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LE FOSSE DA GRANO A MONDOLFO Introduzione L’occasione per intraprendere questa ricerca è stata offerta dall’Incontro sull’aia, organizzato da Monte Offo in collaborazione con Un Punto Macrobiotico nel luglio 1999 allorché, nel corso della conferenza tenuta congiuntamente, dopo aver rapidamente accennato alla presenza di fosse da grano a Mondolfo all’inizio del Quattrocento, ho raccolto uno stimolo di Mario Pianesi, presidente e fondatore di Un Punto Macrobiotico, ad approfondire questa tematica. Da allora la ricerca si è intensificata in vista del convegno “Macrobiotica e scienza”, svoltosi poi a Roccaporena di Cascia nel novembre 1999, e di un altro convegno all’Abbadia di Fiastra del giugno dell’anno successivo. La relazione, presentata appunto in tali consessi, verteva sul tema della conservazione dei cereali negli insediamenti medievali delle Marche. È seguito poi l’intervento sulle fosse da grano specificamente mondolfesi tenuto al IV Corso di formazione storico- culturale del 2000, intervento ripreso per il presente saggio. Alcuni incidenti nel corso dei secoli Una sera del febbraio 1965, in una via del centro storico di Mondolfo denominata oggi corso della Libertà e anticamente contrada S. Lucia, all’altezza dell’abside di S. Giustina si aprì improvvisamente una voragine a seguito del cedimento del terreno sottostante il piano stradale; ciò che costrinse le autorità a chiudere immediatamente al traffico la via e a far sgombrare le abitazioni adiacenti, risultate lesionate. Del fatto si occupò la stampa locale («Il Resto del Carlino», 22 e 23 feb. 1965), che riferì la notizia secondo la quale nella cavità apertasi sotto il piano stradale sarebbero stati scoperti dei “granai” che dovevano servire a conservare le provviste in tempo di assedio. “Abbiamo scoperto anche pozzi che servivano come granai, quando la Rocca di Mondolfo era assediata”, affermò il titolare della ditta incaricata dei lavori di ripristino della strada. 47 © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore

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LE FOSSE DA GRANO A MONDOLFO

Introduzione

L’occasione per intraprendere questa ricerca è stata offerta

dall’Incontro sull’aia, organizzato da Monte Offo in collaborazione con Un Punto Macrobiotico nel luglio 1999 allorché, nel corso della conferenza tenuta congiuntamente, dopo aver rapidamente accennato alla presenza di fosse da grano a Mondolfo all’inizio del Quattrocento, ho raccolto uno stimolo di Mario Pianesi, presidente e fondatore di Un Punto Macrobiotico, ad approfondire questa tematica. Da allora la ricerca si è intensificata in vista del convegno “Macrobiotica e scienza”, svoltosi poi a Roccaporena di Cascia nel novembre 1999, e di un altro convegno all’Abbadia di Fiastra del giugno dell’anno successivo. La relazione, presentata appunto in tali consessi, verteva sul tema della conservazione dei cereali negli insediamenti medievali delle Marche. È seguito poi l’intervento sulle fosse da grano specificamente mondolfesi tenuto al IV Corso di formazione storico-culturale del 2000, intervento ripreso per il presente saggio.

Alcuni incidenti nel corso dei secoli

Una sera del febbraio 1965, in una via del centro storico di Mondolfo

denominata oggi corso della Libertà e anticamente contrada S. Lucia, all’altezza dell’abside di S. Giustina si aprì improvvisamente una voragine a seguito del cedimento del terreno sottostante il piano stradale; ciò che costrinse le autorità a chiudere immediatamente al traffico la via e a far sgombrare le abitazioni adiacenti, risultate lesionate. Del fatto si occupò la stampa locale («Il Resto del Carlino», 22 e 23 feb. 1965), che riferì la notizia secondo la quale nella cavità apertasi sotto il piano stradale sarebbero stati scoperti dei “granai” che dovevano servire a conservare le provviste in tempo di assedio. “Abbiamo scoperto anche pozzi che servivano come granai, quando la Rocca di Mondolfo era assediata”, affermò il titolare della ditta incaricata dei lavori di ripristino della strada.

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Malgrado le imprecisioni contenute nel resoconto giornalistico, dovute alla mancanza di un dettagliato rilievo tecnico-scientifico della cavità, appare valida l’indicazione sostanziale, che si trattasse cioè di vecchi silos dismessi da secoli, la cui struttura, a causa delle infiltrazioni di acqua e perché soggetta alle sollecitazioni del traffico automobilistico, aveva ceduto. Simili incidenti si ripeterono anche negli anni seguenti, coinvolgendo in un caso anche un autobus che scendeva dalla attigua piazza del Comune, ma tutte le volte senza mai provocare vittime.

Di un incidente ben diverso, accaduto più di cinque secoli prima e costato la vita a tre persone, parla diffusamente un documento inserito in un Codice malatestiano. Si tratta di una supplica indirizzata da Lunardo di Simone di Beccie, della casata fanese dei Martinozzi, al di lui signore Pandolfo Malatesta nell’anno 1408, al quale il supplicante chiede di essere graziato della pena di 1500 lire di moneta di Fano, comminatagli per quanto era avvenuto nel settembre dell’anno precedente a Mondolfo. Egli stesso descrive i tragici fatti in questi termini:

Magnifico segnore mio. Di l’anno pasato del mese de septenbre io fey scoprire una vostra fossa in lo vostro castello de Mondofo, in la quale fossa io gli avea meçça <soma> di grano; voleala fare impire d’orço. Pregai uno Meo de Antonio del dicto castello che gle dovesse intrare a spianare el dicto grano per podere impir d’orço la dicta fossa. El dicto Meo gl’intrò et subitto ussì fuore et disse che non gli posseva stare ché gli era troppo grande anffa. Et lì gli era uno Francischo da la Mandola, nevode del vicario che gli era, et disse: Io, gli voglio intrare io, ché costui non te vole servire. Et subbitto gl’intrò et commo lui fo giù in la dicta fossa chaddi morto. Io subbitto griday: Acurite, acorite, ché in questa fossa gli è morto uno. E lì trasse molta gente et io subbito me partie. Uno Matteo et Gregoro schiave etsendo lì volse actrarre el dicto morto et intrò in la dicta fossa et anche loro subbitto morrì. Per la quale cosa, segnore mio, el vostro vicario del podestà de Fano me condannò in libre millecinquecento de moneta da Fano. […]1

1 Sezione di Archivio di Stato di Fano, Codici malatestiani, 4, f. 8v.

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Il racconto dei fatti dalle parole di Lunardo può essere così riassumibile. In una fossa di Mondolfo posseduta dai signori Malatesta vi era mezza soma di grano. Lunardo di Simone, una specie di funzionario dei signori, forse amministratore delle loro tenute e fattorie, volendo immettervi anche dell’orzo chiamò un certo Meo di Antonio perché spianasse il grano che si trovava nel fondo (pare quindi che fosse possibile stoccare specie diverse di cereali a strati sovrapposti, separati fra loro da tavolati). Ma all’interno della fossa vi era anffa, parola chiave per capire cosa realmente poi accadde: è probabile che con questo termine, di derivazione greca (¡fˇ, haphè, “polvere” da cui l’it. afa), si volesse significare la mancanza di ossigeno o la difficoltà di respirare. Quindi le tre persone calatesi nella fossa sarebbero morte per asfissia. L’unico che si salvò, quello sceso per primo, era probabilmente un operaio carico di esperienza, al punto che subodora che vi è pericolo uscendone subito. Il giovane invece, sbruffone e imprudente, nipote del vicario di Mondolfo proveniente da Amandola, fa appena in tempo a calarsi nella fossa che subito cade e muore. All’invocazione di aiuto di Lunardo di Simone interviene diversa gente, fra cui due “schiavi”, ovvero slavi (probabilmente della sponda orientale dell’Adriatico), i quali tentano altrettanto imprudentemente di tirare fuori il morto dalla fossa facendo anch’essi la stessa fine. Prima ancora che i due disgraziati entrassero nella fossa il responsabile di questi “omicidi colposi”, Lunardo, se la squaglia (un comportamento assai discutibile il suo!), ma verrà poi, come si è detto, condannato a una pesante pena pecuniaria contro cui ricorrerà in appello. Il vicario delle appellagioni confermerà la prima sentenza, riducendo però a pena a 200 ducati, da versarsi per metà alla camera del signore e per l’altra metà alla parte offesa. Un nuovo ricorso in appello non stava producendo alcun risultato, il che convinse Lunardo a “raccomandarsi” direttamente a Pandolfo Malatesta, che il quel periodo risiedeva a Brescia: ciò gli fruttò la cancellazione della condanna e il pagamento di “soli” 25 ducati.

Le più antiche attestazioni

In effetti questa, che ricorda per i suoi tragici risvolti un evento

piuttosto clamoroso, non è la prima testimonianza sull’esistenza di fosse da

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grano a Mondolfo. Esse dovevano esistere in questa terra già da alcuni secoli. La fonte più risalente a questo riguardo sembra infatti degli inizi del secolo XIII. Nell’anno 1222 veniva citato dal vescovo di Senigallia un certo Marco di Giovanni di Madio di Castel Marco, il quale risultava insolvente da ben venti anni del canone dovuto alla canonica ravennate di S. Maria in Porto per alcune terre e proprietà situate nel territorio di Mondolfo2. Fra queste comparivano un orto e tre terreni nel fondo Castello con quattro fosse, con tutta probabilità fosse da grano, data la loro ubicazione negli immediati dintorni dell’abitato e considerato che il termine terrenum si riferisce di norma a lotti di terra edificabile.

Dopo questa, che possiamo considerare al momento la più antica attestazione, segue una lunga pausa che si prolunga fino agli inizi del Quattrocento, se si esclude un breve accenno contenuto in una sorta di inventario dei beni del mondolfese Gregorio Peruzoli il quale, morto nel 1392, aveva lasciato per testamento la quarta parte delle sue sostanze al vescovo di Senigallia: in tale testo si registra appunto la presenza di due fosse davanti alla porta della domus del testatore sita all’interno del castrum3.

I pur non abbondanti documenti quattrocenteschi sulle fosse da grano sono, in compenso, assai significativi, come si è cominciato a vedere. Un altro Codice malatestiano registra all’anno 1409 un pagamento per “infel-catura” di tre fosse da grano situate sulla piazza di Mondolfo (una di queste poteva essere quella dell’incidente mortale del 1407), davanti alla casa del signore (non si tratta dell’attuale piazza del Comune, bensì di una piazza all’interno della prima cerchia situata al termine della via principale (“via Grande”) che saliva il colle di Mondolfo da porta S. Maria alla zona della rocca. Lì doveva sorgere il palazzo dei signori (Offonidi prima, Malatesta dalla fine del Trecento). Il codice così si esprime:

Pagay ad Andrea de Biaxio da Mondofo per infelchatura de tre fosse da grano del signore che ello felchoe a Mondofo su la piaccia nancci caxa del signore. Fo per meterlly in esse el grano recollto questo anno prexentte a la Bapstia

2 Archivio di Stato di Ravenna, S. Maria in Porto, n. 21. 3 Archivio vescovile di Senigallia, Codex Piscatoris, p. 138.

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dal Ciexano aciò che stesse piue sechuro. Costò el ditto magisterio bolognini sesantta4. Il gastaldo dei Malatesta compensò dunque Andrea di Biagio per un

lavoro definito “infelcatura”, che consisteva nel rivestire tre fosse con paglia pressata alle pareti e sul fondo di essa, in modo che il grano raccolto alla Bastia del Cesano stesse più sicuro, maggiormente protetto dall’umidità. Il termine “infelcatura” si rinviene in altri codici e fonti scritte.

Un terzo documento di questo secolo è una donazione disposta da un prete, don Pietro del fu Gentile Massi di Mondolfo, il quale nel 1446 donò a sua madre alcune proprietà, fra cui quattro fosse: due situate nella piazza pubblica o platea magna (quella indicata sopra o la nuova piazza al di fuori della porta del Castello) e due nel Borgo5. Una di queste viene precisamente ubicata in fossarili Sancte Lucie, nel fossarile di S. Lucia, che prendeva il nome da una chiesetta esistente a metà circa del corso, quindi nella stessa strada in cui nel secolo scorso si verificarono diversi crolli, come quello ricordato all’inizio di questo saggio.

Oltre alle piazze, quindi, (quella dei signori all’interno della prima cerchia e quella del Borgo o del Comune), era proprio l’attuale corso della Libertà, già contrada S. Lucia, la zona privilegiata per lo scavo e la messa in opera delle fosse da grano: fossarile è voce che si incontra pure in altri centri (Corinaldo, Montalboddo oggi Ostra, Belvedere Ostrense, Polverigi) e che segnala sempre la presenza di fosse da grano.

La famiglia di don Pietro Massi era piuttosto facoltosa. Questo spiega il fatto che le fosse donate fossero addirittura quattro, pertinenti presumi-bilmente a più di una abitazione. D’altronde la donazione comprende anche un campo, un prato, una vigna, un orto, due somare e tutte le masserizie e i mobili esistenti nella casa di sua madre a Mondolfo e nella casa di S. Pietro in Valle a Fano, e ciò non esauriva di certo l’insieme del patrimonio familiare.

4 Sezione di Archivio di Stato di Fano, Codici malatestiani, 19, f. 287r. 5 Sezione di Archivio di Stato di Fano, Notarile, Giacomo di Antonio da S. Costanzo, vol. D, ff. 60v-61v.

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Il quadro regionale Se si prendono in esame le fonti di ambito regionale, ci si accorge che

queste cominciano a testimoniare l’esistenza di fosse già dal secolo XI (in questi casi sembra trattarsi di pozzi, forse abbandonati, situati fuori degli abitati fortificati), mentre alcune indagini archeologiche ne accerterebbero l’esistenza almeno dal secolo X, anche all’interno di abitati. Pertanto il silenzio delle scarse fonti bassomedievali relative a luoghi specifici, come Mondolfo, non assume una valenza di prova della non esistenza di questa tecnica di conservazione dei cereali. C’è da dire, poi, che a volte trapelano notizie sull’esistenza di tali strutture in centri vicini, come a Mondavio nel 13856, o alla Stacciola nel 1398 e nel 14047.

D’altra parte il metodo di conservazione dei cereali sotto terra segue una tradizione antichissima e, si può dire, universale. Se ne hanno testimonianze, per quanto riguarda l’Occidente, fin dall’epoca neolitica, vale a dire fin da quando l’uomo cominciò a coltivare i cereali. Gli scrittori classici, in particolare Varrone (De re rustica, I, 57), Columella (De re rustica, I, 6) e Plinio il Vecchio (Naturalis historia, XVIII, 73) vi accennano esplicitamente.

Il silo sotterraneo (termine spagnolo dal gr. sirÒj) sembra essere stato abbandonato in età altomedievale e le cause potrebbero essere molteplici. Da un lato vi fu una sorta di ripulsa ideologica espressa dalle massime autorità civili ed ecclesiastiche dell’epoca: nel Capitulare de villis (800 circa d.C.) Carlo Magno dà ordine ai suoi funzionari di sorvegliare per evitare che uomini malvagi nascondano il grano sotto terra; Rabano Mauro, abate di Fulda e quindi arcivescovo di Magonza (IX secolo), richiamandosi ai Proverbi di Salomone (11, 26) lancia una specie di maledizione nei riguardi di tutti coloro che nascondevano il grano, paragonati agli uomini che, avendo ricevuto l’annuncio evangelico, lo tengono per sé ovvero al servo pigro e malvagio il quale, ricevuto un talento, esce di notte per nasconderlo sotto terra. D’altro canto il clima umido e freddo della fase fra il V e la metà

6 Sezione di Archivio di Stato di Fano, AAC, II, 1, Castelli, fasc. 6°, ff. XVIr, XVIIr, XVIIIr-v. 7 Sezione di Archivio di Stato di Fano, Codici malatestiani, 37, f. 28r-v, 75r, 101r, 131r.

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del secolo VIII non doveva essere particolarmente favorevole alla conservazione dei grani sotto terra.

Sembra, dunque, che la ripresa di questa tecnica di conservazione si sia verificata in età postcarolingia, in significativa coincidenza con il fenomeno dell’incastellamento e della ripresa demografica (fine IX-X secolo). Ciò riceve conferma, in ambito marchigiano, da una serie di rinvenimenti archeologici avvenuti in occasione di scavi effettuati in diverse località della regione, in particolare a Matelica e Sarnano: si tratta in questo caso di fosse cilindriche di non grande profondità, utilizzate in epoca successiva come discariche. Anche le fonti documentarie, come si diceva, cominciano ad accennare alla presenza di fosse granarie nel secolo XI8. Nei due secoli seguenti le fosse, localizzate per lo più nei centri abitati e considerate pertinenze di abitazioni private, risultano scavate sotto le piazze e le strade. La loro diffusione copriva soprattutto la fascia collinare della regione, dove più numerosi erano i centri cittadini e castellani.

Gli statuti dei comuni marchigiani dei secoli XIV e XV dettano norme relative alle fosse da grano improntate alla tutela dell’incolumità dei cittadini, rivelando tuttavia un implicito incoraggiamento delle magistrature comunali alla costruzione e all’uso di tali pozzi e prescrivendo in certi casi regole e condizioni particolari, come l’assenso dei proprietari confinanti e una tassa di concessione da versare al comune (Osimo, 1308).

Come si spiega che nell’alto medioevo il potere centrale (l’Impero, la Chiesa, intellettuali compresi) scoraggiasse tale pratica, mentre ora le autorità locali dimostrano un atteggiamento esattamente contrario? Nell’alto medioevo era legittimo temere che pochi grandi proprietari, non radicati localmente e disponenti di terre situate in diverse regioni, attuassero delle manovre speculative sul grano, nascondendolo sotto terra e tirandolo fuori non appena i prezzi dei cereali prendessero a salire. Dopo il 1000, invece, la situazione economico-sociale risulta profondamente mutata: la proprietà fondiaria si stava notevolmente frazionando e la tecnica di conservazione dei cereali sotto terra era diventata di uso comune, al punto che ogni piccolo e medio proprietario poteva disporre di una sua fossa, con ciò riducendo di

8 Carte di Fonte Avellana, 1 (975-1139), a cura di C. PIERUCCI e A. POLVERARI, Roma 1972, pp. 71-72 n. 27 (a.

1068-1069).

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molto il rischio di speculazioni nel settore del commercio dei grani. Del resto anche un grosso proprietario cittadino, in una maniera o nell’altra legato alla sua comunità, avrebbe avuto qualche problema a mettere in atto odiose manovre economiche ai danni della stessa anche se, da parte loro, le autorità comunali non avevano più quelle remore morali nei confronti delle attività del ceto mercantile, che stava assumendo un rilievo crescente nella società cittadina. Disporre, infine, delle provviste alimentari all’interno delle proprie mura non poteva che favorire l’attuazione di una politica annonaria da parte degli stessi comuni, le cui autorità avevano la possibilità di tenere in qualche modo sotto controllo le scorte dei proprietari. Esistevano oltretutto nei centri marchigiani, e pure a Mondolfo, fosse di proprietà comunale.

La struttura materiale, la manutenzione e il funzionamento delle fosse

La forma prevalente delle fosse granarie nel corso dei secoli è quella

ad anfora o a giara (dolium) o anche a fiasco. Fosse siffatte sono state scoperte a Castel Porciano, nella campagna romana, durante scavi effettuati dalla British School. Altre forme possono essere quella a tronco di cono o quella panciuta: una di queste è stata scoperta a Corinaldo sotto il Terreno, ovvero la piazza alta della cittadina.

Le dimensioni sono crescenti man mano che si passa dal X al XVI secolo: le più antiche potevano essere profonde appena mezzo metro (nessuna di quelle scavate a Sarnano o a Matelica superara i 2 m. di profondità). Per avere un’idea di come si sviluppa in seguito la fossa può risultare utile confrontare questi dati con quelli di una fossa che si decide di costruire nel 1457 a Fano, dentro la rocca, profonda all’incirca 7,20 m.9 I documenti fanesi rinvenibili nei registri notarili del periodo 1446-1541 forniscono anche dati sulla capacità dei silos sotterranei: le più piccole contenevano circa 10 some di grano e le più grandi 70 (equivalenti a circa 2.200 e 15.400 kg.). Non è un caso che le misure massime si raggiungano nel Cinquecento: una conferma del fatto che le fosse continuavano a crescere di dimensioni.

9 Sezione di Archivio di Stato di Fano, AAC, Depositeria, 87, f. 147r.

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Per quanto riguarda Mondolfo, si hanno dati precisi in due contratti: uno del 1573 relativo ad una fossa della capacità di 32 some circa10, l’altro del 1578 su una fossa della capacità di some 20 circa11. E ancora, nel caso di tre fosse, due delle quali sicuramente comunali, di cui si parla in un registro di entrata e uscita del 1559, si dà conto della quantità di grano che vi si trovava in quel momento: nel primo caso 41 some e tre coppe di grano, nel secondo di 25 some e 2 coppe e infine di 14 some e 8 coppe (quindi una fossa “grande”, una “media” e un’altra “piccola”)12. L’impressione è che con tali quantità di cereale stoccato quelle fosse rientrassero un po’ nella media del periodo per quanto concerne la capacità.

Una delle poche fonti iconografiche del tardo medioevo sulle fosse da grano, riportata da alcuni studi, è rappresentata da una miniatura del senese Guidoccio Cozzarelli della seconda metà del Quattrocento. Tuttavia l’immagine ivi riprodotta suscita qualche perplessità in quanto, più che delle vere fosse da grano, sembra di scorgervi, in un ambiente urbano, delle giare interrate in cui alcuni operai immettono dei cereali sotto lo sguardo vigile di ufficiali pubblici.

La manutenzione delle fosse da grano era continua. L’“infelcatura” non si faceva una volta per sempre: lo si capisce bene leggendo gli Statuti di Mondolfo (1540), che trattano delle fosse in due capitoli in cui si prescrive che i cittadini non debbano gettare immondizie nelle strade, bensì in luoghi appropriati: fra i rifiuti da gettare si allude anche alle felcature delle fosse da grano13. Questo significa che la paglia veniva cambiata molto spesso.

Un altro tipo di rivestimento usava invece delle stuoie alle pareti: ciò è documentato a Fano nel 152514. Oltre a questo, le fosse dovevano essere pulite periodicamente. Il cereale veniva introdotto di norma sfuso; in certi casi anche a strati sovrapposti. A questo proposito sono stati ritrovati, nel caso di Castel Porciano, delle nicchiette che servivano probabilmente per l’applicazione di tavolati. Era inoltre buona norma far girare ogni tanto tempo il grano presente nella fossa.

10 Sezione di Archivio di Stato di Fano, Notarile, Giorgi Giandomenico, vol. H, f. 332r. 11 Sezione di Archivio di Stato di Fano, Notarile, Giorgi Giandomenico, vol. I, f. 342r. 12 Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 18, f. 2r. 13 Archivio comunale di Mondolfo, Statuti (V, 15), 1, f. 200v. 14 Archivio del Capitolo cattedrale di Fano, Entrate ed uscite della sacrestia (1513-1548), f. 113r-v.

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La chiusura della fossa era ermetica, tranne che nei momenti in cui veniva immessa la quantità di cereale: in questo caso si poteva installare all’imboccatura una grata onde evitare rovinose cadute di persone. La fossa era concepita come una cassaforte. È chiaro che, una volta chiusa ermeticamente, la famiglia proprietaria disponeva in casa di una certa quantità di grano, macinato o non, per gli usi domestici, mentre la fossa veniva aperta molto raramente, proprio come una cassaforte destinata a conservare le provviste nel lungo periodo. E’ interessante leggere a questo proposito cosa scrive Francesco di Giorgio Martini nei suoi Trattati di architettura:

Dieno eziandio avere le predette case [da villani eziandio] più fosse [da grano] per conservare frumenti secondo el bisogno. Ma volendo conservare meglio [el grano] si vole fare [una] fossa come una cisterna di struttura o calcestruzzo, salda bene da ogni parte; lassando uno piccolo buso, e turando poi quello con tavole e con battuta terra, conservarà el frumento, posto ch’ella sia intorno armata di paglia secondo l’usanza. E così si manterrà molto meglio el frumento, perché non è possibile che el tufo o altro terreno non rendi [superflua] umidità per la quale si corrompe el frumento. E riguardo alle case dei mercanti aggiunge: “… dieno ancora avere

fosse per frumenti [e conserve di grano et] ample canove, perché di ciascuna di queste cose porria accadere fare mercanzia”.

Egli consiglia dunque al mercante di tenere magazzini e anche delle fosse perché si potrebbero fare buoni affari conservando il grano con tale sistema.

Ancora prima di lui, comunque, l’agronomo bolognese Piero de’ Crescenzi, contemporaneo di Dante, aveva parlato delle fosse da grano attingendo dai classici, ma inserendo una “postilla” riguardante il rivesti-mento in paglia, nel senso che suggerisce di applicarlo, oltre che al fondo, anche alle pareti.

Vi è dunque una larga diffusione di fosse da grano in Italia nel basso medioevo, ed è rimarchevole che già nell’alto medioevo scompaia il termine classico horreum (“granaio”), forse a causa del venir meno dei granai pubblici collegati al sistema di difesa territoriale del tardo impero.

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Contestualmente diventano scarse le notizie sui granai a tetto (quantunque il De’ Crescenzi non li escludesse affatto, ma sempre sulla scorta dei classici, in particolare di Palladio): l’unico accenno in documenti marchigiani si riferisce a un granaio dell’abbazia di Chiaravalle di Fiastra sito nella grangia (dal fr. grange, a sua volta derivato dal lat. <cella> granica) di S. Maria in Selva nella valle del Potenza (a. 1234)15. Si tratta, tuttavia, di una particolarità, dal momento che i monaci cistercensi erano legati alla tradizione del granaio a tetto, la loro principale architettura dopo la chiesa, alla quale ponevano particolare cura.

Le ragioni di una così larga diffusione delle fosse da grano tra il X e il XVI secolo vanno ricondotte al loro funzionamento. Esse costituivano un ottimo sistema per difendere i raccolti dalle temperature estreme, dagli insetti nocivi e dai roditori. Al loro interno l’ossigeno interstiziale, in presenza del grano, si trasformava in anidride carbonica, letale per gli animali come anche per l’uomo (come abbiamo visto all’inizio). Non si sono trovati dati precisi sui tempi di conservazione. Il vecchio Varrone, che probabilmente faceva riferimento a delle condizioni ottimali, aveva affer-mato che il grano conservato sotto terra in questo modo rimaneva integro per 50 anni (e il miglio addirittura più di 100!). Resta, comunque, il fatto che nessuno si preoccupava più di tanto della conservazione dei cereali una volta immessi nelle fosse, almeno stando ai vari statuti comunali ed escludendo la fase più tarda di questo periodo.

Nel secolo XVI a Mondolfo

Oltre agli Statuti, altri libri dell’archivio comunale parlano di fosse

comunali. Una prima registrazione del 1519 appare di non univoca interpretazione, poiché vi si tratta del nolo, concesso dal comune, “de la casa del spedale, cioè de doi solari da alto et la botiglia”16, dove que-st’ultimo ambiente dovrebbe rappresentare un sotterraneo, non necessa-riamente una fossa da grano, che nell’eventualità si troverebbe sotto una

15 Le carte dell’abbazia di Chiaravalle di Fiastra, V (1231-1237), a cura di G. BORRI, Spoleto 1998, pp. 151-159

n. 82. 16 Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 1, f. 23v.

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casa di tre piani e non sotto una strada pubblica; il termine botiglia si rife-rirebbe alla forma del sotterraneo.

Altre registrazioni alludono a due fosse: l’una nel Castello (in questo caso entro la prima cerchia) e l’altra nel Borgo (tra prima e seconda cerchia). Una di queste fosse viene data a nolo – nel periodo che va dal 1537 al 1542 – ad un certo Agostino del Medico: il pagamento viene effettuato in natura, tramite il versamento al comune di una certa quantità di grano17.

Nel 1532, sempre nell’area della piazza, viene risarcito un proprietario per “una fossa da grano occupata in la fabrica de la loggia de la com-munità”18.

Vigeva allora una specie di tassa di concessione per i privati che volessero costruire nuove fosse (se ne trova un precedente ad Osimo, nel 1308, come si è già accennato, anche se in questo caso la tassa – di 10 soldi – pare fosse limitata alle fosse già esistenti o da scavarsi nella piazza del mercato). Nel 1545 a Mondolfo la tassa ammontava a 30 bolognini per le fosse scavate entro le mura (ovvero nella piazza del Borgo, nell’area quindi dell’attuale piazza del Comune, o comunque nel Borgo) e a 10 bolognini per quelle scavate “fuor del Castello” (una di queste era fuori di porta Fanestre)19. Allora ne vennero allestite in totale sette. Ed è un fatto abbastanza sorprendente, in quanto il Cinquecento rappresenta l’ultima fase nella quale le fosse vengono utilizzate con questa finalità. Ad ogni modo esse continuano ad essere oggetto di alienazione e di concessione a nolo, come dimostrano alcuni contratti degli ultimi decenni del secolo: uno di essi, in particolare, dell’anno 1577, concerne la vendita di una fossa da grano sita nel Borgo, precisamente nella piazza sopra S. Giustina, confinante con un’altra fossa di proprietà della stessa chiesa20.

Dalla fine del secolo XVI, infatti, a Mondolfo non se ne parla più, se si esclude una notizia isolata dell’anno 1620, quando, in un periodo di scarsità di pane e di forti tensioni, si accenna ad una certa quantità di grano

17 Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 7, ff. 98r, 112v-113r, 182v; Sindicaria, 10, ff. 87v-88r; Sindicaria,

11, ff. 64v-65r. 18 Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 5, f. 122r. 19 Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 14, f. 46v. 20 Sezione di Archivio di Stato di Fano, Notarile, Giorgi Giandomenico, vol. I, f. 237v.

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occultata in fosse e magazzini21 (non a caso proprio in quegli anni il Manzoni pone l’assalto al “forno delle grucce” a Milano).

L’abbandono delle fosse da grano, o la loro conversione ad altri usi (discariche, butti), dopo il secolo XVI è un fenomeno più generale, almeno nelle regioni dell’Italia centrosettentrionale, mentre esse mantengono la loro tradizionale funzione nelle più calde regioni meridionali, come la Puglia e la Sicilia. Quali le cause? E soprattutto quali le spiegazioni, dal momento che si abbandonava una tecnica antichissima, che aveva dato buoni risultati nell’arco di millenni?

Un insieme di concause può spiegare il fenomeno. È questa un’epoca di grandi trasformazioni, un’età di transizione dal medioevo all’età moderna, che ha il suo inizio già alla fine del Duecento con le crisi agricole ed alimentari e che viene accentuata dalle susseguenti crisi di mortalità, le quali culminano nella peste nera di metà Trecento. Si tratta, quindi, di un lungo periodo di transizione. Di conseguenza anche la mentalità, la forma mentis delle persone dovette subire delle trasformazioni nello stesso tempo. Sul versante economico-sociale si verifica un altro importante fenomeno, la diffusione della mezzadria con il conseguente appoderamento. Con la mezzadria si rompe il legame tra famiglia contadina e comunità: la famiglia del mezzadro viene insediata sul podere, allontanandosi così dal luogo in cui fino a quel momento si erano costruite le fosse, in genere dentro le mura di città, terre e castelli, quantunque non manchino nel tardo medioevo esempi di fosse allestite fuori delle mura (comunque nelle immediate vicinanze di esse).

S. Anselmi ha affermato che nelle Marche fu condotta allora una forsennata politica del grano, un’agrarizzazione molto spinta. La normale risposta alla crescita demografia fu la messa a coltura di nuove terre, terre non tutte adatte alla coltura dei cereali. Si può pensare, pertanto, che la qualità stessa del cereale abbia subìto delle alterazioni.

Da ultimo interviene pure un cambiamento climatico: si inizia quel periodo definito come “piccola glaciazione” (1600-1850). Si comprende allora come le ultime fosse da grano, costruite in un problematico quadro climatico-ambientale, possano essere state abbandonate proprio perché non

21 Archivio di Stato di Firenze, Ducato di Urbino, cl. I, 259, f. 788r-v.

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garantivano più gli stessi risultati di un tempo, soprattutto per quanto concerne la difesa dei raccolti cerealicoli dall’umidità, dai terreni divenuti troppo umidi. In precedenza le fosse si trovavano sulle alture, negli insediamenti fortificati; con l’appoderamento mezzadrile si tentò di portarle lontano dai centri abitati, in certi casi in luoghi bassi e umidi.

Le prime avvisaglie di tali difficoltà cominciano a notarsi già nel Quattro-Cinquecento. In verità, nel sopra citato inventario dei beni di Gregorio Peruzoli del 1392 si coglie già un’espressione sospetta: “duas fossas ante portam que tignant”, che sembra riferirsi a grano guastatosi. Alla Stacciola agli inizi del secolo XV, in una fossa dei Malatesta, viene registrato un “fondame” di fossa, ossia grano che si trovava al fondo di essa, andato a male (“grane vechie”): perciò lo si dà ai colombi e ai polli di casa22. A Fano, poi, nell’anno 1525, diventano frequenti le allusioni al grano cattivo trovato nelle fosse dei canonici della cattedrale: per una di queste si dice esattamente che “feva i tignie et è stato dato una girata et non è stato mesurato per vedere quanto era calato”23. Praticamente, dopo il 1600 le fonti della zona non parlano più delle fosse da grano, lasciando così supporre che esse fossero state dismesse, in certi casi forse convertite ad usi differenti, in altri del tutto dimenticate.

Roberto Bernacchia

22 Sezione di Archivio di Stato di Fano, Codici malatestiani, 38, f. 106r. 23 Archivio del Capitolo cattedrale di Fano, Entrate ed uscite della sacrestia, f. 120v: anche in altre registrazioni

dello stesso anno si riscontrano espressioni come “tristo grano” (f. 108r) o “brutto” (f. 118v), riferite al cereale conservato nelle fosse dei canonici fanesi.

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Aree del centro storico di Mondolfo in cui è documentata l’esistenza di fosse da grano

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Sezione di una fossa da grano (sec. XIII) scavata a Castel Porciano, Roma (da M. Mallett- D. Whitehouse, Castel Porciano, «Papers of the British School at Rome», XXXV, 1967)

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Sezione di una fossa da grano di Tuscania, Viterbo (da D. Andrews- J. Osborne- D. Whitehouse, Medieval Lazio, Oxford 1982)

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Disegno di una fossa da grano rinvenuta nella piazza del Terreno a Corinaldo (da S. Anselmi e G. Volpe, L’architettura popolare in Italia. Marche, Roma-Bari 1987)

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Guidoccio Cozzarelli (1450 - ca. 1516). La misurazione del grano (Witt Library Collection)

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Note bibliografiche

Sintesi della mia relazione su La conservazione dei cereali negli insediamenti medievali delle Marche (secoli XII-

XVI), in 4° Convegno Macrobiotica e scienza sul tema cibo ambiente salute. Roccaporena di Cascia (Pg),

26-27-28 novembre 1999, Sforzacosta (MC) 1999, pp. 93-96 ; altra sintesi della relazione su Un metodo

di conservazione dei cereali: le fosse da grano nelle Marche nei secoli X-XVI, in Convegno «Cibo,

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Abbadia di Fiastra – Tolentino (Mc), Tolentino 2000, pp. 57-58.

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in latino (In commodum ruralium) agli inizi del sec. XIV e resa in volgare da anonimo già nel corso dello

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Opere generali in tema di conservazione dei cereali e sulle fosse da grano in vari periodi, continenti e

culture :

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[Lille] 1978.

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Sulla conservazione dei cereali tra alto e basso medioevo:

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ANSELMI, [Jesi] 1985 (2a ed. 1986); alcuni testi del volume sono stati ripubblicati in S. ANSELMI, Una

storia dell’agricoltura marchigiana. Con due ricerche sulla economia del podere e sulla evoluzione delle

Marche dalla mezzadria all’industria di V. BONAZZOLI e P. SABBATUCCI SEVERINI, Ancona 1985; e di

nuovo in S. ANSELMI, Chi ha letame non avrà mai fame. Studi di storia dell’agricoltura, 1975-1999,

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S. ANSELMI e G. VOLPE, L’architettura popolare in Italia. Marche, Roma-Bari 1987.

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