Roma, una città, un impero - n. 3

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Rivista di archeologia online

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Editoriale

In questo numero pubblichiamo altri due articoli rappresentativi della stretta interazione traarcheologia ed epigrafia. Il primo è dedicato all’Excubitorium della VII coorte dei vigili, sco-perto nel 1866 nel quartiere Trastevere, non lontano dalla basilica di S. Crisogono. La fun-

zione del monumento, una caserma minore (excubitorium) destinata a un distaccamento del corpodei vigili, è stata infatti identificata grazie ai numerosi graffiti (ca. 100) incisi dagli stessi vigilisull’intonaco rosso delle pareti dell’aula centrale. Un esempio: ((Centuria)) Maxim(i). Vetti(us)F/lorentin[us] / sebaciaria / feci mense / Iunio. Grat[i]as ag/a(m) Genio Escubitori (!) / et comani-pul/is (!) suis in perpetu/o! (CIL, VI 3010). - “Centuria di Massimo. (Io) Vettio Florentino ho effet-tuato i sebaciaria nel mese di giugno. Che io renda per sempre grazie al Genius dell’Excubitoriume ai miei commilitoni!”. E ancora: Octavius Felix, mil(es) coh(ortis) VII / vigi(lum) Severianes (!),((centuria)) Maximi, / sebaciaria feci, Albino II / Maximo co(n)s(ulibus), me(n)s(e) Octobr(e), /feliciter (CIL, VI 3005).- “(Io) Ottavio Felice, soldato della VII coorte Severiana dei vigili, centu-ria di Massimo, ho portato a termine felicemente i sebaciaria durante il secondo consolato di Albinoe il consolato di Massimo (= 227 d.C.), nel mese di ottobre”. Oltre alla funzione dell’edificio, que-sti graffiti permettono di conoscere il nome della divinità tutelare della caserma (GeniusExcubitori), la coorte ivi acquartierata (cohors VII vigilum), i nomi di singoli vigili (VettiusFlorentinus e Octavius Felix), la denominazione della centuria in cui avevano militato (centuriacomandata dal centurione Maximus) e, infine, il servizio, altrimenti ignoto, dei sebaciaria, che ivigili dovevano effettuare con turni della durata di un mese (mense Iunio, mense Octobre). Questoincarico, di controversa interpretazione, doveva essere alquanto pericoloso, se gli stessi autori deigraffiti hanno manifestato sulle pareti della caserma il sollievo di aver portato a termine il serviziocon espressioni quali feliciter e omnia tuta (“tutto a posto”) o con ringraziamenti al GeniusExcubitori e ai propri commilitoni. Il secondo articolo, dedicato al municipium romano di Blera,pone invece in risalto - attraverso l’esame di alcune iscrizioni onorarie e sepolcrali - l’apporto offer-to dall’epigrafia alla ricostruzione della storia sociale, culturale, politica e istituzionale della città.Tra storia e archeologia si snoda infine l’ultimo capitolo dedicato all’intricato periodo storico notocome Anarchia Militare (235-284 d.C.), mentre l’evidenza archeologica torna indiscussa protago-nista del contributo che si occupa della vasto complesso edilizio (tre abitazioni private separate dastrade basolate) scoperto nell’isolato compreso tra via in Arcione e via dei Maroniti, durante gliscavi effettuati negli anni 1969-1973 per la costruzione di un parcheggio sotterraneo.Dall’indagine iconografica (monumenti scultorei, pittorici e musivi) dipende invece gran partedella nostra conoscenza riguardante l’abbigliamento romano e i suoi accessori, cui è dedicato uncontributo che inaugura una nuova sezione della rivista, dedicata agli usi e ai costumi nel mondoantico. Tra gli eventi attualmente in corso abbiamo scelto due mostre promosse dallaSoprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. La prima, Memorie di Roma. Gli Aemiliie la basilica nel Foro, ripercorre la storia della famiglia aristocratica degli Aemilii e del monumen-to destinato per antonomasia alla loro autorappresentazione, la basilica Aemilia, attraverso l’espo-sizione nella Curia Iulia dei rilievi marmorei che un tempo decoravano l’edificio e in cui sono rap-presentati celebri episodi relativi alle origini di Roma. La seconda mostra, intitolata Il sorriso diDioniso e allestita nella suggestiva cornice di Palazzo Altemps, presenta per la prima volta al gran-de pubblico tre opere di notevole pregio artistico: una statua di Dioniso fanciullo, una mascherabronzea di sileno anziano e un’applique, anch’essa bronzea, con testa di sileno.

Giovanna Di Giacomo (Redazione)

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DIRETTORE RESPONSABILEMARIA TERESA GARAU

DIRETTORE ESECUTIVOROBERTO LUCIGNANI

DIRETTORE SCIENTIFICOBERNARD ANDREAE

COMITATO SCIENTIFICOPaolo Arata

Funzionario Sovraintendenza Comune di RomaAlessandra Capodiferro

Funzionario Soprintendenza Archeologica di RomaFiorenzo Catalli

Funzionario Soprintendenza Archeologica di RomaPaola Chini

Funzionario Sovraintendenza Comune di RomaVincenzo Fiocchi Nicolai

Prof. Archeologia Cristiana Univ. Tor Vergata di RomaGian Luca Gregori

Prof. Ordinario di Antichità Romane, ed Epigrafia Latina, Facoltà Scienze Umanistiche, Univ. Sapienza di Roma

Eugenio La RoccaProf. Ordinario Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana,

Univ. Sapienza di RomaAnna Maria Liberati

Funzionario Sovraintendenza Comune di RomaLuisa Musso

Prof. Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana e Archeologia delle Provincie Romane, Univ. Roma Tre

Silvia OrlandiProf. associato di Epigrafia Latina presso la Facoltà di Scienze

Umanistiche, Univ. Sapienza di RomaRita Paris

Direttore Museo di Palazzo Massimo alle TermeClaudio Parisi Presicce

Direttore Musei Archeologici e d’Arte Antica Comune di RomaGiandomenico Spinola

Responsabile Antichità Classiche e Dipartimento di Archeologia Musei Vaticani

Lucrezia UngaroFunzionario Sovraintendenza Comune di Roma

Laura VendittelliDirettore Museo Crypta Balbi

CAPO REDATTOREALESSANDRA CLEMENTI

REDAZIONELAURA BUCCINO - ALBERTO DANTI - GIOVANNA DI GIACOMO

LUANA RAGOZZINO - GABRIELE ROMANO

DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICAROBERTO LUCIGNANI

TRADUZIONEDANIELA WILLIAMS

GRAFICA E IMPAGINAZIONESTUDIOEDESIGN - ROMA

WEB MASTER – PUBBLICITA’MARIA TERESA GARAU

REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE

Via Orazio Antinori, 4 - ROMA

È vietata la riproduzione in alcun modo senza il consenso scrittodell’Associazione Rumon Tiber

IL COMPLESSO DEI MARONITIdi Gabriele Romano

BLERAUN ANTICO MUNICIPIUM SULLA VI

di Paola Di Silvio

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SOMMARIO

ANARCHIA MILITAREVERSO LA FINE DI ROMA CAPITALE

di Alberto Danti

L’EXCUBITORIUMdi Giulia Evangelisti

A CLODIAVESTIRE NEL MONDO ROMANO

di Luana Ragozzino

94MEMORIE DI ROMA

GLI AEMILII E LA BASILICA NEL FOROdi Alberto Danti

58IL SORRISO DI DIONISO

di Annalisa Lo Monaco

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IL RINVENIMENTO

li scavicondotti aRoma neglianni 1969-1973 nell’iso-

lato compreso tra via in Arcionee via dei Maroniti, vicinoFontana di Trevi, per la costru-zione di un parcheggio sotterra-neo, hanno portato alla scopertadi una vasta area archeologicaestesa per circa 1540 mq e carat-terizzata dalla presenza di treedifici separati da due stradebasolate. Nella stessa zona enelle aree adiacenti furono rin-venute strutture simili già dallafine dell’Ottocento e i primi delNovecento (1914-1915) e poiancora negli scavi del 1955.Questi edifici rientrano nel terri-torio della regio VII via Lata, unadelle quattordici regioni in cui lacittà di Roma fu divisa durante ilprincipato di Augusto, che siestendeva tra il tratto urbanodella Flaminia a sud-ovest e lependici del Quirinale e delPincio a nord-est, e che aveva la

GIL COMPLESSO DEI MARONITI

A destra: Particolare delle struttureantiche inglobate nel garage moderno allaprofondità di circa 8 metri dal piano delcortile interno

Nella pagina accanto, in alto: Piantadel complesso archeologico dei Maroniti.(da E. Lissi Caronna, Archeologia nelCentro)

caratteristica, insolita per Romaantica, di avere un’organizzazio-ne urbanistica ordinata con stra-de parallele orientate sulla viaLata (odierna via del Corso). Loscavo di via in Arcione venneeseguito all’interno del cortile diun grande isolato abitativo, chesi trova proprio in prossimitàdelle pendici del Quirinale, e hapermesso una ricostruzionetopografica della zona abbastan-za chiara. Questa parte dellacittà sembra infatti essere carat-terizzata da edifici residenzialiquali insulae e domus ordinate suassi viari paralleli alla via Lata, icui resti sono stati trovati a piùriprese sotto la Galleria Colonnanel 1914-1915, durante la costru-zione del sottopassaggio diLargo Chigi nel 1955 (resti diinsulae di età adrianea e parti distrade basolate) o durante i lavo-ri del 1902 per la realizzazionedell’imbocco nord del Traforo

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Umberto I sotto il Quirinale, incui furono rinvenuti i resti diuna ricca domus che alcune iscri-zioni su fistula aquaria di piombohanno permesso di identificarecon dimora di Caio FulvioPlauziano. Essendo adiacentiall’imbocco del Traforo, alcunestrutture ritrovate negli scavi divia in Arcione sono state accosta-te proprio a questa ricca dimorasignorile.

Durante i lavori di scavo divia in Arcione furono trovati iresti di tre edifici separati traloro da due larghe strade basola-te e situati alla profondità dicirca 7 m rispetto al piano attua-le di calpestio. Lo scavo fu com-plicato dalla presenza della faldaacquifera dell’AcquaSallustiana, che ricopriva lestrutture antiche per un’altezzadi circa 50 cm e che richiese, erichiede tuttora, l’utilizzo dipompe per il controllo del livello

dell’acqua. Questo piccolofiume, già presente nell’anti-chità, sgorgava dal Quirinale escendeva, passando nella zonadi via del Tritone, nel CampoMarzio dove formava la famosapalus Caprae.

Il primo edificio, situato all’e-

stremità ovest dell’area archeo-logica, è parte di una grandeinsula di cui rimane il piano terracaratterizzato da cinque tabernaeche si aprono sulla strada ad estdell’edificio, e da un lungo porti-co diviso da pilastri che si svi-luppa ad ovest, alle spalle delle

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Nella pagina accanto: In questa foto d’e-poca un momento dello scavo del complessoarcheologico

Sopra: Particolare del tratto di basolato edell’ingresso alla seconda taberna. In evi-denza una parte del muro sul quale poggia-va la scala che portava al piano superiore

Sotto: Particolare della fontana, sullo sfon-do la seconda taberna

botteghe, e che doveva probabil-mente fare parte di un cortileinterno del caseggiato. In unsecondo momento le aperturetra i pilastri del portico vennerochiuse con tamponature murariee si creò un unico grandeambiente. Questo edificio, che lestrutture murarie in opera lateri-zia permettono di datare al IIIsec. d.C., doveva avere più piani,come testimoniano tracce discale superstiti. Subito ad est sitrova la prima strada basolata,che ha una larghezza di 8,25 med è caratterizzata dalla presen-za di numerosi frammenti archi-tettonici usati in età tarda perripristinare il basolato. Sul latoadiacente alle tabernae dell’insulasi trova un pozzo quadrato (ocisterna), creato in un’epoca suc-cessiva, quando tutta l’areadoveva essere ormai interrata,mentre sull’altro lato della stra-da si conserva una fontana,addossata alla parete dell’edifi-cio centrale dell’area archeologi-ca, che è composta da quattrolastroni di travertino e rivestitaall’interno di cocciopesto.

L’isolato centrale è costituitodai resti di un edificio allungatoche si sviluppa in senso nord-sud. Delimitato dalle due stradebasolate, esso è caratterizzato daun grande ambiente rettangola-re, databile al III sec. d.C., mache nel IV sec. d.C. subì unanotevole ristrutturazione che nealterò la struttura e probabil-mente la funzione. Venne infatticreata un’abside in opera listata

nella parete nord e la sala fucompletamente ridecorata conl’aggiunta di crustae marmoreealle pareti. Il pavimento, origina-riamente caratterizzato da unmosaico in bianco e nero cherimane nella zona dell’abside,venne ricoperto con lastre dimarmo. Fu inoltre costruito, pertutta la lunghezza del muroovest, uno stretto bacino delimi-tato da un muretto, decorato dalastre di marmo e statuette (partidelle quali ritrovate sul luogo);nel bacino sono stati trovatiquattro vasi di terracotta, inseri-ti all’interno del muro, che pos-sono lasciare ipotizzare la fun-zione di piccolo vivaio per pesci,visto che erano usati per il riparoe la deposizione delle uova. Sullato est della sala uno stretto cor-

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Sopra: Particolare della strada che percorreil lato occidentale dell’area archeologica. Alcentro la grande fontana pubblica in las-troni di travertino

Nella pagina accanto, in alto:Particolare dell’interno della vasca-vivaioubicata nell’isolato B, da notare il foro cheserviva come ricettacolo per i pesci

Nella pagina accanto, in basso: Visionedall’interno dell’abside relativa all’aula del-l’edificio centrale (B in pianta). In eviden-za, in basso, il mosaico pavimentale e lafase preparatoria per l’applicazione delrivestimento marmoreo parietale

ridoio, in cui rimangono restidella zoccolatura marmorea,serve da collegamento tra questasala e gli ambienti disposti alleestremità dell’edificio. Gli ele-menti che trasformarono la salahanno fatto ipotizzare per que-sto ambiente diverse funzioni,forse ninfeo di una dimorasignorile, oppure sala di rappre-sentanza di un qualche sodalizioreligioso, consorzio o corpora-zione professionale. Le ipotesiriguardo la funzione dell’edifi-cio ruotano intorno alla presenza

della vasca per pesci che caratte-rizza la grande sala. La più sug-gestiva è quella che vuole vede-re nell’uso della vasca alcunirituali magici, quali l’ittioman-zia, che pretendeva di predire ilfuturo osservando i movimentidei pesci nell’acqua o esaminan-done le interiora.

Superata la seconda stradabasolata, che ha una larghezza dicirca 6 m, all’estremità est dell’a-rea archeologica vicino alle scaledi ingresso, si trova l’ultimocomplesso edilizio formato da

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diverse strutture abitative data-bili dal II al IV sec. d.C. Si trattadi due settori distinti, dispostiintorno ad una grande sala conabside che invade parte dellavia. Originariamente questa salacomunicava direttamente con laparte sud dell’edificio, che oggi èla meno conservata delle struttu-re superstiti (rimane parte delmosaico pavimentale in bianco enero), ma nel corso del IV secolod.C. anche questo settore fu inte-ressato da lavori di ristruttura-zione e il passaggio in questione

venne chiuso con tamponaturein opera listata. Al centro del-l’abside, che si colloca - comeaccennato - sul basolato dellastrada, si trova una porta diingresso, caratterizzata da unasoglia in travertino che in segui-to venne parzialmente chiusacon un muro, sempre in operalistata. Originariamente questasala absidata e gli ambienti subi-to a sud di essa dovevano costi-tuire un unico edificio residen-ziale che doveva avere una sortadi ingresso monumentale pro-prio nell’aula absidata. Comeanticipato, solo in un secondomomento (IV secolo d.C.) questasala venne separata e isolata dalresto dell’abitazione e probabil-

mente utilizzata in maniera dif-ferente come bottega o magazzi-no.

Oltre la sala absidata, sui latinord ed est, si trovano gliambienti meglio conservati diquesto isolato, che si sviluppa-vano in maniera simmetrica suilati di una seconda aula absida-ta. Si tratta di vani appartenentiad un’ulteriore domus inseritanell’isolato con pavimenti deco-rati in opus sectile geometrico ecrustae marmoree alle pareti conraffigurazione di motivi vegeta-li. Un ambiente di passaggio trale varie parti della casa conservainoltre una pavimentazione conlastre di marmo bianco alternatea listelli di marmo colorato. Sul

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Sopra: Particolare del grande ambiente dicollegamento della “domus” del settore ori-entale. Da notare, sul fondo, una basein muratura che probabilmente doveva sor-reggere una statua

Sotto: Un’altra visione del grande ambi-ente di collegamento della “domus” del set-tore orientale (C in pianta).

Nella pagina accanto: Particolare dellastrada in basolato e dell’ingresso all’aulaabsidata dell’isolato del lato orientale (C inpianta)

versante nord, all’interno di altredue stanze di dimensioni mino-ri, la pavimentazione, databilenel III- IV sec. d.C., è compostada formelle di marmi coloratidisposte in maniera geometricaa formare tre quadrati inseritiuno nell’altro. Le caratteristichedi questa struttura permettonodi identificarla con una ricca

domus signorile che dovevaavere la sua facciata e il suoingresso principale su una stra-da ancora più ad est. È proprioquesto settore che è stato acco-stato alla già menzionata resi-denza di Fulvio Plauziano. Lavicinanza delle strutture ritrova-te e l’eleganza della decorazionehanno infatti fatto proporre unaloro identificazione con la dimo-ra appartenente all’importantepersonaggio, console nel 203d.C. prefetto del pretorio e suo-cero dell’imperatore Caracalla. Idati archeologici delle strutturerinvenute sotto via in Arcionenon sembrano tuttavia confer-mare tale attribuzione poiché lefasi più monumentali dell’edifi-cio ad est appartengono alla finedel III sec. d.C. e all’inizio del IVsec. d.C., mentre Plauzianomuore nel 205 d.C., quando ladomus non sembra avere ancorale caratteristiche per essere attri-buita ad un personaggio di talerango. È comunque vero cheparte della dimora signorile si

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trova ancora sepolta sotto ipalazzi moderni e potrebbe cela-re elementi utili alla sua identifi-cazione.

In età assai tarda, nell’areache oramai doveva essere inter-rata anche per i detriti trasporta-ti dall’Acqua Sallustiana, siimpiantò una calcara, in prossi-mità delle tabernae dell’edificiopiù ad ovest, con diversi marmiritrovati accatastati nelle imme-diate vicinanze e pronti per esse-re distrutti. Durante lo scavo,oltre le strutture, furono rinve-nuti numerosi frammenti archi-tettonici, come colonne con basie capitelli, concentrate soprattut-to nell’ultimo isolato descritto.Tra i reperti scoperti non manca-

no alcune statue di pregevolefattura, che confermano la ric-chezza dei proprietari di questeabitazioni, come una statua fem-minile acefala (forse da identifi-care con la Fortuna), un grupposcultoreo con due personaggi,probabilmente imperiali, raffi-gurati come Marte e Venere, euna statua di Diana cacciatrice.

La statua femminile acefala inmarmo bianco, vestita con chito-ne e mantello, è databile in etàantonina (138-192 d.C.) ed hadimensioni appena superiori alvero (1,62 m). Il braccio destro èperduto; sulla gamba destra gra-vita il peso, mentre la sinistra èpoco più indietro. La figura, sta-tica, si appoggia su un plinto ret-

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tangolare ed è ravvivata dallepieghe del vestito che aderisco-no al corpo ed evidenziano, gra-zie alla cinta annodata sotto ilseno, le forme femminili. Aipiedi indossa sandali aperti;sulla spalla destra rimane unaciocca di capelli ondulati. Laparte posteriore della statua èappena abbozzata, segno evi-dente che essa era destinata adun posto che non permetteva lavisuale posteriore. Con il bracciosinistro regge una cornucopia,elemento che - insieme alleforme matronali - rende possibi-le l’identificazione con la deaFortuna.

Il gruppo scultoreo raffigu-rante due personaggi in veste diMarte e Venere è lavorato in unblocco di marmo bianco venatoed è databile al II secolo d.C. Ledimensioni sono appena minoridel vero (1,32 m); entrambe lestatue sono acefale. La figurafemminile veste un chitonedrappeggiato con manicheabbottonate e cinta annodatasotto il seno; il braccio destro(mancante) doveva essereappoggiato al petto della figuramaschile (rimane traccia sullalorica). Il personaggio maschileindossa una lorica decorata alcentro con un’aquila ad alisemiaperte che tiene un fulminetra gli artigli. Al di sotto, le ptery-ges sono decorate con protomianimali, leone, elefante e ariete.Il gladio si trova sul fianco sini-stro e presenta una impugnaturaa testa d’aquila, mentre ai piediindossa calcei con testa di pante-ra. Con il braccio sinistro (man-cante) doveva probabilmentetenere una lancia. Tra le duefigure, appoggiato per terra, èl’elmo crestato dell’uomo, men-tre il retro delle due statue anchein questo caso è appena abboz-zato. Lo schema del grupporisponde ai requisiti di Marte eVenere, spesso usato per la rap-presentazione delle coppieimperiali.

Nella pagina accanto, in alto: Il rivesti-mento parietale ed il pavimento eseguitocon marmi colorati di grande pregio

A sinistra: Un ambiente del settore orien-tale del complesso (C in pianta) con resti dicolonne ed elementi architettonici

Sopra: Un particolare del rivestimentoparietale in marmi colorati

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La statua di Diana cacciatrice,databile anch’essa al II sec. d.C.,è di marmo bianco e di dimen-sioni minori del vero (0,98 m).Anche questa scultura è acefala.La dea indossa un corto chitonecon cintura annodata sotto ilseno e una chlaina che le avvolgele spalle, mentre dietro la schie-

na si intravede la faretra chiusa.Questo è il tipico costume diDiana/Artemide cacciatrice conai piedi le calzature con testa dipantera (endromides). La figuraappare in movimento con lagamba sinistra in avanti e ladestra indietro. Il braccio sinistroè piegato ad afferrare un cornodella cerva, raffigurata in atto disaltare, a cui mancano le zampeanteriori e parte del muso. Traqueste due figure si conservaanche un cane, privo dellezampe anteriori, che salta versola cerva, sotto alla quale si vedeil plinto di sostegno del grupposcultoreo. �

Bibliografia: E. LISSI

CARONNA, Un complesso ediliziotra via in Arcione, via dei Maronitie vicolo dei Maroniti, in Roma.Archeologia nel centro, II, Roma1985, pp. 360-365; EAD., Domus:C. Fulvius Plautianus, in LexiconTopographicum Urbis Romae, II,Roma 1995, pp. 105-106; F.ASTOLFI, Il quartiere romano di viain Arcione, in Forma Urbis, 4,1998, pp. 3-18; C. CALCI, (a curadi) Roma archeologica, Roma 2005;E. LISSI CARONNA, Maroniti. Scavoe contesto dei ritrovamenti a via inArcione, in Roma. Memorie del sot-tosuolo, Roma, 2006, 163-166.

In alto, a sinistra: Gruppo scultoreo ace-falo in marmo rinvenuto durante gli scavidel complesso archeologico

In alto, a destra: Statua acefala inmarmo raffigurata come “fortuna” rin-venuta durante gli scavi

Nella pagina accanto: Gruppo scultoreoacefalo in marmo raffigurato come Dianacacciatrice

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VERSO LA FINE DI

ROMA CAPITALE

rebonianoGallo e suof i g l i oVo l u s i a n overso la fine

del 251 d.C., rimasero unicipadroni dell’Impero. Tuttavianei successivi anni del lororegno, la crisi avviatasi con ilperiodo dell’anarchia militareraggiungerà uno dei momenti dipiù acuta sofferenza, minaccian-do di distruggere definitivamen-te l’impero romano. Ai pericoli,sempre più pressanti, che veni-vano dalle popolazioni dei Gotie dei Persiani si aggiunse unaviolenta pandemia di peste,comparsa già un anno prima eproveniente dalla Mauretania,che oltre a sconvolgere le giàdecimate truppe dell’esercito,raggiunse l’Urbe, provocandonumerose vittime anche fra icivili. I due Augusti dimoravanointanto a Roma, disinteressando-si della crisi e ciò favorì unaripresa delle ostilità mediante unnuovo sconfinamento di Shapur

TANARCHIAMILITARE

Al centro, in alto: Sesterzio con l’immag-ine di Treboniano Gallo e Volusiano

Al centro: Moneta con l’immagine diEmiliano

in Siria fino ad Antiochia esoprattutto, come ci informaZosimo, con un’imponente spe-dizione di Goti, Borani eBurgundi (stabilitisi in questoperiodo in una regione ad estdell’Elba, fra le odierne aree diBrandeburgo e della Lusazia)che stava facendo razzie nelleprovince danubiane depredandodiverse città.

Sempre Zosimo sottolinea apiù riprese l’inettitudine diTreboniano: «perché Galloamministrava con negligenza ilpotere…; in questa situazione,poiché i sovrani non erano ingrado di difendere lo Stato e tra-scuravano tutto quanto accade-va fuori di Roma…». Fu così cheproprio il comandante delletruppe della Mesia inferiore,Marco Emilio Emiliano, si trovòcol suo solo esercito a fronteg-giare l’armata di Kniva, che

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Sotto: Aureo con l’immagine di Valeriano

In basso: Interamna (Terni): resti dell’an-fiteatro

venne sconfitta e ricacciata anord del Danubio. Secondo unasceneggiatura ormai nota,immediata fu l’acclamazione diEmiliano a imperatore e questavolta il generale accettò, infor-mando il Senato di Roma e ini-ziando subito una marcia versol’Italia e la capitale. Trebonianodovette necessariamente reagire,a questo punto, e si mosse control’usurpatore con le esigue forzemilitari a disposizione ma nonprima di aver chiesto aiuto aPublio Licinio Valeriano che sitrovava in Rezia per difendere iconfini contro gli Alemanni. Maquesto aiuto non fu necessariopoiché lo scontro fra gli impera-tori associati ed Emiliano venneevitato poco prima che avvenis-se: i soldati di Gallo eliminaronoi due Augusti per sottrarsi aduna sicura sconfitta, viste lesproporzioni fra gli eserciti che

andavano ad affrontarsi.Treboniano e Volusiano moriro-no quindi nell’agosto del 253d.C. in una località dell’Umbriache le fonti ci indicano comeInteramna (Terni) o ForumFlamini sulla Flaminia, nel qualcaso si tratterebbe dell’odiernafrazione di Foligno, SanGiovanni Profiamma.

Con l’uccisione di Gallo ilSenato si sentì in obbligo, in unprimo momento, ad accettare lanomina di Emiliano a imperato-re, anche se di lì a pochi mesi il

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panorama politico sarebbemutato repentinamente. Difattianche le numerose truppe alseguito di Valeriano elevaronoalla porpora il loro comandantee questa notizia fu accolta congrande sollievo a Roma, visto ilnobile censo e l’appartenenzaalla classe senatoria del nuovoeletto. Fu così che LicinioValeriano, discendente da un’a-ristocratica famiglia italica, giàconsole nel 238 d.C. e princepsdel Senato, si avviò a fronteggia-re Emiliano. E furono ancora unavolta gli eserciti a decidere lesorti dell’impero. Vinse infattil’immagine e il ruolo diValeriano. Presso Spoleto,Emiliano fu trucidato alla fine disettembre del 253 d.C. dalle suestesse truppe che temevano unanuova cruenta e inutile disfatta esi schierarono dalla parte delsenatore-generale. Le pocherighe dedicate dall’Epitome deCaesaribus a Emiliano riportanoanche il luogo dove si sarebbeconsumata l’uccisione dell’im-peratore: un ponte fra le odierneNarni e Spoleto che per questoevento prese poi il nome di‘Ponte Sanguinario’. E’ probabileche il toponimo sia rimasto adesignare le arcuazioni di unponte di età augustea, postosulla via Flaminia e realizzato

A sinistra: Ponte di Augusto sul fiumeNera presso Narni

In basso: Spoleto: resti interrati di unponte romano presso Spoleto, identificabilecon il ponte sanguinario”

Nella pagina accanto, in alto: Statua diAres Borghese con testa ritratto(Emiliano?), Roma, CentraleMontemartini

Nella pagina accanto, in basso: Statuadi Ares Borghese: particolare del ritratto,Roma, Centrale Montemartini

per superare il torrente Tessino,in seguito deviato. Resti dei pilo-ni e di tre arcuazioni, in blocchidi travertino, sono ancora oggivisibili, interrate, nei pressi diPorta Garibaldi a Spoleto.

All’immagine di Emiliano èstata ricondotta, da alcuni stu-diosi, anche una statua conser-vata presso le Collezioni deiMusei Capitolini. Rinvenuta apezzi all’interno di un muromedievale sull’Esquilino, fra levie Cavour, Gioberti e Farini, lascultura è stata in seguito ricom-posta con diverse integrazioni. Iltipo statuario a cui l’opera si rife-risce è quello dell’Ares

Borghese, utilizzato soprattuttoper l’iconografia imperiale e piùraramente per privati. Se inizial-mente si era supposto che la sta-tua potesse riferirsi all’imperato-re Decio (ipotesi questa che oggiè ampiamente rigettata), inseguito si è discusso sulla possi-bilità di attribuire il ritratto aTreboniano o Filippo l’Arabo einfine con maggiori certezze aEmiliano. Nell’impossibilitàcomunque di riconoscere sicura-mente il ritratto imperiale, èstata anche avanzata l’ipotesiche possa trattarsi di un alto uffi-ciale degli eserciti della metà delIII sec. d.C. Ciò che è da conside-

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rare con attenzione è il tipo ico-nografico di Marte, molto usatoin questo periodo, quando eraparticolarmente apprezzato perla rappresentazione degli impe-ratori-soldati o dei grandi con-dottieri come possono attestareanche i numerosi sarcofagi coeviin cui il defunto preferiva esserericordato nelle vesti di Aresguerriero.

Con l’inizio del suo periododi sovranità imperiale, Valerianodopo aver elevato al rango di

Cesare il figlio Publio LicinioEgnazio Gallieno, pensò bene diaggregarlo subito qualeAugusto, creando così unanuova diarchia come era giàaccaduto in precedenza conGallo, Decio e Filippo l’Arabo. Ilmotivo, tuttavia, in questo caso,fu anche di natura strategica.Viste le difficoltà sempre mag-giori nel controllo del limesimperiale e in particolare l’inces-sante minaccia di continue usur-pazioni, i due Augusti si divise-

ro i compiti di comando: aValeriano spettava la difesadell’Oriente, a Gallieno quelladel nord Europa.

Accanto a questa decisione cifu anche un primo netto distac-camento dei quartieri-generali,dal momento che Gallieno si sta-bilì a Treviri, creando in Milanoun’importante base di appoggio,mentre per Valeriano la sede fuAntiochia (almeno dopo la suariconquista nel 254 d.C.) e inseguito, dal 258 d.C. a Samosatain Cappadocia. Malgrado questiaccorgimenti e la valenza milita-re soprattutto del giovaneGallieno, non si riusciva a conte-nere l’impeto delle incursionibarbariche.

Nei seguenti anni si assisteinfatti ad un primo notevolesconfinamento dei Franchi edegli Alamanni che nel 258 d.Centrarono nella provinciaBelgica e da lì, spingendosi attra-verso i territori della Gallia edella Spagna, giunsero a conqui-stare Tarracona e non soddisfat-ti, depredarono anche alcunecittà costiere della Mauretania.Gallieno, che era accorso in aiutodelle città della Mesia e dellaDacia, ottenendo anche qualchevittoria, pagò a caro prezzo que-sto suo spostamento, poichésubì, come meglio si vedrà, l’u-surpazione del suo fido generalePostumo, che aveva lasciato

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insieme al figlio Salonino a pro-teggere la zona dell’alto Reno.La difesa militare sembrava nonbastare più: è curiosa e al con-tempo molto interessante la noti-zia fornitaci dall’Epitome deCaesaribus, in cui si afferma cheGallieno giunse a prendere comesua concubina la figlia del re deiMarcomanni, probabilmente neltentativo di pervenire a un com-promesso onde evitare ulteriorirazzie da parte di questa popola-zione.

Non diversamente andavanole cose sul fronte orientale. I Gotierano ormai padroni di moltiterritori romanizzati e riuscironoad avanzare fino al Mar Nero,devastando inizialmente moltecittà della Bitinia, fra cui l’anticacittà di Kios (Prusa: l’odiernaBursa in Turchia), Nicomedia eNicea, per spingersi poi fra il 254e il 256 d.C., fino a Tessalonica einfine ad Efeso. Fu anche neces-sario intervenire in Siria control’avanzata dei persiani che ave-vano occupato Antiochia e DuraEuropos. Dopo alterne vicende,che videro l’intervento diSuccessiano, uno tra i più valo-rosi generali di Valeriano, si riu-

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scì, ma solo in parte, a contrasta-re l’avanzata di Shapur, ricon-quistando Antiochia nel 256 d.C.e ottenendo una parziale ritiratadei Goti.

Tutto l’impero era funestatoda flagelli e cataclismi: gli usur-patori si avvicendavano nellevarie province alla minima noti-zia delle sconfitte dei dueAugusti; la peste infuriavafacendo continue vittime sia suicampi di battaglia, sia nelle cittàe nei villaggi; i generali doveva-no accorrere con le loro truppe asostenere Gallieno e Valerianonella difesa di tutti i confini del-l’impero che si stavano progres-sivamente sfaldando. Valeriano,riprendendo quella che era giàstata la linea tradizionalistasenatoriale di Decio (di cui fuanche collaboratore) e sostenutodal malcontento del popolo chevedeva in queste disgrazie ancheun intervento divino, emanò condue editti tra il 257 e il 258 d.C.

nuove e stringenti misure perse-cutorie contro i cristiani. Si riten-ne infatti che il cupo periodo dicrisi dipendesse dall’abbandonodei culti pagani a favore di quel-li cristiani. Una punizione divinaquindi, un castigo degli dei, pri-vati del giusto consenso e delcredo che aveva caratterizzato iprimi secoli dell’impero. Anchese giustificato da quelle stesseistanze di unità e fedeltà ai valo-ri dell’impero che furono già diDecio, nonché da motivazionieconomiche, questo editto pro-curò, ora più che mai, ulterioridanni irreparabili alla già criticasituazione socio-politica.

L’impero, infatti, a partiredall’inizio del III sec. d.C. avevasubito profonde trasformazioninella popolazione. I cristianierano divenuti sempre piùnumerosi, non solo a Roma masoprattutto nella parte orientalee nordafricana. Molti adepti allanuova religione facevano già

parte dell’aristocrazia romana edella classe senatoria. Per di più,i cristiani arruolati nell’esercitoerano presenti in tutti i contin-genti posti a difesa dello Stato,principalmente in quelli disloca-ti ai confini orientali. Ciò generòun continuo aumento dei prose-liti al cristianesimo tanto che,come giustamente è stato sottoli-neato dal Mazzarino: «l’impero

Nella pagina accanto, in alto: Ritrattodi Gallieno

Nella pagina accanto, in basso: Treviri:le terme imperiali

Sopra: Antiochia: veduta della modernacittà

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Sopra: Cammeo con la rappresentazionedella cattura di Valeriano da parte diShaput: Parigi, Cabinet des Médailles

Sotto: Rilievo rupestre con Valeriano sot-tomesso a Shapur: Naqsh-i-Rustam (Iran)

Nella pagina accanto, in alto: Resti delponte romano sul fiume Karun a Shushtar(Iran)

Nella pagina accanto, in basso:Denario con l’immagine di Macriano

romano… appariva come l’im-pero dei cristiani a chi lo consi-derasse dall’esterno, e tuttavia ilsuo imperatore era stato un per-secutore».

Era dunque possibile unapolitica così fortemente anticri-stiana in uno stato ormai di cri-stiani?

Ma un nuovo fatto, incredi-bilmente inaspettato nel panora-ma storico romano, giunse amutare le sorti dell’impero.Quando le truppe di Shapursferrarono ancora una volta unattacco, assediando Carrhae edEmessa nell’estate del 259 d.C.,proprio presso quest’ultimacittà, Valeriano fu fatto prigio-niero dai persiani. Le fonti sonodiscordanti sulle dinamiche del-l’accaduto: se cioè, come conse-guenza di una sconfitta in batta-glia, o piuttosto perchéValeriano cadde in un tranelloordito dal re dei persiani, comesembrerebbe trasparire dal rac-conto di Zosimo.

Uno cammeo di età sasanideconservato al Cabinet de

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Medailles di Parigi, potrebbeattestare la prima delle due ipo-tesi, dal momento che viene raf-figurato Shapur in combattimen-to contro Valeriano e in atto difarlo prigioniero. In un rilievorupestre di Bishapur, sempre diarte iranica, viene inoltre rappre-sentato il momento dell’umilia-zione di Valeriano, costretto ainginocchiarsi davanti all’imma-gine di Shapur a cavallo, secon-do un’iconografia prettamenteromana, in cui si vuole esprime-re l’atto di totale sottomissionedel nemico vinto. Valeriano,infatti, insieme ad un’ingentemassa di soldati romani, vennedeportato e costretto sia alla pri-gionia, sia ai lavori forzati secon-do quanto ci dicono fonti autore-voli quali quelle di Zonara,Orosio e Lattanzio. I persiani,infatti, costrinsero l’imperatorefra gli schiavi, avviandoli alla

realizzazione in Susiana didighe, ponti e altre importantiopere murarie. Nell’attuale cittàdi Shushtar, capoluogo dell’o-monima provincia delKhuzestan in Iran, esistonoancora oggi le rovine di un pontesul fiume Karun, denominatoBand i Kaisar (il molo di Cesare),probabilmente in ricordo dellasua realizzazione da parte deiromani, fatti prigionieri insiemecon Valeriano. La morte dell’im-peratore dovette avvenire pocotempo dopo la sua cattura,abbandonato anche dal figlioGallieno che nulla tentò per otte-nere il rilascio dell’Augustopadre. Nessuna notizia certa cigiunge dalle fonti se non ilmacabro racconto di Lattanzioche ricorda come Shapur fecescuoiare il corpo di Valeriano perpoter riempire di paglia la pelle,che una volta dipinta di rosso fu

esposta così quale trofeo di guer-ra. Sembrava che si stesse affer-mando la vendetta del Dio deicristiani contro il suo principalepersecutore. L’impero era total-mente sconvolto dopo la perditadella sua guida.

Risalgano proprio a questoperiodo di profondo sbanda-mento, i numerosi tentativi diusurpazione del potere che nellaStoria Augusta sono conosciuticome il periodo dei TrentaTiranni, una cifra probabilmenteesagerata rispetto alla realtà sto-rica. Certamente alcuni perso-naggi meritano di essere men-zionati.

In oriente Macriano, che già asuo tempo aveva ferocementeistigato Valeriano a promuoverela persecuzione contro cristiani,fece proclamare imperatori isuoi due figli, Tito Fulvio GiunioMacriano (Macriano minore) eTito Fulvio Giunio Quieto, esten-dendo il potere anche in Egitto emuovendosi velocemente a nordnel tentativo di conquistare laTracia e la Mesia. Gallieno inviòa contrastarlo il suo generaleManlio Acilio Aureolo che nel261 d.C., nell’Illirico, sconfissel’esercito di Macriano, ripristi-nando momentaneamente l’or-dine in questa zona dell’impero.

Contemporaneamente in

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Pannonia si assiste al tentativodi Ingenuo, governatore dellaprovincia, che viene acclamatoimperatore dalle sue truppe.Anche per questo caso fu prov-videnziale il pronto interventodi Gallieno, aiutato dal suo fidogenerale Aureolo, nello sconfig-gere l’usurpatore che venneucciso poco tempo dopo. Ma adIngenuo fece seguito la rivolta diRegaliano, che pur avendoavuto un breve seguito, venneben presto soffocata sempre daAureolo nell’autunno del 260d.C. Due sole, fra tutte questemanovre militari tendenti a sov-vertire l’ordine dello Stato ebbe-ro una buona riuscita, modifi-cando in parte l’assetto dell’im-pero e ponendo le basi di quellariorganizzazione che alla finedel secolo sarà avviata daDiocleziano.

Il primo si riferisce al gover-natore delle Gallie, MarcoCassiano Latinio Postumo. Egli,spinto anche dalla necessità diproteggere i suoi territori dalle

continue invasioni dei barbari,nella totale mancanza di appara-ti militari difensivi da parte diRoma, formò l’imperiumGalliarum, comprendenteBritannia, Gallia e parte dellaSpagna, con capitale a Treviri edurato per circa tredici anni apartire dal 260 d.C.

Il secondo riguarda invece lafigura di Settimio Odenato, prin-cipe di Palmira e legato dellaSiria, che dopo aver tentatoun’alleanza con Shapur controRoma, prontamente rifiutata daquest’ultimo, passò dalla partedei romani e sconfisse in piùriprese i persiani che si ritirarononei loro confini; pose inoltre fineal breve regno di Quieto, il figliominore di Macriano, che erarimasto a governare l’orienteinsieme con il generale Ballista,suo sostenitore. Ma Odenatonon si fermò a queste sole impre-se: continuò a combattere i per-siani che vedeva come una seriaminaccia per Palmira fino aprendere d’assedio la loro capi-

A sinistra: Antoniniano con l’immaginedi Regaliano

In basso, a sinistra: Aureo con l’immag-ine di Postumo

Sopra: Palmira

Nella pagina accanto, in basso:Palmira: il teatro

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tale Ctesifonte. Varie testimo-nianze numismatiche ed epigra-fiche permettono di considerarequesti interventi di Odenatocome il frutto di un compromes-so con Roma che portò allanascita di un regno autonomo diPalmira, governato dal correctortotius Orientis, Odenato, e dallamoglie Zenobia, che pertantoestesero la loro sfera di influenzaa tutte le vicine province romaneorientali, attraverso un costantecontrollo e la difesa dei territoricon l’approvazione di Roma, chein questo periodo si trovavaimpreparata ad affrontare i peri-coli che giungevano da questazona dell’impero.

Fu così che, per la primavolta, quello che era stato per

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più di due secoli e mezzo ununico impero si venne a dividerein tre tronconi con relative capi-tali poste a Roma, Palmira eTreviri. Gallieno, dal canto suo,rimasto ora unico regnante eaffrancatosi dalla preponderantefigura paterna, poté finalmenteattuare la sua politica.

Due atti furono immediati econtribuiscono a comprenderein pieno la sua personalità. Perprima cosa venne interrotta lapersecuzione contro i cristiani,dando inizio a un periodo di tol-leranza e di libertà di culto, sot-tolineato anche dalla conseguen-te restituzione di tutte le pro-prietà e dei cimiteri. Questo attonon fu solamente dettato damotivazioni strategiche, giacchénella plebe e nei diversi ranghimilitari si era ormai diffusacapillarmente la nuova religione,ma anche perché filosoficamenteil cristianesimo monoteista bensi applicava alla visione monar-chica che Gallieno aveva delloStato. Contemporaneamente,l’imperatore, cresciuto nelrispetto e nella dedizione versola cultura greca e pagana,sostenne con grande favore lascuola neoplatonica di Plotino,di cui fu grande amico, spingen-dosi anche a progettare la fonda-zione di una nuova città,Platonopoli, che doveva sorgerein Campania, proprio su uno dei

territori che erano stati devastatidall’eruzione del Vesuvio del 79d.C.

Il secondo fondamentale attodella politica di Gallieno fu quel-lo di una radicale riforma cheinteressò l’esercito. Era divenutotroppo evidente il totale scolla-mento delle armate dal controlloimperiale mentre balzava agliocchi di chiunque la sempre piùcrescente supremazia del poteresenatoriale in ambito militare eche generava continue usurpa-zioni al trono e dilanianti guerrecivili. Fu così che vennero desti-tuiti dai supremi comandi i sena-tori, rimpiazzati da membridella carriera equestre, diretta-mente nominati e controllati dal-l’imperatore. Anche l’ordina-mento della legione venne rior-ganizzato, aumentando le unitàmilitari a vantaggio della caval-leria che passò da 120 a circa 700

Sotto: Fronte del sarcofago cosiddetto diPlotino: Roma, Musei Vaticani

Sopra: Roma: la porta Esquilina o cosid-detto arco di Gallieno

Nella pagina accanto, in basso: Roma:ninfeo degli horti Liciniani, cosiddetto tem-pio di Minerva Medica

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elementi per ciascuna legione.Ciò permise più rapidi sposta-menti verso le zone a rischio e,anche in questo caso, unamigliore gestione sia degli uffi-ciali, sia delle milizie combatten-ti.

Gli effetti di questa riforma,che tolse in modo definitivo ilcomando delle truppe alla Curiaromana, insieme al rinnovatoclima spirituale, si fecero sentireanche nelle arti figurate. In parti-colare la produzione dei sarcofa-gi che fino a questo momentoaveva visto sulla fronte la rap-presentazione di scene di batta-glia, cessò in parte a vantaggiodei contenuti filosofici o di argo-mento intellettuale. Un tipicoesempio di questa trasformazio-ne è costituito dal sarcofagocosiddetto di Plotino, conservatoai Musei Vaticani, dove con lostile pienamente classicista checaratterizza l’arte del periodogallienico, il defunto è raffigura-to centralmente, seduto su di untrono, che srotola un papiroscritto, a sottolineare la sua natu-ra di persona colta. Ai due lati lefigure femminili richiamano leimmagini delle Muse, diretta-mente collegate al mondo dellearti, mentre sullo sfondo le figu-re maschili vanno consideratecome filosofi a completamentodell’immagine che si volevalasciare ai posteri.

Attraverso queste riforme cherientrano in quella che, anche incampo artistico, viene definita la‘rinascita gallienica’, l’imperato-re consolidò il suo potere assolu-to e quale dominus indiscusso siavviò a celebrare i Decennalia digoverno nel 262 d.C. Sembravadi rivivere a Roma i fasti cheavevano solennizzato solo quat-tordici anni prima la ricorrenzadel primo Millennio. Il biografodi Gallieno ricorda con qualesfarzo venne organizzato il cor-teo trionfale. Davanti a uno smi-surato numero di schiavi, solda-ti e uomini e donne appartenen-

ti alla plebe romana procedeva ilcarro dell’imperatore circondatoda senatori e sacerdoti. Infinecento buoi, duecento agnelli (peri sacrifici), dieci elefanti, mille-duecento gladiatori, animali eso-tici, attori, mimi e atleti e tutticoloro che avrebbero partecipa-to, nei giorni seguenti, ai giochi eagli spettacoli istituiti per cele-brare la figura di Gallieno.

Il desiderio di dare lustro a sestesso e all’immagine della suafamiglia si riscontra anche nelprogramma decorativo cheGallieno volle nella suntuosavilla residenziale romana: gliHorti Liciniani. Nella sua biogra-fia viene più volte nominataquesta proprietà dove Gallienodimorava, circondato da amici efidi collaboratori e con i quali siaccompagnava spesso in feste,banchetti e salutari bagni terma-li. La localizzazione degli Horti èstata individuata a Roma nell’a-rea compresa fra la chiesa di S.Balbina e porta Maggiore, esten-dendosi pertanto in tutto il setto-re nord dell’Esquilino; settore

che doveva essere necessaria-mente raggiunto attraversandola porta Esquilina dell’anticacinta muraria repubblicana, risi-stemata da Augusto e decoratada un’iscrizione, non a caso quiinserita sull’architrave, dove ilprefetto Marco Aurelio Vittorerende omaggio ai due Augusti,Gallieno e la moglie Saponina.Ma l’area degli Horti Licinianidoveva essere molto più vasta edominata da imponenti edificitra i quali si doveva distinguereil palatium Licinianum dove sisvolgeva, come si desume dallaStoria Augusta, gran parte del-l’attività di governo di Gallienoe della sua corte. Ben poco èrimasto, purtroppo, dell’assettoarchitettonico di tutto il com-plesso ad esclusione del monu-mento, noto ancora oggi con ilnome di ‘tempio di MinervaMedica’. Si tratta di una grandeaula formata da una strutturadecagonale coperta da una rivo-luzionaria cupola. Nell’aula siaprono nicchie semicircolari chedanno spazio e dinamismo a

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tutto l’edificio, ben illuminatograzie ai grandi finestroni postial superiore livello. Circa la suafunzione si è molto scritto e ipo-tizzato. Al momento, visto ancheil ritrovamento di alcuni elemen-ti riconducibili ai sistemi diriscaldamento della pavimenta-zione (suspensurae) uniti a dispo-sitivi idraulici, si è propensi aconsiderare l’edificio un luogodi riunione o incontro in cui gio-chi d’acqua dovevano assicurareun gradevole effetto non solo aipresenti, ma anche a tutto l’am-biente circostante. Nel corso deisecoli scorsi l’area degli HortiLiciniani ha inoltre restituito

numeroso materiale scultoreo edecorativo a testimonianza dellosplendore di questi edifici e deigiardini annessi, che sopravvis-sero anche nel corso del IV sec.d.C. Basterà qui ricordare le duestatue di magistrati rappresenta-ti nell’atto di lanciare la mappaper dare il via alle corse nel circoe la porzione di mosaico con laraffigurazione di scene di caccia(attualmente conservati pressole Collezioni dei MuseiCapitolini).

Gli ultimi anni del principatodi Gallieno sono nuovamentefunestati dalla ripresa delle osti-lità nei confronti dei Goti che

invasero l’Asia Minore. Sul finiredello stesso anno in cui si cele-brarono i Decennalia di Gallieno,queste orde di barbari penetra-rono in Tracia e Macedonia finoa giungere ad Efeso, dove deva-starono il tempio di Artemide,un tempo considerato una dellesette meraviglie del mondo.Poco dopo gli stessi Goti, unitiagli Eruli, arrivarono ad invade-re la Grecia, conquistandoCorinto, Sparta, Tebe e lo stessocentro della cultura classica,Atene, nel 267 d.C.

Nel frattempo Gallieno stavatentando di riprendersi le Gallie,muovendo contro Postumo. Il

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Nella pagina accanto, in alto: Statua dimagistrato in atto di gettare la mappa:Roma, Centrale Montemartini

Sopra: Particolare di una sala espositivadella Centrale Montemartini

A destra: Mosaico con scena di caccia dal-l’area della chiesa di S. Bibiana: Roma,Centrale Montemartini

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fedele comandante della cavalle-ria, Aureolo, lo accompagnò inquesta nuova impresa che diedeall’inizio qualche esito positivoin battaglia. Risalgono proprio aquesti anni i tentativi di fortifica-re alcuni importanti avampostiitaliani per contrastare sia lescorrerie dei barbari, fra cui gliAlamanni, sia i frequenti attac-chi degli usurpatori alle città, frale quali va ricordata Verona.Infatti sul finire del 265 d.C.,Gallieno, in questa città, ordinòla realizzazione di una cintamuraria che ricalcava il percorsodelle precedenti mura repubbli-cane, distanziandosi solamentedi pochi metri. Anticipando,quindi, quella che sarà la tecnicacostruttiva militare delle muraromane di Aureliano, la fortifica-zione di Verona venne eseguitacon grande fretta, utilizzandonumeroso materiale di spoglio

(lapidi, elementi architettonici ealtro materiale edilizio) e soprat-tutto inglobando diverse struttu-re preesistenti fra cui va ricorda-to anche il noto Anfiteatro, chefu depredato dell’anello esterno.

Ma Aureolo, da fido amico ecoadiuvante di Gallieno, comespesso accadeva in questi annidi angoscia e anarchia, vedendoil riacutizzarsi di un periodo disbandamento e debolezza delpotere imperiale e la continuadecimazione delle truppe del-l’imperatore, perseguitate dallapeste e dalle ingenti perditedovute alle incursioni dei barba-ri, lo tradì, passando dalla partedi Postumo. Aureolo, infatti, siautoproclamò imperatore pre-parandosi alla conquistadell’Italia. Stretto d’assedio aMilano da Gallieno, che veloce-mente era giunto per sedare larivolta, fu salvato da un’improv-

visa congiura ordita da tutto lostato maggiore dell’esercito, incui erano presenti anche le figu-re di Marco Aurelio ValerioClaudio, braccio destro diGallieno, e il nuovo comandantedella cavalleria, Lucio DomizioAurelio, non a caso, i due futuriimperatori. Gallieno venne ucci-so con uno sleale inganno pro-prio mentre stava pranzando e,senza conoscere i suoi congiura-ti, in punto di morte andò adesignare come suo successoreproprio quell’Aurelio Claudioche aveva tramato alle sue spal-le. Erano i primi mesi del 268d.C. e Gallieno periva vittima diquegli stessi uomini a cui la suariforma militare aveva datoampi poteri di controllo sullemilizie, sempre più determinan-ti e vere padrone degli eventistorici e dell’andamento delloStato.

A sinistra: Verona: resti della fase gallieni-ca delle mura

In basso: Verona: l’arena

Nella pagina accanto, in alto: Monetacon l’immagine di Claudio il Gotico

Nella pagina accanto, in basso: Monetacon l’immagine del figlio di Claudio,Quintilio

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Con il breve regno di AurelioClaudio (che verrà chiamato ilGotico per le sue imprese) ha ini-zio la serie di quegli imperatoriillirici che perdurerà fino allapresa del potere da parte diDiocleziano che porrà fine alperiodo dell’anarchia militare.Ampiamente elogiato dallaCuria romana non solo per i suoimeriti sul campo, ma soprattuttoper aver liberato Roma da quelmonarca assoluto che fuGallieno, Claudio tenterà direstaurare l’impero, dando sicu-rezze nella primaria lotta controi barbari.

Dopo aver soppresso Aureoloche risultava essere un graverischio al suo operato, Claudioattese alla risoluzione della que-

stione riguardante i Goti che,forti di circa 320.000 elementi econ numerose navi al seguitoerano in procinto di invadere l’a-rea orientale dello Stato romano.Strategicamente, quindi, conso-lidò e rafforzò la presenza dell’e-sercito ad Aquinum (vicino l’o-dierna Budapest), la capitaledella Pannonia inferiore, e lungotutta la linea di confine tra que-sta provincia e la Mesia superio-re coincidente col percorso delDanubio. E dopo aver permessoai Goti di compiere nuove razzienelle città costiere del PontoEusino, nella penisola Calcidica,e in varie parti della Grecia, liattese durante la marcia di risali-ta verso nord. I Goti infatti, giàampiamente stremati dalla pesti-

lenza, dalla fame e dalle tempe-ste che li avevano colti nei lorosaccheggi, furono in un primomomento colpiti ripetutamentedal comandante della cavalleriaAureliano e infine, pressoNaissus (identificabile con l’o-dierna Ni? in Serbia), ricevetterodalle truppe imperiali unapesantissima sconfitta. Abritto,in cui Decio aveva trovato lamorte, era stata vendicata eRoma fu liberata dall’angosciosainsidia dei Goti per molto tempo(ritorneranno con forza sullascena storica solo nel IV secolo).

Claudio ricevette grandionori e l’appellativo GothicusMaximus. Al di là dell’importan-za che rivestì questa vittoria suibarbari, il racconto di Zosimooffre un interessante spunto diriflessione quando nel commen-tare la vittoria di Claudio siafferma: «i superstiti entrarononell’esercito romano o si ferma-rono a coltivare quel poco diterra che avevano ricevuto».Non più deportazione dei pri-gionieri e abbandono dei territo-ri appena riconquistati o difesi,quindi, ma attraverso una politi-ca di integrazione, che aggrega-va gli sconfitti come soldati ocoloni, i barbari andavano viavia a ricomporre gli elementidell’esercito romano od a ripo-polare quelle terre a favore diRoma stessa. Ma proprio quan-do Roma stava riaffermandopotere e supremazia sulle nume-rose popolazioni barbariche,Claudio, che si era ritirato aSirmio, morì colpito dalla pestenella primavera del 270 d.C.Dall’epoca di Settimio Severo,Claudio fu il primo imperatore anon essere stato eliminato inseguito a tradimento o per manomilitare.

Come diretto discendente fueletto il figlio Marco AurelioClaudio Quintilio che subitoaccorse con l’esercito a Sirmio,dove pochi mesi dopo giunseanche Aureliano. Quest’ultimo

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fu acclamato dalle sue milizie equando si diffuse la notizia cheClaudio stesso, in punto di morte,lo aveva elevato alla porporacome suo successore, il giovaneQuintilio, scomparve, probabil-mente dopo essersi suicidato.

Risale proprio agli anni intor-no al 270 d.C. la realizzazione diun sarcofago che consente dicomprendere, nelle scene figura-te, il clima di particolare preoc-cupazione che si viveva sulpiano politico e sociale, determi-nando quindi un desiderio diarmonia e tranquillità. Si trattadel sarcofago a tinozza dedicatoda Aurelia Massimina al consor-te Iulius Achilleus, funzionariodel Ludus Magnus, rinvenuto aRoma sulla via CristoforoColombo e conservato ora alMuseo delle Terme. Sulla frontesono raffigurate scene bucolichee pastorali, assai care al reperto-rio pagano e ampiamente ripresedalla cultura cristiana, mostran-do ancor più, per questo perio-do, una certa assimilazione eintegrazione dei due linguaggiartistici in chiave simbolica.Nelle scene si distinguono alcunipastori: chi di loro è intento allalavorazione di attrezzi agricoli,chi in lavori di mungitura o chi,infine, con lo sguardo pensoso etrasognato, sta seduto a contem-plare il gregge. In contrasto conqueste immagini, sui fianchi delsarcofago, sono raffigurati leoni

che stanno sbranando alcuni ani-mali, accompagnati da unbestiario che li trattiene con unacorda mentre suona una tuba. Iltema della pace bucolica, quindi,si contrappone a quello dell’ag-gressiva violenza dei felini ecostituisce in questa opera nonsolo un motivo figurato innova-tivo, ma anche l’emblema deltravagliato periodo che si vive-va, caratterizzato ancor più dal-l’ineluttabile conflitto tra la vitae la morte, tra il terrore e la tran-quillità.

Nel riprendere il pensieropolitico e la strategia di difesa econsolidamento del limes nordi-co, che fu del suo predecessoreClaudio, Aureliano, nei primianni del suo principato, si impe-gnò molto per contrastare erespingere le incursioni in Italiadegli Alemanni, unitisi agli exfederati dei romani gli Iutungi.

Sopra: Ritratto di Aureliano: Brescia,Museo di Santa Giulia

Sotto: Fronte del sarcofago di GiulioAchilleo: Roma, Museo Nazionale Romano

Nella pagina accanto, in alto: Fano: untratto della cinta muraria

Nella pagina accanto, in basso: Fano:l’arco di Augusto

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Emulando quindi la tattica mili-tare che Claudio aveva adottatocontro i Goti, il nuovo imperato-re attese i barbari, che si eranospinti fino al Po nell’autunno del270 d.C., sulla strada del ritorno,dove carichi di bottino e stanchi,furono aspramente battuti.Dopo di che, quando i vinti ven-nero a patteggiare la pace, avan-zando anche richieste in denaro,egli convocò l’esercito (o una suarappresentanza), mostrando l’u-nità non di un solo condottiero,ma di tutto il suo Stato maggioree delle singole milizie. Negò poiogni possibilità di ricatto, comeci informa lo storico contempo-raneo Publio Erennio Dexippo,davanti alle esose richieste di oroe tributi, affermando che la gran-dezza di Roma non solo era pro-tetta dalla massima divinità delSol Invictus, ma che il suo volerecorrispondeva a quanto lo stessodio desiderava.

Sul problema del pagamentodei tributi alle popolazioni bar-bariche si era giocata gran partedella partita relativa alla crisi delIII sec. d.C. Da quando GordianoIII, pur di avere un esercito forte

e numeroso da porre in campocontro i persiani, concesse aiGoti e ad altri popoli tributicostanti, sia in tempo di pace chedi guerra, fu un susseguirsi dirichieste e ricatti che furonodiversamente accolti dai seguen-ti imperatori, con conseguenze avolte devastanti. Con Aurelianosi pose fine a questa dipendenza.E i fatti non mancarono di dareragione all’imperatore. Pocodopo, alla fine del 270, furono iVandali a muoversi, proprio per-ché fu loro negato oro e tributi.Si unirono prima ai Sarmati poicon Alamanni, Marcomanni eIutungi scesero con grande velo-

cità e furia distruttiva fino a sac-cheggiare le aree che circondava-no Milano, e a Piacenza riusciro-no, con l’inganno, a battere letruppe imperiali, riversandosiquindi verso Roma e raggiun-gendo in breve tempo l’Umbria.Ma il carattere, l’esperienza e latenacia di Aureliano alla fineprevalsero. Presso FanumFortunae (Fano), in un’area sicu-ramente a ridosso del fiumeMetauro, i barbari furono scon-fitti in una storica battaglia che licostrinse a fuggire, per esserenuovamente sbaragliati sulla viadel ritorno presso Ticinum(Pavia).

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Il fatto che le orde barbarichesi fossero spinte in questa occa-sione fino a poche migliadall’Urbe, deve, tuttavia, averspaventato non poco il popoloitalico e i cittadini di Roma. Sipensò quindi alla difesa di molticentri abitati, fra cui la stessacapitale, mediate la costruzionedi mura. Roma fino a quelmomento e per diversi secolinon aveva mai sentito l’esigenzadi difendere i propri stretti confi-ni. Imponenti e maestose, grazieanche ai successivi interventi diMassenzio prima e di Onorio eArcadio all’inizio del V sec. d.C.,le mura aureliane costituisconoancora oggi uno fra i massimicomplessi monumentali conser-vati nella città eterna. Realizzatein pochissimo tempo e con l’in-tervento di numerose maestran-za civili e militari, per un percor-so di circa 19 km., protessero lacittà dai continui tentativi dipenetrazione fino al sacco diAlarico del 410 d.C.

Ma oltre alla prestigiosaopera difensiva di Roma i datiarcheologici permettono di indi-

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viduare altre città in cuiAureliano intervenne per la lorodifesa. In particolare si possonocitare Fano e Pesaro, già teatrodelle scorrerie dei barbari e dellesuccessive vittorie dei romani.

Per quanto riguarda Pisaurumsi conservano ancora oggi diver-si tratti di mura realizzati in que-st’epoca in laterizio al di sopradella cinta repubblicana di II sec.a.C. in opera quadrata.

Per Fano, invece, sono atte-stati gli interventi di Aurelianosia nel consolidamento dellacinta muraria di epoca augustea,sia nella probabile realizzazionedi un santuario dedicato proprioa quel Sol Invictus che si eramanifestato con diversi prodigialla figura del vincente impera-tore.

Il notevole consenso cheAureliano andava accrescendopresso le milizie e il popolo erabasato non solo su una sua visio-ne ‘democratica’ del comando,che prevedeva, come si è visto, lapartecipazione di tutti i ranghidell’esercito alle principali deci-sioni da prendere in campo belli-co, ma anche sulla sua nuovaconcezione teologica che inbreve tempo determinò l’unitàetica e morale dell’impero attor-no al dio Sol, che diventerà nel274 d.C., il dio supremo delloStato romano.

Malgrado ciò non si possonodimenticare i vari tentativi diusurpazione che Aureliano subì,sventandoli con grande tenacia erapidità, nonché una rivolta dimonetieri a Roma che si solleva-rono poiché, in assenza dell’im-peratore, provvidero a modifica-re, a loro vantaggio, il valoredella moneta. Aureliano fecechiudere la zecca e molti, anchefra la plebe, si sollevarono, con ilprobabile appoggio della Curia,dando vita ad una sommossache a fatica fu sedata dalle trup-pe imperiali. Furono in seguitouccisi sia il capo dei ribelliFeliciano, che gestiva la zecca,

Nella pagina accanto, in alto: Roma:tratto delle mura aureliane presso portaPinciana

Nella pagina accanto, in basso: Roma:le mura aureliane presso porta Tiburtina

In basso: Busto ritratto di Zenobia:Palmira, Museo Archeologico

sia tutti i membri della classesenatoria e del popolo, che sierano schierati dalla parte deirivoltosi.

Forte di questo favore, sentìcome propria la missione direcuperare quelle zone che ave-vano operato la secessione daRoma: l’impero delle Gallie e loStato di Palmira. La riconquistadelle Gallie avvenne approfit-tando di un periodo di debolez-za di questo ‘impero’ chesopraggiunse, già al tempo diClaudio il Gotico, dopo la mortedi Postumo nel 269 d.C. Prese ilcomando, infatti, MarcoPiavonio Vittorino che riuscì perqualche tempo a controllare lasituazione e a mantenere uncerto equilibrio nei rapporti conRoma, ma non ad evitare un

nuovo tradimento che lo videscomparire dalla scena storica avantaggio di Caio EsuvioTetrico, governatoredell’Aquitania. Contro costui simosse Aureliano e nello scontrodiretto avvenuto nell’odiernazona di Châlons en Clampagne(l’antica Duro Catalaunum nellaBelgica), all’inizio del 274 d.C.,l’esercito di Roma sconfisse isecessionisti, aiutato anche dal-l’ennesimo tradimento compiu-

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to da Tetrico che passò dallaparte dei romani. Le Gallie ven-nero riannesse all’impero,Tetrico condotto a Roma cometrofeo di guerra, anche se fu inseguito riabilitato e inviato inLucania con compiti di governo.

Più difficile e complessa fu lariconquista dell’oriente. Palmiraera rimasta orfana del suo gran-de condottiero Odenato già dal267 d.C., vittima anche lui di unacongiura di palazzo, e per manodi suo nipote Maconio. Gli suc-cesse la moglie Zenobia con ilfiglio Vaballato che dopo unperiodo di relativa pace, pretesedi estendere il suo dominiogiungendo così a controllare laSiria, l’Arabia e soprattuttol’Egitto, dove erano sempre piùfrequenti le incursioni deiBlemmi a danno delle città caro-vaniere. L’ingerenza dei palmi-reni in Egitto, dove nel 271 d.C.si assistette alla caduta diAlessandria ad opera del gene-rale Zabdas, accompagnataanche dalla loro espansione inBitinia, non fu più tollerata daAureliano che muovendo con ilgrosso dell’esercito attraversol’Asia minore arrivò a scontrarsi

con Zenobia e Vaballato proprioad Antiochia. Qui con grandeabilità tattica l’imperatore riuscìad avere la meglio contro l’in-gente e ben armato esercito deipalmireni. Zenobia venne cattu-rata dopo la seguente caduta diPalmira che di lì a pochi mesi siribellò nuovamente finchéAureliano non la fece radere alsuolo nell’estate del 272 d.C.

Riunificato l’impero, rafforza-te le difese di molte città e deiconfini nordici contro i barbari,riorganizzati alcuni settori del-l’amministrazione pubblicaanche attraverso un’importanteriforma monetaria e infine rin-saldati i costumi religiosi attra-verso la teologia solare,Aureliano si apprestava a cele-brare il trionfo a Roma nel 274d.C. Non prima tuttavia di averadempiuto ad un voto che fecealla vigilia della sua conquista diPalmira durante un sacrificiosvoltosi davanti al tempio delSole di Emesa: quello di costruir-ne uno nuovo in onore del dio aRoma. Inaugurato probabilmen-te nel 274 d.C., il 25 dicembre,che divenne in epoca cristiana ilNatalis Domini, questo tempio

sorgeva in un’area della VIIRegione augustea corrisponden-te all’odierna zona di Piazza S.Silvestro per estendersi a nordfino a via della Vite- via delGambero, dove la presenzadell’Arco di Portogallo, sulla viaFlaminia (via del Corso), dovevacostituire uno degli accessi alsacro luogo. Insieme al tempiovennero istituiti giochi annualiche perdurarono nel tempo e unnuovo collegio di sacerdoti (pon-tefici). Splendidamente ornatosia nella sua decorazione archi-tettonica, sia al suo interno conmagnifiche opere d’arte, il tem-pio conservava il bottino prove-niente dalla conquista diPalmira, mentre nei suoi porticiavvenivano le distribuzioni aprezzo calmierato di vino allaplebe, istituite proprio daAureliano. La pianta di questoedificio è in parte ricostruibilegrazie ad alcuni disegni perve-nutici dal Palladio ed eseguitinel XVI secolo (quando i ruderierano ancora visibili) e in cui,malgrado alcune integrazioni, siriconosce il grande portico diaccesso al santuario con i latibrevi curvi e un’area centrale piùampia, caratterizzata da nicchiesui lati. Il prospetto disegnatodal noto architetto mette in evi-denza un doppio ordine di stilecorinzio in cui si inseriscono nic-chie. Tra le altre opere cheAureliano lasciò a Roma vannoinfine ricordati i Castra Urbana,già realizzati in epoca preceden-te e da questo imperatore rico-struiti nelle vicinanze del tempiodel Sole e, secondo i recentistudi, nell’attuale area di piazzadi Spagna.

Giunto così all’apice del pote-re e del consenso assoluto,Aureliano morì per un banaleincidente, lasciando un vuoto dipotere incolmabile per diversotempo. Zosimo e altri autori rac-contano che l’imperatore si tro-vava in Tracia a Perinto,vicinoBisanzio, ed avendo fortemente

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minacciato un suo funzionariodi corte, di nome Eros, addettoalla pubblicazione delle sue sen-tenze, questi si spaventò a talpunto che, mediante una falsalettera, istigò le guardie delcorpo dell’imperatore a soppri-merlo per difendersi da un’even-tuale rappresaglia che avrebbecolpito anche loro. Attesa l’usci-ta di Aureliano dalla città, Eros ecoloro che era riuscito ad ingan-nare lo uccisero a colpi di spada.Si era con ogni probabilità nel-l’autunno del 275 d.C.

Resta ancora da ricordare ilrapporto che Aureliano ebbe conil cristianesimo. Se, infatti, all’i-nizio del suo regno mantenne invigore le disposizioni di tolle-ranza emanate da Gallieno, sulfinire del principato, la tradizio-ne letteraria cristiana lamenta ilsorgere di una nuova persecu-zione. Il buon rapporto inizialecon la Chiesa è comunque testi-moniato dalla vicenda che inte-ressò il vescovo eretico diAntiochia, Paolo di Samosata.

Questi era un funzionario dellaclasse aristocratica legata aZenobia che lo elesse vescovocol fine di controllare la chiesa,manifestando per la prima voltail desiderio di interferire nellapolitica ecclesiastica. Furononecessari, allora, ben due sinodidi vescovi fra il 264 e il 268 d.C.per sconfessare le idee di Paolo escomunicarlo. E visti i tentatividel vescovo, forte della sua pro-tezione, di conservare la sediaepiscopale, i cristiani diAntiochia giunsero a chiedere adAureliano stesso la sua deposi-zione a favore del vescovoDomno, ufficialmente eletto ericonosciuto. L’imperatoreseguendo una chiara linea didiritto, accordò ai cristiani le lororichieste, anche per dare rilievoalle proprie idee di unità e cheandavano contro a qualsiasiseparatismo.

Probabilmente un riacutiz-zarsi delle violenze a danno deicristiani alla fine del suo regno,ma che non sono documentate

da editti e soprattutto senza nep-pure aver avuto un seguito, puòessere dovuto a diversi fattori tracui la ripresa del conflitto coineoplatonici o la minaccia che lafede cristiana poteva rappresen-tare verso la nuova, ufficiale euniversale religione del SolInvictus.

Come si è già avuto modo didire, l’improvvisa morte diAureliano gettò nuovamentel’impero e le sue istituzioni in uncaotico vuoto di potere e stato dianarchia. Gli autori antichi cidicono perfino di un periodo diinterregno durato ben sei mesi,che tuttavia è da ridurre a unmassimo di tre mesi, poiché giàalla fine del 275 d.C. il nuovosovrano Marco Claudio Tacito sitrovava insediato sul trono. Fu lascelta giusta per quel momento,uscita da una lunga ed estenuan-te trattativa fra esercito e senatoe in cui la Curia romana deveaver svolto un ruolo di una certarilevanza. Infatti, Tacito, quandofu eletto, era considerato unprinceps del Senato, con alle spal-le una brillante carriera militare,ma soprattutto era un ricchissi-mo possidente terriero tanto che,ormai lontano dai clamori e daipericoli della vita civile e milita-re, data l’età di settantacinqueanni, viveva in Campania, pres-so Baia.

Il suo impero durò circa unanno. Dopo aver eletto prefettodel pretorio il fratello (?)Floriano, concesse alti onori

Nella pagina accanto: Resti del Tempiodel Sole in una incisione del XVI secolo

A sinistra:Il Sol Invictus in un’immaginedel culto mitriaco

In basso: Aureo con l’immagine di Tacito

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divini ad Aureliano, e si occupòsubito di alcune riforme ammi-nistrative, nonché di nuovi pro-getti architettonici per l’Urbe, fracui quello di voler realizzare untempio dedicato a tutti gli impe-ratori divinizzati. Ma ben prestofu chiamato alla guerra. Nuove epesanti incursioni dei barbari siregistravano nel Ponto Eusino(Cappadocia e Cilicia) doveTacito andò ad arginarle con suc-cesso. Ma sul tragitto del ritorno,a Tiana in Cappadocia, durantel’estate del 276 d.C., com’erad’uso, venne trucidato dai solda-ti che vedevano erroneamente inlui il tentativo di restaurazionedel potere senatoriale. Dubbia èla notizia che vedrebbe come

mandante dell’uccisione proprioil suo successore, l’illirico nativodi Sirmio, Marco Aurelio Probo,già comandante della X LegioGemina ed elevato al rango didux totius Orientis da Tacito stes-so. L’esercito, quindi, torna aproclamare l’imperatore, ucci-dendo, in capo a pochi mesi,anche Floriano che poteva costi-tuire un ostacolo al nuovo eletto.Nei sei tormentati anni del suoregno, Probo dovette fare fronteai continui assalti di diversepopolazioni barbariche su tuttala linea del limes imperiale.Riprendendo la politica diAureliano e contando moltosulla sua tenacia, energia edesperienza (fu già ufficiale sotto

Valeriano; comandante dellemilizie nell’Illirico con Gallienoe braccio destro di Aurelianonella lotta contro Zenobia)Probo, dopo essersi scontratocon diversi usurpatori, riuscì nelsuo intento di respingere i diver-si attacchi dei barbari e di rinfor-zare i confini, provvedendo cosìalla sicurezza dell’impero. Ilrisultato fu quello, per certiaspetti molto singolare in questidrammatici anni, di aver riporta-to una relativa pace nelle provin-ce e a Roma stessa, dove nel 281d.C. Probo celebrò il trionfo.Nelle diverse campagne bellichecombattè con successo controFranchi ed Alemanni in Gallia(276 d.C.), Vandali nella Rezia(277 d.C.) e infine contro i Goti ei loro alleati che avevano invasole zone orientali (278 d.C.). Fuanche in grado di riprendere lalotta contro i persiani e grazieall’aiuto di alcuni suoi valorosigenerali, Probo liberò l’Egittodal pericolo dei Blemmi (280d.C.). In questa sua azione, l’im-peratore ebbe sempre cura difortificare villaggi e città e didotare di nuove difese quelleregioni maggiormente vulnera-bili a nuove incursioni. Si hannonumerosi esempi di queste ope-razioni in città come Cesena,Narona (Dalmazia), Pupput (neipressi dell’odierna Hammamet)e Capsa (Numidia). Anche perRoma si hanno notizie in talsenso, come la conclusione dellacinta muraria iniziata daAureliano e la realizzazione diun nuovo ponte. Ricordato neiCataloghi Regionari del IV sec.d.C., il Pons Probi fu restauratodurante l’età teodosiana. Sullasua ubicazione sussiste una certadiscordanza anche se general-mente viene collocato nel trattodi fiume tra l’Aventino e ilTrastevere.

Bisogna ricordare che Proboviene dipinto dalle fonti antiche,non senza una certa dose diidealizzazione, come un valente

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Nella pagina accanto: Ritratto di Probo:Roma, Musei Capitolini

A sinistra: Aureo con l’immagine di Probo

Al centro: Area archeologica dell’anticaPupput

In basso: Capsa: particolare delle rovinedelle terme

militare ma anche quale uomo dipace e legato molto alla terra eall’agricoltura. Sicuramente lavista delle condizioni demogra-fiche dell’impero, molto ridotte acausa delle continue guerre,delle carestie e delle pestilenze,deve averlo colpito moltissimo.Non di meno lo stato in cui ver-savano molti territori, un tempofelicemente fertili e coltivati. Perquesti motivi ebbe molto a cuoreil problema del ripopolamentodi determinate regioni devastatedalla guerra come anche l’utiliz-zo dell’esercito in lavori di risa-namento ambientale e bonifiche.La sua strategia fu quella di tra-piantare i barbari, fatti prigionie-ri, nelle zone che più necessita-vano di interventi con fini demo-grafici. Ma in questa opera, ilpiano in parte fallì poiché accad-

de, sotto il suo principato, che iFranchi, dislocati con questi finiin Tracia si ribellarono e dopoessersi impadroniti di numerosenavi, devastarono le costedell’Asia Minore e della Greciaper spostarsi poi in Sicilia, dove

saccheggiarono Siracusa, e con-cludere poi le loro scorrerie,indisturbati, in Africa settentrio-nale. E da qui, sempre piùpadroni del mare, varcarono lostretto di Gibilterra e percorren-do con rotte di cabotaggiol’Atlantico raggiunsero la loropatria a nord. Fu questo, certa-mente, un fatto inaudito per queltempo, dimostrando comeun’armata di barbari, trasforma-tisi in pirati, potesse facilmenteconquistare il Mediterraneo finoal punto di saccheggiare laSicilia, considerata imprendibilee soprattutto violandone la sacrae proverbiale pace e serenità.

La fine dell’impero di Probo èin diretto collegamento propriocon questa sua politica di riuti-lizzo delle milizie in opere dipubblica utilità. Dopo averdisposto la diffusione dei vigne-ti in varie province, fra cui laGallia e la Spagna, anchemediante l’impiego di mano d’o-

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pera militare, ritornato a Sirmio,progettò il prosciugamento dellepaludi con lavori di drenaggio eattraverso un notevole sfrutta-mento delle truppe di stanza inPannonia. Ma i soldati volevanola guerra e si ammutinarono nel-l’estate del 282 d.C., probabil-mente fiancheggiati da MarcoAurelio Caro, prefetto del preto-rio, che proprio in quei mesi erastato proclamato imperatore daisuoi militari e dalle legioni delNorico e della Rezia. Probo fudunque eliminato e malgradouna prima reazione senatorialeall’evento, si insediò sul trono diRoma l’ultimo tentativo di crea-re una stabile dinastia imperialeprima dell’avvento del granderiformatore Diocleziano.

Difatti Caro, appena indossa-ta la porpora, nominò Cesari ifigli Carino e Numeriano chedivennero princepes iuventutis. Ilnuovo imperatore, tuttavia, nongodeva di buona fama e tantomeno suo figlio Carino che viene

descritto da Zosimo come «dedi-to alla mollezza e a vita sregola-ta e che faceva stragi di uominiche non avevano alcuna colpa,vittime della sua sfrenatezza,ritenuti in qualche modo in con-trasto con lui». Presso leCollezioni Capitoline si conservaun interessante ritratto virilecolossale che viene attribuito,anche se con qualche dubbio,alla figura di Carino. Rinvenutanella zona del Castro Pretorio, latesta, in buono stato di conserva-zione, offre l’immagine di unuomo in età matura con linea-menti ben caratterizzati, come ilgrosso naso gibboso, le labbrasocchiuse, gli zigomi sporgenti,la bassa fronte e i corti capellilavorati a rilievo molto basso.Stilisticamente l’opera richiamala corrente neoclassicista di etàgallienica, come nella lavorazio-ne plastica della barba e nelmovimento della testa, presen-tando anche alcuni aspettiespressionistici che anticipano le

tendenze artistiche dell’immi-nente età tetrarchica. Attribuito adiversi personaggi di quest’epo-ca, come Floriano, Probo e ancheGallieno, il ritratto potrebbe rife-rirsi invece, sulla base di con-fronti anche monetali, proprio aCarino, malgrado la damnatiomemoriae da cui fu colpito e per-tanto costituire una delle rareimmagini di questo sfortunatoimperatore.

Visto, quindi, che i soldatichiedevano sangue e bottino,Caro, dopo aver mandato ilfiglio maggiore a contrastare inGallia le incursioni dei barbari,con il figlio minore, Numeriano,intraprese una spedizione controi persiani. Con le sue armate,Caro riuscì ad occupare laMesopotamia nel 283 d.C. e aspingersi con successo fino aCtesifonte. Ma qui per unainspiegabile circostanza (forseuna tempesta o la caduta di unfulmine), l’imperatore morì,lasciando al figlio il compito diriportare le truppe in patria. Mapreso Perinto, sul Bosforo, ancheNumeriano fu trovato mortonella sua tenda e tutto lo Statomaggiore dell’esercito incolpòdell’accaduto, Aper, il suocero, econtro di lui venne proclamatoimperatore l’illirico di originedalmata, Caio Valerio Diocles,prefetto del pretorio. Nasce daquesto episodio la veloce e fulgi-da ascesa al trono di Diocles checon abilità tattica uccise imme-

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diatamente Aper, cavalcando lacomune accusa nei suoi confron-ti e prendendo la porpora nelnovembre del 284 d.C, potendoperò contare solamente suldominio della Siria e dell’Asiaminore. E volendosi immediata-mente ricollegare alla famigliadegli Antonimi e ai predecessoriillirici modificò anche il suonome in Marco Aurelio CaioValerio Diocleziano.

Già da tempo non era piùnecessario per gli imperatori,come ci informa Aurelio Vittore,andare a Roma per essere inve-stiti dalla Curia del titolo impe-riale; era sufficiente la proclama-zione da parte dell’esercito eDiocleziano, forte di questopotere marciò contro l’ultimoostacolo: Carino. Questi, chestava conducendo il suo operatoancora in Gallia, dopo essere

intervenuto anche nell’Urbe inseguito al grande incendio chesconvolse la capitale nel 284d.C., preparò il suo esercito emosse verso colui che vedevacome un usurpatore.

Lo scontro si svolse nellaMesia a Vindimicium. L’esitodella battaglia volgeva a favoredi Carino ma i suoi soldati, pro-babilmente intuendo la grandez-za di Diocleziano, lo uccisero,spianando la strada nell’estatedel 285 d.C. al nuovo restaurato-re dell’impero.

Molti dei problemi che la crisidel III secolo aveva generatorestavano ancora aperti, maDiocleziano con la sua rivoluzio-naria riforma tetrarchia seppeporvi rimedio.

Roma perse il suo ruolo diunica capitale di un unico vastoimpero. �

BIBLIOGRAFIA (a completamen-to dei testi già inseriti nelleprime due parti): G. VITUCCI,L’imperatore Probo, in Studi pub-blicati dall’Istituto Italiano per laStoria Antica, 8, ROMA 1952; S.MAZZARINO, La fine del mondoantico, Milano 1959; M. GRANT,Gli imperatori romani. storia esegreti, Roma 1983; M.SILVESTRINI, Il potere imperiale daSevero Alessandro ad Aureliano, inStoria di Roma, III, 1, Torino 1993,pp. 155-191; A. FEDRIANI, Gli ulti-mi condottieri di Roma, Roma2001; B.M. DI DARIO, Il Sole invin-cibile, in Paganitas, 9, Padova2002; . SORDI, I cristiani - l’ImperoRomano, Milano 2004; A.GIARDINA, Roma antica, Bari 2005;A. PANDOLFI, Dal paganesimo alcristianesimo, in La cristianizzazio-ne in Italia fra Tardo Antico e AltoMedioevo, Roma 2007; A.BARBERO, Barbari. Immigrati, pro-fughi, deportati nell’ImperoRomano, Bari 2008; A. BALDINI,L’impero romano e la sua fine,Bologna 2008; P. SINISCALCO, Ilcammino di Cristo nell’ImperoRomano, Bari 2009.

Nella pagina accanto, in alto: Area delfiume Tevere dove doveva sorgere il pontedi Probo

Nella pagina accanto, in basso: Aureocon l’immagine di Caro

A sinistra: Ritratto di Carino (?): Roma,Centrale Montemartini

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IL RINVENIMENTO

A destra: L’area dell’Excubitorium dellaVII Coorte in una incisione del XIX secolo

Nella pagina accanto, in alto: Nella fotod’epoca un particolare del pavimento musi-vo e della vasca in muratura

n unpasso dellabiografia diAugusto, los t o r i c o

Svetonio ricorda l’istituzione daparte del princeps di un corpoaddetto al pattugliamento not-turno delle strade di Roma, cuierano inoltre attribuite funzionidi contenimento e prevenzionedegli incendi: Adversus incendiaexcubias nocturnas vigilesque com-mentus est (SVET. Aug. 30).

In effetti, la praefectura vigilumfu introdotta da Augusto nel 6d.C, nel quadro di una generaleriorganizzazione degli ufficiburocratici di rango senatorio edequestre, ma la mancata menzio-ne del praefectus vigilum (cosìcome, quella del prefetto del pre-torio e dell’annona) da partedello storico mette in risaltoquanto ancora fosse scarsa l’im-pressione destata dalla creazionedi cariche prettamente equestri.Solo in epoca flavia, con la stabi-lizzazione delle funzioni, si ebbe

IL’EXCUBITORIUM

coscienza del fenomeno, grazieal quale anche gli equites poteva-no aspirare a un cursus pari aquello dei senatori, se non perprestigio e tradizione, certamen-te per quantità e vastità di com-petenze.

In origine, la praefecturavenne istituita con un campod’azione limitato nel tempo, mafu ben presto chiaro l’effettivovalore della nuova funzione civi-ca: in età repubblicana non esi-steva, infatti, un corpo militareappositamente destinato all’in-tervento in caso di incendi, ma lacura era affidata agli edili e, solonei casi più gravi, ai consoli stes-si; di norma, invece, era di com-petenza di magistrati minori cheavevano al loro ordine un nume-ro non definito di schiavi pubbli-ci. La frammentazione e la diso-mogeneità dell’amministrazione

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Dida

resero necessario l’intervento diAugusto, che basò l’organizza-zione del nuovo ufficio sulladivisione in quattordici regionidella città.

Com’è noto, egli affidò dueregiones contigue al controllo diuna statio, in cui era appuntostanziata una coorte di vigili. Aciascuna statio faceva poi riferi-mento un distaccamento minore,detto excubitorium. Non è possi-bile determinare con certezza ilnumero degli effettivi prima delIII sec. d.C., ma per certo in etàseveriana ciascuna coorte arriva-va a contare mille uomini. Acapo della milizia era posto unpraefectus di rango equestre, a cuierano attribuite competenze nonsoltanto militari, ma anche giuri-sdizionali: era infatti suo compi-to ricercare ed eventualmentepunire i colpevoli di un incendio

e occuparsi del giudizio di colo-ro che, nel corso delle ronde not-turne, avessero subito l’arresto.

Lo affiancava nell’ammini-strazione il subpraefectus, cuiseguivano gerarchicamente i tri-buni, a capo delle sette coorti, e icenturioni che guidavano lesette centurie in cui ciascunacoorte era suddivisa. Grazie alleepigrafi rinvenute nel corso deidiversi scavi, è inoltre possibiledefinire con un buon grado diaccuratezza i numerosi uffici acui i soldati dovevano attendere,a cui corrispondeva una precisadenominazione. I cornicularii, ibeneficiarii e i commentarioneserano alle dipendenze delle cari-che di rango più elevato, conmolteplici mansioni; ciascunacoorte disponeva poi di un suovexillarius, di amministratorieconomici e archivisti (arcarii elibrarii), medici e officiatori disacrifici (victimarii).

Trattandosi di una curaalquanto specializzata, data lavastità del suo campo di azione,esistevano inoltre numerosiaddetti a specifiche competenze:i siphonarii e gli aquarii si occupa-vano del funzionamento degliimpianti idraulici in caso diincendio, i carcerarii, gli horreariie i balnearii provvedevano allavigilanza di carceri, magazzini e

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bagni pubblici; i sebaciarii, che sialternavano con turni mensili,erano addetti all’accensione del-l’illuminazione notturna strada-le per favorire il pattugliamentodei vigili (le fiaccole, infatti,venivano realizzate con il sebum,sego), oppure, più specificata-mente, il servizio sarebbe statolimitato al mantenimento dell’il-luminazione pubblica, istituitada Caracalla, in occasione dell’a-pertura notturna delle terme, frail 210 e il 215 d.C.; gli emitularii,infine, di controversa definizio-ne, avevano probabilmente ilcompito di accompagnare i seba-ciarii nel loro servizio.

Risulta dunque evidente lamolteplicità dell’attività dei vigi-les, che - come illustra il passo diSvetonio - dovevano assicuraredagli incendi la città, occuparsidella prevenzione degli stessidurante il giorno e perlustrare lacittà di notte. La collaborazionecon le altre curae e praefecturae diRoma era perciò necessaria: ilcurator aquarum doveva garanti-re il funzionamento delle fonta-ne e l’agibilità degli acquedottistessi, le coorti urbane sostitui-

vano, al sorgere del sole, quelledei vigili nel compito di perlu-strazione e polizia, mentre i vigi-les stessi continuavano a verifi-care che i privati disponesserodei mezzi di primo soccorso incaso di incendio, si esercitavanoe svolgevano gli incarichi ammi-nistrativi di loro competenza.

Divinità tutelari del corpoerano, naturalmente, Vulcano ela sua consorte Stata Mater, vene-rata anche nel culto compitale,come mostra, fra le altre, labasetta del Museo Nazionaledelle Terme di Diocleziano, lacui prerogativa era appunto fer-mare gli incendi.

Come in precedenza accenna-to, nella città di Roma, a ciascu-na coorte di vigiles era affidata lasupervisione di due regiones con-finanti: la caserma era detta sta-

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Nella pagina accanto, in alto: L’edicola,un particolare della vasca e del pavimentomusivo in una foto del XIX secolo

Nella pagina accanto, in basso:Particolare degli affreschi dell’interno del-l’edicola

Sotto: Il primo e grande ambientedell’Excubitorium

tio ed aveva sede in una delledue regiones pattugliate, mentrenell’altra era posto un distacca-mento minore dipendente dalprincipale, detto appunto excubi-torium. Conosciamo, inoltre, lacaserma di Ostia, ubicata neipressi del teatro, in cui avevano

alloggio i vigili che, ogni quattromesi, giungevano dall’Urbs, for-niti ciclicamente dalle sette coor-ti urbane, per garantire la sicu-rezza del porto, e, di conseguen-za, il regolare approvvigiona-mento di Roma stessa.

I Cataloghi Regionari offronol’elenco di stationes e di excubito-ria per ogni coorte, ma non tuttele sedi sono state attualmenteindividuate.

La statio della I coorte si tro-vava nella regio VII, nelle vici-nanze dell’attuale chiesa deiSanti Apostoli; quella della IIcoorte è ricordata nella regio V,nei pressi di viale Manzoni,mentre la collocazione della sta-tio della III coorte è generica-mente indicata nella regio VI,sulla sommità del Quirinale; lastatio della IV coorte si trovavaalle pendici del cosiddetto picco-lo Aventino (regio XII), quelladella V coorte (regiones I e II) neipressi della chiesa di SantaMaria in Domnica, mentre la sta-tio della VI viene ipoteticamentelocalizzata in un’area contigua alForo Romano, cui era pertinente.

Della VII coorte è noto l’excu-bitorium nella regio XIV Trans

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Tiberim, mentre di più incertacollocazione è la statio, varia-mente ubicata nelle limitroferegiones IX o XI. Dai graffiti ritro-vati nell’excubitorium è statoinoltre possibile stabilire i titoliche gli imperatori della dinastiasevera attribuirono alla coortestessa: Severiana, Antoniniana,Mamiana, Alexandrina.

Il distaccamento della VIIcoorte dei vigili venne alla lucedurante le campagne di scavo dimetà Ottocento nel quartiereTrastevere, alla profondità diotto metri rispetto al piano stra-dale moderno. In questa occasio-ne fu scoperta, nel vicolodell’Atleta, anche una copiadell’Apoxyomenos di Lisippo. Dal1866, anno della scoperta, l’areavenne abbandonata sino ai lavo-ri di recupero e manutenzionedel 1966, seguiti nel 1986 daquelli di restauro degli affreschi.Molte delle decorazioni, andateperdute, sono visibili dalle foto-grafie scattate subito dopo il rin-venimento, che permettono diricostruire parzialmente le deco-razioni musive dei pavimenti e ilciclo pittorico delle pareti.

La struttura riutilizza gliambienti di una casa privata allafine del II sec. d. C. e, probabil-mente, parte di un balneum.L’edificio, originariamente a piùpiani, è in opera laterizia.Attualmente, l’accesso si aprenella grande aula centrale cheoriginariamente era decorata

Nella pagina accanto: L’arco di collega-mento tra due ambienti. Sullo sfondo l’edi-cola e i resti della vasca

A destra: Graffito con il termine emitular-ius in una foto di fine ottocento

In basso: Particolare di strutture delprimo ambiente

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In alto, a sinistra: Particolare dell’edicolacon il timpano decorato con laterizi di col-ore diverso

A sinistra: Uno degli affreschi una voltavisibili all’interno dell’edicola

Sopra: Porta di ingresso al secondo ambi-ente con decorazioni pittoriche nel sottarco

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con un mosaico in bianco e neroa soggetto marino, oggi andatoperduto, in cui erano rappresen-tati mostri marini fantastici, uncavallo, un caprone, un serpentee due tritoni, recanti il tridente edue fiaccole. Al centro è tuttoracollocato il bacino esagonale diuna fontana, prospiciente un’e-dicola in cortina laterizia, sor-montata da un timpano e incor-niciata da colonne corinzie: sitratta probabilmente di un lara-rio, dedicato al GeniusExcubitorii, menzionato nei graf-fiti, oggi scomparsi, tracciati sul-

l’intonaco della parete interna.Della decorazione parietale del-l’edicola si conserva solo la partesuperiore, in cui sono raffigurateesili colonnette sorreggentiarchitravi, decorate da ghirlan-de, fra pannelli rossi, intervallateda figure umane.

Sull’aula principale si affac-ciano diversi ambienti di incertadestinazione. A est, due vanicomunicanti, usati con probabi-lità dagli stessi vigiles; a nord, inasse con l’edicola, si apre l’acces-so a un corridoio, su cui prospet-tano, a destra, due ambienti

pavimentati in opus spicatum(posto in opera su un precedentemosaico a tessere bianche) e per-tanto interpretati come ambientidi servizio e, a sinistra, unbagno, la cui funzione è stataindividuata grazie alla presenzadi un chiusino al centro del pavi-mento in cocciopesto. Tale corri-doio continua attraverso un’a-pertura praticata nelle fondazio-ni dell’edificio moderno supe-riore e porta a un ambiente, deli-mitato a sud da una soglia mar-morea, comunemente identifica-to come un magazzino per la

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presenza di un dolio interrato.Dell’apparato decorativo di

III sec., documentato al momen-to della scoperta del monumen-to, non resta nulla, se non partedegli affreschi dell’edicola e delmosaico dell’aula principale, giàricordati, e l’affresco conservatonell’intradosso della porta d’in-gresso del corridoio, che raffigu-ra un erote e cavalli marini fradecorazioni geometriche lineari.Negli altri ambienti erano pre-senti esili architetture scenogra-fiche, animali marini, geni eghirlande vegetali, conformi algusto dell’epoca (cosiddetto IVstile pompeiano).

I graffiti tracciati sulle paretidell’edificio, di cui oggi si con-serva solo un frammento di into-naco esposto nella collezioneepigrafica del Museo Nazionaledelle Terme di Diocleziano,offrono notizie utilissime per laricostruzione dell’attività e dellavita quotidiana del distaccamen-to. Essi infatti riportano le quali-fiche delle diverse classi di vigi-li, cui precedentemente abbiamofatto riferimento, dediche a divi-nità tutelari, voti augurali agliimperatori, i nomi degli uominiin servizio e la centuria a cuiappartenevano. �

Nella pagina accanto: Particolare delprimo ambiente con i resti della vasca inprimo piano e l’ingresso al secondo ambiente

Sopra: Ingresso all’ultimo ambiente con lasoglia in marmo sullo sfondo

A destra: Resti antichi che insistono sullacopertura moderna dell’Excubitorium

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IN MOSTRA APALAZZO ALTEMPS

ella raffinatacornice diP a l a z z oA l t e m p s ,sede del

Museo Nazionale Romano, èpossibile ammirare, dal 15 aprileal 18 luglio 2010, tre opere digrandissimo interesse: una sta-tua di Dioniso fanciullo, unamaschera bronzea di un anzianoPapposileno, ed un’applique disileno, anch’essa bronzea, coro-nata con foglie di edera. Le treopere, di recente acquisite dallaFondazione Sorgente Group,sono qui presentate per la primavolta al grande pubblico. Il sorri-so di Dioniso, questo il titolo dellaMostra, rimanda immediata-mente ad una atmosfera di dolcesensualità, quale si respirava neigiardini e negli atri delle elegan-ti dimore degli esponenti di spic-co della classe senatoria. L’interoapparato decorativo di questiambienti (suppellettili, statue,fontane, bacini) era teso a ricrea-re un’oasi ideale di serenità, un

NIL SORRISO DI DIONISO

A destra: Un momento della conferenzastampa di presentazione della mostra nellasplendida sala del Teatro di Palazzo Altemps

Nella pagina accanto, in alto: Il bellissi-mo allestimento degli oggetti in mostra

Nella pagina accanto, in basso: Unparticolare di affresco parietale con sileno emotivi floreali dalla “Casa del braccialed’oro” a Pompei

mondo nel quale trovare rifugio,lontano dagli affanni della tor-mentata vita politica. I peristili egli atri si affollarono così di temitratti dal repertorio dionisiaco:tra le fronde della vegetazionecurata ad arte, si potevano trova-re statue del dio, rilievi marmo-rei di vario formato con la raffi-gurazione di scene dionisiache ooggetti di culto (la cista mistica,destinata a contenere queglioggetti rituali che era proibitovedere se non agli iniziati aimisteri, il kantharos, il tirso), per-sino bacini o fontane decoratecon menadi rapite nell’estasidella danza, o con grappolid’uva e kantharoi colmi di vino, ilcui effetto complessivo dovevaessere acuito dai giochi d’acquache scorreva in abbondanza. Trale colonne del peristilio, insiemeal dio o ai personaggi del suocorteo (menadi, satiri), potevanoessere sospese per mezzo di

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festoni o ghirlande maschere fit-tili, bronzee o marmoree: i sog-getti prediletti erano i personag-gi della Commedia Nuova, comeil vecchio schiavo, la giovaneetera, il giovane di buona fami-glia, o del dramma satiresco,come i satiri, i sileni ed anche ilpiù vecchio di essi, ilPapposileno. In alcuni casi, sievocavano in tal modo i reperto-ri di vere commedie o tragedie

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realmente messe in scena, comela Medea di Euripide, o le ama-tissime commedie di Menandro.È possibile che il fenomeno sia inrelazione allo svolgimento, nellestesse case, di vere e proprieperformances teatrali e sceniche,che accompagnavano brillante-mente quelle cene e convivi sera-li che, dopo l’età di Annibale, sifecero sempre più lussuosi ericercati.

Dioniso fanciullo cinto di rose

La statua di Dioniso, proprietàdi una famiglia romana sino agliinizi del 1900, poi oggetto di undecreto di notifica nel Gennaiodel 2009, è stata in seguito acqui-sita dalla Fondazione SorgenteGroup. È una rara raffigurazionedi un Dioniso in età giovanile,

Sopra: Affresco parietale con scena dibanchetto dionisiaco dalla “Casa del brac-ciale d’oro” a Pompei

A sinistra e in alto, a destra: Particolaridi affresci parietali con motivi floreali euccelli. Da notare la raffigurazione dimaschere teatrali appese. Dalla “Casa delbracciale d’oro” a Pompei

colto in un momento di pausanel suo incedere, con il capo leg-germente reclinato su un lato. Ildio incede nudo, nella graziadelle forme solide e ben costrui-te della sua giovane età; uniciaccessori sono una pàrdalis (unapelle di felino, indossata durantele battute di caccia) che gli rico-pre la parte superiore del bustoper ricadere poi sulle spalle, edalti stivaletti in pelle ai piedi. Sulcapo, sulla folta capigliatura alunghe ciocche ondulate, è ada-giato un ricco diadema vegetale,a foglie di edera, corimbi, pam-pini e uva. Un dettaglio curiosoe poco comune è la fascia che siadagia al suo ventre, compostada piccole roselline a cinquepetali. L’opera è il risultato diun’abile mescolanza di due sche-mi iconografici. L’impostazione

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del corpo giovanile del dio èpalesemente modellata sulcosiddetto Efebo Westmacott,una scultura raffigurante un gio-vane atleta che si incorona, cono-sciuta in più copie ed attribuitaal grande artista argivo Policleto,attivo intorno alla metà del Vsecolo a.C. Il tipo dell’Efebo poli-cleteo sembra il modello di rife-rimento delle sculture che raffi-gurano Dioniso in giovane età;in quest’opera ad esso si aggiun-gono dettagli tratti dallo schemaiconografico del cosiddettoDioniso “Thriambos”, il miticovincitore nella lotta contro iGiganti o contro gli Indiani,come gli alti stivaletti in pelle ela pelle animale allacciata sultorso.

Nella pagina accanto: La staua inmarmo di Dioniso

A destra: Particolare del profilo destro diDioniso

In basso: Particolare della cintura di rose

Nelle due pagine successive: Dueimmagini di trequarti della maschera inbronzo di Papposileno

L’immagine giovanile diDioniso, elaborata già nel IVsecolo a.C., sarà poi amatissimaper tutta l’età ellenistica ed anco-ra in età imperiale, oggetto dinumerose riproduzioni sia inpittura, sia in scultura. La statuadella Fondazione SorgenteGroup, probabilmente realizzataa Roma in età antoniniana, face-va parte dell’arredo del giardinoo del peristilio di una riccadomus, nella quale si voleva evo-care la presenza del dio e deisuoi seguaci, come simbolo delpieno godimento dei piaceridella vita.

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La maschera di PapposilenoLa maschera bronzea è un’operadi eccezionale fattura, senza con-fronti nell’intero panorama dellacultura figurativa del mondoantico. Rinvenuta in mare edappartenuta alla collezione diJohannes Behrens di Brema finoalla fine dell’800, fu poi vendutaad un collezionista privato diBerlino, nelle cui mani rimasesino alla sua recentissima acqui-sizione da parte dellaFondazione Sorgente Group. È raffigurato un Papposileno: unessere semi-ferino, con un visorotondo, dominato da una barbafolta e scomposta, interamentecalvo. La natura animale è rive-lata dalla conformazione delleorecchie (equine) e, negli esem-plari a figura intera, dalla coda,dal vello peloso che ricopre inte-gralmente braccia e gambe e tal-volta dalle zampe equine.L’anziano e saggio sileno, tutoredi Dioniso fanciullo, vive neiboschi e partecipa ai cortei e albanchetto del dio, cantando convoce melodiosa. Nell’esemplaredella Fondazione SorgenteGroup, la deformazione quasisatanica dei tratti del volto con-tribuisce ad accentuare la fortevivacità espressiva del soggetto:le sopracciglia sono fortementeinarcate, gli occhi sgranati, labocca spalancata in un sorriso

Sopra: Il profilo destro della maschera diPapposileno

A destra: Particolare del foro quadrango-lare dove probabilmente passava un nastroche sorreggeva la maschera appesa

Nella pagina accanto, in alto:Particolare degli occhi e della bocca dellamaschera

Nella pagina accanto, in basso:Raffigurazione di Sileno nell’applique inbronzo di piccolo formato

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rigido e quasi beffardo. Lamaschera, di formato ecceziona-le, è uno dei rarissimi esemplariin bronzo databili in età ellenisti-ca, forse entro la prima metà delI secolo a.C. Sul retro essa è deltutto cava, al fine di alleggerirneil peso complessivo. Due foriquadrangolari sui bordi delleorecchie servivano probabilmen-te per sospenderla tramite unnastro passante. È quindi proba-bile che il luogo di esposizioneoriginario fosse il peristilio congiardino di una ricca dimora, trale cui colonne la maschera delsileno poteva ondeggiare affian-candosi agli altri numerosi ele-menti di decoro dell’ambiente:serti vegetali, sculture di marmo,fontane, per lo più a caratteredionisiaco, destinate a evocareuna vita di piacere.

L’applique di SilenoL’opera in bronzo di piccolo for-mato, di recentissima acquisizio-ne da parte della FondazioneSorgente Group, raffigura latesta di un anziano sileno, calvo,

con una fluente barba dalle cioc-che scomposte, e come unicoornamento, una corona di ederae corimbi posta sul capo.L’oggetto, cavo sul retro, era unaapplique, destinata ad essereincollata ad un supporto: inassenza di dati precisi sul conte-sto di rinvenimento, non è facileimmaginarne tuttavia la precisadestinazione originaria.Appliques di piccole dimensionipotevano infatti ornare le anse o

le superfici di prezioso vasella-me metallico, come crateri a cali-ce o situle, o ingentilire manufat-ti di altro genere, come cassefor-ti o cassapanche, o supporti inlegno, come porte, troni o lettifunerari. Il pezzo, di ottima fat-tura, è da inquadrare cronologi-camente ancora nel corso del Isecolo a.C. �

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UN ANTICO MUNICIPIUMSULLA VIA CLODIA

lera èun’antica cit-t a d i n adell’Etruriameridionale

interna, nella Tuscia laziale,inserita in un ambiente naturalecollinare e di notevole pregionaturalistico, caratterizzato daestese aree a macchia mediterra-nea e solcato da corsi d’acquatorrentizi che hanno progressi-vamente formato spettacolari“canyons” e isolati pianori tufa-cei che, per la favorevole posi-zione difensiva, hanno da sem-pre rappresentato aree abitativeottimali.

Arroccato su uno di questialti pianori tufacei, delimitatodalle profonde valli di erosioneincise dai fossi Biedano eRiocanale, sorge l’odierno abita-to di Blera, che proprio in virtùdi questa eccellente e strategicacollocazione conobbe una preco-cissima frequentazione, già apartire dall’età del Bronzo Finale(XI-X sec. a.C.). La nascita di

BBLERA

Al centro, in alto: L’antica città di Blerain una rara pianta medievale

A destra: Particolare della città di Blerapoggiata sul costone

un’entità urbana più propria-mente organizzata va invece col-locata tra l’VIII e il VII sec. a.C.In età etrusco-arcaica (fine VII-Vsec. a.C.) la città raggiunse unanotevole floridezza, come testi-moniano le numerose necropoliche la circondano, fondata sullafavorevole posizione geografica,all’incrocio delle principali diret-trici che dalle grandi città etru-sche della costa tirrenica (Caere eTarquinia) muovevano versol’interno e il nord dell’Etruria.

A seguito della conquistaromana e dopo le vicende dellaguerra sociale (90 a.C.), Bleradivenne municipium e il suo ter-ritorio ascritto alla tribùArnensis. La città romana, comegià quella etrusca, aveva il suocuore sull’arce di Petrolo. Questaestrema punta settentrionale delpianoro, oggi disabitata e occu-pata perlopiù da orti e oliveti,nasconde ancora preziose testi-monianze relative alle fasi piùantiche della storia di Blera. Lo

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stesso toponimo sta probabil-mente ad indicare “il luogo dellepietre”, sfruttato per ricavaremateriale da costruzione, sot-tratto agli antichi edifici inabbandono dopo il devastanteattacco alla città condotto nel 772dal re longobardo Desiderio.Attualmente si conservano sulposto lacerti di muri in operareticolata o laterizia e, inglobatinelle macere di confine o ripro-posti in originali e fantasiosicontesti funzionali, si possonoancora scoprire rocchi e basi dicolonne, capitelli, frammentiarchitettonici e numerosi basolipertinenti alle antiche pavimen-tazioni stradali. Testimonianzepiù consistenti furono viste edescritte nell’Ottocento daGeorge Dennis e soprattuttodagli autori della CartaArcheologica (1881-1887), cheaccennano ad edifici pubbliciancora parzialmente conservati.In particolare il Gamurrini affer-ma che (...) Scavi regolari scopri-

rebbero il perimetro di un tempio dacui si sono tratte delle colonne mar-moree dell’impero cesareo (…)Meritano quivi di essere studiatecon speciale scavo alcune vestigia dimuri romani, presso i quali si indicaun pozzo con cunicolo, situati aponente, e dei chiari avanzi di unedificio importante eretto sopra fab-briche etrusche precedentementedistrutte… .

L’importanza di Blera inepoca romana fu una conse-guenza del passaggio della con-solare via Clodia. Nel III sec. a.C.Roma, vittoriosa a sud, eracostretta a creare a settentrioneun antemurale contro l’avanzatadei Galli, anche in vista dei futu-ri conflitti contro Cartagine. Inquesta fase particolarmenteimpegnativa i Romani, oltre asfruttare le risorse naturali e pro-duttive d’Etruria, utilizzaronoanche la sua avanzata rete stra-dale. Risale a quest’epoca ilprimo intervento di adattamentodella via che si denominerà piùtardi Clodia. Le strade di epocapreromana avevano una diffu-sione molto capillare nella regio-ne: ogni centro etrusco era con-nesso agli abitati limitrofi conuna fitta rete di vie, generalmen-te piuttosto brevi e con percorsiparticolarmente tortuosi.L’intervento romano si limitò, inalcuni casi, alla risistemazione eal restauro di questi antichi trac-ciati e al raccordo di alcuni tratti.E’ da escludere che la strada pre-sentasse già un fondo artificiale,una vera e propria pavimenta-zione, che fu invece realizzata apartire dall’età tardo-repubblica-na (II-I sec. a.C.), così come lacostruzione di ponti in muraturache andarono a sostituire prece-denti guadi o opere lignee. Laregione fu allora disseminata da

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un gran numero di manufattiche non di rado rappresentano lepiù eloquenti, talvolta le uniche,testimonianze della viabilitàantica e della perizia ingegneri-stica di chi la realizzò. Nel com-prensorio blerano, a causa delle

sue particolari caratteristicheidrografiche, gli architetti roma-ni si trovarono più volte a doveraffrontare l’ostacolo rappresen-tato da un corso d’acqua, proble-ma che risolsero mirabilmenteprogettando alcuni viadotti dinotevole impatto scenografico.

E’ il caso del Ponte delDiavolo, monumentale e a trefornici, con cui la Clodia, allafine di una lunga trincea incassa-ta nel tufo, attraversava il fosso

Biedano. L’introduzione deltoponimo va ascritta alla diffu-sione lungo le vie medievali, inconnessione con ponti antichi,della leggenda di un uomo che,trovandosi il cammino ostacola-to da un torrente vorticoso,ricorre al Demonio e gli assegnail compito di costruire in unasola notte un ponte, prometten-dogli l’anima del primo esserevivente che passerà su di esso.Al primo albeggiare, quando il

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Nella pagina accanto, in alto:Particolare di un antico rilevo romanoinglobato in una costruzione

Nella pagina accanto, in basso:Particolare di antiche strutture

Sotto: Frontale di sarcofago di epocaromana

Sopra: Antica pianta medievale della zona

A destra: Resti antichi in una foto d’epoca

soprannaturale architetto haquasi compiuta l’opera e siappresta ad esigere il compensopattuito, l’uomo usa lo strata-gemma di far transitare perprimo un animale, un asino o uncane a seconda delle versioni.Restando nel campo delle tradi-zioni locali, nel caso del ponte diBlera la figura del Diavolo èstata soppiantata da quella deldrago sconfitto da san Sensia,uno dei santi qui venerati, le cuivicende si collocano proprio neipressi dell’antico viadotto.

Il ponte, del I sec. a.C., destògià l’ammirazione del viaggiato-re inglese George Dennis, autoredi un importante resoconto diviaggio in Etruria, che dall’accu-rata fattura lo giudicò lavoro dimaestranze etrusche, pur facen-dolo risalire all’epoca delladominazione romana.

La sua muratura, realizzata

senza uso di calce, è in operaquadrata di peperino grigio-verde e la pietra fu reperita sulposto, sfruttando una cava nellevicinanze, dove si notano ancorai negativi dei grossi blocchiimpiegati per la sua costruzione.L’aspetto attuale, ancorchédimesso, lascia comunque intui-re l’imponenza originaria. Laluce dell’arco centrale è di m10,30, quelle degli archi lateraliminori sono di m 2,90, per unalunghezza totale di oltre 20metri. La larghezza, ricostruibiledalla testata meridionale dell’ar-cata minore che si conserva, è dim 4,70, che consente di ricostrui-re una carreggiata di m 4,10,canonica per le consolari.L’ampiezza centrale del manu-fatto è attualmente di soli cm 75,avendo ormai l’arcata medianaperduto numerosi blocchi daentrambi i lati.

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Dalla valle del Biedano la viaClodia guadagnava il pianoro, egiunta all’interno dell’abitato loattraversava per tutta la suaestensione, costituendone l’asseviario principale, e ne ridiscen-deva, piegando verso ovest,poco prima di aver raggiunto lasua punta settentrionale (localitàPetrolone), accompagnata dauna monumentale necropolietrusco-romana.

A fondovalle il Ponte dellaRocca, ad un solo arco a tuttosesto, consentiva alla Clodia disuperare il torrente Riocanale,poco prima che il suo corso con-fluisse nel Biedano. Unico ad

aver avuto una continuità d’usofino ai nostri giorni, questoponte fu realizzato in opera qua-drata di tufo, con filari di blocchidisposti alternativamente pertesta e per taglio. La campata èdi m 7,50 e la sua altezza rag-giunge i m 7,60. L’arco a montesi imposta direttamente sul tufo,appositamente tagliato persostenerlo, mentre sulla parteopposta insiste su un arco inmuratura. La strada, la cuiampiezza originaria era anchequi di m 4,10, dopo il ponte scen-deva piegando verso nord-ovestcon una lunghissima rampa arti-ficiale (m 35). La cronologia più

accreditata lo colloca al II sec.a.C., anche se i caratteri di mag-giore arcaicità che lo contraddi-stinguono lo hanno fatto ritenereun’opera etrusca. In realtà ilmanufatto è senz’altro da attri-buire ad epoca romana, comedimostra il fatto che la prospi-ciente e monumentale necropoliarcaica di Pian del Vescovo fuutilizzata come cava in occasio-ne della sua costruzione, unoscempio che la pietas etrusca nonavrebbe mai consentito!

Beneficiando quindi del pas-saggio di questa importante viadi comunicazione, Blera godettedi una certa prosperità anche in

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In queste due pagine: Nelle tre foto par-ticolari dell’antica via Clodia

età tardo-repubblicana e impe-riale, basando la sua economiasullo sfruttamento intensivo delfertile territorio vulcanico, chebene si prestava all’impianto dicolture tipicamente collinari,soprattutto olivo e vite. Esisteuna ricca documentazione cheattesta una fitta presenza di villaerustiche sparse nella campagna,

sulla cui consistenza purtropponon si è bene informati per man-canza di mirate indagini archeo-logiche.

Una villa regolarmente scava-ta è quella in località Conserva, apochi chilometri dal centro abi-tato, che fornisce utili datiriguardo l’organizzazione dellosfruttamento agricolo in Etrurianella prima età imperiale.L’impianto risulta composto dauna parte residenziale e da unapars rustica, riservata ai lavoriinterni di produzione agricola ead altre operazioni di carattereartigianale collegate alla vitadomestica e produttiva dellavilla, come la fusione dei metalli,la cottura di tegole e la produ-zione di ceramica d’uso dome-stico. Nella maggior parte dei

casi questi insediamenti rusticisono noti solo per alcuni rinveni-menti occasionali di frammentifittili e opere murarie. Sono staticosì identificati alcuni edifici lus-suosi, con annessi impianti ter-mali e mausolei di famiglia(località Terrone, Formello,Vignale, Casentile). Vi erano poianche aziende agricole di mediae piccola dimensione, che gesti-vano modeste attività legatesoprattutto alla produzione diolio e vino, come testimoniatodal ritrovamento di macine epresse.

Sicuramente al mausoleo difamiglia di qualche facoltoso pro-prietario terriero fu destinato inorigine il pregevole sarcofago dimarmo bianco che funge oggi damensa di altare nella Collegiata

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di Blera. Prodotto da una bottegadi marmorari di età severiana(200-210 d.C.), presenta sullafronte una decorazione ad altori-lievo tripartita, raffigurante epi-sodi tratti dal mito di Adone.

Sempre per la decorazioneesterna di un lussuoso contestosepolcrale fu commissionato l’al-torilievo con scene di munus gla-diatorio, commemorativo delleattività ludiche offerte da unmunifico mecenate del periodogiulio-claudio. Oggi, del rilievomarmoreo che si dispiegavaintorno al monumento funebresi conserva solo un frammentocon combattente “trace”, mura-to, insieme ad altro materialelapidario antico, all’esterno del-l’ex chiesa di San Nicola.

Un’ulteriore focalizzazionesugli aspetti sociali, politici edeconomici di questo antico muni-cipium è possibile attraverso l’at-tento vaglio delle preziose fontiepigrafiche.

Il volume XI del CorpusInscriptionum Latinarum (CIL)raccoglie le iscrizioni rinvenutenella Regio VII augustea,l’Etruria, tra cui quelle rinvenutenel territorio blerano. Si tratta dipoco meno di una trentina diepigrafi (CIL VI, 3333-3360 ); perla maggior parte di esse la tra-scrizione del Corpus è l’unicadocumentazione superstite.

Molte testimonianze sono dicarattere funerario e l’esame del-l’onomastica rivela che durantel’impero molti cittadini bleranierano liberti, uomini liberatidalla condizione servile e dive-nuti cittadini di diritto, la cuicondizione sociale è denunciatadalla formula di patronato pre-sente nei loro nomi. Una presen-za così massiccia di schiavi libe-rati era perfettamente compati-bile con l’assetto economicodella città, fondato sullo sfrutta-mento agricolo del territorio, cheaveva bisogno di numerosamanodopera servile, impiegataanche nell’artigianato che facevada corollario alle attività agricoledelle aziende.

Se le necropoli erano dissemi-nate di iscrizioni funebri, il foro,la piazza principale della città,era il luogo di esposizione ditituli onorari, atti a ricordare,esaltare, onorare personaggi illu-stri, notabili, clarissimi viri, che si

Sopra: Una vista dall’alto dell’anticoPonte del Diavolo

Sotto: Nel disegno una rappresentazionedel Ponte della Rocca

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erano distinti per la loro attivitàamministrativa o per qualcheatto di evergetismo a favoredella comunità. Alcuni eranodivenuti cittadini onorari, patro-ni, nominati per deliberazionedella cittadinanza. Erano perso-nalità che avevano ottenutoimportanti pubblici uffici nellastessa Roma e sotto la cui prote-zione e tutela si era posta la città.

Sembrerebbe questo il casodocumentato da un’iscrizioneonoraria su marmo (CIL XI,3337), ritrovata a Blera e oggiscomparsa, dedicata ad un illu-stre personaggio della gens Iulia,vissuto sotto l’imperatoreAdriano (117-138 d.C.): CaiusIulis Iulianus. Per rendere omag-gio a Iulianus l’iscrizione nericorda la folgorante carrierapolitica (cursus honorum). Lecariche vengono elencate, comeera abitudine fare, in ordineinverso rispetto a quello diassunzione. Il primo impegnoricordato è il quattuorvirato, unacarica amministrativa municipa-le esercitata in un centro (Blera?)

purtroppo non identificabile pervia di una lacuna che tronca l’i-scrizione. Possiamo invece sicu-ramente affermare che Iulianusnon era originario di Blera, poi-ché nella sua formula onomasti-ca è indicata una tribù (Palatina)che non è quella a cui appartene-va il comprensorio blerano.Dopo aver mosso i primi passinell’ambito di un’amministra-

Sopra: Un interessante veduta d’insiemedelle Tombe rupestri

Sotto: Particolare di tombe scavate nel tufo

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zione locale la sua carriera segueun percorso molto originale, pre-sentando una commistione trafunzioni riservate alla classe deicavalieri e a quella senatoria. Lasua esperienza militare è quellatipica dell’ordine equestre: prae-fectus cohortis (comando di una

coorte di ausiliari), tribunus mili-tum (tribuno di legione), praefec-tura alae (comando di un’ala dicavalleria). Sono le cosiddettetres militiae, incarichi militari,che dovevano necessariamenteprecedere la carriera politica. Maa questo punto ecco che il pro-mettente giovane viene adlectus,vale a dire nominato, diretta-mente dall’imperatore Adrianotra gli edili, una carica che gliaprirà le porte della carrierasenatoria. Dopo l’edilità fu infat-ti inviato come questore, conmansioni quindi amministrati-vo-finanziarie, nella provinciaBetica, in Spagna, e infine nomi-nato pretore, il massimo gradogiurisdizionale nella capitaledell’impero. Essere sotto la pro-tezione di un personaggio di talecalibro avrà sicuramente giovatoai blerani, che lo ringraziaronoforse con una statua di cui il titu-lus potrebbe essere stato il com-pletamento.

Un’altra interessante dedica(CIL XI, 3336), anche questa pro-babile basamento di una statua, èquella fatta a Druso, figlio diGermanico, e quindi nipote del-l’imperatore Tiberio (14-37 d.C.),

Sopra: Interno di una Tomba

Sotto: Due Tombe scavate sulla sommitàdel costone

Nella pagina accanto, in basso: Tombescavate lungo la via Clodia

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da parte dei seviri augustali diBlera, i membri di un collegiomunicipale addetto al culto del-l’imperatore morto e divinizzato.In genere non si trattava di per-sone altolocate, ma piccoli bor-ghesi ante litteram, perlopiù liber-ti arricchiti. Anche questa iscri-zione è ormai smarrita, ma fortu-natamente venne però trascrittada un anonimo viaggiatore delXVII secolo, evidentementeappassionato o studioso di anti-chità, nelle cui schede epigrafi-che si leggono parecchie iscrizio-ni dell’età imperiale, raccolte (…)nella terra di Bieda, sulla piazza. Lalista dei seviri che segue la dedi-ca a Druso, in quanto flamine esodale augustale, ci fa conoscerei nomi di alcuni antichi cittadiniblerani, tutti liberti. Possiamoimmaginare con quanto orgoglioquesti parvenus abbiano commis-sionato e poi esposto in un’areapubblica della città la statua delnipote dell’imperatore con relati-va dedica. A queste iscrizioniritrovate a Blera possiamoaggiungere altre testimonianzeepigrafiche, rinvenute in contesti

diversi, che raccontano la storiadi chi era uscito dal luogo natio,per andare a cercare fortunaaltrove, talvolta in terre e paesilontanissimi.

Alcuni erano stati più fortuna-ti. La vicinanza di Roma era, allo-ra come oggi, un vantaggio consi-derevole per chiunque avessevoluto trovare un facile impiegoin ambito amministrativo o mili-tare, con la prospettiva di una sta-bile e onorevole carriera.

E infatti proprio a Roma CaiusOccius Similis, di Blera, avevatrovato un comodo impiegocome archivista (librarius cohor-tis) nella V coorte dei vigili, einsieme ad altri colleghi dedicanel 113 d.C. un piccolo monu-mento a personaggi che rivesti-vano in quell’anno importantiincarichi e soprattutto al consoleCaio Clodio Crispino (CIL VI,221). Ancora in CIL VI, il volumeche raccoglie le iscrizioni ritro-vate a Roma, si leggono i testi didue epigrafi marmoree da ascri-vere alla numerosa famiglia deilatercula praetorianorum, lunghielenchi con i nomi dei pretoriani

che prendevano ogni anno servi-zio. In una lastra (CIL VI, 2375b), tra decine di altri nomi, tro-viamo quello di Lucius BaiusRestitutus di Blera, che cominciòa militare nel 119 d.C., anno delterzo consolato dell’imperatoreAdriano, come indicato nell’in-testazione. Restitutus era unospeculator, quindi aveva unamansione che lo poneva al disopra della comune milizia. Glispeculatores, in numero di 300,erano il servizio informativo del-l’imperatore. Nell’altra lastramarmorea (CIL VI, 2379 b), anco-ra in un interminabile elenco dipretoriani, si legge il nome diCaius Tutinus Iustinus, anche luioriginario di Blera. Si tratta inquesto caso di un evocatus, unrichiamato, tornato al serviziomilitare dopo il congedo, nel-l’anno 144 d.C., come si deducedalla coppia di consoli in carica.Sicuramente Iustinus avrà piùvolte incontrato sulla sua stradaun concittadino e collega, talePetronius Venerandus, che in basead un altro titulus ritrovato aRoma, aveva iniziato il suo ser-

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vizio nella guardia pretorianasolo tre anni prima, nel 141 d.C.

Un’altra iscrizione (CIL VI,2608), questa volta funeraria,ritrovata lungo la via Cassia, inprossimità di Roma, commemo-ra un Publius Fabricius SabinusBlere (“da Blera”), che militò,non si sa bene in che periododell’impero, per otto anni nella

VI coorte pretoria, nella centuriadi Petronio. Morì a soli 33 anni,molto prima del suo congedo.

Le vite di Iustinus, Restitutus,Venerandus e Sabinus erano piut-tosto agiate se confrontate conquelle dei loro colleghi legionari,che a fronte di una paga ridotta edi un servizio più lungo, eranoanche costretti a stare per lunghi

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periodi nelle regioni più estremedell’impero. Eppure qualche ble-rano più temerario, sprezzantedel pericolo e delle difficoltà cheinevitabilmente la vita di legioneavrebbe comportato, si avven-turò anche in questo ambitomilitare. E almeno uno di loro sipuò dire che abbia fatto vera-mente strada, e non solo in senso

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figurato! Un’iscrizione (CILVI,3645) incisa su un sarcofago dimarmo decorato a rilievo conamorini che fabbricano armi,rinvenuto all’interno di unasepoltura lungo la via Appia eoggi conservato al Louvre, ricor-da un centurione della legioneIII Augusta. Si conserva solo ilcognome Vitalis, e la sua origine,Blaera. La legione III Augusta erastanziata nella provinciad’Africa per mantenere l’ordinenella regione. La figura del cen-turione era di eccezionale impor-tanza: proveniente dalla truppae nominato dai tribuni, formavai quadri medi della gerarchiamilitare. I suoi compiti spaziava-no dall’addestramento al mante-nimento della disciplina, dalregolare la vita minuta del legio-nario al condurlo in battaglia. Ilvalore e la capacità della legionedipendeva in buona misuradalla qualità dei suoi centurioni.

Sicuramente anche Vitalis sisarà fatto onore, accumulandoun discreto gruzzolo, con cui siassicurò, oltre ad una serena vec-chiaia trascorsa verosimilmentea Roma, una sepoltura più chedignitosa. Ma non fu il solo aportare fino ai confinidell’Impero il valore e il corag-gio dei milites blerani. Nel CILnon è confluita un’iscrizioneritrovata a Nicopolis (attualeMustafa Kamel) in Egitto, segna-lata dalla rivista epigraficaAnnée Epigraphique (AE 1955,

238), e attualmente conservatapresso il Museo di Alessandriad’Egitto. Si tratta di un lungoelenco, questa volta di legionari,che nell’anno 158 d.C. vengonocongedati, honesta missio, cioèavendo compiuto irreprensibil-mente tutto il periodo dellaferma (25-26 anni), militandonella legione II Traiana. ConErcole come emblema, questalegione era stata istituita daTraiano (98-117 d.C.) e avevacombattuto in tutte le numerosee vittoriose guerre intraprese dalsuo fondatore. Il suo successore,Adriano (117-138 d.C.), la desti-nerà di guarnigione in Egitto consede appunto a Nicopolis. Tra laschiera interminabile e intricatadi nomi provenienti da ogniparte dell’Impero, all’improvvi-so, ecco emergere il nome diTiberius Claudius Fidus Blere, che,dopo 26 anni di vita militare tra-

scorsa in terra straniera potevafinalmente tornarsene a casasua: a Blera! �

Ogni iscrizione antica fu redattacon la speranza di far durare neltempo il messaggio trasmesso.Alcune sono riuscite nell’intento…

Nella pagina accanto: Interni di dueTombe

Sopra: Raffigurazione di un corteo funebre

Sotto: Frontale e ingresso di una Tomba

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L’ABBIGLIAMENTONEL MONDO ROMANO

Romaniattribuivanoun forte valo-re simbolicoall’abito, che

indicava rango, età e status dichi lo indossava.

Il cittadino, quando si trova-va fuori di casa, si riconoscevadalla toga, che indossava soprat-tutto la mattina. Come suggeri-sce l’etimologia, essa serviva acoprire l’uomo, a renderlodecente per affrontare la vitapubblica. Si tratta di una grandepezza di lana grezza che copre ilcorpo dalle spalle fino ai piedi.Inizialmente di forma rettango-lare, poi tagliata a semicerchioper farla cadere meglio.

Certamente saperla indossarenon era semplice, tanto che spes-so era necessario l’aiuto di unoschiavo. In effetti bisognavapoggiarla sulle spalle, piegata indue nel senso della lunghezza,lasciando sporgere sulla manodestra un lembo lungo il doppiodell’altro; questo lembo si faceva

IVESTIRE NEL

MONDO ROMANO

A destra e nella pagina accanto, inalto: Due personaggi che indossano duediversi tipi di toga

passare sotto il braccio destro esi gettava in avanti sulla spallasinistra. Il braccio destro quindirimaneva libero, mentre il sini-stro sotto la stoffa. La piega chesi veniva a formare si chiamavasinus e serviva da tasca. Ma lamoda si sa, cambia nel tempo eanche la toga subisce un’evolu-zione: alla fine della Repubblica

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semplice cittadino adulto avevauna toga senza decorazioni, delcolore naturale della lana. Erabianca solo per i candidati alleelezioni; la toga degli aruspici,invece, era gialla color zafferano.I magistrati superiori e i bambiniportavano una toga bordata diuna fascia di porpora tessutamediante un filo di porpora echiamata praetexta. I censoriindossavano una toga porpora ei trionfatori una toga porporabordata d’oro. Data la scomoditàdella toga, alcuni imperatorifurono costretti a emettere ordi-nanze per farla indossare:Claudio, ad esempio, ne imposel’uso in tribunale, Domiziano inteatro, Commodo nell’anfiteatro.

era elegante portare una togamolto larga, fino a sei metri didiametro, di stoffa raffinata. Ciòrendeva più difficile indossarlasenza l’aiuto di uno schiavo.Poiché la toga è distintiva del cit-tadino romano, a seconda deicolori che la ornavano, era facilecapire lo stesso status di chi laportava. Qualche esempio. Il

Verso il III sec. d.C., essacominciò a perdere i morbididrappeggi anteriori, sostituiti dapieghe rigide e piatte che attra-versavano il petto (toga contabu-lata). Diventarono di moda, siaper gli uomini che per le donne,tuniche ampie e lunghe fino aipiedi, con grandi maniche, daportare senza cintura (tunicatalaris, dalmatica) e si diffuserosempre di più le bracae, pantalo-ni tipici dei popoli nordeuropei.

Ma cosa indossavano sotto latoga?

Nel numero degli indumenta,in primo luogo abbiamo il subli-gaculum o licium: si tratta di unsemplice perizoma, confeziona-to quasi sempre in lino e anno-

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dato intorno alla vita. A partiredal II sec. d.C., comincia l’uso diinfilare sopra il licium la tunica.

Quest’ultima era un pezzo distoffa piegato in due, cucito ailati, con un buco per la testa edue aperture per le braccia. E’sulla tunica che si porta la cinta.Questo permette di alzare latunica fino a metà coscia, perrendere liberi i movimenti dellegambe.

I senatori sono gli unici a por-tare una tunica che è anche unabito ufficiale, vale a dire il lati-clavio, una tunica decorata dadue strisce porpora verticali.

Per quanto riguarda le calza-

ture, i cittadini di rango elevatousavano i calcei, che consisteva-no in suole senza tacco, correda-te da tomaie in pelle, che ricopri-vano tutto il piede; dai lati diogni suola partivano due larghestrisce di cuoio che si incrociava-no e venivano annodate suldorso del piede. Poiché era scon-veniente portare in casa le stessecalzature con cui si usciva, i cal-cei vennero sostituiti con lesoleae, sandali fatti di una suoladi cuoio o sughero e semplicistrisce di pelle.

Nella pagina accanto: Statua di Augustocon toga e capo velato

A sinistra: Personaggio anziano con toga

In basso: Particolare di toga contabulataindossata dall’Imperatore Massimino ilTrace

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GLI ABITI FEMMINILI

Le matrone romane, riguardola biancheria intima, indossava-no la fascia subligaris o mammilla-re, l’antenato del nostro reggise-no, e il subligar, uno slip moltoscosciato. Con questa sola tenu-ta, le matrone potevano fare ilbagno nelle piscine e dedicarsiagli esercizi ginnici. Sopra labiancheria indossavano unatunica lunga fino ai piedi, segnodella loro condizione elevata,chiamata stola, in fondo allaquale era cucito un gallone(instita) ricamato in oro.Mettevano poi una cintura (zona)in vita, accompagnata spesso daun’altra cintura sotto il seno, e ilmantello, che poteva essere lapalla o il pallium, grande mantel-lo quadrato dalle pieghe regolari

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e le tinte splendenti.La sostanziale differenza tra

gli abiti maschili e quelli femmi-nili era la ricchezza delle stoffe ela varietà dei loro colori. Adesempio al lino e ai tessuti dilana si preferivano le cotonineche venivano dall’India; molteapprezzate erano anche le seteche venivano dall’Oriente.Queste stoffe non erano solo piùmorbide, leggere e cangianti, maanche quelle che meglio si pre-stavano alle manipolazioni deglioffectores, tintori capaci di rinfor-zare i colori originali; degli infec-tores, capaci di alterarli, e di queitintori (purpurarii, flammari, cro-cotarii e violarii) (opus perfectum),le cui specialità erano pari alnumero dei coloranti animali,vegetali e minerali di cui cono-scevano l’uso: il bianco delgesso, il giallo dello zafferano, ilnero della noce di galla, i rossichiari e scuri della porpora.

A completare l’abbigliamentodella matrona c’erano gli acces-sori, che aggiungevano fascinoalla sua figura. La donna roma-na, in mancanza di un diademao mitra, passava tra i capelli, nonpiù chiusi da una reticella (reti-

Nella pagina accanto, in alto: Ragazzeche indossano la fascia subligaris e il subli-gar

Nella pagina accanto, in basso: Da unaffresco di Pompei, donne che indossno varitipi di stole

A sinistra: Da un affresco di Pompei, unaragazza con reticella che racchiudeva icapelli

In basso: Donna che indossa una stola divari colori

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culum), un semplice nastro dicolore rosso porpora (vitta) o untutulus, la cui benda si allargavanel mezzo per rialzarsi sullafronte a forma di cono.

A completare la vestizionedella matrona c’erano le ornatri-ces, le ancelle addette alle accon-ciature. La capigliatura femmini-le si è distinta nelle diverse epo-che, costituendo il vero elementodi moda femminile. Le ornatricesacconciavano le signore con trec-ce posticce (crines, galeri) o par-rucche complete, anche se il lorocompito non si esauriva qui.Dovevano infatti anche truccarela matrona: un po’ di gesso bian-co sulla fronte e sulle braccia, inrosso con feccia di vino sulle lab-bra, in nero con fuliggine (fuligo)o polvere di antimonio sulleciglia e intorno agli occhi. Unavolta imbellettata, sempre conl’aiuto delle ornatrices, la donnaindossava i suoi gioielli: gli orec-chini, la collana (monile) e le cate-nelle (catellae) intorno al collo; iciondoli (pectoral) sul petto, ibracciali ai polsi, gli anelli alledita, senza contare quelli cheportava al braccio e alle caviglie,i periscediles.

Per quanto riguarda le calza-ture, le donne mettevano sandalidecorati da perle e pietre prezio-se e, a volte, anche calzari simili ascarpe basse senza tacco. �

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: J.CARCOPINO, La vita quotidiana aRoma, Bari 1997; F. DUPONT, Lavita quotidiana nella Roma repub-blicana, Bari 2000.

Nella pagina accanto: Da un affresco dipompei, donna che indossa stola e tutulus

In questa pagina: Vari tipi di gioielliindossati dalle donne romane

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MOSTRA NELLACURIA IULIA DEL FORO

e l l astraordinariacornice dellaCuria Iulia, il21 aprile

scorso è stata aperta al pubblicouna rassegna espositiva dedica-ta all’aristocratica famigliaromana degli Aemilii e alla loropiù importante opera architetto-nica voluta nell’area forense, labasilica che porta ancora il suonome.

Promossa dallaSoprintendenza Speciale per iBeni Archeologici di Roma ecurata da Maria AntoniettaTomei e Patrizia Fortini, lamostra è solo la prima di unaserie di iniziative volte a valoriz-zare il prezioso patrimonio del-l’area archeologica centrale diRoma, comprendenti non solo larealizzazione di alcuni percorsididattici corredati da una nuovailluminazione e da supportiinformatici, ma anche la riaper-tura di aree, da troppo tempochiuse al pubblico, come il tem-

NMEMORIE DI ROMA

Al centro, in alto: La grande sala dellaCuria che ospita la Mostra

A destra: Il sottosegretario ai BeniCulturali On. Francesco Giro a colloquiocon il Prof. Andrea Carandini durante laserata di inaugurazione della mostra

Nella pagina accanto, in basso: Il rilie-vo relativo al “Ratto delle Sabine” apre laserie dei pannelli connessi alla leggendarianascita di Roma

pio di Venere e Roma, la Casadelle Vestali e parte dei sotterra-nei del Colosseo.

Prossimamente, quindi, saràpossibile ammirare l’area delForo in una nuova veste serale,dove una luce diffusa si accom-

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pagnerà a punti luminosi piùaccentuati per sottolineare sin-goli monumenti, mentre, in viasperimentale, la zona della basi-lica Emilia riceverà luci in modotale che, anche passando per viadei Fori Imperiali, potranno

essere percepiti i punti nevralgi-ci delle colonne che scandisconole navate dell’edificio.

All’interno della Curia il filoconduttore che unisce i diversireperti esposti è quello dellaMemoria; quella storica di Roma

nel rievocare le sue origini in unedificio pubblico che nel tempodivenne anche il veicolo per tra-mandare il ricordo della nascitae dei fasti della famiglia cheaveva commissionato la sua rea-lizzazione.

Quando infatti fra il 1900 e1905 vennero alla luce i restidella basilica Emilia, tra i fram-menti marmorei rinvenuti, furo-no ricomposti alcuni pannelli arilievo con scene figurate rap-presentanti i principali episodiconnessi con la leggendarianascita di Roma. Si comincia dalprimo pannello sul lato sinistrodella Curia dove viene rappre-sentato il Ratto delle Sabine, in cuigiovani romani sollevano le fan-ciulle per portarle via, mentre asinistra altre figure femminilisono intente a governare deglianimali, con ogni probabilità inricordo della nascita, in etàromulea, del culto del dioConso, la cui festa, unita a giochicircensi, fu l’occasione per attua-re il rapimento delle giovaniSabine.

Il successivo pannello mostrala punizione di Tarpea, la vestalepreposta a custodia dell’ArceCapitolina, che avrebbe con untradimento permesso ai Sabinidi impossessarsi delCampidoglio. Ma invece di rice-

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vere la richiesta ricompensa,venne uccisa dai Sabini stessiche la seppellirono sotto i loroscudi. Qui, Tarpea è ben rappre-sentata al centro della composi-zione mentre i soldati romanistanno lapidandola; alla scenaassiste, sul margine sinistro, unpersonaggio barbato in cui si è

voluto riconoscere il re sabinoTito Tazio. Il pannello si comple-ta sulla destra con un gruppo difigure femminili che stannocompiendo un rituale (scena dimatrimonio o festa deiparentalia).

Sull’altro lato lungo dellaCuria sono esposti invece tre

Sopra: Il rilievo che mostra la punizionedella vestale Tarpea

Sotto: Particolare della scena con lapunizione di Tarpea

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Sopra: Il rilievo denominato “Il congedodal Pastore”

Sotto: Particolare del pannello raffiguranteil Pastore

pannelli pertinenti alle mitichevicende legate all’originedell’Urbe: il primo, in cui si rico-nosce a destra la figura di unpastore, per il peculiare bastonericurvo, è stato ricondotto, anchese dubitativamente, al momentoin cui Romolo e Remo si allonta-nano da Faustolo, che - insieme

alla moglie Acca Larentia - avevacresciuto ed educato i gemellicome propri figli. Non sonomancate altre interpretazioni diquesta scena, tra cui va ricordataquella che preferisce vederenella figura del pastore, quelladel secondo re di Roma, NumaPompilio. Segue il rilievo dove è

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riconoscibile una scena di batta-glia, in cui due guerrieri - standoalla rappresentazione di un albe-ro in secondo piano - si affronta-no su di un probabile fondoagreste. Conclude la serie deipannelli su questo lato, un rilie-vo con scena di fondazione: allapresenza di una figura femmini-le che costituisce la personifica-zione di una città, alcuni uominisi alternano in lavori per innal-zare le mura di una nuova colo-nia, identificata ora con Lavinio,ora con Cameria o, infine, conuna delle colonie dedotte dalcensore Emilio Lepido in etàrepubblicana.

Per molto tempo si è ritenutoche questi rilievi appartenesseroad un unico fregio figurato chedecorava l’architrave del primoordine interno della basilicaEmilia. I recenti studi diFreyberger tendono a conside-rarli invece come pannelli sepa-rati e illustranti ognuno undiverso episodio dell’originariastoria di Roma. A questi studi siassocia anche la nuova ipotesi

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sul loro collocamento: nonapparterrebbero cioè al fregiodell’architrave del primo ordineinterno, bensì sarebbero statiinseriti lungo le pareti internedell’edificio, anche per unamigliore fruizione da parte deinumerosi frequentatori dellabasilica. Resta infine il problemaconcernente la datazione di que-sta pregevolissima e unicaopera, che è strettamente con-nessa con le diverse fasi ediliziedella basilica Emilia. L’edificio,fondato nel 179 a.C., venne piùvolte restaurato tra il 79 a.C. e il22 d.C., proprio dai maggioriesponenti della nobile famigliaEmilia, come indicano sia lefonti sia i dati archeologici.

Nel 79 a.C. fu il consoleMarco Emilio Lepido a intra-prendere i primi abbellimenti,ricordati anche da alcuni conimonetali. Nel 55 a.C. fu la voltadi Lucio Emilio Lepido (figliodel console del 79 a.C. e fratellodel futuro triumviro) che rifecegran parte della struttura archi-tettonica anche grazie ai finan-

ziamenti di Cesare. A questa faseappartengono i frammenti dicolonne di marmo africano ecipollino ancora oggi conservatisulle basi che definiscono lediverse navate della basilica. Undevastante incendio distrussel’edificio pubblico nel 14 a.C. eAugusto provvide ad una pron-ta ricostruzione (conclusasi nel22 d.C., sotto il principato diTiberio) secondo l’equilibratostile architettonico di quell’epo-ca, cui va ricondotto il meravi-

Nella pagina accanto, in alto:Particolare del rilievo raffigurante unascena di battaglia

Nella pagina accanto, in basso:Particolare del rilievo raffigurante dueuomini che innalzano le mura di una città

In alto: Il pannello relativo alla fondazionedi una città

Sotto: La Basilica Aemilia dopo la recenteriapertura al pubblico

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Sopra: Particolare delle monete fuse con ilpavimento a causa dell’incendio che dis-trusse la Basilica

Sotto: Un particolare dell’allestimentodella Mostra

Nella pagina accanto: Statua togata inmarmo di M. Nonio Balbo (testa posteriorenon pertinente) dalla Basilica Noniana diErcolano

glioso pavimento marmoreoancora in situ. La fine dell’edifi-cio fu sancita da uno degli even-ti più dolorosi della storia diRoma: il sacco di Alarico del 410d.C. Il segno indelebile di questadistruzione è visibile ancoraoggi in quelle monete degli inizidel V sec. d.C. che si sono fusecon il pavimento a causa dell’e-levata temperatura che l’incen-dio fece raggiungere. Esse dove-vano appartenere con ogni pro-babilità ai numerosi cambiamo-nete che operavano proprio nellabasilica Emilia con le loro sedi ein funzione delle molte attivitàcommerciali che si svolgevanonell’area forense.

Per tornare alla datazione deirilievi esposti, è stato suggeritodi recente che per lo stile e il pro-gramma decorativo si possapensare ad una datazione coevaalla ricostruzione della basilicavoluta da Augusto nel 14 a.C.

Gli Aemilii, nel racconto dellamemoria civica di Roma, quindi,

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attuano anche un piano propa-gandistico, perseguendo così undisegno politico che vede tra-sformare la basilica anche in unmonumento familiare attraversoil quale celebrare i propri emi-nenti esponenti. Negli AnnaliTacito (III, 72) ci informa inmodo chiaro su questo uso, chesicuramente costituiva una con-suetudine assai seguita da tuttele più importanti famiglie roma-

In alto, a sinistra: Statua femminile inmarmo proveniente dalla Basilica Aemilia

In alto, a destra: Ritratto in marmoproveniente dalla Basilica Aemilia raffigu-rante un uomo in toga velato capite

A sinistra: Un bellissimo ritratto di M.Emilio Lepido

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A sinistra: Statua togata e barbata inmarmo del re Numa Pompilio, dalla casadelle Vestali. II secolo d.C

In basso, a snistra: Ritratto in marmo diAugusto proveniente dalla Basilica diLucus Feroniae. Inizi I secolo d.C.

Sotto: Statua togata in marmo velatocapite proveniente dalla Basilica di LucusFeroniae

ti sia dall’area della basilicaEmilia, sia da altre basiliche,come la Noniana di Ercolano,quella di Luni, di Lucus Feroniae edi Velleia, a testimonianza dicome questo processo celebrati-vo sia stato attuato in tutte le areeconquistate da Roma. Partendodalla prestigiosa statua di NumaPompilio (rinvenuta nella Casadelle Vestali del Foro), da cui lagens Aemilia vantava discenden-za, viene esposto il bel ritrattoriferito a M. Emilio Lepido cheinsieme con Ottaviano e MarcoAntonio formarono il secondotriumvirato. Si distinguono poiper raffinatezza di esecuzione,tra le opere esposte, lo straordi-nario ritratto di Augusto daLucus Feroniae e, infine, quello diun personaggio togato e raffigu-rato capite velato. �

ne dell’età repubblicana: «Inquei giorni Lepido chiese alSenato di restaurare e adornare aproprie spese la basilica diPaolo, il maggior monumentodella famiglia Emilia. Era ancorain uso a quei tempi la praticadella munificenza pubblica daparte dei cittadini privati …Seguendo tale esempio Lepidofece rivivere lo splendore degliavi, sebbene la sua fortuna fossemodesta».

La mostra pertanto presentaanche alcune sculture provenien-

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