rrose sélavy magazine

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magazine n. 29 gennaio 2012 Rrose Sélavy PG

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magazinen. 29gennaio2012

Rrose Sélavy

PG

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Senza titolo, 2006

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Cosa significa sentire il colore? Cosa significa muovere la tela, spingere le masse dentro incontri ed ancoraggi, fare strato, aggiungere, fino all’approdo di un qualcosa che non si spiega ma è tangibile ed arriva attraverso la vista? PG sa cosa significa. Si nasconde dietro due iniziali, semplice, senza i fronzoli che di solito abbelliscono l’arte, segue un cammino che non sempre le si rivela al primo colpo, gioca di modestia e lavora con le mani per poi arrivare all’intelletto, conservando una qualità artigianale e un’azione di recupero che rendono la sua produzione molto mo-derna ma sempre in stretta relazione col passato. Dopo gli avvii figurativi, la fascinazione per l’impianto cromatico e per il luminismo impressionista, le spe-culazioni paesaggistiche insistenti sul tema boschivo che conducono gli esiti dell’artista dalla tarda adolescenza e poi per diversi decenni, improvvisa-mente, come un’illuminazione arriva una rivolta in termini di materia e volume. C’è come un liberarsi dai vinco-li del disegno, mai amato del tutto, per darsi completamente al colore, alla luce e allo spessore. C’è un emanciparsi dai modelli seguiti e dai risultati cercati, un sollevato assolversi per il disamore dell’ordine ed un fluido sgorgare emo-zionale che riversa sulla tela il tempera-mento irrequieto della pittrice, trasfor-mando le sensazioni in linguaggio espressivo privo di diaframmi.

Senza titolo, 2006

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Senza titolo, 2006

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Le vecchie tele tornano utili e si coprono di strati preparatori, prevalentemente scuri, che conferiscono particolare risonanza alle tinte d’impianto generalmente freddo, ma speziate da do-minanti terrose catalizzatrici della luce, che va a infilarsi dove i pieni creano ingorghi ed ammassi senza pretesa alcuna di figu-razione, tesi soltanto alla percezione, al sentore, all’idea. Dei dipinti di PG, Dino Baiocco – pittore e gallerista della Galleria Centofiorini, specializzata nella pittura anoggettuale di maggior risonanza degli ultimi trent’anni – diceva che “hanno una bella tensione”, cogliendo l’elemento principale di un’orchestrazione giocata quasi esclusivamente sull’impasto cromatico, sui contra-sti e sulle fusioni, sui bagliori a schiarire i neri dei fondali e dei contorni, morbidi, traccianti a volte, e quasi per caso, vaghi pae-saggi della mente, forse con un lontano richiamo, altrettanto casuale, a certi esiti del Blaue Reiter e di Franz Marc..

Senza titolo, 2006

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Episodi paesaggistici ogni tanto tornano ad alternare la prevalente scelta non figurativa, compaiono visioni di case ed alberi, soggetti quasi totemici di un immaginario personale muliebre e materno che non si disperde, seb-bene oramai sia direttamente il colore a dare linee e masse degli scenari, essenziali, più allu-sivi che mimetici, portatori di una qualità ven-tosa della sensazione

Senza titolo, 2006

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Recentemente, l’occasione della partecipazione ad una mostra collettiva sulla questione sensoriale (NOW No One Way – organizzata da Rrose Sélavy nel giugno 2011 agli An-tichi Forni di Macerata) produce una riflessione tematica della pittrice attorno ad un unico specifico argomento, in quel caso il senso del gusto, con la lavorazione di differenti opere contemporaneamente, dalla pittura multimateriale su tela e su tavola all’installazione. Non è semplice rendere le sensazioni. Il campo è propriamente quello dell’arte ma come si fa a rendere in termini pittorici il gusto di qualcosa? Non la forma, l’aspetto, il colore di un oggetto come una mela, un gelato, un arrosto di carne – tutto questo atterreb-be alla vista –, bensì il loro sapore, l’insieme di aromi, effluvi, consistenze, percezioni. Si tratta di pensare il gusto e allo stesso tempo viverlo istintivamente, poi tradurlo in pulsa-zioni cromatiche che restituiscano l’intera esperienza di un pasto, suggerendo le singole note e gli accenti di sapore al riguardante che, a prescindere dai formati, può tuffarsi in un dilagare di riverberi sensoriali. Per l’evento PG concepisce una cena a colori introdotta dall’installazione Desco Bianco, una elaborazione di recupero a smalto e stucco come sorta di ingresso neutro alla tavola ideale sulla quale consumare pietanze cromatiche scelte che, scorrendone i titoli, costitui-scono un vero e proprio menù dalle intenzioni sensuali: Ara-gosta afrodita I e II, Sale (acquatico), Scorze di limone (verde cinabro), Morire di sapore (nocciole e rose), Filtri e liquori (distillati)… Una cena di pesce introdotta da Papille, porta d’entrata del sapore, e dispiegata dai piatti di mare fino a dolci ed elisir di fine pasto. Il risultato è intenso, voluttuoso, l’impressione è di completezza e soddisfazione dei sensi, con un lascito avvolgente davvero vicino all’esperienza più edonista del gusto.

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Filtri e liquori (distillati), 2011

Nocciole e rose (morire di sapore), 2011

Papille, 2011 (particolare)

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La lavorazione a stucco, gesso, smalto, sabbia e composti vari utilizzata per Desco Bianco continua poi ad ispirare PG, attualmente impegnata nel penetrare matericità e purezze, candori attraversati da presenze ed ombre, dove lo spessore diventa dominante e gli strati lattei prendono tele, vetri e cornici, come tempo che si deposita sulle cose, un’azione me-moriale che sbiadisce e lascia fantasmi, superfici scabre e irregolari, eco di passate sembianze di cui rimangono accenni di colore e qualche gra-dazione polverosa. In tutto questo acquista un senso particolare il gesto del recupero, il riutilizzo del supporto, dove la pittura prende tutto, finan-che il chiodo d’appendimento. L’ispirazione viene forse dalle haute pâte di Fautrier o di Lavagnino, coniugate a certi vagheggiamenti alla Raciti, ma l’approccio risulta molto rudimentale, dal punto di vista tattile, e poe-tico, dal punto di vista concettuale, è inoltre un progredire sul cammino battuto sin dagli anni Settanta, con le tele rimesse in uso più e più volte dopo l’incorniciatura, per sfruttarne la massa, la grossezza di certe pen-nellate seccate, oggi in parte sostituite da gessi e siliconi quando il fare diventa veloce, alla ricerca del dato tattile e di tensioni palpabili, che fanno delle sue opere esperienze plurisensoriali.

Desco bianco, 2011

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Di fronte ai lavori di PG si com-prende che la pittura non è solo un fatto di vista. Si guarda ma l’occhio trasmette informazioni che si leg-gono con tutto il corpo e che risuonano particolarmente nella testa e nelle mani, con coinvolgi-mento, voglia di scoperta, verità della sensazione.

Desco bianco, 2011

Bianco, successioni, 2011

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Rrose Sélavy

PG vive e lavora a Civitanova Marche

Testi di Marta Silenzi