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magazine n. 30 febbraio 2012 Rrose Sélavy DANILO SANTINELLI ENEA MONTECCHIANI

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Rrose Sélavy

DANILO SANTINELLIENEA MONTECCHIANI

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Dall'altra parte non c'è più nessuno è un racconto lungo scritto nel 1996 durante uno degli inverni più freddi che Bologna abbia mai conosciuto (almeno fino al 1996).Vivevo in una casa tappezzata con fogli di polistirolo messi lì dai vecchi inquilini che non sopportavano l'umidità di quel piccolo appartamentino seminterrato.Una ragazza basca abitava nella stanza accanto alla mia e spesso venivano in autostop da Bilbao alcune sue amiche che si fermavano per giorni chiuse in quella stanza a far chissà che cosa.Le vedevo uscire tutte vestite di maglioni colorati usati e blu jeans di terza mano; mi guardavano mentre stavo seduto sul letto con la macchina da scrivere sulle ginocchia (sembravo uno stitico seduto sulla tazza del cesso); mi salutavano con un Hola tirato via e scappavano per andare a fare un giro in Accademia o in Piazza Verdi o alla Montagnola.Scrissi quella storia con l'idea di scrivere un diario, come per mettere delle fotografie o dei punti su un foglio che mi sarebbe piaciuto riempire di parole.In quel periodo il lavoro era soltanto un'ossessione, una malattia che sta sempre sul punto di sfogare in qualche sintomo significativo ma che rimane sempre in uno stato latente, una sorta di febbre dell'oro e naturalmente nessuno (né io né quelli che conoscevo) aveva un impiego. Si passavano ore per strada entrando nei negozi nei bar nei locali notturni e in tutte quei gironi infernali che ognuno ha dovuto percorrere per riuscire a tirar su un salario. Un giorno entrò in casa mia, tutto trafelato, un mio compare di Grosseto (chissà che fine ha fatto!?) che con un volantino mezzo appallottolato mi fa: “O 'he tu fai, grullo! Tirati su che s'è trovato lavoro!”

Dall'altra parte non c'è più nessuno

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L'entusiasmo era alle stelle, quando srotolò quel volantino sentii ritornarmi la voglia di vestirmi, infilarmi le scarpe e uscire fuori di casa ( quella casa!). Insomma l'offerta era chiara e semplice: bisognava vestirsi da grosso panino e girare per le strade del centro pubblicizzando un non so quale ben precisato rivenditore di tali generi alimentari. Ci presentammo e l'offerta di cinquemilalire lorde, dico cinquemila, sembrava una proposta ragionevole. Così per ben due lunghi orribili giorni girai così conciato (cosa che confesso ora per la prima volta, persino a me stesso) accalappiato a questo compare, che se la svignò dopo poche centinaia di metri, lungo via Indipendenza, via Rizzoli, Ugo Bassi, Manzoni e tutti gli odonimi di Bologna. Risalta rafforzato da iperboli e paradossi qui e là spero ben infilati, la condizione di un individuo che diventato pubblicità fisicamente viene allontanato ingiuriato o peggio ancora annichilito dall'indifferenza della gente fino al punto di chiudersi sempre di più in un mondo altro, un luogo che, ancor più claustrofobico e opprimente della stanza di polistirolo, perde anche l'ultima parvenza di umanità. Un'aspirina gigante al centro di un'isola abitata da strani individui che orchestrano un complotto per autodistruggersi coinvolgendo l'enorme medicinale;trovare la bomba e distruggere quell' orrendo sistema perverso è l'unico modo per ritrovare la propria figura, l'immagine che ogni giorno lasciamo appesa nello specchio prima di uscire di casa.Danilo Santinelli, mio amico e autore delle tavole, l'ha letto ed ha detto che ci avrebbe pensato lui (la cosa non mi aveva inquietato più di tanto), ma quando mi fece vedere cosa ne aveva fatto capii la differenza fra delle immagini perfettamente aderenti a quello che avrei voluto scrivere e quello che invece ero riuscito a tirar fuori io: le tavole erano delle istantanee, pezzi di quotidianità e repertori della memoria, mancavano dei segni ai quali potersi aggrappare per ritrovarci un viso, un disegno delle rughe, il colore d'un capello. Come autocensurati quei corpi disegnati rivelavano la loro impotenza, la loro estraneità e quel vuoto che nel racconto vorrebbe essere esplicitato dalla disgregazione della realtà e dalla sua naturale deformazione ed invece è lì presente nei contorni e nei colori che cancellano ogni riconoscibilità, ogni forma di tranquillità. Quei corpi che come le bambine, i Nanetti e la vecchina sono soltanto dei capri espiatori sui quali tentiamo di proiettare l'immagine ormai perduta dentro lo specchio.

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DANILO SANTINELLIENEA MONTECCHIANIEnea Montecchiani nato a Jesi trentotto anni fa, laureando in Lettere e filosofia a Bologna. Ha scritto alcuni articoli per qualche giornale e rivista locali. Ha fatto il cuoco per una decina di anni tra Bologna e Parigi. Attualmente sta scrivendo la tesi di laurea in letterature comparate sul tema “Etnografie fantastiche. Su Celati, Michaux e Griaule”.

Danilo Santinelli (Jesi, 1968) vive e lavora a Jesi. Si occupa di illustrazione editoriale, grafica discografica e pubblicitaria. Ha realizzato illustrazioni per Gruppo Hachette Rusconi, il quotidiano 'il manifesto', il 'Diario della Settimana', Rai Trade, Rara Records, Philology Records, Edizioni Pequod, Helbling Languages.