ma parliamone. E poi, cercate di capire, c’è la crisi, dobbiamo prima di tutto guardare a noi stessi, alla salvaguardia della nostra economia. E, in mezzo a tutto ciò, la ciliegina sulla torta: le elezioni europee! Che grande esempio di democrazia, che bello dare a tutti i popoli europei dei loro rappresentanti, che discutano alla pari di problemi di tutti! Poi guardi bene, e trovi tra i candidati scelti da Loro per questo importantissimo e onorevolissimo compito principalmente Elefanti e Veline. Per carità, tu puoi anche sforzarti di capire. Però ti arrabbi lo stesso. Perché tu, a differenza di Loro, ci credi veramente nell’Europa. Giovanni Collot giovanni.collot@sconfinare.net “Ho lasciato il mio cuore in Piazza D’armi”. È la frase più ricorrente negli scambi di opinioni tra i volontari al ritorno da una settimana di servizio all’Aquila, nella tendopoli costruita sul campo sportivo alla periferia della città. Arrivare nell’accampamento è stata una sensazione piuttosto destabilizzante. Lo scenario che si presenta è una distesa di tendoni blu, che ospitano 2.500 persone rimaste senza casa. Le tende tutte allineate in modo regolare, con passerelle di passaggio tra una fila e l’altra, posate a terra su uno strato di ghiaia nel tentativo di combattere l’onnipresente fango. Una zona della tendopoli ospita tutte le strutture adibite a bagni e docce, mentre i più comuni bagni chimici invadono tutto il perimetro del campo, in modo da essere facilmente accessibili. Subito all’entrata la sede della protezione civile, la croce rossa, i medici di famiglia e gli psicologi, le cucine, le due enormi mense e le forze dell’ordine. Sembrava tutto anonimo, grigio, spento. Solo vivendo qualche giorno insieme ai terremotati il paesaggio lentamente si è animato e ha acquisito una umanità, un colore, un calore che è davvero difficile descrivere in un breve articolo. A Piazza d’Armi c’è sempre qualche cosa da fare. Le giornate scorrono veloci, ai ritmi dei servizi della giornata. Noi dell’UNITALSI ci occupavamo Dall’1 al 4 aprile scorsi ho avuto la possibilità, in qualità di delegato italiano a livello studentesco (tramite l’associazione studentesca YATA Gorizia), di partecipare al Summit giovanile della NATO a Strasburgo, dal titolo “NATO in 2020: What lies ahead?”. Di tutti i prestigiosi incontri organizzati dalla stessa NATO, e di tutte le discussioni affrontate, vorrei soffermarmi su un incontro molto particolare, che a lungo mi rimarrà impresso nella mente. E’ certamente l’incontro con Barack Obama infatti, alle 13.45 di venerdì 3 aprile, a rappresentare l’evento key, un appuntamento imperdibile direi quasi con la storia, considerando che è stato il primo discorso pubblico in Europa da quando è presidente degli USA. Un’emozione veramente inattesa, nascosta, che è cresciuta con il passare delle ore: siamo seduti nei vari settori della Rhenus Sport Arena di Strasburgo, in trepida attesa, già un’ora e mezza prima del previsto inizio. L’atmosfera di festa è innegabile, e sono certamente i ragazzi europei i più coinvolti; tanti seguirono la lunga notte del 4 novembre,e poterlo vedere dal vivo, in Europa sottolineo ancora, è un privilegio di pochi. Gli stessi alti vertici di numerose istituzioni europee sono in fibrillazione. Jamie Shea (Direttore della pianificazione della politica nell’ufficio privato del Segretario Generale della NATO, insomma non l’ultimo dei passanti) è seduto davanti a me e alla mia amica polacca Iwona, e poco prima dell’inizio del discorso ci chiede: “Are you going to scream? Me for sure!”. E infatti eccolo gridare come un adolescente appena lo speaker a chiare lettere annuncia: “Mr. President of the USA, with his wife Michelle, has arrived into the arena!”. Tra grida, urla, cori e applausi scroscianti, sembra veramente una sorta di totem, un qualcuno su cui tutti fanno affidamento per risolvere i problemi di un mondo quasi derelitto e per tanti aspetti già al collasso. E lui parla, stringe i pugni, guarda la platea; è un perfetto esempio di comunicazione, riesce a far passare una grande quantità di informazioni in poco tempo e soprattutto in maniera efficace. Se consideriamo la televisione come un filtro insuperabile, oltre il quale vediamo solo quello che appare e non quello che è, si comprende con facilità quale impatto possa avere Obama sulle masse che ha davanti. Notevole e scenografico, coinvolgente e appassionato, non si sofferma tanto sui problemi (la crisi economica, il cambiamento climatico, il dialogo tra culture e popoli, l’attuale importanza della NATO, la riduzione degli dei disabili e di tutte quelle persone che non potevano muoversi dalla tenda per andare alla mensa, al bagno, a fare il bucato, a prendere qualche indumento o qualche prodotto per l’igiene personale. Tre volte al giorno passavamo tra le tende per portare i pasti, con il nostro pesante carrello carico di cibo, un terribile ombrellone arancione da spiaggia di dubbia utilità e il solito ritornello che riecheggiava nell’aria fredda e piovosa dell’Aquila: «Signori, siamo quelli del pranzo!». Le prime volte che si aprivano i laccetti delle tende i volti delle persone erano un po’ diffidenti, ma dopo qualche giorno il nostro passaggio è diventato routine. Qualche signora ci aspettava già sulla soglia, pronta a scambiare due chiacchiere e farsi una risata.

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Direttrice: Annalisa Turel [email protected] Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione Continua a pagina 3 Continua a pagina 4 Giovanni Collot [email protected] lo stesso. Perché tu, a differenza di Loro, ci credi veramente nell’Europa.

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COPIA GRATUITANumero 19 - Maggio 2009 www.sconfinare.net

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Direttrice: Annalisa [email protected]

Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione

L’editorialeVolontari a Piazza D’Armi

Centinaia di giovani sono accorsi in aiuto alla popolazione abruzzese colpita dal terremoto

Mr. Barack Obama

Continua a pagina 3

Ti dicono che loro credono nell’Europa. Che per loro è il futuro, l’unica via percorribile. Che è importante creare una mentalità comune. E allora, tu ti fai convincere: andiamo in Erasmus, ci accoglieranno a braccia aperte! Poi, apri gli occhi: burocrazia interminabile, documenti che non ci sono, moduli fantasma, problemi con il sito internet. Per non parlare degli esami: non sappiamo quali saranno disponibili anche l’anno prossimo, non sappiamo che codice avranno, nonsappiamononsappiamononsappiamo. “In ogni caso, non credo di poterle riconoscere l’esame. Cosa mi dice che lei ha imparato veramente la materia? Insomma, mi capisca”. Professori, a parte qualche rara, felice eccezione, che non si fanno trovare, che non ti rispondono alle mail, che “sono in viaggio per ricerca, torneranno il 14” (quando tu il Learning Agreement lo devi assolutamente portare entro il 15). “Mi scusi, ma cerchi di capirmi: sa, gli impegni accademici …”. Per carità, tu puoi anche capire. Ma queste cose ti fanno passare la voglia di andarci, in Erasmus. Ma cosa resta di Bologna? Delle direttive europee? Degli ideali tanto sbandierati, dell’”Unione di popoli e culture diversi”? Solo belle parole, parrebbe. Basta vedere Loro. Loro ci credono nell’Europa. Per Loro è importante, Loro sono tutti europeisti. Però, aspettate un attimo: non vorrete chiederci di cedere sovranità? Non vorrete mica chiederci di essere concordi in politica estera? Va bene l’identità condivisa, ma parliamone. E poi, cercate di capire, c’è la crisi, dobbiamo prima di tutto guardare a noi stessi, alla salvaguardia della nostra economia. E, in mezzo a tutto ciò, la ciliegina sulla torta: le elezioni europee! Che grande esempio di democrazia, che bello dare a tutti i popoli europei dei loro rappresentanti, che discutano alla pari di problemi di tutti! Poi guardi bene, e trovi tra i candidati scelti da Loro per questo importantissimo e onorevolissimo compito principalmente Elefanti e Veline. Per carità, tu puoi anche sforzarti di capire. Però ti arrabbi lo stesso. Perché tu, a differenza di Loro, ci credi veramente nell’Europa.

Giovanni [email protected]

“Ho lasciato il mio cuore in Piazza D’armi”. È la frase più ricorrente negli scambi di opinioni tra i volontari al ritorno da una settimana di servizio all’Aquila, nella tendopoli costruita sul campo sportivo alla periferia della città. Arrivare nell’accampamento è stata una sensazione piuttosto destabilizzante. Lo scenario che si presenta è una distesa di tendoni blu, che ospitano 2.500 persone rimaste senza casa. Le tende tutte allineate in modo regolare, con passerelle di passaggio tra una fila e l’altra, posate a terra su uno strato di ghiaia nel tentativo di combattere l’onnipresente fango. Una zona della tendopoli ospita tutte le strutture adibite a bagni e docce, mentre i più comuni bagni chimici invadono tutto il perimetro del campo, in modo da essere facilmente accessibili. Subito all’entrata la

sede della protezione civile, la croce rossa, i medici di famiglia e gli psicologi, le cucine, le due enormi mense e le forze dell’ordine. Sembrava tutto anonimo, grigio, spento. Solo vivendo qualche giorno insieme ai terremotati il paesaggio lentamente si è animato e ha

acquisito una umanità, un colore, un calore che è davvero difficile descrivere in un breve articolo.A Piazza d’Armi c’è sempre qualche cosa da fare. Le giornate scorrono veloci, ai ritmi dei servizi della giornata. Noi dell’UNITALSI ci occupavamo

Dall’1 al 4 aprile scorsi ho avuto la possibilità, in qualità di delegato italiano a livello studentesco (tramite l’associazione studentesca YATA Gorizia), di partecipare al Summit giovanile della NATO a

Strasburgo, dal titolo “ N A T O in 2020: What lies a h e a d ? ” . Di tutti i prestigiosi i n c o n t r i organizzati dalla stessa NATO, e di tutte le discussioni affrontate, v o r r e i

soffermarmi su un incontro molto particolare, che a lungo mi rimarrà impresso nella mente.E’ certamente l’incontro con Barack Obama infatti, alle 13.45 di venerdì 3 aprile, a rappresentare l’evento key, un appuntamento imperdibile direi quasi con la storia, considerando che è stato il primo discorso pubblico in Europa da quando è presidente degli USA. Un’emozione veramente inattesa, nascosta, che è cresciuta con

il passare delle ore: siamo seduti nei vari settori della Rhenus Sport Arena di Strasburgo, in trepida attesa, già un’ora e mezza prima del previsto inizio. L’atmosfera di festa è innegabile, e sono certamente i ragazzi europei i più coinvolti; tanti seguirono la lunga notte del 4 novembre,e poterlo vedere dal vivo, in Europa sottolineo ancora, è un privilegio di pochi. Gli stessi alti vertici di numerose istituzioni europee sono in fibrillazione. Jamie Shea (Direttore della pianificazione della politica nell’ufficio privato del Segretario Generale della NATO, insomma non l’ultimo dei passanti) è seduto davanti a me e alla mia amica polacca Iwona, e poco prima dell’inizio del discorso ci chiede: “Are you going to scream? Me for sure!”. E infatti eccolo gridare come un adolescente appena lo speaker a chiare lettere annuncia: “Mr. President of the USA, with his wife Michelle, has arrived into the arena!”. Tra grida, urla, cori e applausi scroscianti, sembra

veramente una sorta di totem, un qualcuno su cui tutti fanno affidamento per risolvere i problemi di un mondo quasi derelitto e per tanti aspetti già al collasso. E lui parla, stringe i pugni, guardala platea; è un perfetto esempio di comunicazione, riesce a far passare una grande quantità di informazioni in poco tempo e soprattutto in maniera efficace. Se consideriamo la televisione come un filtro insuperabile, oltre il quale vediamo solo quello che appare e non quello che è, si comprende con facilità quale impatto possa avere Obama sulle masse che ha davanti. Notevole e scenografico, coinvolgente e appassionato, non si sofferma tanto sui problemi (la crisi economica, il cambiamento climatico, il dialogo tra culture e popoli, l’attuale importanza della NATO, la riduzione degli

dei disabili e di tutte quelle persone che non potevano muoversi dalla tenda per andare alla mensa, al bagno, a fare il bucato, a prendere qualche indumento o qualche prodotto per l’igiene personale. Tre volte al giorno passavamo tra le tende per portare i pasti, con il nostro pesante carrello carico di cibo, un terribile ombrellone arancione da spiaggia di dubbia utilità e il solito ritornello che riecheggiava nell’aria fredda e piovosa dell’Aquila: «Signori, siamo quelli del pranzo!». Le prime volte che si aprivano i laccetti delle tende i volti delle persone erano un po’ diffidenti, ma dopo qualche giorno il nostro passaggio è diventato routine. Qualche signora ci aspettava già sulla soglia, pronta a scambiare due chiacchiere e farsi una risata.

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Sconfinare Maggio 20092

Lenin, patria e gasIl patriottismo nella Madre Russia

Da buon stu-dente di rela-zioni interna-zionali, durante il mese in Rus-sia non ho sa-puto resistere alla tentazione di discutere delle vicende che affliggono la Russia: della “guerra e pace” con la Georgia, del rappor-to UE-Russia ma soprattutto della questione democratica. È stato un dia-logo molto in-teressante, sia perché privo delle distorsio-ni e semplifi-cazioni a cui i mass media ci hanno ormai

abituato, sia perché la maggior parte dei ra-gazzi russi che abbiamo conosciuto avevano già fatto numerosi viaggi in Europa e cono-scevano la realtà delle democrazie occidenta-li (e conoscevano quindi anche ciò che i me-dia “ufficiali” russi tacciono o distorcono).Storicamente la Russia non ha mai cono-sciuto una vera democrazia, perché è passata dall’assolutismo degli Zar al totalitarismo del regime comunista. Quello che accomuna queste due realtà apparentemente così diver-se è l’idea imperiale, un’idea da sempre par-te integrante della cultura russa: idea d’altra

parte evidentemente inconciliabile con una cultura democratica.Se vogliamo considerare quello di Putin un governo autoritario, allora bisogna conclude-re che la Russia ha vissuto solo 10 anni di democrazia, durante gli anni ‘90. Bene, per la Russia e soprattutto per i russi gli anni ‘90 sono stati gli anni peggiori negli ultimi 2 secoli: molti hanno conosciuto la fame, an-che fra i genitori dei nostri amici russi, e la Russia ha perso ogni influenza a livello inter-nazionale. È certamente una semplificazione eccessiva dire che la colpa di tutto ciò sia da attribuire alla democrazia (nominale) di que-gli anni, però certamente questa è l’impres-sione più diffusa in Russia.Parlando con i ragazzi russi, la sensazione che ho avuto è che il popolo russo abbia una scala di valori molto diversa da quella occi-dentale: il valore e fine ultimo non è la liber-tà, ma piuttosto la stabilità. Tutti i russi sono coscienti che il loro paese è estremamente fragile e che un potere centrale forte è ne-cessario per evitare che l’unità statale crolli come un castello di carte; questa convinzione è parte integrante della cultura russa ed ha ori-gine fin dal XVI secolo, con Pietro il Grande, non è certamente un invenzione di Putin per accrescere il proprio consenso. Questo punto è spesso omesso in Occidente: si ha infatti l’impressione che la popolazione russa sia totalmente asservita, che non osi esprimere il proprio dissenso solo per paura. In verità, c’è molto di più dietro il larghissimo consenso di cui gode Putin: non solo ignoranza e paura, ma anche tradizioni culturali e sentimenti di-verse dalle nostre. Anche questo è multicul-turalismo, fuori dai soliti cliché.

Federico [email protected]

La democrazia estranea

«Sorvegliante, sorvegliante, portinaio, attacchino, sorvegliante, spazzino, spazzino…». Ogni mattina, sulla scalinata del palaz-zo del Comune, un impiegato magrolino distribuisce alla fila di disoccupati le cedole con le offerte di lavoro. Accadeva nella Roma anni ‘50 di “Ladri di biciclette”, ma una scena simile me la sono immaginata spesso girando per le strade di Mosca.La Russia è una grande agenzia di collocamento. La filoso-fia sovietica in materia di occupazione, “un poco a ciascuno”, sembra tutt’altro che tramontata. Ognuno riceve di che vivere in cambio di un lavoretto semplice e ripetitivo. Davanti all’ingresso dell’MGIMO, i figli d’oligarca fumano sorridenti; tra le gambe e i tacchi a spillo delle ragazze zigzaga impacciato ma preciso un piccolo spazzino a raccogliere le cic-che ancora fumanti. Poco più in là, nel parcheggio, un ometto tagiko dipinge di bianco chilometri di cordoli dei marciapiedi con un pennellino. A ogni ingresso (centrale, studentato, sport-center, parcheggi) uno o due portinai passano la giornata in attesa di un “buongiorno”.Appena la neve si è sciolta, squadre di giardinieri hanno pian-tato migliaia di tulipani lungo i viali della città. Un esercito – di trattorini, motozappe, innaffiatoi e, soprattutto, uomini – aiuta la primavera a sbocciare.Le stazioni della metro sono percorse in lungo e in largo da spazzini che, piegati su una scopetta di 80 centimetri e senza manico, raccolgono le cartacce. Alla fine di ogni scala mobile lunga, una signora osserva attraverso uno schermo i gradini scorrere, ondeggiare, rabbuiarsi e si appisola in uno sbadiglio.Tutti hanno un’occupazione, ognuno è incasellato in un siste-ma sperimentato di ordine apparente. Mosca è pulita, rinnovata dopo il lungo letargo invernale, quanto mai sorvegliata. Ma che prezzo ha la noia?

F.M.

L’ambiente plasma chi lo abita. Come sono i russi?«Vi piace? Questo è il quartiere ecologico di Mosca», ci ha spiegato un’amica russa. Abbiamo fatto fatica a credere alle nostre orecchie, coi polmoni intasati dalle marmitte sovietiche delle Lada incolonnate nel traffico; lo scioglimento della neve ha lasciato fango nero nei giardini. All’improvviso, però i tronchi ar-gentati delle betulle hanno smesso di mimetizzarsi nel grigiore dei palazzoni: in tre giorni il verde ha inon-dato la zona. Dopo il lungo letargo invernale, sboccia inaspettata una primaverestate breve e iperattiva. Così sono i russi: compiono grandi imprese in poco tempo; guerre, rivoluzioni, opere pubbliche, coppa del mondo di hockey sul ghiaccio. Dirompenti, ma solo all’ulti-mo momento.La temperatura delle case russe durante l’inverno e quella dell’acqua che scorre dai rubinetti le decide il Cremlino. Pochi russi capivano il nostro stupore di fronte ai grossi termosifoni in ghisa senza valvola di regolazione, saldati direttamente all’impianto. Un unico, mitico rubinetto di quartiere accende la caldaia in autunno e la spegne definitivamente in primavera dopo una settimana di minima notturna di 8°C. Con gli sprechi prodotti da questo sistema centralizza-to, la Russia potrebbe soddisfare il fabbisogno di gas della Germania per un anno intero; ma nessuno pare preoccuparsene, anche in tempi in cui gli storici giaci-menti sovietici stanno esaurendosi e cercarne di nuovi si fa costoso. I russi cercano stabilità e amano sentire la mano forte dello Stato che li protegge.

Francesco [email protected]

Madre di una religione, di una cultura, di un modo di pensare e di agire diverso da quello di tutti gli altri, a mezza via tra il raziona-lismo tedesco e il fatalismo asiatico, tra le raffinatezze dei francesi e la barbarie degli unni. Il russo si sente diverso da tutti e nella maggior parte dei casi e’ fiero di esserlo, nel bene e nel male. Il 9/05 e’ la “Festa della Vittoria” della Grande Guerra Patriottica. Grandi manifestazioni di piazza, sfilate di carri armati, missili e aerei fanno gonfiare il petto dei russi, che per l’occasione indossa-no un nastrino nero-arancio, simbolo della loro vittoria sullo straniero oppressore. Ho osservato tutto cio’ con scetticismo e, lo confesso, con un po’ di puzza sotto il naso. Pensavo a quanto fosse eccessivo e trabor-dante un tale sciovinismo, quanto fosse im-bottito di retorica, a come regimi diversi e distanti si servano degli stessi simboli allo stesso modo e per gli stessi fini. Ho capi-to che per noi italiani è difficilmente com-prensibile un patriottismo di questo tipo, un patriottismo che autocelebra la propria diversità e superiorità: storicamente siamo a lungo stati alla mercè di eserciti stranieri, influenzati da culture, lingue, tradizioni di-verse, per cui nessuno di noi ha mai avuto bisogno di celebrare la patria, di sentirsi più forte e superiore agli altri: non lo siamo e non ci interessa esserlo (e le guerre condotte dal fascismo lo dimostrano, lo stesso Musso-lini disse che per mandarli a combattere, gli italiani bisogna prenderli a “calci nel culo”), convinti che nessuno in fondo sia superio-re a nessun altro. Ma per arrivare a questo punto abbiamo dovuto vivere insieme per decine di secoli, tra invasioni, vittorie, sconfitte, saccheggi e via dicendo, arrivan-do alla conclusione che ciò che conta sotto

tutti i punti di vista è la pace. Viceversa in Russia, da Vladivostok a San Pietro-burgo, esiste un solo paese: forte, grande, unito, che non ha bisogno di nient’altro e di nessun altro. Quello che in sostanza di-vide i russi è l’età: chi non ha vissuto i tempi sovietici vive diversa-mente la gran-de festa da chi invece ha perso qualche parente stret-to sul fronte (sono morti 26 milioni di russi...) e per questo la festa ha svolgimenti diversi a seconda che si svolga al Parco del-la Vittoria (dove I veterani sfilano come se fossero calciatori in Italia), al Gorkij Park, dove si svolge la festa “per i giovani” o alla Piazza Rossa, dove I giovani salutano I ve-terani, ricevendone idealmente il testimone, affinchè il vessilo bianco-blu-rosso sventoli ancora alto sui cieli d’Asia e d’Europa.

Edoardo Da [email protected]

Impressioni di un viaggio (Max 400 parole). Il volo Lufthan-sa. Pro: hostess cordiali e arrivo in anticipo. Contro: il panino al burro e un bambino indisciplinato. Ogni volta che mi ad-dormento mi viene a svegliare. L’arrivo in aeroporto. Pro: il controllo del passaporto, se sei cittadino europeo. Contro: il controllo del passaporto, se sei Moldavo. Passiamo mezz’ora a guardare il passaporto fermo sul tavolo. Le strade di Mosca. Pro: sono pulite e hanno piantato i tulipani. Contro: non ne è ancora sbocciato uno e soffochiamo dallo smog. In macchina per Mosca. Pro: viaggi con l’amica di Britney Spears. Con-tro: la guida è quella di Fast and furious. Speriamo di arri-vare interi a destinazione. Le strisce pedonali. Pro: si chia-mano zebra come da noi. Contro: aiutano l´automobilista ad individuare meglio il pedone bersaglio. La temperatura. Pro: non fa freddo. Contro: moriamo di caldo. Impossibile chiude-re il riscaldamento centralizzato di quartiere. Lo studentato. Pro: dopo un mese il guardiano ci riconosce. Contro: dopo un mese il prezzo per un ospite a cena è di 200 rubli. Li intasca la guardia all’ingresso. Per i corridoi dell’università. Pro: hanno scritto il nome delle vie e l’indicazione dell’uscita. C’è qual-che speranza di non perdersi nel labirinto. Contro: i gradini si rimpiccioliscono man mano che scendi le scale. Meglio non farle ad occhi chiusi. La metro di Mosca. Pro: bella e potente. Contro: se rimani chiuso in mezzo alle porte. Non c’è possi-bilità di uscirne. La vodka russa. Pro: è profumata e aiuta a socializzare. Contro: non fa effetto dopo 2 etti di pasta scotta. Le giornate di Mosca. Pro: il sole non tramonta mai. Contro: la città non dorme mai. Un mese a Mosca. Pro: ti innamori lentamente. Contro: le contraddizioni ti hanno ammaliato. Ci dovrai ritornare.

Margherita [email protected]

Mosca, pro e contro Umori ecologici Malpagati e contenti

Le impressioni di cinque studenti SID dopo un mese trascorso all’università MGIMO di Mosca

Internazionale

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SconfinareMaggio 2009 3InternazionaleMr. Barack Obama

Un vorticante ciclone di emozioni e sensazioni, prima della politica

Ecuador: il “Piccolo Andino”Un quadro politico - economico...Sconfinati...

arsenali nucleari fino al raggiungimento di un mondo senza armi nucleari – e qui la folla europea esulta), che tutti conoscono, ma utilizza la sua mirabile oratoria per proporre soluzioni concrete e auspicabilmente veloci, e soprattutto coinvolgere quasi personalmente ogni singolo interlocutore. E apparentemente ci riesce: non sembra certo l’uomo più potente del mondo se lo si sente parlare, sembra un buon insegnante che colma le lacune degli studenti e vanifica i dubbi, con frasi ben costruite e mirate. E sembra che noi abbiamo tanto da imparare, ben disposti a saldare i nostri “debiti formativi”. Certo, si tratta sempre della percezione dell’uomo Obama: lui colpisce al cuore, non lascia scampo, non fa giri di parole, l’arte del compromesso e della diplomazia passano in secondo piano. Non c’è dubbio, è quello che la gente vuole, e gli applausi lo confermano. Quando poi Obama passa a considerare i rapporti tra Europa e America l’atmosfera diventa quasi intima: è necessario abbandonare i luoghi comuni e i tempi in cui ci si accusava a vicenda: è l’ora del cambiamento, della comprensione, del dialogo, ma soprattutto della collaborazione, del fare e dello stare

insieme, Europa e America unite, da subito e senza paure reciproche. La folla esulta, è così lontana l’epoca Bush e il suo carico di arroganza!Dopo neppure mezz’ora di discorso, è Obama stesso a chiedere che siano fatte delle domande: le mani si alzano come saette per tentare di farsi vedere nel marasma. Tra le risate generali, specifica che potranno fare domande solo i non-americani, per dare spazio “ai nostri amici europei”! L’ultima domanda, giudicata stupida da qualcuno, io la ritengo di estremo interesse invece, anche se è sul piano personale: “Ha mai pensato, Mr. President, di lasciare la campagna elettorale e la corsa presidenziale? Ha mai avuto dubbi sulla effettiva realizzabilità dei suoi progetti, durante il suo mandato?”. Il 44th US president articola la sua riposta intorno a tre centri principali. Il primo è costituito dalla famiglia, che rappresenta per Obama un aggancio insostituibile, un appoggio incondizionato che gli ha consentito di portare avanti la sua campagna elettorale per quasi due anni, sempre lontano da casa, dalla solida Michelle e dalle amate figliolette, con le quali si scusa per le lunghe assenze. Ma sono proprio loro, dice Obama, ad avergli dato la forza per proseguire ed intensificare la sua opera. E qui si aggancia al

secondo centro, quello della responsabilità, sull’intero popolo americano e in senso lato su quelli del mondo. “We’ve just emerged from an era marked by irresponsibility”, “It’s a revolutionary world we live in” sono due frasi a proposito, che accendono la platea e di nuovo coinvolgono noi 4000 studenti selezionati come se fossimo il potenziale futuro, il ricambio generazionale per questo mondo stanco e da rinnovare. E il terzo centro, strettamente legato a questo secondo, è incentrato proprio sulle potenzialità di ognuno di noi, che Obama scava ed esalta. Per lui non ci sono differenza di alcun tipo, non esistono lobbies o partiti, razze o religioni; tutti abbiamo l’identica responsabilità nei confronti del mondo, che solo grazie al personale coinvolgimento di ogni singolo individuo può cambiare. E su questo insiste: “You, your young generation, have the possibility, at the end of your lives, to look back at the past and evaluate what has changed; you, you will be able to say..Yes! I made the difference”. Queste parole, sentite dal vivo da Obama, ci scuotono come canne al vento, danno l’incredibile impressione che tutto quello che abbiamo visto e sentito è reale, che veramente “Yes, we can!”. Tra la folla in festa, applausi scroscianti e centinaia di flash Obama, accompagnato

da Michelle, ci lascia. Il fatto che si sia fermato 20 minuti in più per rispondere alla domande di noi ragazzi conferma quanto la “new era of responsibility” gli stia a cuore. Ancora seduti nel nostro settore, in attesa dell’uscita, guardiamo video e foto appena fatti. Il presidente dell’Atlantic Treaty Association nonché rispettato membro del Bundestag, l’Amb. Karl Lamers, si avvicina a Jamie Shea ed esclama: “It’s wonderful!”. “Ti è piaciuto il discorso?” replica il n°4 della NATO. “No, not the speech! I have the pictures!!” risponde l’ambasciatore con un sorriso giulivo. Forse questa è la dimostrazione più tangibile di quanto sia stato importante l’arrivo di Obama in Europa, e ancora non realizzo l’incredibile fortuna di avere assistito personalmente al suo primo discorso pubblico qui nel Vecchio Continente. Rimane la consapevolezza di ciò e la certezza che di strada da fare ce n’è molta. Ma il sentimento di ricchezza interiore che ha lasciato in noi quest’ora di discorso è sufficiente per pensare che, con Obama, è rinata la speranza e tutti possiamo avere un ruolo nella creazione di un mondo pacifico ed egalitario. Grazie Barack.

Andrea Filippo [email protected]

Segue dalla prima pagina

Negli ultimi quattro mesi l’Ecuador è stato segnato da una forte campagna elettorale che ha portato alle elezioni generali del 26 aprile scorso dalle quali il Presidente in forza Rafael Correa è risultato vincitore già al primo turno, con una maggioranza del 52 % circa. Il risultato era aspettato e rappresenta la conferma da parte dell’Ecuador di voler aspirare a un progresso nazionale e a un nuovo peso internazionale.La vittoria di Correa è il simbolo di una nuova speranza per la popolazione ecuadoriana che ha visto effettuato negli ultimi dieci anni un cambiamento drastico della società ed ha vissuto in un clima di instabilità politica, segnato dalla fuga del presidente Lucio Gutierrez (2003-2005) e dalla Presidenza di transazione di Palacios, dal quale gabinetto è spiccata la figura dell’allora ministro dell’economia, Rafael Correa. Il personalismo con cui Correa ha portato avanti la sua politica è molto forte ma rappresenta bene la volontà del paese di un cambiamento, che al momento nessun altro dei sette aspiranti al Palazzo di Carondelet poteva impersonare. Il presidente deve infatti racchiudere in sé tutti gli elementi costitutivi di un piccolo Paese, ricco però di differenze abissali e di tradizioni contrastanti. Deve ovvero racchiudere l’anima delle tre grandi aree geografiche del paese: la Costa, la Sierra (la parte andina) e l’Amazzonia, quindi i movimenti indigeni e le loro tradizioni. Il Paese ha dovuto far fronte negli ultimi dieci anni a problemi sempre più crescenti, dovuti anche ad una nuova esposizione in ambito internazionale. Oltre alla perdita di una politica monetaria propria, attraverso

l’abbandono della moneta nazionale in favore del dollaro americano, il Paese ha dovuto far fronte a problemi sempre più frequenti di narcotraffico provenienti dalla Colombia, tutt’oggi esistenti; a una spinta emigratoria molto forte verso le tre principali destinazioni: Stati Uniti, Spagna ed Italia; a uno sfruttamento ineguale delle ricchezze del Paese, quali petrolio, oro ed argento, ma soprattutto acqua (essendo l’Ecuador il Paese con più alto numero di falde acquifere); ad una crescente violenza, soprattutto urbana, aumentata fin al punto da rendere Quito una delle capitali più a rischio dell’America Latina; a livelli di analfabetismo ancora molto alti, dovuti soprattutto a un sistema educativo che fino a poco tempo fa non prevedeva la gratuità delle scuole elementari; all’assenza, infine, di un’educazione basica sui temi di sessualità, fecondazione e contraccezione, che implicano ancora un forte tasso di natalità, ma anche problemi di incesti, disabilità, malattie veneree e altro. Non tutto è oro ciò che luccica, innegabile, ma non bisogna neanche dimenticare

che alcuni passi fondamentali sono stati fatti. Negli ultimi dieci anni si è progressivamente andata estinguendo la proprietà latifondiaria in favore di piccoli contadini che nel sistema delle grandi proprietà erano ridotti a schiavismo. Inoltre, la conversione di massa a l l ’evange l i smo

operata da missionari statunitensi, soprattutto nella parte andina del Paese, ha risolto indirettamente non pochi problemi di alcoolismo e di tabagismo. Infine, l’affacciarsi sui mercati internazionali da parte dei prodotti ecuadoriani e la stabilità derivante dal dollaro hanno dato una marcia in più all’economia nazionale, basata su prodotti primari quali banane, gamberi, fiori e caffè (senza dimenticare il petrolio!).La speranza che Correa ha dato al Paese dal 2007 fino ad oggi si è concretizzata nella nuova Costituzione, approvata per referendum nel settembre dello scorso anno, che istituzionalizza alcuni valori e concetti veramente progressisti ed innovativi. Dalla sua approvazione, il Parlamento è stato sciolto ed è stato creato un “Congresillo”, organo legislativo di transizione, che ha in questi mesi approvato leggi di carattere fondamentale per la società e per l’economia nazionale. Forte del plusvalore generato nel 2008 dai prezzi del petrolio, Correa si è lanciato però in una politica sociale

abbastanza ambiziosa per i livelli preesistenti di spesa pubblica nazionale, aumentando tale spesa del 67 % rispetto all’anno precedente. Il cancro del sistema risiede tuttavia nel non aver istituito una forma di redistribuzione delle ricchezze tra i cittadini, meccanismo tuttora inesistente e che rende ancora più evidente la divisione tra ricchi e poveri, ma appoggiandosi sui prezzi volatili del petrolio nella speranza di un perdurare del buon momento. Purtroppo, lo shock economico ha trascinato anche l’Ecuador verso il basso, non potendo competere più di tanto sui mercati internazionali con i deboli prodotti primari (deboli per la loro sostituibilità). Questo elemento, l’abbassamento delle esportazioni, la riduzione delle rimesse estere, l’annullamento di prestiti internazionali, eccezion fatta per il Governo cinese che si comincia ad affacciare nel “feudo USA”, hanno messo in crisi negli ultimi mesi il “sistema Correa”, senza però per questo impedirgli la rielezione. Ad ogni modo rimangono i problemi economico e diplomatico, quest’ultimo in relazione alla Colombia. Ma il voto è stato in definitiva una dimostrazione di fiducia nell’operato di un governo personalistico, irascibile, alla volta pro e contro Stati Uniti, alla volta amico dell’Iran, alla volta portatore dei valori del Socialismo del XXI secolo. Un Paese sulla scia di altri del suo continente, quali Venezuela e Bolivia. Ma che soffre tuttora di molti tarli: nella propria struttura istituzionale e nella propria società.

Edoardo [email protected]

ex-stagista SID presso l’Ambasciata d’Italia a Quito

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Sconfinare Maggio 20094Nazionale

Segue dalla Prima Pagina

Erano passate poco meno di 48 ore dalla prima devastante scossa quando, guardando distrattamente la tv mi capitò di vedere un servizio di Bruno Vespa sul terremoto in Abruzzo:dopo spettacolari e prolungate immagini dall’elicottero di città e paesi distrutti, il pezzo in questione finiva con un primo piano del giornalista davanti ad una casa interamente distrutta, in una mano il microfono, nell’altra un coniglio di peluche rosa estratto dalle macerie, il conduttore di porta a porta terminava con tono “commosso”domandandosi se la bambina che viveva in quella casa avrebbe mai potuto giocare di nuovo col suo coniglio. E’ solo uno dei tanti esempi di quello che amo definire come “sciacallaggio mediatico”, che nelle ultime settimane ha colpito (non fosse bastato il sisma) le zone terremotate dell’Abruzzo. Persone più “educate” di me chiamano questo modo di fare giornalismo in televisione come “Tv dell’emozione”: l’obiettivo è semplicemente quello di alzare gli ascolti propinando ai telespettatori immagini forti, storie pietose e casi umani, un repertorio di cui i teatri di grandi tragedie come questa non sono mai avari. Devo confessare che seguire servizi di questo tipo ha generato in me seri problemi come travasi di bile, irritazioni al fegato e meno scientifiche incazzature: questa morbosa e perversa ricerca della storia pietosa, tragica e strappalacrime da mandare in onda il più presto possibile è secondo me una forma ancor più meschina e schifosa di sciacallaggio verso le vittime del terremoto. Si è tanto parlato nei primi giorni dell’allarme sciacalli, e molte persone non volevano abbandonare le abitazioni

proprio per paura che i ladri potessero entrarvi e rubare indisturbatamente tutto, ma nessuno ha parlato degli altri sciacalli, quei giornalisti e direttori di telegiornali, se si può definirli tali, che per fare carriera e audience sono disposti ad approfittare delle disgrazie altrui degradando l’informazione a semplice pettegolezzo ed invadenza nella vita e negli affetti di migliaia di persone. Si può definire giornalismo fare reportage colmi soltanto di domande idiote e inopportune, tipo chiedere a chi ha appena perso tutto come sta? Il confine tra il fare informazione ed il semplice invadere senza rispetto la vita altrui per poter raccontare delle storie e non per dare notizie, è stato più volte oltrepassato in questa tragedia nazionale. La fame di informazioni che giustamente si genera dopo avvenimenti di questa portata ha condotto i media ad eccessi ripugnanti, creando una sorta di gigantesco e macabro grande fratello

in cui i protagonisti sono le vittime del sisma; più grave ancora è stato il fatto che servizi opinabili come questi abbiano trovato ampio spazio in tutti i notiziari nazionali, mentre si è volutamente parlato poco di quelle sarebbero dovute essere le vere notizie. Vi è sembrato per caso che si sia parlato abbastanza dei tempi e delle modalità della ricostruzione, delle inchieste sugli accertamenti di responsabilità per i crolli, del pericolo che le mafie infiltrandosi vincano gli appalti per la ricostruzione, del fatto che una nuova normativa antisismica esista dal 2005 ma non sia mai entrata in vigore perché sempre prorogata? Non penso che i drammi privati delle persone abbiano la stessa valenza per la sicurezza e il bene comuni né facciano cinicamente più notizia del pericolo di infiltrazione mafiosa e delle responsabilità di qualche politico o costruttore nel crollo di edifici antisismici. Ma evidentemente alla Rai, a Mediaset e

in qualsiasi altra rete televisiva non la pensano così; nell’epoca dei reality show seguiti da milioni di annoiati telespettatori, l’informazione si è adeguata in fretta al nuovo formato televisivo. Il risultato ce lo abbiamo sotto gli occhi: i tg in questo spasmodico tentativo di immortalare la realtà più cruda e “autentica” fin nei minimi particolari sono diventati più finti dell’isola dei famosi e di uomini e donne messi insieme. Si cercano storie tragiche, e poi ci pensa il giornalista a condire il tutto con un po’ di pietismo ipocrita. A mio avviso, una delle tante cose che la drammatica vicenda abruzzese ci ha ribadito più che insegnato è che in Italia nel modo di fare informazione si stanno sempre più perdendo di vista le notizie vere, importanti, e si sta sempre più volutamente dando risalto a pezzetti di notizie o a particolari che la notizia già contiene. È così che sappiamo a memoria le tristi storie di almeno un centinaio famiglie aquilane (quanti erano in famiglia, quanti fratelli, sorelle e cugini aveva Tizio prima del terremoto, in che via e a quale numero civico abitavano) ma non sappiamo ancora perché, se quelle sono sempre state zone sismiche sono stati costruiti edifici nuovi come l’ospedale dell’Aquila che alla prova dei fatti di antisismico non avevano nulla. Questo modo di informare è solo un tentativo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da problemi molto più grandi e incombenti, ed il dato preoccupante è che sta funzionando a meraviglia.

Matteo [email protected]

Sciacalli in Abruzzo

Le famiglie hanno lentamente imparato i nostri nomi e noi i loro. 3, 4, 11, 6, 7… La sequenza di numeri delle tende in cui fermarsi si è trasformata in una sequenza di volti, sguardi, occhi e sorrisi. E molto presto non si trattava più solo di portare i

pasti, ma di capire le esigenze, ascoltare le storie, trovare parole di conforto e rassicurazione, fare sentire le persone un po’ più a casa.

Non è facile convivere in una tendopoli. Ci si trova vicini di casa, a volte addirittura coinquilini, con persone mai viste e mai conosciute. Il campo di Piazza d’Armi è molto particolare perché dentro ci sono tantissime etnie diverse: filippini,

peruviani, rumeni e cinesi si mescolano agli aquilani, tutti nelle stesse condizioni, tutti egualmente bisognosi di aiuto. Gli spazi sono pochi, tutti condivisi, la

privacy quasi inesistente. A complicare la situazione l’eccessiva invadenza dei media e dei personaggi famosi crea di tanto in tanto un po’ di scompiglio tra la gente. Queste osservazioni non sono polemiche per il gusto di fare polemica, ma perché viste da vicino certe situazioni hanno sfumature completamente diverse che viste in televisione. Sono rimasta piuttosto sconcertata per esempio, quando il giorno prima della visita del Pontefice abbiamo ricevuto la richiesta di preparare 15 disabili per il mattino dopo alle 8, da portare in parata davanti al Papa. L’irritazione è aumentata notevolmente quando i pochi che hanno accettato di andare hanno dovuto aspettare due ore sotto la pioggia che Benedetto XVI arrivasse per fare il suo discorso!L’attenzione del mondo delle comunicazioni è ancora tutta puntata sull’Aquila. Purtroppo e per fortuna. Purtroppo, perché giornalisti, reporter, cameraman e presentatori inseguono imperterriti la notizia commovente o sensazionale, immortalando ogni momento della giornata di queste persone come se fossero fenomeni da circo, facendo domande molto personali e spesso dolorose a chiunque li degni di

Piazza d’Armiattenzione. In una situazione dove è già difficile acquisire un ritmo quotidiano, questa ricerca dell’eccezionale complica ulteriormente le cose. Per fortuna, perché l’Abruzzo ha bisogno di tutto l’aiuto che può ricevere e sicuramente il faro puntato continua a ricordare a tutto il mondo che l’emergenza non è finita e non lo sarà per parecchio tempo. Nella tragedia dell’Aquila però, credo che possiamo, per una volta, avere qualche motivo per essere fieri del nostro Paese. La protezione civile italiana ha dimostrato e continua a dimostrare di avere i mezzi, le strutture e l’organizzazione capaci di gestire qualsiasi situazione di emergenza. I numerosi gruppi di volontari che si alternano, settimana dopo settimana, hanno dimostrato che l’Italia sa essere un paese unito nel momento del bisogno, e che nessuno in condizione di necessità verrà mai lasciato solo. Gli abitanti della tendopoli, aquilani o stranieri che siano, dimostrano al mondo, giorno dopo giorno che con speranza e forza d’animo si può sempre ricominciare.

Chiara [email protected]

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SconfinareMaggio 2009 5NazionaleQuesto articolo è un atto d’amore per

l’Europa, dunque è ingenuo. E’ un atto d’accusa alla nostra politica, dunque è banale. Parla delle elezioni europee, dunque è originale. Davvero. Superate le polemiche circa le frequentazioni del nostro premier, che certo non mi sorprendono, e quelle circa le ‘veline’ che prima c’erano e dopo no, qualche giornale finalmente deciderà –magari, si spera, prima del sei e sette giugno- di parlarci compiutamente delle europee e dei candidati, o addirittura –ma questo è un sogno- del referendum, graziosamente spostato al ventuno giugno per la gioia di tutti gli universitari fuori sede d’Italia.Europee, dunque. Facciamo parlare i dati e i fatti. Primo fatto: al 2009, gli eurodeputati italiani sono i più pagati d’Europa, pur essendo presenti in media a Bruxelles per meno del cinquanta –sic!- per cento del tempo. Uno degli esempi più gustosi è Bova, PD, presente in parlamento una sola volta, il giorno in cui, due mesi dopo l’elezione, veniva finalmente dichiarato decaduto per incompatibilità (era incompatibile fin dall’elezione però). Mica solo Bova, però. I nostri eurodeputati sono anche i più veloci nel farsi sostituire. Si sono visti anche i sostituti dei sostituti.Cosa vuol dire tutto questo? Che per noi, semplicemente, l’Europa non conta. E’ un ottimo parcheggio, in attesa di un posto migliore. Soprattutto a partire da quest’anno, dopo la riforma europea degli stipendi degli europarlamentari, che sono stati fissati allo stesso livello per tutti i Paesi. Risultato? Che molti nostri consiglieri regionali guadagneranno di più dei nostri europarlamentari, e quindi tutti aspireranno alla carica in Regione, piuttosto che a Bruxelles.Bene, si potrebbe commentare. In fondo, il messaggio che l’attuale governo fa passare è che l’Europa non sia altro che un ostacolo alle giuste italiche. Un’Europa pesantemente burocratica. Un’Europa

per nulla unita sulle questioni importanti. Un’Europa insignificante, ma che riesce comunque ad essere fastidiosa.Ma è anche l’Europa dell’Euro, che nonostante quel che dice la vox populi, ci ha salvati dalla Lira, che non avrebbe retto nemmeno alle crisi degli anni scorsi, figuriamoci a questa.E’ l’Europa che con una riforma seria della questione dell’unanimità p o t r e b b e risolvere i suoi problemi politici, e questo se i governi europei solo volessero.E’ l’Europa dei cavilli burocratici, su questo non c’è alcun dubbio, e assurda come q u a l u n q u e b u r o c r a z i a . Ma è l’Europa che riesce a far convivere 27 paesi, 23 lingue, quasi 500 milioni di abitanti e le loro leggi, nel più ardito tentativo di unione di popoli della storia. E come tutte le burocrazie enormi –ma qualcuno ricorda quella sovietica?- ha risvolti da follia. Ma questo non ci autorizza ad ignorarne le norme, come l’Italia fa ormai per prassi.Perché il nostro, lo ripeto spesso, è un

Paese strano, che dice una cosa e poi ne fa un’altra. Il nostro governo odia Bruxelles, e ne è fortemente ricambiato. Rimane Paese membro, ma i suoi eurodeputati fanno tutto tranne che andare alle sedute del parlamento. Ignora con gran faccia tosta le leggi che si

approvano lì, facendo poi credere al popolo che noi, alla fin fine, si fa quel che si vuole. Ah, sì? Guardiamo un po’.Annualmente, quante leggi italiane sono in realtà state approvate dal parlamento europeo? Sparate pure una qualunque percentuale, non indovinerete mai. L’ottanta per cento.L’ottanta per cento delle leggi italiane sono

state prodotte a Bruxelles. E, il più delle volte, i nostri eurodeputati non ci sono. L’ottanta per cento delle nostre leggi, se i dettami di Aristotele sono esatti, sono dunque scritte dagli altri Paesi. E non è una cosa indifferente, sapete. Tre esempi per dimostrarlo.Primo. E non per tirare in ballo la mia terra, ma un fatto che danneggia l’Italia intera. In queste settimane è stata approvata una legge per la quale il Vino Rosato può essere prodotto anche con uve di diversi tipi –bianche e rosse. Il Rosato del Salento viene prodotto con un solo tipo di uva: tutt’altra qualità, ma adesso il nome è lo stesso. La nostra sparuta delegazione –cioè chi dei nostri si trovava a passare da lì- ha votato a favore.Secondo. E’ stata approvata una bella leggina che rende possibile produrre pasta con grano tenero, anziché duro. Qui, in tutta sincerità, non ho idea di dove fossero i nostri.Terzo. Le reti da pesca. Secondo una legge voluta dai Paesi scandinavi, i buchi delle reti dovrebbero essere di un certo diametro. Bene: diametro ottimo per i pesci dei mari nordici, enormi, ma non per quelli del Mediterraneo. Se i siciliani seguissero la norma europea, non pescherebbero nulla.Ora, voi potrete pure dire che queste sono sottigliezze. Ma per l’ottanta per cento le nostre leggi sono scritte da altri. A questo punto, o usciamo dall’Unione Europea, o cominciamo a mandare gente che all’europarlamento poi ci vada.Ho esaminato le liste dei candidati per le europee. Liste quasi del tutto impresentabili. Quelle del Pdl, vergognose, dal Nino Strano che mangiava la mortadella al gran ritorno di Mastella –e non aggiungo altro, per pietà verso i lettori. Quelle del Pd, dove presentabili, impresentabili e ottime scelte sono ben mischiati in modo tale da perdere quanti più voti possibile; quelle dell’Idv, macchiate dalla candidatura di gente che poi a Bruxelles non ci andrà, a cominciare da Di Pietro; quelle dell’Udc, in assoluto le più atroci, e davvero non saprei da dove cominciare a criticare: da Magdi Allam o da Emanuele Filiberto? Ma forse andrei sul sicuro citandovi De Mita, per la serie ‘giovani leve all’Europarlamento’. E infine le liste di Sinistra e Libertà, per le quali però alla fine non si possono fare grandi discorsi perché non saprei dire quanti deputati potrebbe riuscire a portare in parlamento (ma spicca tra di loro Margherita Hack, questo va sottolineato).E’ una carrellata assolutamente arbitraria, lo riconosco. Ma riconoscetemi almeno, al di là delle idee politiche di ognuno, che decidere di mandare in Europa dei rappresentanti come De Mita, o Mastella, o chi per loro, non è sintomo di grande considerazione per l’Europa. Non lo è davvero, a maggior ragione dopo tutte le considerazioni di cui sopra. Un’Europa da cui, volenti o nolenti, non possiamo più prescindere. E che noi continuiamo a considerare alternativamente un parcheggio di lusso, un cimitero di elefanti, o un nuovo Bagaglino dove scaricare i nostri nani, le nostre ballerine e, perché no, qualche pregiudicato.

Francesco [email protected]

Grazie al contratto bilaterale tra la MGIMO e l’universita’ degli studi di Trieste sede di Gorizia sette studentesse russe hanno avuto la possibilita’ di scoprire la bellezza della vita in Italia.Sognavo da tanto tempo questo viaggio. Mi pareva un’esperienza da non perdere perche’ volevo cambiare ambiente e vedere la differenza con la mia solita vita a Mosca. Ero anche curiosa di vedere come studiassero nelle universita’ italiane. E allora sono partita carica di aspettative.L’italia mi ha accolto a braccia aperte dal primo momento. La prima citta’ che abbiamo visitato e’ stata Venezia, il giorno di Pasquetta. Abbiamo camminato per la citta’ tutto il giorno facendo conoscenza con i carabinieri, che pero’ non ci hanno invitato a cena da loro. Percio abbiamo mangiato un panino alla stazione ferroviaria osservando il Canal Grande e un gruppetto di italiani che si buttavano dai cassonetti per fare delle foto in volo.

La sera sono arrivata al convitto delle Suore della Provvidenza dove sono stata accolta calorosamente e dove mi sono trovata bene fino alla fine. L’atmosfera sia al convitto che

in citta’ mi e’ sembrata molto tranquilla e rilassante, al contrario di Mosca. Mi sono sentita come in una cittadina di campagna, con l’aria fresca e le distanze cosi’ brevi!L’universita’ e’ proprio piccola, ma carina. Mi ha impressionato il fatto che anche se tutto e’ cosi’ piccolo, c’e’ sempre attivita’ culturale, come gli annunci dei festival di musica e cinema appesi in bacheca. Essendo pigra sono andata solo a un concerto al castello di Gorizia, ma comunque mi sembra che ci siano delle possibilita’ di svago per i ragazzi, anche se parlando con loro non sembrano accorgersene. Pero’ sono molto attivi e fanno parte di tante associazioni diverse.Ho frequentato alcune lezioni di economia e anche di psicologia del negoziato, che mi sono sembrate abbastanza interessanti.

Per fortuna riuscivo a capire quasi tutto quello che dicevano i professori, tranne per quanto riguarda il Prof. Gabassi, perche’ usava un lessico molto avanzato. Cosi’ ho imparato tante parole

nuove che mi potrebbero servire all’esame d’italiano tra due settimane!Ho anche cercato di viaggiare un po’. Ho visitato alcuni posti in Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Lombardia, Liguria, Toscana, ma non sono riuscita a vedere Roma: sara’ per la prossima volta! La cosa che mi e’ piaciuta di piu’, sembra banale, ma e’ il mangiare. Ho assaggiato la polenta, la pasta al pesto genovese, il formaggio tipico della Toscana ... la lista puo’ essere infinita. Ho anche imparato a bere il cappuccino all’italiana, e cioe’ non durante il pranzo!Ringrazio tutti quelli che mi hanno regalato questa meravigliosa atmosfera che mi ha accompagnato durante l’intero soggiorno, e’ stato un mese fantastico!Спасибо и до новых встреч!

Tatiana Boyarskaya

Una russa in ItaliaL’esperienza a Gorizia di Tatiana, una studentessa russa al SID

L’Italia vuole l’Europa?L’ indifferenza del nostro Paese per Strasburgo

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Sconfinare Maggio 2009Sconfinare Maggio 20096

L’emergenza immigrazione:vedere le cose da un altro punto di vista

Glocale

Periodico regolarmente registrato presso il Tribunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di registrazione 4/06

Editore e Propietario: ASSID“Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”

RedazioneAlessandro Battiston, Andrea Bonetti, Marco Brandolin, Francesco Bruno, Edoardo Buonerba, Elisa Calliari, Davide Caregari, Valeria Carlot, Giovanni Collot, Giulia Cragnolini, Lisa Cuccato, Emmanuel Dalle Mulle, Edoardo Da Ros, Gabriella De Domenico, Attilio Di Battista, Federico Faleschini, Nicoletta Favaretto, Samuele Zeriali, Guglielmo Federico Nastasi, Antonino Ferrara, Michela Francescutto, Margherita Gianessi, Francesco Gallio, Davide Goruppi, Ian Hrovatin, Isabella Ius, Davide Lessi, Matteo Lucatello, Andrea Lucchetta, Giacomo Manca, Francesco Marchesano, Elena Mazza, Mattia Mazza, Monica Muggia, Luca Nicolai, Agnese Ortolani, Leonetta Pajer, Federico Permutti, Giacomo Antonio Pides, Massimo Pieretti, Diego Pinna, Giulia Pizzini, Francesco Plazzotta, Emiliano Quercioli, Tommaro Ripani, Federica Salvo, Francesco Scatigna, Bojan Starec, Eva Stepancic, Matteo Sulfaro, Rodolfo Toè, Athena Tomasini, Margherita Visimara, Samuele Zeriali. Hanno collaborato: Chiara Ghizzoni, Andrea Filippo Romani, Andrea Frontini, Federico Filipuzzi

Contabilità: Valeria Carlot e Francesco ScatignaImpaginazione e grafica: Diego Pinna, Giovanni Collot, Francesco Marchesano, Federico FaleschiniWebmasters: Diego Pinna, Tommaso RipaniVignette: Stefano FacchinettiCorrettore Bozze: Rodolfo ToèTraduzione in sloveno: Samuele Zeriali, Tom Loèniškar, Dimitri Brandolin, Fabiola Torroni

www.sconfinare.net [email protected]

In questo periodo siamo andate più volte a visitare i ragazzi che soggiornano alla Caritas di Gorizia, ragazzi in attesa dei permessi, dello status di rifugiato politico o di protezione sussidiaria. Da mesi ormai a Gorizia si vedono girare sempre più ragazzi stranieri, la maggior parte africana, e molti di noi non sanno chi siano: alcuni li vedono come una minaccia per il proprio posto di lavoro, altri come dei malintenzionati venuti qui per delinquere ( e su questo i mezzi d’informazione danno un forte aiuto). Loro sono qui invece per motivi molto diversi: c’è chi fugge da un paese in guerra, chi fa parte di una minoranza maltrattata nel proprio paese, chi cerca una via d’uscita da una vita piena di povertà, ma priva di prospettive. E’ per questo che abbiamo trovato giusto far descivere a loro stessi la loro storia, i loro sentimenti, perché crediamo sia il modo migliore per far capire che cosa c’è dietro l’”emergenza immigrati”.Per motivi di riservatezza i nomi verranno cambiati, anche perché per molti di loro il procedimento inerente il loro caso è ancora in corso, e preferiscono non esplicitare e proprie generalità.

“Mi chiamo Giovanni, ho 26 anni e vengo da un villaggio del Mali. Sono figlio unico, mia madre ha 56 anni, fa la casalinga e è sola. Nel villaggio facevo l’agricoltore e coltivavo il mango. Il lavoro era pesante ma lo facevo volentieri anche se non mi permetteva di guadagnare molto. Nel villaggio ci si conosce tutti ma la miseria è grande. Io non sono sposato, ma avevo una fidanzata che si chiama Chiara che ho dovuto lasciare in Mali per cercare una sistemazione migliore in Italia. Qui spero di trovare lavoro, ad esempio come operaio in fabbrica e con il tempo desidero ritornare a casa.Qui a Gorizia sono ospite della Caritas con molti altri stranieri provenienti dal Mali come me, dal Niger, dall’Afghanistan. Sono arrivato in Italia otto mesi fa: sono partito dal Mali nel mese di settembre del

2008 con una macchina verso l’Algeria, da cui ho proseguito il mio viaggio con un’altra macchina fino in Libia. Dalle coste libiche sono partito su una barca insieme ad altre 74 persone e una volta arrivato a Lampedusa, dopo soli due giorni sono stato trasferito in aereo a Ronchi dei Legionarie successivamente a Gradisca d’Isonzo. Nel CARA di Gradisca sono rimasto sette mesi,e da un mese sono uscito

e vivo grazie all’aiuto della Caritas. Nel frattempo sto aspettando il giudizio della Corte di Trieste in riguardo al mio caso; se il risultato dovesse essere negativo e io volessi ricorrere in appello, dovrei pagare più di 300 euro e io non li ho, anche perché il permesso di soggiorno che ho in questo momento non mi permette di lavorare.”

“Mi chiamo Ahmad e vengo dalla Turchia. Ho 26 anni e dopo un lungo e faticoso viaggio in camion sono arrivato in Italia. Il mio lavoro era di decorazione interna ed esterna delle case. Sarei rimasto volentieri in Turchia, lì avevo una fidanzata che si chiama Aynur ed è studentessa universitaria. La mia venuta in Italia è dovuta a seri

motivi politici . Nella mia città natale ho lasciato la mia famiglia composta dai miei due genitori e dalle mie tre sorelle . Spero di ottenere presto il permesso di soggiorno e di trovare un lavoro in Italia.”“Mi chiamo Amadou, sono del Niger e sono in Italia da un anno. Sono arrivato dalla Libia con una barca fino a Lampedusa, poi sono stato trasferito al CARA di Gradisca e dopo qualche mese mi hanno fatto uscire

e, in attesa della valutazione del mio caso da parte del Tribunale di Gorizia e poi di Trieste, sono stato accolto dalla Caritas di Gorizia. Sono ormai mesi che vivo qui a Gorizia, passando il mio tempo tra la Caritas, l’ufficio del mio avvocato e la Questura, e non ho mai perso la speranza di ottenere il mio permesso di soggiorno. Ora però ho ricevuto il secondo rifiuto della mia domanda, e per provare un’ultima volta ho bisogno di pagare l’avvocato, ma di soldi non ne ho. Io vorrei avere un documento solo per poi spostarmi in un altro paese in Europa, magari in Inghilterra, oppure andarmene negli Stati Uniti a studiare, dato che ho capito che l’Italia non ci vuole e che

non c’è lavoro per noi. Ma senza quel documento non posso spostarmi, se vado a chiedere il permesso di soggiorno in un altro paese europeo mi rimanderanno qui, dove mi hanno preso le impronte, e la storia ricomincerà da capo. Il prete del mio paese mi ha sempre detto che le cose accadono sempre per un motivo, sia quelle belle che quelle che ci fanno soffrire: io accetto gli eventi brutti della vita, ma questa volta è difficile, ho lasciato tutto per venire in Europa, è da un anno che sto qui in Italia, bloccato da dei documenti che non mi vengono dati, e non ho alcun genere di prospettive. A questo punto preferirei che mi rimandassero a casa, ci metterei del tempo, ma me ne farei una ragione. Restare in questa situazione di incertezza mi snerva, non dormo più di notte, e anche di giorno il pensiero è sempre fermo ai documenti, a che si può fare per ottenerli. La mia mente non si ferma mai.Voi ragazzi siete fortunati, potete studiare, muovervi in Europa, potete farvi un’istruzione che vi darà una vita migliore. Sarebbe bello se lo potessi fare anche io.”

Leonetta PajerI ragazzi ospiti della Caritas di Gorizia

“In un’economia globale che disgrega le economie tradizionali e mina la capacità dei governi di assisterli, stanno rimettendoci milioni di lavoratori, lasciati a se stessi dentro Stati falliti ad affrontare l’indigenza , le carestie e le pestilenze. Sono costretti a emigrare,a offrire il loro lavoro in cambio di salari al di sotto della sussistenza, ad abbandonare i loro figli e a spremere qualche spicciolo sacrificando il loro ambiente naturale e sovente la loro salute, il tutto in una lotta disperata per sopravvivere.”

Jay Mazur, Presidente della Union of Needlestrade, Industrial and Textile Workers.

...Sconfinare...

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SconfinareSconfinare 7

Una FUCIna di idee!Rinasce a Gorizia il Gruppo Fuci

Maggio 2009

Università

“Una fucina di idee…”. Con queste parole, alla messa in suffragio di Aldo Moro, Don Adelchi, ha descritto la Fuci (Federazione Universitari Cattolici Italiani). Questa associazione universitaria, con una tradizione ormai centenaria, è finalmente arrivata anche nel polo goriziano. la struttura nasce il 16 novembre 1985, quando, La vita nuova, rivista universitaria di letteratura e studi sociali, con l’obiettivo di costruire un punto di incontro e di raccordo delle iniziative e delle associazioni universitarie cattoliche italiane, lanciava il programma e lo statuto della “Federazione cattolica universitaria”, il cui obiettivo era quello di “ricostruire le scienze e la vita sociale, rifare la città umana, ma dietro le norme della fede ispiratrice e con i vincoli della operosa carità cristiana”. Per questa associazione sono passati diversi personaggi che hanno scritto pagine importanti della vita politica italiana (in primis Giulio Andreotti ed Aldo Moro). Per comprendere meglio l’importanza che ha avuto negli anni la Fuci basti pensare che ,35

dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana, hanno fatto parte dell’associazione. Avendo iniziato il

nostro lavoro solo nello scorso mese di Aprile, le attività proposte, tra cui ricordiamo l’iniziativa promossa lo scorso 7 maggio di tenere una messa in suffragio dell’On. Aldo Moro alla grotta della Madonna di Lourdes situata all’esterno del polo goriziano dell’Università di Trieste e la conferenza che

terrà il Dott. Renato Moro, nipote dello statista, il prossimo 18 giugno riguardo la formazione giovanile dell’ex presidente della Fuci. Spinti da una volontà comune di una semplice aggregazione ci prepariamo a lanciare l’invito per una partecipazione da parte di tutti coloro che si riconoscono nei valori cattolici ma ,che, in una realtà come quella universitaria, non riescono sempre a coltivarli nel maniera adeguata.

Federico [email protected]

Il sessantesimo anniversario della firma del Trattato dell’Atlantico del Nord, recentemente sanzionato dal Vertice di Strasburgo, sancisce una tappa essenziale della lunga storia dell’Alleanza, riconfermando, ed anzi accrescendo, quel vincolo di solidarietà che da più di mezzo secolo unisce i Paesi membri in uno spazio transatlantico di sicurezza e prosperità condivise.

Pur dinnanzi ad un contesto marcato da sfide senza precedenti, l’Alleanza ha saputo, infatti, conservare intatti quei valori di libertà, democrazia e stato di diritto già inclusi nel preambolo del Trattato di Washington dell’aprile 1949, e posti alla base della difesa collettiva sancita dall’articolo 5. E’ certo grazie ad un costante riferimento ai suoi valori fondanti che l’Alleanza ha saputo garantire la sicurezza dei suoi membri, in primo luogo nell’aspro contesto della Guerra Fredda e dello scontro frontale tra i blocchi. Nel fare ciò, la NATO non si è infatti limitata alla sola logica della deterrenza armata – convenzionale o nucleare che fosse – ma ha saputo promuovere ad un tempo un dialogo politico costante tra i suoi membri (basti pensare al difficile rapporto tra Grecia e Turchia) ed un processo di “distensione vigile” con l’Unione Sovietica ed i suoi alleati.

In ciò, l’Alleanza ha saputo cogliere appieno il portato del Rapporto dei Tre Saggi del dicembre 1956, che già sanciva la centralità del consenso politico quale pietra angolare della difesa collettiva, ma altresì incarnare una capacità innata di adattamento a situazioni e condizioni mutevoli, come sottolineato da Pierre Harmel in uno storico

rapporto sulle sfide dell’Alleanza nel dicembre 1967.

La fine della Guerra Fredda ha senz’altro mutato, a partire dall’unificazione tedesca, il quadro internazionale di riferimento così come il dato geopolitico di base: il dissolversi del blocco sovietico ha infatti privato l’Alleanza del suo contraltare politico-militare. Esso, tuttavia, non ha eroso la solidarietà tra i suoi Stati membri, peraltro rafforzata dall’insorgere di minacce e fenomeni di tipo asimmetrico quali terrorismo, criminalità transnazionale e conflitti a base etnica.

Gli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 – in occasione dei quali gli Alleati hanno invocato per la prima volta l’articolo 5 - hanno certamente esplicitato, nella loro evidente drammaticità, un processo per molti versi già in atto dalla fine del confronto bipolare e che trova la sua base in una proliferazione e de-materializzazione delle minacce contemporanee.

E’ alla luce di questa intuizione di base che la NATO ha saputo rinnovare ed estendere la propria missione, a partire dal Vertice di Washington del 1991. Essa, infatti, ha inteso riaffermare il proprio impegno per la sicurezza transatlantica attraverso molteplici iniziative.

In primo luogo, essa ha mirato alla creazione di nuovi strumenti di cooperazione e dialogo con Paesi terzi, quali il Consiglio di Cooperazione Nord Atlantico (poi divenuto Consiglio di Partenariato Euro-Atlantico) del 1991 ed il Partenariato per la Pace del 1994, ma altresì al rafforzamento di relazioni

tanto a base regionale - attraverso il Dialogo Mediterraneo del 1995 e l’Iniziativa di Cooperazione di Istanbul del 2004 – quanto su base bilaterale, in primo luogo attraverso l’istituzione nel 2002 del Consiglio NATO-Russia, tappa storica nei rapporti tra Europa ed ex-gigante sovietico, nonché grazie alla creazione di due Commissioni ad hoc con Ucraina (1997) e Georgia (2008)..

Un altro importante aspetto della nuova strategia della NATO è senz’altro rappresentata dal progressivo ampliamento dell’Alleanza a nuovi Paesi membri, sulla base dell’articolo 10 del Trattato, che già aveva reso possibile l’adesione di Grecia, Turchia (1952), Germania (1955) e Spagna (1982). Fin dai primi anni novanta, infatti, alcuni Paesi dell’area centrorientale avevano manifestato l’intenzione di aderire al sistema di difesa collettiva, conducendo l’Alleanza ad un nuovo ampliamento nel 1999. Ad esso si sono aggiunti nuovi Paesi nel 2002, in occasione del Vertice di Praga e, assai di recente, l’ingresso di Croazia ed Albania ha portato a 28 il numero degli Stati membri.

In ultimo, ma non certo per importanza, l’Alleanza ha condotto, nel corso dell’ultimo decennio, una serie di operazioni di assoluto rilievo in aree critiche per la sicurezza transatlantica. Tra le più significative, vanno certamente menzionate le missioni nell’area balcanica, in particolare gli interventi diretti in Bosnia Erzegovina (1995) ed in Kosovo (1999) – cui sono seguite due missioni per il mantenimento della pace, rispettivamente SFOR e KFOR – nonché quello in Macedonia nel 2001. Nel 2003 l’Alleanza ha inoltre assunto il comando della Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza dell’Afghanistan (ISAF), estendendone successivamente le operazioni dalla sola Kabul all’intero territorio nazionale. Tale missione, che vede l’attuale impegno di circa 58.000 uomini per un totale di 42 nazioni, rappresenta da tempo la principale operazione dell’Alleanza, nonché un elemento irrinunciabile per garantire la stabilità del Paese e la sicurezza del quadrante regionale. A fianco di tali operazioni, l’Alleanza ha condotto e conduce missioni di altra natura, ma parimenti inquadrabili in un concetto di sicurezza allargata, quali l’operazione Active Endeavour nel Mar Mediterraneo, avviata nel 2001 e mirante a garantire la sicurezza dei convogli commerciali e la lotta contro minacce terroristiche, una missione di addestramento delle forze armate irachene avviata nel 2004, la missione di assistenza alle forze di peace-keeping dell’Unione Africana in Darfur tra il 2005 ed il 2007 nonché, assai recentemente, la nuova operazione navale Allied Protector in contrasto all’insorgere della pirateria nel Golfo di Aden. E’ dunque alla luce di questo complesso processo di trasformazione ed adattamento che le decisioni assunte dai Capi di Stato e di Governo al recente Vertice di Strasburgo assumono un significato di continuità e coerenza, rimarcando, ma anche ampliando, l’impegno dell’Alleanza quale strumento di solidarietà tra i popoli ed i governi dei suoi Stati membri.

Nondimeno, tali decisioni, riassunte nella Dichiarazione Finale del Vertice, ben riassumono le principali sfide che attendono gli alleati negli anni a venire. Con tale Vertice, infatti, la NATO ha innanzitutto accolto due nuovi Paesi tra i suoi membri, auspicando inoltre un rapido ingresso dell’Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (FYROM) e valutando positivamente i progressi compiuti da Serbia, Bosnia Erzegovina e Montenegro nell’ambito del processo di riforma interna: elementi che sottolineano inequivocabilmente l’importanza della stabilizzazione dell’area balcanica per la sicurezza euro atlantica. Un altro elemento di chiara importanza è certamente rappresentato da un nuovo impegno per l’Afghanistan, incrementato dall’invio di nuove truppe e dall’istituzione di una training mission per l’esercito afghano, segno evidente di un rinnovato sforzo per la non facile stabilizzazione del Paese, tanto più necessario in considerazione delle prossime elezioni nazionali in agosto e settembre. Il nuovo sforzo alleato in Afghanistan è inoltre il frutto di un’importante riconciliazione, quella tra la NATO e la Francia, che viene a concludersi definitivamente con il ritorno di Parigi nella struttura militare integrata. A ciò si aggiunge l’importante ripresa del dialogo con la Russia, da tempo declinante, sancito dalla decisione delle parti di riprendere le riunioni del Consiglio NATO-Russia, congelate a seguito del conflitto russo-georgiano dello scorso agosto. In ciò, gli Alleati hanno dimostrato la propria volontà di associare strettamente la Russia all’area euro atlantica, senza tuttavia trascurare un chiaro richiamo all’unilateralismo di Mosca. Allo stesso tempo, gli Aleati non hanno mancato di confermare il proprio impegno nel perseguimento della sicurezza euro atlantica, tanto attraverso le proprie operazioni sul campo quanto mediante una cooperazione sempre più stretta con altre organizzazioni internazionali – in primo luogo UE, ONU ed OSCE – nella logica, già radicata, delle interlocking institutions.

Non mancano, infine, chiari riferimenti alle nuove dimensioni della sicurezza internazionale, oltre che alle minacce che incombono su di essa. Ai rischi legati a terrorismo e proliferazione delle armi di distruzione di massa (WMD) si affiancano infatti gli imperativi della sicurezza energetica, della protezione delle infrastrutture critiche, della difesa contro la pirateria marittima e quella informatica (cyberdefense), nonché le sfide della proiezione rapida e del burden-sharing sotto il profilo economico ed umano. Si tratta di una serie di sfide cruciali alle quali l’Alleanza si prepara a rispondere con la definizione di un Nuovo Concetto Strategico, affidato ad un comitato di esperti e previsto per il prossimo Summit a Lisbona nel 2010. Tale Concetto appronterà la nuova visione per la sicurezza euro atlantica, indicando gli strumenti necessari per la sua messa in opera. Esso, tuttavia, potrà giovarsi di una solida base, quella della solidarietà tra gli Stati membri, espressione di un’identità condivisa e vera garanzia della sicurezza dell’Alleanza.

Andrea Frontini

La NATO da Washington a Strasburgo: un impegno condiviso per le sfide di domani

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Sconfinare Maggio 20098Università Il manifesto degli studenti

e degli Alumni del Sid per il Sid!Dopo la riforma seguita al Decreto Mussi è necessario

un ripensamento generale del SID

20 anni fa nasceva il SID. Non staremo qui a richiamare alla memoria le vicende che si sono susseguite da allora nelle aule di via Alviano, i momenti gloriosi e quelli un po’ meno, i volti, i nomi e le storie che hanno caratterizzato il nostro corso di laurea dal 1989.Ma è meglio guardare al futuro e ricordare che proprio quest’anno, il SID affronterà il più grande restyling della sua storia, forse anche più incisivo (ed ahimè forse anche più deleterio) del passaggio dalla laurea quadriennale al 3+2. Come forse i più sapranno, con l’entrata in vigore del decreto Mussi, dal prossimo anno accademico l’ordinamento didattico delle lauree triennali e specialistiche della Facoltà sarà completamente rivoluzionato, e quindi anche il SID.Il decreto Mussi ha l’obiettivo, più che condivisibile, di porre freno alla proliferazione di corsi di laurea più o meno fantasiosi in giro per l’Italia, riportandoli tutti a delle classi di laurea molto più stringenti, che finiscono per escludere tutti quei corsi che presentavano caratteristiche uniche e specifiche, come il SID. Altro obiettivo è quello di impedire che interi corsi si reggessero per la gran parte su personale di docenza a contratto e presentassero esami troppo numerosi o troppo fantasiosi (sempre in base alle famose classi di laurea dettate dal ministero). Il decreto prevede pertanto che la metà dei crediti formativi sia coperta da personale di ruolo, che gli esami non siano più di 20 per la triennale e 12 per la specialistica, che ci siano almeno 12 professori di ruolo per triennale e 8 per specialistica e che la metà dei crediti sia presa dalle apposite tabelle ministeriali.Insomma, senza entrare troppo nel merito della normativa, poste le condizioni dettate dalla classe di laurea in cui rientra in SID e dal personale docente strutturato presente presso la Facoltà di Scienze Politiche, il risultato praticamente forzato è quello che è stato presentato nell’assemblea di martedì 28 aprile in sala Atti. Se nella laurea triennale il corso sembra mantenere una sua organicità, pur con la

perdita di insegnamenti fondamentali come Diritto dell’Unione Europea, Statistica o la lingua a scelta obbligatoria tra Tedesco e Spagnolo, al contrario le lauree specialistiche, nei tre curricula Politico-Diplomatico, Economico-Internazionale e Studi Extra-Europei, non sembrano avere molto senso nella loro configurazione attuale, mancando sia di una vera e propria specificità sia di una caratterizzazione

ben precisa e di una coerenza interna, al punto che chi entrerà in specialistica dall’attuale triennale si troverebbe a sostenere al biennio esami già superati precedentemente (sono qui riportati i nuovi piani di studio che entreranno in vigore dall’a.a. 2009-2010).Di fronte a questa prospettiva ci si sta iniziando ad interrogare nuovamente sul futuro da dare al SID. Mentre il ministro Gelmini si appresta ad effettuare tagli al Fondo di Funzionamento ordinario che rischiano di coinvolgere anche pesantemente l’Università degli Studi di Trieste e quindi Scienze Internazionali e Diplomatiche, sembra sempre più urgente cercare anche fonti di finanziamento alternative per il corso di laurea, guardando in primo luogo ai privati.In ogni caso si dovranno fare delle scelte di campo, per elaborare un progetto per Gorizia. Abbiamo bisogno di nuove idee, ma anche solo di osservazioni su come migliorare il SID. Quali aree disciplinari salvaguardare, se mantenere la presenza di docenza a contratto esterna al mondo prettamente accademico (personale diplomatico, delle forze dell’ordine, del mondo privato…), se mantenere le specialistiche o puntare piuttosto alla triennale, se mantenere i curricula attuali, se puntare sui master… In quest’opera di ripensamento del SID a tutti (a partire da molti professori) è parso utile cogliere l’opportunità dell’Alumni Day per chiedere un contributo anche agli alumni (oltre che agli studenti ovviamente), affinché essi stessi individuino cosa del nostro corso di laurea li ha agevolati o ostacolati più di ogni altra cosa una volta usciti dalle aule di via Alviano; affinché dicano se rifarebbero o meno la scelta che hanno fatto, e perché, o anche ci spieghino cosa hanno trovato altrove che al SID non c’era (soprattutto coloro che hanno avuto esperienze di formazione post-laurea in altri atenei – magari all’estero).Da qui l’idea di stendere un Manifesto degli Studenti e degli Alumni del SID

per il SID, in cui esprimere il proprio pensiero, partendo dal presupposto che è interesse di tutti noi mantenere un SID di alto livello (del resto anche per i nostri laureati non sarebbe un’ottima cosa avere un titolo di studio presso un corso di laurea che ora è scadente o peggio non esiste più!). Per questo è attivo da oggi uno spazio all’interno del blog dell’ASSID (http://assid.wordpress.com) cui speriamo sarete in molti a portare il vostro contributo. L’idea è quella di creare sulla base dei commenti inseriti da tutti noi un documento da rendere noto proprio il giorno dell’Alumni Day, e da far conoscere al Consiglio di Facoltà ed al Rettore come documento comune

di indirizzo per le politiche da attuare a Gorizia nei prossimi anni.È ovvio che esso avrà senso e sarà incisivo quanto più numerosi saranno i contributi su di esso espressi, di qualunque tenore essi siano (anche i più critici), restano valide le regole della buona educazione! Più saranno numerosi gli interventi e più saranno gli stimoli e le idee, e più il documento avrà forza nell’arena della discussione.Per questo il mio invito è di scrivere, anche solo poche righe, per il futuro del SID…

Attilio Di [email protected]

Menù Serata di Gala Alumni Day 2009

BENVENUTO DOK

DRINK Prosecco Extra-Dry Terre di Mezzo;

Rossini con fragole fresche; Aperitivo analcolico alla frutta.

FOOD

Prosciutto San Daniele DOK Dall’Ava n 10 24 mesi stagionato tagliato al coltello; Parmiggiano Reggiano 36 mesi forma intera;

Spalla cotta calda con pomodorini e kran rafano.

FINGER FOOD Burratina con pomodori datterini;

Crostino di Polenta con Lardo di “Mangalica” e miele; Carpaccio di trota dolce fumo con melone e vinaigrette di limone;

Bocconcino di ricotta di bufala con pesto di basilico e speck; Frico croccante con confettura di albicocca e granella di nocciole delle Langhe;

Vol au Vent con drema di asparagi; Mousse di latte con uova di trota ed erba cipollina.

PRIMI PIATTI

Caramelle di ricotta e spinaci con salsa di noci e speck; Risotto (Riso nero di Venere) con pesto di basilico e pomodori secchi.

SECONDI PIATTI

Filetto di Manzo al Cartoccio con patate e funghi porcini.

DESSERT

FRUTTA Buffet di Frutta esotica e primizie

DOLCI

Torta Cerimoniale per serata (St Honoré); Mousse alla frutta monoporzione;

Soufflè al cioccolato; Fagottino di pasta filo con crema pasticcera;

Caffè e distillati.

Compreso nel biglietto è l’ingresso alla festa post-gala con 3 consumazioni incluse

Prezzo del Biglietto 25 euro Alumnus SID

30 euro Studente SID iscritto ASSID 35 euro Studente SID non iscritto ASSID 40 euro Accompagnatore/trice extra-SID

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SconfinareMaggio 2009 9Università

Laurea Triennale

INSEGNAMENTO CFUI Anno Diritto Privato 6Sociologia 10Scienza della Politica 9Economia Politica 6Storia Contemporanea 9Storia delle Relazioni Internazionali 10II Anno Diritto Costituzionale e Comparato 9Economia Internazionale 9Politica Economica 10Storia ed Istituzioni dei Paesi Afro-Asiatici 6Relazioni Internazionali 9Diritto Internazionale Pubblico 6Lingua Inglese I 9Lingua Francese I 9III Anno Storia dell’Europa Orientale 9Filosofia Politica 6Geografia Politica 9Lingua Inglese II 9Lingua Francese II 6 Insegnamento a scelta 12 Ulteriori conoscenze linguistiche, informatiche… 6 Prova Finale 6

Economico-Internazionale

INSEGNAMENTO CFUI Anno Relazioni Economico e Finanziarie Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo 9Metodologia e Tecnica delle Relazioni Internazionali 6Storia delle Relazioni Internazionali 9Marketing Internazionale 6Psicologia delle organizzazioni e del Negoziato 9Lingua Francese III 9Lingua Inglese III 9

II Anno Geografia Economica 6Diritto dell’Unione Europea 6Sistemi Economici e Fiscali Comparati 6Sociologia Politica 6 Insegnamenti a scelta 12 Ulteriori conoscenze linguistiche, informatiche… 6 Prova Finale 21

Politico-Diplomatico

INSEGNAMENTO CFUI Anno Relazioni Economico e Finanziarie Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo 9Metodologia e Tecnica delle Relazioni Internazionali 6Storia delle Relazioni Internazionali 6Istituzioni del Mondo Musulmano 6Psicologia delle organizzazioni e del Negoziato 9Lingua Francese III 9Lingua Inglese III 9

II Anno Geopolitica 6Diritto dell’Unione Europea 9Sistemi Economici e Fiscali Comparati 6Sociologia Politica 6 Insegnamenti a scelta 12 Ulteriori conoscenze linguistiche, informatiche… 6 Prova Finale 21

Studi Extra-Europei

INSEGNAMENTO CFUI Anno Storia ed Istituzioni dell’Africa 9Sociologia Politica 6Storia delle Relazioni Internazionali 9Istituzioni del Mondo Musulmano 9Metodologia e tecnica delle Relazioni Internazionali 6Lingua Francese III 9Lingua Inglese III 9

II Anno Geopolitica 6Diritto dell’Unione Europea 6Antropologia dello Sviluppo 6Storia Politica e Diplomatica dell’Asia Orientale 6 Insegnamenti a scelta 12 Ulteriori conoscenze linguistiche, informatiche… 6 Prova Finale 21

La distribuzione degli esami negli anni è ancora indicativa fino al 10 giugno, data in cui verranno anche definiti i titoli precisi degli insegnamenti, il cui settore disciplinare è comunque già stato fissato.

I NUOVI PIANI DI STUDIO

Siamo gentilmente, cordialmente se non financo irenicamente invitati ad esprimere il nostro dissenso. Blog e conferenze non sono certo inutili, ma se nella realtà quotidiana questo viene ripetutamente mortificato, permetteteci di esser un po’ – almeno un po’- sfiduciati. Pensavamo che la parola fosse uno strumento importante per esprimere le proprie opinioni. Uno strumento per essere compresi e ascoltati. Ci abbiamo provato. Il risultato signori?! Zero! Nulla! Il vuoto! Figurarsi, si trattava di richieste semplici di studenti semplici, nella norma … l’unica sfiga è quella di appartenere ad un curriculum fuori dalla norma. Ma procediamo per punti.

•Orari di 12 ore al giorno sono un po’ pesantucci, se di cognome non fai Stachanov. Anche i lavoratori han conquistato le 8h! E non lavorano il sabato. Noi sì. Fino alle 14. (Dalle 8). E con un’ora di ubiquità ... le più stimolanti! E non è l’unico caso alla settimana. Forse oltre ai soliti epiteti di “extraterrestri”, “extracomunitari” dovrebbero aggiungere “extraordinari funamboli”!

•I docenti a contratto (l’ORGOGLIO del nostro corso, giusto?!) non sanno neppure il programma da svolgere. Non sono informati su come gestire gli orari che si accumulano tutti al 2° semestre.

E chiaramente al venerdì e al sabato! È così difficile trovare dei contrattisti per un polo d’ “eccellenza”? Senza contare corsi (e professori) giudicati di serie A e di serie B … ovviamente A si sovrappone a B ma B non ad A, nemmeno se A è terminato! Sembra una barzelletta, ma …

•Non parliamo poi della stima di cui gode il curriculum presso professori e compagni. Qualcuno ancora si stupisce della nostra esistenza! E grazie della vostra solidarietà! È un peccato, soprattutto perché da quest’anno si è manifestato un certo interesse per il nostro curriculum e

per i corsi che seguiamo, invertendo la tendenza degli anni passati.

MALI COMUNI. MEZZO GAUDIO?•Ci dispiace infierire sull’organizzazione

della segreteria, ma non ci rendono certo la vita più facile. Se gli orari, l’inizio dei corsi e le date degli esami uscissero per tempo potremmo esercitare meglio il nostro dono dell’ubiquità (vedi sopra). •Inoltre, se ad una conferenza non ho voglia di andare perché non mi interessa, gradirei che nessuno mi ci forzasse solo perché fa brutta figura. La prossima volta si preoccupi di fare qualcosa di utile ai destinatari (gli studenti, si suppone) e non agli organizzatori. Anche se è estremamente di moda qui da noi! Se ci sono tutti questi soldi (o lo fanno per beneficienza!?) perché non utilizzarli in maniera più razionale? Ci risulta che

alcuni corsi di quest’anno siano stati attivati coi fondi studenteschi, mentre le casse universitarie piangevano … Senza contare che per le conferenze indette dalle “autorità” si ferma il mondo e fiumane di scolaretti, con cartelle e in fila per due sono convogliati ad ascoltare le perle degli adulti. Al contrario, quando qualche studente si arroga il diritto di organizzare qualcosa … che si aspetta?! Striscioni sul corso? Che si trascurino importanti lezioni solo per lui? E che ritorno si avrebbe? Se ti interessa, attaccati! Prenditi le tue responsabilità. Ma allo stesso tempo vogliono che seguiamo le conferenze. Cioè, non tutte. LE conferenze. “Perché vi offriamo anche succose opportunità d’apprendimento extracurriculari!”

Finora abbiamo chinato la testa, ma siamo arrivati al culmine. Ora non siamo più bambini e abbiamo il diritto e il dovere di arrabbiarci. Le lamentele sappiamo che non portano da nessuna parte, ma troppi muri ci son stati eretti contro. Scusateci le male parole, ma la cortesia abbiam visto non paga. Fateci almeno sfogare.

IL PRIMO ANNO SEE

SiddentireLa Umma Ridente

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Sconfinare Maggio 200910Cultura e spettacoli STOPPT DIE WELLE!

Una ventata di multiculturalismo a Udinepassando per il grande giornalismo

Vicino/lontano, 7-10 maggio 2009

È ancora possibile un regime totalitario nel cuore dell’Europa democratica nel XXI secolo?La risposta, neppure troppo sorprendente, sembra proprio essere si. E forse non era necessario Dennis Gansel e il suo film “L’Onda” (Die Welle) a ricordarci quali sono i presupposti e le modalità per l’avvento di una degenerazione autoritaria, anche se molto sembra essersi perso nel passato: con a capo un leader carismatico, addomesticati al potere e alla disciplina del branco, rinchiusi nella corazza della camicia bianca, un gruppo di giovani allievi tedeschi sperimenta, tra i banchi di scuola, la nascita del regime, il fascino della dittatura.Si inizia con la teoria: disoccupazione, ingiustizia sociale, inflazione, insoddisfazione politica e nazionalismo, queste sono le basi, questi i presupposti, il terreno fertile per l’ascesa al dominio incontrastato, più o meno cosciente. Non basta, agli scettici studenti la teoria puzza di vecchio, di sentito e letto nei polverosi libri di scuola, c’è bisogno di andare oltre, di osare ancora, di superare il sottile confine tra sperimentazione e immedesimazione. Inizia il gioco delle parti, tutto prende forma. Poche regole, una divisa e alcuni gesti comuni identificano i membri dell’Onda. La razza, la religione, il successo entro e fuori le mura scolastiche non contano, l’Onda abbatte le barriere, supera le amicizie collaudate, rende tutti uguali. L’altro, il diverso è chi vive fuori dal movimento. Per i giovani studenti, tutto ora ha un senso, tutto ha uno scopo, fino alle tragiche conseguenze.Film forse troppo “didascalico” nel suo svolgersi, ma spettacolare e coinvolgente nei suoi 100 minuti di pellicola. Il Der Spiegel lo ha definito uno dei piu importanti degli ultimi anni per la sua lucida descrizione del potere fascinatore del totalitarismo. Un pugno nello stomaco. Se crediamo che gli autoritarismi siano solo un ricordo del passato, sia per la nostra giovane Europa che per il Mondo intero, prepariamoci ad essere i nuovi perdenti.L’Europa, la nostra cultura europea, ha in

1967, Stato della California, città di Palo Alto, un professore di liceo, Ron Jones, con lo scopo di analizzare la Germania del Terzo Reich impone ai suoi alunni un semplice regolamento: Strength through community, pride, action and discipline. Il nome del movimento, la Terza Onda, si riferisce ad una caratteristica dell’Oceano, la terza, è l’ultima e la più alta delle onde.Tutto prende avvio il 3 aprile, lo spunto all’immedesimazione è dato dalla difficoltà del professore a rispondere ad una domanda degli studenti su come fosse stato possibile che un intero popolo ignorasse le deportazioni, le segregazioni e lo sterminio operato dal regime. Come risposta: la sperimentazione in classe. Le regole del movimento sono puramente formali, le stesse riprese dal film: una postura corretta e disciplinata, per prendere parola alzarsi in piedi e rispondere ai quesiti del leader, rivolgendosi a lui come “Mr Jones”, nel modo più rapido ed essenziale, tre parole o meno.

I partecipanti aumentano, nel corso delle quattro giornate, passando da 30 a 200; con l’aumento degli adepti accresce il senso di appartenenza e ci si identifica con un proprio saluto, usato anche al di fuori della classe. Le derive collaterali, tipiche di ogni regime, non tardano ad arrivare, nel modo più spontaneo, c’è chi fa la spia e riferisce a Jones gli sgarri e la disobbedienza agli ordini da parte degli altri membri. Tutto termina con la convocazione di tutti i membri del movimento e l’aperta denuncia, da parte dello stesso leader, della degenerazione totalitaria a cui i giovani studenti erano incoscientemente arrivati. In meno di una settimana si era riprodotto lo stesso meccanismo manipolativo che gli stessi denunciavano come ormai superato e definitivamente tramontato.Oggi, studenti e professore della III Onda sono in rete: www.ronjoneswriter.com

Gabriella De DomenicoFrancesco Plazzotta

questo molto da insegnare ai nostri cugini d’oltreoceano, in questo, emblematico, è come le esperienze di Hiroshima e Nagasaki, il razzismo e la violenza non abbiano lasciato un senso di colpa nella coscienza del popolo americano paragonabile alle responsabilità che pesano e continuano a pesare sul popolo tedesco ed europeo per dei crimini come i genocidi e le lotte civili dell’ultima guerra mondiale.La domanda per tutti più ovvia: nella nostra Italia e soprattutto nella nostra università italiana e, perché no, nella nostra confinata Gorizia, può prendere avvio un’escalation di questo tipo? A voi l’ardua sentenza! certo è che l’Italia non è certo il Paese più libero, ma qui si smentisce lo stesso concetto di democrazia e di libertà come condizione necessaria perché una ricaduta totalitaria non avvenga; Noi crediamo che la democrazia sia solo il punto di partenza, non la meta. Fino a quando ci sarà una presunta libertà, una ipotetica democrazia, ma mancheranno, giustizia sociale, distribuzione adeguata delle risorse e accesso per tutti ai servizi più indispensabili, finché ci sarà corruzione, limitate possibilità per ottenere un’adeguata istruzione e preparazione scolastica, finché mancherà il diritto per tutti al lavoro e ad un lavoro umano..mancherà non solo la Democrazia, ma anche verrà meno il concetto moderno di Stato! Come si può creare l’Europa Unita, come si può “esportare” la Libertà nel Mondo se Noi stessi abbiamo solo un’idea teorica di cosa sia veramente? La nostra Italia, l’Italia che si arrabatta, che cerca di tirare avanti, questa Italia, questa volta, è destinata a soccombere.E noi studenti? A noi il compito più arduo, capire e far capire che solo con la cultura, con una coscienza ed un’autocoscienza possiamo definirci veramente liberi. Un piccolo pezzo di questa libertà l’hanno già conquistata prima di noi nei secoli passati, ora a noi la sfida più difficile.

Francesco [email protected]

La città di Udine sta dimostrando una spiccata propensione all’avvicinamento alle culture altre e lontane, cosa che in un’Italia che non vuol essere multietnica rincuora chi crede nel dialogo e nell’incontro tra culture. Dal Far East Film Festival al progetto Vicino Lontano la città friulana si presenta come ponte tra Occidente e Oriente. La manifestazione “Vicino Lontano”, appuntamento fisso ormai da anni, si propone di scoprire, indagare e trasformare analogie e contrasti al tempo attuale, quello dei conflitti mondiali, regionali, nazionali ma soprattutto relazionali. La dimensione umana durante i quattro giorni di incontri è senza dubbio quella che più conta: lo spessore dei conferenzieri e la profondità dei confronti mostrano le virtù migliori degli uomini. Tra di esse è stata protagonista indiscussa dell’evento la capacità di fare corretta informazione, abitudine che va perdendosi nel nostro Paese. Tra le varie presenze illustri, quelle di giornalisti onesti che hanno presentato le loro verità dei fatti internazionali e nazionali più

o meno recenti: dalla questione energetica alla crisi economica, dalla condizione delle donne nei paesi islamici al conflitto russo-georgiano, dall’immigrazione in Italia alla filosofia multiculturale. Serata di gala del giornalismo è stata in particolare quella della consegna del premio letterario internazionale Tiziano Terzani che ricorda il grande scrittore e giornalista, che seppe guardare e descrivere il mondo in evoluzione, raccontandolo nei particolari più avvincenti con estrema correttezza, precisione e notevole sensibilità. Sul palco in occasione della consegna del premio si sono ritrovati, la sera del 9 maggio, l’italiano Fabrizio Gatti e il pakistano Ahmed Rashid. Il primo, vincitore del premio l’anno precedente con il suo celebre libro Bilal: il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi, e il secondo, vincitore per l’anno corrente con Kaos Asia. Due grandi

volti del giornalismo pulito che indaga sui fatti e che arriva persino a mettere a rischio la vita stessa dello scrivente. Gatti, dopo essersi finto migrante, aver attraversato il deserto del Sahara, essere stato detenuto nel centro di Lampedusa, aver lavorato come immigrato clandestino nella civilissima Italia ed infine descritto tutto ciò nel suo libro, è tornato sulla via dei clandestini, la strada per Agadez, dove ha girato un video reportage. Immagini, interveste, voci, suoni, telegiornali si confondono e l’impressione diventa una certezza: i Paesi della bella Europa sono corresponsabili, con i loro accordi di amicizia -si legga sfruttamento delle risorse di questi Paesi- delle migrazioni dall’Africa. Una constatazione che in questi giorni di anti-multi-etnicità dovrebbe farci riflettere molto. Dal caos africano ed europeo con il nuovo vincitore ci si sposta più a est, in Asia,

dove la situazione è altrettanto, se non maggiormente, critica. L’Asia centrale è, secondo lo scrittore, tra i maggiori esperti dell’area a livello internazionale, la nuova polveriera mondiale. La destabilizzazione dell’area deriva dalle scelte sbagliate dell’Occidente che ha agito contrariamente ai suggerimenti che gli erano stati dati dai conoscitori della zona. Il fallimento occidentale, come dimostra l’aumento del fondamentalismo islamico, è evidente e lo sarà sempre più nel futuro. Di certo, ci sarà bisogno di nuove consulenze di Rashid, sperando che questa volta vengano prese maggiormente in considerazione. Specialmente, serviranno giornalisti che diano un contributo serio al bisogno di informazione della popolazione mondiale, sempre più illusa da false notizie. In questo la vivacità culturale della manifestazione “Vicino/lontano” continuerà ad offrire un apporto significativo.

Giulia [email protected]

“The wave”: la vera storia

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SconfinareMaggio 2009 11

Festival Jazz “Ermi Bombi”:Bireli Lagrene ed altri

ma fatica. Nato in Francia, proveniente da una famiglia di musicisti zingari, Lagrene ha iniziato a suonare da bambino all'età di 4 anni, le sue straordinarie doti musicali sono state scoperte poco dopo, tanto che già all'età di 13 anni venne definito come il successore di Django Reinhart, pietra miliare della musica gipsy. Dopo essersi

avvicinato per qualche anno alla musica fusion, da metà degli anni Novanta Lagrene è tornato ad accostarsi al jazz più tradizionale e dal 2001 ha intrapreso un progetto di riscoperta e ripresa della musica gispy.Durante il concerto di domenica sera Lagrene è stato accompagnato

dal chitarrista Hono Winterstein e, eccezionalmente, dal contrabbassista Jean Philippe Viret che ha sostituito l'infortunato Diego Imbert. Il repertorio presentato durante il concerto ha toccato molti dei grandi musicisti del secolo scorso, da Cole Porter a Django Reinhardt da Charlie Parker a Sonny Rollins, rivisitati in chiave ovviamente gipsy, quindi con l'assenza delle percussioni, cosa che ha reso talvolta un po' monotono il ritmo dei diversi brani. Diversi stili sono stati toccati, con brani dalle sonorità più latino-americane e altri dall'influsso rockeggiante, tutti accomunati dagli incredibili assoli che hanno reso famoso questo musicista. Nonostante la sua indiscussa preminenza musicale e scenica, Lagrene ha lasciato spazio anche ai compagni che hanno così potuto destreggiarsi in diversi assoli.Grazie anche ad un pubblico come quello goriziano, sempre molto effervescente e con voglia di interagire con gli artisti, Legrene ha sfoderato una notevole ironia, trasposta nei virtuosismi dei suoi assoli. Unica nota dolente del concerto è paradossalmente legata agli assoli del famoso chitarrista: l'eccesso di virtuosismi infatti si è spesso tradotto in un fraseggio poco comprensibile, a causa di un movimento rapidissimo delle dita sui tasti cha smorzava le note rendendole

poco udibili.L'eccessivo virtuosismo inoltre, ripetuto in ogni brano,risultava talvolta eccessivo e ridondante, rendendo alcuni brani un po' troppo simili tra loro mentre in altri si è sentita venir meno l'unità musicale del gruppo, per esaltare invece la sola chitarra solista.Ciononostante il pubblico goriziano ha apprezzato molto la performance, indubbiamente di altissimo livello, tanto che lo stesso Lagrene, alla fine del suo secondo bis è rimasto colpito dall'entusiasmo mostrato dal pubblico.La manifestazione si è conclusa il 12 maggio in bellezza, con il concerto del gruppo vocale Take6, gruppo di fama mondiale, vincitore di ben 10 Grammy Awards.Questo prim festival Jazz “Ermi Bombi” ha portato a Gorizia molti nomi internazionali di alto profilo, rendendo la città per qualche giorno centro musicale e culturale. Aspettando già il Festival del prossimo anno, si spera che più eventi di questo livello vengano organizzati nel corso dell'anno,in modo da rendere più interessante, attrattiva e conosciuta Gorizia anche ai turisti, agli appassionati di musica, facendo cos' entrare Gorizia nel novero delle città dove la musica di qualità è benvenuta ed apprezzata.

Leonetta [email protected]

Cultura e spettacoli

GABBA GABBA HEY!

In questo momento ascolto i Ramones a palla e spero proprio che ai miei vicini stia dando terribilmente fastidio. Diavolo, spero sia la cosa più fastidiosa che abbiano mai ascoltato in assoluto in vita loro. Così fastidiosa da non riuscire a studiare, a guardare la tele, a leggere il giornale o a parlare di soldi e di politica. Anzi, spero che chiamino pure la pula per schiamazzi notturni. Anche se non sto schiamazzando, si chiama punk, fatti una cultura! e tecnicamente sono, ehm, le quattro di pomeriggio. Ma non cerchiamo il pelo nell’uovo. Perché una cosa del genere manca davvero nel mio curriculum. Altro che stage o roba così. Io parlo delle cose che contano sul serio, metti che poi alla Rock And Roll High School la richiedano una multa per schiamazzi, non voglio per nulla farmi trovare impreparato. Già comincio ad essere vecchiotto e questi dettagli ti penalizzano, avrei dovuto fare la primina anch’io come tutti e saltare un paio di classi e prendermi avanti per tempo, invece di cazzeggiare. Competizione! Che magari va a finire che qualche pischello dell’ultima ora mi passa davanti in

lista perché ascoltava il suo stereo a un volume più alto di quanto non facessi io. Non lo tollererei.Insomma. Spero proprio che qualcuno qui fuori non riesca a sopportarmi per nulla, e men che meno quando ascolto i Ramones. Spero proprio che l’hostess dell’Alitalia che vive sopra di me non riesca a riprendersi dal suo turno di notte, già gli dava fastidio la chitarra acustica quando suonavo Bach, figuratevi questo. Spero che nessuno riesca a portare avanti alcunché (“portare avanti”, che espressione tremenda). Spero che non riescano più a lavarsi, a farsi una doccia o tingersi i capelli o tagliarseli o a farsi il riporto, a prendere integratori vitaminici, a seguire diete equilibrate, organizzare riunioni o leggere l’agenda o radersi o fare sport. Spero che nessuno sia capace di preparare il modulo e di pagare le tasse (soprattutto questo!), contrarre il mutuo (io spero di vaccinarmi) o prendere numeri per mettersi in qualche coda, una delle tante. Spero che i padri non possano padrizzare e le madri non possano madrizzare, così finalmente i bambini riusciranno a fare i Bambini. Spero che nessuno riesca ad ascoltare il

proprio medico e meglio ancora l’avvocato o il commercialista, (per non parlare poi dei notai che sono i peggiori di tutti: almeno gli altri qualcosa del loro ci mettono, non solo la firma). Spero che per una volta tutti smettano di perdersi in stronzate e che, se non altro, per un istante si guardino negli occhi prima di decidere cosa fare prima di tirare le cuoia come ogni Comune Mortale. A quel punto spero che facciano spallucce e si accendano una sigaretta e poi un’altra e rimangano ad ascoltare, che escano in strada visto che c’è il sole o magari che se ne finiscano tra le lenzuola una buona volta, insomma gente! E’ lunedì e guardate che sole! E infine spero che vengano a bussarmi alla porta per farmi smettere. Non sentirei nulla, figuriamoci, divento ogni giorno più sordo quando qualcuno bussa e non mi dispiace per niente. Mi sa proprio che dovrebbero buttarla giù a spallate, e sapete cosa gli direi una volta che fossero qui in casa mia, davanti a me che scrivo al computer, prima ancora che possano aprire bocca? La birra è nel frigo, e ce n’è per tutti.

Rodolfo Toèrodolfo.toè@sconfinare.net

Dal 6 al 12 maggio si è svolto a Gorizia il primo Festival Jazz “Ermi Bombi”, erede della tradizione del Gorizia Festival organizzato negli anni scorsi. Dedicato al jazzista goriziano Erminio Bomb, musicista molto noto nella zona e molto apprezzato anche a livello internazionale, il festival organizzato dal Comune di Gorizia è stato aperto da una serie di eventi musicali collaterali che hanno visto esibirsi ensemble jazz della zona. L'inaugurazione, avvenuta il 7 aprile presso il Teatro Verdi, ha avuto come protagonista un ospite d'eccezione, Lelio Luttazzi, musicista triestino di grandissima fama, accompagnato dal cantante e trombettista Guido Pistocchi, e seguito da Glauco Venier, jazzista udinese, accompagnato dal sassofonista Klaus Gesing. Nelle serate successive si sono susseguite altre personalità di spicco del mondo jazz contemporaneo, come le Puppini Sisters, gruppo italo-londinese che ha ripreso lo stile swing del celebre gruppo degli anni '40 Andrew's Sisters, e il fisarmonicista di fama mondiale Richard Galliano, conosciuto per aver portato avanti sia la “musette”,la tradizione della fisarmonica francese, sia quella del tango di Astor Piazzolla.Domenica è stata la volta del chitarrista enfant prodige Bireli Lagrene, che ha presentato il suo Gipsy Trio, la sua ulti-

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Sconfinare Maggio 200912Stile Libero

Gli ultimi giorni di maggio hanno visto un folto manipolo di studenti del SID, iscritti e simpatizzanti, partecipare al viaggio di visita presso le istituzioni europee organizzato dalla sezione goriziana del Movimento Federalista Europeo.Il tour di cinque giorni ci ha visto raggiungere la città tedesca di Francoforte e quella francese di Strasburgo, dove hanno sede importanti organi comunitari. Trascorsa una entusiasmante notte in autobus, la fredda e piovosa accoglienza della città sul Meno è stata mitigata dal benvenuto riservatoci presso la Banca Centrale Europea, nella quale dopo la visita guidata abbiamo assistito alla conferenza dei dott. Mazzaferro e Zisola sul ruolo e le funzioni della BCE, spaziando attraverso argomenti di più stretta attualità quali i rischi continente di fronte alla crisi economica e le risposte europee.Dopo un lauto pasto e una breve visita della città sul Meno, ci siamo diretti oltreconfine verso la città di Strasburgo e il luogo di pernottamento per le successive tre notti: Munster, un piccolo comune alsaziano di 4000 abitanti con una pensione a conduzione familiare la cui capacità ospitante ha sorpreso tutti noi.

Il giorno successivo è stato dedicato alla visita libera della città, che per la sua identità biculturale è conosciuta come una delle capitali dell’Unione: dalla cattedrale gotica al centro storico della Grand Ile, patrimonio Unesco; oltre che, ovviamente, alla ricerca di qualche specialità alsaziana per i pasti e qualche svago serale.Il viaggio è proseguito l’indomani, con la visita al Consiglio d’Europa, il tour guidato alla Debating Chamber dell’Assemblea e

la conferenza sul ruolo di questa organizzazione internazionale, a n c o r a troppo spesso sconosc iu ta , o peggio, confusa, con le strutture i s t i t uz iona l i d e l l ’ U n i o n e Europea (il C o n s i g l i o E u r o p e o ) . Q u e s t a organizzazione

(di cui fanno parte, per intenderci, anche paesi come Russia e Turchia) ha lo scopo di promuovere l’identità culturale europea vegliando sul rispetto per i diritti e la democrazia, predisponendo e favorendo la stipulazione di accordi e convenzioni internazionali tra gli stati membri. Tra le istituzioni che dipendono dal Consiglio d’Europa, la Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU).L’ultima sera a Strasburgo abbiamo

Con il MFE di Gorizia, in visita presso le istituzioni europee

avuto modo di trascorrerla in compagnia dei giovani della sezione JEF (Jeunes Européens Fédéralistes), occasione di svago e di confronto sulle tematiche e le battaglie comuni che portiamo avanti nei rispettivi paesi. Come ultima tappa del viaggio, la visita al Parlamento Europeo ci ha portato ad assistere dalle tribune a parte della seduta parlamentare dalla tribuna e all’entusiasmante e piacevolmente informale dibattito con la parlamentare europea uscente P. Napoletano, vice presidente del PSE e della Commissione esteri. Oltre al coinvolgente entusiasmo della nostra connazionale nel raccontare il funzionamento di una sessione plenaria e la sua personale esperienza politica, l’onorevole ci ha intrattenuto con il resoconto del recente viaggio a Gaza con la delegazione europea nei territori palestinesi colpiti dal recente conflitto.Un viaggio che ora, a meno di un mese dalle elezioni per il rinnovo del parlamento, non poteva che risvegliare le coscienze europeiste di ciascuno di noi.

Matteo B. [email protected]

9 Febbraio 2009, ore 7.00 amMi sveglio, trangugio la colazione, mi infilo sotto la doccia e poi, vestito esco di casa. Destinazione? Consolato Onorario di Francia a Trieste. Ansioso come non mai, pedalo verso la stazione con la mia nuova bicicletta blu comprata per l’occasione. Le parole di Edoardo Buonerba sulla serietà necessaria per questo stage mi riecheggiano nella mente (adesso, col senno di poi, ho capito di non aver capito niente). Salgo sul treno e sfreccio via con esso alla volta di Trieste. Scruto avidamente dal finestrino il magnifico paesaggio della Venezia Giulia illuminato dal sole. Poi, all’improvviso, mi compaiono alla vista il mare con la sua gemma: Trieste. Lentamente, riesco a notare sempre più particolari – Miramare, Barcola ed il Colle di San Giusto. Nel mentre, il treno penetra in città come se fosse il lento atterraggio di un’astronave su un mondo sconosciuto. Posato il piede a terra, mi dirigo immediatamente all’uscita della stazione. Il caos del traffico triestino mi avvolge e, un po’ stralunato, imbocco Corso Cavour. Cammino come un’ebete, rapito dalla bellezza di alcuni palazzi e dall’odore del mare che riesce anche a coprire la puzza di smog che tutto quel traffico così invadente riusciva a produrre. Poi, quasi per caso, si apre alla mia sinistra Piazza Unità d’Italia. Destinazione raggiunta. Si comincia. “Bene, questo è quello che devi fare prima di tutto: accendere le luci, tirare le tende,

accendere il computer e lo scanner e staccare la s e g r e t e r i a t e l e f o n i c a . ” Queste sono state le prime indicazioni che Mme Leggeri mi ha dato quel giorno. Ma sebbene fossero semplici, sono state tutt’altro che facili da assolvere all’inizio …Sapete, per uno che come me non ha mai fatto il pendolare nella propria vita fino ad oggi, alzarsi tutte le mattine alle 7.00 e prendere il treno per andare a Trieste è stata un esperienza un po’ traumatizzante. Infatti, il timore di perdere il treno mi ha assillato per tutto il mese! A ciò si aggiungeva il mio terrore folle di rispondere al telefono e la mia incapacità a scrivere in un francese decente. Un cocktail letale che mi attirava quotidianamente una serie di rimproveri da parte di Mme Leggeri. Me ne sono successe di cotte e di crude. Un mattino la Console Leggeri era fuori città per un impegno: panico! Come avrei mai potuto mandare avanti il Consolato da solo? Infatti la mattinata fu disastrosa: arrivato in ritardo (avevo perso il primo treno) mi sono ritrovato davanti alla porta del Consolato ben 3 persone in mia attesa.

Entro, faccio accomodare il signore e le signore e cerco di adempiere la “procedura standard”: accendo le luci, apro le tende, accendo il computer … Mi accingo infine a riceverli. Ma proprio in quel momento squilla il telefono: orrore! Mi ero scordato della segreteria … la voce di Mme Leggeri riecheggia tramite la registrazione: “ Tommaso, bisogna spegnere la segreteria telefonica!” Il mio calvario prosegue cercando di capire come funzionano rinnovi di carte d’identità e passaporti, richieste di iscrizioni consolari e descrizioni di foto in formato corretto – è una follia, perfino le foto devono avere un formato particolare in Francia! Fortunatamente, dopo la disfatta campale di quella giornata, le cose hanno migliorato (anche se lentamente!): ho trovato il coraggio di rispondere al telefono – riuscendo anche a creare frasi di senso compiuto - ed ho iniziato a capire tutti i meccanismi di

funzionamento del Consolato (che moduli stampare e dove archiviarli). Inoltre, la mia capacità di scrivere in francese si è decisamente evoluta , facendo calare il numero di rimproveri e rimbrotti di Mme Leggeri.30 aprile 2009, ore 12.00Dopo mille e mille vicende, chiudo per l’ultima volta il Consolato. Spengo il computer, attacco la segreteria telefonica, chiudo le tende e spengo le luci. Lascio la mia copia di chiavi nel cassetto ed esco. Il cielo di Trieste è grigio e nuvoloso: sembra quasi che anche lui, come me, sia leggermente rattristato da questo addio. Ma è solo un momento passeggero. Il cielo torna limpido e sereno ed io mi godo un pomeriggio di sole a Trieste: il dono più bello che si possa ricevere.

Tommaso [email protected]

Diario minimo di uno stagista

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SconfinareMaggio 2009 13

TOSCANA, il Chianti e dintorni

Stile Libero/Viaggio in Italia

L’attuale discussione strappa-capelli sulla natura più o meno multietnica del nostro Paese mi ha riportato a due episodi recenti. Da un lato, all’ultima indagine portata avanti da Sconfinare sulla Caritas di Gorizia, dove gli scrittori illuminati dalla riscoperta dei passi biblici inneggiavano in conclusione dell’articolo a un ritorno a radici cristiane non a parole, ma nei fatti. Dall’altra la singolare campagna che l’Italia aveva voluto portare avanti, a nome del Vaticano, durante la stesura della Costituzione Europea, quando pareva vitale sottolineare le radici cristiane dell’Europa, sperando soprattutto in un buonismo da parte di nonno Giscard sotto le pressioni del “suo Amato”.Con le sue ultime dichiarazioni, per l’ennesima volta la destra fornisce una grande occasione da gol a una sinistra morta, che alla destra serve di meno che da viva. Mi si potrebbe chiedere il perché io colleghi una questione politica, migratoria, ad una questione religiosa? Innanzi tutto, perché lo Stato fornisce i propri dati sull’immigrazione proprio attraverso la suddetta Caritas, proprio attraverso la bontà caritatevole dei

cattolici (non degli italiani!). In secondo luogo perché mi spavento, personalmente, d e l l ’ u n i c u m a cui si tende sempre a razionalizzare la diversità invece esistente. Definire e quindi r i c o n o s c e r s i in un modello artefatto porta a non capire, a chiudersi, a “dare addosso al barbaro”. Riconoscere le radici cristiane ed appellarsi a queste è un atto più che dovuto, ma dimenticare che l’Italia ha anche radici greche, arabe, pagane, medievali e, come dice giustamente uno degli scrittori sopra menzionati, mediatiche (negli ultimi 30 anni) sarebbe un torto, sarebbe una cecità da parte di una intera classe politica e di un’intera società. La multi etnicità italiana allora è il

solo fatto di definirsi siciliani, laziali o friulani. Annunciare che non esiste multi etnicità in Italia, senza avere neanche la premura di lasciare spiragli di interpretazione aperti per salvare il salvabile, vuol dire rinnegare una differenza già esistente fatta di secoli di cultura. Vuol dire, infine, non fornire appoggio teorico al tanto proclamato e voluto federalismo. Certo, le problematiche migratorie

italiane hanno una risonanza anche europea ed internazionale ma proprio dallo studio delle altre società si potrebbe apprendere di più. Ma sembra che la ripugnanza per i migranti si eguaglia a quella per i consigli. Le nostre politiche perdono allora di valore, si sgonfiano di fronte al metodo con cui sono gestite, che per tradizione alterna tecnicismo a becera demagogia, propositi legittimi a baldanzose esagerazioni. Gli antichi romani e gli italiani di oggi non si differenziano allora, quando si accaparrano del buono che gli può venire da uno Stato “altro” e schiavizzano in terra propria le persone dello stesso. Mi viene da pensare alla Dacia, che venne saccheggiata dei tesori garantendo splendore a Roma per un altro po’ di tempo. Oggi giorno la presenza imprenditoriale italiana in Romania è elevatissima. Sfruttare il basso costo di manodopera va bene. Accogliere in maniera civile, come civile dovrebbe essere il nostro Paese, persone che sperano in un futuro italiano, no. “Dagli ai barbari!!!”

Edoardo [email protected]

Le molteplici radici dell’ItaliaUna riflessione sulla multi etnicità nel nostro Paese

Se vi dovesse capitare di trovarvi a Monteriggioni o a Castellina in aprile, verreste accolti da collinette dolci che segnano la linea dell'orizzonte, ornate da vigne o prati di margherite bianche e gialle, attraversate da strade sinuose con pochissime macchine. Questo è il Chianti, quella zona compresa tra le province di Siena e Firenze, caratterizzata da spazi collinari coltivati a vigne con i casolari antichi e circondati da un insieme di paesini medievali, con la cinta delle mura attorno alla piazza del paese dove sta la chiesa e la sua facciata con l'ampio rosone. Così si presentano tutti questi paesini, come ricorda Dante nel XXXI canto dell'Inferno a proposito di Monteriggioni, che in su la cerchia tonda di torri si corona.La Toscana vista da qui fa pensare ad un perfetto compromesso tra sviluppo economico e tutela dell'ambiente, i paesaggi così dolci si devono al modello della mezzadria, con le terre direttamente gestite dai contadini, modelli diversi hanno provocato disastri sociali e paesaggistici: oggi sono ancora evidenti al meridione le conseguenze del latifondismo, fondato sulla deresponsabilizzazione e sugli sprechi.

Certo, assaggiare un pezzetto di pane toscano la prima volta e scoprirlo sciocco è una sorpresa, ma quando arrivano lardo di colonnata, coppa, spalla, pecorino, salame di cinghiale, tutto si spiega, altro sale sarebbe fuor d'opera. E d'altronde, se siete nel Chianti, non vi

paesone, piuttosto provinciale. Anche lì gli studenti lamentano, ma godono di spazi propri, e passeggiando per piazza del campo senti le lingue del mondo. Vi si potrebbe mandare in viaggio studio il Sindaco Romoli assieme al Presidente del comitato antischiamazzi, scoprirebbero con sommo sbigottimento che la storia e le tradizioni della città non sono messe in pericolo

dagli studenti, i quali hanno fatto di Siena tra le città italiane più legate ai rapporti internazionali.Firenze: la culla del Rinascimento ed anche di Piero Pelù, ti siamo grati per entrambi. P a s s e g g i a n d o per le sue vie, passando tra il Battistero color nero fuliggine e il Duomo appena tirato a

lucido, troverete turisti di tutto il mondo, ciascuno che sembra star lì spavaldo a voler riaffermare che i luoghi comuni hanno sempre un fondamento di verità oppure semplicemente che all'estero ognuno ha bisogno di riaffermare le proprie origini. Sicché, una volta che vi sarete fatti spazio tra i giapponesi con le webcam e le comitive polacche con le magliette con Wojtyla, arriverete a piazza Santa Croce.

Abbandonate la sciocca idea di prendere un caffè o una pizza, e dritti e decisi puntate alla Basilica. Uno spettacolino mi distrae, ci sono tre ragazzi rom che suonano musica tzigana, attorno a loro una gruppo di turisti francesi, in pochi minuti un centinaio di persone vengono coinvolte nella danza, i francesi battono il tempo e il ragazzo rom alla chitarra ride felice. Come dice l'antico proverbio, non tutti i rom vengono per nuocere.Entrare a Santa Croce dovrebbe essere un must per sviluppare un po' di patriottismo, io volevo soltanto vedere Foscolo e le sue basette – cosa che consiglio a tutti – ma effettivamente l'Itale glorie serbate nella Basilica stimolano l'orgoglio nazionale. Passo in rassegna, come un generale con il suo esercito, riconosco Meucci, Fermi, Michelangelo e Machiavelli. C'è anche la tomba di Galilei, la quale aveva creato qualche problema all'oscurantismo cattolico dell'epoca.Subito fuori, il chiostro del Bernini mi permette di riposarmi al sole fiorentino, chiedo una bevanda ad un chiosco e il cameriere bengalese, credo, si volta al connazionale dietro di lui: “Nedo, una hoca per il dottore”, sorrido soddisfatto, l'integrazione funziona e il mio narcisismo ne esce rinvigorito.La Toscana rappresenta il meglio dei secoli di Storia italiana, in tutte le sue declinazioni, e rimane un posto di sperimentazione, un laboratorio sempre al lavoro, che fa da avanguardia e anticipa le nuove e positive tendenze.

Federico [email protected]

Viaggio

in Italia

preoccuperete troppo del pane, anche nella più truce salumeria il rosso di casa è più che accettabile.Il Chianti si estende dunque tra le due città di Siena e Firenze, d'obbligo visitarle entrambe.La prima, per chi vive a Gorizia da universitario, può servire da metro di paragone, come può inserirsi una comunità universitaria in una città, o meglio in un

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Sconfinare Maggio 2009

Scripta manent

Io mi sono trovato a passare da quelle parti(tra rospi e intrugli di streghe senza processo)

“Gli antipatici”, secondo Oriana FallaciQuesto articolo nasce in ritardo. In ritardo, infatti, mi sono accaparrata uno spazio su Sconfinare, in ritardo ho deciso di quale libro avrei parlato, in ritardo ho inviato l’articolo. Il problema è stato tutto nella scelta del Verbo: io ho optato per le esperienze, lo stile, la spiritualità pragmatica della Fallaci, per il profumo di sagacia, cultura ed etica che si respira in ogni suo libro. Ne “Gli antipatici” sono inserite diciotto interviste fatte ad attori e registi, musicisti e titolati, playboy e miliardari, politici e atleti, tutte nate nel corso del 1963 e tutte pubblicate su “L’Europeo”. Le interviste raccolte nel volume svelano le sfaccettature dell’individuo e dei momenti storici, sfiorano usanze di stati diversi e fotografano ambienti intimi; insomma, la Fallaci punta ad un bersaglio preciso ma la freccia è l’atmosfera che circonda l’oggetto della sua indagine. Con alcuni ci riesce meglio, con altri ci litiga meglio, con tutti traspare la sfumatura dell’icona, un’umanità da libro e non da copertina che confonde i confini delle rispettive categorie.

La prima ad essere sottoposta al girare ritmico dell’allora avanguardistico magnetofono è Ingrid Bergman, l’algida “Donna in grigio” che parla correntemente cinque lingue,tanto che concede l’intervista in italiano per poi recitare la sera stessa in francese. La segue “Il mangiatore di cannibali”, Don Jaime de Mora y Aragòn, fratello della regina Fabiola del Belgio, giullare tragico della dolce vita mondiale. La terza intervista è quella a Nilde Iotti, la donna integra, intelligente, che insegna quello che lei stessa ha dovuto

imparare, “La compagna di Togliatti” è una protagonista della rinascita italiana che crea paradigmi senza l’intento di catechizzare. Poi tocca al “Famous italian director”, Federico Fellini, quello a cui la Fallaci dava del tu e diede in seguito del lei, quello che Jeanne Moreau un po’ più avanti nel libro definisce “un tale bugiardo che la menzogna diventa alla sua buona fede verità sacrosanta”. Quindi Arletty, “Gli occhi del Paradiso”, l’attrice simbolo della belle époque francese, l’interprete di “Les enfants du Paradis”, che divenne cieca e ossessionata dalla propria cecità, colei che fu salvata dalle cose buffe e cita le geniali battute di Prévert. Nella squadra dei miliardari la Fallaci inserisce Francisco Pignatari, allora marito di Ira Fürstenberg, l’uomo che possedeva “i gesti lenti e sicuri dei diplomatici e la erre così moscia che ad un certo punto cessa d’essere moscia per non esistere più”. “La parte di minorenne” è di Catherine Spaak, nipote di quel Paul Henri primo ministro del Belgio, la quale dello zio non ricorda nulla se non l’immensa pancia e che, per la verità, non sa nulla nemmeno di quello che le succede intorno;ma si merita ugualmente la tenerezza della Fallaci per la freschezza dei propri ragionamenti. Gianni Rivera rappresenta la categoria degli sportivi, è qui “Il figlio del ferroviere”: il calciatore più forbito della storia, puntuale nelle risposte -chiaro frutto di riflessioni pregresse- il ragazzo che scioglie le generalizzazioni dell’autrice

sulle nuove generazioni e non sa ancora immaginarsi quel futuro senza calcio che diventerà un seggio al Parlamento Europeo. Personaggio non meno interessante è la contessa Afdera Fonda Franchetti, imperatrice dei salotti newyorkesi, sorella di un Nanuk (che vuol dire uomo del Nord), di una Lorian (che è il nome di una palude africana), di una Simba (che è il nome di una leonessa), lei stessa chiamata con il nome di un vulcano, soprannominata da Hemingway “sophisticated puppy”; una persona seria con un lato frivolo, non una persona frivola con un lato serio. L’”Addio toro” è dedicato ad Antonio Ordoñez, il

torero più famoso degli anni Cinquanta e Sessanta: a lui la Fallaci diede del “vaccaro fascista”, per poi fare pace e intervista. Segue Cayetana d’Alba: una “Duchessa”, una sessantina di titoli nobiliari frutto di secolare incestuosa

vanità, un’omonima antenata che posò nuda per Goya, gioielli e castelli e un riserbo spaventato nel tacere su Franco. “Ed è subito Nobel” è il capitolo di Salvatore Quasimodo, il Poeta altero e triste che per la maggior parte dell’intervista insulta colleghi e non, che sdegnosamente rifiuta ridondanti inviti telefonici ad un convegno in provincia di Varese –proprio perché in provincia di Vares- e alla fine accetta con finto risentimento. “La femme fatale” Jeanne Moreau offre la particolarità del proprio volto all’abilità descrittiva della propria intervistatrice e racconta le origini

Anche la poesia oggi viene dimenticata. Produzioni poetiche odierne pubblicate e abbandonate. Così ridondanti, così facilmente accessibili. Nulla emoziona, niente è più vividamente descritto. Una poesia immobile, rattrappita. Noiosa ed annoiata. Trascurata perchè non rispondente all’attuale principio del concreto. Un mucchietto di parole, frasi scritte tutte a sinistra ammassate dagli enormi spazi bianchi di destra. A volte però si riscopre ancora lo stupore. A volte ancora permane l’insistenza di un bagliore. Ancora qualcuno ridona alla produzione poetica bellezza, calore, lo stato di sublime necessità. Umilmente la mano di quel qualcuno risponde all’istinto. Innocente cede il passo all’irrazionale. Quell’istinto è di nuovo poesia.

Non servono grandi città, il gusto sofisticato della metropoli per riscoprire sentimenti universali; la meraviglia non necessita di slogan o di pressanti campagne pubblicitarie. Piano piano il verso nasce ad Andreis lucido, schietto, autentico. Il verso di Federico Tavan, poeta friulano delle valli. Così si incontra la sua poesia, umilmente essa si dona e subito si fa amare. Inizialmente Tavan scrive per disperazione, dice. Nel verso emerge una vita passata tra ospedali, ambulatori e centri di igiene mentale: posti che non fanno per

lui, come egli stesso afferma, per i suoi comportamenti poco comprensibili, le ansie ricorrenti, i pensieri audaci. Nel suo vissuto Federico Tavan arranca in uno stato precario, non cerca pietà, non ricorre all’autocommiserazione. Esprime se stesso, la sua sofferenza. Poi l’incontro col gruppo culturale Menocchio, immediatamente si scopre la forza della sua scrittura, di quei versi in friulano che suonano come un urlo disperato. Sui quaderni del Menocchio di nuovo quei versi tutti a sinistra ora riempiono il silenzio del bianco che li affianca. Nascono così le prime pubblicazioni e

segue la mobilitazione di alcuni scrittori (tra cui l’amico Paolini) affinchè il poeta - “nostra preziosa eresia”, com’è stato definito - possa beneficiare della legge Bachelli che concede un vitalizio a cittadini indigenti distintisi nel mondo dell’arte.

Quella di Tavan è arte pura. Scrive per piacere. Fugge con i suoi canti la modernità mentre alla ricerca di sentimenti autentici, di relazioni sincere, della realtà delle parole fagiolo, cane, zucca, Tavan scrive e segna sul foglio il destino di un uomo. Un uomo comune, pifferaio di vite comuni vissute al

limite. Ed è proprio l’esperienza del finito che rende pura la sua poesia. Custode di sentimenti che non fanno storia, di vissuti che guastano il paesaggio, il poeta si fa portatore del grido delle pantegane che infangano le mani. Si ribella alla propria condizione, canta il mondo dei non vincenti, ma senza rassegnazione. La sua poesia è un grido universale: io muoio su una croce diversa/ mordendo i chiodi/ e spingendo i piedi/ verso il basso a sentire/ l’erba che cresce. La produzione di Tavan nasce in questo modo, tra letture e interpretazioni dei maudit e del caro maestro Pasolini di cui egli continua l’opera in friulano. Ama gli eremiti, gli emarginati, ama le contraddizioni per restare se stesso. Tavan mette in luce l’esistenza di chi è in ombra, porge spiragli di purezza. Come spesso accade però dopo le prime pubblicazioni la necessità cede il passo all’abitudine. Tavan allora non scrive più, rifugge l’attuale meccanismo dell’efficienza. Mentre le sue pagine conservano valori e valore nel tempo, egli smette quando entra nei meccanismi umani. “E ‘i son passatz tre dis ... ‘I àn sfurcjat la puarta, ‘i àn parat jù i armarons e al comodin. Jo ju spetave, platat sot al liet. “AH, DIU! ‘I SON RIVATZ I UMANS”.

Nicoletta [email protected]

disagiate e l’ambizione costante, in un vortice di pensieri che sfatano un mito e ne creano un altro. “Il signor Castità”, Lord Alfred Joseph Hitchcock, ripete le sue storielle che non cambiano mai e affascinano sempre, sulla suspanse, sul Mac Guffin, su quanto gli piaccia che le sue fantasie criminali vengano materializzate da veri assassini, e compatisce l’interlocutrice perché dovrà descrivere un uomo di cui non sa nulla mentre l’interlocutrice compatisce lui, di certo l’uomo più cattivo che abbia mai incontrato. Lo spazio della “Mamma tragica” è quello di Anna Magnani, che sa divertire con l’accento romano e i suoi aneddoti su quel cafone di Marlon Brando, che è simpatica e misteriosa. “Il grande seduttore” fu invece una delusione: Porfirio Rubirosa, sposo delle più belle donne della terra, si fece spaventare dal girare ritmico dell’allora avanguardistico magnetofono e le sue notissime doti di conversatore rimangono tuttora privilegio di pochi. Quella di Natalia Ginzburg, “Con molto sentimento”, è l’intervista preferita della Fallaci, quella che fece ad una donna che “assomiglia incredibilmente ad una zia e non ha le stigmate esteriori della scrittrice” e in cui si fece raccontare di Leone Ginzburg e della Storia. “Il demonio di Mount Kisko” chiude la serie presentando Giancarlo Menotti, compositore che ebbe tanta fortuna in America ma creò per l’Italia il prestigioso Festival dei Due Mondi di Spoleto.Un nome che, come gli altri, vale la pena riempire di qualche significato.

Valeria [email protected]

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Maj 2009 IISconfinare

Roparji

Evropske volitveTa članek je ljubezenski poklon Evropi , torej je naiven. Je napad na našo politiko, torej je banalen. Govori o evropskih volitvah, torej je originalen. Resnično. Četudi polemike glede obiskanosti od našega predsednika vlade, ki vsekakor me ne presenečajo, in tisto glede »velin«, ki so najprej bile, potem pa ne, bo kašna multimedijska hiša, upajmo da pred šestim junijem, spregovorila zares o evropskih volitvah ter o kandidatih, ali celo – ampak to so že sanje - o referendumu, milostno prestavljenemu na enaindvajseti junij na srečo vseh študentov, ki študirajo izven kraja bivanja.Evropske volitve torej.Pustimo govoriti podatkom in dejstvom. Prvo dejstvo: v 2009, italijanski evroposlanci so najbolje plačani v Evropi, četudi so v Bruslju v povprečju manj kot 50% časa. Najljubši je Bova, Demokratična stranka, prisoten v parlamentu le enkrat, na dan ko je bil končno, dva meseca po izvolitvi, odstavljen zaradi nezdružljivosti funkcije (vendar je bila njegova funkcija nezdružljiva že od izvolitve). Ampak ni bil le Bova. Naši evroposlanci se tudi najhitreje menjujejo, lahko najdemo tudi menjavo že zamenjanega. Kaj nam to pove? Da za nas, Evropa ne šteje. Gre za odličen parkirni prostor, preden se najde kaj boljšega. To še posebej velja od letos naprej, po reformi evropskega plačilnega sistema za evroposlance, ko so evroposlanske plače fiksirane na določeno vsoto enako za vse. Dosežek? Veliko naših regijskih svetnikov zasluži več kot naši evroposlanci, torej bodo vsi želeli imeti poslanstvo v regiji in ne v Bruslju. Dobro bi lahko rekli, sledeč po temu kar naš premier sporoča, kajti Evropa naj ne bi bila drugo kot težava ob uveljavljanju pravilnih italijanskih, preveč birokratska in nič kaj združena ob pomembnih trenutkih, nepomembna Evropa, ki pa ji vseeno uspe biti moteča. Vendar je tudi Evropa Evra, ki ne glede na to kaj reče vox populi, nas je rešil Lire, ki ne bi zdržala niti krizi preteklih let, kaj šele

sedanje. Evropa, ki bi lahko s resno reformo o združenosti rešila svoje politične težave in to če bi si le mladi Evropejci želeli. Je Evropa birokratskih mlinov, glede tega ni dvoma, je nesmiselno, tako kot vsaka birokracija. Vendar je tudi Evropa, kateri uspeva ustvarjati sožitje med

sedemindvajsetimi državami, triindvajsetimi jeziki in skoraj 500 milijonov ljudi in njihovih pravil, v najbolj drznem poskusu združevanja narodov. Tako kot vse velike birokracije – se kdo spomni Sovjetske - je v ozadju norost. Vendar to nam ne dovoli spregledati norm, kot je v Italiji že praksa. Kajti naša, večkrat ponovim, je čudna država, govori eno – dela drugo. Naša vlada sovraži Bruselj in zato ji je povrnjen. Ostaja država članica, vendar njeni evroposlanci počnejo vse, razen obiskovanja zasedanj evropskega parlamenta. Brez sramu ignorira zakone, ki se sprejmejo tam, in s tem sporoča ljudstvu, da lahko konec koncev, počnemo tisto kar želimo. Je res? Pa poglejmo.Letno, koliko evropskih zakonov je Italijanski parlament potrdil, recite nekaj, ne boste nikoli ugotovili. Osemdeset procentov. Osemdeset procentov italijanskih zakonov

je bilo narejenih v Bruslju, in največkrat naši evroposlancev ni tam. Osemdeset procentov naših zakonov, če so Aristotelove trditve pravilne, so torej pisani od drugih držav. To pa ni kar nekaj, tri primeri kot dokaz.Prvič. In ne za brcniti mojo zemljo, vendar je dejstvo, ki škoduje vsej Italiji. V teh mesecih, je bil sprejet zakon, ki dovoljuje pridelavo rdečega vina tudi iz različnih sort - belih in rdečih. Rosato del Salento je narejen iz enega samega grozdja, popolnoma drugačne kvalitete, vendar sedaj nosi enako ime. Naša zgubljena delegacija, no tisti ki so se znašli tam, so glasovali ZA. Drugič. Potrjen je bil zakon, ki omogoča izdelavo testenin iz mehke pšenice, namesto ostre. Tukaj resnično ne vem, kje so bili naši.Tretjič. Mreže za lovljenje rib. Hvala enemu zakonu, ki so ga hotele skandinavske države, luknje v mreži morajo biti določene

velikosti, le te so primerne za ulov velikih rib severnih morij, ne pa tudi za sredozemsko morje. V kolikor bi sicilijani upoštevali to evropsko normo, ne bi ulovili nič. Sedaj lahko tudi rečete, da gre za podrobnosti, vendar 80% naših zakonov je napisanih od drugih. V tem primeru ali odidemo iz EU ali pričnemo pošiljati ljudi ki v evropski parlament tudi grejo.Sem preučil listo kandidatov za evropske volitve. Liste skoraj niso za v javnost. Tiste od Ljudstva svobode (Pdl), sramotne, od Nino Strano, ki je jedel mortadelo ob velikem povratku Mastelle – in ne dodam več, kot usmiljenje bralcem. Od Demokratične stranke (PD), kjer zadovoljive, slabe in dobre izbire, so med seboj tako pomešane, da izgubijo kar se da glasov; od Idv –ja so umazane s ljudmi, ki na koncu v Bruselj ne bodo šli, začenši s Di Pietro; tiste od Demokrščanske unije (UDC), so sploh najbolj grozljive in zares ne bi vedel od kje naj začnem kritizirati: od Magdi Allam, ali Emanuela Filberta? Mogoče bi šel prepričano navajati De Mita, za skupino »mlada moč Evroposlancev«. Na koncu pa še liste Levice in Svobode, za katere se ne more narediti velikih diskurzov, saj ne bi vedel koliko poslancev jim bo uspelo pripeljati v parlamenti ( vendar izpostavim med njimi Margherito Hack, to gre podčrtati).Gre za povsem arbitrarno vožnjo, priznam. Vendar priznate mi vsaj, preko političnih idej posameznikov, da se boste odločili poslati v evropski parlament odgovorne osebe, kor naprimer De Mita ali Mastella, ali kdo ki za njih, ni znak velikega upoštevanja za Evropo. Zares ni, glede na prej našteta dejstva.Evropa, brez katere hote ali nehote ne moremo več. Mi pa jo dojemamo kot eno alternativno prestižno parkirišče, pokopališče slonov, ali en nov kovček, kjer odložimo naše malčke, plesalke in zakaj ne tudi kakšnega kaznjenca.

Francesco ScatignaPrevedel Tom Ločniškar

Minilo je okoli 48 ur od prvega hudega potresnega sunka, medtem ko sem površno gledal televizijo sem slučajno zagledal program Bruno Vespe posvečen potresu v Abrucih: potem ko je reportaža na dolgo pokazala iz helikopterja stanje porušenih mest in vasi, se je kos končal z novinarjem v prvem planu pred popolnoma porušeno hišo. V eni roki je držal mikrofon v drugi pa roza zajčka iz peluša, ki ga je komaj izvlekel iz razvalin. S to sliko je voditelj oddaje “Porta a Porta” zaključil reportažo in se z “ganjenim” glasom vpraševal če se bo lahko punčka, ki je živela v tisti hiši, še igrala z zajčkom. To je samo eden izmed mnogih primerov pojava, ki hočem opredeliti kot “televizijsko ropanje”, ki je v zadnjih tednih zadel (ali ni zadoščal sam potres) območja dežele Abruci. Osebe, ki so bolje “izobražene” od mene imenujejo ta način novinarstva na televiziji “Televizija čustev”: enostavno je cilj teh programov pravzaprav podvig ogledanosti, s tem da nudijo gledalcem pretresljive slike, usmiljenja vredne zgodbe in razne človeške primere. To je repertorij, katerega gledališča velikih tragedij kot je slednja niso nikoli naveličana. Moram priznati da ogled te

vrste programov je povžročilo v meni cel kup problemov kot so lahko izliv žolča, razburljivost jeter in manj znanstvenega pojava jeze: to bolezensko in perverzno iskanje usmiljenja vredne zgodbe, tragične in sunljive, tako da se jo pokaže čim prej, je po mojem oblika, ki je še bolj bedna in gnusna od ropanja na račun žrtev potresa. V prvih dneh se je mnogo govorilo o problemu plenjenja in veliko ljudi ni hotelo zapustiti hiše prav iz strahu, da tatovi bodo lahko brez večjih težav pokrali vsega. A nihče ni omenil drugo vrsto roparjev, oziroma tistih novinarjev in direktorjev televizijskih dnevnikov, če se jih lahko tako imenuje, ki s ciljem napredovanja v službi ali ogledanosti uporabljajo nesreče ljudi in ponižajo poročila na položaj enostavnih babjih čenč in vdira v življenja in čustva tisočih ljudi. Ali se lahko imenuje novinarstvo to, da se pripravi reportaže, ki so polne zabitih in nepriličnih vprašanj, kot naprimer vprašati osebo kako se počuti, potem ko je komaj izgubila vse? Meja med poročanjem in enostavnim vdrtjem brez nikakršnega spoštovanja do življenja drugih, s tem, da se pripoveduje zgodbe, namesto

da se nudi novice, je bila večkrat prekoračena v tej

državni tragediji. Lakota po novicah, ki se praviloma prikaže po dogodkih velikega donosa, je privedla do zoprnih presežkov, s tem da je ustvarila vrsto velikanskega in groznega velikega brata, katerega junaki so žrtve potresa; še hujše je to, da domnevne reportaže so pridobile veliko prostora v vseh državnih dnevnih vesteh. Po drugi strani pa se je nalašč govorilo malo o pravih novicah. Zdi se vam, da se je dovolj govorilo o časih in pogojih rekonstrukcije, o preiskavah o odgovornosti za razpade, o nevarnosti, da se razne mafije vrinijo in pridobijo zakupe za prenovo, o tem da obstaja od leta 2005 nova normativa proti potresom, ki ni bila uveljavljena zaradi nadaljnih odlogov? Mislim, da zasebne tragedije oseb nimajo enakega pomena za varnost vseh in ne cinično povzročajo dvig gledalcev od nevarnosti mafijske infiltracije in od odgovornosti kakega politika ali graditelja za razpade hiš, ki niso bile zgrajene po zakonu. Očividno Rai, Mediaset in druge televizijske mreže jo ne mislijo na tak način; v obdobju reality show, ki jih sledi na milijone naveličanih

gledalcev, informacija se je hitro prilagodila novemu televizijskemu formatu. Pod očmi imamo rezultat: televizijski dnevniki v krčevitem poskusu ovekovečenja surove in “avtentične” realnosti so postali umetnejši od programov “Isola dei Famosi – Otok Slavnih” in “Uomini e Donne – Moški in Ženske”. Išče se tragične zgodbe in potem novinar jih obeli s hinavskim usmiljenjem. Po mojem mnenju, ena izmed mnogih reči, ki nas je naučil dramatični dogodek v Abrucih je to, da v Italiji način ponudbe informacij je zgrešen, kajti poudari se kose novic ali podrobnosti, katere jih novica sama že vsebuje. Na pamet poznamo žalostne zgodbe stotin družin L’Aquile (koliko članov je imela družina, število bratov, sester in bratrancev nekoga pred potresom, na kateri ulici in pod katero hišno številko je živel), a še vedno ne poznamo razloga zakaj so zgradili številne nove stavbe izven zakona proti potresom (kot npr. bolnico L’Aquile) v sizmičnem območju. Ta način obveščanja je enostavno poskus odvračanja pazljivosti ljudi od drugih veliko večjih problemov. Kar me skrbi, vsaj je precej učinkovit trik.

Chiara GhizzoniPrevedel: Samuele Zeriali

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BREZPLNCA ŠTEVILKA Marec 2008 www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel

BREZPLNCA ŠTEVILKA April 2009www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel [email protected]

Sconfinare išče nove novinarje in/ali prevajalce z namenom, da postane vse več čezmejni časopis. Če hočes sodelovati pošli nam e-mail na naslov

[email protected] in te bomo hitro

Mr. Barack obama, ciklon čustev in emocij pred politiko

Od 1. do 4. aprila sem imel možnost kot italijanski delegat na študenstki ravni (preko študentskega združenja YATA iz Gorice), sodelovati pri mladinskem Summit-u NATA v Strasburgu. Naslov je bil “NATO in 2020: What lies ahead?”. Bilo je veliko znamenitih srecanj organiziranih s strani NATA, in od vseh opravljenih diskusijah, bi se rad zavstavil na posebnem srečanju, katero mi bo ostalo dolgo časa v spominu.Srečanje z Barack Obamo, ki se je vršilo v petek 3. aprila ob 13.45, gotovo predstavlja ključni dogodek, oziroma neizgubljiv zmenek z zgodovino, upoštevajoč, da je bil prvi javni govor v Evropi, od kar je postal predsednik ZDA. čustva so bila nepričakovana, skrita, in so naraščala z minevanjem ur: sedimo v raznih sektorjih Rhenusa Sport Arene Strasburga, v hladnem pričakovanju, že uro in pol, pred predvidenim začetkom. Praznicna atmosfera je zelo občutena in je gotovo evropska mladina najbolj prevzeta; veliko od njih je sledilo dolgo noč 4. novembra. Imeti možnost ga videti v živo, v Evropi, podčrtujem še enkrat, je privilegij, ki ga imajo samo nekateri. Vodje neštetih evropskih inštitucij so vznemirjeni. Jamie Shea (Direktor načrtovane politike v privatnem uradu Generalnega tajnika NATA, torej ne zadnji od mnozice) sedi pred mano in pred mojo prijateljico poljakinjo Iwono, in malo pred začetkom govora, naju vpraša: “Are you going to scream? Me for sure!”. In res, začne kričati kot pubertetnik, komaj napovedovalec z jasnimi besedami predstavi: “Mr. President of the USA, with his wife Michelle, has arrived in the arena!”. Med kričanjem, vriskanjem, zbori in movcnim ploskanjem, se on resnično zdi, kot neke vrste totema; oseba v katero vsi zaupajo, da bo rešila probleme v skoraj porušenem svetu, in iz veliko vidikov, skoraj pri koncu. Govori, stiska pesti, gleda publiko; je gotovo odličen primer dobre komunikacije, utegne dati ogromnih informacij v malem času, na kakovosten način. Če upoštevamo televizijo, kot nepremostljiv filter, skozi katerega vidimo samo to, kar se nam

prikaže, in ne to, kar je, s težavo razumemo kakšen “impakt” bi lahko imel Obama na maso, ki jo ima pred sabo. Znamenito ter scenografsko, prevzeto ter strastno , se ne zaustavlja samo na problemih (ekonomska kriza, klimatska sprememba, dialog med kulturami in ljudstvi, današnja nemoč

NATA, zmanjšanje nuklearskih založb do sveta brez teh – in tukaj evropska množica zakriči), ki vsi poznajo, a uporablja znameniti govor zato, da bi dobil konkretne in hitre rešitve in predvsem, da bi prevzel skoraj vsakega posameznega poslušalca. Navidezno mu to uspe: ko govori, ne zgleda najmočnejši človek na svetu, a nam daje vtis dobrega učitelja, ki dopolnjuje vrzeli in dvome študentov z dobro sestavljenimi povedi. Moramo se še veliko nauciti, in biti pripravljeni na to, da popravimo “formativne dolgove”. Gotovo, se nanaša vedno na človeka Obama: zadene v živo, ne pusti rešitve, se ne igra z besedami, umetnost kompromisa in diplomacije pa sta na drugem mestu. Ni dvomov, to si ljudje

želijo, in njihovo ploskanje to dokazuje. Ko Obama začne razpravljati o odnosih med Evropo in Ameriko, ozračje postane skoraj intimno: treba je zapustiti skupne prostore in čase, ko se je tožilo drug drugega: je čas menjav, razumevanja, dialoga, a predvsem skupnega sodelovanja, dela, in sožitja,

Evropa in Amerika združeni, takoj in brez medsebojnih strahov. Množica vzklika, saj sta obdobje in prevzetost Busha že tako oddaljeni.Po pol-urnem govoru sam Obama prosi naj mu bodo zastavjena vprašanja: roke se dvignejo druga za drugo. Med splošnim smejanjem, dopove, da bodo lahko postavljali vprašanja samo ne-američani; na tak način da možnost “našim prijateljem Evropejcem”! Zadnje vprašanje, ki je nekaterim zgledalo nesmiselno, je zame zelo zanimivo tudi, če je na osebnem nivoju: “Mr. President, ali Ste kdaj pomislil, da bi zapustil volilno kampanijo in predsedniško kariero? Ali Ste imel dvome glede uresnicevanja Vaših načrtov

med Vašim mandatom?”. 44. ameriški predsednik odgovori na to vprašanje tako, da se zavstavi na treh ciljih. Prvega predstavlja

družina, ki je za Obamo nenadomestljiva, bila mu je vedno ob strani, in tako je lahko nadaljeval z volilno kampanijo skoraj dve leti, vedno oddaljen od doma, daleč od trdne Michelle in ljubeznivih hčerkic, s katerimi se opravičuje za dolgo odsotnost. Vendar so prav one, pravi Obama, ki so mu dale moč, da je lahko nadaljeval in povspešil delo. Nato se naveže na drugi cilj, odgovornost, vezano na ameriško ljudstvo, oziroma na cel svet. “We’ ve just emerged from an era marked by irresponsability”, “It’s a revolutionary world we live in”, sta dve povedi, ki prevzameta 4000 studentov izbranih kot možna prihodnost, splovna zamenjava za ta utrujen svet, ki potrebuje obnovitev. Tretji cilj je vezan na drugega, saj se nanaša na potenciale, ki jih ima vsak od nas, to kar Obama raziskuje in povišuje. Ne dela nobenih razlik: ne obstajata lobbies in stranke, rase in verstva; vsi imamo enako odgovornost v odnosu s svetom, in samo hvala osebni vpletenosti ta lahko menja. In to večkrat poudari: “You, your young generation, have the possibility, at the end of your lives, to look back at the past and evaluate what has changed; you, you will be able to say…Yes! I made the difference”. Te besede, ki jih slisimo v živo iz ust Obame, nas stresejo kot trstje v vetru, nam dajo neverjeten vtis, da vse to kar smo videli in slišali je resnicno, da res “Yes, we can!” obstaja. Množica ljudi praznuje, ploska in ga slika, medtem ko z Michelle se poslavlja. Zaustavil se je dvajset minut več, saj je lahko na tak način odgovoril na vprašanja, ki smo mu jih postavili mi mladi; to dokazuje u kakšni meri mu je pri srcu “new era of responsability”. še vedno sedimo v našem sektorju in čakamo, da lahko odidemo, med tem časom pa gledamo komaj posnete filme in narejene slike. Predsednik Atlantic Treaty Association oziroma spoštljiv clan Bundestag, veleposlanik Karl Lamers, se približa Jamie-u Shea-u in vzklikne: “It’s wonderful!” “Ti je bil všeč govor?” odvrne številka 4 NATA. “No, not the speech! I have the pictures!!” odgovori ambasador z radostnim nasmehom. Prav gotovo je to najbolj tipljiv dokaz važnosti obiska Obame v Evropi, in se ne morem verjeti, da sem imel to srečo, da sem osebno prisostvoval prvemu javnemu govoru v Stari Evropi. Ostane prepričanost in gotovost, da bo treba prehoditi še dolgo pot. Vendar notranje bogastvo, ki ga je v nas zapustil v enournem govoru zadostuje, da si lahko mislimo, skupaj z Obamo, da se je rodilo upanje in, da lahko vsi pripomoremo pri ustvarjanju mirnega in enakopravnega sveta. Hvala Barack.

Andrea Filippo RomaniPrevedla Fabiola Torroni.