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Salmo 81 Il Salmo 81 ci pone all’interno di una solenne festa celebrata al tempio di Gerusalemme, festa caratterizzata da grande concorso di popolo e allietata da canti e da suoni gioiosi; si tratta della festa di Pasqua o della festa delle Capanne, perchè ai vv 7-8 e 11 si accenna all’uscita dall’Egitto e al tempo del cammino del popolo di Israele nel deserto, avvenimenti ricordati particolarmente in queste due feste. Il salmo inizia in modo solenne e festoso (i versetti da 2 a 6b formano la prima parte del salmo): tutto il popolo accorso è invitato ad acclamare Dio, a lodarlo e ad innalzare a lui canti di gloria: “Esultate in Dio nostra forza, acclamate al Dio di Giacobbe, intonate il canto…” (vv 2-3). I verbi “esultare, acclamare, intonare il canto” indicano, nel testo ebraico, modi diversi di lodare e di gridare al Signore. In particolare il verbo “acclamare” (in ebraico “hari‘u”) designava in origine l’“urrà” di guerra che precedeva l’assalto contro un esercito nemico (Es 32,17; Gios 6,5), salutava JHWH come re e capo militare (Num 23,21; 1Sam 10,24) e l’arca sua abitazione (1Sam 4,5). Dopo l’esilio questo “urrà” militare prese un senso cultuale e liturgico, fu introdotto nella liturgia al tempio di Gerusalemme per esaltare JHWH quale re di Israele vittorioso sui pagani (Sal 47,2.6), quale salvatore (Is 44,23) e quale giudice di tutti (Gioele 2,1). Era gridato nei giorni di festa (Esd 3,11), durante i sacrifici di ringraziamento (Sal 27,6; 100,1) e nelle solenni processioni (Sal 95,1.2). Dunque al tempio di Gerusalemme, nella liturgia che si sta celebrando e di cui il salmo è espressione, si elevano a Dio inni, canti e lodi, alternati con potenti e forti “urrà” gridati da tutto il popolo riunito, secondo un preciso ritmo e una cadenza serrata. Il tutto è accompagnato dal suono di una nutrita serie di strumenti musicali: strumenti a percussione (timpani), strumenti a corda (arpe e cetre), strumenti a fiato (trombe): una vera e propria orchestra messa in azione a tutto volume (vv 3-4). La festa che si sta celebrando è una festa rituale, stabilita dalla legge, voluta da Dio stesso: “Questa è una legge per Israele, un decreto del Dio di Giacobbe. Lo ha dato come testimonianza a Giuseppe quando usciva dal paese d’Egitto” (vv 5-6). Il libro dell’Esodo, che racconta l’uscita di Israele dall’Egitto, prescriveva che si celebrassero, durante l’anno, tre grandi feste: la festa di Pasqua in primavera, la 70

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Salmo 81

Il Salmo 81 ci pone all’interno di una solenne festa celebrata al tempio di Gerusalemme, festa caratterizzata da grande concorso di popolo e allietata da canti e da suoni gioiosi; si tratta della festa di Pasqua o della festa delle Capanne, perchè ai vv 7-8 e 11 si accenna all’uscita dall’Egitto e al tempo del cammino del popolo di Israele nel deserto, avvenimenti ricordati particolarmente in queste due feste.

Il salmo inizia in modo solenne e festoso (i versetti da 2 a 6b formano la prima parte del salmo): tutto il popolo accorso è invitato ad acclamare Dio, a lodarlo e ad innalzare a lui canti di gloria: “Esultate in Dio nostra forza, acclamate al Dio di Giacobbe, intonate il canto…” (vv 2-3). I verbi “esultare, acclamare, intonare il canto” indicano, nel testo ebraico, modi diversi di lodare e di gridare al Signore. In particolare il verbo “acclamare” (in ebraico “hari‘u”) designava in origine l’“urrà” di guerra che precedeva l’assalto contro un esercito nemico (Es 32,17; Gios 6,5), salutava JHWH come re e capo militare (Num 23,21; 1Sam 10,24) e l’arca sua abitazione (1Sam 4,5). Dopo l’esilio questo “urrà” militare prese un senso cultuale e liturgico, fu introdotto nella liturgia al tempio di Gerusalemme per esaltare JHWH quale re di Israele vittorioso sui pagani (Sal 47,2.6), quale salvatore (Is 44,23) e quale giudice di tutti (Gioele 2,1). Era gridato nei giorni di festa (Esd 3,11), durante i sacrifici di ringraziamento (Sal 27,6; 100,1) e nelle solenni processioni (Sal 95,1.2). Dunque al tempio di Gerusalemme, nella liturgia che si sta celebrando e di cui il salmo è espressione, si elevano a Dio inni, canti e lodi, alternati con potenti e forti “urrà” gridati da tutto il popolo riunito, secondo un preciso ritmo e una cadenza serrata.

Il tutto è accompagnato dal suono di una nutrita serie di strumenti musicali: strumenti a percussione (timpani), strumenti a corda (arpe e cetre), strumenti a fiato (trombe): una vera e propria orchestra messa in azione a tutto volume (vv 3-4).

La festa che si sta celebrando è una festa rituale, stabilita dalla legge, voluta da Dio stesso: “Questa è una legge per Israele, un decreto del Dio di Giacobbe. Lo ha dato come testimonianza a Giuseppe quando usciva dal paese d’Egitto” (vv 5-6). Il libro dell’Esodo, che racconta l’uscita di Israele dall’Egitto, prescriveva che si celebrassero, durante l’anno, tre grandi feste: la festa di Pasqua in primavera, la festa della mietitura o di Pentecoste in estate, la festa del raccolto o delle Capanne in autunno, con relativo pellegrinaggio al tempio. Qui si sta ora celebrando dunque una festa rituale, una festa “normale” e voluta dalla legge di Dio, fissata dal calendario liturgico; il popolo è convenuto al tempio secondo l’usanza e la tradizione. Ma tale festa può nascondere facilmente il pericolo della formalità e dell’abitudine, della superficialità.

Ecco che all’improvviso, mentre la festa viene celebrata con solennità e secondo il rituale prescritto, una voce si leva inattesa ad interrompere la cerimonia, si impone a tutti i presenti e ne conquista l’attenzione con autorità perentoria. Si tratta di un singolo fedele improvvisamente ispirato, o, forse, di un “profeta cultuale”, una di quelle persone che per professione davano risposte o pronunciavano messaggi in nome di Dio durante le celebrazioni liturgiche. Questa persona è come invasa, in improvviso rapimento, da una voce interiore che la prende di sorpresa e che resta a lei stessa misteriosa e sconosciuta: “Un linguaggio mai inteso io sento…”, dice (v 6c). Ella comunica davanti a tutta l’assemblea quanto avverte dentro di sé: in realtà ciò che nel suo spirito risuona è la voce stessa di Dio, perché ella comincia a parlare come se fosse Dio stesso a parlare per mezzo di lei; tutti i versetti, dal v 7 fino alla fine (seconda parte del salmo), infatti, hanno Dio come soggetto e sono espressi in prima persona.

La voce del profeta ispirato, voce di Dio, richiama anzitutto all’attenzione dell’assemblea quanto Dio ha fatto per il suo popolo (vv 7-8): egli lo ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto e dai

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lavori forzati (“ho liberato dal peso la sua spalla, le sue mani hanno deposto la cesta; hai gridato a me nell’angoscia e io ti ho liberato”); Dio si è rivelato al suo popolo al monte Sinai in mezzo alla nube e gli ha dato la Legge, ha stretto con lui alleanza (“avvolto nella nube ti ho dato risposta”: Es 19,16 – 20,21); Dio ha messo alla prova il suo popolo a Merìba nel deserto, ma poi gli ha dato acqua da bere dalla roccia (“ti ho messo alla prova alle acque di Merìba”: Es 17,1-7); ed ora egli si aspetta dal suo popolo una cosa importante: quella di essere “ascoltato”. Sì, egli gradisce i canti, i suoni, gli “urrà” e le cerimonie; ma egli gradisce di più essere “ascoltato”.

Il salmo, dal v 9 in poi, è segnato dal verbo “ascoltare” che torna quattro volte, di cui tre in posizione significativa. Ai vv 9-11 Dio chiede di essere ascoltato nella Legge che ha dato, nei dieci comandamenti il cui inizio è chiaramente citato nelle parole: “Non ci sia in mezzo a te un altro dio e non prostrarti a un dio straniero. Sono io il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto”; si veda il testo similissimo di Es 20,1-5, inizio del decalogo. Dio ha dato la Legge come clausola della sua alleanza con Israele, e si aspettava che Israele la vivesse e la osservasse.

Ma Israele non ha ascoltato la voce di Dio e tante volte ha infranto la Legge. Al v 12 Dio rimprovera Israele per questo: “Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito”. Sono numerosissime le pagine bibliche in cui si raccontano le disobbedienze di Israele; in Ger 7,21-28 Dio rimprovera Israele perché non ascolta e non vuole ascoltare.

Israele, peccando, si è fatto male e si è rovinato: il peccato contiene in sé una forza distruttrice che devasta chi lo commette (Ger 2,19; 4,18; 7,19). Al v 13 Dio dice: “L’ho abbandonato alla durezza del suo cuore, che seguisse il proprio consiglio”. Dio è sempre pronto a perdonare i peccati dell’uomo, ma non può non rispettare la libertà dell’uomo e impedire che egli pecchi e si faccia del male, e poi debba portare le dolorose conseguenze di quanto ha fatto (Dan 9,8-12; Rom 1,24-32).

Il Signore però è sempre pronto a riaccogliere l’uomo, e, se l’uomo dopo averlo rifiutato riprende ad ascoltarlo, Dio è pronto a ricoprirlo di doni e di affetto, a donargli ciò che di più prezioso possiede: “Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele camminasse per le mie vie! Subito piegherei i suoi nemici;…. lo nutrirei con fiore di frumento, lo sazierei con miele di roccia” (vv 14-17). Dio è meraviglioso e straordinariamente munifico con chi gli è obbediente e gli è fedele; ogni volta che gli disobbediamo e non lo ascoltiamo noi perdiamo molto (Is 48,18-19); ma ogni volta che torniamo a lui e ci lasciamo costruire da lui, ascoltandolo, noi diventiamo degli autentici capolavori. I santi infatti sono diventati santi proprio perché hanno “ascoltato” Dio.

E’ l’“ascolto” che non deve mancare nelle nostre liturgie!

Salmo 82

Il salmo 82 è una requisitoria di Dio contro i capi del popolo e contro i giudici che non assolvono in modo giusto ed equo il loro compito. Sullo sfondo del salmo potremmo pensare la situazione di Israele al tempo del profeta Amos (760 circa a. C.). Il profeta Amos diceva: “Voi calpestate il povero e sterminate gli umili del paese. Voi, incettatori di ricompense, respingete i poveri in tribunale” (Am 8,4; 5,12). Dio nel salmo dice: “Fino a quando giudicherete iniquamente e sosterrete la parte degli empi? Difendete il debole e l’orfano, al misero e al povero fate giustizia. Salvate il debole e l’indigente, liberatelo dalla mano degli empi.” (vv 2-4).

Dio è il giudice universale e non può sopportare simili ingiustizie, per cui si erge a giudicare: “Dio si alza nell’assemblea divina, giudica in mezzo agli dèi” (v 1). Ma i capi del popolo e i giudici restano sordi al giudizio di Dio: “Non capiscono, non vogliono intendere, avanzano nelle

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tenebre” (v 5), per cui Dio pronuncia contro di loro la sentenza di punizione e di morte: “Io ho detto: Voi siete dèi (=esseri di grande importanza), siete tutti figli dell’Altissimo, eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti” (vv 5-7).

Il salmo termina con la richiesta del salmista a Dio che abbia ad esercitare sul mondo il suo giudizio: “Sorgi, Dio, a giudicare la terra, perché a te appartengono tutte le genti” (v8).

Il salmo è un forte richiamo a chi nella società civile riveste cariche politiche e di amministrazione della giustizia; del loro operato essi dovranno rendere stretto conto a Dio. Il libro della Sapienza dice: “Ascoltate, o re, e cercate di comprendere: imparate, governanti di tutta la terra. Porgete l’orecchio, voi che dominate le moltitudini e siete orgogliosi per il gran numero dei vostri popoli. La vostra sovranità viene dal Signore; la vostra potenza dall’Altissimo, il quale esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi; perché, pur essendo ministri del regno, non avete governato rettamente, né avete osservato la legge, né vi siete comportati secondo la volontà di Dio. Con terrore e rapidamente egli si ergerà contro di voi poiché un giudizio severo si compie contro coloro che stanno in alto. L’inferiore è meritevole di pietà, ma i potenti saranno esaminati con rigore. Il Signore di tutti non si ritira davanti a nessuno, non ha soggezione della grandezza, perché egli ha creato il piccolo e il grande e si cura ugualmente di tutti. Ma sui potenti sovrasta un’indagine rigorosa” (Sap 6,1-8).

Chi si assume impegni civili e sociali deve coltivare un forte senso di giustizia e di responsabilità. Il loro operato non è indifferente per Dio; resta sotto il suo giudizio. San Paolo esorta a pregare per i governanti, e a Timoteo, vescovo della Comunità cristiana di Efeso, scrive: “Ti raccomando che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità” (1Tm 2,1-2). Si deve pregare per i governanti.

Salmo 83

Il salmo 83 è una supplica dinanzi ad una gravissima minaccia bellica. Una coalizione di nazioni avanza contro il popolo di Israele disposta ad annientarlo e a cancellarne la memoria: “Vedi, Signore, i tuoi avversari fremono e i tuoi nemici alzano la testa. Contro il tuo popolo ordiscono trame e congiurano contro i tuoi protetti. Hanno detto:‘Venite, cancelliamoli come popolo e più non si ricordi il nome di Israele’. Hanno tramato insieme concordi, contro di te hanno concluso un’alleanza” (vv 3-6).

L’alleanza è vasta, comprende dieci popoli: Edomiti, Ismaeliti, Moabiti, Agareni, Gebaliti, Ammoniti, Amaleciti, Filistei, abitanti di Tiro, Assiri (vv 7-9). Il numero dieci indica abbondanza, moltitudine. Non si conosce, nella storia di Israele, un momento particolare in cui si sia realizzata una congiura di tale imponenza contro Israele; qui il salmista unisce tutti insieme i nemici tradizionali di Israele che l’hanno combattuto in momenti diversi perché risalti particolarmente pesante e grave la situazione di pericolo in cui in quel momento il popolo si stava trovando.

Il salmista si rivolge a Dio e chiede aiuto con forza: “Dio, non darti riposo, non restare muto e inerte, o Dio” (v 2). E chiede a Dio di sbaragliare gli attuali nemici come in antico sbaragliò altri nemici del suo popolo: sbaragliò i Madianiti che invasero la pianura di Esdrelon intorno al 1100 a.C. e fece morire i loro capi Oreb e Zeb (cfr Giud 7,1-.25); sbaragliò i Cananei guidati da Iabin e Sisara (cfr Giud 4,1-23); sbaragliò l’esercito di Zebee e Salmana (cfr Giud 8, 10-21): “Trattali come Madian e Sisara, come Iabin al torrente Kison. Rendi i loro principi come Oreb e Zeb, e come Zebee e Salmana tutti i loro capi. Mio Dio, rendili come turbine, come pula dispersa dal vento.

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Come il fuoco che brucia il bosco e come la fiamma che divora i monti, così tu inseguili con la tua bufera e sconvolgili con il tuo uragano…. Sappiano che tu hai nome ‘Signore’, tu solo sei l’Altissimo su tutta la terra” (vv 10-19).

Il salmo può essere pregato da noi quando ci sentissimo oppressi da tutte le parti, da mille difficoltà, problemi e sofferenze. Richiamando alla memoria i casi in cui Dio ci ha aiutati e salvati, possiamo ricorrere a lui con fiducia e con forza, e dirgli col salmista: “Dio, non darti riposo, non restare muto e inerte, o Dio!”.

SALMO 84

Il Salmo 84 è stato composto in occasione di un pellegrinaggio a Gerusalemme. Il pio ebreo si recava tre volte all’anno a Gerusalemme per incontrare il Signore nel tempio, in occasione delle tre maggiori festività dell’anno liturgico ebraico: la festa di Pasqua che si celebrava in primavera (marzo/aprile) e che ricordava l’uscita del popolo di Israele dall’Egitto; la festa di Pentecoste che si celebrava cinquanta giorni dopo la Pasqua (in maggio/giugno), appena dopo la mietitura del grano, e che ricordava il dono della Legge data a Mosè sul Monte Sinai; e la festa delle Capanne che si celebrava in autunno, dopo la vendemmia e dopo la semina dell’orzo e del grano (in settembre/ottobre), e che ricordava i quarant’anni di cammino di Israele nel deserto durante i quali il popolo aveva abitato in “capanne”, in tende. Probabilmente la festa di pellegrinaggio a cui il Salmo 84 si riferisce è la festa delle Capanne, perché al v 7 si parla della “prima pioggia che ammanta la terra di benedizioni”, e la “prima pioggia” che costituiva una grazia e una benedizione per la terra, era quella che cadeva poco dopo la semina, in autunno, venendo a fecondare la semente appena seminata; e perché al v 10 si prega per il “consacrato” del Signore, il re di Israele, e in occasione della festa delle Capanne si facevano particolari preghiere per il re.

Il salmo si compone di tre parti: la prima parte (vv 2-5) e la terza (vv 9-13) si richiamano tra di loro perché parlano tutte e due dell’esperienza del pellegrino nella casa del Signore, nel tempio; mentre la parte centrale (vv 6-8) descrive il pellegrinaggio a Gerusalemme, il viaggio per arrivare a Gerusalemme e al tempio. La prima e la terza parte sono caratterizzate da una serie di termini che si riferiscono al luogo santo, alla dimora di Dio: “dimore, casa, atri, altari, preghiera, soglia della casa di Dio”; mentre la parte centrale è caratterizzata da una serie di termini che si riferiscono al pellegrinaggio, al viaggio verso Gerusalemme: “viaggio, passare, cammino, comparire davanti a Dio in Sion”. Dunque lo schema del salmo è il seguente: A (vv 2-5): esperienza del pellegrino al tempio; B (vv 6-8): viaggio del pellegrino verso Gerusalemme; A (vv 9-13): esperienza del pellegrino al tempio.

Inoltre la prima e la terza parte sono delimitate ciascuna da un’inclusione, cioè da un’espressione che torna uguale all’inizio e alla fine di ciascuna di esse, con le parole: “ Signore degli eserciti” (al v 2 e al v 4e per la prima parte; al v 9 e al v 13 per la terza parte).

Prima parte del salmo: esperienza del pellegrino al tempio (vv 2-5)

Il salmo canta la gioia di poter andare a Gerusalemme ad incontrare il Signore nella sua casa. Esso inizia con un’esclamazione di esultanza che erompe dal cuore del salmista: “Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti!”(v 2). La parola “dimore” è un plurale che vuole indicare l’insieme delle maestose strutture murarie che costituivano il luogo santo: il tempio

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propriamente detto con il Santo e il Santo dei Santi; i vari cortili circostanti, il cortile degli uomini e il cortile delle donne; gli atri del tempio, la reggia del re, poco lontana, sulla spianata del tempio.

Tutta la persona del pellegrino è presa e come rapita dal desiderio e dall’affetto verso il tempio di Dio. Possiamo dire che il salmista ne è un innamorato: la parola “amabili” (nell’ebraico “yedydòth”) riferita alle “dimore” del Signore è una parola che torna altre volte nell’Antico Testamento per indicare il sentimento di chi è innamorato di una persona o di una data realtà. Per cui ad esultare per il tempio è un innamorato di esso, un uomo che lo ama profondamente e intensamente per la presenza misteriosa e divina che esso custodisce in sé, la presenza di Dio. Ad esultare, a gioire e a vibrare per il tempio di Dio è tutta la persona del salmista: la sua “anima”, che languisce e brama gli atri del Signore; il suo “cuore” e la sua “carne” che esultano nel Dio vivente (v 3); cioè neanche una fibra della persona del salmista resta impassibile e inerte.

Dalle prime parole del salmo possiamo immaginare che il pellegrino abbia intonato questo canto di gioia nel momento in cui, arrivato nelle vicinanze di Gerusalemme, finalmente si era dischiusa davanti ai suoi occhi la visione della città santa e del grande complesso delle costruzioni del tempio; o quando ormai, giunto all’ingresso del tempio, stava per entrarvi. Egli aveva comunque davanti a sé il panorama completo, panorama tanto sognato e desiderato con tutto l’affetto del suo cuore, tanto da esclamare: “Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti!”.

I vv 2-4 descrivono un interessante progresso di avvicinamento del pellegrino al tempio, e offrono al lettore che legge il salmo un effetto ottico suggestivo, come quando una cinepresa riprende dapprima un panorama vasto e ampio che spinge lo sguardo a tutto campo, e poi restringe l’angolo di visuale sempre più e sempre maggiormente, fino a fissarsi su un punto particolare, fino a dare un primo piano. Al v 2 infatti si parla di “dimore” (è tutto il grande complesso del tempio); al v 3 si nominano gli “atri” (che sono qualcosa di più interno al tempio, e di più particolare, di più limitato); e al v 4 si nominano gli “altari” (che sono qualcosa di ancora più interno e di più particolare, oltre che di più sacro); il salmista sembra fare entrare progressivamente anche il lettore nel tempio.

Una volta entrato nei cortili del tempio, il salmista scorge, sistemato sotto i cornicioni dell’edificio, un nido d’uccelli, un nido di rondini o di passeri (v 4), e ciò gli fa pensare alla fortuna che hanno coloro che possono stare sempre nella casa del Signore, i leviti e i sacerdoti, tanto che esclama con nel cuore una punta di nostalgia: “Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi!” (v 5); egli invece, terminata la settimana di festa, se ne dovrà tornare a casa e riprendere la vita di tutti i giorni, nel suo villaggio.

Seconda parte del salmo: viaggio del pellegrino verso Gerusalemme (vv 6-8)

Col v 6 inizia la seconda parte del salmo, che descrive il viaggio compiuto dal salmista pellegrino per arrivare a Gerusalemme e al tempio. Il salmista rivà col pensiero al momento della partenza, quando ancora era a casa nel suo villaggio, e ha deciso di mettersi in viaggio. Forse aveva ancora qualche affare da sbrigare, qualche impegno importante e urgente da portare a termine, qualche difficoltà di salute o di altro genere che lo tratteneva dal partire; forse era avanti negli anni…non sappiamo; comunque, alla fine, egli ha trovato, nonostante tutto, la forza necessaria per partire; l’ha trovata in Dio e nella sua fede, e ha detto : “Parto, vado a Gerusalemme, vado in pellegrinaggio al tempio” , e si è unito alla carovana che partiva dal suo villaggio e dai villaggi vicini. Al v 6 il salmista esclama con gioia e soddisfazione: “Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio.” Egli, il salmista, ha saputo decidere nel suo cuore il santo viaggio, ed ora è contento, è felice d’essere riuscito a decidersi, e di essere a Gerusalemme!

Con la memoria il salmista pellegrino ricorda anche il viaggio nel suo svolgersi: rivede “la valle del pianto” che ha attraversato e per cui è passato (v 7), valle chiamata così o perché in quel luogo in antico era accaduto qualche fatto luttuoso per la nazione, qualche sconfitta in battaglia, o

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perché quella era una valle particolarmente brulla e arida, priva di vegetazione. Durante il viaggio anche quella valle era apparsa più bella: “la prima pioggia” che era caduta l’aveva trasformata, l’aveva resa più verde, più ridente: “Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente, anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni” (v 7).

E il salmista pellegrino ricorda che a mano a mano che egli procedeva nel cammino, anziché sentirsi sempre più stanco e affaticato, si sentiva, al contrario, sempre più rinfrancato e in forze; rinfrancato anche fisicamente: Dio gli faceva il dono che, procedendo nel viaggio, crescesse il suo vigore: “Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion” (v 8). Il desiderio che il salmista aveva in cuore di arrivare al tempio gli infondeva, passo dopo passo, nuova energia. Ora ormai egli è nella città santa, davanti a Dio in Sion!

Terza parte del salmo: esperienza del pellegrino al tempio (vv 9-13)

Nella terza parte del salmo ritorna il tema dell’esperienza del pellegrino nella casa di Dio. Nella casa di Dio il salmista pellegrino innalza la sua preghiera con fiducia: “Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe” (v 9). Il tempio era per eccellenza la casa di Dio, e Salomone aveva chiesto, nel giorno della dedicazione del tempio, che Dio avesse sempre ad ascoltare e ad esaudire le preghiere che qualcuno gli avesse innalzato nel tempio, il luogo della sua presenza (1Re 8,22-61). Certamente il salmista pellegrino sarà venuto al tempio con tante intenzioni di preghiera, con tante grazie da domandare; ora le può domandare. Una preghiera particolare viene innalzata per il re d’Israele, il “consacrato” di Dio : “Vedi, Dio, nostro scudo, guarda il volto del tuo consacrato” (v 10).

Poi il salmista esprime la sua gioia di essere al tempio presso il Signore, e quanto gli sia prezioso essere lì: “Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove; stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi” (v 11). Il salmista non poteva entrare nel Santo, e tanto meno nel Santo dei Santi, le parti più interne e più sacre del tempio, perché egli era un semplice laico, e quegli spazi erano riservati ai soli sacerdoti; egli doveva accontentarsi di stare negli atri, cioè nei cortili del tempio; ma anche il solo stare nei cortili del tempio (“sulla soglia della casa di Dio”) era sentito da lui come una fortuna straordinaria, una cosa assai più preziosa che abitare nelle tende degli empi, cioè godere dell’amicizia e della compagnia dei peccatori. Il tempo ha valore e pienezza in proporzione che è vissuto in comunione con Dio e in obbedienza a lui. Mille giorni vissuti nel peccato sono vuoti, un giorno vissuto in comunione con Dio è pienezza.

Ai vv 12-13 il salmista esprime per un’ultima volta il dono di grazia e di gioia che ha ricevuto nella sua visita al tempio, nel suo incontro con Dio: doni di luce, di protezione, di aiuto, di trasformazione della sua vita: “Sole e scudo è il Signore Dio; il Signore concede grazia e gloria, non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine”.

Il tempio di Gerusalemme, a cui il salmista pellegrino va con tanto desiderio e amore, è simbolo delle nostre chiese, in cui abita il Signore e in cui si celebrano i divini misteri; ed è, ancor più, simbolo di Gesù morto e risorto, che è il nuovo tempio costruito dal Padre per l’incontro con lui (Gv 2,13-22). A quel tempio, da cui sgorgano il sangue e l’acqua della nostra salvezza (Gv 19, 33-34), noi dobbiamo andare, e in quel tempio dobbiamo desiderare di entrare e rimanere, per poter offrire a Dio il culto vero e l’adorazione che egli s’aspetta e gradisce (Gv 4,21-24).

Il tempio di cui parla il salmo è anche simbolo della definitiva Gerusalemme, la Gerusalemme celeste, in cui non ci sarà più nessun tempio materiale, “perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello saranno il tempio” (Apoc 21,22). Nella Gerusalemme celeste e in quel definitivo e straordinario tempio, che è Dio, noi potremo incontrarlo, lodarlo, ringraziarlo e goderlo per sempre. La vita che viviamo qui sulla terra è il nostro pellegrinaggio verso quel tempio, tempio che dobbiamo sempre tenere vivo e presente nei nostri desideri e nei nostri affetti. Sant’Agostino scrive: “Gli uomini desiderano migliaia di giorni e vogliono vivere a lungo quaggiù. Disprezzino le migliaia di giorni e desiderino l’unico giorno, che non ha né alba né tramonto; giorno unico,

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giorno eterno, non preceduto da un ieri e non incalzato da un domani. Quest’unico giorno sia il nostro desiderio”.

SALMO 85

Il salmo 85 fu composto all’indomani del ritorno del popolo di Israele dall’esilio di Babilonia. La prima parte del salmo infatti (vv 2- 4) è un ringraziamento a Dio che è intervenuto con la sua bontà a ricondurre in patria gli esuli: “Signore, sei stato buono con la tua terra, hai ricondotto i deportati di Giacobbe” (v 2). Gli ebrei erano stati deportati da Nabuccodonosor nel 597 a.C. ed erano rimasti fino al 538, per sessant’anni, in terra stranera; ora Dio li ha riportati in patria. Il ritorno dall’esilio fu motivo di gioia per i rimpatriati non solo per il ritorno in se stesso, ma anche per ciò che il ritorno, a livello più profondo, significava; significava che Dio aveva perdonato i peccati del popolo, resosi infedele all’alleanza, e aveva deposto il suo sdegno verso di lui: “Hai perdonato l’iniquità del tuo popolo, hai cancellato tutti i suoi peccati. Hai deposto tutto il tuo sdegno e messo fine alla tua grande ira” (vv 3- 4). Ora il popolo si sente di nuovo sotto lo sguardo benevolo di Dio.

Ma la situazione dei rimpatriati in terra di Palestina non era priva di problemi e di difficoltà. Si trattava di dover ricostruire tutto, case, villaggi, e la gente era povera; si dovevano ri-dissodare i campi lasciati incolti per lungo tempo; si doveva ricostruire il tessuto sociale messo in crisi dagli anni d’esilio; si doveva riconoscere un’autorità civile e religiosa dopo lungo tempo che gli esuli ne erano stati privi; il tempio di Gerusalemme non esisteva più e andava ricostruito. La seconda parte del salmo (vv 5-8) è un’ardente preghiera a Dio perché venga incontro e in soccorso alla situazione dura e faticosa del popolo: “Rialzaci, Dio, nostra salvezza. Non tornerai tu forse a darci vita, perché in te gioisca il tuo popolo? Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza” (vv 5. 7-8). Il soccorso del Signore sarebbe stato la prova che egli aveva deposto per sempre il suo sdegno verso Israele: “Placa il tuo sdegno verso di noi; forse per sempre sarai adirato con noi, di età in età estenderai il tuo sdegno?” (vv 5-6).

Alla preghiera del popolo il Signore risponde favorevolmente, dona pace, salvezza, misericordia, verità, giustizia al popolo: “Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore; egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore” (v 9). Il salmista personifica i doni di Dio e, poeticamente, descrive la misericordia di Dio e la sua verità che si incontrano tra di loro; la giustizia e la pace di Dio che si baciano l’una l’altra; la giustizia di Dio che si affaccia dal cielo e la sua verità che germoglia dalla terra (vv 11-12). La condizione degli esuli rimpatriati sarà profondamente sanata e rinnovata dai doni di Dio e dalla sua presenza: “La sua gloria abiterà la nostra terra” (v 10). In tal modo, quando Dio avrà elargito il suo bene, la terra di Israele darà il suo frutto (v 13).

Il salmo è un invito a ringraziare il Signore per tutte le ‘liberazioni’ che nella vita egli ci ha accordato (liberazione da difficoltà, da situazioni intricate, da problemi, da vizi, da peccati), e nello stesso tempo è un invito a chiedere al Signore ancora aiuto e soccorso per la situazione attuale qualora fosse segnata da fatica e da prove, con la fiducia che il Signore interverrà a salvezza.

SALMO 86

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Il salmo 86 è una supplica nella prova. Il salmista si sente aggredito da gente arrogante e violenta, e si rivolge al Signore per chiedere soccorso e aiuto: “Signore, tendi l’orecchio, rispondimi, perché io sono povero e infelice. Custodiscimi perché sono fedele; tu, Dio mio, salva il tuo servo che in te spera” (vv 1-2).

La preghiera si allarga, e chiede altre cose buone, altri doni: “Rallegra la vita del tuo servo” (v 4); “Mostrami, Signore, la tua via perché nella verità io cammini” (v 11); “Donami un cuore semplice che tema il tuo nome” (v 11); “Dona al tuo servo la tua forza” (v 16); “Dammi un segno di benevolenza” (v 17).

Il salmista riconosce la grandezza di Dio e lo loda: “Fra gli dèi nessuno è come te, Signore, e non c’è nulla che uguagli le tue opere” (v 8); “Grande tu sei e compi meraviglie, tu solo sei Dio” (v 10); “Ti loderò, Signore, Dio mio, con tutto il cuore, e darò gloria al tuo nome sempre” (v 12). Oltre alla grandezza di Dio, il salmista riconosce la sua bontà e il suo amore: “Tu, Signore, Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di amore, Dio fedele, volgiti a me e abbi misericordia” (vv 15-16).

Il salmo 86 insegna che anche nella prova e nella sofferenza si possono elevare a Dio preghiere belle e profonde, e riconoscere e lodare la grandezza e la bontà di Dio.

SALMO 87

Il salmo 87 è una grande esaltazione di Gerusalemme profetizzata a diventare la capitale spirituale di tutti i popoli. Tutti i popoli pagani dovranno diventare proseliti di Gerusalemme e dire: “Sono in te tutte le mie sorgenti” (v 7). Il salmo ricorda l’Egitto (Raab), Babilonia, la Filistea, Tiro ed Etiopia, i popoli a sud, a nord, ad est di Israele: tutti convergeranno verso Gerusalemme. Gerusalemme è fondata da Dio stesso sul monte Sion, è particolarmente amata dal Signore, ed ha in sé un registro su cui sono riportati i nomi dei popoli che da Gerusalemme ricevono le loro origini spirituali: “Il Signore scriverà nel libro dei popoli: Là costui è nato” (v 6).

Gerusalemme, per l’evento redentore della morte e risurrezione di Cristo, è davvero la capitale spirituale di tutti i popoli del mondo; davvero verso Gerusalemme dovranno convergere tutte le nazioni, e da Gerusalemme ricevere salvezza; cioè da Gerusalemme riceveranno i benefici della morte e della risurrezione di Cristo.

La Gerusalemme che ora conserva in sé la morte e la risurrezione di Cristo presenti nei divini misteri è la Chiesa. A far parte della Chiesa sono chiamati tutti i popoli, per esserne ‘pietre vive’, e per goderne i doni e i benefici.

SALMO 88

Il salmo 88 è la supplica angosciata di un uomo che si sente prossimo a morire: “Io sono colmo di sventure, la mia vita è vicina alla tomba. Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un morto ormai privo di forza. E’ tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi stesi nel sepolcro. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell’ombra di morte” (vv 4-7).

Oltre al dolore di sentirsi vicino a morire, il salmista soffre per l’abbandono da parte di tutti: “Hai allontanato da me i miei compagni, mi hai reso per loro un orrore” (v 9); “Hai allontanato da me amici e conoscenti” (v 19). Nel momento in cui egli sente più forte il bisogno di presenza e di compagnia, si sente abbandonato e solo.

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E, oltre a tutto ciò, il salmista prova la sofferenza anche dell’abbandono di Dio. Anche Dio sembra averlo dimenticato, ed anzi sembra rifiutarlo e respingerlo: “Perché, Signore, mi respingi, perché mi nascondi il tuo volto?” (v 15).

In questa situazione di estrema sofferenza il salmista grida al Signore: “Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte. Giunga fino a te la mia preghiera, tendi l’orecchio al mio lamento” (vv 2-3).

Il salmo 88 può diventare la preghiera di chi si sente triste fino a morire, fino a desiderare la morte. Gesù in agonia nell’Orto degli ulivi disse: “L’anima mia è triste fino alla morte” (Mt 26,38).

SALMO 89

Il salmo 89 è un salmo composito. Fu scritto in un momento di grave disastro nazionale, quando il re di Israele e la dinastia davidica si trovarono ad essere quasi annientati. Infatti i vv 39-46 descrivono la tragica situazione della monarchia israelitica: “Tu lo hai respinto e ripudiato (il re di Israele), ti sei adirato contro il tuo consacrato; hai rotto l’alleanza con il tuo servo, hai profanato nel fango la sua corona. Hai fatto trionfare la destra dei suoi rivali, hai smussato il filo della sua spada e non l’hai sostenuto nella battaglia, Hai posto fine al suo splendore, hai rovesciato a terra il suo trono”. Si può pensare a quando il re Giosia morì in battaglia, sconfitto dal faraone Necao, nel 609 a.C. (cfr 2Re 23,29); o più ancora a quando il re Joiakìn fu preso e deportato in esilio a Babilonia in seguito alla conquista di Gerusalemme da parte di Nabuccodonosor, nel 597 a.C. (2Re 24,15). In quel frangente la dinastia davidica sembrò essere del tutto annientata.

Ma anche in quel momento tragico il salmista mostra di conservare la fiducia e la speranza. Egli sa che Dio in passato ha scelto Davide a re di Israele, l’ha consacrato col suo santo olio, e gli ha assicurato una discendenza eterna: “Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio lo ho consacrato; la mia mano è il suo sostegno, il mio braccio è la sua forza. Su di lui non trionferà il nemico, né l’opprimerà l’iniquo. Stabilirò per sempre la sua discendenza, il suo trono come i giorni del cielo. Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge e non seguiranno i miei decreti, punirò con la verga il loro peccato e con flagelli la loro colpa, ma non gli toglierò la mia grazia e alla mia fedeltà non verrò meno. Sulla mia santità ho giurato una volta per sempre; certo non mentirò a Davide; in eterno durerà la sua discendenza” (vv 20-38).

Il salmista si fa forte di questa promessa di Dio (anche ai vv 4-5 Dio aveva detto: “Ho stretto un’alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide mio servo: stabilirò per sempre la tua discendenza, ti darò un trono che duri nei secoli”); e confidando in Dio e nella sua fedeltà il salmista si sente di cantare a Dio con gioia: “Canterò senza fine le grazie del Signore, con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli” (v 2) - così inizia il salmo- ; e continua con una grande glorificazione di Dio creatore e sovrano superiore ad ogni altra potenza: “I cieli cantano le tue meraviglie, Signore; chi sulle nubi è uguale al Signore, e chi è simile al Signore tra gli angeli di Dio? Tu domini l’orgoglio del mare, tu plachi il tumulto dei suoi flutti; tu hai calpestato Raab come un vinto, con braccio potente hai disperso i tuoi nemici” (vv 6-15).

La fiducia in Dio fedele a se stesso e alle sue promesse non impedisce al salmista di rivolgersi al Signore con una supplica ardente e accorata perché intervenga a cambiare la situazione di smarrimento e di sofferenza in cui il re e la nazione si trovano: “Fino a quando, Signore, continuerai a tenerti nascosto? Dove sono, Signore, le tue grazie di un tempo, che per la tua fedeltà hai giurato a Davide?” (vv 47-52).

Il salmo invita ad avere fiducia in Dio anche nei momenti più difficili e più dolorosi. A monte di ogni situazione di vita sta la volontà di salvezza di Dio nei confronti dell’uomo; stanno

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parole come queste: “Non temere:se dovrai attraversare le acque, io sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; perché io sono il Signore tuo Dio, il santo di Israele, tuo salvatore. Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo; tu mi appartieni” (Is 43,1-4). Il Signore è fedele alla sua volontà di salvezza per noi.

Notiamo che il salmo riporta la promessa di Dio di far sì che la regalità di Davide non avesse mai a venire meno, e che la sua dinastia avesse a regnare in eterno. Ciò non si compì in senso materiale, come il salmista pensava e sperava, interpretando in senso politico e nazionalista la promessa di Dio (la dinastia di Davide infatti si è estinta). La promessa di Dio si è avverata invece in senso spirituale in Gesù di Nazareth, vero discendente di Davide, e reso signore e re del mondo e dell’universo dal Padre. Anche se il Regno di Dio subisce qua e là sconfitte e battute d’arresto, l’esito finale sarà di Dio, sarà di Cristo, vincitore re dell’universo.

SALMO 90

Il salmo 90 è una riflessione profonda e seria sulla condizione di caducità dell’uomo. La caducità e la precarietà dell’uomo vengono messe a confronto con l’eternità di Dio, e da tale confronto esse appaiono ancora più forti e più pesanti: “Signore, prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio. Ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato. Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, passano presto e noi ci dileguiamo; finiamo i nostri anni come un soffio” (vv 2. 4. 9-10).

L’uomo è poca cosa, è destinato a tornare in polvere: “Tu fai ritornare l’uomo in polvere e dici:‘Ritornate, figli dell’uomo’” (v 3); è come un ciuffo d’erba, “che germoglia al mattino, al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca” (v 5-6).

Oltre che essere segnato dalla precarietà tipica della creatura umana, l’uomo è segnato dalla colpa e dal peccato: “Siamo distrutti dalla tua ira, siamo atterriti dal tuo furore. Davanti a te poni le nostre colpe, i nostri peccati occulti alla luce del tuo volto” (v 7-8). Sembra di dover dedurre dal salmo che le colpe e i peccati dell’uomo siano la causa ultima della sua precarietà e della sua stessa morte; infatti le parole severe di Dio: “Ritornate in polvere, figli dell’uomo” (v 3) sono un richiamo alle parole di Dio ad Adamo dopo il peccato: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai” (Gn 3,19).

La constatazione della propria caducità e della brevità della propria vita spinge il salmista a desiderare la sapienza, la sapienza di chi sa fare tesoro del tempo, per non sprecarlo inutilmente e malamente: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (v 12). Il tempo è prezioso; è ‘denaro’, si dice. “Lo perder tempo, a chi più sa, più spiace”, dice Dante (Divina Commedia, Purgatorio, canto III, v 78). E la constatazione del proprio peccato spinge il salmista a chiedere misericordia e pietà a Dio: “Muoviti, o Dio, a pietà dei tuoi servi” (v 13).

La preghiera poi s’allarga, e chiede serenità e gioia che compensino le fatiche e le afflizioni della vita; chiede che il Signore mostri e faccia vedere il suo agire di salvezza; e che con la sua bontà sostenga e rafforzi l’opera dell’uomo: “Saziaci al mattino con la tua grazia, esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. Rendici la gioia per i giorni di afflizione, per gli anni in cui abbiamo visto la sventura. Si manifesti ai tuoi servi la tua opera. Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio, rafforza per noi l’opera delle nostre mani” (vv 14-17).

Salmo 91

Il Salmo 91 è un salmo di fiducia e di speranza; esso infonde coraggio e serenità al cuore dell’uomo. L’uomo nella sua vita si trova in mezzo a tante prove e difficoltà; il suo cammino procede e avanza spesso tra sofferenze, pericoli e insidie, tra ostacoli che mettono di continuo a

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repentaglio la sua vita, il suo destino, la sua felicità. A quest’uomo il salmo 91 offre un messaggio di fiducia e di speranza.

Esso consta di tre parti:

a) Un liturgo esorta il fedele a proclamare la propria fiducia in Dio (vv 1-2).

Forse un sacerdote, o un levita del tempio di Gerusalemme, invita il fedele a fare una solenne professione di fede nel Signore e a proclamare JHWH quale proprio “rifugio e fortezza”. Il liturgo sa bene che Dio è per l’uomo un luogo sicuro e ben difeso, uno spazio protetto e inespugnabile che può mettere l’uomo al riparo da ogni pericolo e da ogni assalto. Il fedele deve riconoscere tale prerogativa di Dio, ed è invitato dal liturgo a proclamarla ad alta voce e con piena fiducia (v 2).Dio in questi versetti è indicato con quattro nomi differenti: “Altissimo” (‘eliòn), “onnipotente” (shaddàj), “Signore” (JHWH), “Dio” (Elohim), quasi a contrastare, fin da subito, le due quaterne di nemici e di assalitori che compariranno poi nel salmo a insidia dell’uomo (vv 5-6; 13). La potenza di Dio è piena e assoluta.

b) Il liturgo assicura il fedele della protezione di Dio nei suoi riguardi (vv 3-13).

L’uomo è sempre in pericolo di cadere in qualche difficoltà e in qualche imboscata che la vita gli tende; ma Dio lo difende e lo protegge. I nemici dell’uomo sono indicati in questi versetti con varie immagini ed espressioni particolarmente vivaci:

- con l’immagine di una rete che il cacciatore tende agli uccelli per catturarli e nella quale rete essi cadono prigionieri (v 3);

- con un terrificante squadrone formato da quattro terribili nemici (il “terrore”, la “freccia”, la “peste”, lo “sterminio”) che minacciano l’uomo di continuo e senza tregua, con armi mortali e nascoste. Essi insidiano l’uomo di notte, di giorno, a mezzogiorno, cioè sempre; e posseggono armi occulte e nascoste che maneggiano nel buio e nelle tenebre, così che l’uomo non sa capire da dove partano i colpi e non se ne può difendere (v 5-6);

- con l’immagine di un esercito schierato a battaglia che muove all’assalto (v 7);- con quattro animali insidiosi e feroci che tentano di mordere e sbranare: “aspidi, vipere,

leoni, draghi” (v 13).Ma su tutti questi nemici e su tutti questi pericoli veglia il Signore, che con la sua potenza e con la sua forza difende e preserva il fedele da ogni insidia e attacco. Dalla rete del cacciatore egli libera l’uomo (v 3); dal terribile ‘squadrone della morte’ che assale di giorno e di notte con armi occulte e nascoste Dio lo difende (è per l’uomo “scudo e corazza”: v 5); dall’esercito nemico che aggredisce l’uomo e lo assale egli lo protegge facendo cadere attorno a lui i soldati aggressori a migliaia (“a mille e a diecimila”: v 7); davanti agli animali feroci Dio manda i suoi angeli che si caricano sulle braccia l’uomo e lo sollevano, facendolo camminare, anzi facendolo volare, sopra di essi, così da non essere per nulla da essi toccato e offeso (vv 11-13).

c) Dio interviene di persona con un oracolo a conferma di quanto detto dal liturgo al fedele (vv 14-16).

Dio fa al fedele ora otto grandi promesse: la promessa di salvarlo, di esaltarlo, di rispondere alle sue invocazioni quando egli lo invocherà, di essere al suo fianco nella sventura, di trarlo fuori dalla difficoltà, di renderlo glorioso, di dargli una lunga vita, di fargli sperimentare la vera e autentica salvezza. Dio si dichiara decisamente e totalmente a favore dell’uomo. Dio è un Dio “per” l’uomo; di che cosa allora l’uomo dovrà avere paura? “Se Dio è per noi -esclama San Paolo- chi sarà contro di noi?” (Rom 8,31).

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- Più volte nella Bibbia Dio è chiamato “rifugio, fortezza di riparo, baluardo” dell’uomo in pericolo (Deut 33,27; Sal 9,10; Sal 14,6; Sal 59,17; Sal 94,22; Sal 31,4; Is 26,1);

- più volte Dio è indicato come colui che protegge e difende l’uomo sotto le sue ali (Deut 32,11; Sal 17,8; Sal 57,2; Sal 61,5; Sal 63,8; Mt 23,37-38);

- più volte si dice che Dio è accanto all’uomo nella difficoltà (Gen 39,20-21; Sal 23,4; Is 43,1-5; Ger 1,7-8);

- più volte Dio invita a non temere e a confidare anche se un esercito è schierato a battaglia contro di noi (Sal 27,1-3; 2Cron 20,1-30);

- più volte Dio invita a non avere paura (Is 43,1-5; Gios 1,6-9; Lc 1,30; Mt 1,20; Mc 4,37-40; Mc 5,36; Mt 10,28-31);

- più volte Dio invita a confidare in lui (Is 30,15; Sir 2,10; Ger 17,5-8).

Salmo 92

Il salmo 92 è un inno di lode al Signore con all’interno di sè un insegnamento di vita. La lode erompe subito, all’inizio del salmo: “E’ bello dar lode al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunziare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte, sull’arpa a dieci corde e sulla lira, con canti sulla cetra” (vv 2-4). Il salmista è un sacerdote o un levita, o comunque un pio ebreo esperto in canto e nel suono degli strumenti musicali, che sente il bisogno di lodare il Signore per le grandi opere che egli compie: “Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani” (v 5). Il salmista sente il bisogno di lodare Dio di continuo, al mattino (“annunziare al mattino il tuo amore”) e di notte (“la tua fedeltà lungo la notte”). E nel lodare il Signore egli trova la sua gioia; trova che è bello: “E’ bello dar lode al Signore”! (v 2).

Ma gli si affaccia alla mente un problema, il problema dei peccatori che prosperano e hanno fortuna. Come mai ciò avviene? E’ il problema della retribuzione, affrontato anche dal salmo 37 e dal salmo 73. La soluzione proposta dal nostro salmo è la medesima proposta dai salmi 37 e 73: i peccatori prosperano, ma non avranno futuro; li attende la rovina. Il Signore interverrà contro di essi: “Se i peccatori germogliano come l’erba e fioriscono tutti i malfattori, li attende una rovina eterna; saranno dispersi tutti i malfattori” (vv 8. 10).

A fronte dei peccatori che prosperano ma che non avranno futuro, sta il giusto fedele a Dio, il quale “fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano”, avrà un destino di vita e di vitalità (v 13). Anche nella vecchiaia i giusti avranno ancora frutti da portare, doni da dispensare: doni di esperienza, di sapienza, di saggezza, importanti ed utili alle nuove generazioni. Potranno testimoniare e partecipare la loro fede in Dio e la loro esperienza del Signore: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore” (vv 15-16).

Evidentemente il salmista, sia pur in modo non esplicito, invita a vivere da giusti e non da peccatori.

Salmo 93

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Il salmo 93 è un inno a Dio re. Dio è un re forte, sicuro di sè, rivestito di splendore, assiso su un trono stabile e saldo: “Il Signore regna, si ammanta di splendore; il Signore si riveste, si cinge di forza; non sarà mai scosso. Saldo è il tuo trono, o Dio, fin da principio, da sempre tu sei” (vv 1-2).

Al di sotto di lui, che abita in alto, si muovono e si scatenano le acque, simbolo del caos primitivo, ma il Signore domina tutto con forza e con potenza: “Alzano i fiumi, Signore, alzano i fiumi la loro voce, alzano i fiumi il loro fragore. Ma più potente della voce di molte acque, più potente dei flutti del mare, potente nell’alto è il Signore” (vv 3-4).

Anche i suoi insegnamenti, le sue leggi, sono ferme e salde; ‘stanno’ e non mutano, sono degne di fede: su di esse ci si può appoggiare: “Degni di fede sono i tuoi insegnamenti” (v 5). Così pure la casa del Signore, il tempio, ha stabilità eterna: “La santità si addice alla tua casa per la durata dei giorni, Signore” (v 5).

Gesù si è mostrato signore e dominatore delle acque: sul lago di Genezareth placò la tempesta (Mc 435-41); camminò sulle acque (Gv 6,19). I suoi insegnamenti sono verità eterna che non viene mai meno; e il suo corpo risorto è il tempio che non verrà più distrutto.

E’ un salmo che infonde fiducia: Dio è roccia sicura, che non teme alcuna incursione e alcun assalto. Fondati su lui possiamo non essere travolti da nulla.

Salmo 94

Il salmo 94 è una supplica a Dio giudice perché intervenga a fare giustizia. Ci sono malvagi che con violenza si fanno oppressori, uccidono, usano la menzogna in tribunale: “Signore, calpestano il tuo popolo, uccidono la vedova e il forestiero, danno la morte agli orfani. Si avventano contro la vita del giusto, e condannano il sangue innocente” (vv 5-6. 21). Per di più sfidano il Signore: “Dicono: il Signore non vede, il Dio di Giacobbe non se ne cura” (v 7).

Il Signore invece vede e nota tutto: “Chi ha formato l’orecchio. forse non sente? Chi ha plasmato l’occhio, forse non guarda?Chi regge i popoli, forse non castiga? Il Signore conosce i pensieri dell’uomo” (vv 9-11). Sono insensati i malvagi a pensare di poter eludere il giudizio di Dio: “Comprendete, insensati tra il popolo; stolti, quando diventerete saggi?” (v 8).

Il salmista chiede a Dio di intervenire e di agire: “Dio che fai giustizia, o Signore, Dio che fai giustizia: mostrati! Alzati, giudice della terra, rendi la ricompensa ai superbi. Fino a quando gli empi, Signore, fino a quando gli empi trionferanno?” (vv 1-3).

Il salmista sa che Dio è dalla parte del giusto: “Beato l’uomo che tu istruisci, Signore, e che ammaestri nella tua legge, per dargli riposo nei giorni di sventura” (vv 12-13); e chiede aiuto, con la certezza di riceverlo, per essere stato tante volte aiutato in passato: “Chi sorgerà per me contro i malvagi? Chi starà con me contro i malfattori? Quando dicevo:‘Il mio piede vacilla’, la tua grazia, Signore, mi ha sostenuto. Quand’ero oppresso dall’angoscia, il tuo conforto mi ha consolato. Il Signore è la mia difesa, roccia del mio rifugio è il mio Dio” (vv 16. 18-19. 22).

Di fronte a tante ingiustizie, violenze e cattiverie che ci sono nel mondo, questo salmo può essere pregato perché Dio intervenga a rimediare al male; non con la severità e la condanna, ma facendo trionfare il suo regno di giustizia, di amore e di pace.

Salmo 95

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Il salmo 95 fu composto in occasione di una festa al tempio di Gerusalemme. Esso inizia con un invito ai pellegrini di avvicinarsi al tempio: “Venite, applaudiamo al Signore, accostiamoci alla roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia” (vv 1-2). In un secondo momento l’invito si fa più preciso: invita ad entrare nel tempio e ad adorare il Signore: “Entrate, prostràti adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati” (v 6). Si tratta di entrare nel tempio per lodare ed esaltare il Signore, per celebrarlo: egli è grande, è re, tiene in mano gli abissi della terra e le vette dei monti, è l’autore dell’uomo, guida l’umanità come buon pastore (vv 3-5. 7).

La celebrazione però non deve e non può risolversi in qualcosa di solo esteriore e superficiale; a poco varrebbero canti e prostrazioni, se non ci fosse la reale disposizione e volontà di ascoltare il Signore ed incontrarlo. Nel corso della celebrazione colui che la presiede e la guida avverte: “Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il vostro cuore” (v 8). E cita un esempio particolare del cammino degli antichi ebrei nel deserto, quando a Merìba il popolo di Israele, uscito dall’Egitto e assetato, senz’ acqua, tentò Dio e mancò di fiducia in lui (cfr Num 20, 2-13). E come se il richiamo a quell’episodio non bastasse, colui che presiede la celebrazione ricorda che Dio si disgustò del suo popolo durante tutti i quarant’anni nel deserto: “Per quarant’anni mi disgustai di quella generazione e dissi: ‘Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie’ (v 10). Dio perciò fu costretto a punire quegli antichi padri e a non farli arrivare alla terra promessa: “Perciò ho giurato nel mio sdegno: Non entreranno nel luogo del mio riposo” ( v 11).

I pellegrini al tempio di Gerusalemme, dunque, sono invitati a non andare al tempio con leggerezza, solo per fare cerimonia, ma per aprire il cuore al Signore, ascoltare la sua voce, incontrarlo. Potrebbe, altrimenti, accadere che il Signore ne rimanesse disgustato e non potesse farli entrare nella sua intimità, nei suoi doni, nel suo ‘riposo’.

Questo salmo è un richiamo utile ad ogni cristiano che partecipa alla Sacra Liturgia. La Chiesa lo pone come salmo introduttorio alla Liturgia delle Ore.

Salmo 96

Il salmo 96 è un salmo di glorificazione e di esaltazione di Dio re e sovrano del mondo. Egli è grande, degno di lode, rivestito di maestà e di splendore, creatore dei cieli e di tutto ciò che esiste. Merita un continuo canto di lode: “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il suo nome, annunziate di giorno in giorno la sua salvezza” (vv 1-2). Tutto il creato deve esultare e dare lode a Dio: “Gioiscano i cieli, esulti la terra, frema il mare e quanto racchiude; esultino i campi e quanto contengono, si rallegrino gli alberi della foresta davanti al Signore che viene” (vv 11-12).

Dio è degno che davanti a lui ci si prostri, in una grande Liturgia al tempio, celebrata con dignità e splendore, ricca di offerte presentate alla sua maestà: “Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza, date al Signore la gloria del suo nome. Portate offerte ed entrate nei suoi atri, prostratevi al Signore in sacri ornamenti. Dite tra i popoli; Il Signore regna!” (vv 7-10).

Gesù ci ha avvicinato Dio, quel Dio che altrimenti ci sarebbe rimasto lontano e inarrivabile; Gesù ci ha invitati a chiamare Dio ‘Padre’, riconoscendoci suoi figli amati. La Liturgia e la preghiera della Chiesa ci permettono e ci invitano a dare del ‘tu’ a Dio; ma non dobbiamo mai dimenticare ‘chi’ Dio sia! Egli è tutto! E’ il creatore, il sovrano, Sua Maestà, l’infinito, l’onnipotente, l’eterno… Confidenza assoluta in lui, ma insieme assoluta riverenza verso di lui.

Salmo 97

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Anche il salmo 97 celebra ed esalta la regalità di Dio. Dio è presentato nella sua maestosità: è circondato da nubi, siede su di un trono che ha alla base giustizia e diritto; avanza preceduto da un fuoco che brucia i suoi nemici, fa tremare la terra, fa fondere i monti. “Il Signore regna, esulti la terra. Nubi e tenebre lo avvolgono, giustizia e diritto sono la base del suo trono. Davanti a lui cammina il fuoco e brucia tutt’intorno i suoi nemici. Le sue folgori rischiarano il mondo: vede e sussulta la terra. I monti fondono come cera davanti al Signore, davanti al Signore di tutta la terra” (vv 1-5).

Davanti al Signore non possono resistere gli idoli nè i loro adoratori; egli è “l’Altissimo su tutta la terra, l’eccelso sopra tutti gli dèi. Si prostrino a lui tutti gli dèi. Siano confusi tutti gli adoratori di statue e chi si gloria dei propri idoli” (vv 7.9).

I fedeli a Dio invece non hanno nulla da temere davanti al Signore: “Ascolta Sion e ne gioisce, esultano le città di Giuda per i tuoi giudizi, Signore. Una luce si è levata per il giusto, gioia per i retti cuore. Rallegratevi, giusti, nel Signore, rendete grazie al suo santo nome” (vv 8. 11-12).

Il salmo invita ad avere un’alta considerazione di Dio, a riconoscerne la grandezza e la maestà; e a considerare se nel nostro cuore e nella nostra vita vi siano degli idoli, dei falsi dèi.

Salmo 98

Il salmo 98 è un inno a Dio re e giudice della terra che ha ottenuto una grande vittoria. Egli merita che si canti in suo onore con abbondanza di strumenti musicali, quegli stessi strumenti musicali che si usavano per la festa dell’intronizzazione del re in Israele: “Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi. Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo. Cantate inni al Signore con l’arpa, con l’arpa e con suono melodioso, con la tromba e al suono del corno acclamate davanti al re, Il Signore” (vv 1. 5-6).

Dalla vicinanza del salmo ai testi del Deuteroisaia, il profeta dell’esilio a Babilonia, possiamo ipotizzare che la vittoria cantata nel salmo sia la liberazione degli ebrei da quell’esilio, da quella schiavitù. Lo conferma il riferimento a tutti i popoli dei vv 2-3: tutti i popoli furono spettatori dell’azione di Dio, videro la liberazione degli ebrei dall’esilio da parte di Dio: “Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia. Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio” (vv 2-3).

Movente di tale liberazione fu l’amore di Dio per il suo popolo: “Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa di Israele” (v 3). E tutta la terra deve prendere parte alla gioia di tale azione vittoriosa di Dio, tutta la natura deve gioire ed esultare: “Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia. Frema il mare e quanto racchiude, il mondo e i suoi abitanti. I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne davanti al Signore che viene, che viene a giudicare la terra. Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine” (vv 4. 7-9). E’ altamente poetica la personificazione della natura, del mare, dei fiumi, dei monti…

Il salmo si presta a lodare e ringraziare il Signore per le liberazioni, piccole e grandi, che egli, in forza del suo amore, ha compiuto e compie continuamente nella nostra vita.

Salmo 99

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Il salmo 99 è l’ultimo del gruppo di salmi (da 93 a 99) che esaltano e glorificano Dio come re. Anche questo salmo si apre con la proclamazione della regalità di Dio: “Il Signore regna, tremino i popoli, siede sui cherubini, si scuota la terra” (v 1). Però la regalità di Dio in questo salmo riceve una nuova coloritura particolare. Dio-re in questo salmo non è solo grande, potente, signore di tutto -come nei salmi precedenti- ma è un Dio ‘santo’. Per tre volte ciò è esplicitamente affermato nel salmo: “Lodino il tuo nome grande e terribile perché è santo” (v 3); “Esaltate il Signore nostro Dio, prostratevi allo sgabello dei suoi piedi, perché è santo” (v 5); “Esaltate il Signore nostro Dio, prostratevi davanti al suo monte santo, perché santo è il Signore, nostro Dio” (v 9).

Accanto a queste proclamazioni esplicite della santità di Dio-re, il salmo ne afferma la santità anche in modo implicito: al v 1 il salmo dice che Dio”siede sui cherubini”. I cherubini sono angeli, e gli angeli vivono in cielo. Dio, sedendo sui cherubini, siede in cielo, il luogo della trascendenza e della santità. Dio è santo.Al v 6 il salmo ricorda Mosè, Aronne e Samuele, e li qualifica come sacerdoti: “Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti, Samuele tra quanti invocano il suo nome”. Mosè è annoverato tra i sacerdoti perché durante il cammino nel deserto verso la Terra promessa entrava nella tenda del convegno a parlare con il Signore (Num 7,89), e perché molte volte pregò il Signore intercedendo e chiedendo pietà per il popolo peccatore (Es 32,11-14; Es 32,30-32); Aronne è annoverato tra i sacerdoti perché fu unto da Mosè sommo sacerdote (Lev 8,6-12); Samuele è annoverato tra i sacerdoti perché da fanciullo serviva il Signore nel tempio di Silo (1Sam 3,1). Ricordando questi ‘sacerdoti’ il salmista implicitamente afferma la santità di Dio, infatti è proprio del sacerdote entrare in relazione con il Dio-santo, più che con il Dio-onnipotente o con il Dio-eterno. Dio è santo.

Dio è un Dio che dà i suoi comandi, che esige di essere obbedito, che ha pazienza con l’uomo e che tuttavia castiga i suoi peccati: “Parlava loro da una colonna di nubi: obbedivano ai suoi comandi e alla legge che aveva loro dato. Signore, Dio nostro, tu li esaudivi, eri per loro un Dio paziente, pur castigando i loro peccati” (vv 7-.8).

Il salmo ci richiama a un tratto particolare di Dio: la sua santità. Entrare in rapporto con Dio richiede santità anche da parte dell’uomo:“Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo”, dice Dio in Lev 19,2. Lo sforzo e l’impegno di camminare in santità di vita e di evitare il peccato dev’essere continuo nell’uomo.

Salmo 100

Il salmo 100 è un inno nello stile perfetto degli inni biblici: un invito a lodare il Signore, con la motivazione di tale invito. Questo schema: A (invito a lodare il Signore) - B (motivazione dell’invito), nel salmo è ripetuto due volte, per cui la struttura del salmo risulta essere: A-B -- A-B.

Il primo invito a lodare il Signore (A) si trova al v 2: “Acclamate al Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza”; e al v 3 ne viene data la motivazione (B): “Dio ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo”.

Al v 4 si trova il secondo invito a lodare il Signore (A): “Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode, lodatelo, benedite il suo nome; e al v 5 ne viene data la motivazione (B): “Poiché buono è il Signore, eterna la sua misericordia, la sua fedeltà per ogni generazione”.

Il salmo, composto per il pellegrinaggio al tempio, è un salmo di gioia, un invito a servire il Signore; e le motivazioni sono bellissime: Dio è il nostro creatore; è il pastore che ci conduce e guida nella vita; ci sente suoi, parte di sé; è un Dio buono; un Dio di misericordioso; un Dio fedele. Quanto il cuore può fermarsi su questi straordinari motivi! E gioire…

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Salmo 101

Il salmo 101 è la proclamazione da parte di un re di Israele dei propri impegni e programmi di governo. Si tratta di un re religioso e pio, perché egli mette in relazione i propri propositi e programmi di governo col Signore; infatti egli inizia il salmo dicendo: “Amore e giustizia voglio cantare, voglio cantare inni a te, o Signore” (v 1), e poi fa seguire impegni e programmi . In questo modo egli esprime l’idea che, per lui, il governare bene e con giustizia è un inno e un canto in onore a Dio, è un modo di rendergli culto. Possiamo immaginare che, nel giorno della sua incoronazione, durante una cerimonia liturgica, il re tenga il suo discorso programmatico, pronunci la sua promessa di governo giusto, mettendola in relazione con la volontà di Dio.

Gli impegni sono espressi ai vv 2-4: “Agirò con saggezza nella via dell’innocenza… camminerò con cuore integro… non sopporterò davanti ai miei occhi azioni malvagie…lontano da me il cuore perverso, il malvagio non lo voglio conoscere”. E’ un re che si impegna a governare bene, con saggezza e con integrità di cuore, nello sforzo di una vita personale corretta, perseguendo la giustizia e opponendosi a tutto ciò che fosse sbagliato e cattivo.

Nei versetti seguenti, da 5 a 8, il re presenta il suo programma di governo: “Chi calunnia in segreto il suo prossimo io lo farò perire… non abiterà nella mia casa chi agisce con inganno… sterminerò ogni mattino tutti gli empi del paese per estirpare dalla città del Signore quanti operano il male… i miei occhi sono rivolti ai fedeli del paese… chi cammina per la via integra sarà mo servitore”. Il re sarà un re giusto, che si impegna a proteggere e a far crescere il bene, e a combatterà il male.

Questo salmo può essere lo specchio in cui chi detiene il potere può specchiarsi, per sentirsi invitato ad esercitare in modo giusto ed equo il potere. Può anche esprimere il governo di Dio, che è un governo giusto, buono e santo. F. Quevedo esclama: “Oh governo di Cristo! Oh politica di Dio! Interamente piena di giustizia clemente e di clemenza giusta”.

Salmo 102

Il salmo 102 è la supplica di un individuo sofferente che prega per la sua situazione dolorosa personale e per la situazione dolorosa di Sion, Gerusalemme. La supplica per la propria situazione dolorosa personale è presente nella prima e nell’ultima parte del salmo, i vv da 2 a 12 e da 24 a 28; mentre la supplica per la situazione dolorosa di Gerusalemme è all’interno del salmo, i vv da 13 a 23, più il v 29. Le due situazioni sono intrecciate insieme.

Il salmista si trova in una situazione di grave sofferenza: è nell’angoscia, si sente abbattuto e dolorante, provato anche nel fisico, marcato dalla consapevolezza della sua estrema precarietà: “Si dissolvono in fumo i miei giorni e come brace ardono le mie ossa. Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce, dimentico di mangiare il mio pane. Per il lungo mio gemere aderisce la mia pelle alle mie ossa” (vv 4-6). A fronte della precarietà e della vita breve del salmista sta Dio nella sua eternità e vita senza fine: “Tu, Signore, rimani in eterno… i tuoi anni durano per ogni generazione… i cieli sono opera delle tue mani, essi periranno, ma tu rimani, tutti si logorano come veste, ma tu resti lo stesso e i tuoi anni non hanno fine” (vv 13. 25. 27-28). Al Signore il salmista innalza il suo grido:

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“Signore, ascolta la mia preghiera, a te giunga il mio grido. Non nascondermi il tuo volto; quando ti invoco: presto, rispondimi” (vv 2-3).

Il salmista prega anche per Gerusalemme: “Tu, Signore, sorgerai, avrai pietà di Sion, perché è tempo di usarle misericordia” (v 14). La città di Gerusalemme è stata presa e devastata dagli eserciti di Nabucodonosor, e giace in uno stato pietoso di desolazione; ma il Signore si prenderà cura di lei, la ricostruirà di nuovo, farà risuonare ancora in lei le lodi di Dio, la farà diventare centro di raduno di tutti i popoli: “I popoli temeranno il nome del Signore quando il Signore avrà ricostruito Sion e sarà apparso in tutto il suo splendore, e sarà annunziato in Sion il nome del Signore e la sua lode in Gerusalemme, quando si aduneranno insieme i popoli e i regni per servire il Signore” (vv 16-17. 22-23).

Il salmo si presta come preghiera al fedele sofferente che chiede salvezza per sé, ed unisce alla propri richiesta la richiesta per il bene della Chiesa e dell’umanità.

Salmo 103

Il Salmo 103 è un inno di lode alla bontà e alla misericordia di Dio. Un pio israelita medita sulla definizione che Dio stesso diede di sé in Es 34, 5-7, e la applica alla propria esperienza, all’esperienza di tutto Israele al momento dell’uscita dall’Egitto, e alla realtà di ogni uomo, fragile creatura fatta di terra e tanto incline a sbagliare.

Il passo di Es 34,5-7 racconta di Dio che si manifestò a Mosè sul Monte Sinai nell’atto di dargli le tavole della Legge; Dio proclamò il suo nome, rivelò a Mosè la propria vera e profonda essenza, e disse: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso (rachùm) e pietoso (channùn), lento all’ira e ricco di grazia (chèsed) e di fedeltà (’èmet), che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa (‘awòn), la trasgressione (peshà‘) e il peccato (chattà’h), ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”.

Questo testo proclama la bontà e la misericordia di Dio che ama con amore di padre (chèsed) e di madre (rachùm), che ama con amore assolutamente gratuito (channùn) e fedele (’èmet); che se deve castigare (questa è ancora la visione imperfetta dell’Antico Testamento) castiga “fino alla terza e alla quarta generazione”, cioè in modo limitato e non per sempre, mentre la sua misericordia è senza limiti ed è per sempre, “fino alla millesima generazione”; cioè è una misericordia che ha la meglio sul castigo.

Il nostro salmo si richiama esplicitamente a questo passo del libro dell’Esodo perché lo cita alla lettera nel v 8: “Buono (rachùm) e pietoso (channùn) è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore (chèsed); e al v 9 afferma l’idea che la misericordia di Dio ha la meglio sul castigo: “Egli non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno” . Nel resto del salmo ricorrono altri concetti e termini che sono presenti in Es 34,5-7, come ad esempio i termini “ ‘awòn” (v 3), “chèt” (v 10), “peshà‘ “ (v 12b) per dire colpa, peccato, trasgressione.

Dunque il salmista con questo salmo vuole lodare e benedire la misericordia di Dio. E la canta in tre ambiti: anzitutto all’interno della propria vita e della propria esperienza.

1. La misericordia di Dio nella vita e nell’esperienza del salmista (vv 2-5).

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Dopo le prime parola del salmo: “Benedici il Signore, anima mia” (v 1), che costituiscono l’apertura di tutto il salmo e si riferiscono al salmo intero, facendo da inclusione con le ultime parole del salmo stesso (v 22c), il salmista, al v 2, invita la propria anima, cioè se stesso, la parte più profonda di sé, a benedire il Signore e a non dimenticare i grandi benefici che egli, nella sua bontà, gli ha concesso: “Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici”.

Il salmista ha peccato, è caduto nella malattia a causa dei suoi peccati (nell’Antico Testamento si credeva che le malattie fisiche fossero effetto e castigo dei peccati); la malattia era diventata grave e pericolosa, tanto che lo aveva portato vicino alla morte; ma Dio nella sua bontà e misericordia gli ha perdonato i peccati, lo ha guarito e lo ha salvato dalla morte, lo ha circondato di grazia (“chèsed”, amore paterno) e di misericordia (“rachamìm”, amore materno); in più lo ha saziato di beni e gli ha dato una nuova giovinezza, un nuovo futuro, come l’aquila che cambia periodicamente il piumaggio e addirittura le ali (così si credeva nell’antichità). Il salmista sente dunque il bisogno profondo di esaltare e di benedire la misericordia di Dio: “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia” (vv 3-4).

2. La misericordia di Dio nell’esperienza di tutto Israele (vv 6-7).

Il salmista allarga poi lo sguardo a tutto il suo popolo, e fissa un momento particolare della storia di Israele, un momento grande, delicato, decisivo: il momento dell’uscita dall’Egitto. Lì, in Egitto, Israele era schiavo e oppresso, e Dio l’ha soccorso, l’ha aiutato, lo ha liberato. Dio ha rivelato a Mosè “le sue vie”, il suo disegno di salvezza a favore di Israele, e Mosè ha condotto Israele al di là del mare, in terra di libertà. Dio ha fatto conoscere al suo popolo “le sue opere”, cioè gli ha fatto sperimentare i suoi straordinari interventi (le piaghe d’Egitto, il passaggio del mare, la manna, le quaglie, l’acqua sgorgata dalla roccia). Davvero Dio è stato buono e misericordioso con il suo popolo! ( cfr Sap 19,22).

3. La misericordia di Dio nell’esperienza di ogni uomo fragile e peccatore (vv 8-18).

In un terzo momento il salmista allarga lo sguardo ancora di più e, con occhio che abbraccia tutto l’orizzonte della storia umana, si ferma a considerare la bontà e la misericordia di Dio nella vicenda e nella persona di ogni uomo. L’uomo è debole e fragile; è un piccolo, povero filo d’erba che oggi è e domani non è più; il vento caldo del deserto lo fa appassire e avvizzire, tanto che non si conosce più neppure il luogo ove esso prima era. L’uomo è una manciata di terra e di polvere che Dio ha plasmato e ha costruito, ma che in breve tempo ritorna a ciò che era prima, terra informe: “Egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere. Come l’erba sono i giorni dlel’uomo, come il fiore del campo, così egli fiorisce. Lo investe il vento e più e più non esiste e il suo posto non lo riconosce” (vv 14-16). L’uomo è debole anche moralmente; è peccatore (v 10).

Ma Dio ama questo filo d’erba, ama questa manciata di terra, questa debolezza; ama questo “nulla”. Dio è per l’uomo come un padre, un padre che ha pietà dei suoi figli e li ama con amore di madre (è interessante che al v 13 l’espressione “ha pietà”, riferita a Dio-padre, traduca il verbo ebraico “rachàm” che significa “amare con amore di madre”). Dio dunque è padre che ama con amore di madre, è padre e madre insieme: “Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono”.

Proprio perché è padre e madre insieme, Dio è “lento all’ira e grande nell’amore” (v 8); si arrabbia, sì, e va in collera per un momento, ma poi si quieta e torna benevolo e mite (cfr Sal 30,5-6; Os 11,7-9; Is 54,7-10). Il Sal 77,8 chiede: “Forse Dio ci respingerà per sempre?”, e il Sal 79,5 chiede:

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“Signore, sarai adirato per sempre?”; ma il nostro salmo risponde: No, non per sempre: “Egli non continua a contestare, e non conserva per sempre il suo sdegno” (v 9). Dio è buono e non ci castiga come meriteremmo; meno di quanto meriteremmo per i nostri peccati e per le nostre colpe: “Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe” (v 10).

Dio ha una misericordia che è grande quanto è grande la distanza tra il cielo e la terra, cioè somma e assoluta: l’ebreo non conosceva una distanza, in verticale, che fosse più grande e maggiore di quella tra il cielo e la terra; e Dio allontana dall’uomo i peccati che egli ha commesso tanto quanto distano tra loro l’oriente e l’occidente; l’ebreo non conosceva una distanza, in orizzontale, che fosse più grande e maggiore di quella tra oriente e occidente: “Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono; come dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe” (vv 11-12). (cfr Mi 7,18-19). Oltre che ricorrere al simbolismo dello spazio per indicare l’immensità della misericordia di Dio, il salmista ricorre anche al simbolismo del tempo; e dice che la misericordia di Dio è senza limiti anche nel tempo: “la grazia (chèsed) del Signore è da sempre e dura in eterno per quanti lo temono” (v 17); dura per tutte le generazioni, dura per tutta la storia umana (cfr Lc 1,50). L’uomo è dentro questa infinita misericordia e bontà di Dio (cfr Lam 3,22-23).

L’esperienza della misericordia del Signore deve spingere l’uomo a vivere l’alleanza con lui e ad essergli fedele, ad amarlo: “La sua giustizia per i figli dei figli, per quanti custodiscono la sua alleanza e ricordano di osservare i suoi precetti” (vv 17-18).

Il v 19 è un versetto che viene a coronare tutta la lode che il salmista ha elevato alla misericordia di Dio; esso presenta Dio seduto su di un trono, in alto, nel cielo, e lo presenta re di un regno che abbraccia tutto l’universo. Ma di che trono si tratta? e che tipo di regno è il suo? Si tratta, da quanto è stato detto in tutto il salmo, di un trono di misericordia e di un regno di bontà e di amore, che abbraccia tutto il mondo e raggiunge la storia di tutti i popoli e la storia di ogni singolo uomo. La lettera agli Ebrei invita: “Accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno” (Ebr 4,16).

A conclusione (vv 20-22), il salmo termina con un gran finale, in cui il salmista, attraverso tre solenni “benedite”, invita tutto l’universo e ogni essere esistente, dagli angeli ad ogni altra creatura, a lodare e a benedire il Signore per i suoi benefici, per la sua misericordia e per il suo amore.E l’ultimo invito è rivolto dal salmista a se stesso, come aveva fatto all’inizio del salmo, dicendo: “Benedici il Signore, anima mia!”.

Salmo 104

Il salmo 104 è un inno a Dio creatore; un inno che vuole lodare Dio per quanto egli ha fatto e per quanto continua a fare nel mondo e nell’universo. Il salmo inizia e termina con una inclusione che è un invito a benedire il Signore: “Benedici il Signore, anima mia”. Il salmista invita se stesso a lodare Dio, e, attraverso l’invito a se stesso, invita il lettore del salmo ad innalzare a Dio la stessa lode e la medesima benedizione.

Il salmo getta lo sguardo sulle mille cose che Dio ha creato, e nella rassegna di esse si rifà allo schema dei sei giorni della creazione di Gen 1.

-Nei vv 1bc-2a Dio appare rivestito di maestà e di luce; e in Gen 1,3 (primo giorno) Dio crea la luce.

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-Nei vv 2b-4 si racconta di Dio che crea il cielo e le acque sopra il cielo, e si serve delle nubi, dei venti e dei lampi; e in Gen 1,6-8 (secondo giorno) Dio crea il cielo e le acque superiori.

-Nei vv 5-18 si dice che Dio crea la terraferma e la ricopre di vegetazione, così che gli animali e l’uomo la possano abitare; e in Gen 1,9-13 (terzo giorno) Dio crea la terraferma e la ricopre di vegetazione.

-Nei vv 19-23 si dice che Dio ha creato il sole e la luna, destinati a regolare le stagioni e a distinguere il giorno dalla notte, così che animali e uomini possano procurarsi il cibo e possano riposare; e in Gen 1,14-19 (quarto giorno) Dio crea il sole, la luna e le stelle a regolamento del giorno e della notte.

-Nei vv 24-26 si parla del mare che brulica di pesci; e in Gen 1,20-23 (quinto giorno) Dio crea i pesci.

-Nei vv 27-34 si dice che Dio provvede il cibo agli animali e li conserva in vita; si dice che l’uomo canta e loda Dio per quanto Dio ha fatto nell’universo; e in Gen 1,24-27 (sesto giorno) Dio crea gli animali e l’uomo.C’è quindi un chiaro riferimento al testo di Gen 1.

Alcuni commentatori hanno pure notato una vicinanza del Salmo 104 con l’inno egiziano del faraone Amenofis IV (xv secolo av. C.) composto in onore del dio Sole (il dio Aton), che dice: “Tu sorgi bello all’orizzonte del cielo, o Aton vivo, che hai dato inizio al vivere. Tu hai creato la terra a tuo desiderio; hai creato gli uomini, il bestiame ed ogni animale selvatico; i pesci del fiume guizzano verso di te; i tuoi raggi arrivano in fondo al mare. Quando vai in pace all’orizzonte occidentale, la terra è nell’oscurità. Tutti i leoni escono dalle loro tane, tutti i serpenti mordono. Quando all’alba tu riappari, scacci le tenebre e gli uomini lavano le loro membra, prendono le loro vesti e la terra intera si mette al lavoro. Tu fai vivere tutte le tue opere, e ad ognuna di esse provvedi il suo cibo…”.

Il salmo celebra Dio nella sua qualità di creatore, un creatore che non ha creato le cose in un tempo lontano e passato e che ora si disinteressa di quanto ha creato, ma un Dio che è sempre all’opera e in azione, un Dio che è continuamente presente all’opera uscita dalle sue mani. La creazione è un evento continuo e di ogni istante, un’azione che Dio compie momento per momento, anche in questo momento. Infatti Dio fa scaturire le sorgenti nelle valli di continuo -dice il salmo-, e di continuo irriga i monti saziando la terra con il frutto delle sue opere. Di continuo egli fa crescere il fieno per gli armenti e provvede alle necessità di ogni vivente; di continuo provvede al susseguirsi del giorno, della notte, e delle stagioni, conserva il respiro ad ogni sua creatura (vv 10-28). Se egli ritirasse anche per un solo istante il suo spirito creatore, tutto cadrebbe nella polvere e nel nulla: “Se nascondi il tuo volto,vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (vv 29-30). Dio è creatore e provvidente; non dimentica e non trascura in nessun istante quanto ha creato.

Nell’universo che egli ha fatto, egli ha impresso uno straordinario e perfetto ordine; tutto procede in modo armonioso e regolare; il tutto mostra e rivela l’infinita scienza e sapienza di Dio (vv 19-24). Le creature gli obbediscono e gli stanno sottomesse; solo l’uomo è in grado di ribellarsi e di opporsi a lui, e potrebbe rovinare l’ordine e l’armonia che Dio ha impresso nelle cose; il salmo allora dice al v 35: “Scompaiano i peccatori dalla terra, e più non esistano gli empi”; cioè non ci sia assolutamente chi distrugge e rovina la bellezza che Dio ha disseminato nell’universo.

Il salmo ci dà anche un ritratto d’uomo; ci presenta un uomo a tre dimensioni. Anzitutto l’uomo che il salmo ci mette davanti è un uomo fatto da Dio, un uomo che è sua “creatura” ed è “dentro” il cosmo, creatura come tutto il creato. L’uomo non è una realtà autonoma e indipendente, ma è una realtà che ha al di sopra di sé e all’origine del proprio esistere un Dio creatore, che egli deve riconoscere.

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Dentro il creato l’uomo -è la seconda dimensione che il salmo evidenzia- ha un compito da svolgere, quello di lavorare il creato e di renderlo più perfetto e più adatto alla propria vita. Il salmo dice che l’uomo è chiamato a confezionarsi il pane, a confezionarsi il vino e l’olio (vv 14-15. 23), elementi che egli non trova già bell’e fatti, ma che deve procurarsi col il proprio lavoro e con la propria opera. Il mondo deve essere reso più bello e più vivibile dall’uomo (cfr Gen 2,15).

In terzo luogo l’uomo, secondo il salmo, è un uomo capace di contemplare. Pur “dentro” l’universo e parte di esso, l’uomo è capace, con la sua ragione e col suo cuore, con lo spirito di cui Dio lo ha dotato, di innalzarsi sopra l’universo e contemplare tutta la bellezza delle cose, stupirsene e ammirarle, e arrivare a lodare, ringraziare, benedire Colui che le ha fatte (cfr Sap 13,3-5). Ecco che il salmo inizia e termina con l’esclamazione: “Benedici il Signore, anima mia”.

L’uomo è l’unica creatura cosciente nell’universo, è l’unico essere che può lodare Dio per quanto Dio ha fatto (le creature inanimate, o senza ragione, non lo possono fare). L’uomo può trasformarsi in “sacerdote” del creato e lodare Dio a nome di tutto quanto esiste, dando voce ad ogni creatura. L’uomo ha la capacità di intonare un grande cantico, avviare uno straordinario coro di lode, in cui ogni creatura è invitata ad unire la propria voce a gloria del Signore (cfr Dan 3,57-81).Sono belli, e vicini al Salmo 104, i testi di Sir 43 e Gb 38-39.

Salmo 105

Il Salmo 105 è un inno di lode e di ringraziamento a Dio per quanto egli ha compiuto nella storia di Israele.

Il salmo inizia con una lunga introduzione (vv 1-6), che mette avanti una serie di dieci imperativi rincorrentisi l’uno dopo l’altro, a ritmo battente: “lodate, invocate, proclamate, cantate, meditate, gloriatevi, gioisca, cercate, cercate, ricordate”. L’oggetto del ricordo, della lode, del canto e del ringraziamento sono le opere che Dio ha compiuto a favore del suo popolo nel corso della storia, sono i prodigi e le meraviglie con cui egli ha beneficato Israele. Tali meraviglie vengono poi dettagliatamente richiamate e ricordate nel seguito del salmo. Il corpo del salmo contiene appunto l’elenco di tali meraviglie (vv 12-44).

Esse sono inserite e poste entro una cornice, i vv 7-11 e il v 45, che richiamano e descrivono l’alleanza di Dio con Israele, il patto d’amore stabilito con lui, il giuramento solenne fatto al popolo di dargli il paese di Canaan, la Terra promessa. Dio si è impegnato con libero gesto d’amore ad aiutare, a soccorrere e a provvedere al suo popolo, e lo ha fatto in mille modi e in mille occasioni lungo la storia, attraverso i tanti prodigiosi interventi ricordati nel salmo: Dio è stato fedele al suo patto; ha giurato ed ha mantenuto: “Ricorda sempre la sua alleanza: parola data per mille generazioni: ‘Ti darò il paese di Canaan, come eredità a voi toccata in sorte” (vv 8-11). Così allora deve fare anche Israele: egli deve rimanere fedele a Dio e osservare le sue leggi, deve obbedire ai comandi del Signore: “Diede loro la terra dei popoli perché custodissero i suoi decreti e obbedissero alle sue leggi” (vv 44-45); l’amore con cui è stato trattato da Dio esige e chiede ad Israele una risposta d’amore .E’ appunto dentro questa cornice che viene riletta la storia di Israele.

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Nei vv 12-15 il salmista ricorda la cura premurosa e gelosa di Dio per il suo popolo quando esso era ancora nomade al tempo di Abramo ed era costretto ad entrare in rapporto con popoli più forti di lui, i popoli sedentari, a causa di una carestia o di qualche altra difficoltà. In quelle occasioni Dio ha sempre difeso e protetto il suo popolo, e non ha permesso che esso fosse colpito, danneggiato o oppresso: “Quando erano in piccolo numero, pochi e forestieri in quella terra, e passavano di paese in paese, non permise che alcuno li opprimesse e castigò i re per causa loro: ‘Non toccate i miei consacrati, non fate alcun male ai miei profeti’ ” (cfr Gen 12,10-20).

Nei vv 16-22 il salmista ricorda la Provvidenza di Dio che soccorse il suo popolo bisognoso di cibo facendolo scendere in Egitto, ove già Dio aveva fatto arrivare Giuseppe, il figlio di Giacobbe, che lì era diventato viceré di tutto il regno e sovrintendente-capo dell’intera regione: “Chiamò la fame sopra quella terra e distrusse ogni riserva di pane. Davanti a loro mandò un uomo, Giuseppe, venduto come schiavo. Gli strinsero i piedi con ceppi, il ferro gli serrò la gola, finchè il re mandò a scioglierlo, il capo dei popoli lo fece liberare; lo pose signore della sua casa, capo di tutti i suoi averi. E Israele venne in Egitto…” (cfr Gen 37 – 47). Raccontando questa vicenda il salmista riconosce nel gesto cattivo dei fratelli di Giuseppe, che si erano sbarazzati di lui, l’intervento buono e provvidente di Dio che si servì proprio di quel gesto cattivo per fare del bene e salvare gli stessi fratelli di Giuseppe che tale gesto avevano malvagiamente compiuto. E’ il massimo della Provvidenza di Dio, che opera dentro le vicende degli uomini e sa volgere al bene degli uomini addirittura il male che essi hanno compiuto! (ciò avvenne in grado ancora più alto nella vicenda di Gesù messo in croce).

Nei vv 23-36 il salmista ricorda il soggiorno del popolo di Israele in Egitto, la sua oppressione e la sua liberazione dalla schiavitù per mezzo delle terribili piaghe inviate da Dio contro gli Egiziani. Delle dieci piaghe raccontate nel libro dell’Esodo, ne vengono ricordate otto: le tenebre che avvolsero la terra (cfr Es 10,21-23); l’acqua del Nilo che venne mutata in sangue (cfr Es 7,14-21); l’invasione delle rane (cfr Es 7,26 – 8,2), l’invasione dei mosconi (cfr Es 8,16-20), l’invasione delle zanzare (cfr Es 8,12-13); la grandine e i fulmini che colpirono il raccolto (cfr Es 9,13-26); l’invasione delle locuste che divorarono tutto (cfr Es 10,1-15); i primogeniti degli Egiziani che vennero uccisi da Dio nella notte (cfr Es 11,1-7; 12,29-30). Non vengono ricordate le piaghe della mortalità del bestiame (Es 9,1-7) e delle ulcere (Es 9,8-10).

Nei vv 37-43 il salmista ricorda l’uscita dall’Egitto e la descrive come un’uscita trionfale: “Fece uscire il suo popolo con argento e oro, fra le tribù non c’era alcun infermo. L’Egitto si rallegrò della loro partenza perché su di essi era piombato il terrore” (cfr Es 12,31-36); enumera i grandi gesti di attenzione e di cura che Dio ebbe per il suo popolo nel cammino lungo il deserto: la colonna di nube che proteggeva il popolo dal calore del sole di giorno e ne illuminava la strada di notte, così che esso potesse camminare di continuo (cfr Es 13,21-22); il dono delle quaglie e della manna (cfr Es 16); il dono dell’acqua sgorgata miracolosamente dalla roccia (cfr Es 17,1-7).

E infine al v 44 il salmista ricorda l’ingresso nella Terra promessa, dono assolutamente gratuito di Dio (cfr Deut 4,37-38; Deut 6,10-13).

Tutte queste opere furono opere d’amore, dell’amore di Dio per il suo popolo, opere che -come abbiamo detto- chiedono al popolo altrettanto amore e altrettanta fedeltà, esigono obbedienza e osservanza della legge del Signore: “…perché custodissero i suoi decreti e obbedissero alle sue leggi” (v 45).

A tale elenco il cristiano può aggiungere il grande e supremo intervento di Dio nella storia dell’umanità (il più grande e il più salvifico di tutti!): l’Incarnazione, la passione, la morte e la

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risurrezione del Figlio di Dio; gesto insuperabile e impensato dell’amore di Dio per l’uomo, senza il quale l’uomo sarebbe per sempre stato perduto.

E ciascun uomo può, inoltre, rileggendo a ritroso la propria vita personale, trovare mille altri modi e momenti in cui Dio si è preso cura di lui, lo ha amato, lo ha soccorso, lo ha sostenuto, consolato, difeso e aiutato. Allora col salmista può dire: “Lodate il Signore, cantate a lui, ricordate le meraviglie che egli ha compiute”.

Salmo 106

Il Salmo 106 è una rilettura della storia di Israele alla luce di due linee portanti legate tra di loro e intrecciantisi strettamente l’una con l’altra: la linea del continuo peccato di Israele e la linea della continua misericordia di Dio.

Il salmo fu composto durante l’esilio degli abitanti di Gerusalemme e di Giuda a Babilonia, quando il popolo, lontano dalla propria terra e conscio delle proprie colpe, attendeva e sperava da Dio la grazia del ritorno; il v 47 lo lascia intendere chiaramente: “Salvaci, Signore Dio nostro, e raccoglici di mezzo ai popoli”. Da quella situazione di profonda sofferenza il salmista lancia lo sguardo alla storia passata del suo popolo e la vede tutta punteggiata di continue defezioni e infedeltà al Signore, di continui peccati e ribellioni; ma insieme vede anche i continui interventi di misericordia e di perdono di Dio nei confronti del popolo peccatore. Il salmista sa di essere in esilio, insieme al suo popolo, a causa dei propri peccati, ma spera che la stessa pazienza e misericordia che Dio ha usato con i suoi avi, ora egli la usi anche con loro e li riporti nella terra da cui sono stati strappati.

Il salmo si divide in tre parti: un’ introduzione che apre il salmo ed è costituita dai primi sei versetti (vv 1-6); il corpo del salmo (vv 7 - 46); e una conclusione (v 47). Il v 48 è stato aggiunto in un secondo momento quando il Salterio fu diviso in cinque parti, e ad ogni parte fu annessa, come conclusione, una “dossologia”, un’espressione di lode a Dio (cfr Sal 41,14; Sal 72,18-20; Sal 89,52; Sal 106,48; Sal 150).

A) L’introduzione (vv 1-6)

L’introduzione contiene un invito a lodare il Signore per la sua eterna misericordia: “Celebrate il Signore perché è buono, perchè eterna è la sua misericordia” (vv 1-2); contiene una beatitudine per coloro che agiscono con giustizia e secondo la volontà di Dio: “Beati coloro che agiscono con giustizia e praticano il giudizio in ogni tempo” (v 3); contiene una preghiera a Dio perché venga in aiuto al suo popolo in difficoltà: “Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo, visitaci con la tua salvezza” (vv 4-5); e contiene una confessione dei peccati commessi: “Abbiamo peccato come i nostri padri, abbiamo fatto il male, siamo stati empi” (v 6). Questi elementi sembrano staccati l’uno dall’altro, ma si illuminano e prendono contorni più precisi mano a mano che il salmo procede. Il salmista, che aveva già in mente il salmo tutto intero, fa risuonare fin dall’introduzione, i temi che poi svolgerà.

Nel salmo si racconta la misericordia di Dio che spesso è intervenuta a salvezza del popolo di Israele, e ai vv 1-2 si invita a “celebrare l’eterna misericordia” di Dio; nel salmo si descrive a più riprese le dolorose situazioni in cui è venuto a trovarsi il popolo a causa dei suoi peccati, e al v 3 si dice: “Beati coloro che agiscono con giustizia e praticano il diritto in ogni tempo”, cioè beato quel popolo che si mantiene fedele a Dio: non avrà da soffrire; nel salmo si parla della situazione di esilio e di deportazione in cui si trova ora il popolo, e ai vv 4-5 si chiede al Signore di ricordarsi di

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lui e di dargli salvezza; nel salmo si proclama con frequenza che il popolo ha peccato, e al v 6 il popolo si riconosce peccatore. Quindi l’introduzione del salmo è una specie di grande "overture" al salmo intero.

B) Il corpo del salmo (vv 7-46)

Il salmo racconta otto momenti della storia di Israele, di cui sette ormai passati e uno ancora in atto (sette, dunque, più uno). In ciascuno di questi momenti il popolo di Israele ha peccato, si è allontanato da Dio, si è ribellato a lui e lo ha abbandonato; Dio però lo ha sempre perdonato, gli ha rimesso la colpa e lo ha sempre di nuovo riaccolto a sé. Non però senza fargli sperimentare anche la sofferenza e la pena, perché sofferenza e pena sono inevitabili conseguenze del peccato (Ger 2,19), e “necessario” salario del male (cfr Rom 6,23). Sarebbe stolto l’uomo che dicesse: “La misericordia di Dio perdona sempre, per cui anche se pecco non mi accadrà nulla di male” (cfr Sir 5,4-7.

1. Primo momento: mancanza di fede nel passaggio del mare dei giunchi (vv 7-12).Dio aveva operato le dieci piaghe d’Egitto a favore del suo popolo, ma nel momento di

uscire dall’Egitto, presso il mare dei giunchi, il popolo di Israele non seppe avere fiducia in Dio e conservare la speranza che egli avrebbe portato a compimento la sua opera: “I nostri padri in Egitto non compresero i tuoi prodigi, non ricordarono tanti tuoi benefici e si ribellarono presso il mare, presso il mare dei giunchi”. Dio però intervenne per l’onore del suo nome e portò il suo popolo a salvamento oltre il mare: “Ma Dio li salvò per il suo nome, per manifestare la sua potenza. Minacciò il mare dei giunchi e fu disseccato, li condusse tra i flutti come per un deserto, li riscattò dalla mano del nemico” (cfr Es 14,5-14).

2. Secondo momento: mancanza di fede nel deserto, quando il popolo si trovò senza cibo (vv 13-15). Il popolo si trovò senza cibo nel deserto e si lamentò col Signore, non seppe fidarsi di lui e

del suo disegno, della sua Provvidenza che avrebbe pensato a dargli il necessario. Ma Dio, nella sua bontà, rispose alle mormorazioni e alle lamentele senza fede del popolo col dono della manna e delle quaglie: “Presto dimenticarono le sue opere, non ebbero fiducia nel suo disegno, arsero di brame nel deserto, e tentarono Dio nella steppa. Concesse loro quanto domandavano e saziò la loro ingordigia” (cfr Es 16).

3. Terzo momento: la ribellione di Datan e Abiron contro Mosè e Aronne (vv 16-18).Lungo il cammino nel deserto Core, della tribù di Levi, si ribellò all’autorità di Aronne il

sommo sacerdote, e Datan e Abiron, della tribù di Ruben, si ribellarono all’autorità di Mosè, il grande condottiero; non seppero riconoscere in essi le guide volute da Dio, coloro a cui Dio stesso aveva dato autorità e aveva affidato la missione di guidare il popolo. Dio punì Core, Datan, Abiron e i loro seguaci mandando un fuoco dal cielo e facendoli sprofondare in una improvvisa voragine; salvò però quelli che non avevano aderito alla loro rivolta: “Divennero gelosi di Mosè negli accampamenti, e di Aronne, il consacrato del Signore. Allora si aprì la terra e inghiottì Datan, e seppellì l’assemblea di Abìron. Divampò il fuoco nella loro fazione e la fiamma divorò i ribelli” (cfr Num 16).

4. Quarto momento: il vitello d’oro (vv19-23).Nel deserto il popolo di Israele si costruì un vitello d’oro e si mise ad adorarlo. JHWH era

un Dio invisibile e misterioso, dai progetti arcani e incomprensibili; era un Dio difficile e faticoso da seguire, mentre Israele sentiva il bisogno di un Dio visibile e concreto, che si potesse toccare e manipolare a piacimento, un dio costruito con le proprie mani, e quindi secondo i propri progetti e i propri gusti. Il peccato di idolatria aprì una breccia nell’accampamento di Israele, un foro nella muraglia spirituale del popolo; e per quella breccia sarebbe entrata l’ira devastatrice di Dio in tutto l’accampamento, se Mosè non si fosse posto sulla breccia e non avesse sbarrato il passo alla collera

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del Signore. L’intercessione di Mosè salvò in quell’occasione il popolo peccatore, e Dio si lasciò placare: “Si fabbricarono un vitello sull’Oreb, si prostrarono a un’immagine di metallo fuso; scambiarono la loro gloria con la figura di un toro che mangia fieno. Dimenticarono Dio che li aveva salvati. E Dio aveva già deciso di sterminarli, se Mosè suo eletto non fosse stato sulla breccia di fronte a lui, per stornare la sua collera dallo sterminio” (cfr Es 32,1-14).

5. Quinto momento: il rifiuto di entrare nella Terra promessa (vv 24-27).Lungo il cammino nel deserto il popolo, ad un certo punto, volle tornare indietro. Le asperità

del percorso e le notizie degli esploratori mandati avanti da Mosè per un giro di ricognizione nella Terra promessa, scoraggiarono a tal punto il popolo che esso disse: “Diamoci un capo e torniamo in Egitto!”; il popolo non seppe avere fiducia e fidarsi del Signore che lo avrebbe certamente aiutato a superare ogni ostacolo e ogni difficoltà nell’ingresso nella Terra che lui stesso gli offriva. Il Signore punì quella mancanza di fede facendo morire nel deserto tutti gli Ebrei increduli e infedeli; ma lasciò in vita chi gli aveva creduto e si era fidato di lui: “Rifiutarono un paese di delizie, non cedettero alla sua parola. Mormorarono nelle loro tende. Dio alzò la mano su di loro, giurando di abbatterli nel deserto” (cfr Num 13 – 14).

6. Sesto momento: l’idolatria a Baal-Peor (vv 28-31).Gli Ebrei nel deserto si lasciarono traviare dalle donne di altri popoli, e si unirono a loro fino

al punto di partecipare al culto delle loro divinità. Parteciparono ai riti pagani in onore di Baal, il dio di Peòr (un monte nella regione di Moab), e mangiarono le vittime sacrificate agli dèi inesistenti e senza vita, “morti”, venerati in quel santuario. Ma Fìnees, un discendente di Aronne, si dissociò da tale condotta e castigò i colpevoli, placando così l’ira di Dio. Molti però morirono tra il popolo: “Si asservirono a Baal-Peòr e mangiarono i sacrifici dei morti, provocarono Dio con tali azioni e tra essi scoppiò una pestilenza. Ma Finees si alzò e si fece giudice, allora cessò la peste” (cfr Num 25).

7. Settimo momento: la ribellione presso le acque di Merìba (vv 32-33).Il popolo durante il cammino dell’esodo si trovò senza acqua e si lamentò col Signore, lo

accusò d’averlo condotto in un deserto impervio e inospitale, ed esigette da lui un intervento miracoloso. Dio nella sua misericordia lo ascoltò e ordinò a Mosè di battere con il bastone la roccia per farne uscire acqua abbondante. Mosè in quell’occasione fece qualcosa che non piacque al Signore, per cui fu castigato da Dio e non entrò nella Terra promessa, ma morì sul limitare di essa, sul monte Nebo: “Lo irritarono anche alle acque di Merìba e Mosè fu punito per causa loro, perché avevano inasprito l’animo suo ed egli disse parole insipienti” (cfr Es 17,1-7; Num 20,1-13).

8. Ottavo momento: i peccati nella Terra promessa e l’esilio come castigo (vv34-46).Anche una volta entrato nella Terra promessa il popolo continuò a peccare; non prese le

distanze dalle popolazioni pagane che vi abitavano, ma si unì ad esse per via di matrimoni, e contaminò la propria fede con la loro idolatria (cfr Giud 2,1-3; Giud 6,7-10). Addirittura Israele arrivò a sacrificare agli dèi pagani i propri figli, come facevano i Cananei al dio Mòloch (cfr Lev 18,21; Ger 7,30-32; Ez 16,20-21). In tal modo profanarono profondamente la Terra santa, e Dio si adirò con Israele e lo rese schiavo di altri popoli: “Non sterminarono i popoli come aveva ordinato il Signore, ma si mescolarono con le nazioni e impararono le opere loro. Servirono i loro idoli, immolarono i propri figli e le proprie figlie agli dèi falsi; la terra fu profanata dal sangue. L’ira del Signore si accese contro il suo popolo e lo diede in balìa dei popoli, li dominarono i loro avversari, li oppressero i loro nemici”.

La storia di Israele giunto nella Terra promessa fu tutta un alternarsi di doni di Dio e di ribellioni del popolo. Ai vv 43-46 il salmista compendia tale storia in alcuni momenti che si ripeterono di continuo, l’uno dopo l’altro: Dio liberava Israele da qualche difficoltà, e Israele, anziché mostrarsi grato a Dio, si ribellava e si allontanava da lui; allora Dio lo castigava e lo dava in balìa dei nemici, e Israele, nella sofferenza, gridava al Signore chiedendo aiuto e soccorso; allora il

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Signore lo ascoltava e lo liberava; ma Israele, una volta liberato, si ribellava di nuovo… E’ lo schema dei racconti del Libro dei Giudici (cfr Giud 3,7 – 8,35).

Ora il popolo si trova in esilio e in schiavitù, a Babilonia, a causa dei propri peccati, ma Dio gli sta usando misericordia; si è ricordato della sua alleanza e sta facendo in modo che il popolo “trovi grazia” presso i suoi deportatori. E’ la realizzazione della promessa di Dio in Lev 26,39-45.

C) Conclusione (v 47)

Il salmo si conclude con una vibrante invocazione a Dio perché riunisca il suo popolo disperso in terra straniera e lo riporti in patria, così che il popolo possa per sempre lodare e ringraziare il Signore e gloriarsi della sua lode: “Salvaci, Signore Dio nostro, e raccoglici di mezzo ai popoli, perché proclamiamo il tuo santo nome e ci gloriamo della tua lode”.

Il v 48, come già detto, è stato aggiunto in un secondo momento, come versetto conclusivo della quarta parte del salterio.

Questo salmo è simbolo della storia di ogni uomo (anche della nostra storia) segnata da tante ribellioni e infedeltà a Dio; ma a fronte della storia dell’uomo, fatta di chiaro-oscuri, sta la continua e fedele misericordia di Dio che non viene mai meno, e che è sempre pronta a perdonare e a ricominciare il suo dialogo d’amore con le sue creature. Il salmo, insieme, ricorda all’uomo che il peccato è sempre fonte di sofferenza, di pena, di rovina e di morte.

Salmo 107

Il salmo 107 è un inno di ringraziamento a Dio per i suoi interventi di salvezza. Inizia con l’invito ai ‘riscattati del Signore’ (gli ebrei liberati dall’esilio di Babilonia) e a tutti coloro che, dispersi in mezzo ai popoli, erano riusciti a tornare in terra di Palestina, a lodare e a celebrare il Signore : « Celebrate il Signore perchè è buono, perchè eterna è la sua misericordia. Lo dicano i riscattati del Signore, che egli liberò dalla mano del nemico e radunò da tutti i paesi, dall’oriente e dall’occidente, dal settentrione e dal mezzogiorno » (vv 1-3).

Il salmo presenta, in quattro quadri, quattro situazioni di sofferenza e di pericolo a cui il Signore portò salvezza. La prima situazione è quella degli ebrei lungo il cammno nel deserto dall’Egitto alla Terra promessa (vv 4-9). Il popolo era senza cibo e senza acqua, non conosceva la strada e vagava qua e là, come perso. Dio intervenne, gli procurò cibo e acqua, gli indicò la strada giusta da seguire : « Vagavano nel deserto, nella steppa, non trovavvano il cammino per una città dove abitare Erano affamati e assetati, veniva meno la loro vita. Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angustie » (vv 4-6). Ci sono due versetti-ritornello che marcano ciascuno dei quattro quadri : « Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angustie. Ringrazino il Signore per la sua misericordia, per i suoi prodigi a favore degli uomini » (vv 6. 8 ; 13. 15 ; 19. 21 ; 28. 31).

La seconda situazione di sofferenza è la cattività babilonese (vv 10-16). Gli ebrei erano schiavi a Babilonia: la loro condizione era quella di persone sottomesse, totalmente limitate nella loro libertà, come si trovassero in prigione, in carcere. Dio intervenne e li liberò: “Abitavano nelle tenebre e nell’ombra di morte, prigionieri della miseria e dei ceppi. Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli liberò dalle loro angustie; spezzò le loro catene, infranse le porte di bronzo e spezzò le barre di ferro” (vv 10. 13. 14. 16). “Ringrazino il Signore per la sua misericordia” (v 15).

La terza situazione è quella di un popolo sofferente, che pativa per la sua cattiva condotta e per i suoi peccati. Il Signore intervenne con la sua parola a guarirli: “Stolti per la loro iniqua

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condotta, soffrivano per i loro misfatti, e già toccavano le soglie della morte. Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angustie. Mandò la sua parola e li fece guarire, li salvò dalla distruzione” (vv 17-20). “Ringrazino il Signore per la sua misericordia” (v 21).

La quarta situazione di sofferenza è quella di naviganti in balìa delle forze del mare, in pericolo di essere travolti dalle onde e finire annegati tra i flutti. Dio intervenne a salvarli da morte certa: “Coloro che solcavano il mare sulle navi e commerciavano sulle grandi acque videro le opere del Signore. Un vento burrascoso sollevò i suoi flutti; salivano fino al cielo, scendevano negli abissi, ondeggiavano e barcollavano come ubriachi, tutta la loro perizia era svanita. Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angustie. Ridusse la tempesta alla calma, tacquero i flutti del mare. Si rallegrarono nel vedere la bonaccia ed egli li condusse al porto sospirato” (vv 23-30). “Ringrazino il Signore per la sua misericordia” (v 31).

Dopo questi quattro quadri il salmo continua con una serie di versetti che celebrano la potenza di Dio capace di cambiare e trasformare completamente le cose, gli avvenimenti, le situazioni, rendendole favorevoli da sfavorevoli che erano (vv 33-41): “Ridusse i fiumi a deserto, a luoghi aridi le fonti d’acqua, e la terra fertile in palude per la malizia dei suoi abitanti. Ma poi cambiò il deserto in lago e la terra arida in sorgenti d’acqua. Là fece dimorare gli affamati ed essi fondarono una città dove abitare. Li benedisse e si moltiplicarono. Poi, ridotti a pochi, furono abbattuti, perchè oppressi dalle sventure e dal dolore, ma risollevò il povero dalla miseria e rese le famiglie numerose come greggi”.

Gli ultimi due versetti sono un invito a tenere presenti e considerare le opere del Signore, per capire quanto grande sia la sua bontà: “Chi è saggio osservi queste cose e comprenderà la bontà del Signore” (v 43).

Il salmo è un invito a fare memoria dei molti interventi di salvezza operati da Dio nella nostra vita, quando ci soccorse nel cammino con amore provvidente; quando ci liberò da situazioni di scacco che ci tenevano prigionieri di preoccupazioni e di paure; quando ci guarì da malattie fisiche e spirituali; quando ci salvò da momenti di tempesta e di burrasca che avrebbero potuto vincerci e farci perire. Tale ripercorrere e rivisitare la propria vita susciterà in noi un forte e commosso bisogno di lodare e di ringraziare il Signore.

Salmo 108

Il salmo 108 risulta dalla cucitura delle parti finali di due salmi. I versetti da 2 a 6 del salmo 108 riprendono e ripropongono alla lettera i versetti da 8 a 12 del salmo 57, e i versetti da 7 a 14 del salmo 108 riprendono e ripropongono alla lettera i versetti da 7 a 14 del salmo 60. E’ un esempio di testo risultante dall’unione tra loro di testi precedenti. Un esempio di tale procedimento è anche il Cantico di Maria, il Magnificat, che risulta tutto costruito da versetti di salmi e di altri testi dell’Antico Testamento.

Il salmo 108 è un inno di lode e insieme di supplica a Dio per la nazione di Israele, che ha bisogno di salvezza e di essere soccorsa dalla potenza di Dio.Osservazioni particolari circa il salmo possono essere trovate nel commento ai salmi 57 e 60.

Salmo 109

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Il Salmo 109 è uno dei salmi più difficili del Salterio da accettare per la cruda violenza dei sentimenti espressi e del linguaggio usato. Il salmista si trova ad essere fatto oggetto di violenza e di calunnie da parte di uomini malvagi che ingiustamente lo perseguitano: “Contro di me si sono aperte la bocca dell’empio e dell’uomo di frode; parlano di me con lingua di menzogna. Mi investono con parole di odio, mi combattono senza motivo” (vv 2-3). Il salmista nei confronti di quelle persone aveva usato comportamenti buoni e corretti, aveva usato bontà, ma essi stavano rispondendo a lui con odio e cattiveria: “In cambio del mio amore mi muovono accuse, mi rendono male per bene e odio in cambio di amore” (vv 4-5).

Il salmista esce in una lunga serie di invettive e di imprecazioni che hanno l’aspetto e il sapore di ritorsioni contro di loro, perché siano puniti del male che vanno orchestrando contro di lui (vv 6-20). Il male che vanno compiendo ricada violentemente su di loro, secondo una specie di legge del contrappasso: “Suscita un empio contro di lui e un accusatore stia alla sua destra…. Ha amato la maledizione: ricada su di lui! Non ha voluto la benedizione: da lui si allontani! Sia questa da parte del Signore la ricompensa per chi mi accusa, per chi dice male contro la mia vita” (vv 17. 20). L’augurio è l’augurio di mali terribili: “Pochi siano i suoi giorni, i suoi figli rimangano orfani e vedova sua moglie. L’usuraio divori tutti i suoi averi e gli estranei faccian preda del suo lavoro. Nessuno gli usi misericordia, nella generazione che segue sia cancellato il suo nome…” (vv 8-13).

La parte finale del salmo (vv 21-31) è una supplica del salmista al Signore perché venga in suo soccorso e lo aiuti: “Signore Dio, salvami, perché buona è la tua grazia. Io sono povero e infelice e il mio cuore è ferito nell’intimo. Aiutami, Signore mio Dio, salvami per il tuo amore. Allora risuoni sulle mie labbra la lode del Signore, lo esalterò in una grande assemblea, perché si è messo dalla parte del povero” (vv 21-22. 26. 30-31).

Il salmo evidentemente non può essere pregato ed applicato contro chi ci stesse facendo soffrire e stesse facendoci del male. Gesù non vuole che ci vendichiamo e auguriamo il male a nessuno, anzi ci chiede di perdonare ai nostri nemici e di pregare per i nostri persecutori (cfr Mt 5,44). Può invece essere usato contro i nemici spirituali che ci affliggono e ci fanno soffrire nel cammino verso Dio.

SALMO 110

Il Salmo 110 celebra il re di Gerusalemme, sovrano e sacerdote insieme. Dei primi re di Gerusalemme la Bibbia dice che oltre ad essere re esercitavano anche, in certe occasioni, l'ufficio sacerdotale. Di Davide si dice che quando introdusse l'arca a Gerusalemme offrì sacrifici (2Sam 6,13. 17-18), e che dopo aver comperato l'aia di Araunà, il luogo per costruire il tempio, "vi costruì un altare al Signore e offrì olocausti e sacrifici di comunione" a Dio (2Sam 24,24-25). Dei suoi figli si dice che "officiavano nel culto", pur non essendo di stirpe levitica (2Sam 8,18). Di Salomone si dice che "in piedi, davanti all'arca dell'alleanza, offrì olocausti e sacrifici di comunione" (1Re 3,15), e nel giorno della dedicazione del tempio diede la benedizione al popolo (1Re 8).

Questo salmo dunque, che parla del re di Gerusalemme re e sacerdote, è antico; risale a quando regalità e funzioni sacerdotali erano ancora unite insieme nella persona del re. In seguito tali diverse funzioni saranno rigorosamente distinte. Siamo dunque al tempo dei primi re di Gerusalemme (1000 - 930 a.C.). Il titolo del salmo lo attribuisce a Davide, e possiamo pensare che risalga proprio alla sua epoca, anche perché il salmo parla di vittorie militari, e Davide ottenne numerose vittorie in battaglia.

Al re di Gerusalemme in quanto re e sovrano di Gerusalemme si riferiscono i vv 1-3 e 5-7 (la prima e la terza parte del salmo); invece la parte centrale del salmo (v 4) celebra il re di Gerusalemme in quanto sacerdote.

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Il re di Gerusalemme in quanto re e sovrano.

La parte riguardante il re di Gerusalemme in quanto re e sovrano inizia ed è introdotta da un oracolo solenne di JHWH: "Oracolo di JHWH al mio signore" (v 1). Il re di Gerusalemme è chiamato "signore", signore del salmista: è un titolo di onore. (Anche la parte riguardante il re in quanto sacerdote, come vedremo, sarà introdotta in modo solenne: da un giuramento di JHWH).La regalità del re è espressa da vari elementi:

- "Siedi alla mia destra" (v 1). Il sedersi, l'assidersi, sottintende un seggio, un trono ove assidersi. Il seggio preparato per il re di Gerusalemme da parte di Dio è un seggio d'onore: è "alla destra" di Dio stesso, posizione di riguardo.

-A questo re JHWH mette sotto i piedi uno sgabello ("finchè io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi" (v 1). E’ un segno di onore e di attenzione particolare, perché il re stia comodo. Ai personaggi di riguardo seduti in trono si metteva sotto i piedi uno sgabello, e spesso tale sgabello aveva incise delle figure di nemici vinti e fatti schiavi, come si vede ad esempio sullo sgabello del faraone Tut-ank-amon, fatto di cedro incrostato d'avorio e oro, con incisi i nove nemici tradizionali dell'Egitto prostrati a terra e schiacciati dai piedi del faraone. Nel nostro caso lo sgabello non è solo uno sgabello di legno con delle figure di nemici vinti disegnate , ma sono proprio gli stessi nemici vinti! ("finchè io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi". Mettere i piedi sul collo dei nemici vinti era segno e rituale di vittoria. Il re che vinceva i nemici in battaglia metteva loro i piedi sopra. Così ad esempio Gios 10,24: Giosuè disse agli ufficiali: "Avvicinatevi e calpestate il collo di questi re". In 1Re 5,17 si dice: "Il Signore metteva i suoi nemici sotto i suoi piedi" (è Salomone che parla di Davide). Il re del nostro salmo, dunque, sarà un re vincitore.

-Egli ha uno "scettro" in mano, impugna lo scettro segno del potere e della regalità :"lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion" (v 2). E questo scettro il Signore lo estende sui popoli attorno ad Israele; cioè dà a questo re potere e dominio sui popoli vicini ("domina in mezzo ai tuoi nemici" v 2). 2Sam 8,5-15 dice: "Davide li sconfisse, uccise 22.000 uomini e impose gover-natori ai Siri di Damasco, che restarono vassalli di Davide, obbligati a pagargli il tributo... Sconfisse Edom nella valle del Sale, uccidendo 18.000 uomini ed aumentò la sua fama; impose governatori a Edom, che divenne vassallo di Davide. Il Signore diede a Davide la vittoria in tutte le sue campagne militari".

Il v 3 può riferirsi al giorno della intronizzazione del re ("a te il principato nel giorno della tua potenza"). Il giorno "della potenza" del re è il giorno della sua proclamazione a re d'Israele, quando egli inizia effettivamente ad avere potere. E' un giorno che si celebra "tra santi splendori": questa espressione denota gli addobbi, gli ornamenti della festa.

L'intronizzazione e la proclamazione a re è espressa dal salmista con l'immagine di una nascita o di una adozione del re da parte di Dio ("dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato"). L'essere proclamato re di Israele comportava per il nuovo re, secondo la mentalità antica, l'ingresso in un nuovo e più stretto rapporto con JHWH: il re diventava suo più stretto e più diretto rappresentante. Fatto re, il re non era più un semplice e comune membro del popolo, ma era il luogotenente di Dio sopra il suo popolo; il suo legittimo rappresentante. Tale nuovo legame con Dio veniva sentito come una sorta di filiazione e di "generazione" da parte di Dio: ecco perché al v 3 Dio dice al re: "io ti ho generato". Non si tratta di generazione fisica.

Tale nuovo e più stretto legame con Dio è un dono che viene dall'alto, un dono che il re riceve dal cielo, da Dio. Ciò è espresso con l'immagine dell'aurora e della rugiada che hanno la loro origine "in alto": l'aurora appare in cielo, e la rugiada è l'umidità presente nell'atmosfera che si condensa scendendo sull'erba del prato. ("dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato"). E' il Signore che fa dono al nuovo re di Gerusalemme della sua dignità regale.

Continuando, nella terza parte del salmo (vv 5-7), il discorso sul re, si dice che il Signore lo assisterà in battaglia: "Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel giorno della sua ira" (v 5). Al

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v 1 si era detto che era il re a trovarsi alla destra di Dio; ora si dice che è Dio a porsi alla destra del re. Il re in battaglia è protetto da Dio alla parte destra, la parte scoperta e indifesa. Infatti alla sinistra il guerriero in guerra aveva lo scudo e si difendeva con quello; la sua parte più esposta era la destra. Dio difenderà il re proprio "alla parte destra", cioè là dove egli avrà bisogno; lo difenderà perfettamente.

Il v 6 parla di vittoria e di strage con un tono di crudo realismo, quasi truculento:"giudicherà i popoli: ammucchierà cadaveri, abbatterà teste su vasta terra ". Tale espressione risente degli usi e dei costumi antichi spesso crudeli, presenti nei popoli intorno a Israele e anche in Israele stesso (anche questo è un indizio di antichità del salmo). Di Seti faraone d'Egitto (1318-1301 a.C.) si dice: "Gioisce nell'andare in guerra; il suo cuore gode nel vedere sangue. Taglia la testa ai malvagi; preferisce un istante calpestare che un giorno di festa". Salmanassar III (858-824 a.C.) dice di se stesso: "Assaltai la città e la conquistai; uccisi a fil di spada 300 dei loro soldati. Li sconfissi e ridussi in macerie le loro città. Coprii la vasta pianura di cadaveri di soldati. Tinsi di sangue come lana le montagne. Con i loro cadaveri, prima che ci fosse un ponte, resi guadabile il fiume Oronte".

Il v 7 descrive il re che, stanco per la strage operata, si disseta ad un torrente che incontra sulla via del ritorno, e poi riprende a testa alta, da vincitore, la sua marcia:"lungo il cammino si disseta al torrente e solleva alta la testa".

Il re di Gerusalemme in quanto sacerdote.

La parte centrale del salmo è dedicata al re di Gerusalemme in quanto sacerdote. Essa si apre con un solenne giuramento da parte di JHWH: "JHWH ha giurato e non si pente" (v 4); viene proclamata la dignità sacerdotale eterna, per sempre, del re di Gerusalemme: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedech". Si dice che è un sacerdozio secondo l'ordine di Melchìsedech, il re-sacerdote di Gerusalemme (di cui parla Gen 14,17-20), che offrì "pane e vino" al Signore, a differenza dei capri e dei tori offerti dai sacerdoti del sacerdozio aronitico.

Il re di Gerusalemme dunque, cantato dal salmo, ha anche compiti e funzioni sacre. Egli può intercedere e pregare per il suo popolo; può ottenere grazie da Dio per i suoi sudditi. E’ molto bella la preghiera di intercessione di Salomone a favore di tutto Israele nel giorno della inaugurazione del tempio di Gerusalemme (1Re 8,22-61).

Lettura "cristiana" del Salmo.

Questo salmo fu sentito dalla tradizione ebraica come un salmo messianico, e in questo senso lo intese anche la prima comunità cristiana. Infatti esso è più volte citato nel Nuovo Testamento e applicato a Gesù Messia (così in Mt 22,41-46; in At 2,34-35) e a Gesù sacerdote (così in Ebr 4,14-16; Ebr 5,4-10; Ebr 7,11-28; Ebr 10,11-14). Da vari passi poi del Nuovo Testamento sappiamo che Gesù è anche il Re del mondo e dell’umanità (Gv 18,33-37; 1Cor 15,24-28; Ef 1,10; Fil 2,9-11). Nel re di Gerusalemme vincitore dei nemici e sacerdote del suo popolo, cantato dal salmo 110, noi possiamo vedere dunque annunciato Cristo Gesù re del mondo e sacerdote dell'umanità. Egli è colui che è destinato dal Padre a dominare (con dominio d'amore) su tutti gli uomini, mettendo sotto i propri piedi in modo definitivo i nemici che si oppongono al suo regno (il peccato, la morte, Satana). Egli è colui che è sempre in piedi davanti al Padre nel cielo per intercedere per noi, a nostro favore, quale nostro sommo ed eterno Sacerdote. Egli ci otterrà salvezza!

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